Profilo ideologico
del Novecento
di Norberto Bobbio
Edizione di riferimento:
Profilo ideologico del Novecento, Garzanti, Milano
1993.
II
Sommario
Prefazione
1. Positivismo e marxismo
2. I cattolici e il mondo moderno
3. Le forze dellirrazionale
4. Gli antidemocratici
5. I due socialismi
6. Benedetto Croce
7. La lezione dei fatti
8. Intermezzo di guerra
9. Tra rivoluzione e reazione
10. Lideologia del fascismo
11. Croce oppositore
12. Gli ideali della Resistenza
13. Gli anni dellimpegno
14. La democrazia alla prova
15. Verso una nuova reppublica?
1
3
20
45
62
79
95
112
126
143
165
180
194
210
227
252
III
IV
PREFAZIONE
Questo Profilo, scritto per sollecitazione di Natalino Sapegno, tra lestate e lautunno 1968, fu composto per essere pubblicato nellultimo volume della Storia della letteratura italiana, dedicato a Il Novecento, apparso presso
leditore Garzanti nel 1969.
Pochi anni dopo, nel 1972, stato pubblicato dalla Cooperativa Libraria Universitaria Torinese (CLUT)
sotto forma di dispense in una edizione riservata agli studenti del Corso di Filosofia della politica, di cui quellanno ero diventato titolare nella Facolt di scienze politiche, con laggiunta di una Premessa e di due nuovi capitoli, I cattolici e il mondo moderno e Croce oppositore.
Nel 1986 Giulio Einaudi ha accolto questa edizione
pi completa, che aveva avuto una circolazione molto
ristretta, nella Biblioteca di cultura storica (n. 157),
con nuove illustrazioni rispetto alledizione Garzanti e
laggiunta di una Postfazione.
Lanno successivo il Profilo apparso nella nuova
edizione della Storia della letteratura italiana, nel primo
dei due volumi dedicati a Il Novecento, con lesclusione,
da un lato, della Premessa e della Postfazione, e con
laggiunta, dallaltro, di due capitoli nuovi, La democrazia
alla prova e Verso una nuova repubblica?, che completano
la narrazione storica, dalla Liberazione, cui si era fermata
ledizione precedente, fino al 1980. Inoltre il testo stato
arricchito da una ampia bibliografia, curata da Pietro
Polito.
Ora esce di nuovo come volume a s stante: lodierna
edizione riproduce la precedente, ma con la bibliografia
aggiornata.
Dalla prima edizione sono trascorsi esattamente ventanni. I capitoli da undici sono diventati quindici. La
1
POSITIVISMO E MARXISMO
Nonostante la grande coalizione antipositivistica dei primi anni del secolo, il positivismo in Italia era morto prima di nascere: la reazione contro il positivismo fu una
grande bufera scatenata per abbattere un fuscello. La
filosofia positiva era nata allinizio del secolo XIX con
Saint-Simon, come prima e ancor rozza coscienza della profonda trasformazione della societ prodotta dalla
rivoluzione industriale, da una rivoluzione che avrebbe
sovvertito lordine costituito non sostituendo una classe
politica ad unaltra ma il dominio degli industriali e degli scienziati a quello dei politici e dei metafisici. Come
filosofia della storia, il positivismo, da Comte a Spencer,
scopr che il progresso verso il meglio cui sarebbe andata incontro lumanit nel nuovo secolo sarebbe consistito nel passaggio dalla societ militare alla societ industriale, da una societ di ceti controllata da sacerdoti a
una societ di libere classi in lotta tra loro, regolata dal
sapere scientifico. In un paese economicamente arretrato come lItalia il positivismo era destinato ad arrivare in
ritardo e, una volta trapiantato, a condurvi vita stentata; o ad apparire, come nel caso della splendida stagione
cattaneana, un frutto prematuro.
Nel Cattaneo appare evidente il nesso tra mutamento sociale e nuova filosofia, tra crescita della societ
mercantile-borghese e filosofia scientifica. Molto pi evidente che nel positivismo ufficiale scolastico e scolasticizzato degli ultimi decenni del secolo; il quale attecch
su un tronco ancora troppo fragile (unindustrializzazione appena appena nascente in una piccola parte del paese) per sopportare lo sforzo di un nuovo innesto. Il positivismo ufficiale fu in quegli anni in Italia una filosofia
senza radici nella societ e nonostante il fervore dei neofiti e il prestigio del loro patriarca, Roberto Ardig, rimase spaesato. Non bastarono lentusiasmo e lardimento antitradizionalistico a dar vita e dignit a un pensiero
che nella societ italiana del tempo appariva anacronistico, e, di fronte agli attacchi congiunti dello spiritualismo laico e di quello clericale (alleati nella santa crociata
contro il nuovo illuminismo), puramente velleitario.
Bisogna anche riconoscere che non fu una buona filosofia. Ma la sua importanza non era filosofica: stava nella mentalit positiva, non speculativa, di cui quella filosofia, anche mediocre, era insieme lo stimolo e il rispecchiamento. Purtroppo la scuola positiva italiana accolse nel suo seno pi positivismo che positivit. Certamente incoraggi lo sviluppo delle scienze, in particolare delle scienze sociali che avevano sempre condotto vita grama alla grande ombra della filosofia presuntuosa
e sterile delle scuole italiane; diede qualche contributo
non spregevole al progresso della criminologia con Cesare Lombroso e i suoi discepoli; avvi studi di sociologia, di etnologia, di psicologia delle menti associate (per
usare una felice espressione di Cattaneo), che non avevano mai avuto molta fortuna in Italia; apr con Gaetano Mosca la strada, che non and molto lontano, degli
studi scientifici della politica; soprattutto diede occasione e impulso a una fioritura di studi economici, a una vera e propria scuola di economia italiana, da Pantaleoni a
Pareto, a Einaudi, di cui non ci fu pi leguale in Italia.
Ma non fu una filosofia originale e tanto meno una filosofia dellavvenire: anzi, quando arriv in Italia ed ebbe il suo massimo splendore nellultimo decennio del secolo (la celebre trilogia ardigoiana Il vero, La ragione e
Lunit della coscienza apparve tra il 1891 e il 1898), era
nei paesi di provenienza in declino. Lidealismo uccise in
realt un moribondo, cui non concesse il beneficio della
lenta agonia.
Quando apparve nel 1898, in occasione del settantesimo anniversario di Ardig, una delle pi incredibili raccolte di panegirici che mai allievi abbiano rivolto al loro
maestro1 , in Francia erano gi apparse due opere capitali
di Bergson (Essai sur les donnes immdiates de la conscience,
1889, e Matire et mmoire, 1896), Maurice Blondel aveva
discusso alla Sorbona la sua tesi su LAction (1893), in Inghilterra Spencer era stato messo al bando e furoreggiava
il neo-hegelismo (Appearance and Reality di Bradley del
1893); negli Stati Uniti William James aveva ormai dato
alla luce lopera pi popolare del pragmatismo (The Will
to Believe, 1897). Il positivismo storico, e, a maggior ragione, la versione irrigidita e dogmatica del positivismo
storico che aveva dominato in Italia, era finito dovunque, provocando la caccia alla strega dello scientismo da
parte dello spiritualismo perenne. Il positivismo avrebbe
poi trovato attraverso la critica della scienza la strada per
una riforma interna e approdare al neo-positivismo. Ma
la filosofia scientifica in Italia era troppo violenta perch
i positivisti italiani (tranne Pareto) trovassero la via della riforma interna. Invece di correggere gli errori del si1
Nel 70 anniversario di Roberto Ardig, scritti raccolti da A.
Groppali e G. Marchesini, Torino 1898. Per dare unidea del
cono dellopera basterebbe citare la fine della Prefazione: Ci
nonostante, cediamo che [la presente opera] qualche vantaggio
possa pur anche arrecare: quello di ridestare il pensiero filosofico in Italia, e di fare conoscere alla giovent studiosa il principe dei nostri pensatori viventi, la cui dottrina, sebbene inferiore per vastit, supera per profondit quella del filosofo dei due
mondi (p. XV: filosofo dei due mondi era chiamato lo Spencer). Ma non voglio privare il lettore almeno di questo brano:
Egli un gigante, come Saladino nellinferno di Dante, appartato nella storia del pensiero che, a bella posta per non guastare e corrompere con elementi eterogenei il frutto personale delle sue meditazioni, si chiuso, romito volontario, nelleremo
del suo gabinetto ove non si ripercuote e vibra leco degli studi
altrui (p. 197).
stema, si acconciarono volenti o nolenti ai nuovi indirizzi filosofici, sciolsero il loro materialismo in un insipido
e per fortuna innocuo beveraggio spiritualistico, stemperarono la carica polemica di una filosofia antimetafisica
in un eclettismo conciliatore.
Dal punto di vista ideologico il positivismo aveva rappresentato linterpretazione evolutiva, naturalistica, sostanzialmente ottimistica, della rivoluzione industriale,
nelle due versioni politicamente contrastanti, anche se
talora convergenti contro il comune nemico rappresentato dal protezionismo statale, debilitante e corruttore,
del liberalismo intraprendente e aggressivo e del socialismo gradualistico e difensivo. Mentre il patrono del primo fu lo Spencer darvinista, il patrono del secondo fu
un Marx darwinizzato. In realt, il darvinismo sociale fu
quasi sempre il comune ingrediente filosofico di entrambi, combinato l con la teoria del liberismo economico,
qua con la vulgata deterministica ed economicistica del
marxismo. Per il primo la lotta per lesistenza la via naturale attraverso la quale sopravvivono i migliori, i pi
adatti a far progredire la societ, e quindi non deve essere ostacolata da istituzioni politiche artificiali, quali sono quelle degli stati tradizionali che hanno avuto origine non dal commercio ma dalla guerra. Per il secondo,
la lotta di classe, giunta al suo massimo grado dintensit
nella societ capitalistica, avrebbe generato per la forza
stessa delle cose la definitiva eliminazione della societ di
classe. Assai pi di Marx, Herbert Spencer fu ammirato
come il titano che avrebbe liberato lumanit dalle catene del passato. Alla sua morte un osservatore penetrante
della societ italiana e non fa- cile agli entusiasmi, come
Francesco Papafava, scrisse:
Fu il pi grande emancipatore danime ed eccitatore intellettuale del secolo XIX, e il suo tentativo di descriver a fondo tutto
luniverso rimarr uno tra i massimi monumenti intellettuali2 .
I due maggiori rappresentanti del liberalismo economico di quegli anni, Matteo Pantaleoni (i cui Principi di
economia politica sono del 1889) e Vilfredo Pareto (che
pubblic il celebre Cours dconomie politique nel 1896) erano positivisti dichiarati e spenceriani convinti, non meno di quel che fossero positivisti ferventissimi, e proprio
per questo marxisti solo a met, cio sino al punto in
cui Marx poteva essere conciliato con il positivismo evoluzionistico, e, magari, ancor pi grossolanamente con
Spencer, che era un liberale arrabbiato, tanto Achille
Loria quanto Enrico Ferri, tanto Napoleone Colajanni
quanto Saverio Merlino, tutti i nostri teorici del socialismo insomma, tranne Antonio Labriola. vero che
quando Colajanni ebbe a sostenere che lideale di Spencer era socialista, vi furono alcuni filosofi ipercritici che
gli dettero dellasino, ma egli, pur con qualche concessione agli avversari, non desistette dalladdurre argomenti alla propria tesi3 . Merlino, per citare la testa forse pi
chiara dei socialisti positivisteggianti, che non aveva mai
scambiato Marx con Spencer, contrapponeva la concezione catastrofica del socialismo alla concezione positiva, scrivendo: La concezione del Socialismo devessere meno astratta, meno semplicistica, meglio informata
che oggi non sia, al metodo positivista, che il solo vera2
F. Papafava, Dieci anni di vita italiana, Bari 1913, p. 385.
Cfr. anche pp. 764-72.
3
N. Colajanni, Il socialismo, Palermo 1898, p. V (la prima
edizione del 1884).
ventate, da raggiungersi attraverso la conoscenza, che solo uneducazione positiva avrebbe potuto dare, delle leggi oggettive che reggono lo sviluppo della storia (non diversamente dalla natura). Un discepolo di Lombroso,
Guglielmo Ferrero, protestando contro la politica reazionaria di Crispi, riassunse molto bene, in un opuscolo
del 1895, lo stato danimo e le aspirazioni della giovent
positivistica con queste parole:
Noi siamo stanchi di una scienza politica che crede di salvare
una nazione in condizioni cos gravi come lItalia, sciogliendo
il Partito dei lavoratori, sequestrando una volta al mese LItalia del Popolo e abbattendo in tutti i ritrovi pubblici e privati i busti di Karl Marx [...] Noi amiamo meglio, per rinforzarci,
il pane sano delle osservazioni reali e positive, che il liquore alcoolico delle frasi inebrianti. Noi non ci facciamo illusioni; sappiamo che a molti mali lopera di un uomo, di un partito, di una
scuola non pu mettere rimedio, che le leggi in gran parte ancora ignote della vita sociale sono pi forti di noi; ma per quanto riguarda lazione che luomo pu svolgere, noi vogliamo che
sia guidata dalla ragione [...] Basta! Rappresentate quel partito
o quella classe sociale che volete; ma siate uomini ragionevoli,
intelligenti, istruiti; abbiate qualche idea nel cervello7 .
Ma il primo attacco al positivismo, gi negli ultimi anni del secolo XIX, avvenne da sinistra, cio da uninterpretazione pi severa, pi fedele ai testi, meno eclettica,
del materialismo storico. Nel 1894 era apparsa una summula dellinterpretazione positivistica del marxismo, Socialismo e scienza positiva di Enrico Ferri, il cui sottotitolo era uninsegna: Darwin, Spencer, Marx. Vi si dimostrava la perfetta conciliabilit tra darwinismo e marxismo,
tra levoluzionismo di Spencer e il socialismo scientifico
di Marx, il quale era venuto a completare, nel campo
sociale, la rivoluzione scientifica portata da Darwin e da
Spencer8 . Lanno dopo apparve il primo saggio di Antonio Labriola sul materialismo storico (In memoria del
Manifesto dei Comunisti) cui sarebbero seguiti, rispettivamente nel 1896 e nel 1897, un secondo, Del materialismo storico. Dilucidazione preliminare, e un terzo, Discorrendo di socialismo e di filosofia. I conti coi positivisti
erano regolati in modo piuttosto brusco sin dalle prime
pagine: i socialisti che si affidano allinterpretazione del
processo storico proposta da Marx non hanno nulla in
contrario a lasciarsi chiamare scientifici, se altri non intende per cotal modo di confonderci coi Positivisti, ospiti spesso ma da noi non sempre bene accetti, che a loro
grado monopolizzano il nome di scienza9 .
Nel terzo saggio Spencer veniva strapazzato (con parole attribuite immaginariamente a Marx) come:
lultimo avanzo ombratile del deismo inglese del secolo XVII;
lultimo sforzo della ipocrisia inglese nel combattere la filosofia di Hobbes e di Spinoza; [...] lultima transizione fra il cretinismo egoistico del signor Bentham e il cretinismo altruistico del Rabbi di Nazareth; lultimo tentativo dellintelletto borE. Ferri, Socialismo e scienza positiva, Roma 1894, p. 93.
A. Labriola, La concezione materialistica della storia, a cura
di E. Garin, Bari 1965, p. 10.
8
9
10
246.
11
391.
11
va dei fatti e della loro successione, resa finalmente possibile dalla lacerazione degli involucri con cui le idee degli
uomini li avevano ricoperti, limitata peraltro alla coordinazione obiettiva delle concezioni determinanti e degli
effetti determinati (non critica soggettiva applicata alle
cose, ma ritrovamento dellautocritica che nelle cose
stesse)12 ; per laltro verso, come uno strumento dindagine che rende possibile una visione dinsieme, non frammentaria, non disorganica, non parziale, com quella dei
positivisti, del processo storico (si trattava di sorpassare la conoscenza empiricamente disgregata dei semplici
particolari, e di intendere integralmente la storia)13 .
Come concezione realistica della storia, il materialismo
storico non si risolve in una filosofia della storia alla maniera di Hegel o di Spencer, ma sarebbe il primo tentativo serio di fondare una scienza della societ (da non confondere con la sociologia positivistica); e in quanto concezione globale del processo storico, esso offre non tanto una chiave, da lasciare ai metafisici, apritori di tutte
le porte, quanto un filo conduttore per abbracciare nel
suo insieme lo sviluppo storico e scoprirne la tendenza
immanente.
Questi saggi di Labriola non avevano, se non indirettamente a lunga scadenza, tanto lunga da apparire non
una scadenza ma un rinvio sine die, una intenzione politica. Anzi furono scritti quando, dissentendo talora anche aspramente dallindirizzo impresso al partito socialista dai suoi fondatori (il Partito socialista italiano era stato fondato nellagosto del 1892), si era allontanato, impazientemente e sdegnosamente, dalla politica militante, pur non rinunciando a intervenire in diverse occasioni con rimbrotti, consigli, incoraggiamenti, avvertimen12
105.
13
12
ti, previsioni pi o meno fosche, giudizi pertinenti e impertinenti. Il dissidio coi socialisti positivisti era di natura non soltanto filosofica, ma ideologica e politica, anche se il dissenso ideologico e politico era strettamente
dipendente da quello filosofico. Labriola muoveva ai socialisti di partito un duplice rimprovero: di avere avuto troppa fretta nel dar vita a un partito operaio senza
classe operaia, destinato a esser fatto entrare di straforo nella mente degli operai, col rischio di vederlo rapidamente degenerare in una delle solite vanit consortesche allitaliana14 , e di non essere in grado, proprio
a causa dellequivoco iniziale, di fare altra politica che
quella del riformismo piccolo-borghese, del compromesso legalitario, della complicit con la classe dominante
per ottenere un modesto vantaggio oggi in cambio della
rinuncia alla rivoluzione domani. Per quanto possa sembrare contraddittorio, era il rimprovero, da un lato, di
andare troppo in fretta, dallaltro, troppo adagio.
In realt contraddizione non cera, perch Labriola
aveva una concezione rivoluzionaria del processo storico
(aveva definito il materialismo storico la teoria obiettiva delle rivoluzioni sociali), ma era tanto accorto storicista da rendersi conto che le rivoluzioni non si realizzano
a comando, nonostante le vociferazioni dei demagoghi e
le ardenti aspettazioni dei ribelli allordine costituito per
quanto ripugnante esso fosse. Era un rivoluzionario, ma
appunto perch tale guardava lontano, mentre i riformisti, avendo la vista troppo corta, sarebbero stati assorbiti
a poco a poco nel sistema che, non avendo la volont di
rovesciare, non avrebbero neppure avuto la forza di correggere. Marxista era diventato quando, dopo una lunga
e aspra e tormentata meditazione che lo aveva indotto a
14
Traggo queste due citazioni da B. Widmar, Antonio Labriola, Napoli 1964, pp. 159 e 162. La prima frase tratta da
una lettera a Turati, la seconda da una lettera a Engels.
13
14
15
Ivi, p. 78.
Id., Storia della storiografia italiana, vol. II, Bari 1930, p.
143.
16
17
scienza, della libert attraverso la scienza. Il sapere scientifico, non pi quello teologale o metafisico, avrebbe dovuto guidare la trasformazione della societ, finalmente
non pi affidata alle forze del caso o alla mano invisibile
di una superiore provvidenza.
Se Engels non avesse creduto allavvento dellet della
scienza dopo quella della teologia e della metafisica, non
avrebbe addotto come argomento formidabile, a favore
delle teorie che Marx e lui stesso erano andati propagando, che esse rappresentavano finalmente il passaggio del
socialismo dallutopia alla scienza, e solo in quanto tali ne rendevano non solo prevedibile ma anche possibile
lavvento.
Positivismo e marxismo furono se mai in disaccordo
sul modo dintendere la vera scienza; e, rivali come
spesso furono sullo stesso terreno, si scambiarono laccusa di non essersi affatto liberati dalla metafisica e di essere, nonostante tutto, non scientifici. Per essere scientifico Marx avrebbe dovuto liberarsi dalleredit hegeliana, i positivisti da quella comtiana. Furono per entrambe filosofie laiche, mondane, nate dalla grande rivoluzione del secolo, che fu la rivoluzione industriale, della quale il positivismo fu linterpretazione fiduciosa e benevola, il marxismo quella catastrofica. Per il positivismo, il
progresso economico guidato e controllato dal progresso scientifico avrebbe condotto fatalmente alla liberazione dellumanit. Per il marxismo, la liberazione sarebbe
avvenuta soltanto attraverso una dura lotta per la conquista del potere politico guidata dalla classe oppressa di
tutto il mondo. La meta finale del primo sarebbe stato
qualcosa di simile alla societ tecno-cratica che sta diventando sempre pi temibile quanto pi ci sembra vicina.
La meta finale del secondo una non meglio definita societ senza classi, che sarebbe forse desiderabile se non
apparisse sempre pi lontana. Come filosofie dellinnovazione e del mutamento furono fatte segno agli attac-
18
19
2
I CATTOLICI E IL MONDO MODERNO
20
21
22
23
mica naturalmente allaltra, si riafferma la vecchia dottrina organica (che la naturale antitesi di tutte le dottrine conflittualistiche della societ), secondo cui siccome nel corpo umano le varie membra si accordano insieme e formano quellarmonico temperamento che chiamasi simmetria; cos volle la natura che nel civile consorzio armonizzassero fra loro quelle due classi, e ne risultasse lequilibrio24 , anche se il concetto dellunit nella variet viene espresso non tanto con la metafora naturalistica dellorganismo quanto con quella pi accattivante dellarmonia, secondo cui lo stato concepito come unarmoniosa unit che abbraccia del pari le infime
e le alte classi25 . In una concezione siffatta, al principio del conflitto, motore della storia, viene sostituito il
principio dellordine, secondo cui, collocato ogni membro del corpo sociale nel posto che gli compete, larmonizzazione del tutto conseguita attraverso la coordinazione delle sue parti, eguali e distinte, come avviene nei
rapporti tra il potere spirituale e quello temporale, oppure attraverso la subordinazione del membro che occupa
il posto pi basso al membro che occupa il posto pi alto, come accade nel rapporto tra principi e sudditi, onde
sar duopo che i cittadini sieno soggetti ed obbedienti ai principi come a Dio, non tanto per timore delle pene quanto per riverenza della maest, e non gi per motivo di adulazione ma per coscienza di dovere26 , e nulla vi di pi esecrando che la sedizione, la ribellione, il
tumulto; e pure nei rapporti tra ricchi e poveri, alla cui
pacifica convivenza debbono mirare le societ artigiane
ed operaie, che poste sotto la tutela della Religione abituino tutti i loro soci a tenersi contenti della loro sorte,
e sopportar con merito la fatica e a menar sempre quie24
25
Ivi, p.193.
26
24
In una societ fondata sul principio dellordine, laccento batte naturalmente non sulla libert ma sullautorit. Le libert vi sono riconosciute, s, ma temperate,
controllate e oculatamente dosate; lautorit, invece, vi
riconosciuta ed esaltata come il fondamento del viver
civile:
E poich non vi societ che si tenga in piedi, se non ci chi
sovrasti agli altri, movendo ognuno con efficacia ed unit di
mezzi verso di un fine comune, ne segue che alla convivenza
civile indispensabile lautorit che la regga; la quale non
altrimenti che la societ, da natura, e perci stesso viene da
Dio29 .
Non diversamente dalle teorie realistiche della politica ispirate ad un ideale di conservazione, che nellultimo
decennio del secolo, come vedremo, tendono a mostrare linfondatezza e lipocrisia del principio della sovranit popolare, le encicliche battono e ribattono il tasto della falsit delle teorie democratiche, fondate sul contrat27
25
to sociale e sulla conseguente credenza che il potere derivi dal popolo; ma se ne distinguono non confutando la
formula politica del potere dal popolo con unosservazione spregiudicata della realt, come faranno i critici
conservatori, ma sostituendola con unaltra formula politica, non meno illusoria e comunque pi arcaica, quella del potere da Dio. Quando da una interpretazione benevolmente progressista della Rerum novarum gruppi impazienti di giovani faranno scaturire il movimento della
democrazia cristiana, intendendo propriamente per democrazia il moto di riscatto dal basso delle plebi, massime delle plebi rurali, una nuova enciclica (la Graves de
communi) si affretter a precisare che, a differenza della
democrazia sociale che da molti portata a tanta malvagit da non tenere in alcun conto lordine soprannaturale cercando esclusivamente i beni corporali e terreni,
la democrazia cristiana
per ci stesso che si dice cristiana, deve avere necessariamente
per sua base i principii della fede, e provvedere ai vantaggi dei
ceti inferiori, ma sempre in modo di curarne il perfezionamento
morale, in ordine ai beni eterni per cui sono fatti [...] Perch,
sebbene la parola democrazia, chi guardi alletimologia e alluso
dei filosofi, serva ad indicare una forma di governo popolare,
tuttavia nel caso nostro, smesso ogni senso politico, non deve
significare se non una benefica azione cristiana a favore del
popolo30 .
Rigido custode di un corpo di dottrine elaborate secoli addietro, il pensiero del pontefice si erge a combattere con ferma voce, negli anni della grande trasformazione, i tre errori del secolo, liberalismo, democrazia, socialismo. E offre una non disinteressata protezione ai potenti contro le rivolte dei sudditi, ai ricchi contro le turbolenze dei poveri. Nella enciclica Diuturnum, ancor cal30
26
da di sdegno per la nefanda uccisione dun potentissimo imperatore (Alessandro II), la chiesa dispensatrice
di timor di Dio si presenta come sicuro presidio contro la rivoluzione sociale (e cos facendo, degrada se stessa a instrumentum regni):
Per la qual cosa da ritenere che ottimamente i Romani Pontefici provvidero ai comuni vantaggi, perch di continuo ebbero
cura di abbattere i superbi ed irrequieti spiriti dei Novatori, e
spessissimo ammonirono quanto questi sieno pericolosi anche
alla civile societ [...] Noi stessi abbiamo parecchie volte denunziato quanto gravi pericoli sovrastino e nel tempo stesso abbiamo indicato quale sia la miglior maniera di allontanarli. Ai
principi ed agli altri reggitori della pubblica cosa, offrimmo il
presidio della religione, ed esortammo i popoli a servirsi abbondantemente della larghezza dei sommi beni somministrati dalla
Chiesa31 .
27
spingere gli altri alla violenza. Intervenga dunque lautorit dello Stato, e posto freno ai sommovitori, preservi i buoni operai
dal pericolo della seduzione, i legittimi padroni da quello dello
spogliamento32 .
Spentisi gli echi delle scuole rosminiana e giobertiana al sopravvenire dello hegelismo a Napoli e del positivismo, a Napoli come altrove, su per gi negli stessi
anni, tra il 1860 e il 1870, i cattolici erano stati tagliati
fuori dalle grandi correnti filosofiche e scientifiche della cultura nazionale. Il primo ad esserne convinto fu lo
stesso infaticabile Giuseppe Toniolo (1845-1918), tanto
infervorato organizzatore e promotore di studi quanto
zelantissimo e devotissimo figlio della chiesa. Animato
dal proposito di ridare voce ai cattolici nel campo della ricerca scientifica, in particolare delle scienze sociali (egli era professore di economia politica allUniversit
di Pisa), diede avvio nel 1889 a Padova, due anni prima
dellenciclica Rerum novarum, allUnione Cattolica per gli
studi sociali, fond nel 1893 insieme con Salvatore Talamo la Rivista internazionale di scienze sociali, progett nel 1894 e poi contribu a costituire la Societ cattolica italiana per gli studi scientifici nel 1899, col perseverante proposito di far s che i cattolici recuperassero il tempo perduto, affrontassero senza complessi dinferiorit i grandi temi della scienza moderna, gareggiassero nelle universit e nei congressi coi pi alti rappresentanti della cultura laica, che era nel mondo civile non
meno che in Italia la cultura ufficiale, la cultura senzaltri aggettivi, se pur con lambizioso (e illusorio) disegno
non pur di assimilare ma anche di rigenerare e conquistare il mondo moderno33 . Cos facendo diede ope32
28
ra al rinnovamento degli scudi scientifici presso i cattolici, convinto comera in buona fede, ma senza troppe sottigliezze filosofiche, di lavorare per la maggior gloria della chiesa. Non ebbe dubbio sulla possibilit di conciliare
la scienza con la fede per la semplicissima (ma anche fragilissima) ragione che dava per ammesso che la scienza
dovesse essere subordinata alla fede.
Nella presentazione della Rivista internazionale di
scienze sociali si rivolse a quegli uomini profondamente cattolici, i quali facciano professione di unintera subordinazione della scienza alla fede e di docile e incondizionata obbedienza al magistero o allautorit della Chiesa. Apprezzava negli uomini di scienza pi la prudenza
che la spregiudicatezza. Soleva affermare che la Chiesa non ha bisogno di riformarsi di fronte alla societ moderna, ma piuttosto che la societ moderna abbia bisogno di accettare la Chiesa e le sue direzioni, per riformare se stessa34 . Sin dalla sua prolusione pisana (1873),
egli andava cercando Lelemento etico quale fattore intrinseco delle leggi economiche, cio cercava una cosa che
non avrebbe mai trovato perch non cera e se ci fosse
stata avrebbe reso impossibile la scienza economica. Pareto, malalingua, covava in Toniolo una miniera di metafisicherie e confidava allamico Pantaleoni la speranza
che a Pisa un valente matematico insegnasse agli studenti
di matematica leconomia che ivi assassinata dal buon
Toniolo35 . Che con queste idee non potesse andare tanto lontano, pu essere provato dal fatto che a un registratore attentissimo e sagace di ogni stormir di fronda nella
cultura italiana come Benedetto Croce lopera toniolesca
pass completamente inosservata. In realt Toniolo pi
che la mente dello scienziato ebbe lanimo e la vocazione
Nella stessa lettera, p. 338.
V. Pareto, Lettere a Maffeo Pantaloni, vol. III, Roma 1962,
pp. 75 e 378.
34
35
29
30
31
32
33
Rispetto al partito popolare ebbe pi volte a esprimere il suo pieno dissenso, ancora una volta per la contaminazione che da esso vedeva perpetrata tra politica e
religione, e anche per motivi pi strettamente politici:
Il Partito Popolare spezz le reni, si pu dire, a quel partito
liberale che aveva fino allora retro lItalia: gli sottrasse il pi
e il meglio delle sue forze elettorali. E daltro canto non fu
in grado di conservare nelle proprie mani un controllo politico
che chiudesse il passo a qualsiasi sopravvenire di nuove forze
politiche nazionali41 .
In un articolo di critica dellappena sorto partito riassume molto bene il suo pensiero circa i rapporti tra religione e politica:
39
Di proposito, noi eliminiamo nel passare in rivista le
espressioni specifiche del modernismo, ci che viene chiamata la democrazia cristiana. Essa non si prospettava alcuna genuina questione religiosa e non implicava nessun atteggiamento
che fosse realmente in opposizione con lo spirito della ortodossia cattolica (E. Buonaiuti, Il modernismo cattolico, Modena
1943, pp. 133-34).
40
E. Buonaiuti, Pellegrino di Roma, cit., p. 46.
41
20 Ivi, p. 166.
34
Daltra parte Murri non appartenne al movimento religioso che ebbe nome di modernismo. Pot essere chiamato e considerarsi lui stesso modernista, ma di una specie politica del modernismo, che nellaggettivo contraddiceva il sostantivo, giacch con modernismo, dopo
la condanna, si design ogni forma di resistenza o di disobbedienza alla chiesa che provenisse dal suo interno.
Mentre Buonaiuti, dopo la Pascendi, inizia la lunga battaglia di critica e di revisione critica della chiesa ufficiale, Murri scrive un libro, La filosofia nuova e lEnciclica
contro il modernismo (1908), dedicato al padre Ludovico Billot e ad Antonio Labriola miei maestri, per dimostrare che egli pienamente daccordo con lenciclica nella condanna della filosofia moderna e nellaccettare contro ogni forma di idealismo monistico il dualismo
realistico della tradizione. Riflettendo sulla crisi modernistica, molti anni dopo (1920), cercher di spiegare il silenzio caduto sulle vittime di esso affermando che si era
trattato di un piccolo numero di crisi individuali dovute a un errore giovanile, a mancanza di maturit, ripetendo senza volerlo il severo giudizio di Croce, il quale ave42
E. Buonaiuti, Il partito popolare, in II Resto del Carlino,
19 giugno 1919 che cito da V. Vinay, Ernesto Buonaiuti e lItalia
religiosa del tuo tempo, Torre Pellice 1956, p. 77.
35
Dove chiaro che, ridotto a una formula cos semplificata, il modernismo finiva per confondersi con qualsiasi moto di protesta e di vivificazione religiosa e non cera pi ragione di chiamarlo con un nome che non gli apparteneva. Il modernismo storico era stato quello cattolico che Murri dichiarava defunto. Nel momento stesso in cui Murri si metteva tra i modernisti ne stemperava siffattamente il significato da renderlo irriconoscibile. Accadde lo stesso di unaltra categoria storica che
viene usata a sproposito, revisionismo: quando qualcuno, come per esempio il Croce, a furia di rivedere
tutte le tesi del marxismo va a finire fuori del marxismo,
non pi un revisionista.
43
B. Croce, Insegnamenti cattolici di un non cattolico, in
Giornale dItalia, 13 ottobre 1907, in Pagine sparse, vol. i,
Napoli 1943, p. 291.
44
R. Murri, Dalla Democrazia Cristiana al Partito Popolare
Italiano, Firenze 1920, p. 45.
36
37
38
39
mento popolare sotto la guida della chiesa. Politica guelfa significa per Murri:
unintima unione fra la vita sociale e la religione, fra glistituti
popolari di vita economica e civile e la Chiesa animatrice e
regolatrice potente50 .
51
40
ta, esortandolo a uscire dal chiuso delle parrocchie, a farsi una cultura moderna, a non vergognarsi di fare politica, il giovane clero, specie quello delle campagne.
In luogo del liberalismo decadente e in opposizione al socialismo, il quale mira a raccoglierne leredit, risorge pi vivace col
risveglio cattolico lo spirito vero delle libert popolari, fondato
sul diritto sociale cristiano, e posto a base del nostro programma democratico, insieme col principio del riordinamento sociale per professioni e della partecipazione effettiva del popolo
organizzato alla vita pubblica53 .
Non tanto ingenuo da cedere che questo programma collimi perfettamente con quello ben pi moderato
del documento pontificio, accolto ufficialmente dallOpera dei Congressi. Ma ha cauta fiducia nella bont delle
sue idee e nella forza irresistibile del movimento che non
si arrende neppure di fronte alla sconfessione del 1901,
in cui viene ribadito il principio che non lecito dare un
senso politico alla democrazia cristiana, perch i precetti della natura e del Vangelo [...] necessario che non
dipendano da alcuna forma di governo civile, ma possono convenire con tutti, sempre inteso che non ripugnino allonest e alla giustizia54 ; e si sforza di dimostrare che lenciclica accetta e benedice e consacra il movimento al quale noi demmo tanta parte di noi55 . Anche
di fronte alla condanna del movimento avvenuta con lo
scioglimento dellOpera dei Congressi nel momento in
41
cui si poteva paventare che il murrismo lavesse conquistato (1904), riprende e riannoda le fila delle organizzazioni locali avviate ormai verso una completa autonomia
dalla gerarchia, rinuncia al nome di democrazia cristiana
e nel novembre del 1905 d opera alla costituzione della
Lega democratica nazionale, che, affermata la distinzione fra le due societ religiosa e civile e la loro reciproca autonomia, si propone di raccogliere in un fascio
forze giovanili e proletarie coscienti e mature, allo scopo di agire concordemente... per lorientamento in senso
democratico dellattivit pubblica dei cattolici56 . Molti
anni pi tardi commenter:
Nellurto delle volont erano due cicli storici che si urtavano.
Nellanimo di Pio X e dei pi zelanti interpreti dei suoi comandi si raccoglieva lo spirito della Controriforma, come per una
sfida suprema della storia; dallaltra pane, si addensava, sino ad
esplodere, la visione di nuovi compiti e di nuove opportunit
offerte al messaggio sociale cristiano e di una ardente invocazione di esso che saliva dal pi intimo fondo dei pi vasti strati
della societ contemporanea57 .
42
Ivi, p. 122.
E. Buonaiuti, Il modernismo cattolico, cit., p. 243.
43
ta risolta di solito prima della seconda; in Italia accaduto il contrario, con la conseguenza che lallargamento del
suffragio ha avuto per effetto la costituzione non soltanto di un grande partito socialista, ma anche di un grande partito cattolico. Negli anni di cui stiamo parlando,
la chiesa tiene ancora tanto saldo il proprio potere in pugno da ostacolare la soluzione radicale sia del processo di
secolarizzazione sia di quello di partecipazione. La crisi di partecipazione sar risolta quando la chiesa riterr
che questa soluzione non vada pi a scapito della sua influenza spirituale, attraverso un partito che, diversamente da quello di Murri, anche per il tempo in cui sorse, sarebbe stato pi osservante della disciplina e avrebbe avuto minori velleit riformatrici. Nellambito dei partiti di
governo della fine di secolo, il murrismo fu un movimento progressista; il partito popolare di Sturzo sar, in tempi di grandi rivolgimenti sociali, un movimento destinato a porsi al centro dello schieramento politico. e come
tale chiamato non soltanto a proteggere i cattolici contro
lo stato laico, ma anche a difendere, attraverso la coalizione delle forze cattoliche organizzate, lordine sociale
minacciato dalla rivoluzione.
44
3
LE FORZE DELLIRRAZIONALE
Nel dominio delle idee, pi specificamente della filosofia, il primo decennio del Novecento fu unet di restaurazione (che altri avrebbe chiamato, per nobilitarla, risveglio). Il maggior protagonista di questa restaurazione, Benedetto Croce, ne parl con evidente compiacimento venticinque anni dopo in questo modo:
Per effetto di questa reazione, lorizzonte spirituale ampli la
sua distesa, grandi idee offuscate tornarono a rifulgere, fecondi
metodi logici furono ritentati, rinacquero coraggio e ardire per
le speculazioni, si riaprirono i libri dei grandi filosofi antichi
e moderni, anche di quelli un tempo pi abominati, come il
Fichte e lo Hegel. La filosofia non ebbe pi bisogno di scusarsi
o di celarsi; il suo nome non solo non incontr il sorriso e
lo scherno per lungo tempo consueti, ma fu pronunziato con
onore; nome e cosa diventarono di moda. A chi ricordava lafa
e loppressura dellet positivistica pareva che si fosse usciti
allaria aperta e vivida60 .
Tenuto a bada il materialismo storico con la distinzione tra il suo valore scientifico che poteva essere accolto anche da un avversario del socialismo, e il suo valore pratico che Durkheim avrebbe ridotto a un grido
di dolore (e un grido di dolore non una proposizione filosofica), il nemico reale, anche se filosoficamente pi grossolano, in una situazione non rivoluzionaria,
anzi particolarmente aperta, dopo il successo elettorale socialista nelle elezioni del 1900, e il primo ministero Zanardelli-Giolitti del 1901, a esperimenti riformisti60
B. Croce, Storia dItalia dal 1871 al 1915, Bari 1928, pp.
248-49.
45
46
Pubblicato nel 1896 il Cours dconomie politique, lingegnere Vilfredo Pareto (1848-1923), professore deconomia politica a Losanna dal 1893, aveva cominciato a
occuparsi avidamente di sociologia. Buttatosi a leggere
tutti i libri che gli capitavano tra le mani, si era convinto che la sociologia non era ancora diventata una scienza perch i sociologi, anche i sedicenti positivisti, non si
erano liberati dalla vecchia idea metafisica che esistesse
un ordine razionale nelluniverso, e la sociologia, non diversamente dalla filosofia della storia, culminata con Hegel, avesse il nobile compito di descrivere e di cercare
di spiegare lo sviluppo e il sistema razionale della societ umana partendo dallipotesi che gli uomini sono esseri
razionali anche se non lo sanno. E invece, per Pareto, gli
uomini credevano di essere razionali, ma non lo erano.
61
V. Pareto, Lettere a Maffeo Pantaloni, a cura di G. De
Rosa, vol. II, Roma 1960, p. 73. Corsivo mio.
47
La razionalit era una vernice (una delle sue metafore preferite) che copre un insieme complesso e convulso
di sentimenti, passioni, istinti, impulsi, che determinano
lazione. Una vera e propria scienza sociale, come teoria
logico-sperimentale, cio fondata su dati empirici e guidata dalla ragione, sarebbe stata possibile solo allorquando si fosse cominciato a scavare a fondo senza pregiudizi e falsi pudori nel mondo dellirrazionale e, per continuare la metafora paretiana, a scostare lintonaco dello
pseudorazionale.
La distinzione tra azioni logiche e azioni non logiche e
la convinzione che le seconde fossero non solo preponderanti ma decisive per comprendere la storia furono il
punto di partenza di lunghe riflessioni, sempre pi articolate e documentate, sulla societ, che sfociarono, ventanni dopo la lettera su ricordata, nelle duemila pagine del Trattato di sociologia generale (1916). Nel quale, com noto, domina la distinzione tra alcuni dati irriducibili della natura umana istintiva, i residui, e gli argomenti, gli pseudoragionamenti, le giustificazioni pi o
meno razionali, con cui gli uomini tendono a razionalizzare i loro comportamenti, le derivazioni, e si cerca
di ricostruire la vita della societ globale come sistema
in equilibrio meccanico che si rompe e continuamente
si ricompone, isolando gli elementi primitivi che di volta in volta prevalgono. Nellaver individuato nelle derivazioni, cio nella copertura razionale degli istinti, il
guscio che aveva impedito di giungere al nocciolo della comprensione della storia, Pareto aveva bene appreso
la lezione di Marx (di cui del resto riconosce apertis verbis lispirazione): anche se non se ne era reso conto, la
sua grande dicotomia, residui-derivazioni, era una riformulazione in chiave psicologica della grande dicotomia
marxiana, struttura-sovrastruttura, e aveva la stessa funzione metodologica, che era quella di mettere sui piedi
quel che per la sopravalutazione del momento ideale del
48
processo storico rispetto al momento materiale era stato messo sino a Marx sulla testa. Anche se la correzione che egli aveva introdotto in quella lezione lo far apparire contemporaneo di Freud assai pi che non erede
di Marx. Per Marx la scoperta del pensiero ideologico
era derivata da una determinata concezione della societ
e della storia; per Pareto, le derivazioni sono una manifestazione perenne della natura umana. Il soggetto creatore e utilizzatore delle ideologie per Marx la classe dominante; per Pareto il soggetto e lutente delle derivazioni il singolo individuo, quale che sia la sua condizione sociale. Quel che in Marx, discepolo di Hegel, era un
problema storico e di comprensione storica, in Pareto,
allievo se pur infedele di Spencer, era un problema tra il
biologico e lo psicologico. In quegli stessi anni il problema della razionalizzazione dellirrazionale veniva affrontato con altri mezzi e con ben altra fortuna, da Freud,
che peraltro Pareto non aveva mai letto.
Da Saint-Simon e Comte a Spencer, il positivismo era
stato una filosofia dellevoluzione e del progresso, o meglio, del progresso attraverso levoluzione, e aveva propugnato una concezione ottimistica della storia assicurando che la societ umana sarebbe passata dal regno
della necessit al regno della libert per la sola virt della (pacifica) rivoluzione industriale senza che neppur occorresse la crisi (violenta) della rivoluzione politica. Pareto appartenne, invece, alla prima schiera dei profeti,
purtroppo veraci, di sventure, cio di coloro che misero in dubbio le sacrosante leggi della storia che avrebbero dovuto dimostrare che lumanit stava procedendo
inesorabilmente verso il meglio. Prima di essere un sociologo, Pareto era stato un economista, fervente fautore del liberismo, e, come tutti i liberisti, che assistevano al continuo dispregio dei loro ideali da parte di coloro che avrebbero dovuto attuarli, anche un moralista, un
critico dei costumi della corrotta classe politica italiana,
49
A furia di mettere e rimettere il dito sulla stessa piaga si era venuto formando la convinzione che la classe
al potere, non solo in Italia ma in Europa, fosse inetta e
perversa, e sarebbe presto o tardi giunta a completa rovina: tale rovina era inoltre agevolata dai sentimenti umanitari che si andavano diffondendo nella borghesia colta, pi proclive a spargere lacrime sulla miseria sociale
che a difendere con energia e ragionevolezza i propri interessi. Alle soglie del secolo, a cinquantanni compiuti,
62
V. Pareto, Cronache italiane, a cura di C. Mongardini,
Brescia 1965, p. 230.
50
aveva ormai delineato una sua filosofia della storia, realistica e pessimistica, che rovesciava tanto quella ottimistica e idealistica dei positivisti quanto quella ottimistica e realistica dei marxisti. La storia umana non era destinata n a progredire n a regredire ma era un continuo, monotono e tragico teatro, su cui si svolgeva sempre la stessa scena: non lotta tra le classi, come aveva affermato Marx, ma lotta di aristocrazie che si servivano
di questa o quella classe ora per conservare ora per conquistare il potere. Nellintroduzione ai Systmes socialistes,
che apparve nel 1902, la concezione paretiana della storia, di cui il Trattato di sociologia generale del 1916 sarebbe stata la dimostrazione teorica e storica, era ormai
compiuta:
Non bisogna, come spesso si fa, contrapporre, quanto al successo di un mutamento di istituzioni, la persuasione e la forza.
La persuasione non che un mezzo per procurarsi la forza (...)
con la forza che le istituzioni sociali si stabiliscono, con la
forza che si mantengono. Ogni eletta che non pronta a dare battaglia, per difendere le sue posizioni, in piena decadenza; non le resta che lasciare il suo posto a unaltra eletta, avente
le qualit virili che a lei mancano. Semplice chimera, se crede
che i princpi umanitari chessa ha proclamato le saranno applicati: i vincitori faranno risuonare ai suoi orecchi limplacabile
vae victis. La mannaia della ghigliottina si affilava nellombra,
quando, alla fine del secolo XVIII, le classi dirigenti francesi
attendevano a sviluppare la loro sensibilit63 .
La nuova lite che avrebbe sbalzato di sella la lite borghese era gi pronta: il socialismo non era altro
che lideologia o linsieme di derivazioni attraverso
la quale la nuova lite avrebbe dato battaglia, sfruttando
il malcontento e il risentimento delle classi inferiori, per
dare la scalata al potere. Non si faceva illusioni: la par63
28.
51
tita era vinta per coloro che venivano dal basso e i tempi erano maturi per un grande rivolgimento sociale. Ma
una volta assunta la parte dello scienziato che fa previsioni e non piange n ride, cerc di coprire la sua passione di parte con la maschera delluomo impassibile, se
mai soltanto compiaciuto (pi che scandalizzato) per la
follia dei suoi simili. Non poteva avere un disegno razionale una storia che era composta da tanti atti irrazionali, guidata da esseri che agivano da animali da preda con
la sola variante che giustificavano, per predar meglio, le
loro passioni con bei ragionamenti. Le tradizionali concezioni della societ, dal giusnaturalismo al positivismo,
passando per Hegel e Marx, senza contare le concezioni provvidenzialistiche e le varie teodicee, avevano fatto
della storia il regno di una ragione invisibile ma presente per menare a buon fine anche le azioni apparentemente malvage. Proprio nel momento in cui la razionalizzazione della storia celebrava i propri trionfi con il positivismo evoluzionistico e traeva conferma da inconsueti
decenni di pace mondiale e di progresso economico, Pareto dichiarava senza tanti riguardi per tutti coloro che
confidavano nella saggezza della storia la fine dellillusione e insegnava a scoprire nelle vicende umane i segni
non tanto dellastuzia della ragione quanto della ottusit
della non-ragione.
Ci non pertanto egli non fu un irrazionalista. Come
scienziato, si pieg dinanzi alla realt: lirrazionalit della storia era un fatto che lo scienziato sociale, per restar
fedele alla sua vocazione, aveva il dovere di descrivere e
di spiegare. Non era n un bene da esaltare n un ideale da promuovere. Anzi, continu a credere fermamente
nella scienza, nella possibilit dintrodurre un pi severo metodo scientifico nello studio delluomo e della societ. Ma sapeva che altro era conoscere altro operare,
che le scoperte della scienza sociale sarebbero state molto lente per la complessit del compito (e in ci aveva
52
53
Come summula dei valori e degli umori di una piccola borghesia intellettuale incapace di intendere i problemi di una societ in trasformazione, questo indice di negazioni non poteva essere pi eloquente. La rivolta operaia suscitava limmagine del sudor popolare, lindustria nascente quella dello stridor di macchine. Positivismo e democrazia erano accomunati nello stesso odio.
Prezzolini, dopo anni di irrequietezza e di ricerche senza uscite sarebbe rinsavito e, passato al crocianesimo militante, avrebbe speso per qualche anno le proprie energie nella battaglia civile de La Voce, salvo adagiarsi in
italica accidia quando la lotta, negli anni del fascismo aggressivo, sarebbe diventata pi aspra.
Incorreggibile, sempre perseverante e farneticante, fu
invece il suo confratello darmi Giovanni Papini, geniale
e sregolato, vanitoso sino allesibizionismo pi impudico,
inventore a freddo dei meccanismi cerebrali pi complicati e pi inutili, fabbricatore a getto continuo di scandali culturali, dedico allesercizio, nei momenti di tensione, di un vero e proprio terrorismo intellettuale. Combatt mille battaglie e tutte sbagliate. Credendo di essere
sempre sulla linea del fuoco, non si accorse di sparare a
salve contro bersagli arretrati e immaginari. Per quanto
taglienti i giudizi che di lui diedero uomini come Boine,
Renato Serra, Piero Gobetti, il ritratto pi spietato e pi
veritiero fu quello che egli fece di se stesso in una pagina
di Laltra met. Saggio di filosofia mefistofelica (1911):
Credo che la mia missione [...] abbia da esser quella medesima
del diavolo nel grande universo del Signor Iddio. Negare,
64
G. Prezzolini, Alle sorgenti dello spirito, in Leonardo, I
(1903), n. 3 (La cultura italiana, cit., vol. I, p. 14).
54
55
Il succo del leonardismo era gi contenuto in un articolo di Prezzolini, che apparve nel primo fascicolo, dedicato alla vita trionfante: una iniziazione alla filosofia di
Bergson, intesa come apologia della vita intima, rivendicazione della potenza dellindividuo sul mondo esterno e riduzione della scienza a un linguaggio di comodo67 .
Ma il teorico del nuovo irrazionalismo, il banditore della lotta contro la ragione, fu Papini. Larticolo Me e
non Me, del secondo fascicolo, un campionario delle
idee pi trite e pi stolide del perfetto irrazionalista. A
una sfuriata contro la logica serva che si d delle arie di
padrona, contro la verit, questa maschera molteplice
e variopinta di cortigiana che non racchiude se non credenze, contro la coerenza, virt da cinesi inebetiti,
segue labbozzo di un personalismo solipsistico e possessivo (fondato cio sulla piena coscienza della possessione integrale di tutte le cose), per cui gli uomini
non sono niente pi che una delle materie pi attraenti
e pi maneggiabili dei nostri giochi superiori.
Noi ci curiamo dunque degli uomini in larga misura e leggiamo
con maggior piacere una storia di questi curiosi animali a strumenti che un trattato su i batraci o una memoria di geometria
descrittiva. Ma ci duole assicurare i nostri rispettabili simili che
66
Id, Discorso di Roma (1913), che cito da La cultura italiana
del 900 attraverso le riviste, vol. IV, Lacerba. La Voce
(1914-16), a cura di G. Scalia, Torino 1961, p. 140.
67
G. Prezzolini, Vita trionfante, in Leonardo, I (1903), n.
1 (La cultura italiana, cit., vol. I, p. 98).
56
57
to il pragmatismo di cui si professava seguace, con lelogio della morale eroica dellinutile.
Letichetta filosofica con cui Papini am contrassegnare la propria non-filosofia fu il pragmatismo. Ma
egli stesso riconobbe attraverso lunghe discussioni che
si svolsero sul Leonardo, e ne furono la parte culturalmente pi viva, che vi erano due sorte di pragmatismo,
quello logico di Vailati e di Calderoni e quello magico suo e di Prezzolin, spiriti pi avventurosi, pi paradossali e pi mistici70 . Inutile aggiungere che il pragmatismo storicamente significativo fu il primo. Il secondo fu una sorta di esaltazione mistica dellazione per lazione, che avrebbe dovuto dare al novello Uomo-Dio il
possesso del mondo e che sarebbe stato assai pi giusto
chiamare attivismo (come infatti sar chiamato quando se ne conosceranno i frutti di tosto). Giunto alle soglie delloccultismo, Papini scrisse in una lunga lettera a
Enrico Morselli che gli dava consigli di prudenza: Il rafforzamento della volont, la scoperta del particolare, la
potenza subcosciente ci promettono ben pi grandi gioie che non gli anemici concetti di cui finora s pasciuto,
dopo Platone, il gregge filosofico. Noi vogliamo piuttosto servirci del mondo che conoscerlo: vogliamo piuttosto
rifarlo a nostro piacere che tradurlo in grigi fantasmi71 .
Marx aveva detto che i filosofi avevano interpretato il
mondo e ora bisognava cambiarlo. Lirrazionalismo attivistico converti il motto marxiano in questaltro: Sinora i filosofi hanno interpretato il mondo; ora bisogna appropriarsene. Cosi convertiva il principio di una filosofia rivoluzionaria nel principio di una teoria possessiva, statica, intimamente reazionaria della realt e del fare umano, volto non al mutamento ma allappropriazioId., Pragmatismo, ivi, pp. 333-34.
Id., Cosa vogliamo?, in Leonardo, II, novembre 1904
(La cultura italiana, cit., vol. I, p. 192. Il corsivo mio).
70
71
58
59
60
75
In Lacerba, 1913, n. 19 (La cultura italiana, cit., vol. IV,
p. 194).
61
4
GLI ANTIDEMOCRATICI
62
come minorenni da educare con paterno rigore, i secondi come razza perpetuamente inferiore che la selettrice
lotta per lesistenza aveva condannato al lavoro servile.
La critica antidemocratica dei conservatori prese corpo nella teoria della classe politica o delle lites, che
tuttora considerata come una piccola gloria della scienza
politica italiana, non immemore delleredit machiavellica. Riprendendo una tesi gi esposta nellopera giovanile
Teorica dei governi (1884), Gaetano Mosca (1858-1941),
amico e consigliere del marchese di Rudin, diede forma
compiuta nella sua opera maggiore, Elementi di scienza
politica (1896), alla teoria secondo cui in ogni regime politico coloro che detengono il potere sono sempre una
minoranza organizzata, la quale, proprio in virt degli
stretti vincoli tra i suoi membri, in grado di imporsi alla maggioranza disorganizzata. Con questa affermazione
Mosca riteneva di aver liberato definitivamente la teoria
politica dalla finzione della sovranit popolare: anche in
un regime democratico la classe politica costituita da
una minoranza che si serve, per giungere al potere e rimanerci, del procedimento elettorale manipolato a dovere. Lideale democratico era, secondo la sua terminologia, una formula politica, oggi diremmo una ideologia
di cui ci si serve per ottenere un consenso forzato. Non
solo il regime democratico era pur sempre il governo di
una minoranza, ma tra le possibili classi politiche quella
generata da un sistema democratico non era, ai suoi occhi, la migliore: almeno in un paese povero, con scarse
tradizioni di politica parlamentare, facile alla corruzione,
al clientelismo e alla demagogia, come lItalia. Il suffragio a larga base poteva riuscire pericoloso a causa dellomaggio che la maggior parte dei candidati, per superare pi facilmente i rivali, si affretta a rendere ai sentimen-
63
ti e ai pregiudizi popolari76 . In forza di questa convinzione, deputato tra il 1909 e il 1919, diede voto contrario alla riforma elettorale del 1912, perch lallargamento del suffragio avrebbe finito per incoraggiare, insieme
con lignoranza e lincompetenza del corpo elettorale, il
sopravvento delle correnti estremiste su quelle moderate. Si arrese allistituzione del voto popolare solo quando non era pi possibile tornare indietro; ma la giudic sempre, anche negli ultimi scritti, un errore che aveva
posto le premesse dellinstabilit di un regime cui avrebbe posto fine una applaudita dittatura plebea.
Mosca appartenne alla schiera di coloro che videro
nella democrazia formale lo strumento di cui si sarebbero
valsi i sovvertitori per instaurare attraverso la democrazia
sostanziale un egualitarismo liberticida. In una intervista concessa a Mario Calderoni per Il Regno nel 1904,
precis che era antidemocratico non antiliberale, anzi era
contro la democrazia proprio perch era liberale77 . Mentre per liberalismo intendeva quella concezione dello stato secondo cui il migliore antidoto al dispotismo
la molteplicit delle forze in contrasto, vedeva nella democrazia il regime che attraverso la partecipazione delle
masse al potere politico avrebbe finito per fare trionfare
una forza politica sola e affrettato lavvento dellera delle tirannie. Di fronte ai problemi nuovi che la questione sociale imponeva di risolvere, egli condivise coi liberali, che si specchiavano nella tradizione del Risorgimento,
non diversamente da Croce, che gli fu amico, la grande paura della rivoluzione sociale, e ripose ogni fiducia
nella conservazione del sistema che aveva reso prospero
e felice il glorioso secolo decimonono.
76
449.
77
Id., Aristocrazie e democrazie, in Partiti e sindacati nella
crisi del regime parlamentare, Bari 1949, pp. 330-37.
64
Lintervista di Calderoni a Mosca era stata provocata da un articolo che sul Regno, allora allora fondato,
Prezzolini aveva pubblicato, Laristocrazia dei briganti, in
cui, volendo mostrare litalianit del pensiero nazionalista, ammoniva non esserci bisogno di sfoggiare i nomi di
Barrs, di Chamberlain, di Kipling, ma bastava rivolgersi a Gaetano Mosca e a Vilfredo Pareto, i quali avevano elaborato una filosofia della storia che dalla sua idea
principale poteva chiamarsi teoria delle aristocrazie:
Mentre il socialismo nato nelle sue teorie, da menti di stranieri per razza e per nazione, da ebrei e da tedeschi, si presenta
duro, astruso, noioso alle menti italiane, e per adattarsi a noi
deve essere stiracchiato, lacerato, gonfiato, mutato in ogni sua
parte, deve farsi cosa sentimentale e plebea, teppistica e violenta, la teoria delle aristocrazie nella sua bella semplicit e chiarezza, nellassenza dei caratteri matematici, nella facile sua universalit, si presenta come uno dei pi bei prodotti del genio
latino78 .
65
66
Se cera da trovare un precursore, non occorreva scomodare il civile professore palermitano. Ce nera uno
ben pi a portata di mano, Gabriele DAnnunzio che
nelle Vergini delle Rocce (1896) aveva fatto dire a Claudio Cantelmo rivolto ai patrizi romani:
Non credete se non nella forza temprata dalla lunga disciplina.
La forza la prima legge della natura, indistruttibile, inabolibile [...] Il mondo non pu essere costituito se non sulla forza,
tanto nei secoli di civilt quanto nelle epoche di barbarie [...]
Per fortuna lo stato eretto su le basi del suffragio popolare e
delluguaglianza, cementato dalla paura, non soltanto una costruzione ignobile ma anche precaria. Lo stato non deve esse80
G. Papini e G. Prezzolini, Vecchio e nuovo nazionalismo,
Milano 1914, p. 9.
81
Ivi, p. 13.
67
E dietro DAnnunzio, volendo risalire un po pi indietro, al vero tentatore, pareva di ascoltare lultimo
Nietzsche, della Genealogia della morale (1887):
Ma perch venirci ancora a parlare di ideali pi nobili? Atteniamoci ai dati di fatto: il popolo ha vinto ovvero gli schiavi o la plebe o il gregge, chiamateli come vi piace e se
questo avvenuto per mezzo degli Ebrei, ebbene mai un popolo ha avuto una missione pi grande nella storia del mondo. I
signori sono liquidati, la morale delluomo comune ha vinto.
Si pu considerare, al tempo stesso, questa vittoria come un avvelenamento del sangue (ha mescolato tra loro le razze) nulla
da eccepire; indubbiamente per questa intossicazione ha avuto
buon esito. La redenzione del genere umano (dai signori)
sulla migliore delle strade; tutto si giudaizza o si cristianizza o
si plebeizza a vista docchio (non importano le parole!)83 .
68
69
70
71
lismo esterno e interno dei popoli, i quali due imperialismi costituiscono, da che mondo mondo, tutta quanta la storia del
genere umano [...] Bisogna rammentare che il disprezzo della morte il massimo fattore di vita. E oggi, in mezzo a questi
branchi di pecore e di omiciattoli abili che compongono in Italia le cosiddette classi dirigenti, datemi cento uomini disposti a
morire, e lItalia rinnovata87 .
72
73
74
le. Oriani non fu il profeta della nuova Italia, sacra alla nuova aurora, come andavano scoprendo i giovani arrabbiati, ma il vate inascoltato di una vecchia Italia, quella del Risorgimento eroico, che stava morendo. La sua
grande opera storica, La lotta politica in Italia (1892),
lultimo ramo di un albero che non avrebbe dato pi frutti: la storiografia della missione dItalia. Una missione che, conformemente allinterpretazione nazionalistica
del Risorgimento, si sarebbe risolta nel completamento
dellunit sino a Trento e Trieste (il suo nemico [dellItalia] immutato lAustria: il mare che pu e deve essere
suo, lAdriatico)92 , e nellespansione coloniale in gara
con le altre nazioni. Il libro si chiudeva con la battaglia
di Dogali e con questo commento: LItalia, risorta a nazione, aveva ripreso il proprio posto davanguardia nella guerra immortale della civilt contro la barbarie: Dogali era stata la prima conseguenza di Solforino93 . Nellultima opera (La rivolta ideale), che il prolungamento
della prima, vi una sintesi o un riassunto di tutti i miti,
di tutti i luoghi comuni, del nostro provincialismo nazionale e nazionalistico, di una cultura arretrata che pretende di essere profetica, e in ultima istanza declamatoria,
essendo incapace di impossessarsi degli strumenti teorici
e pratici per comprendere il mondo moderno, e sostituisce il grido di dolore allanalisi scientifica, il messaggio
alla critica. Hegeliano orecchiante, Orfani un la propria
voce al variamente composito coro dellanripositivismo:
se Hegel aveva sollevato il mondo nelle idee, sostiene, i
positivisti distrussero l idee nei fatti. Di conseguenza:
La superficialit rese rutto facile, e la volgarit parve la sicurezza
del reale. Luomo senza lo spasimo dellinfinito nel cuore e la
92
A. Orfani, La lotta politica in Italia, a cura di A. M. Ghisalberti, Bologna 1952, p. 744.
93
Ivi, p. 733.
75
76
alla gioia viene contrapposto allonnipotente della ricchezza, che costretto a vivere in una solitudine fredda, senza nemmeno quella luce ideale, che consola i grandi solitari del pensiero97 . Disgraziatamente sono arrivati i demagoghi, i guastatori, che inquinano la semplicit primitiva del popolo suscitando nel povero la smania di rendersi eguale al ricco, di correre dietro alla falsa
felicit del potere e del denaro.
Se non erano chiare le linee della societ futura, erano
chiarissimi i mezzi che Oriani suggeriva per superare
linstabilit presente. Il primo di questi, sulla scia dello
hegelismo di destra, era la restaurazione dellautorit
dello stato, concepito come ente superiore agli interessi
dei singoli:
Nella vita sociale il problema piuttosto di autorit che di libert [...] Nella politica, come azione, tutto procede dalla autorit, una guerra pari ad ogni altra: lenergia del combattimento in ragione della fede, e la fede in ragione dellautorit; se
glinteressi hanno laria di guidare la politica, non sono invece
che il combustibile della macchina e il carico del treno98 .
Su questa idea dello stato forte sinnesta la seconda tesi del programma politico di Oriani, lespansione coloniale:
Essere forti per diventare grandi, ecco il dovere: espandersi,
conquistare, sperimentalmente, materialmente, collemigrazione, coi trattati, coi commerci, collindustria, colla scienza, collarte, colla religione, colla guerra. Ritirarsi dalla gara impossibile: bisogna dunque trionfarvi. Lavvenire sar di coloro che
non lo hanno temuto: la fortuna e la storia sono donne, e amano
soltanto i gagliardi capaci di violentarle, che accettano i rischi
dellavventura per arrivare alla dominazione dellamore99 .
Ivi, p. 316.
A. Oriani, La rivolta ideale, cit., pp. 155 e 158.
99
Ivi, p. 276.
97
98
77
Nessuna meraviglia che Oriani fosse considerato maestro dei nazionalisti (cos il cerchio si chiude). Il 10 luglio
1910 Federzoni scrive ad Arcari:
Amico mio, ve ne sono infinitamente riconoscente. E non tanto per me, quanto per lopera di rivendicazione della gloria di
Oriani, alla quale mi sono disperatamente consacrato... Ammirate Oriani. Dovete essere con noi. Stiamo costituendo un comitato promotore di tutte le opere di lui: Corradini, De Roberto, Simoni, Croce, Grargiulo, Ojetti hanno gi accettato di far
parte di questo comitato100 .
100
Citato da P. M. Arcari, La elaborazione della dottrina
politica nazionale tra lUnit e lintervento, vol. III, Firenze
1934-39, p. 120.
78
5
I DUE SOCIALISMI
La convivenza tra nazionalismo e sindacalismo rivoluzionario non era stata uningegnosa trovata di Corradini.
Come dottrina insieme conservatrice ed eversiva, il nazionalismo, mentre teneva un piede nella tradizione del
pensiero reazionario, tentava di posare laltro in quella
del pensiero rivoluzionario che in quegli anni fu rappresentato in Italia in modo preponderante dal sorelismo.
Nazionalisti e sindacalisti rivoluzionari costituirono insieme per anni i due poli estremi della reazione contro
la socialdemocrazia, alleata al liberalismo nella conservazione e nello sviluppo di una democrazia ancora acerba,
che sispirava, se pur con molti difetti e cadute, al modello di nazioni civilmente e industrialmente pi progredite come Francia e Inghilterra: gli uni e gli altri non tenevano in alcun conto il governo parlamentare, disprezzavano il metodo democratico e avevano una cieca fiducia
nella virt rigeneratrice della violenza. destino che gli
estremi talvolta si tocchino: se Corradini aveva additato
una possibile confluenza del nazionalismo nel sindacalismo, alcuni sindacalisti rivoluzionari scopriranno la loro vocazione nazionalistica in occasione della guerra di
Libia e della prima guerra mondiale.
Sorel fu un pensatore tempestoso, che si abbandon a
tutti i venti pi furiosi della sua epoca per il gusto di essere sempre in burrasca. Il lievito costante del suo pensiero, che dopo aver soffiato sul fuoco della rivoluzione sociale blandi i gruppi reazionari dellAction franaise per
terminare nellammirazione di Mussolini e di Lenin, fu
lodio feroce e inestinguibile per la democrazia: in questo odio il vecchio conservatore che sonnecchiava in lui
diede una mano al rivoluzionario che si andava destan-
79
80
81
82
teoria del partito rivoluzionario, guidato da intellettuali, e aveva escluso che un compito rivoluzionario potesse essere svolto dallorganizzazione di classe, il sindacato. I sindacalisti, al contrario, partendo dalla stessa critica dei parlamentarismo riformista contrapposero, come
strumento di trasformazione sociale, il sindacato al partito. La eccessiva fiducia del movimento socialista nel partito derivava, secondo loro da una sopravalutazione, contraria allo spirito del marxismo, del momento politico su
quello economico, dello stato sulla societ. Tanto Arturo
Labriola quanto Leone (cosa davvero insolita nella scoria del marxismo italiano) avevano coltivato studi economici e credevano si dovesse andare a cercare nella struttura economica della societ industriale e non nella forma di governo, cio nel sistema parlamentare, il segreto
dellavanzata della classe operaia e della rivoluzione sociale. Ma nello stesso tempo, rifiutando linterpretazione
cosiddetta engelsiana del materialismo storico come concezione deterministica della storia, ritenevano che la trasformazione dovesse essere opera della classe che vi era
direttamente interessata. Si professavano volontaristi. Al
metodo parlamentare che era una forma di azione indiretta, e inefficace, capace tuttal pi di correggere il sistema ma non di mutarlo, contrapponevano il metodo dello
sciopero generale che, per il fatto di essere compiuto dagli operai stessi e di non essere delegato agli intellettuali
del partito e ai politicanti del parlamento, veniva definito azione diretta. Il partito che non poteva essere che
riformista o solo apparentemente rivoluzionario (in realt, nella migliore delle occasioni, insurrezionale) avrebbe
dovuto essere sostituito dal sindacato che era naturaliter
rivoluzionario.
Labriola aveva visto benissimo che per fare la rivoluzione socialista occorreva la trasformazione del sistema
economico e della classe dirigente politica. Rispetto a
questi scopi il riformismo era, a suo giudizio, assoluta-
83
mente impotente, perch quel che riusciva a ottenere nellinteresse della classe operaia finiva per rafforzare il potere della borghesia: Noi alloghiamo diceva Labriola
il partito riformista fra i partiti conservatori, in quanto
il partito riformista tende appunto a conservare il dominio politico della classe alla quale chiede le riforme106 .
Lessenza del movimento veniva condensata in questa
formula: La classe operaia non pu emanciparsi, se non
riesce nel contempo ad impadronirsi della produzione e
ad assorbire il potere politico107 . Alle contrapposizioni classe-partito, momento economico-momento politico, societ-stato, i teorici del sindacalismo aggiungevano
quella operai-intellettuali. E professavano il primato dellazione sulla teoria. Il sindacalismo scriveva Leone ,
metodo essenzialmente pratico, non vive che operando,
che agendo. Lazione il suo principio e la sua essenza. Esso non attende dalla storia, ma vuol fare la storia.
Ecco tutta la sua filosofia108 . E precisava:
Il socialismo del partito, democratico per definizione, soggetto inevitabilmente alla influenza deglintellettuali, degli impiegati di stato, dei professionisti delle carriere libere, della piccola
borghesia, colta e ignorante, in contrasto col socialismo operaio che si raccoglie nel sindacato esclusivamente di mestiere,
elevando una rigida barriera di classe... Il socialismo deglintellettuali il tradimento inconsapevole del socialismo operaio109
Una volta cavalcavo il cavallo matto dellazione diretta contro le laboriose e inconcludenti manovre elettorali
e parlamentari, alcuni adepti pi ardenti e culturalmente meno disciplinati si lasciavano sfuggire espressioni che
106
A. Labriola, Riforma e rivoluzione sociale, Lugano 1906,
p. 75.
107
Ivi, p. 191.
108
E. Leone, Il sindacalismo, Palermo 1907, p. 17.
109
Ivi, pp. 91-92.
84
non sarebbero apparse stonate sulla bocca dei superuomini del Leonardo:
Contro il gesuitismo riformista, il cretinismo integralista, contro il puzzolente misticismo ed i suoi avveduti impresari, contro tutte le filosofie del dubbio e della morte, contro tutto il
vecchio, il putrido, il mediocre, il finto, il timido, il subdolo,
noi promettiamo di dare gran colpi per quanto le forze ci bastino e ci animi il fresco senso di vita che zampilla dalle profonde
scaturigini dellaristocratica anima plebea110 .
Uno dei temi obbligati che i sindacalisti ebbero in comune coi nazionalisti fu quello della violenza. Chi ripudiava il metodo democratico, non poteva non propugnare il metodo della violenza. Leone, a dire il vero, si sforz, sulla scorta di Sorel, di distinguere la forza della lasse organizzata che sola creatrice di nuova scoria, dalla violenza insurrezionale dispirazione blanquista, che il
sindacalismo aveva ripudiato111 (Leone si sarebbe separato dai compagni al momento dellentrata in guerra, restando neutralista). Ma Labriola comp unanalisi di testi marxiani per dimostrare che vi era in Marx, contrariamente alle edulcorate interpretazioni socialdemocratiche, una teoria della violenza rivoluzionaria. Olivetti ribad che tra forza e violenza non si pu stabilire alcuna
differenza sostanziale, perch si chiama forza, per giustificarla, la violenza dei dominanti, e violenza, per condannarla, la forza dei dominati112 . Panunzio dedicher al
tema un intero libro, per distinguere la violenza buona,
quella innovatrice, dalla violenza cattiva, quella conser110
A. O. Olivetti, Cinque anni di sindacalismo e di lotta
proletaria, Napoli 1914. Il passo tratto da un articolo del 1908,
Senso di vita.
111
E. Leone, Il sindacalismo, cit., pp. 192-93.
112
A. O. Olivetti, Problemi del socialismo contemporaneo,
Lugano 1916, pp. 206 sgg.
85
86
87
ideale di Oriani. Mentre per i sovversivi di destra mediocrit sinonimo di livellamento verso il basso, di volgarit della moltitudine, di decadenza delle antiche aristocrazie, per i sovversivi di sinistra la democrazia mediocre perch, al contrario, livellando ha soffocato con
le piccole concessioni economiche lo slancio ideale del
proletariato, e quindi ritardato lavvento delle nuove aristocrazie operaie. Resta a vedere se questo giudizio di
mediocrit non riveli da una parte e dallaltra limmaturit di una cultura incapace di adeguarsi alle trasformazioni di una societ che stava esperimentando tumultuosamente e in modo discontinuo e diseguale lavvento
dellindustrialismo (la bestia nera di Oriani); pi estrosa che profonda, pi brillante che documentata, con il
fiato troppo corto per le lunghe corse in cui si era temerariamente avventurata, alla fine delle quali ci furono soltanto due imprevisti disastri, la prima guerra mondiale,
effimera vittoria dei sovversivi di destra, e il fascismo, fine non solo del sogno rivoluzionario ma anche dellaborrita democrazia.
Mediocre fu, a dire il vero, senza attenuazioni, la filosofia del socialismo democratico, come stato osservato ormai infinite volte. In realt, il socialismo democratico, bene impersonato da Filippo Turati, fu una pratica e non una filosofia e tanto meno una filosofia della pratica. In un uomo come Turati, il positivismo o, se
si vuole, il positivismo pi il marxismo (in una versione
non dommatica n tanto meno teologica) erano diventati un atteggiamento intellettuale, unabitudine, un costume: non una concezione del mondo ma una guida allazione secondo ragione ed esperienza. Alessandro Levi,
parlando delleducazione positivistica di Turati, precis
che il positivismo italiano non era il fantoccio degli idealisti ma un metodo severo, che insegna a considerare
la coscienza non come passivit e recettivit, anzi come
energia viva che crea la storia, se pure non a colpi di mira-
88
89
di essere una filosofia per i filosofi, anzi essendo diventato, come in Salvemini, una specie di antidoto o di amuleto contro la filosofia. scaturiti dalla battaglia data dai
diversi revisionismi tanti marxismi quante teste, inutile domandarsi quale sia stata e se ci sia stata una filosofia ufficiale del socialismo. La risposta a una domanda di questo genere non serve a trovare il filo conduttore
di unimpresa, culturalmente per altri aspetti cos importante come la Critica sociale. Dal punto di vista filosofico la rivista fu, puramente e semplicemente, eclettica. Vi trovarono posto e consensi persino irregolari della cultura come Giuseppe Rensi, il cui articolo, Rinascita
dellidealismo (1905), fu considerato come una capitolazione del socialismo italiano di fronte allavversario.
La crisi ideologica era diventata cos evidente che alla fine del 1910 la rivista sent il bisogno di rivolgersi ai
suoi lettori con un referendum per chiedere la loro opinione sulla lagnanza che il partito socialista italiano vive alla giornata, alieno dal tuffarsi nellonda ravvivatrice del pensiero teorico. A giudicare dalla lunga polemica tra Ettore Marchioli e Tullio Colucci, che erano daccordo nel riporre in soffitta il marxismo teorico per metterne in rilievo esclusivamente laspetto etico, il primo
scomodando tutta la filosofia idealistica da Kart a Martinetti, il secondo insistendo sul concetto che il marxismo
non una filosofia ma unetica118 , bisogna ammettere che
la preoccupazione dei redattori della rivista era fondata,
anche se sarebbe stato ingenuo aspettarsi una soluzione da chi aveva presentato uno degli articoli di Colucci
118
Questa polemica ebbe inizio con un articolo di Colucci,
Rileggendo Marx, in Critica sociale XXI, n. 10, 16 maggio
1911, pp. 145-47, cui risponde Marchioli, Oltre la lotta di classe,
ivi, n. 11, 1giugno 1911, pp. 165-66. La discussione prosegu
per varie puntate, e fu conclusa da Colucci, Il capitombolo
(Ancora sulla crisi del socialismo), ivi, n. 15, 1 agosto 1911,
pp 275-77.
90
91
92
93
94
6
BENEDETTO CROCE
Gli anni di cui stiamo discorrendo furono contrassegnati dallegemonia (che , anche gramscianamente, termine
pi esatto di dittatura) di Benedetto Croce. Il suo pensiero fu, insieme, centro di irradiazione e di convergenza
dei movimenti intellettuali del tempo. Il positivismo, come abbiamo visto, era stato assalito da due parti opposte,
dal materialismo storico per il suo aspetto di naturalismo
deterministico, di evoluzionismo ottimistico; dallirrazionalismo, per il suo aspetto di intellettualismo astratto, di
scientismo riformatore. Croce sferr il suo attacco contro il positivismo chiamando a sostegno di volta in volta e quindi avendo come alleati (se pur non sempre graditi) e il materialismo storico e lirrazionalismo. Con ci
non bisogna credere, come si sarebbe tentati di pensare, che egli abbia compiuto soltanto opera di mediazione o di sintesi. Croce fu un giudice appassionato e talora un giustiziere severo: condann con fermezza la tolleranza che si trasforma in indifferentismo, e la temperanza che si trasforma in accomodantismo. E pot essere
giudice e giustiziere, intollerante e intemperante, perch
nulla fu pi estraneo al suo ideale di uomo di cultura che
quello dellarbitro che si asside in mezzo ai contendenti, del conciliatore che distribuisce equamente il torto e
la ragione, del paciere al di sopra della mischia. Fu un
protagonista, proprio perch non dimentic mai in ogni
momento di essere un antagonista, anche se occorre distinguere lavversario chegli ebbe primamente di fronte, il positivismo, dagli avversari laterali, o secondari, di
cui si serv per combattere lo stesso positivismo, come
materialismo storico e irrazionalismo.
95
Contro il positivismo, propugnando la rinascita dellidealismo egli credette di dover promuovere unopera di riforma radicale, di opposizione totale, di rovesciamento. Positivista si vant di non essere stato mai, neppure in giovent quando Spencer veniva scambiato per
Aristotele e lonorevole Baccelli chiamava le scienze non
positive chiacchieroiche. Nel ricordare quegli anni infausti, lirritazione che i positivisti gli avevano cagionato
si tramutava in questo tratto di buon umore:
Come ogni uomo, ho fatto, o almeno scritto, anchio parecchie
corbellerie, delle quali mi dolgo e arrossisco, e che ho procurato
e procuro di correggere. Ma al modo stesso che nellelenco dei
dieci comandamenti del Signore ve ne ha parecchi che credo
di non aver mai violato, cos tra le corbellerie che nel corso
della vita si possono commettere da chi pratica con la filosofia
e con gli studi in genere ce n una della quale mi compiaccio
di essermi sempre tenuto puro, anche nei primi anni della mia
giovinezza. Non sono mai stato positivista124 .
Sotto questo aspetto, cio dellantitesi positivismoidealismo, la vittoria di Croce fu schiacciante. La reazione idealistica contro il positivismo mut non solo il concetto generale della filosofia, ma il gusto, lo stile, le affezioni e le disaffezioni, di unintera epoca culturale. Il positivismo aveva fatto della scienza, in special modo della scienza naturale, lalfiere di ogni forma di sapere umano; lidealismo la rimise nei ranghi. Il positivismo aveva
cercato di dare naturalistica anche delle manifestazioni
dello spirito; lidealismo, ripudiando ogni forma di naturalismo, cerc di dare una spiegazione spiritualistica anche dei fenomeni naturali. La forma di conoscenza che i
positivisti esaltarono fu quella propria delle scienze della
natura; gli idealisti contrapposero alla scienza della natu124
B. Croce, A proposito del positivismo italiano. Ricordi
personali (1905), in Cultura e vita morale, Bari 1926, p. 41.
96
ra come conoscenza del generale, la filosofia come sapere universale, come visione globale della realt, e la storia come scienza dellindividuale che non riducibile agli
schemi astratti del naturalista.
Rispetto al materialismo storico, invece, da cui trasse
argomento per combattere lantistoricismo, lo studio degli accadimenti umani col metodo delle scienze naturali,
proprio del positivismo, Croce am presentarsi piuttosto come correttore, cio come storicista, s, ma non come uno storicista dimidiato che rimette luomo sui piedi senza accorgersi di avergli tagliato la testa, bens come
lo storicista tutto dun pezzo che dopo aver rimesso luomo sui piedi lo vede guidato dalle idee che ha nel cervello. Cosi rispetto allirrazionalismo, di cui condivise il generale atteggiamento antintellettualistico, la rivalutazione del mondo delle passioni, delle forze vitali e irrazionali che muovono la storia, contro lastrattismo scientistico dei positivisti, tenne non tanto a contrapporsi quanto a distinguersi per una nuova concezione della ragione
immanente alla storia che non era lintelletto astratto dei
positivisti e degli illuministi loro putativi padri spirituali ma neppure la cieca irrazionalit dei nuovi adoratori
della forza.
Con marxismo e irrazionalismo ebbe in comune lo
stesso nemico, il sempre avversato e deriso giusnaturalismo e illuminismo, il culto sterile, quando non diventa
inutilmente sanguinario, della dea ragione, il pio e frigido moralismo di coloro che avendo paura delle tempeste della storia credono di domarle proponendo splendide ma inattuabili utopie, la presunzione di mettere
le brache al mondo125 . Anzi dalluno e dallaltro trasse alimento e argomenti per la sua critica antipositivistica: dal marxismo, nella fase dei suoi primi studi filosofi125
Nel Programma di La Critica (1903), in Conversazioni
critiche, s. II, Bari 1950, p. 355.
97
ci che culminarono nella cosiddetta revisione (che sarebbe pi esatto chiamare dissoluzione) del materialismo storico (la raccolta dei saggi, Materialismo storico ed
economia marxistica, apparve nel 1900); dallirrazionalismo, nella seconda fase, che lo condusse dalla scoperta
dellautonomia dellarte, e dagli studi di estetica (le Tesi fondamentali di unestetica come scienza dellespressione e linguistica generale sono del 1900, la prima edizione
dellEstetica del 1902), sino alla critica gnoseologica delle scienze e del valore teoretico dei concetti scientifici (la
Logica come scienza del concetto puro del 1909).
Realismo storico, di cui si ritenne debitore al marxismo, e antintellettualismo, che nella critica delle scienze lo aveva portato a fianco dellirrazionalismo, furono
due componenti costanti del suo pensiero. Nella battaglia antipositivistica fece il primo tratto di strada in compagnia dei marxisti, il secondo in compagnia degli irrazionalisti. E infatti, allo stesso modo che egli andava ripetendo aver riappreso da Marx la lezione di Machiavelli, non esit a comporre nello stesso disegno della rinascita culturale la propria opera di studioso dellidealismo
classico tedesco e il fermento antiscientistico delle giovani generazioni, salvo a distinguere lirrazionalismo di costoro da un pi verace e sodo razionalismo che egli
andava propugnando.
Quando nella Storia dItalia tracci il quadro del rigoglio di cultura tra il 1908 e il 1914, dopo aver affermato che nulla avrebbe potuto arrestare la decadenza del
positivismo, enumer tra le cause di questa inevitabile
crisi, tanto il materialismo storico con la sua dialettica,
quanto un certo diffuso spirito tra romantico e mistico, che rendeva intollerabile il grossolano semplicismo
positivistico, particolarmente nelle cose delicate dellarte, della religione e della coscienza morale, e intollerabi-
98
127
99
100
Poi, dopo un giudizio che riecheggiava il gusto blasfemo dellultimo Nietzsche (il positivismo vi definito come una rivolta di schiavi contro il rigore e la severit
della scienza), quasi una giustificazione:
Lorrore contro il positivismo [...], quel mio orrore divenne
cos violento da soffocare per parecchi anni persino le tendenze
democratiche che sono state sempre naturali nel mio animo
[...] Ma la democrazia italiana era, non si sa perch (se non
forse per la smania di popolarit, che male quasi inevitabile
di tutte le democrazie), positivistica; e il mio stomaco si ricus
di digerirla, finch essa non prese qualche condimento dal
socialismo marxistico, il quale, cosa orma notissima, imbevuto
di filosofia classica tedesca. Anzi oggi [il saggio del 1905]
la fraseologia positivistica di certi democratici italiani mi fa
sorgere impeti di conservatore131 .
101
soltanto impeti di conservatore: fu, nel senso pi ampio e meno angusto della parola, un conservatore. Come Gaetano Mosca, che tenne in grande stima, espresse nei suoi scritti politici alcuni motivi caratteristici della grande tradizione del pensiero conservatore, o, se vogliamo rifarci alla nostra storia, della tradizione moderata: il realismo storico che si fa beffe delle chiacchiere dei profeti disarmati; il sentimento della santit della
tradizione, del valore della continuit storica, della prescrizione in senso burkiano, della positivit (nel senso
di non-negativit) di quel che accaduto per il solo fatto che accaduto (e quindi, secondo la massima per cui
ci che reale razionale, doveva accadere); la sfiducia
nel progresso irresistibile e inarrestabile, unita allamore
del passato, delle cose morte che sono vive nel presente,
e sono diventate oggetto di riverenza nei non immemori
eredi; una concezione non pessimistica, ma neppure ottimistica e tanto meno idilliaca, della storia, che viene ripetutamente intesa kantianamente come teatro di antagonismi perpetui, di lotte che generano altre lotte (e guai
se accadesse altrimenti e la pace si stendesse come una
coltre funebre sulle passioni umane!); lidea che lindividuo singolo non conta nulla o per lo meno conta non
per quel che crede di fare ma per il compito oscuro che la
provvidenza storica gli assegna, lui nolente o incosciente;
infine, un senso profondo della complessit inestricabile delle umane vicende, ove le forti passioni valgono pi
che le mediocri virt, onde i pochi sono destinati a dominare i molti, le aristocrazie le plebi, e i disegni di emancipazione delle forze popolari, ricorrenti per opera degli
incorreggibili riformatori, di volta in volta giacobini, socialisti, democratici, radicali, sono tele di ragno destinate
a strapparsi al primo vento.
Le consonanze di questi temi crociani con quel capolavoro di teorizzamento della ragion conservatrice che
sono le Considerazioni di un impolitico di Thomas Mann,
102
contrapponenti la profondit della Kultur tedesca alla superficialit della civilisation francese, sono sorprendenti; e
furono del resto avvertite dallo stesso Croce che annunzi il libro, appena uscito, pei pochi che amano ancora
pensare e che gustano i libri scritti bene. Dopo aver rilevato che il tema di fondo dellopera lumana ed eterna
opposizione tra aristocrazia e volgo, prosegue:
E certo bisogna pure protestare contro il volgo, definirlo, satireggiarlo, respingerlo da s con violenza: giova sfogarsi; la pazienza ha i suoi limiti. Ma, fatto tutto ci (e pochi lo han fatto cos bene come il Mann), il volgo resta: resta, perch opera
(a suo modo, ben sintende), e adempie i suoi molteplici uffici, tra i quali anche di stimolare ed acrrescere, nellaristocrazia, la
coscienza dellaristocrazia132 .
Nulla pi che alcune famigerate pagine sulla tolleranza servono a illustrare in rapidissima sintesi questa connessione tra realismo storico e idealizzazione del passato, tra concetto della forza positiva del negativo e fastidio per le ubbie dei moralisti:
Lamenteremo noi le stragi di san Bartolomeo o i roghi dellInquisizione o le cacciate degli ebrei e dei moreschi o il supplizio
del Serveto? Lamentiamoli pure; ma servando chiara coscienza che, a questo modo, si fa poesia e non gi storia. Quei fatti sono avvenuti e nessuno pu cangiarli; come nessuno pu dire che cosa sarebbe avvenuto se non fossero avvenuti. Le espiazioni, che la Francia e la Spagna avrebbero fatte o dovrebbero
fare per pretesi delicta maiorum, frase di vendicativo giudaismo, da lasciarla ai predicatori, priva di qualsiasi significato. La
direi persino immorale, perch da quelle lotte del passato nato questo nostro mondo presente, che pretenderebbe, ora, le132
mio.
103
104
buon mercato; ma perci stesso pessima per chi deve approfondire i problemi dello spirito, della societ, della realt136 .
Laspetto pratico di questa mentalit il democratismo, cio il credere che tutti gli uomini siano eguali e
quindi debbano essere trattati da eguali, il che manifestamente un compendio dei due errori dellastrattismo
e del semplicismo. Croce partecip con profonda convinzione alla reazione antidemocratica di tutte le correnti del risveglio, sino a prender posizione durante la prima guerra mondiale contro la propaganda bellica dellIntesa in nome della superiore concezione politica e storica degli Imperi, portatori della tradizione di pensiero
per cui la politica forza, e dellidea dello stato-potenza,
un universale principio direttivo, utile del pari a tutti
gli stati, e che a tutti gli stati consiglia la potenza e non
limpotenza. Nel bel mezzo della guerra (marzo 1916),
espresse i suoi odi e i suoi amori con una delle tante variazioni sul tema dellantidemocratismo con questo giudizio:
Non potendo altro, io me la prendo, intanto, contro la Massoneria, non gi, come si fa dordinario, perch la giudichi perniciosa accolta dintriganti e affaristi [...], ma appunto perch
quellistituto, originato sul cadere del Seicento, al primo formarsi dellindirizzo intellettualistico, plasmato nel Settecento,
messo ora a servigio della democrazia radicale, popolato dalla
piccola borghesia, rischiarato dalla cultura dei maestri elementari, rafforzato dal semplicismo razionalistico del giudaismo,
il pi gran serbatoio della mentalit settecentesca, uno dei maggiori impedimenti che i paesi latini incontrino ad innalzarsi a
una vera comprensione filosofica e storica della realt e a una
vita politica adeguata ai nuovi tempi137 .
136
137
Ivi, p. 145.
Id., Pagine sulla guerra, Bari 1928, p. 108.
105
Dopo essersi compiaciuto che la guerra avesse finalmente scosso la ideologia umanitaria e massonica mostrando che la storia umana non n quellidillio n quella putredine che gli umanitari vogliono far credere, conclude:
Chiamare la guerra, chiamare questa religiosa ecatombe alla quale la vecchia Europa si offerta fidente nellavvenire e guardando ai figli dei figli, chiamarla (come usano gli umanitari e i massoni) resto di barbarie e sopravvivenza distinti sanguinari,
tal giudizio, che basterebbe a render chiara linsanabile inferiorit, la pochezza, lottusit della forma mentale massonica138 .
A differenza di Pareto e di Mosca, Croce si accani molto pi contro il democratismo che contro il socialismo: il
socialismo, che ancor sopravviveva dopo il crollo delle illusioni rivoluzionarie era, a suo giudizio, una forma camuffata di riformismo democratico, e quindi non era pi
socialismo. Dopo aver trasfuso il suo sangue migliore
nella reazione antipositivistica e antidemocratica (da Labriola al sindacalismo rivoluzionario), il socialismo aveva finito per morire dissanguato. La notizia che il socialismo fosse ormai morto fu data, com noto, da Croce in
unintervista a La Voce del febbraio 1911 allindomani
del Congresso socialista di Milano che aveva confermato
la prevalenza della corrente riformistica pur rivelandone la crisi profonda, e un mese prima che Leonida Bissolati entrasse in Quirinale per partecipare alle consultazioni per un nuovo ministero Giolitti. Aggiunse ironicamente che si trattava di una notizia molto importante.
Ma noi sappiamo che non era nuova. Due anni prima, al
tempo del Congresso di Firenze, in cui il riformismo aveva riportato una vittoria definitiva sul sindacalismo rivoluzionario, il Corriere della sera aveva annunziato che
138
mio.
106
107
Lunica volta che partecip a una battaglia elettorale, in occasione delle elezioni amministrative di Napoli nel luglio del 1914, assunta la presidenza del comitato
del Fascio dellordine contro il blocco dei partiti del progresso, ne scrisse il manifesto, ove tratteggi lideale del
buon cittadino:
Intitolandoci Fascio dellOrdine, questo solamente abbiamo
voluto dire: che preferiamo lordine al disordine, il serio studio alla chiacchiera avventata, il lavoro allagitazione incomposta, i cui tristi effetti non hanno bisogno di essere dimostrati e
documentati, perch stanno recenti e vivi alla memoria di tutti
i cittadini di Napoli, stanchi ormai di scioperi capricciosi, sdegnati del sangue e delle devastazioni, insofferenti degli impacci
140
141
108
stato messo giustamente in rilievo quanta importanza abbia avuto in tutto il corso delle riflessioni e degli
atteggiamenti politici di Croce lamor di patria143 . Nel
1916: La storia pone in primo luogo la Patria, la difesa della Patria e la gloria della Patria, e solo in secondo
luogo, e nella cerchia interna della Patria, i contrasti dei
partiti e delle classi144 . Non altrimenti nel 1943: Risuona, oggi, alta su tutto, la parola libert; ma non unaltra che un tempo andava a questa strettamente congiunta: la patria, lamore della patria, lamore, per noi italiani, dellItalia145 . Questo continuo richiamo allamor di
patria offre un sostegno e serve a dar concretezza storica
allidea dellunione sociale di cui si test parlato. Prova ne sia che quando Mosca, il conservatore galantuomo, scrisse che nessuna societ politica poteva durare
senza una forza di coesione e che, venuta meno la forza coesiva della religione tradizionale, come principale
fattore di coesione morale e intellettuale, nel seno dei diversi popoli europei ora rimasto il patriottismo, Croce annu, solo precisando che il patriottismo doveva essere inteso in modo etico e non in modo naturalistico,
etnico, brutale, libidinoso, capriccioso, come nei diversi
nazionalismi146 . Unit sociale e amor di patria furono,
pi che idee, affetti, di chi si sentiva erede di una granId., Pagine sparse, cit., voi. I, p. 407.
Cos G. Sartori, Stato e politica nel pensiero di B. Croce,
Napoli 1966, pp. 105 sgg.
144
B. Croce, Pagine sulla guerra, cit., p. 151.
145
Id., Una parola desueta: lamor di patria, in Scritti e discorsi
politici, vol. I, Bari 1963, p. 95.
146
Recensione alla seconda edizione degli Elementi di scienza
politica di G. Mosca, apparsa in La Critica, XXI (1923), pp.
142
143
109
110
111
7
LA LEZIONE DEI FATTI
112
1901 a Messina) nonostante lorigine familiare piccoloborghese legata alla terra e la provenienza da piccole citt di provincia (Alba e Molfetta), fecero entrambi il loro tirocinio di scrittori militanti nella Critica sociale
sul finire del secolo movendo i primi passi, quasi per timore di volar troppo alto e per restare coi piedi per terra, da uno studio sul luogo natio (La distribuzione della
propriet fondiaria in Dogliani, 1894, e Un comune dellItalia meridionale: Molfetta, 1897). Percorsero strade
molto diverse, ma sincontrarono almeno una volta nella battaglia liberista dellUnit, che Salvemini fond
nellottobre del 1911 (durer sino al 1920), rotti i ponti col partito socialista e staccatosi dagli amici della Voce; e di cui Einaudi fu assiduo collaboratore. Diversissimi per temperamento, tanto questultimo fu limmagine del piemontese riservato, assennato, di poche parole,
non eloquente, apparentemente freddo, quasi arido, preciso come un orologio, tanto laltro fu il ritratto del meridionale combattivo, generoso e irruente, incisivo nella
parola e nello sguardo, agitato dal demone della sincerit sino alla ruvidezza. Mentre luno discute, ragiona, discetta, laltro scuote, prende di petto, aggredisce. Rappresentarono, nonostante la lunga milizia durata tenacemente pi di mezzo secolo e un infinito numero di scritti da riempire almeno venti volumi, la stessa parte, di
cui in fondo si compiacquero, del mentore inascoltato,
del non-conformista irriverente e non riverito: le prediche inutili delluno sono lequivalente dei colpi da libero tiratore dellaltro. Anche se sincontrarono raramente, ispirati e mossi comerano da diversi ideali, il liberalismo classico e il radicalismo democratico, combatterono
spesso le stesse battaglie, da quella per le autonomie lo-
113
114
115
ma a lieto fine. Dietro a questo modo di intendere i rapporti tra societ e stato si celava (Einaudi infatti la tenne sempre nascosta per un certo pudore filosofico) una
concezione generale della storia che era stata celebrata
da Kant, e rimessa in onore dal darwinismo sociale: lantagonismo, non la pace a ogni costo, la discordia non la
concordia, il conflitto non larmonia, la concorrenza non
la concordanza, sono le molle del movimento storico.
Einaudi colse primamente lefficacia e la bont di questo principio osservando le lotte del lavoro soprattutto
nel Biellese e attraverso uninchiesta eseguita per La
Stampa in occasione dello sciopero degli scaricatori del
porto di Genova (1900)151 . Ispirandosi al modello del
tradunionismo inglese, difese energicamente il diritto degli operai ad associarsi per proteggere i propri interessi;
consider lo sciopero come unarma legittima di difesa (e
in questa direzione precorse e accompagn la politica sociale dellet giolittiana); esalt il significato non soltanto economico ma morale, educativo, della lotta di classe.
Quando allinizio della politica corporativa del fascismo,
raccolse per invito di Gobetti i suoi scritti giovanili sulla questione operaia (Le lotte del lavoro, 1924), vi premise una prefazione che forse la miglior sintesi della sua
professione di fede liberale:
Liberale colui che crede nel perfezionamento materiale o
morale conquistato collo sforzo volontario, col sacrificio colla
attitudine a lavorare daccordo con altri; socialista colui che
vuole imporre il perfezionamento con la forza che lo esclude
se ottenuto con metodi diversi da quelli da lui preferiti, che
non sa vincere senza privilegi a favor proprio e senza esclusive
pronunciate contro i reprobi152 .
151
Vedila ora ripubblicata in Cronache economiche e politiche
di un trentennio, vol. I, 1893-1902, Torino 1959, pp. 290-309.
152
L. Einaudi, La bellezza della lotta (1924), ora in Il buongoverno, cit., pp. 496-97.
116
117
bello per essere vero, contro tutti i cacciatori di profitti non meritati, di favori politici, di prebende, di sovvenzioni statali, di protezioni economiche o fiscali che erano un incoraggiamento allignavia, alla cattiva amministrazione, allo spreco del pubblico denaro, di protezioni economiche o fiscali, fossero i premi concessi agli armatori o i dazi sul grano. Uno dei suoi bersagli preferiti
furono i siderurgici cui affibbi il nome di trivellatori,
traendolo da coloro che avevano ottenuto premi indebiti
col pretesto di trivellare pozzi nellEmiliano nel 1911.
Nella supremazia che egli riconobbe alla societ e agli individui singoli di fronte allo stato, gli eroi della sua storia furono di rado i politici, pi spesso il grande imprenditore e il piccolo risparmiatore, il contadino che difende la propria terra e loperaio che lotta per un aumento
di salario. Una storia di gente comune, tra cui viveva volentieri e da cui traeva insegnamenti pi utili di quelli appresi dai dotti. Se imparai poco da pubblicisti o politici scrisse in una delle sue ultime pagine imparai molto tutta volta potei attaccar discorso con negozianti, industriali, banchieri, uomini daffari... Ciascuno, parlando delle cose sue, dice verit dosservazione, di cui gli
economisti teorici hanno gran torto a non far tesoro156 .
Non cera bisogno di scomodare i grandi uomini per scoprire le virt che fanno la storia: la tenacia nel lavoro, il
coraggio quotidiano, la forza danimo, e sopra ogni cosa,
il senso dellindipendenza e il gusto della libert.
La libert individuale, la libert dallo stato e contro lo
stato, fu davvero il suo tema dominante. Anche quando uomini come Giuseppe Rensi, che pur avevano reso
servigi alla causa della democrazia e non si assoggettarono al fascismo, si sentiranno sperduti in mezzo alle convulsioni del dopoguerra e invocheranno finalmente un
156
Nella Prefazione al vol. III delle Cronache, cit., pp. XXIVXXV.
118
Nonostante il suo ascetismo filosofico, Einaudi fu anche un dottrinario: chi scriver una storia delle idee politiche nellItalia contemporanea sapr benissimo dove
collocarlo. Si pu parlare di una dottrina o peggio di
una ideologia salveminiana? Salvemini fu un democratico, ma non fu un teorico della democrazia, come Einaudi
fu invece un teorico del liberalismo. Dietro Einaudi cera John Stuart Mill; dietro Salvemini non ci fu mai Jean
Jacques Rousseau. Il suo democratismo fu unispirazione etica, unidea-forza, un nodo di problemi da risolvere
piuttosto che un sistema compiuto di idee da definire e
da propagare, e tanto meno il programma di un partito.
Anche quando fu socialista, il suo sociali- smo non fu n
157
L. Einaudi, Verso la citt divina, in Rivista di Milano,
aprile 1920, ora in Il buongoverno, cit., pp. 32-36. Le due
citazioni sono tratte da p. 33.
158
Ivi, p. 35.
119
120
sta per darne una definizione e scegliendo magari unaltra parola meno logorata dal cattivo uso. In un articolo
dellUnit del 1912 scrisse:
Non facciamo, beninteso, questione di parole. Se altra parola esiste per quella concezione della vite pubblica, secondo la
quale lazione politica deve essere diretta a liberare da ogni parassitismo, non solo borghese ma anche sedicente proletario, lo
sviluppo della ricchezza nazionale, a promuovere un continuo
elevamento economico morale e politico della classe lavoratrice a beneficio di tutto il paese, a suscitare nella classe lavoratrice medesima la coscienza e la organizzazione che le consentano
di essere essa stessa artefice prima delle proprie conquiste; se
per indicare questa posizione ideale e pratica si trova che la parola democrazia... non pu servire, anzi crea degli equivoci,
e si preferisce unaltra parola, noi accettiamo questaltra parola
senzaltro160 .
Nel 1952, entrando nel dibattito tra Croce e Patri sulla questione se lItalia prefascista fosse stata una democrazia, parler della democrazia come di quel regime politico,
nel quale tutti i diritti personali e politici sono assicurati a tutti
i cittadini, non solo dalla legge scritta. ma anche nella effettiva
prassi quotidiani e per giunta tutti i cittadini senza eccezioni
partecipano con intelligenza e probit alla vita politica, avendo
a cuore sempre e solamente il benessere generale161 .
121
122
sopra tutti gli altri, gravi, per il nostro paese; problemi che
i politicanti della democrazia hanno dimenticato o peggio
ancora rifiutato di prendere in esame163 .
Dalla insofferenza per le teorie generali e dalla diffidenza per i programmi Salvemini pass a poco a poco alla critica dei partiti, che delle teorie e dei programmi sono i pi interessati sostenitori, tanto da ospitare in uno
dei primi numeri della rivista larticolo di Croce Il partito come giudizio e come pregiudizio. Per quanto LUnit fosse uscita senza programma, nella Presentazione si
diceva apertamente che la rivista era nata dalla consapevolezza di un gruppo di spiriti democratici circa le malefatte dei partiti, donde il bisogno di una nuova azione
politica, non legata a nessuno dei partiti tradizionali oramai tutti irreparabilmente discreditati e disfatti164 . Salvemini credeva, o silludeva a propria giustificazione, che
fosse un programma a breve scadenza: si trattava, come
spieg due anni pi tardi, di aggravare sino a risolverla
la crisi dei partiti esistenti e poi ciascuno tornasse a casa
sua con la soddisfazione di aver servito il paese cercando di educare al senso della realt e al bisogno dellazione concreta e al disgusto per le astrazioni [...] spirituali
un paio di migliaia di giovani165 . Bisogna anche aggiungere che egli credeva, e silludeva, che questa azione educatrice fosse non tanto contro i partiti ma fuori dei partiti
per la formazione di partiti nuovi, meno opportunistici,
pi sinceri e pi sensibili alla lezione dei fatti. Quale che
sia il giudizio che oggi si possa dare sui risultati di questa
163
Id., Che cosa vogliamo?, in LUnit, I (1912), n. 13, pp.
49-50, n. 14, p. 55. Cito da La cultura italiana, cit., vol. V, p.
195.
164
Vedila ora in Opere, cit., vol. IV, I, p. 251.
165
G. Salvernini, Che cosa vuole lUnit (Risposta a Rodolfo
Savelli), in LUnit, II (1913), n. 12, pp. 265-66. Cito da La
cultura italiana, cit., vol. V, p. 279.
123
battaglia (e lo stesso Salvemini non era sicuro che fossero stati tutti positivi), lammaestramento dellUnit
fu e rimase essenzialmente un ammaestramento di metodo e di costume: pi problemi che sistemi, pi cose che
teorie, contro le falsificazioni della propaganda, rispetto
della verit, contro ogni forma di fanatismo, senso di responsabilit, guardare pi ai risultati che alle buone intenzioni, meno ideologie e pi documenti.
Ad onta del dileggio della filosofia e dei filosofi, Salvemini ebbe una sua filosofia tuttaltro che superficiale
della storia. Divideva i filosofi in due schiere: le aquile
della teologia idealistica e i passerotti dellempirismo166 .
Si metteva volentieri tra questi ultimi. Con ci voleva dire che non presumeva, come gli idealisti, di sapere che
tutto quel che era accaduto dovesse accadere e che tutto
quel che accadr gi nascosto nel grembo di quel che
accaduto. Nella storia cera ragione e follia, amore e
furore, piet e crudelt, gli ingiusti sui carri di trionfo e
i giusti in ginocchio. Chi era tanto in alto da poter giudicare ma chi tanto in basso da accettare il giudizio del
provvidenzialismo ottimistico? Non si stancava di ripetere che era pessimista perch la storia gli aveva dimostrato che i pessimisti hanno quasi sempre ragione. Ma
il pessimismo non lo induceva a starsene con le mani in
mano attendendo il fato: era un invito non allinerzia ma
pi semplicemente allumilt. In alcune pagine postume,
vero e proprio testamento spirituale, disse che, dopo essersi a lungo perduto nel labirinto dei massimi problemi,
era arrivato alla conclusione che non solo non ci capiva
nulla ma doveva rinunziare alla speranza di capirci mai
nulla. Dunque il suo empirismo non era un atto di indifferenza ma una rinunzia consapevole. E se poi si voleva
166
G. Salvemini, Empirici e teologi, pubblicato da G. Vivarelli, Il testamento di uno storico empirico, in Il Ponte, XXIV
(1968), pp. 44-50.
124
proprio conoscere come fosse uscito dimbarazzo, si sapesse che si era comportato come la vecchierella di Pascal che ignorava se Dio esistesse ma si regolava come
se ci fosse. Giustamente, chi ha pubblicano queste pagine ha parlato di intemerata fede nella tolleranza, posta da Salvemini come regola fondamentale di ogni convivenza umana167 ; e ripete una sua frase, che in questi
anni avremmo dovuto imparare a memoria: chi convinto di possedere il segreto infallibile per rendere felici
gli uomini, sempre pronto ad ammazzarli.
167
41.
125
8
INTERMEZZO DI GUERRA
126
127
re ed efficacia alle iniziative di pace, fossero esse di natura giuridica o economica o sociale. Se in Italia non cera
mai stata una tradizione di pacifismo religioso, vi fu una
corrente o soltanto un costume intellettuale di pacifismo
umanitario, che ne prese il posto e contribu a inserire il
paese, vinto ma non domato, di Giuseppe Mazzini nella
cerchia pi vasta del pacifismo democratico internazionale. Tocc a un ex mazziniano ed ex garibaldino, Teodoro Moneta (1833-1918), che si considerava allievo anche del libero-scambista francese Federico Passy, fondatore nel 1867 della Ligue internationale et permanente
de la paix, dar vita nel 1878 alla Societ italiana di pace
e fratellanza, quindi al periodico La Vita internazionale, ove sentimenti umanitari, progetti di riforma del diritto internazionale e ideali democratici si davano fraternamente la mano. Quando nel 1907 ebbe il Premio Nobel per la pace, nel discorso tenuto a Cristiania (il 25 agosto 1909), dopo aver esaltato, con eccessiva indulgenza,
il contributo dellItalia allidea della pace, vol col pensiero allunione giuridica delle nazioni, proclamata da
un parlamento internazionale168
La scoperta (o linvocazione) delle indomabili forze irrazionali della storia sopraffece non soltanto il pacifismo
evoluzionistico (la nuova evoluzione, quella creatrice,
aveva bisogno della guerra per realizzarsi), ma le varie
forme di pacifismo attivo che confidavano per ispirazione scientifica nella possibilit di un controllo razionale
della societ. Ebbe nuove fronde lidea, che sembrava
ormai inselvatichita, della positivit della guerra. Anzi,
in quella forma corrotta di romanticismo letterario che
fu il decadentismo, che tiene per valore ultimo la bellezza, alla guerra fu assegnato un valore non pi soltanto
etico ma anche estetico. Nelle Vergini delle Rocce DAn168
T. Moneta, La pace e il diritto nella tradizione italiana,
Milano 1909, p. 25.
128
nunzio non aveva aspettato la guerra per fare lelogio della strage: Ho compreso falco valore che si cela nellateo
di quel conquistatore asiatico, il quale gitt cinque miriadi di teste umane nei fondamenti di Samarcanda volendo instituirla capitale. Lumanitarismo fu deriso come unillusione, e per di pi funesta. Impassibile, Pareto dedic molte pagine del Trattato di sociologia generale
(1916) a dimostrare che la morale umanitaria, o meglio la
febbre umanitaria, esplosa in una classe dirigente che
sullorlo dellabisso ma non se ne accorge, una derivazione, cio una maschera di sentimenti che non hanno niente a che vedere col desiderio di giovare allumanit. Sulla scia di Pareto e di Sorel (che Pareto stesso aveva
elogiato per aver sbarazzato il campo dalle ideologie positivistiche e umanitarie), nazionalisti e sindacalisti, come abbiamo visto e non occorre ripeterci tanto monotono il coro, andavano a gara, invocando la violenza, a
preparare gli animi al grande evento.
La concezione etica della guerra fu, insieme con lantidemocrazia, uno dei caratteri pi incisivi della vita spirituale di quegli anni: anche una rivista come La Voce, che pur aveva condotto una delle pi memorabili
battaglie contro la guerra di Tripoli, accolse un articolo di Giovanni Amendola che criticava il libro pacifista
di Norman Angeli, La grande illusione, rallegrandosi che
i popoli preferissero alla filosofia del tornaconto quella del rischio e della lotta ed esaltando le virt del sacrificio, della fortezza e dellaudacia che fanno delluomo
di guerra [...] un tipo infinitamente superiore a quello
dellaccorto sibarita che uova nel culto della pace la migliore espressione della sua concezione voluttuaria della vita169 . A ingrossare il coro (e a renderlo pi sgua169
G. Amendola, La grande illusione, in La Voce, III
(1911), n. 9, pp. 517-18. Cito da La cultura italiana, cit., voi.
III, pp. 303 e 304.
129
Queste idee-urli vennero ripetute nel 1913 in un programma elettorale pubblicato da Papini su Lacerba. A
commento del quale lo stesso Papini cant il suo celebre
inno belluino:
Lavvenire, come gli antichi Dei delle foreste, ha bisogno di
sangue sulla strada. Ha bisogno di vittime umane, di carneficine
[...] Il sangue il vino dei popoli forti, il sangue lolio di cui
hanno bisogno te ruote di questa macchina enorme che vola dal
passato al futuro perch il futuro diventi pi presto passato
[...] Abbiamo bisogno di cadaveri per lastricare le strade di
tutti i trionfi [...] In verit siamo troppi nel mondo. A dispetto
del malthusianismo la marmaglia trabocca e gli imbecilli si
moltiplicano [...] Per diminuire il numero di codeste bocche
dannose qualunque cosa buona: eruzioni, convulsioni di
terra, pestilenze. E siccome tali fortune son rare e non bastano
ben venga lassassinio generale collettivo171 .
170
La battaglia di Tripoli (26 ottobre 1911), vissuta e cantata
da F. T. Marinetti, Milano 1912, prima pagina non numerata.
171
G. Papini La vita non sacra, in Lacerba, I (1913), n.
20, pp. 223-25, ora in La cultura italiana, cit., vol. IV, pp.
205-08. Il passo citato alle pp. 207-08.
130
131
132
133
liano, Salvemini richiamandosi alla tradizione mazziniana, sottoline questo aspetto manifestando la volont di
adoperare la guerra, nellinteresse dellItalia e della umanit, come strumento doloroso ma necessario di pi larga
pace177
Per i democratici la guerra non era un fine, ma appunto uno strumento, non aveva valore in se stessa ma
per gli obiettivi che permetteva di raggiungere, e questi
obiettivi non erano la grandezza della nazione, ma lindipendenza della patria, non la potenza di pochi, cio dei
vincitori, ma la libert di tutti, dei vincitori dei vinti. La
partecipazione dellItalia a fianco degli stati democratici contro gli Imperi Centrali fu vista non come linizio di
un nuovo destino imperiale dItalia ma come la conclusione delle guerre del Risorgimento, addirittura, secondo
i pi illusi, come lultima guerra. Per questo il richiamo
a Mazzini era quasi obbligato. Omodeo, raccogliendo le
lettere dei caduti, rilev, a proposito di Carlo Stuparich,
quanto spirito mazziniano si ritrovasse alle profonde radici della vita morale di tanti dei nostri combattenti178 .
Queste radici mazziniane diedero anche alla concezione
democratica della guerra unispirazione etica, o addirittura religiosa. Se la guerra doveva avere ancora un compito moralizzatore non era pi quello invocato dagli imperialisti contro la vilt e la meschinit dellora presente, ma quello di educare un paese corrotto, abituato da
secoli alla servit civile, al senso del dovere, al superamento dei propri interessi egoistici, allumile accettazio177
Id., Le due guerre, in LUnit, IV (1915), n. 21, p. 681,
ora in La cultura italiana, cit., vol. V, pp. 468-71. Il passo citato
a p. 469. Il corsivo mio.
178
A. Omodeo, Momenti della vita di guerra. Dai diari e dalle
lettere dei caduti 1915-1918, nuova ed. curata da A. Galante
Garrone, Torino 1968, p. 143. Vedi anche lintroduzione di
Galante Garrone, pp. XXXVII-XXXVIII.
134
Anche per glinterventisti, che venivano dal sindacalismo rivoluzionario, la guerra non era un fine ma unoccasione sebbene, come occasione, apparisse, assai pi di
quella dei democratici, unoccasione sbagliata: che una
Ivi, p. 160.
Traggo questa citazione da G. Prezzolini, Tutta la guerra.
Antologia del popolo italiano, Firenze s. d., p. 97.
179
180
135
guerra combattuta dalle potenze pi democratiche contro quelle meno democratiche, da vecchi stati nazionali
come la Francia e lInghilterra contro uno stato che nazionale non era, potesse essere interpretata come guerra democratica e nazionale, era legittimo (anche se alla fine si rivel una illusione); ma che potesse essere accolta come guerra rivoluzionaria una guerra combattuta da stati capitalistici contro altri stati capitalistici era
pi che unillusione, una stoltezza. La tesi, sostenuta dal
Manifesto-appello del Fascio rivoluzionario dazione internazionalista (5 ottobre 1914), secondo cui la lotta di
classe era una formula vana se non fosse stato precedentemente risolto il problema delle nazionalit, faceva della
guerra nazionale unoccasione, s, ma soltanto indiretta,
un fine intermedio181 . Arturo Labriola spieg che per i
socialisti la pace era pur sempre il fine ultimo ma questo
fine ultimo non escludeva che si rendesse necessario partecipare a una guerra per raggiungerlo. Per Liebknecht,
come per tutti i socialisti di pensiero, diceva, il pacifismo un punto di arrivo, non un punto di partenza: un
risultato e un fine, non un mezzo ed uno strumento182 .
Filippo Corridoni, con un soprappi di retorica, scrisse
nel suo Testamento:
Soldato ed entusiasta di questa guerra, io odio la guerra con tutte le forze dellanima mia; combatto perch credo che nessuna
guerra, se condurr alla sconfitta dellAustria e della Germania,
nazioni essenzialmente militari e di struttura politica reaziona181
Vedilo riportato in appendice al libro di R De Felice,
Mussolini il rivoluzionario, Torino 1965, pp. 679-81.
182
A. Labriola, La conflagrazione europea e il socialismo,
Roma 1915, p. 23.
136
137
ventismo fin per rivelarsi, se pure in varia guisa, una concezione etica della guerra, cos dietro le forme pi aperte di neutralismo, che furono quelle dei socialisti e dei
cattolici, cera una tradizione di pensiero che attribuiva
maggior pregio alle opere di pace che a quelle di guerra. Ad un estremo, i cattolici intransigenti pronunciarono una condanna moralistica della guerra, considerata come opera del demonio o castigo di Dio, conseguenza del disordine morale di cui era stato portatore il perverso e perfido liberalismo, che era poi linterpretazione
per cos dire ufficiale della prima enciclica di Benedetto
XV184 .
Allaltro estremo, i socialisti, fedeli alla dottrina dei loro maestri pi di tutti coloro che si erano lasciati sedurre dalla guerra giusta o buona o necessaria o soltanto opportuna, condannarono la guerra come guerra imperialistica, o capitalistica, o borghese, come conflitto dinteressi essenzialmente economici cui il proletariato era,
e quindi doveva restare, assolutamente estraneo. Il Manifesto della Conferenza di Zimmerwald del settembre
1915, cui parteciparono anche i delegati italiani, diceva
a chiare lettere la guerra era il prodotto dellimperialismo, ossia il risultato degli sforzi delle classi capitalistiche di ciascuna nazione per soddisfare la loro avidit di
guadagni con laccaparramento del lavoro umano e delle ricchezze naturali del mondo intero185 ; e le tesi della Conferenza di Kienthal (aprile 1916) ribadirono che
lo sviluppo moderno delle condizioni di propriet gene184
Cfr. P. Scoppola, Cattolici neutralisti e interventisti alla
vigilia del conflitto, nel vol. Benedetto XV, i cattolici e la prima
guerra mondiale, a cura di G. Rossini, Roma 1963, pp. 111-12.
185
Cito da G. Perticone, Le tre internazionali, Roma 1945, p.
103.
138
Ivi, p. 107.
G. Gentile, Guerra e fede, Napoli 1919.
139
140
ne etica della guerra senza accettare, il che non apparteneva al suo ufficio, quella economica, chiam la guerra
qual essa era, e quale si sarebbe ancor pi rivelata in tempo di pace, orrenda carneficina, che ormai da un anno
disonora lEuropa (28 luglio 1915 ), e due anni dopo,
perseverando, inutile strage (1 agosto 1917).
Diventata la guerra pi lunga e pi crudele di ogni pi
fosca previsione, la distinzione tra atteggiamento di partecipazione e atteggiamento di rifiuto, che aveva animato il dibattito politico nel primo anno di neutralit, si and attenuando sino a confondersi in un diffuso atteggiamento, da entrambe le parti, di rassegnata accettazione.
Tra tante concezioni della guerra, quella che fin per sopravvivere, perch pi adeguata al mutato sentimento, fu
la concezione della guerra come fatto cosmico, ineluttabile, come dramma divino, secondo erano andate spiegando le varie teologie religiose o laiche che tenevano il
campo. E che era poi un modo, anche se i proponenti
non erano in grado di avvedersene, di distruggere il mito della guerra, come ideale etico, di sconsacrarla, di ridurla a fatto bruto, cieco, senza valore in se stesso. Di
fronte a un fatto divino o bruto non cera che da chinare il capo e servire; n aveva pi alcun senso domandarsi qual fosse il fine, e se un fine, un qualsiasi fine, ci fosse
ancora. La risposta che venne da unanima religiosa, come quella di Giosu Borsi: La guerra in s non ammaestra nessuno192 , non differ da quella del letterato Renato Serra, che, dal fondo della sua solitudine di umanista di provincia limbo senza passioni di parte , scrisse
sulla guerra le pagine pi disperate e pi antiretoriche (e
per questo pi profonde):
Crediamo pure, per un momento, che gli oppressi saranno
vendicati e gli oppressori saranno abbassati; lesito finale sar
192
141
Prendendo esplicitamente posizione contro la concezione etica della guerra, Serra scisse che del resto la
guerra una perdita cieca, un dolore, uno sperpero, una
distruzione enorme e inutile. E non avrebbe cambiato
nulla:
La guerra un fatto, come tanti apri in questo mondo;
enorme, ma quello solo; accanto agli altri, che sono stati e
che saranno: non vi aggiunge; non vi toglie nulla. Non cambia
nulla, assolutamente, nel mondo. Neanche la letteratura [...]
Sempre lo stesso ritornello: la guerra non cambia niente. Non
migliora, non redime, non cancella; per se sola. Non fa miracoli.
Non paga i debiti, non lava i peccati. In questo mondo, che non
conosce pi la grazia193 .
193
R. Serra, Esame di coscienza di un letterato, in Scritti, vol.
I, Firenze 1958, pp. 392-98 e 407.
142
9
TRA RIVOLUZIONE E REAZIONE
Nonostante il giudizio di Croce194 , Serra aveva avuto ragione: la guerra non aveva migliorato, n redento, n
cancellato. Non aveva fatto miracoli. Anche rispetto al
movimento culturale, cui Serra esclusivamente volgeva
lo sguardo, non aveva cambiato nulla. I maestri della nuova generazione (si pensi a Gobetti) furono gli stessi della generazione precedente: Croce e Gentile, Pareto e Mosca, Einaudi e Salvemini. E come se nulla fosse
accaduto ognuno di essi ricominci, quasi sempre sulle
stesse riviste, che non erano state interrotte, con un fiducioso heri dicebamus. Chi legga la storia della formazione dei giovani della nuova generazione come Carlo Rosselli o Rodolfo Morandi, ha limpressione che siano piuttosto gli epigoni della generazione del Risorgimento (pi
Mazzini che Marx) o gli ultimi discepoli dellidealismo
che non i portatori di una nuova coscienza, anche se gli
itinerari delluno e dellaltro saranno divergenti, conducendo luno fuori del marxismo, laltro dentro il marxismo. Per quanto la stagione creativa dellidealismo fosse
ormai esaurita, lidealismo continu a essere, pi per abitudine che per convinzione, la filosofia dominante: tra il
19 e il 25, Croce scrisse opere di critica letteraria e storica (dal saggio sulla poesia di Dante, 1921, ai saggi sulla
194
In una pagina della Storia dItalia dal 1871 al 1915 Croce,
commentando lEsame di coscienza di un letterato, in cui la
guerra per la patria veniva ridotta a cosa poco diversa da
un fremito voluttuoso, lamenta che quello scritto, invece di
essere guardato qual era, come un documento doloroso, fu letto
con compunzione e celebrato monumento di alta religione (p.
293).
143
La guerra aveva dimostrato contro il razionalismo ottimistico dello spiritualismo assoluto che la pace impos195
G. Rensi, Lineamenti di filosofia scettica, Bologna 1919, p.
XXXVIII.
144
145
146
de la denuncia, da parte degli uni, della vittoria mutilata, da parte degli apri, della pace tradita. Lunico obiettivo che la guerra, avendo partorito la rivoluzione sovietica, aveva, se non reso possibile, ravvicinato, era quello che nessuno, in Italia, consapevolmente e deliberatamente, si era mai posto: la rivoluzione sociale. Si disse
e si ripet che lItalia era entrata impreparata nella pace
come era entrata impreparata in guerra: si pu aggiungere che altrettanto impreparata entr nella rivoluzione.
Vi erano due modi estremi per risolvere i problemi che la
guerra aveva sollevati: o la pace, sintende una pace duratura (la guerra come ultima guerra) o la rivoluzione,
sintende una rivoluzione che avrebbe dovuto rovesciare
i rapporti di classe e fondare un nuovo stato. LItalia non
ebbe n la pace n la rivoluzione, ma dopo qualche anno di guerra civile una reazione che avrebbe preparato,
alla lunga, ma fatalmente, la seconda guerra mondiale.
Non ebbe neppure, come avevano sognato i nazionalisti,
e come ebbero le due potenze alleate, limpero.
La guerra non aveva risolto nulla: aveva spazzato, questo s, le generose illusioni di coloro che vi avevano aderito credendo di trovarvi una soluzione. Gli unici sconfitti, nonostante la loro vittoria, furono gli idealisti, che
avevano ceduto nella buona guerra. Il presidente Wilson che incarn i loro ideali pass come una meteora;
osannato e deprecato nel volgere di un anno. Alla resa dei conti gli estremisti di destra si appropriarono del
giudizio realistico dato sulla guerra dagli estremisti di sinistra: essere il grande conflitto che aveva insanguinato
il mondo nientaltro che una zuffa tra opposti imperialismi di cui la nazione pi debole aveva fatto le spese. Pareto, con la solita pretesa di contemplare le cose dallalto della scienza oggettiva della societ, andava descrivendo il conflitto come scontro tra due diversi tipi sociali di
plutocrazia (il concetto di plutocrazia era la versione economicistica, di parte borghese, del fenomeno che
147
148
sero inchiodati dalla presenza di unagguerrita maggioranza massimalista alla loro tradizione di non collaborazione; sulla destra, i liberali conservatori non perdettero
mai la speranza di potersi valere del sovversivismo reazionario per domare lopposizione. Se pure per diverse ragioni, lazione politica delle forze che si muovevano
nellarea intermedia tra bolscevismo e fascismo fu condizionata dallazione ben pi aggressiva e rischiosa delle due ali estreme, dalle quali pareva che n luno n laltro dei movimenti intermedi potessero staccarsi del tutto
a pena di trovarsi in balia dellavversario. Questo imped
la loro collaborazione contro gli uni e gli altri. Non imped, anzi incoraggi la collaborazione dei vecchi liberali
con la destra eversiva che giunse al potere per mezzo di
loro se pure, consumato il delitto, anche contro di loro.
Nel 1921 apparvero due raccolte di scritti e discorsi
di Turati: Trentanni di critica sociale, a cura di Alessandro Levi, e Le vie maestre del socialismo, a cura di Rodolfo Mondolfo. Furono entrambe presentate sorto linsegna della continuit storica e della coerenza di pensiero.
I discorsi dei primi anni del secolo erano da interpretare come una sagace previsione degli avvenimenti futuri,
quelli degli ultimi anni, a cominciare dal discorso al primo Congresso socialista dopo la guerra (Bologna 1919),
come una conferma di quelle previsioni. Il tema di fondo la perenne attualit, nonostante il mutar dei tempi e delle occasioni, del socialismo democratico. Anche
per Turati la guerra non ha mutato nulla: non ha affatto
accelerato, come andavano predicando i massimalisti, il
momento della rivoluzione. La fede nellimminenza della rivoluzione era leffetto dello sconvolgimento mentale
prodotto dalla guerra. La quale aveva, s, favorito le condizioni per avviare riforme audaci, ma aveva allontanato
la possibilit di una instaurazione immediata, massimalistica, del regime socialista.
149
Il socialismo scientifico ci impar che [...] il socialismo si elabora lentamente e fatalmente nello sviluppo progressivo della stessa societ borghese; che la volont delluomo e dei partiti non
pu che agevolare e accelerare il processo, rendendolo cosciente; che solo quando cotesta elaborazione compiuta in tutte le
sue fasi, di cui nessuna pu essere soppressa, solo allora pu
intervenire utilmente latto di violenza liberatore, che risolve il
contrasto fra il contenuto sociale e linvolucro politico199 .
279.
200
150
151
152
Bisogna dunque fare la rivoluzione. Ma bisogna anche intendersi sopra il significato apparentemente volontaristico di
questo verbo fare. Fare la rivoluzione non vuol tanto dire
incitare latto violento risolutivo [...], quanto preparare gli elementi che ci diano la possibilit di approfittare come Partito,
di questo inevitabile atto e di trarne tutte le conseguenze socialiste che sono consentite dai tempi e dallambiente. Fare la rivoluzione significa a mio avviso approfittare degli elementi
che la situazione pone naturalmente a nostra disposizione per
volgere gli avvenimenti alle conclusioni nostre. In altri termini:
non siamo noi che facciamo la rivoluzione [...] siamo noi che,
coscienti di questa nuova forza creatasi nelle volute condizioni, intendiamo valercene per costringerla alle conclusioni della
nostra dottrina205 .
Ben diversamente Gramsci aveva salutato la rivoluzione di Lenin come la rivoluzione contro il Capitale, intendendo dire che i rivoluzionari russi avevano fatto la rivoluzione quando e come era sembrato loro conveniente,
non preoccupandosi dei sani testi che avrebbero sconsigliato un moto rivoluzionario in un paese industrialmente arretrato. Preso dallentusiasmo per il successo dellazione rivoluzionaria, esclamava:
I fatti hanno superato le ideologie. I fatti hanno fatto scoppiare
gli schemi critici entro i quali la storia della Russia avrebbe dovuto svolgersi secondo i canoni del materialismo storico. I bolsceviki rinnegano Carlo Marx, affermano, e con la testimonianza dellazione esplicita, delle conquiste realizzate, che i canoni
del materialismo storico non sono cos ferrei come si potrebbe
pensare e si pensato206 .
205
Cito da A. Giobbi, LAvanti! (1919-26), in Dopoguerra e
fascismo Bari 1965, pp. 647-48.
206
A. Gramsci, La rivoluzione contro il Capitale, in Avanti!, XXI, n. 356, 24 dicembre 1917, ora in La Citt futura
(1917-18), a cura di S. Caprifoglio, Torino 1982, p. 513.
153
Mettendo Lenin contro Marx, riconobbe che il genuino spirito del marxismo doveva essere riscoperto risalendo alle sue origini nel pensiero idealistico italiano e tedesco, che nello stesso Marx si era contaminato di incrostazioni positivistiche e naturalistiche. Il nocciolo di
questo pensiero era che il massimo fattore di storia non
sono
i fatti economici, bruti, ma luomo, ma le societ degli uomini, degli uomini che si accostano fra di loro, si intendono fra di
loro, sviluppano attraverso questi contatti (civilt) una volont
sociale, collettiva, e comprendono i fatti economici, e li giudicano, e li adeguano alla loro volont, finch questa diventa la motrice delleconomia, la plasmatrice della realt oggettiva, che vive, e si muove, e acquista carattere di materia tellurica in ebullizione, che pu essere incanalata dove alla volont piace, come
alla volont piace207 .
154
155
156
157
la politica italiana, come erede, almeno ideale, del popolarismo). Nonostante le ferme repliche di Sturzo ai
suoi avversari, lideologia del popolarismo fu lespressione di esigenze e di interessi di ceti caratteristici di una societ preindustriale. Del resto, se il nuovo partito ebbe
un successo elettorale che and al di l delle pi ottimistiche previsioni dei suoi stessi fondatori, dipese dal fatto che la societ italiana era ancora in grandissima parte, non solo negli interessi e nei bisogni, ma nei valori
tramandati e accettati, una societ contadina e di piccola borghesia artigianale. La novit del popolarismo consistette nellaver proposto per la prima volta nella lotta
politica del nostro paese unideologia consapevolmente
centrista213 .
Nella prefazione che lo stesso Sterzo scrisse al primo
volume dei suoi scritti politici (1956), dopo aver caratterizzato il partito popolare come partito di centro aggiunse: Altro partito di centro, che non sia allo stesso
tempo partito di massa e partito dispirazione cristiana,
non esistito e non potr esistere. Il partito popolare ne
diede in Italia il primo saggio che fu mantenuto intatto
nelle lotte con liberali, con socialisti e con fascisti214 . In
realt il parlamento italiano aveva quasi sempre condotto una politica di centro attraverso la coagulazione delle forze intermedie e la neutralizzazione delle ali. Ma il
centrismo parlamentare era stato unoperazione politica
al vertice, non il risultato dellindividuazione di uno spazio sociale ben definito, come fu sin dal primo apparire
quello occupato dal partito popolare, e di un programma
politico-sociale corrispondente, temperato e non estre213
Sulla concezione dello stato di Sturzo vedi in particolare
Popolarismo e fascismo, in Il Partito popolare italiano, cit., vol.
II, pp. 106 sgg.
214
L. Sturzo, Introduzione a Il Partito popolare italiano, cit.,
p. 8.
158
mo, che non piega n a sinistra n a destra215 . Il temperatismo sturziano, da non confondersi con il moderatismo tradizionale dei cattolici italiani, fu un tentativo
di superare il contrasto tra socialismo e liberalismo non
mediante ibride alleanze di opposti ma aprendo tra i due
poli del conflitto una terza strada. Un tentativo che, nonostante la lunga parentesi fascista, avrebbe avuto molto
pi fortuna che le sintesi astratte degli intellettuali superatori.
Tra disegno utopico della citt futura e politica realistica della medier tra i due estremi, il pensiero democratico tradizionale fu incapace di rinnovarsi. Il regime parlamentare era in crisi. Ma quale era il rimedio? La povert e inconsistenza della letteratura di parte democratica mostrano quanto profondo fosse il disorientamento: incominci ad apparire chiaro che il cattivo funzionamento del regime dipendeva dal fatto che la
lotta politica si era spostata dal parlamento a organismi
sempre pi potenti che si erano andati formando fuori
del parlamento, come i sindacati. Ne nacque la proposta da pi parti avanzata di sostituire la seconda camera
con unassemblea corporativa, rappresentante delle diverse categorie economiche, proposta che parve ad alcuni leffetto del nuovo feudalesimo. Non era apparso
altrettanto chiaro che era finita lepoca dei partiti parlamentari ed era cominciata lepoca dei partiti di massa organizzati, extraparlamentari o addirittura antiparlamentari. La vecchia classe politica, ritornata al potere, govern senza avere un proprio partito in unepoca di lotta
di partiti organizzati. Lo stato a partito unico che sarebbe stato lesito di questa, fu una deformazione precoce
se pure effimera dello stato di partiti in cui si sarebbero
trasformati a poco a poco tutti i regimi democratici.
215
Id., Popolarismo e fascismo, cit., in particolare il capitolo
Il nostro centrismo. I due brani citati sono alle pp. 166 e 170.
159
160
siddette democrazie in Russia. Il ritorno alla democrazia condizione indispensabile di pace [...] Non v
che il regime liberale che possa consentire allEuropa di
sorpassare vittoriosamente questa fase dolorosa della sua
esistenza217 . Nella ultima opera prima del lungo silenzio, La libert (1926, poi accresciuta e pubblicata a New
York nel 1927, col titolo Bolscevismo, fascismo e democrazia), condannata ancora una volta la guerra come la
pi stolida e scellerata guerra che la civilt moderna ricordi, perch da essa nata lepoca delle rivoluzioni e
delle reazioni che hanno distrutto a poco a poco ovunque i regimi di libert, contrappone al bolscevismo che
nato da condizioni obiettive ed guidato da un ideale di rigenerazione sociale, il fascismo che pura reazione senza ideali. Prevede prossimo il ritorno della libert
che non pu alla lunga non trionfare (citando con Croce
la famosa frase del De Sanctis che la libert vince sempre anche quando sembra momentaneamente perdente):
il bolscevismo fenomeno esclusivamente russo che non
ha possibilit di espansione, il fascismo una reazione effimera di breve durata Definisce la democrazia nel modo
pi ampio come quel governo che esclude ogni privilegio di nascita e ogni situazione precostituita e ove tutti i cittadini possono liberamente e secondo le loro attitudini partecipare alla vita dello stato218 . La denuncia
coraggiosa, ma la diagnosi solo in parte esatta: di fatto il bolscevismo una rivoluzione mondiale anche se
si attuato in un solo paese; e il fascismo non unavventura passeggera, ma una lunga notte che terminer
nellincendio della seconda guerra mondiale.
Se ne era reso conto assai meglio dei vecchi uomini politici, attaccati disperatamente al passato, un gioIvi, p. 189.
Id., Bolscevismo, fascismo e democrazia, in Scritti politici, a
cura di G. De Rosa, Bari 1961, p. 341.
217
218
161
162
163
Rivoluzione liberale una formula politica, nel senso moschiano (Gobetti era stato allievo del Mosca e laveva definito un conservatore galantuomo), se pure non
dello stato esistente ma di uno stato soltanto immaginato. Non un programma, tanto meno una teoria: esprime lesigenza di un rinnovamento profondo, ancora indistinta, che ispirer uomini e movimenti della Resistenza.
221
Cos nellultimo paragrafo di La rivoluzione liberale. Saggio sulla lotta politica in Italia, Bologna 1924, ora in Scritti politici, cit., p. 1074, che riprende un giudizio gi espresso in La
Rivoluzione liberale, I, n. 15, 28 maggio 1922, p. 56, dato alcuni mesi prima della marcia su Roma, ora in Scritti politici, cit.,
pp. 358-59.
164
10
LIDEOLOGIA DEL FASCISMO
Pu sembrare un paradosso che una delle tipiche ideologie del nostro tempo, come il fascismo, si sia presentata di proposito al suo formarsi come un movimento
antiideologico e abbia fatto consistere la sua novit e la
sua forza proprio nel non porsi come ideologia ma come prassi, che non ha altra giustificazione che il successo. Mussolini, sin dal 23 marzo 1921, aveva detto che
il fascismo una grande mobilitazione di forze materiali e morali. Che cosa si propone? Lo diciamo senza
false modestie: governare la nazione [...] Noi non crediamo ai programmi dogmatici [...] Noi ci permetteremo il lusso di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti e
illegalisti, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo, di ambiente222 . Questo concetto fu ribadito, e in un
certo senso canonizzato, nella voce Dottrina del fascismo
dellEnciclopedia Treccani (1932). Il paradosso si scioglie sol che si ponga mente al fatto che altro agire senza
darsi pensiero di programmi, altro affermare, come fecero ripetutamente Mussolini e i suoi seguaci, il primato
dellazione sul pensiero, celebrare la fecondit dellazione per lazione e via discorrendo.
Questa affermazione gi di per se stessa, in quanto
giustificazione di un certo modo dintendere la politica
e di farla, unideologia, tanto vero che vi un nome
per riconoscerla, attivismo, e una filosofia per spiegarla, irrazionalismo. Nel momento stesso in cui Musso222
B. Mussolini, Dopo due anni, in Scritti e discorsi, Milano
1934, vol. II, p. 153.
165
lini sconsacrava i valori tradizionali, irridendo al socialismo, al liberalismo, alla democrazia, ne affermava altri, fossanche soltanto il valore della forza che crea il diritto, della legittimazione del potere attraverso la conquista, della violenza risanatrice. Il fascismo, se mai, fu
un movimento non tanto anti-ideologico, quanto ispirato, specie nei primi anni, a ideologie negative, o della negazione, dei valori correnti. Fu antidemocratico, antisocialista, antibolscevico, antiparlamentare, antiliberale,
anti-tutto. Cre nel suo seno un movimento che si fregi
del nome di antiEuropa. Malaparte contrappose lItalia barbara allEuropa civile, ed esalt il fascismo come
controriforma:
Non abbiamo nessuna necessit, noialtri italiani, di rinnegare
tutta la nostra vita nazionale da Clemente VII in poi, e di
divenire eretici, per seguire il nostro destino, che di potenza
imperiale. Noi saremo grandi anche senza passare, con un
ritardo di tre secoli, attraverso la Riforma; saremo grandi, anzi,
unicamente contro la Riforma. La nuova potenza dello spirito
italiano, che gi si manifesta per chiari segni, non potr essere
se non antieuropea223 .
166
significato storico, anzi rivelandosi un movimento profondamente, come si disse a ragione e come la catastrofe
finale dimostr (ancora un anti), anti-storico.
Proprio perch il fascismo ebbe unideologia negativa,
poterono confluire in esso varie correnti ideali che erano
animate dagli stessi odi senza avere gli stessi amori, e delle quali Mussolini fu labile domatore (per usare unespressione di Gobetti). Il fascismo fu il bacino collettore di tutte le correnti antidemocratiche che erano rimaste per lo pi sotterranee o avevano avuto, come abbiamo visto, unespressione quasi esclusivamente letteraria,
sino a che il regime democratico aveva bene o male mantenuto le sue promesse, e apparvero infine alla luce del
sole e si trasformarono in azione politica quando il regime democratico entr in crisi. Se pur con una certa semplificazione, si pu dire che il fascismo riusc a coagulare
entrambe le tendenze anti-democratiche di cui si parlato nel capitolo quarto, tanto quella dei conservatori allantica quanto quella degli irrazionalisti-nazionalisti, s
da presentare le due facce antitetiche di un movimento
eversivo che voleva, se pur oscuramente, un ordine nuovo, e di un movimento restauratore che voleva puramente e semplicemente lordine. I fascisti eversivi chiedevano al regime di fare la rivoluzione (se pure la rivoluzione
degli spostati, degli sradicati, dei reduci o, come si disse con una formula felice, del quinto stato); gli altri miravano soltanto allinstaurazione di uno stato autoritario
che facesse rigar dritto gli operai e arrivare i treni in orario. Senonch, mentre leversione dei primi fu velleitaria e fu facilmente dissolta con lassorbimento dei nazionalisti, con la conversione nazionalistico-patriottica degli
ex sindacalisti rivoluzionari, la restaurazione dei secondi
fu una cosa seria, lunica cosa seria del regime, che venne abolendo via via tutte le conquiste dello stato liberale
senza instaurare uno stato socialmente pi avanzato.
167
168
169
in cui Croce difese il principio della distinzione nellunit, avendo intravisto nella filosofia dellatto puro il pericolo di un ritorno ad uno sterile misticismo, mentre Gentile sospettava nelle distinzioni crociane una ricaduta in
qualche forma di trascendenza e quindi un tradimento
(involontario) dellimmanentismo assoluto.
Non diversamente da Croce, anche Gentile fece le prime prove di scrittore immediatamente politico allinizio
della guerra con la conferenza gi ricordata (La filosofia
della guerra), in cui asser primo dovere di ognuno essere
quello di tacere umilmente dinnanzi, alla grandezza degli avvenimenti e sentirsi compresi della solennit [...]
religiosa di questa straordinaria giornata del mondo224 .
Alla quale seguirono vari articoli sul Resto del Carlino
e sul Nuovo Giornale di Firenze, raccolti poi nel volume Guerra e fede (1919). Nel 1920, raccolse in un secondo volumetto, Dopo la vittoria, quel che era andato meditando e proponendo nei primi due anni di pace, che
gli appariva come tempo non di avventura ma di ordine, se pure non dellordine che devessere stabilito
dalla forza, ma di quellordine tanto pi efficace, quanto pi sincero e moralmente sicuro che deriva dal concorde volere di tutte le classi e di tutti i partiti, congiunti dal dovere sacro di instaurare nella sua pienezza il dominio del diritto in un regime di vera giustizia e di ampia
libert225 . Denunciava la crisi morale, che non avrebbe
potuto essere risolta se non con una nuova concezione
dello stato, non strumento di parte ma organo dellinteresse collettivo, distinguendo la falsa democrazia in cui
il popolo pretende di opporsi allo stato da quella vera in
cui il popolo esso stesso lo stato.
G. Gentile, Guerra e fede, cit., pp. 16-17.
Id., Dopo la vittoria. Nuovi frammenti politici, Roma 1920,
pp. 46-47.
224
225
170
171
Con questa concezione etica (non giuridica n economica) dello stato e con la conseguente interpretazione del
liberalismo autentico italiano (da non confondersi con
quello francese o inglese ecc.), come quello che era stato teorizzato dal neo-hegelismo napoletano (per il quale lo stato era la nuova chiesa), Gentile si trov nella migliore condizione per dimostrare che il fascismo non era
affatto una rottura col passato, come sostenevano i suoi
avversari e volevano lasciar credere i fascisti eversivi, ma
era nientaltro che la piena attuazione del vero liberalismo, tradito da tutti coloro che lo avevano sempre scambiato per dottrina individualistica e materialistica. In una
serie di scritti e discorsi, raccolti nel 1925 col titolo Che
cosa il fascismo, questa dimostrazione venne ripetuta in
varia guisa ma su per gi con gli stessi concetti infinite
volte: esservi due liberalismi, quello atomistico dorigine illuministica, e quello nostrano (e tedesco), per il quale la libert s il supremo fine e la norma dogni vita
umana: ma in quanto leducazione individuale e sociale
la realizza, attuando nel singolo questa volont comune,
che si manifesta come legge, e quindi come Stato229 ; e
questo liberalismo nostrano essere la stessa cosa del fascismo che non vede altro individuo soggetto di libert che quello che sente pulsare nel proprio cuore linteresse superiore della comunit e la volont sovrana dello
Stato230 .
228
Id., Scuola laica, in Scritti pedagogici, vol. I, Educazione e
scuola laica, Firenze 1937, p. 98.
229
Id., Che cosa il fascismo. Discorsi e polemiche, Firenze
1925, p. 50.
230
Ivi, p. 52.
172
Posta la premessa che il massimo della libert coincide col massimo della forza dello Stato, anche la domanda se si debba distinguere la forza materiale da quella
morale non ha pi senso: ogni forza forza morale, perch si rivolge sempre alla volont; e qualunque sia largomento adoperato dalla predica al manganello la sua
efficacia non pu essere altra che quella che sollecita infine interiormente luomo e lo persuade a consentire231 .
Sintende che se consenso anche quello ottenuto col
manganello, lo stato fascista era uno stato fondato sul
consenso. Ma allora, lo stesso Mussolini, meno filosoficamente ma pi esattamente, aveva espresso lo stesso
concetto quando aveva detto (in un discorso del marzo
1923):
Dichiaro che voglio governare, se possibile, col maggior consenso di cittadini. Ma, nellattesa che questo consenso si formi,
si alimenti e si fortifichi, io accantono il massimo delle forze disponibili. Perch pu darsi per avventura che la forza faccia ritrovare il consenso, e in ogni caso, quando mancasse il consenso, c la forza232 .
173
Per Hegel lo stato era, pur nella sua potenza che non
conosce limiti giuridici, una determinazione dello Spirito: non solo non sidentifica con lo Spirito universale, ma
limitato sia dallessere sempre in mezzo ad altri stati sia
dallessere, in quanto momento culminante dello Spirito
oggettivo, subordinato allo Spirito assoluto, sia dal contenere nel suo stesso seno i due momenti, particolari s
ma necessari, della famiglia e della societ civile. Gentile, accettando il principio nazionale, non riconobbe la
molteplicit degli stati, ma innalz il proprio stato a unico stato; rifiutando la distinzione tra Spirito oggettivo e
Spirito assoluto, giunse a sostenere che lo stato, come
forma dellautocoscienza, a suo modo una forma di filosofia; infine, non avendo occhio per le distinzioni empiriche, ripudi come non speculative e quindi spurie la
distinzione fra stato e famiglia, e quella fra stato e societ civile, e concluse che lo stato era tuttuno con la famiglia e con la societ civile. A furia di unificare, di semplificare, di ridurre a stato, allunico stato, ogni determinazione storica, ripudiata come spregevole empiria, fin
per fornire un dotto commentario alla formula mussoliniana Tutto nello stato, nulla al di fuori dello stato, nul233
G. Gentile, Diritto e politica, apparso nel I fasc.
dellArchivio di studi corporativi, I (1930), pp. 1-14, quindi compreso nei Fondamenti della filosofia del diritto, Firenze
1937, da cui cito. Il passo si trova a p. 129.
174
175
de mani dellalta borghesia industriale, una specie di ancien rgime adattato alle esigenze della nuova societ industriale. Il suo principio etico e politico fondamentale
fu lorganizzazione. Entrato autorevolmente in lizza al
Congresso nazionalista di Milano del 1914, con una relazione economica, in cui svolse un programma antiliberista in una cornice nazional-corporativa, nel primo congresso dei nazionalisti dopo la guerra (1919) present un
programma politico i cui capisaldi erano la solidariet
nazionale, la necessit della disciplina, la subordinazione dellindividuo allo stato. In una intervista sui risultati
del congresso afferm che non le sue istituzioni parlamentari [...] hanno fatto fallimento [...] occorre sostituire al predominio delle masse disorganizzare [...] il predominio politico degli enti corporativi235 . Ancor prima
dellavvento del fascismo la sua idea dominante era stata
il rafforzamento dello stato, onde salut la marcia su Roma come lesercito storico che avrebbe attuato il nuovo
stato, e sentenzi che il nazionalismo era ormai maturo
per scomparire. In un discorso del 1924 (la formazione
della coscienza nazionale dal liberalismo al fascismo) accus tutte le correnti derivate dalla rivoluzione francese,
liberalismo, democrazia, socialismo, anarchismo, di essere dottrine individualistiche e materialistiche che il fascismo aveva il compito di rovesciare. Contrappose la libert dei liberali, che era un diritto, alla libert fascista che
era una concessione, che lo stato poteva anche togliere
(e infatti la tolse). Nel 1925 lesse a Perugia un discorso,
intitolato La dottrina politica del fascismo, in cui, esaltando litalianit del fascismo, scomod a fargli da precursori, oltre Machiavelli e Vico che erano di rito, anche san
Tommaso. In uno scritto del 1927, La trasformazione del235
Questa intervista fu pubblicata nellIdea nazionale del
24 marzo 1919. Cito da P. Ungari, Alfredo Rocco e lideologia
giuridica del fascismo, Brescia 1963, p. 52.
176
177
terribile formula della corporazione proprietaria, disse: Ebbene, lasciamola pure da parte e non ci pensiamo
pi.
Dopo il Concordato (1929), anche una filosofia immanentistica e laica come quella di Gentile, che contava tra
i suoi antenati Giordano Bruno e teneva per padre spirituale Bertrando Spaventa, non poteva pi essere accolta
come filosofia ufficiale. La cultura fu rapidamente fascistizzata, cio ridotta a formule rituali, a dommatica,
oppure a sfoghi sentimentali tra il mistico e lapologetico. Ma via via che lo stato diventava sempre pi burocratico, lordine sempre pi meccanico, lo stile sempre
pi rigido, la ideologia emergente, se ancora si possono
chiamare ideologia fremiti di adorazione del capo, impeti di fiducia nel destino imperiale della nuova Italia in
camicia nera, fu quella dei giovani arrabbiati, che rifiutarono il pensiero chiaro e distinto, invocarono ancora una
volta la violenza internazionale per trasformare la farsa
della storia, recitata dagli stati demoplutocratici, in epopea, riposero le loro speranze non nella ragione ma nellautorit, nella fiducia cieca in un uomo superiore di cui
i poeti cantavano Da te il futuro / prende gli ordini / e
sinchina238 , e i pensatori dicevano che era gi mito e
simbolo, incarnazione ideale ed eroe popolare239 ; e coltivando sogni di grandezza, alimentarono passioni smoderate e disperate, di cui furono spesso le vittime.
Di tra le maglie di una societ, che celebra cerimonie
in cui non crede, la vecchia passione irrazionalistica si
scatena con una violenza inaspettata. Tra il 30 e il 40
il fascismo cessa di essere o di pretendere di essere una
dottrina e diventa una fede in cui si deve credere, obbe238
A. S. Novaro, A Mussolini, in Nuova Antologia, 16
febbraio 1935, p. 481.
239
G. Bottai, Italianit e universalit di Mussolini, ivi, 1
settembre 1939, p. 3.
178
179
11
CROCE OPPOSITORE
Nonostante la briga che i fascisti si diedero per evocare una cultura fascista e a cercar dimporla nella scuola, nelle riviste e nei giornali, negli istituti ad hoc, il fascismo, reso innocuo Gentile e tenuti a bada i gentiliani, non diede vita a una propria cultura; n ha lasciato
tracce, se non di artifici retorici, di gonfiezze letterarie,
di improvvisazioni dottrinali, in una storia della cultura
italiana. Il che non vuol dire che non vi sia stata negli
anni del regime una vita culturale intensa, tuttaltro che
effimera; ma non fu una cultura fascista. Sarebbe se
mai pi confacente chiamarla, per il prestigio che vi ebbe Croce come risvegliatore di coscienze contro la dittatura, crociata. Tra il 1925 e il 1940 infatti fior la seconda, e pi ricca e rigogliosa, stagione del lungo magistero di Benedetto Croce, che fu coscienza morale dellantifascismo italiano, non tanto come restauratore dellidealismo (che era ormai morto avendo lasciato il posto allo storicismo assoluto), quanto come filosofo della
libert.
Il pensiero filosofico di Croce si mosse continuamente, per intima forza dialettica, tra due poli: laffermazione, da un lato, dellattivt politica come attivit economica o forza vitale, e in quanto tale autonoma rispetto alla morale, avente le proprie ragioni e le proprie leggi; lidentificazione, dallaltro, della libert con la forza morale
che dirige in ultima istanza la politica e con la quale ogni
buona politica deve fare i conti. Negli anni della bonaccia Croce accentu, come abbiamo visto nel capitolo sesto, il primo aspetto, tanto da diventare, con scandalo dei
moralisti e dei democratici, fautore dello stato-potenza;
quando la tempesta della tirannide si rovesci sul nostro
180
paese, egli accentu il secondo, facendosi assertore vigoroso, a dispetto degli zelanti servitori del fascismo, dellideale morale della libert. Sino a che la libert non era
stata minacciata, il liberalismo di tradizione e di temperamento che sonnecchiava in lui si era limitato a dare qualche sussulto, come in occasione della memorabile sfuriata contro i nazionalisti. Instaurata la dittatura, lafflato
o sentimento liberale si trasform a poco a poco in una
teoria del liberalismo, dando luogo a una vera e propria
concezione della storia come storia della libert. Croce
stesso fece capire che sino allora era stato un liberale inconsapevole. Ma di fronte al nuovo regime e alle storture filosofiche e storiche che i suoi zelatori, a cominciare da Gentile e dai gentiliani, andavano propagando, occorreva metter mano con rigore al metodo della distinzione che non fallisce mai, e dar la caccia severamente a
ogni confusione ridando a Cesare quel che di Cesare, a
Dio quel che di Dio.
Il momento cruciale del passaggio dal liberalismo pratico al liberalismo teorico fu il 1925, lanno in cui Croce prese per la prima volta pubblica posizione come oppositore del regime scrivendo il Manifesto degli intellettuali antifascisti in risposta al Manifesto gentiliano. Nello stesso anno scrive la postilla Liberalismo in cui il liberalismo accolto nel suo concetto storicamente consolidato di teoria antagonistica della societ, in quanto soddisfa il bisogno di lasciare, quanto pi possibile, libero giuoco alle forze spontanee e inventive degli individui
e dei gruppi sociali, perch solo da queste forze si pu
aspettare il progresso mentale, morale ed economico, e
solo nel libero giuoco si disegna il cammino che la storia deve percorrere243 . Nel 1929 raccoglie in un volumetto, dal significativo titolo Aspetti morali della vita po243
B. Croce, Liberalismo, in La Critica, XXIII (1925), pp.
125-28, che cito da Cultura e vita morale, cit., p. 285.
181
litica, alcuni articoli dargomento politico, tra cui Il presupposto filosofico della concezione liberale (1927) e Liberismo e liberalismo (1928). Le principali tappe di questo itinerario verso una filosofia della libert sono la Storia dItalia dal 1871 al 1915 (1928), la Storia dEuropa nel
sec. XIX (1932), La Storia come pensiero e come azione
(1938). Nel 1939 esce il saggio Principio, ideale, teoria; a
proposito della teoria filosofica della libert, che pu ben
considerarsi come la sintesi e il punto di arrivo del lungo cammino attraverso la storia dellidea di libert e la
teoria del liberalismo.
Il primo errore da confutare era che il fascismo, come andavano predicando i gentiliani, fosse il vero liberalismo. Alla confutazione di questo errore Croce dedic
le due opere storiche, la Storia dItalia e la Storia dEuropa: nella prima delle quali mostr che il periodo dellItalietta era stata unet di consolidamento dello stato
italiano uscito dal Risorgimento, in cui il maggior benessere aveva coinciso con una pi profonda partecipazione agli ideali liberali; nella seconda, esalt il secolo del
romanticismo che aveva spazzato le religioni tradizionali
sostituendovi lunica e sempre verde, perch sempre rinnovantesi, religione della libert, e vi contrappose i moti
irrazionalistici e attivistici del primo decennio del nuovo
secolo che portarono alla guerra e al fascismo. Il secondo errore, non pi storiografico ma teorico, era la concezione dello stato etico, che andava dilagando per opera del Gentile: concezione grossolana mal ricavata dal
pensiero hegeliano o desunta dalla parte pi contestabile
di esso, impedantita dai trattatisti tedeschi, ripetuta con
pia unzione ma senza critica dagli hegeliani italiani, e altrettanto adatta alle tendenziose prediche dei politicanti
autoritari e reazionari quanto disadatta allintendimento
182
Il terzo errore, pi grave, era insieme teorico e storiografico: i difensori del nuovo stato andavano dichiarando che il liberalismo era ormai morto come prodotto delle correnti filosofiche utilitaristiche, materialistiche, individualistiche del Sette e Ottocento, che avevano ormai
fatto il loro tempo. Fu nella confutazione di questo errore che Croce si elev a una visione globale della storia in
cui il liberalismo non pi unideologia in mezzo ad altre ideologie, ma lultimo approdo del pensiero moderno che offre alla storiografia un criterio di interpretazio244
Recensione a F. Fiorentino, Lo stato moderno e le polemiche liberali, in La Critica, XXIII (1925), pp. 59-61, che cito
da Conversazioni critiche, cit., vol. IV, p. 319.
245
B. Croce, Giustizia internazionale, in La Critica, XXVI
(1928), pp. 382-85, che cito da Etica e politica Bari 1945, p.
347.
246
Id., Storia dItalia dal 1871 al 1915, cit., p. 259.
183
ne storica il progresso della storia coincide collavanzamento della libert ; allazione pratica, un ideale morale la libert come principio universale non particolaristico di azione politica ; alla realt stessa, che storia,
la spiegazione della sua forza creatrice la libert come
soggetto della storia. Come concezione totale della storia, come ultimo prodotto della filosofia immanentistica e storicistica, non pi superata dalle filosofie successive, come concezione metapolitica, il liberalismo dunque
non solo non era morto ma non poteva morire ed era destinato a vivere anche quando sembrava pi conculcato,
a rinascere quando sembrava pi frainteso e negletto.
Tanto fu apolitico o impolitico il pensiero crociano
nei primi tre lustri del secolo, tutto assorbito nella creazione del sistema filosofico, interrotto soltanto da qualche sortita improvvisa e di breve durata, pi sconcertante che illuminante, nel campo avverso, quanto politicamente orientata e impegnata la sua opera, che fu principalmente opera di storiografia, negli anni del regime. Vi
dominarono due motivi fondamentali: lesaltazione dellet liberale, che aveva segnato un sicuro avanzamento
nella vita morale e civile dellumanit, e la convinzione
che la libert coincidente con lideale morale delluomo
pu essere soltanto offuscata ma non spenta.
La prima affermazione suonava condanna senza appello del fascismo interpretato come movimento che va
contro la storia; la seconda spronava a non arrendersi, a
non rassegnarsi, a resistere, perch allet della tirannia
non avrebbe potuto non seguire una nuova et liberale.
Inoltre, una volta inteso il liberalismo non come ideologia ma come una concezione cotale della storia, anzi
come la concezione finalmente disvelata della storia che
permette di capire il senso e la direzione del processo storico, erano poste le premesse per un confronto tra il liberalismo e le altre ideologie, per un vero e proprio discorso politico che avrebbe dovuto preparare e alimentare la
184
185
186
Cosicch arbitrariamente si comportano coloro che pretendono di dimostrare la bont intrinseca e perpetua delluno o dellaltro ordinamento, ed utopisti sono, non meno degli assoluti
comunisti, gli assoluti liberisti248 .
Dopo questo primo articolo Croce ripet pi e pi volte la propria tesi difendendola dalle caute ma pur ferme obiezioni di Einaudi. A proposito del libro di Aldo
Mautino (La formazione della filosofia politica di Benedetto Croce, 1941) in una nota pubblicata sulla Rivista
di storia economica ne diede la formulazione pi sintetica: liberismo e comunismo sono due ordinamenti irrealizzabili e irrealizzati nella loro assolutezza, non essendo
concetti di economia ma tentativi di ordinamento totale
della vita e della societ umana, mentre:
ben diverso il principio del liberalismo, che etico ed assoluto, perch coincide col principio stesso morale, la cui formula pi adeguata quella della sempre maggiore elevazione della vira, e pertanto della libert senza cui non concepibile elevazione n attivit. AI liberismo come al comunismo il liberalismo dice: Atterrer o respinger le vostre singole e particolari proposte secondo che esse, nelle condizioni date di tempo
e di luogo, promuovano o deprimano lumana creativit, la libert. Con ci quelle proposte stesse, ragionate diversamente,
vengono redente e convertite in provvedimenti liberali249 .
Queste due nuove battaglie contro socialismo e liberismo non fecero dimenticare a Croce la vecchia polemica
contro lideologia democratica, sulla quale ritorn con la
solita acrimonia, per denunciarne la falsit totale, negli
Elementi di politica (1925), e per dimostrarne gli errori e
le malefatte politiche nelle opere storiche.
248
Vedi B. Croce e L. Einaudi, Liberismo e liberalismo, a cura
di P. Solari, Napoli 1957, p. 59.
249
Ivi, p. 152.
187
A rinfocolare lardore battagliero contro le insulsaggini democratiche sopraggiunse, nel momento in cui
lantifascismo cominci ad organizzarsi nei primi movimenti politici clandestini, il programma liberalsocialista
di Guido Calogero, che al di l di liberalismo e di socialismo cercava una sintesi teorica e programmatica nel
binomio giustizia e libert. Ma come potevano osare,
questi impenitenti e sprovveduti neo-democratici, cattivi filosofi e cattivi politici, mettere insieme e sullo stesso
piano, vero e proprio ircocervo, un principio filosofico come la libert e un concetto empirico come la giustizia? Ancora una volta egli riteneva che la confusione fosse stata possibile a causa della perdurante mentalit illuministica che non si era rassegnava ad accettare
la critica storicistica della ragione astratta e continuava a
credere che la societ fosse un insieme di enti regolabili con formule matematizzanti; peggiorata ed aggravata,
questa mentalit, da una sorta di eclettismo prammatico
e antifilosofico che mirava ad aggiustar le faccende molto
complicate della vita con formule di compromesso, quasi un giocare di astuzia con le due parti opposte che si
vogliono conciliare pur sapendo che sono filosoficamente inconciliabili, e un mancare di coraggio nel rinunziare a sostenere il difficile concetto di libert, per piegarsi
verso laltro della giustizia che aperto al facile plauso
di molti.
Concludendo:
Tolta di mezzo quella diade di disparati e ripugnanti concetti,
rimane dunque, unico principio la libert, che ha in s la virt, e
con essa il dovere, di proporsi e risolvere i problemi morali che
sorgono sempre nuovi nel corso della storia, tutti i problemi,
quali che essi siano: salvo, beninteso, quellunico del rendere
gli uomini felici e beati, che non un problema ma una fisima,
e si pu lasciare in pastura dei discettanti sulla giustizia da
188
Per quanto mutevole il bersaglio, il metodo della confutazione era sempre lo stesso: consisteva nellisolare il
principio filosofico della libert dai concetti empirici che
di volta in volta storicamente vengono ad esso collegati,
e dopo averlo isolato, liberarlo dalle contaminazioni che
i concetti empirici, elevandosi illegittimamente a principi filosofici di pari grado, vi producono, per negarlo e
contrapporvi un altro principio, come fa il comunismo,
o per condizionarlo e tenerlo subordinato, come vorrebbe il liberismo, o per stabilire con esso unibrida alleanza, e di conseguenza degradarlo, come propone il democratismo.
Non si pu disconoscere che con questa battaglia su
tre fronti Croce riusc a individuare e a isolare le tre principali correnti politiche che si andavano faticosamente ricostituendo e avrebbero contrassegnato la lotta politica
di domani. La sua polemica sotto specie di critica filosofica era una polemica immediatamente politica. Ma proprio perch il giudizio sulle correnti politiche veniva dato dallalto di una concezione che si dichiarava metapolitica, le diverse ideologie nel momento stesso in ceri venivano condannate, erano assolte, cio accolte sul piano che loro competeva dei programmi politici in natural conflitto tra di loro in una societ in cui lideale liberale avrebbe costituito il principio ispiratore e animatore della vita politica. E al tempo stesso questo liberalismo, che si metteva fuori della gara storicamente condizionata delle opposte ideologie, serviva egregiamente da
punto di convergenza delle varie forme e modi con cui si
andava articolando lopposizione al fascismo.
250
B. Croce, Libert e giustizia, in Discorsi di varia filosofia,
cit., vol. I, p. 273.
189
Proprio in quanto filosofica o metapolitica, la posizione di Croce, esaltante la libert come ideale etico o in
largo senso civile, che non viene meno anche nella ecclesia
pressa sebbene con compiti diversi da quelli che le spettano nella ecclesia triumphans, fu la posizione in cui tutti
gli antifascisti si riconobbero dal momento che il primo
dovere in istato di dittatura pur sempre quello di lottare primamente per la restaurazione della libert perduta.
Sotto questo aspetto giusto dire che Croce fu la guida
spirituale dei giovani intellettuali antifascisti per i quali lopposizione al regime nacque da un impulso morale e fu politica nel senso in cui politica latto di rivolta
contro il sopruso, il rifiuto di obbedire al tiranno.
Sotto la crosta sottilissima dellindottrinamento fascista, si svolse in Italia una vita filosofica e letteraria autonoma, non estranea n sorda ai grandi movimenti culturali europei, tuttaltro che provinciale, procedente su
una propria strada di ricerca e di rinnovamento, come
se il fascismo non fosse mai esistito. Per restare nel campo della scoria delle idee, ad onta del fragore con cui il
fascismo si present come il creatore di una nuova civilt, la letteratura sulla crisi della civilt, che fu uno dei
tratti caratteristici del tempo, da Spengler a Huizinga,
ebbe unespressione originale nellopera di Filippo Burzio, che contro lavvento delluomo-massa, prodotto dalla rivoluzione tecnica (la rebelin de las masas di Ortega y Gasset), vagheggi e propag in una serie di saggi, poi raccolti nel volume Il demiurgo e la crisi occidentale (1933), lideale del demiurgo o uomo integrale, i
cui caratteri originali sono luniversalit, ch reazione
alleccesso di specializzazione, il distacco, o capacit di
non immedesimarsi canto nellazione da esserne assorbiti, e la magicit, che rappresenta il momento della poeticit dellazione: ideale umano che era certamente una
soluzione nellelevamento individuale pi che nellimpegno sociale, ma era insieme una sfida alla volgarit del re-
190
191
rigore censorio, anche il marxismo teorico non era morto: avremmo appreso a guerra finita che in quegli stessi anni di dissoluzione dellattualismo, Antonio Gramsci,
nella sua cella di prigioniero politico, aveva fatto i suoi
conci con lidealismo, rinnovando una riflessione teorica
e storica sulla rivoluzione russa, la concezione marxistica della storia e della politica e scrivendo uno dei capitoli
pi originali del marxismo teorico in Italia.
In quella atmosfera di crisi, e di ripensamenti e di rinnovamenti, una delle opere pi singolari, per altezza spirituale e per lantifascismo radicale che vi si esprimeva,
furono gli Elementi di unesperienza religiosa di Aldo Capitini (1937): animato da una profonda fede in una religione immanente, considerata come iniziativa assoluta, in un Dio vicino, pi prossimo del prossimo, non
da contemplare, ma da vivere in atto, da agire, Capitini
espose con uno stile asciutto, antiretorico, le linee di una
filosofia della persuasione, che nasce dallintimo e agisce attraverso lamore per tutti gli esseri (uomini, animali,
cose), contro la cosiddetta civilt dellordine e della sicurezza comune agli Stati Uniti e alla Russia sovietica, anticipando fantasticamente un incontro tra Oriente e Occidente al di l di capitalismo e comunismo. Strettamente
legata a questa filosofia della persuasione unetica che
si definisce attraverso i tre principi della non-violenza,
della non-menzogna, e della non-collaborazione. Il principio della non-collaborazione ebbe allora un effetto immediatamente politico: e infatti solo non collaborando
alle leggi ingiuste e assumendosi il rischio del proprio atto, lo stato si svolge, vive, alimentato dallintimo degli
individui ed ivi radicato: quello stato che si migliora sempre.
sempre avvenuto cos: altrimenti nessuna legge, nessuna direttiva sarebbe mai stata sostituita da una migliore. Tanto pi
che colui che non intende collaborare non si reca su una montagna, resta a contatto del legislatore, si sottopone alle sanzio-
192
ni, spiega i suoi motivi, d prova che la sua azione non ispirarti al fine di sottrarsi a un peso. evidente che riesce meno
difficile ubbidire sempre che opporsi qualche volta, pagando di
persona251 .
251
A. Capitini, Elementi di unesperienza religiosa, Bari 1937,
p. 113.
193
12
GLI IDEALI DELLA RESISTENZA
Ci che Capitini propugnava nelle parole citate era la resistenza passiva. Ma la pratica della resistenza passiva
non poteva andar disgiunta nei piccoli gruppi di opposizione al fascismo che si andavano organizzando, appunto tra il 1935 e il 1940, dalla preparazione alla resistenza
attiva, quando se ne fosse presentata loccasione. Intanto, per lantifascismo gi da anni organizzato fuori dItalia la prima prova di resistenza attiva era stata fatta con
la guerra di Spagna. Per gli uni e per gli altri, per gli antifascisti di fuori e per quelli di dentro, lora decisiva del
grande cimento sarebbe venuta alcuni anni dopo con la
guerra di liberazione contro nazismo e fascismo, che fu
chiamata per antonomasia resistenza.
Per quanto si continui a parlare di ideologie della Resistenza, sarebbe pi esatto parlare di ideologie nella Resistenza. Di ideologie della Resistenza nel senso proprio
dellespressione, di ideologie nate per la lotta antifascista e morte con essa, non ve ne fu che una sola, quella estremamente composita ma ben differenziata rispetto
ai programmi e alle dottrine tradizionali o ormai consolidate, che conflu nellaltrettanto composito movimento
etico-politico (vero e proprio ircocervo, questa volta
la parola appropriata) che fu il Partito dAzione. Nella
lotta contro il fascismo, che era insieme una dittatura e
un regime di classe, erano destinate a scontrarsi due dottrine o addirittura due concezioni del mondo, cui corrispondevano i due blocchi storici solo occasionalmente
alleati contro il comune nemico, liberalismo e comunismo: dei quali il primo, interpretando il fascismo come
fenomeno sovrastrutturale o esclusivamente politico, ne
metteva in rilievo il carattere di dittatura e quindi con-
194
195
glia) presenti nella lotta di liberazione e membri del Comitato di liberazione nazionale. Liberalismo e comunismo, socialismo e cattolicesimo, ripresero vigore in occasione della Resistenza, strinsero o ricomposero le proprie forze, misero a punto le proprie idee, elaborarono
o rimisero a nuovo i propri programmi, ma la loro storia cos come affonda le radici nellera prefascista allunga nuovi rami nellera postfascista. Passarono attraverso
la Resistenza, ma non vi si identificarono.
Chi legga i documenti del tempo relativi ai quattro
movimenti storici, si avvede che nessuno spicca per novit teorica, e tanto meno per audacia ideologica. Tutti serbano invece profonda traccia delle particolari condizioni in cui si svolgeva il dibattito politico del momento, contengono indicazioni tattiche, magari anche proposte strategiche a lunga scadenza, quasi sempre programmi limitati allorientamento da dare alla lotta in corso in
modo da prefigurare una soluzione piuttosto che unaltra per il futuro assetto della societ. Quanto ai lineamenti dottrinali o allelaborazione ideologica essi appartengono a pieno diritto alla storia delle rispettive ideologie, che corre lungo larco di tempo che abbiamo seguito
in queste pagine dalla fine del secolo scorso in poi, pi
che alla storia della Resistenza.
Se uninfluenza della Resistenza ci fu, questa si fece sentire pi che altro in certi adeguamenti reciproci
dei diversi programmi, in certe concessioni (pi enunciate che profondamente credute) ai momentanei alleati, che erano ispirate allesigenza dellunit a tutti i costi, di ununit che non era un principio ideale ma puramente e semplicemente uno stato di necessit. I comunisti, rigettando il vieto anticlericalismo, tendevano le mani ai cattolici; i cattolici, profondendosi in professioni di
aconfessionalit, ai liberali; i liberali, annunciando inattese aperture sociali (si ricordi la polemica antiliberistica
di Croce), ai socialisti; i socialisti infine, sostenendo un
196
pi severo classismo, ripudiando per sempre il riformismo, ai comunisti. I socialisti contavano sui comunisti, i
comunisti sui cattolici, i cattolici sui liberali e i liberali
che era poi la vecchia classe dirigente italiana , avendo
concepito la guerra di liberazione pi come lotta contro
lo straniero che contro il fascismo, sugli alleati, e magari sullo stellone dItalia. Ma ogni concessione era un cedimento; lo spirito di compromesso stemperava il rigore
ideologico; i programmi pi lontani finivano per toccarsi e quelli pi vicini si mescolavano luno nellaltro. Per
le ideologie storiche la Resistenza ag non tanto da alambicco che ne distilli lessenza quanto da crogiuolo in cui
tutto si fonde e si confonde.
Ne la miglior prova la formula della democrazia
progressiva in cui i comunisti riassunsero il loro programma dazione: e che non era, e non poteva essere,
per la sua stessa genericit, lespressione di una nuova
ideologia, ma era puramente e semplicemente la proposta di una strategia che tendeva a fare del partito comunista il partito egemone della futura democrazia italiana.
In un articolo del giornale clandestino La Nostra Lotta (1 gennaio 1945) Eugenio Curiel (1912-1945) spieg
che per democrazia progressiva sintende una democrazia non conservatrice, non semplice restaurazione
del vecchio regime, e quindi nuova, ovvero liberata
non solo da ogni residuo delle istituzioni e del personale
fascista, ma anche dalle impalcature istituzionali monarchiche, antidemocratiche, che gi nellItalia pre-fascista
contribuivano ad inceppare ed a falsare il giunco della
sovranit popolare, e per giunta forte, cio sostenuta dalla partecipazione non di una sola parte privilegiata dei cittadini, ma dalle pi larghe masse popolari, del-
197
198
Lunica ideologia nata in funzione della lotta antifascista e che la fine del fascismo, invece di attuare, dissolse, fu quella dei vari gruppi di intellettuali che da varie parti confluirono nel Partito dAzione. Poich il fascismo era stato, in quanto dittatura, antiliberale, e, in
quanto regime della classe borghese, antisocialista, lantifascismo integrale non poteva essere o soltanto liberale o soltanto socialista, ma doveva essere insieme liberale e socialista. Detto altrimenti, poich il fascismo aveva trionfato sui due avversari isolati e incapaci di covare se non una sintesi almeno una soluzione di compromesso, instaurando un regime illiberale come unico rimedio allavanzata del socialismo, il rovesciamento totale del fascismo doveva prevedere il recupero dei suoi due
avversari, non pi separati ma in qualche modo congiunti. Negare il fascismo che era stato negazione di liberalismo e di socialismo, voleva dire affermare contemporaneamente entrambi. In una dialettica puramente formale e certamente intellettualistica, per cui la storia proce255
A. De Gasperi, I cattolici dallopposizione al governo, Bari
1955, p. 480.
199
de secondo le categorie dellintelletto astratto, le ideologie storiche, che avevano combattuto il fascismo e miravano a dividersene le spoglie, erano considerate ideologie parziali che non avrebbero mai potuto condurre a un
rinnovamento totale perch avrebbero rifatto il mondo,
or luna or laltra, con forme economiche e politiche che
il fascismo gi aveva fronteggiato e debellato. Il rinnovamento totale non poteva venire che da una ideologia antifascista vocale. Poich il rinnovamento totale comportava una trasformazione rivoluzionaria, la nuova ideologia si contrapponeva a ogni forma di restaurazione del
passato prefascista che stava a cuore ai liberali, ma insieme a ogni tentativo rivoluzionario che ripetesse pedissequamente gli schemi di una rivoluzione gi esaurita nella
sua capacit di creazione di una nuova societ, quale la
rivoluzione sovietica.
Il giudizio che questa ideologia totale diede sul fascismo era diverso tanto da quello dei liberali quanto da
quello dei comunisti. Il fascismo non era, come credevano i liberali, una parentesi, una malattia pur grave ma
non mortale, bens lesplosione virulenta di mali endemici dello sviluppo della societ italiana (la mancata Riforma, il Risorgimento rivoluzione fallita, il trasformismo
della classe dirigente dopo lUnit, la prima rivoluzione
industriale avvenuta a vantaggio del Nord e a danno del
Sud), e di vizi conici del popolo italiano (cinismo, indifferenza, o Francia o Spagna purch si magna, e prima
di tutto il proprio particolare): anche Rosselli avrebbe
ripetuto il giudizio di Gobetti, per cui il fascismo stato lautobiografia di una nazione che rinuncia alla lotta
politica, che ha il culto dellunanimit, che rifugge dalleresia, che sogna il trionfo della facilit, della fiducia e
dellentusiasmo256 . Ma non era neppure, come credevano i comunisti, un momento necessario e finale del gran256
200
de conflitto storico tra la borghesia nellultima fase imperialistica e il proletariato nella sua prima fase rivoluzionaria, bens lespressione catastrofica e insieme irrazionale
di una grande crisi di civilt, in cui non soltanto lItalia
e la Germania ma tutto il mondo civile era stato coinvolto. Se solo un fatto rivoluzionario poteva mettere fine al
fascismo, questo fatto doveva dar vita a un regime diverso tanto dalla democrazia liberale prefascista quanto dal
comunismo sovietico.
Questo fatto rivoluzionario era la Resistenza, purch
fosse intesa non come guerra di liberazione nazionale e
neppure come guerra di classe, ma come guerra popolare attraverso cui avviene non soltanto lo scardinamento
del regime prefascista a cominciare dallistituto monarchico, ma anche la rigenerazione di un popolo oppresso
da secoli di governi di rapina: come guerra politica (non
soltanto militare o civile) che, proprio in quanto guerra
politica, avrebbe addestrato il popolo alla nuova democrazia. Uno dei compiti in cui si riconobbero la maggior
parte dei gruppi che parteciparono alla Resistenza sotto
linsegna del Partito dAzione fu quello della trasformazione della guerra di liberazione nazionale in rivoluzione democratica, o altrimenti lo sbocco della Resistenza in una nuova societ in cui fossero poste le premesse
per lattuazione di una democrazia integrale. In questo senso pregnante si pu dire che lideologia del Partito dAzione fu lideologia della Resistenza, perch per
esso la Resistenza fu qualche cosa di pi che unoccasione storica; fu la condizione stessa del suo nascere, lorizzonte in cui si iscrisse, il limite, positivo e negativo, della sua efficacia. Rivoluzione, dunque, e non semplice restaurazione; rivoluzione, s, ma non comunista, o sovietica, ma democratica (o liberale come aveva detto Gobetti). Si potrebbe aggiungere anche questo fu un tratto
singolare della tradizione che sfoci nel Partito dAzione e che il Partito dAzione, nonostante i suoi ideali fe-
201
202
203
204
205
Di fronte allirritata reazione di Croce, che, come abbiamo visto, non si dava pace per aver dovuto assistere
alla contaminazione della pura libert con limpura giustizia, Calogero ebbe buon gioco nel rispondere che la
libert del suo binomio non era la libert etica o metapolitica sulle cui sorti tanto si tormentava Croce, ma la
libert politica, che era altrettanto impura della giustizia.
Quando il liberalsocialismo conflu nel Partito dAzione (fondato nellestate del 1942), Calogero cerc a pi riprese di fare del liberalsocialismo il momento teorico del
nuovo partito, che avrebbe dovuto trovare il proprio spazio politico, come terza via, tra liberalismo conservatore
e comunismo rivoluzionario, entrambe teorie unilaterali
e quindi impari al compito di trasformare la societ che
sarebbe nata dalle ceneri del passato e avrebbe avuto bisogno di una sintesi nuova. In una conferenza del novembre 1944, intitolata per lappunto La democrazia al
bivio e la terza via, enunci linearmente il proprio assunto:
La via della democrazia una via maestra, che si allontana
verso lorizzonte. Ma a un certo punto ha un bivio, il quale
cela allo sguardo la prosecuzione della via vera. A destra c la
deviazione del liberalismo o agnostico o conservatore: la via
della libert senza giustizia. A sinistra c la deviazione del
collettivismo autoritario: la via della giustizia senza libert. Il
Partito dAzione non prende n luna n laltra perch conosce
la via vera, la terza via, la via dellunione, della coincidenza,
della compresenza, indissolubile della giustizia e della libert263 .
262
263
Ivi, p. 222.
Ivi, p. 76.
206
Rispetto al comunismo, latteggiamento liberalsocialista non differiva da quello dei socialdemocratici che vedevano nella rivoluzione sovietica, cos come si era andata evolvendo, una degenerazione totalitaria incompatibile con gli ideali socialisti. Il rimedio strutturale che
il liberalsocialismo propose, e il Partito dAzione iscrisse nel suo programma, fu la rinuncia alla collettivizzazione integrale e la divisione delleconomia in due seriori
(pubblico e privato). Ci che distingue dal liberalsocialismo laltra versione dellideologia antifascista che conflu nel Partito dAzione, proprio il giudizio sullUnione Sovietica e di conseguenza sulla necessit del collettivismo. Lopera di Silvio Trentin, Riflessioni sulla crisi
e sulla rivoluzione (1933), insieme un atto di sfiducia
nei regimi democratici borghesi e un atto di fiducia nellUnione Sovietica. Questa fiducia nasce dalla convinzione che lordine nuovo non potr essere realizzato se non
rivoluzionariamente e che la rivoluzione dovr consistere nella trasformazione anche violenta del sistema capitalistico in quello collettivistico. Ma per un rivoluzionario liberale, come il Trentin si proclama, il collettivismo
sovietico soltanto una prima fase: E vano pretendere egli scrive di poter transigere impunemente con
il metodo della libert, perch le esigenze di questo sono e restano categoriche e irriducibili264 . La conciliazione del collettivismo con la libert non pu avvenire che
attraverso il principio dellautonomia dei gruppi, territoriali e non, che compongono lo stato. In un articolo
del 1934, pubblicato sui Quaderni di Giustizia e Libert, Bisogna decidersi, respinge il programma ufficiale del
movimento che prevede un regime intermedio tra capitalismo e collettivismo, fondato su uneconomia a due settori, e opta decisamente per il collettivismo. In un libro
264
S. Trentin, Riflessioni sulla crisi e sulla rivoluzione, Marseille s. d., ma 1933, p. 17.
207
del 1935, La crise du droit et de ltat, il problema della liberalizzazione politica di un regime a economia collettivistica trova una soluzione, dispirazione proudhoniana,
nel principio del federalismo. La liberazione economica
dellindividuo attraverso la soppressione della propriet
privata deve andare di pari passo con la liberazione politica attraverso il federalismo. Al quale il Trentin dedica
unopera che uscir postuma, Stato, nazione, federalismo
(1945)265 e un saggio Librer et fdrer266 . Nel primo parla di una rivoluzione bivalente, insieme anticapitalistica
e federalistica, che sola pu salvare con lEuropa la libert. Nel secondo, che il programma di un movimento
clandestino della Resistenza francese, da lui stesso fondato, spiega che liberare significa emancipare economicamente lindividuo con la distruzione dello stato capitalistico; federare significa emancipare politicamente lindividuo con la distruzione dello stato totalitario.
Lideologia del comunismo liberale nasceva dalla convinzione che il grande conflitto storico fosse quello che si
era svolto tra fascismo e comunismo, onde la caduta del
fascismo avrebbe portato inevitabilmente allinstaurazione di regimi comunisti almeno l dove il fascismo aveva
avuto il suo tragico se pur effimero trionfo. Sotto questo
aspetto il problema da risolvere per soddisfare lesigenza libertaria non sarebbe stato di progettare utopisticamente una nuova societ in cui gli ideali liberali e quelli socialisti si componessero in una bella armonia, bens di escogitare realisticamente gli espedienti per impedire la degenerazione totalitaria del comunismo. Nellambito del Partito dAzione questa visione ebbe lespressione forse pi autentica nel libro del gobettiano Augusto
265
Id., Stato, nazione, federalismo, prefazione di M. Dal Pra,
Milano 1945.
266
Pubblicato postumo in S. Trentin, Scritti inediti. Testimonianze e studi, Parma 1972, pp. 189-278.
208
Monti, Realt del Partito dAzione (1945), apparso subito dopo la liberazione e dedicato non a caso a Gian Carlo Paletta, nel quale la situazione viene descritta come caratterizzata da due elementi che sembrano contraddittori: il desiderio della libert e la certezza del comunismo.
Ma i due elementi non sono contraddittori perch essi
rappresentano la sintesi di domani:
Che avverr non per miracolo, non per dono capriccioso dun
Dio o dun uomo: ma come necessario prodotto di due fattori, che sono attivi nella storia dItalia da mezzo secolo in qua: il
marxismo della fine dellottocento, il neoliberalismo del principio del novecento. I marxisti dicono comunismo, e han ragione; i neo-liberali dicono libert, e non han torto. Inevitabile luno, inevitabile laltra. Nel duplice adattamento a questa
duplice inevitabilit dei liberali al comunismo, dei comunisti
alla libert il segreto della rinascita di domani267 .
A proposito di questo libro, Aldo Capitini, che era stato uno degli ispiratori del liberalsocialismo ma non aveva mai aderito al Partito dAzione, disse che questa interpretazione che risaliva a Salvemini e a Gobetti sincontrava con quella da lui svolta da pi anni: Le due linee sincontrano nel punto di voler essere non anticomunisti, ma, se ci riusciamo, integratori268 . Lintegrazione
di Capitini -quella che egli chiamava libera aggiunta
era di natura religiosa, non culturale, come in Monti, ma
il concetto di integrazione rappresentava bene, in opposizione a superamento, la versione liberalcomunista
della rivoluzione democratica.
A. Monti, Realt del Partito dAzione, Torino 1945, p. 41.
A. Capitini, Liberalismo e Partito dAzione, in Nuovi
Quaderni di giustizia e libert, n. 8, aprile 1946, p. 33.
267
268
209
13
GLI ANNI DELLIMPEGNO
Il fascismo aveva condotto il paese alla catastrofe, come gli antifascisti avevano previsto. Ma la Resistenza,
contrariamente alle loro speranze, non fu una palingenesi. Non occorsero molti mesi (dalla liberazione del Nord
nellaprile 1945 alla caduta del governo Parri nel novembre) per accorgersi che il fascismo, nonostante la guerra sanguinosa che aveva scatenato (la guerra pi sanguinosa sino allora combattuta), era stato una lunga parentesi, chiusa la quale la storia sarebbe cominciata pi o
meno al punto in cui la parentesi era stata aperta (come
avevano diagnosticato i conservatori in contrasto coi rivoluzionari impazienti della giovane generazione): per lo
meno nei paesi in cui, avvenuta la liberazione con laiuto e sotto la protezione degli eserciti inglese e americano,
croll con la caduta del fascismo la sovrastruttura politica del regime (ma solo in parte quella giuridica e amministrativa), ma non si modificarono sostanzialmente i
rapporti di forza che quella sovrastruttura aveva contribuito a conservare. La Resistenza non fu una rivoluzione e tanto meno la tanto attesa rivoluzione italiana: rappresent puramente e semplicemente la fine violenta del
fascismo e serv a costruire pi rapidamente il ponte tra
let postfascista e let prefascista, a ristabilire la continuit tra lItalia di ieri e quella di domani. Com stato
dimostrato, statistiche elettorali alla mano, il paese reale
(non quello ideale) delle elezioni del 1946 non fu molto
diverso da quello delle elezioni del 1919.
La miglior prova che la Resistenza non fu lintroduzione al novus ordo ma lanello che rinsalda la catena spezzata
per congiungere il vecchio al nuovo data dal fatto che
il Partito dAzione, il partito della Resistenza, fu pratica-
210
211
Alla prova della nuova democrazia, che si andava sempre pi rivelando come unet di restaurazione, cui diede il suggello dellassenso popolare la clamorosa e inattesa sconfitta del Fronte delle sinistre nelle elezioni del
18 aprile 1948, resistettero soltanto i partiti non-nati-ieri,
che potevano fare i conti coi tempi lunghi della storia,
mentre la Resistenza si dimostr essere un tempo breve, consumato o strozzato prima di aver potuto esprimere tutto il proprio potenziale di forza ideale e di capacit rivoluzionaria. La formula della democrazia progressiva con cui si present al paese il partito comunista, che aveva alle spalle ben altro moto storico che
non una guerra partigiana di liberazione nazionale durata venti mesi, fu formula politica da tempi lunghi (non
per nulla il vecchio-nuovo partito ha resistito sino a diventare un elemento essenziale della democrazia italiana): il tempo della Resistenza si esaur con la approvazione e con la promulgazione della Costituzione repubblicana, che fu lultimo frutto dello slancio unitario che
aveva animato i partiti antifascisti. Via anche la Costituzione non fu la sintesi degli opposti che il Partito dAzione aveva immaginato, e come sintesi, linizio di un nuovo corso storico, ma un compromesso prammatico tra le
diverse forze politiche ormai in netta concorrenza tra loro: entro il quadro di un regime parlamentare rappresentativo, integrato da istituti di democrazia diretta (rimasti
per anni lettera morta) e rafforzato dallintroduzione del
controllo di costituzionalit delle leggi (il cui esercizio,
ritardato di rinvio in rinvio sino al 1956, stato sempre
politicamente molto prudente), si cerc di far convivere i
vecchi diritti di libert delle carte ottocentesche, soffocati dal fascismo, coi diritti sociali, di cui erano stati portatori i movimenti socialisti, sullo sfondo di una concezione della societ civile, ispirata al pluralismo dei gruppi e
degli enti (famiglia, scuola, chiesa, sindacati, partiti, comuni, regioni ecc.) di derivazione cristiano-sociale, e col
212
miraggio populista o popolarista di una societ di piccoli proprietari: larticolo 42, secondo cui la propriet privata riconosciuta allo scopo di assicurarne la funzione
sociale e di renderla accessibile a tutti, riecheggia non
certo il Manifesto del partito comunista ma il paragrafo
35 della Rerum novarum (debbono le leggi far in modo
che cresca il pi possibile il numero dei proprietari).
Leffetto pi visibile, anche se non durevole (un lustro o poco pi), della liberazione fu il rimescolamento e rinnovamento delle idee che diedero vita a una delle pi rigogliose stagioni culturali dellItalia contemporanea. Nel primo dopoguerra, i giovani intellettuali che
avevano creduto alla guerra liberatrice si erano trovati immediatamente dalla parte dei vinti; nel secondo, la
nuova generazione che partecip alla guerra di liberazione si trov o si illuse di trovarsi, abbattuto il mostro, dalla
parte del vincitore. Questo pu servire a spiegare la differenza tra lo stato danimo di malcontento, quasi di frustrazione, che si risolse in atteggiamenti di recriminazione e di protesta, dei primi, e lo slancio etico dei secondi
che si affacciavano a un avvenire luminoso: tra la grande illusione e le grandi speranze. Mentre al principio
del secolo il rigoglio intellettuale aveva dato voce ad una
cultura di retroguardia, alleata alla reazione politica, ora
la nuova cultura mirava a porsi alla testa di una politica
rinnovatrice. Quel che vi fu di spirito innovatore e in un
certo senso unitario nella Resistenza sopravvisse non tanto nella politica in cui cominci ben presto la frammentazione, la diaspora e il vivere alla giornata, senza mete
generali, ma nella cultura, di cui occorre notare almeno
due tratti generali: a) lallargamento degli orizzonti ben
oltre i confini nazionali, con la conseguente fine del mito
di un pensiero nazionale che il fascismo aveva esasperato
ma non inventato; b) una nuova coscienza del compito
dellintellettuale nella societ.
213
Rispetto al primo punto, occorre ricordare che alla fine della prima guerra mondiale un vero e proprio rinnovamento culturale non cera stato. Al contrario, caduto il
fascismo, il risveglio fu caratterizzato dal desiderio impaziente di esplorare le nuove terre che nel frattempo erano emerse, di saggiarne la fertilit, dal bisogno di un sapere pi positivo. Positivit contro interiorit. Ancora
una volta il nemico da debellare (ma questa volta sembrava debellato per sempre) era lo spiritualismo, cui si
muoveva laccusa di essere stato una filosofia dellevasione o, nella migliore delle ipotesi, quando si era degnata
di scendere dalla cattedra, consolante. Beninteso, lindividuazione di un avversario, persino un po troppo facile, non era ancora lindicazione di una strada. Una catastrofe forse senza precedenti nella storia dellumanit,
come quella che era seguita allavvento del nazismo, aveva messo in crisi la concezione razionalistica della storia cui era approdato lidealismo nella sua ultima incarnazione di storicismo assoluto. Sembrava che si ripetesse il movimento seguito alla dissoluzione della filosofia
hegeliana. Crollata la fiducia nella perfetta adeguazione della ragione alla realt, si erano aperte tre vie: laccettazione dellinadeguazione sino al pervertimento della ragione, ed era la via di Kierkegaard, che sarebbe sfociata nellesistenzialismo; la scoperta che le contraddizioni teoriche non possono essere risolte che praticamente,
ed era la via di Marx attraverso Feuerbach; la rinuncia
a ogni forma di sapere finale, ed era la via dellagnosticismo positivistico. Esistenzialismo, marxismo e positivismo (sotto specie di neo-positivismo, neo-empirismo,
prammatismo) furono le nuove terre emerse nellesplorazione filosofica tra il 1945 e il 1950. Lopera di Karl
Lowith, Von Hegel bis Nietzsche, che era uscita nel 1941, e
pur tradotta soltanto nel 1949 ebbe vasta eco gi intorno
al 1945, aveva interpretato la crisi della filosofia hegeliana come dissoluzione dellultima grande concezione del
214
215
to non di distribuire certezze ma di dare il proprio contributo alla progettazione di un mondo in cui luomo potesse trovare la propria dimora e non fosse pi come uno
straniero o addirittura come un ospite di passaggio.
In quegli stessi anni si costitu in Torino, per ispirazione di Ludovico Geymonat e di alcuni suoi amici scienziati, il Centro di studi metodologici, che nel 1947 pubblic il primo volume di saggi vari, Fondamenti logici della scienza, nel 1950 il secondo, Saggi di critica delle scienze. Lo stesso Geymonat raccolse i suoi scritti di filosofia della scienza in un volume, Studi per un nuovo razionalismo, che reca la data simbolica del 25 aprile 1945: vi
si caratterizza il nuovo razionalismo rispetto a quello tradizionale come critico, costruttivo, aperto, si insiste sul suo carattere metodologico, si difende il contributo della ragione allo sviluppo del conoscere e del fare
umano contro ogni forma ricorrente nei periodi di crisi,
di oscurantismo irrazionalistico. In un articolo del 1951,
La nuova impostazione razionalistica della ricerca filosofica, contrapponendo il nuovo razionalismo metodologico al vecchio razionalismo metafisico, pur riferendosi ai
fondatori della logica moderna, da Frege a Russell, da
Wittgenstein a Carnap, cita Dewey e plaude al programma neoilluministico di Abbagnano come lultima e pi
viva esigenza della filosofia contemporanea269 . La rinascita del marxismo (onde si pu a buon diritto parlare di
una nuova fase del marxismo teorico in Italia tra il 1945
e il 1950) fu preparata attraverso una singolare e in un
certo senso inattesa conversione al materialismo storico
di due filosofi che nel 1945 erano giunti alla toro piena
maturit e non avevano in comune se non una forte insofferenza, peraltro di natura diversissima, per lecclesia
triumphans dellidealismo.
269
Indi compreso nei Saggi di filosofia neorazionalistica, Torino 1953, da cui cito, p. 26.
216
Galvano Della Volpe, proveniente dalla critica dellidealismo hegeliano e dalla scoperta dellempirismo (Hume) che lo aveva fatto a un certo punto imbattere nellesistenzialismo come filosofia del finito, usc nel 1943
con un Discorso sulleguaglianza, libro aspro nella forma
e nella sostanza, in cui con un insolito riferimento a Marx
aggrediva Rousseau, come teorico di un personalismo individualistico, che prolunga la tradizione dello spiritualismo platonico-agostiniano di cui lultima propaggine sarebbe stata letica dellanima bella degli esistenzialisti
(Jaspers e Berdjaev). Nel 1946 pubblic La libert comunista (che riprendeva e concludeva i temi proposti nel
saggio dei 1943 e in un saggio del 1945, La teoria marxista dellemancipazione umana): la critica del personalismo astratto veniva estesa al liberalsocialismo e al revisionismo marxista allo scopo di elaborare attraverso una lettura delle opere giovanili di Marx (rimaste per lo pi sconosciute in Italia) una teoria della libert delluomo totale, liberato dallalienazione attraverso la rivoluzione comunista e riconciliato con la societ non pi atomizzante ma comunitaria. Seguirono a breve distanza aloe opere, quali Marx e lo stato moderno rappresentativo (1947),
Per la teoria di un umanesimo positivo (1949), e Logica
come scienza positiva (1950), attraverso cui si venne formando e diffondendo linterpretazione del marxismo come galileismo morale: la novit della filosofia di Marx
sarebbe consistita nellaver compiuto nelle scienze sociali quella stessa rivoluzione scientifica che Galileo aveva
compiuto nella fisica. Questa interpretazione rompeva
con la tradizione del marxismo italiano che, ricollegando Marx a Hegel, aveva sempre visto la novit della filosofia di Marx nel passaggio da uno storicismo idealistico a uno storicismo materialistico (se proprio lo si voleva
ricollegare alla tradizione italiana, non Galileo ma Vico).
Antonio Banfi, che ancora nel 1945 aveva chiamato
razionalismo critico la propria prospettiva filosofica,
217
pubblic nel 1950 una raccolta di saggi in parte dedicati al marxismo, cui diede il titolo di Luomo copernicano: anche per Banfi, dunque, autore di un libro su
Galileo (1930), Marx portava non a Hegel ma allorigine della scienza moderna, anche se luomo copernicano di Banfi era un Galileo passato attraverso Giordano Bruno, luomo cio che sciolto dallillusione dessere centro e ragione delluniverso e tutto tuffato nella
storia risolve i problemi della condizione umana costruendo con tenacia e fervida fatica il proprio regno libero e progressivo270 . In un saggio del 1950, descrivendo il proprio itinerario mentale dal razionalismo critico
al marxismo, ribad che per uomo copernicano doveva intendersi luomo per cui non esiste pi una provvidenziale destinazione metafisica [...] e che crea nel lavoro il suo mondo e se stesso, lo crea in unattivit collettiva, il cui processo la storia271 . In questa figurazione pi filosofica che metodologica il marxismo diventava, oltre che forma o criterio del sapere storico, storicismo assoluto, ovvero un radicale risolversi di ogni posizione, di ogni categoria, di ogni ideologia nei rapporti
del processo storico272 .
Tra il 1948 e il 1951 apparvero i sei volumi dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci (Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Gli intellettuali e lorganizzazione della cultura, Il risorgimento, Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo stato moderno, Letteratura
e vita nazionale, Passato e presente): linfluenza di queste opere sulla generazione che si venne formando intorno al 50 paragonabile solo a quella di Croce nel primo
decennio del secolo. Ci che fece dellopera di Gramsci
270
A. Banfi, Luomo copernicano, Milano 1950, p. 37 e anche
p. 406.
271
Id., La mia prospettiva filosofica, Padova 1950, p. 49.
272
Id., Luomo copernicano, cit., p. 379.
218
unopera formativa e non solo parenetica o immediatamente politica, fu lessere non tanto una teoria del marxismo, unesercitazione filosofica per filosofi, anche se
Gramsci si serv di Marx riappreso attraverso Lenin per
fare i propri tonti con lidealismo crociano, quanto unutilizzazione e una verifica del metodo marxiano, fatte allo scopo di dare una interpretazione di alcuni punti nodali dello sviluppo della societ italiana dal Rinascimento al fascismo, e di elaborare alcune categorie analitiche
per lo studio della societ e della politica che sarebbero dovute servire come schemi di comprensione storica
ben al di l dei campi in cui egli stesso le aveva applicate,
come classi subalterne, blocco storico, egemonia e
dittatura, societ civile e societ politica, societ regolata, volont collettiva, catarsi, riforma morale e culturale, letterarura nazionale-popolare, intellettuali organici, puri, tradizionali, organizzazione della cultura.
Con Gramsci il marxismo come filosofia pass da un
momento meramente didascalico (essenzialmente dottrinario, anche in Labriola) a quello dellanalisi e della ricerca sul vivo. Ma, quel che pi, il marxismo fu per
Gramsci non soltanto un metodo ma una Weltanschauung,
una concezione del mondo che aveva iniziato intellettualmente unet storica che durer probabilmente dei
secoli, cio fino alla sparizione della Societ politica e allavvento della Societ regolata273 . (Da storicista coerente Gramsci riteneva che anche il marxismo fosse un
fatto storico e quindi unideologia se pure lultima delle ideologie, lideologia che avrebbe messo fine a tutte le
ideologie.) Di questa concezione del mondo mise in rilievo un aspetto che non poteva non suscitare un effetto di stimolo su intellettuali che avevano davanti agli oc273
A. Gramsci, Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce, Torino 1948, p. 75.
219
chi il miraggio di un mondo migliore di quello che avevano lasciato alle loro spalle, da costruire razionalmente:
il marxismo non era soltanto la teoria della nuova societ
(che Lenin aveva attuata, trasformando la teoria in prassi, la scienza in azione) ma anche una nuova cultura, lorganum della rivoluzione politica e sociale e insieme di una riforma morale e intellettuale, anche se
si trattava di una riforma che si sarebbe potuta attuare solo attraverso la rivoluzione. In uno dei brani pi
pregnanti:
La filosofia della prassi il coronamento di tutto questo movimento di riforma intellettuale e morale, dialettizzato nel contrasto tra cultura popolare e alta cultura. Corrisponde al nesso Riforma protestante pi Rivoluzione francese: una filosofia che
anche una politica e una politica che anche una filosofia274 .
220
Ivi, p. 13.
221
Rinnovamento culturale non fu, come si detto, soltanto allargamento di orizzonti, ma anche nuova coscienza del compito dellintellettuale nella societ. Capovolta fu la massima cui si era ispirato nei primi anni del
secolo Croce, per il quale lunico modo di fare politica per un intellettuale di fare cultura, in questaltra:
lunico modo di fare cultura di fare politica, dando il
proprio contributo a trasformare la societ, dal momento che o la cultura serve a trasformare la societ, anchessa uno strumento rivoluzionario, o un inutile passatempo. NellUltima lettera (28 novembre 1943) Giaime Pintor aveva scritto:
277
F. Balbo, Religione e ideologia religiosa. Contributo a
una critica radicale del razionalismo, in Rivista di filosofia,
XXXIX (1948), pp. 105-31, ora in F. Balbo, Opere 1945-1964,
Torino 1966, pp. 223-49. Il brano citato a p. 249.
222
Il 29 settembre 1945 usc il primo numero del Politecnico. Elio Vittorini nel presentarlo, rifiutando la cultura tradizionale, chiedeva una cultura capace di lottare
contro la fame e le sofferenze:
La societ non cultura perch la cultura non societ. E la
cultura non societ perch ha in s leterna rinuncia del dare a
Cesare e perch i suoi principi sono soltanto consolatori, perch
non sono tempestivamente rinnovatori ed efficacemente attuali,
viventi con la societ stessa come la societ stessa vive.
223
neo-illuministico, con funzione rischiaratrice e riformatrice, storicisti ravveduti, vagheggiavano una democrazia europea sul modello anglosassone, antinazionalista e
socialmente progressiva; gli apri, neo-marxisti, comunisti militanti e ortodossi (cedenti nel valore etico-politico
dellortodossia), consideravano la cultura non un privilegio ma un servizio e guardavano con ammirazione alla grande patria della rivoluzione socialista: preferivano
essere macchinisti nella stiva di una nave il cui arrivo in
porto era garantito dal processo storico, che comandanti sul ponte di un vascello fantasma. I primi ebbero il loro maggior organo nel settimanale La Nuova Europa,
apparso nel 1945, che ricevette la propria impronta dalla
assidua collaborazione di Luigi Salvatorelli (che ne era il
direttore) e di Guido De Ruggiero: il quale, raccogliendo
i propri articoli nel volume Il ritorno alla ragione (1946),
ritratt lo storicismo integrale degli idealisti considerandolo come una visione retrospettiva della storia fatta oltre la quale c la storia da fare, il mondo da ricostruire e da rinnovare, e rivalut lilluminismo per attingere
un punto di vista filosofico pi comprensivo280 . Altre
riviste di analoga ispirazione furono Acropoli di Adolfo Omodeo, Il Ponte di Piero Calamandrei, il cui primo numero apparve nellaprile 1945 (sola forse tra le riviste, nata in un clima di entusiasmo tanto intenso, quanto effimero, e viva ancora oggi). I secondi (gli intellettuali organici) si raccolsero attorno alla rivista Societ (il primo numero reca la data gennaio-giugno 1945 ),
ove dichiararono che gli intellettuali, pur essendo il sale
della terra, non costituiscono una classe a s, anzi sono
marginali al costituirsi delle classi, e, pur essendo al servizio della verit e quindi di tutti gli uomini, non sono disciolti dalla realt della situazione. La quale non offriva,
280
e 41.
224
225
226
14
LA DEMOCRAZIA ALLA PROVA
227
228
229
considerato il fascismo come una parentesi, intendevano la continuit come continuit fra lItalia prefascista e
quella post-fascista, gli altri, sia che interpretassero il fascismo come la rivelazione di antiche tare della nostra
societ sia che lo giudicassero come la perpetuazione del
dominio di classe, erano piuttosto propensi a cogliere un
elemento di continuit fra il prefascismo e il fascismo e
a collocare la pi netta cesura fra la fine della dittatura
e linizio della vita democratica, anche se i primi consideravano la costituzione come una promessa che spettava alle forze politiche progressiste di mantenere, i secondi come la prima tappa di una lunga marcia verso il
socialismo.
Per quanto queste diverse interpretazioni fossero
ideologicamente incompatibili, la forza delle cose fu pi
grande delle ideologie, e i diversi gruppi politici che si
erano alleati contro il nemico comune, stringendo fra di
loro un patto di non aggressione reciproca, riuscirono a
trovare le buone ragioni per stipulare quel compromesso
destinato a durare che fu la nostra Carta costituzionale.
Ancora oggi la legittimit dellordine democratico riposa su quel patto di non aggressione, che diede vita al Comitato di Liberazione Nazionale: patto che, nonostante
il contrasto radicale e permanente fra comunisti e cattolici, tra filo-sovietici e filo-americani (in tempi di guerra
fredda e di cortine di ferro), tra rivoluzionari, riformisti
e conservatori, stato rispettato dalluna parte e dallaltra, anche nei momenti di crisi pi gravi (lattentato a Togliatti, luglio 1948, il mancato scatto del premio di maggioranza nelle elezioni del 1953, le agitazioni genovesi
del 30 giugno 1960 contro il governo Tambroni).
Che la Carta costituzionale fosse il prodotto di una
complicata negoziazione in cui, come disse Calamandrei
qualche anno pi tardi, ogni partito, aliquo dato et aliquo
retento aveva rinunciato a una parte del proprio programma per mantenere di esso soltanto quello che anche gli
230
altri partiti avrebbero potuto accettare, s che con la Costituzione era stato scritto il programma di tutti i partiti che avevano fatto la Resistenza284 , apparve sin dallinizio chiaramente agli stessi costituenti, anche se i rappresentanti dei due partiti maggiori, Togliatti e Tupini, avevano inneggiato al compromesso come feconda convergenza dinteressi e di ideali, mentre due rappresentanti di partiti minori285 , Benedetto Croce e lo stesso Calamandrei, avevano visto del compromesso solo laspetto
deteriore, una mirabile concordia di parole e discordia
di fatti (Croce)286 , o il tipico discorso del s, ma... e
del no, per...287 .
Gli ideali democratici furono a ogni modo il cemento
che tenne insieme gli uomini della classe politica che aveva diretto la guerra di liberazione ed era giunta, pur attraverso profondi contrasti, alla elaborazione di una Carta costituzionale approvata alla fine quasi allunanimit.
Da un lato, le destre avevano rinunciato a un impossibile ritorno puro e semplice al passato, dallaltro la sinistra estrema aveva accantonato il programma della dittatura del proletariato, e si era attestata stabilmente su un
programma di democrazia sociale. Non sfugg a nessuno
che democrazia era un concetto dai molti tentacoli. Ma
era ben chiara la distinzione fra democrazia formale e democrazia sostanziale: un accordo di massima era avvenuto sullattuazione della prima subito in cambio di un rin284
P. Calamandrei, La costituzione il programma politico
della Resistenza, in Scritti e discorsi politici, a cura di N. Bobbio,
vol. I, t. II, Firenze 1966, p. 143.
285
Per questi riferimenti vedi E. Cheti, Il problema storico
della Costituente, in Politica del diritto, IV, ottobre 1973, p.
507.
286
B. Croce, Scritti e discorsi politici, Bari 1963, vol. II, p.
367.
287
P. Calamandrei, Chiarezza nella costituzione, in Scritti e
discorsi politici, cit., II, t. I, p. 23.
231
vio della seconda al futuro. Come si disse allora, la democrazia formale era stata istituita con norme precettive, immediatamente in vigore, quella sostanziale era stata iscritta con norme programmatiche che contenevano
direttive per i futuri uomini di buona volont.
Chi ora vada in cerca di testi fondamentali, il cui valore abbia trasceso il dibattito del momento, torner indietro a mani vuote. La convergenza verso il comune
denominatore del programma democratico (democrazia
formale, oggi, democrazia sostanziale, forse, domani) era
stata determinata pi che dalla recezione di una dottrina
compiuta, da ragioni storiche oggettive, di cui la principale era la collocazione politica dellItalia nella sfera delle democrazie occidentali, dove il pensiero democratico
aveva una lunga e ininterrotta tradizione, e da ragioni
soggettive, principalmente la repulsione da parte di chi
aveva vissuto lesperienza del fascismo verso ogni specie di dittatura, compresa la dittatura del proletariato.
Non cera bisogno di costruire grandi castelli teorici per
rendersi conto che il primo compito dei partiti che avevano combattuto insieme il fascismo era quello di ristabilire le condizioni per lo svolgimento di una leale lotta politica, entro il quadro di regole del gioco concordemente
accettate, che rimettevano il giudizio in ultima istanza al
cittadino nuovamente divenuto titolare dei diritti civili e
politici.
A distanza di quarantanni si pu dire che, ancora una
volta, le cose nella loro crudezza o rozzezza o bruta materialit sono state pi forti delle interpretazioni degli ideologi e degli esperti. Quello che avvenne in quegli anni in
Italia fu la continuazione, se pure ad un livello pi alto
di consapevolezza, della contesa per legemonia sullintera societ tra le forze socialiste, ora divise tra socialisti
tradizionali e comunisti, e le forze cattoliche, contesa che
lavvento del fascismo aveva interrotto. sorprendente
che i risultati elettorali del 1946 con il 35 % dei voti al-
232
la democrazia cristiana e il 40% ai due partiti del movimento operaio, il socialista e il comunista, non si discostarono di molto da quelli ottenuti rispettivamente dal
partito popolare e dal partito socialista allora non diviso
nel 1919! Sconfitti erano stati i partiti storici della borghesia, nellurto coi partiti di massa, favoriti dal suffragio
universale e dalla rappresentanza proporzionale.
Naturalmente il compromesso costituzionale, che fu il
risultato di un accordo politico, non soffoc il contrasto delle idee, un contrasto che corrispondeva, se pure non rispecchiandola esattamente, alla divisione delle
forze politiche. Il contrasto fu tanto pi acceso quanto
pi entrarono in campo i filosofi, portatori di concezioni globali del mondo. Oggi il dibattito politico si svolge
sempre pi fra esperti, economisti, sociologi, antropologi, politologi, biologi, specialisti delle varie discipline in
cui diviso il vastissimo campo delle scienze sociali. Allora, la scena su cui si svolsero le grandi battaglie ideali fu dominata dai filosofi: negli Stati Uniti si guardava a
John Dewey, di cui leditore Einaudi tradusse nel 1949,
a cura di Aldo Visalberghi, che aveva militato nel Partito
dAzione, lopera fondamentale, Logica, teoria dellindagine; in Francia glintellettuali di sinistra leggevano e discutevano Sartre e Merleau-Ponty, commentavano la loro rivista Les Temps modernes; i cattolici, che non avevano pi avuto in Italia pensatori originali dopo Rosmini
e Gioberti, sispiravano allumanesimo integrale di Jacques Maritain o al personalismo di Emmanuel Mounier
e della rivista Esprit; in Inghilterra era venuta lora dei
profughi del Circolo di Vienna, a cominciare da Ludwig
Wittgenstein, gi presentato dieci anni prima da Geymonat, e pi in generale della filosofia analitica che aveva in
Alfred Jules Ayer il suo corifeo con il libretto, provocante e per la filosofia accademica italiana piuttosto indigesto, Language, Truth and Logic del 1936; in Germania, la
vera patria filosofica degli italiani tra neo-kantismo lom-
233
bardo e neo-hegelismo napoletano, giganteggiavano lopera di Husserl, di cui si far interprete Enzo Paci, attraverso unoriginale sintesi di fenomenologia e marxismo
che avr la sua pi completa esposizione nellopera Funzione delle scienze e significato delluomo del 1963, e nella
fondazione e direzione della rivista Aut Aut, nata nel
1951, e gli esistenzialisti, Heidegger e Jaspers, in quegli
anni non tanto il primo, la cui fortuna verr pi tardi ed
cresciuta in questi ultimi anni, quanto il secondo, del
quale apparve, nel 1946, La mia filosofia (mentre Sein und
Zeit di Heidegger sar tradotto da Pietro Chiodi soltanto
nel 1953).
Tra le correnti ottocentesche lunica ancora viva e vitale era stato il marxismo, delle filosofie militanti di quegli
anni di gran lunga la pi studiata, commentata, discussa,
vero punto dincontro e di scontro di tutti coloro che cercavano, nella frantumazione delle correnti filosofiche dominanti, a cominciare dallidealismo, un orientamento,
un sistema compiuto da abbracciare o un avversario col
quale misurarsi. Una ricca tradizione di studi marxistici
in Italia cera sempre stata. Mala grande scoperta di quegli anni furono le opere giovanili, pubblicate per la prima volta nella Gesamtausgabe da Riazanov quando in Italia imperava il fascismo: dei Manoscritti del 1844, in cui il
giovane Marx denunciava la disumanizzazione provocata dal lavoro estraniato, e annunziava il comunismo come soluzione dellenigma della storia, furono fatte quasi contemporaneamente due traduzioni, una pubblicata
da Einaudi (Bobbio, 1949) e una dalle Edizioni Rinascita (Della Volpe, 1950). Laltra scoperta fu il pensiero filosofico di Lenin, di cui ben poco si sapeva, anche nella
vulgata delle Questioni di leninismo di Stalin. Non fu trascurato il pensiero sovietico dove il marxismo-leninismo
era da anni la filosofia ufficiale: grande successo ebbe
lopera del gesuita Gustavo Andreas Wetter, Il materialismo dialettico sovietico, pubblicata da Einaudi nel 1948,
234
che esponeva in forma piana e senza sovrapposizioni polemiche il pensiero dei filosofi che avevano interpretato
e commentato il marxismo-leninismo di cui in Italia si
sapeva poco o nulla.
Rotte le barriere del nazionalismo culturale, glintellettuali italiani furono costretti a fare un rapidissimo corso di aggiornamento che ebbe effetti fecondi. Del resto
la filosofia italiana, salvo gli anni fervidi e fertili dellidealismo, che aveva rimesso in onore il pensiero del Rinascimento (Bruno e Campanella) e aveva fatto di Giambattista Vico un anticipatore dello storicismo tedesco, era stata quasi sempre, nellOttocento, una filosofia non originale, aveva importato e imitato idee nate altrove, il positivismo in Francia e in Inghilterra, Kart, Fichte, Hegel,
sino ai loro tardi epigoni, in Germania. Anche Marx e il
marxismo, che pure avevano trovato un interprete originale in Antonio Labriola, ebbero bisogno a un certo momento di essere reinterpretati attraverso Georges Sorel,
che nel suo paese dorigine ebbe sempre pochi e poco
autorevoli seguaci.
Negli anni della ricostruzione lunica opera accolta,
studiata e tradotta, anche al di fuori del nostro paese,
fu quella di Gramsci, specie i Quaderni del carcere. Il che
fu unaltra riprova della preminenza, nel dibattito culturale, del marxismo. Marxisti, se pur con diverse interpretazioni, pi o meno dottrinarie, del pensiero di Marx
e di Engels, erano non soltanto i comunisti, la cui casa editrice cominci a pubblicare le opere dei fondatori, avidamente lette non solo dai giovani dopo un lungo
periodo dinedia, ma anche i socialisti, tanto glintransigenti, come Rodolfo Morandi e Lelio Basso, quanto i
moderati, come Saragat. Il socialismo non marxista di
Carlo Rosselli, e per impulso di Guido Calogero, dellala liberal-socialista del Partito dAzione, era stato e rimase una corrente minoritaria, che conflu in quella che sarebbe stata battezzata Terza forza.
235
I marxisti diedero battaglia su tutti i fronti: una battaglia di retroguardia contro Croce, confortati da Gramsci il cui primo volume dei Quaderni, dedicato alla critica della filosofia crociana, apparve nel 1947, anche se
non giunsero mai a definire Croce, come fece Lukcs in
quel gigantesco pamphlet di La distruzione della ragione (1955, tradotto in italiano nel 1959), come il creatore del sistema dellirrazionalismo per luso borghese e
decadente del parassitismo imperialistico288 . Croce negli ultimi anni (mor nel 1952) era tornato pi volte con
non diminuita veemenza a ribadire le proprie convinzioni circa la debolezza del pensiero di Marx e, per contrasto, linfluenza perversa di questo stesso pensiero nella
sfera dellazione, non risparmiando le critiche a Gramsci, di cui pur riconosceva lalto valore morale, via via
che ne apparivano i volumi di critica filosofica e storica.
Diretto antagonista, invece, faccia a faccia fu lesistenzialismo, che era stato interpretato da alcuni come la filosofia tardiva di unet di decadenza, ed era comunque,
salvo nella versione italiana, proposta da Nicola Abbagnano (il cui libro, Esistenzialismo positivo, apparve nel
1948), una filosofia del disimpegno, del distacco, della solitudine, della finitezza senza riscatto. A un incontro fra marxismo ed esistenzialismo fu dedicato il primo
congresso internazionale di filosofia che si svolse dopo la
guerra in Italia (Roma 1947): non tanto un dialogo, impossibile, quanto un confronto, fra due modi opposti di
concepire la funzione del filosofo; come coscienza, critica per gli uni, inquieta per gli altri, del proprio tempo.
Il confronto allora fin, e non poteva non finire, se non
con la vittoria della filosofia militante sulla filosofia dellinquietudine. Linteresse per lesistenzialismo and via
via smorzandosi, e gli esistenzialisti trovarono il loro po288
20.
236
sto appartato, dignitoso ma inerte, nelle aule universitarie. La filosofia dellesistenza nascer pi tardi, attraverso la resurrezione di Heidegger (Jaspers sar completamente dimenticato), quando, spenti glincendi del 68, e
placati i furori ideologici che li avevano accesi, la polemica ideologica, per naturale e forse salutare reazione, si
attenuer sino a raggiungere il paese felice dove non vi
sar pi n destra n sinistra289 .
Pi lunga e non meno aspra fu la battaglia dei vecchi e nuovi marxisti contro il neo-positivismo, la filosofia analitica inglese, la filosofia del linguaggio, in genere contro le tendenze empiristiche e prammatistiche che
provenivano dal mondo anglosassone, dalla parte degli
altri vincitori. Marxismo ed esistenzialismo, pur nemici mortali fra loro, erano concordi almeno su un punto:
lavversione per ogni forma di filosofia che sollevasse il
sospetto di resuscitare, anche in vesti pi aggraziate, il
cadavere del positivismo. Nella rivista Societ, dove
al neo-positivismo furono fatte le stesse rudi accoglienze che esso aveva trovato nellUnione Sovietica, in un articolo in cui Croce era chiamato senza tanti complimenti commesso della borghesia reazionaria, si riconosceva alla filosofia crociana il merito di aver sgombrato per
sempre il terreno della filosofia italiana dal positivismo
e di averla liberata dai trabocchetti delle deformazioni
meccanicistiche e pragmatistiche del marxismo290 . Questa battaglia dur pi a lungo, perch le filosofie empiristiche, nonostante il disprezzo con cui furono accolte
come espressione della mentalit borghese, non erano,
come era invece stato lesistenzialismo, politicamente irrilevanti: nemiche della rivoluzione in cui non credeva289
Mi riferisco al noto libro di Z. Sternhell, Ni droite ni gauche,
Paris 1983; traduzione italiana Napoli 1984.
290
V. Gessarono, Filosofia americana, filosofia europea, in
Societ, VII (1951), p. 486.
237
no e della restaurazione autoritaria che paventavano, erano orientate verso un riformismo gradualistico, che traeva ispirazione dallInghilterra, sua patria ideale. Ebbero
il loro quarto dora di fortuna (ma fu soltanto un quarto dora) allindomani della crisi dello stalinismo, quando i marxisti ortodossi si riproposero in termini nuovi
il problema dei rapporti fra politica e cultura, e lentamente, ma inesorabilmente, rifiutarono la lotta ideologica a colpi di scomuniche, anatemi, appelli al cielo, onde parve aprirsi lera auspicata ma attesa sino allora invano (e per molto tempo ancora) del ritorno alla ragione. Non a caso in seno a un gruppo dintellettuali di sinistra intransigenti ma indipendenti, come Franco Fortini, Roberto Guiducci, Alessandro Pizzorno, nacque nel
settembre del 1955 una rivista cui fu dato il titolo augurale di Ragionamenti.
Nellopera pi rappresentativa del neo-empirismo,
Praxis ed empirismo di Giulio Preti (Torino, Einaudi,
1957), il nesso tra una certa filosofia e una certa politica era evidente e apertamente dichiarato. Lautore, serio
e lucido, nonostante certe arie da sbarazzino, aveva collegato il nuovo orientamento filosofico con la democrazia, intesa correttamente come quella forma di societ in
cui luomo prende finalmente in mano il proprio destino,
antepone la cultura scientifica a quella umanistica, considera come idea etica fondamentale il contrasto sociale, e
affida il trionfo dei nuovi valori non alla violenza ma alla
persuasione razionale. Il libro non piacque, comera naturale, ai marxisti. Fu anzi loccasione per una caustica
stroncatura del neo-positivismo che pretende di allearsi
con il marxismo, pur puzzando di reazionarismo a mille miglia di distanza, da parte di Cesare Cases, che era
stato il maggior promotore della diffusione del pensiero
di Lukcs in Italia291 .
291
238
Rispetto ai cattolici, nel dibattito le parti furono invertite: non tanto i marxisti dovettero fare i conti col
pensiero cattolico, quanto questi col marxismo. La maggior parte dei filosofi cattolici, professori di universit, soprattutto alla Universit cattolica, non erano politicamente molto impegnati: Augusto Guzzo, Gustavo
Bontadini, Sofia Vanni Rovighi, che pure compare nel
gruppo dossettiano, Umberto Padovani, Cornelio Fabro,
Carlo Giacon, animarono in quegli anni dibattiti filosofici pi che politici, che si svolsero principalmente negli
incontri annuali promossi dal Movimento di Gallarate,
sorto nel 1945. Il pi combattivo e intraprendente, Michele Federico Sciacca, era molto ammirato nella Spagna
di Franco.
Fallito il tentativo di sintesi o di connubio fra marxismo e tomismo, compiuto dalla sinistra cristiana, si svolgeranno per un certo periodo di tempo pubblici dialoghi
fra marxisti e cattolici in una prospettiva pi esplicitamente politica, specie per iniziativa di Lucio Lombardo
Radice, comunista convinto ma non settario, da cui nacque il volume Il dialogo alla prova, pubblicato nel 1964.
Il tema del marxismo come filosofia fu affrontato con
straordinario pathos intellettuale e con eccezionale capacit di ricostruzione storica da Augusto Del Noce in una
serie di saggi o di libri contratti, come li chiam lautore, raccolti nel volume Il problema dellateismo (Bologna, Il Mulino, 1964): considerato lateismo come il termine conclusivo a cui doveva necessariamente e coerentemente pervenire la filosofia moderna, il marxismo viene interpretato come il punto di arrivo non superabile
del razionalismo, come sbocco conseguente e ineluttabile, dal quale quindi non si pu non tornare indietro, dellateismo, come forma secolarizzata del pensiero biblico,
e proprio in quanto tale religione rovesciata, il cui riscatto pu avvenire soltanto in questo mondo attraverso lazione rivoluzionaria che conduce peraltro non alla liber-
239
t, ma allo stato totalitario. Questa critica filosofica radicale del marxismo, che implica il riconoscimento della
sua importanza storica, si congiungeva palesemente alla
critica politica, altrettanto radicale del comunismo. Nellopera di Del Noce il nesso tra filosofia e politica non
solo evidente ma addirittura essenziale.
Ormai era diventato sempre pi difficile distinguere la
filosofia dalla ideologia. Ogni filosofia era portatrice di
sistemi di valori, o anche soltanto di orientamenti pratici,
che miravano non tanto a interpretare il mondo quanto
ad agire su di esso per trasformarlo o per lasciarlo com.
Alla tradizionale concezione della ideologia come filosofia popolare si andava sostituendo la concezione della filosofia come ideologia mascherata. Se si guarda allimpero ideologico del tempo, esso si pu distinguere in tre
regni separati, che sono sopravvissuti senza grandi spostamenti di confini sino ad oggi, ognuno di essi a sua volta diviso in gruppi pi ortodossi o pi fedeli alla tradizione, e gruppi pi mobili, proclivi alle pi diverse aperture e combinazioni. Tra marxismo e pensiero cristiano, i due poli principali di aggregazione anche politica,
ebbe notevole consistenza unarea laica daglincerti confini, ma costituita soprattutto dagli eredi dellidealismo
crociano e dai neo-empiristi, in perenne contrasto fra loro. La quale ebbe anche un esito politico, pur senza una
corrispondenza perfetta con questo o quel partito, nella cosiddetta Terza Forza. Terza nel senso che stava in
mezzo ai due forti rivali, ed era costretta a battersi su due
fronti. Ma anche forza non gi nel senso della quantit, giacch non riusc mai ad avere un elettorato tanto
numeroso da poter fare concorrenza ai due potenti vicini, ma nel senso della qualit e nellinfluenza che esercit non solo nel non lasciar cadere ma anzi nel rafforzare
un sentire liberale e un impegno attivamente democratico che erano, luno e laltro, storicamente estranei alle
culture dominanti da cui erano nati i partiti di massa.
240
241
242
amante delle posizioni nette, che sosteneva senza guardare in faccia a nessuno. Fu direttore per anni della Scuola normale superiore di Pisa, da cui fu rimosso dopo la
vittoria democristiana nelle elezioni del 1948, nelle quali era stato candidato del Fronte popolare. Il proposito
della rivista era di combattere il conformismo, il trasformismo, il mimetismo dei letterati italiani, la pigra e comoda accondiscendenza al padrone di turno, con articoli
di critica e con note e schermaglie, scritte in gran parte da lui medesimo, spesso con feroce schiettezza. Nonostante il sottotitolo rivista di varia umanit, Belfagor fu anche un luogo dincontro di battaglie civili, ispirate a uno storicismo che non disdegn il confronto col
marxismo purch non dommatico, o di maniera o di moda, che stava risorgendo. Nel programma, in cui invitava
i letterati italiani a tornare con rinnovata seriet e pi integra libert agli studi, Russo la present come rivista di
etica politica, non legata ad alcun partito e aliena dalla
scolastica ruminazione di una particolare dottrina (allusione forse al marxismo dei novellini).
Espressione di un socialismo democratico aperto, non
dottrinario, attento ai problemi concreti di una pi civile convivenza nel nostro paese, fu Il Ponte, mensile, di cui Piero Calamandrei fu sino alla morte (dicembre
1956) lanimatore e il principale autore. Sorta nellaprile
1945 a Firenze, stata diretta dopo la morte del fondatore da Enzo Enriques Agnoletti, con una forte passione
civile che la morte (agosto 1985) ha interrotto. Calamandrei vi combatt le sue battaglie democratiche per lattuazione della Costituzione, contro quello che egli chiam lostracismo della maggioranza e contro la legge elettorale del 1953. Per anni la rivista fu il luogo privilegiato dincontro dellintellighenzia antifascista e democratica, dagli uomini della vecchia generazione, come Salvemini e Jemolo, a quelli della nuova, come Paolo Vittorelli, Umberto Segre, Tristano Codignola. Nel fascico-
243
244
tismo, ideologicamente indipendente, se pure allinterno della democrazia cristiana, fortemente convinto che il
partito cattolico dovesse promuovere la democrazia sociale, avversario della politica economica liberale di Einaudi, accettata da De Gasperi, favorevole, attraverso la
collaborazione delleconomista Federico Caff, a una politica economica keynesiana. Nel numero 1 del 1950, in
un articolo intitolato Lattesa della povera gente, seguito da Difesa della povera gente (n. 5-6), La Pira scriveva che costruire una societ cristianamente significa costruirla in guisa che essa garantisca a tutti il lavoro, fondamento della vita, e, col lavoro, quel minimo di reddito
necessario per il pane quotidiano293 .
Tra gli uomini di pensiero e azione nel mondo
cristiano294 , La Pira stato certamente uno dei pi singolari: nato nel 1904, siciliano dorigine, ma fiorentino dadozione, deputato alla Costituente e in successive legislature sino alla morte (5 novembre 1977) sindaco di Firenze quasi ininterrottamente dal 1951 al 1965, un cristiano la cui profonda fede, vissuta anche personalmente con rara coerenza (viveva in una cella del Convento
di San Domenico), non conosce frontiere n ideologiche
n politiche. Considera sua missione stare vicino agli uomini del potere ma non essere mai esclusivamente uno
di loro. Come sindaco di Firenze, agisce pi per impulso umanitario che per calcolo politico quando esprime
la propria solidariet agli operai che hanno occupato le
Officine della Pignone nel 1953, e con quelli delle Officine Galileo nel 1958. Consapevole della minaccia che
293
Cito dalla raccolta postuma di scritti vari, Lattesa della
povera gente, Firenze 1978, p. 28.
294
In questa rassegna tralascio naturalmente di parlare di coloro che hanno svolto la parte preponderante della loro azione
nella vita politica, perch sono stati protagonisti di unaltra storia, da De Gasperi a Gonella, da Fanfani a Moro, da Togliatti a
Nenni.
245
incombe sullumanit nellera atomica, promuove iniziative di pace sia con interventi personali, andando a Mosca e a Santiago del Cile da Allende, in Israele al Cairo,
visitando Hanoi durante la guerra del Viet Nam, sia organizzando convegni internazionali per la pace e la civilt cristiana, e dei sindaci delle capitali del mondo, sino a che nel settembre 1967 viene eletto presidente della Federazione mondiale delle citt gemelle. Guidato da
una concezione profetica della storia e conseguentemente della politica avrebbe incontrato sulla sua strada negli ultimi anni il messaggio di Gandhi della non-violenza
dei forti. I suoi scritti dispersi sono stati raccolti dopo la
morte in alcuni volumi, tra cui Lattesa della povera gente (1978), Le premesse della politica. Architettura per uno
stato democratico (1978 (1978), Il sentiero di Isaia (1979).
Molte e varie le riviste dellarea di Terza Forza, che
si present ben presto in pubblico con due convegni, rispettivamente a Milano il 4 e 5 aprile 1948 e a Firenze il 10 e 11 luglio dello stesso anno295 , con lintendimento, ferma restando la scelta dellOccidente, di raccogliere una specie di partito aperto cui aderissero senza una formale organizzazione repubblicani, socialdemocratici, ex-azionisti, liberali, indipendenti, un partito che
rest sempre unesigenza insoddisfatta, non divent neppure raggruppamento e rimase un movimento dopinione, rappresentato proprio dalla pluralit e variet delle
pubblicazioni periodiche. Tra queste Comunit che
nacque nel marzo 1946 per iniziativa di Adriano Olivetti, diventata nel 1949 organo del Movimento di Comunit; Tempo presente mensile, nata diedi anni dopo, ad
295
Gli atti del Convegno milanese sono stati pubblicati recentemente, a cura di L. Mercuri, Sulla terza forza, Roma 1985.
Vi compaiono vecchi e autorevoli antifascisti come Salvatorelli, Riccardo Bauer, Mario Paggi, economisti come Guido Carli, Giovanni Demarca e Fernando Di Fenicio. Le conclusioni
furono tratte da Ferruccio Parri.
246
247
analizzando senza pregiudizi, senza miti tramandati acriticamente e senza illusioni rivoluzionarie, la societ italiana nella direzione di un possibile incontro fra la cultura liberale pi progredita e quella socialista refrattaria
alle seduzioni delluomo nuovo, mettendo laccento sui
problemi concreti che il paese doveva affrontare per diventare un paese civile piuttosto che su nuovi ismi che
allietano (e turbano) i sonni dei filosofi.
Non sono molti glintellettuali militanti di almeno due
generazioni che non siano passati attraverso le colonne
del giornale: Croce, Einaudi e Salvemini, Carlo Antoni
e Guido Calogero, crociati (o non dimentichi della lezione crociana), come Garosci e Valiani, un anticrociano
intelligente e velenosissimo come Arrigo Cajumi, un giovane storico dellItalia post-unitaria come Giovanni Spadolini, scrittori della nuova generazione come Vittorio
De Caprariis ed Enzo Forcella, accanto a uomini politici
di primo piano come Basso, La Malfa e Riccardo Lombardi. Lispirazione fondamentale della rivista liberale, nella versione pi tradizionalistica di Panfilo Gentile
(che tiene per circa due anni il Diario politico) e in quella pi innovativa di Ernesto Rossi, uno degli scrittori pi
fecondi del gruppo, pugnace, arguto, amante delle idee
chiare e distinte, einaudiano in economia, salveminiano
in politica, i cui libri in difesa della libert economica
e della libert religiosa, Lo Stato industriale (1952 ), Il
malgoverno (1954), I padroni del vapore (1955), Aria fritta (1957), Il manganello e laspersorio (1958), Elettricit
senza baroni (1963), rappresentano una sorta di vademecum per cercare di capire un paese che alleva, nonostante tutto, alcuni pazzi melanconici che combattono per
ideali in cui credono pur non avendo alcuna speranza di
realizzarli, e sono sempre testardamente illuministi e inesorabilmente sconfitti nonch naturalmente scontenti (i
tre partiti della Terza Forza, il socialdemocratico, il repubblicano, il liberale ottennero nelle elezioni del 1953,
248
tutti e tre insieme, il 9 e mezzo per cento dei voti!). Lapprodo politico del giornale fu il centro-sinistra, salutato
come il primo traguardo di una democrazia ormai matura: ma fu una vittoria di breve durata, che rese ancora
pi amara la delusione di chi vi aveva riposto le proprie
(incaute) speranze. Lultimo numero apparve l8 marzo
1966, caduto da due mesi il terzo governo Moro, cui era
successo un governo monocolore della democrazia cristiana (presidente del consiglio Giovanni Leone). Nel
congedo, Mario Pannunzio, che era stato il grande mediatore, scrisse in solenne e alto stile tocquevilliano (Tocqueville era stato una delle fonti dispirazione di De Caprariis): Domina soprattutto, in Italia, la presenza di
un potere radicato e penetrante, di un governo segreto,
morbido e sacerdotale, che conquista amici ed avversari
e tende a snervare ogni iniziativa e ogni resistenza.
Al di fuori dei partiti, degli schieramenti, non legato
a questa o a quella rivista in particolare, ma presente in
molte di quelle citate, fu Arturo Carlo Jemolo, storico e
giurista di professione, moralista per vocazione, e come
tale osservatore attento ed acuto anche di quei fatti minimi che gli storici considerano irrilevanti. Cattolico di
fede profonda e liberale per lunga e maturata riflessione, malpensante comegli stesso si definisce, non crede che le ideologie siano destinate a salvare il mondo.
Per lui la dottrina di salvezza una sola. Se lindividuo
destinato a salvarsi dipender da un rinnovamento morale, che nessuno pu prevedere e tanto meno provocare con qualche ricetta ben confezionata, che lascia spesso il tempo che trova. I disegni della provvidenza sono
infiniti, e dalla stirpe di Caino sono pur nati i profeti, i
santi e uomini di carit e di sapienza. Accanto a un libro
di severa ricerca storica, Chiesa e stato in Italia negli ultimi cento anni (Torino, Einaudi, 1948), pubblic varie
raccolte di scritti occasionali, nei quali lo storico di oggi
potrebbe trovare una cronaca dei principali avvenimen-
249
ti del nostro paese rivissuti in spirito di libert e senza illusioni: Italia tormentata (Bari, Laterza, 1951), Societ civile e societ religiosa (Torino, Einaudi 1959) Questa repubblica (Firenze, Le Monnier, 1978). Nel 1954 pubblica alcune riflessioni su La crisi dello stato moderno (Bari,
Lacerza) in cui scopre e addita le crepe sempre pi visibili dello stato che ha sotto gli occhi, ma non ne vede sorgere uno nuovo e affida le sue tenui speranze a un soffio animatore, a un afflato morale, dal quale soltanto
possono sorgere forme nuove e imprevedibili298 .
Il centro-sinistra aveva posto il tetto su un edificio che
avevi, deboli fondamenta. In realt lappuntamento storico fra cattolici e socialisti avvenne quando i socialisti
rappresentavano una parte soltanto del movimento operaio: nelle elezioni del 1963 i due partiti socialisti insieme avevano ottenuto il 5% in meno dei voti conquistati dal solo Partito comunista in rapida ascesa. Il pi forte dei due partiti era stato ulteriormente indebolito dalla
scissione del PSIUP avvenuta nel gennaio 1964. La sinistra intellettuale era agitata da fremiti di rivolta, sia nei riguardi del tradizionale opportunismo socialista che aveva rinunciato alla propria forza eversiva per entrare nella
stanza dei bottoni (posto che questa esistesse, i bottoni
erano rimasti saldamente nelle mani del partito pi force), sia nei riguardi della tendenza al compromesso dei
comunisti. Ancora una volta lo spostamento verso il centro di una parte del movimento socialista suscitava per
contraccolpo una radicalizzazione a sinistra.
Cos accadde che allinizio degli anni Sessanta, quando ormai la ricostruzione materiale e politica del paese era compiuta, le istituzioni democratiche consolidate, negli anni in cui anche nellordine internazionale si
298
A. C. Jemolo, La crisi dello stato moderno, Bari 1954 p
184. Di notevole interesse il libro autobiografico Gli anni di
prova, Venezia 1909.
250
profilava allorizzonte unera di pace, bruscamente interrotta dalla morte di Giovanni XXIII (giugno 1963), dallassassinio di Kennedy (novembre dello stesso anno) e
dalla defenestrazione di Krusciov (ottobre 1964), affiorano i primi segni di una rinascita della mai spenta, sotto
le ceneri di Gramsci, sinistra extra-parlamentare, che
riprende alcuni dei temi ricorrenti dellantiparlamencarismo: autonomia del movimento operaio, democrazia diretta, consigli operai. Nel 1961 Raniero Panzieri che proviene dallala morandiana del Psi d vita, insieme con alcuni amici, ai Quaderni rossi che possono a buon diritto essere considerati come la matrice teorica della nuova sinistra degli anni sessanta299 , di una sinistra che merce in discussione le tradizionali organizzazioni di classe,
il partito e il sindacato, e si collega direttamente, senza
intermediazioni, alle lotte in fabbrica. Fallito il riformismo che, secondo questa interpretazione del movimento
operaio, non pu non fallire, di nuovo aperta la strada
rivoluzionaria, che parte necessariamente dai luoghi di
lavoro dove lapparente democrazia del sistema politico
contraddetta dal persistente dispotismo allinterno delle fabbriche. Dalla prima scissione dellincipiente Movimento, conseguenza naturale del settarismo dei piccoli gruppi in rivolta, che si moltiplicano, indebolendosi,
nel decennio successivo, nasce una nuova rivista Classe
operaia di Mario Tronti, che nel 1966 scriver Operai
e capitale, uno dei testi fondamentali della contestazione
giovanile che ha inizio nelle universit lanno successivo.
299
Cos Sandro Mancini nella Introduzione a R. Panzieri,
Lotte operaie nello sviluppo capitalistico, Torino 1972, p. VII.
251
15
VERSO UNA NUOVA REPUBBLICA?
252
253
laltro un disegno di riforma, sempre rinviato, sempre respinto. Le uniche riforme che hanno trasformato radicalmente la composizione e lassetto delle nostre universit
furono quelle introdotte a tamburo battente per la spinta
della contestazione, la liberalizzazione degli accessi, che
raddoppi in pochi anni il numero degli studenti, e la liberalizzazione dei piani di studio, che nei primi anni di
libert anarchica favor, specie nelle facolt umanistiche,
superficialit e dilettantismo. Lanno prima della rivolta
degli studenti, che si sarebbero mossi verso loccupazione delle sedi universitarie come se si fosse trattato della conquista del Palazzo dinverno, era apparso un libro
sulla riforma universitaria, trattata da un rigoroso punto di vista tecnocratico, Luniversit come impresa, di Gino Martinoli (Firenze, La Nuova Italia, 1967)302 , ispirato al criterio dellefficienza, che di l a poco sarebbe stato considerato il movente esclusivo e perverso del piano
del capitale.
Negli ultimi anni il tema centrale del dibattito politico, sulla natura, le istituzioni e il futuro della democrazia, era passato dalle mani degli ideologi a quelle degli
studiosi, che della democrazia in generale e della democrazia italiana in particolare analizzavano i meccanismi e
mettevano in evidenza i limiti303 . Nel 1957 usciva il libro di Giovanni Sartori, Democrazia e definizioni, edito da Il Mulino (lanno successivo apparve una seconda edizione), opera di solida cultura universitaria anche
302
Si tratta dellopera di Gino Martinoli, che ha cercato di
applicare alluniversit la tecnica dellorganizzazione aziendale,
mentre il Movimento studentesco avrebbe voluto trasformarla
in una assemblea rivoluzionaria permanente.
303
Tra i precedenti della interpretazione polemica del nostro
sistema politico sono da ricordare gli scritti di Giuseppe Motorini, tra i quali la raccolta di articoli vari, Il tiranno senza volto,
Milano 1963, in cui una sezione intitolata La frode partitocratrica.
254
se non faceva mistero del proprio orientamento ideologico nella direzione della democrazia liberale. Dieci anni
dopo usciva Il bipartitismo imperfetto (Bologna, Il Mulino, 1966) di Giorgio Crolli, che offriva una prima documentata e convincente spiegazione della incompiutezza
del nostro sistema democratico, in cui dei due maggiori
partiti rappresentanti rispettivamente delle due maggiori
sub-culture, quella cattolica e quella socialista, il primo
era sempre al governo, il secondo sempre allopposizione. Questa tesi fu contestata lanno successivo da Sartori
che contrappose alla categoria del bipartitismo imperfetto quella del pluralismo polarizzato, vale a dire di un sistema a molti partiti di cui quelli di centro sono affiancati tanto alla loro destra quanto alla loro sinistra da partiti
fuori del sistema304 .
Nellet che fu chiamata con eccesso di precipitazione ma non del tutto a torto della fine delle ideologie,
erano andati prevalendo gli studiosi sugli ideologi in tutti i campi, dalleconomia, in cui il dibattito sulla pianificazione anim gli anni del centrosinistra, alla sociologia,
in cui si svilupparono studi sulle classi sociali, sui gruppi
di pressione e sui sindacati, sullorganizzazione del lavoro, sul fenomeno nuovo e sconvolgente dellemigrazione interna, in generale sulla trasformazione del paese da
societ prevalentemente contadina in societ industriale.
Lesplosione sessantottesca di ideologie esasperatamente sovversive e catastrofiche deve essere considerata
anche come una reazione giovanile al progressivo adattamento di una societ in trasformazione alletica della
304
G. Sartori Bipartitismo imperfetto o pluralismo polarizzato?, in Tempi moderni, n. 31 (1967), pp. 1-34, ora, insieme con altri scritti sul tema, in Teoria dei partiti e caso italiano, Milano 1982, pp. 7-44. Per una diversa interpretazione del
caso italiano, vedi P. Farneti, Il sistema dei partiti in Italia
1946-1979, Bologna 1983 (edizione inglese, The Italian System,
London 1985).
255
convivenza propria della societ dei consumi e del benessere senza ideali, che era ormai ben diffusa in paesi pi progrediti del nostro: la richiesta dellimmaginazione al potere era una sfida alla banalit del quotidiano
e alla mediocrit del governo giorno per giorno. Come
reazione emotiva a un processo di trasformazione lenta,
profonda e a tempo indefinito, fu insieme irruente e di
breve durata. Ma per quel che riguarda lispirazione etica pi profonda del Movimento, la lotta contro ogni forma di emarginazione sociale, che ebbe uno dei suoi testi
nella Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani,
pubblicata nel maggio 1967, un mese prima della morte,
fu allora che nacque quellonda lunga che oggi arrivata
sino agli ecologi e ai pacifisti.
Della miriade di riviste effimere che il Movimento produsse turbinosamente, quella destinata a vita pi lunga e
culturalmente pi solida (ebbe in Franco Fortini uno dei
suoi maggiori collaboratori) furono i Quaderni piacentini, diretti da Piergiorgio Bellocchio. Nata nel 1962
come rivista di critica di sinistra anticonformistica, accolse dal 1968 in poi scritti provenienti da vari gruppi
extra-parlamentari tra i quali quelli della Freie Universitat di Berlino, e diede voce al movimenta studentesco
italiano con larticolo di Guido Viale, Contro lUniversit (febbraio 1968). La critica delle ideologie tradizionali,
ivi compresa quella del grande partito della classe operaia che sta sprofondando nelle sabbie mobili della societ
capitalistica, procede parallelamente con la critica spietata degli intellettuali come classe che pretende di essere a se stante, e della loro tendenza allautocelebrazione. In uno dei primi numeri era apparsa una nota anonima intitolata Congedo di un intellettuale dagli intellettuali. Paradossalmente, dunque, dallestrema sinistra proveniva quello stesso vento impetuoso destinato ad abbattere il regno dellintelligenza (il cui trono si era rivelato ormai di cartapesta) che soffiava ormai anche dalla spon-
256
257
espropriati, della ricchezza prodotta306 . Contro il dispotismo in fabbrica indica come rovesciamento della condizione esistente lautovalorizzazione operaia, intesa come ogni forma di azione con cui la classe oppressa si riappropria del potere e della ricchezza contro i meccanismi
capitalistici di accumulazione307 . Crede infine con impeto nellattualit della rivoluzione in Italia per germinazione spontanea e nella violenza redentrice308 .
In questa atmosfera di smobilitazione della grande tradizione del pensiero politico ottocentesco, anche la forza
ideale del marxismo fin per estenuarsi. Sarebbe eccessivo parlare di crisi del marxismo, ma una perdita di egemonia ci fu. La sua fortuna era stata strettamente collegata nei primi ventanni al successo non solo italiano dellopera di Gramsci, che fu consacrato nel convegno internazionale che si svolse a Cagliari nel 1968 in occasione
del ventesimo anniversario della morte. Nel 1975 fu presentata a Parigi con la partecipazione di studiosi di vari
paesi la nuova edizione critica in quattro volumi dei Quaderni del carcere, curati con rigore filologico da Valentino Gerracana: il maestro ideale di una generazione di comunisti che aveva dato vita al partito nuovo era ormai
diventato un classico da leggere e da studiare. Negli anni della contestazione ebbe un quarto dora di straordinaria popolarit il marxismo spurio, ma carico di umori
corrosivi nei riguardi della societ capitalistica, di Herbert Marcuse, che proveniva dalla Scuola di Francofor306
Si vedano soprattutto John M. Keynes e la teoria capitalistica dello stato, in AA. VV., Operai e stato, Milano, 1972, pp.
69-100; La fabbrica della strategia. Trentatre lezioni su Lenin,
Padova 1976; La forma Stato. Per la critica delleconomia politica della Costituzione, Milano 1977.
307
A. Negri, Il dominio e il sabotaggio, Milano 1978, p. 38.
308
Arrestato il 7 aprile 1979, scrive in carcere una monografia
su Spinoza, Lanomalia selvaggia, Milano 1981.
258
259
tica e dispotismo economico, non era altrettanto soddisfatta della congiunzione storica, tra collettivismo economico e dispotismo politico. Lo stesso partito comunista,
che aveva criticato nellestate 1968 linvasione della Cecoslovacchia da parte dei carri armati sovietici, attraverso un lento ma progressivo sottrarsi allegemonia dello
stato-guida, giunger alla fine del 1982 con il discorso di
Berlinguer sullo strappo a dichiarare che la spinta propulsiva della rivoluzione dottobre era ormai esaurita.
Affievolito sin quasi alla totale estinzione il potere
ideologico del paese della rivoluzione, larea principale
in cui continu a svolgersi, e si svolge tuttora, il dibattito delle idee, quella comune a tutti i paesi dellOccidente democratico e capitalistico, tra fautori delleconomia di mercato, e di conseguenza dello stato minimo
in conformit della tradizione liberale, e propugnatori di
uneconomia programmata, e quindi di uno stato sociale
che, assumendosi il compito non solo di regolare il traffico ma anche di dirigerlo, non pu rinunciare a porsi
il problema della giustizia distributiva. Anche il dibattito sul marxismo diede particolare risalto al problema del
rapporto fra pensiero di Marx e democrazia. Gli stessi intellettuali comunisti abbandonarono completamente
lidea della democrazia progressiva dincerta interpretazione per non parlare della dittatura del proletariato che
avevano accantonato da tempo, ed erano ormai diventati
pi importanti per tutti lo sviluppo e il perfezionamento
della democrazia reale che non linterpretazione di quello che il padre del materialismo storico e i suoi seguaci
avevano detto o non detto sulla natura della democrazia.
Al Festival nazionale dellUnit di Napoli del settembre
1976 uno dei temi del dibattito fu il pluralismo, la cui
proposta da parte della direzione del partito comunista
stava a dimostrare che non si aveva pi paura di affrontare temi scabrosi: che cosa poteva essere pi del plurali-
260
261
262
che predica la morte dellideologia, donde nasce il progetto, e subito dopo la cruenta pratica, dello spontaneismo armato. Non senza influenza della nouvelle droite francese, guidata da Alain de Benoist, la cui poderosa
summa del pensiero reazionario Vue de droite (1977) viene tradotta nel 1981, a cura di Marco Tarchi, nasce anche in Italia la Nuova destra, che ha come principale organo di diffusione delle proprie idee la rivista Elementi, e promuove convegni di studi politici, da cui escono raccolte di scritti, orientati verso lAl di l della destra
e della sinistra (Roma, Libreria Editrice Europa, 1982) e
Le forme del politico (Firenze, La Roccia di Erec, 1984),
dove lo stesso de Benoist contro liberalismo egualitario
e totalitarismo livellatore riprende il tema tradizionale di
ogni dottrina di destra, linegualitarismo312 .
Allinizio dellultimo decennio, chiuso il periodo dei
torbidi (la strage alla stazione di Bologna dellagosto
1980), con la sconfitta, se pur non definitiva, del terrorismo, specie di quello di sinistra, con i clamorosi arresti del 7 aprile 1979, interrotta, se non bloccata, la politica senza qualit dei governi di transizione con lelezione di Sandro Pertni alla presidenza della Repubblica (luglio 1979) e con il governo del primo presidente del consiglio non democristiano, Giovanni Spadolini nel 1981,
il dibattito teorico sulla democrazia stato ripreso con
rinnovato vigore, ancora una volta in seguito allattrazione esercitata dalleffervescente dibattito che si svolge ormai da tempo in paesi di pi lunga tradizione democratica, specie negli Stati Uniti. Una delle caratteristiche della
societ democratica di essere in continua trasformazio312
Sul movimento, notizie e commenti in Nuova destra e cultura reazionaria negli anni Ottanta, Cuneo 1983, e La destra radicale, a cura di Franco Ferraresi, Milano 1984, che comprende
anche un saggio su Evola (A. Jellamo, Evola, il pensatore della
tradizione, pp. 215-52).
263
ne: si comincia a rendersi conto che le proclamate e paventate crisi sono in realt fasi di transizione e di trasformazione. La democrazia ideale, il governo del popolo e
per il popolo, non mai esistita. Ci che caratterizza una
societ democratica la pluralit dei gruppi economici,
corporativi, politici, in continua concorrenza fra loro, ma
non selvaggia, perch regolata da norme che prevedono procedure prestabilite e unanimemente accettate per
risolvere i conflitti senza ricorrere alluso della forza reciproca. La maggior parte di questi conflitti vengono risolti attraverso patteggiamenti fra le parti e accordi fondati su compromessi continuamente rinnovabili. La societ democratica dunque una societ pluralistica, agonistica, animata dallo spirito della contrattazione continua.
Non stato quindi un caso se il discorso sulla democrazia reale, diversa da quella ideale la cui categoria fondamentale era la sovranit del popolo, pura e semplice inversione della sovranit del principe, e finzione altrettanto astratta, o formula politica, come aveva detto Gaetano Mosca, sia risalito, da un lato, alle teorie contrattualistiche, che stanno alla base del pensiero democratico moderno, dallaltro, abbia avviato una riflessione sullopera di John Rawls, Teoria della giustizia. Apparsa nel
1971, ma tradotta solo nel 1982, essa propone un modello di contratto fra esseri razionali per la costituzione di
una societ fondata sul rispetto delle libert individuali e
insieme mirante a soddisfare lesigenza elementare della
giustizia sociale. molto significativo che uno studioso
della giovane generazione, che pur aveva iniziato i propri
studi da Marx, sia stato uno dei primi commentatori italiani dellopera di Rawls. In una raccolta di scritti uscita nel 1980, dando per definitivamente acquisite la lealt
alle regole del gioco della democrazia, al pluralismo politico, e laccettazione per scelta razionate di un programma politico, scrive che la sinistra democratica, di fronte al collasso dei modelli di socialismo, non solo quelli
264
proposti ma a maggior ragione quelli attuati, deve mirare a una societ razionalmente desiderabile come quella
designata dal neocontrattualismo313 .
Nel 1981 un tentativo di rinnovamento culturale,
compiuto allinterno dellarea comunista con una nuova
rivista Laboratorio politico, non ebbe grande successo, nonostante la dichiarazione programmatica del suo
principale promotore Mario Trono, che dopo aver sostenuto per anni la tesi dellautonomia del politico, annunci lavvento di unet della crisi del politico in seguito alla frantumazione dei luoghi di comando e ammise che nella crisi delle scienze sociali non cera soltanto il marxismo ed era iniziata lera del dopo-Marx314 .
Ma che significa dopo-Marx? Significa, come da parte di una sinistra aperta, non dommatica, non dimentica ma neppure schiava dei sacri testi, si va dicendo, che
cominciata o meglio ricominciata una nuova stagione
propizia al partito, che non mai esistito, delle riforme.
Allo scopo di dare una risposta a questa domanda nasce
allinizio del 198 la nuova rivista Micromega il cui direttore, Giorgio Ruffolo, aveva pubblicato lanno precedente unopera di analisi e di proposta, in cui si consiglia
come antidoto alla deriva corporativa una forte dose di
socialismo liberale315 .
Mentre ferve il dibattito su nuovi modelli teorici per
la democrazia del futuro che sembrano sempre pi attratti dalla sintesi di liberalismo e socialismo, i movimen313
S. Veca, Le mosse della ragione, Milano 1980, pp. XVXVI. Dello stesso autore, successivamente, La societ giusta,
Milano 1982; Questioni di giustizia, Parma 1985; Una filosofia
pubblica, Milano 1986.
314
M. Tronti, Cercare, pensare, lavorare sul politico, in Laboratorio politico, I (1981), n. 1, p. 9.
315
G. Ruffolo, La qualit sociale. Le vie di sviluppo, Bari
1985, p. 289.
265
266
267