di Pierluigi Battista E' sorprendente che la pubblicazione di un libro possa essere interpretata e temuta addirittura come un' ingerenza . E invece, a giudicare dalle reazioni anche di laici non prigionieri del neodogmatismo laicista come Vittorio Foa e Massimo Cacciari, l'uscita del compendio del catechismo della Chiesa cattolica promossa da Benedetto XVI ha fomentato una psicosi da accerchiamento che equipara un libro niente pi di uno strumento di divulgazione dottrinaria a un atto aggressivo di intromissione vaticana nelle cose italiane. Si aggiunga, per acuire l'allarme, la dichiarata volont della Chiesa di tentare una penetrazione modernamente capillare del catechismo, in distribuzione presso autogrill, aeroporti e supermercati. Si consideri inoltre che nel tradizionale schema catechistico articolato su 598 domande e risposte vengono affrontati, oltre al depositum fidei in senso stretto, argomenti che stanno esasperando la polemica politico culturale, dalla critica ratzingeriana al disordine relativista della modernit miscredente, all'atteggiamento nei confronti dell'omosessualit. Tuttavia, resta come un sintomo di ipersensibilit laica il fatto che un atto consueto e finanche scontato della Chiesa cattolica, e cio l'elaborazione di uno strumento agile e conciso a uso dei fedeli, venga considerato come un pericolo, una minaccia, una manifestazione di ostilit e di intolleranza. Come mai? Le ultime vicende, a cominciare dal trionfo astensionista nel referendum sulla procreazione assistita, hanno irritato gli umori laici e drammatizzato il timore per una nuova stagione che si annuncerebbe come un rischio per lo stesso carattere aconfessionale dello Stato. Eppure, per quanto meritoria appaia la battaglia come quella dei radicali di Pannella a presidio della natura laica delle leggi che uno Stato sovrano liberamente si d, a motivare tanta apprensione per un libro il semplicema decisivo assunto secondo il quale una Chiesa sicura di s e forte delle proprie certezze prefiguri un animus intollerante e, dunque, un pericolo per le sorti stesse del pluralismo. Questa versione edulcorata e irenico conciliatoria del dibattito pubblico si fonda per sul pregiudizio che le forti convinzioni e le rivendicazioni orgogliose della propria identit siano in quanto tali ostacoli al dialogo e persino alla convivenza tra fedi e culture diverse. Prevale l'idea che la nettezza delle posizioni significhi il contrario dell'auspicabile comunicazione tra diverse visioni del mondo. Si impone in forme surrettizie la pretesa che il dialogo sia un'eterna mediazione, un incessante stemperarsi, un autodepotenziante infiacchirsi e che, per poter entrare nel novero delle opinioni rispettabili, queste stesse opinioni devono trovare una forma sbiadita e compromissoria. La Chiesa cattolica, piaccia o no, prima con Giovanni Paolo II e adesso con papa Ratzinger, ha fatto una scelta diversa e, anzi, dopo una stagione di problematicit e di dubbio ha deciso senza complessi di giocare la carta di un'identit difesa con intransigenza. Lancia il suo catechismo con spavalderia e con un gusto della sfida che non dovrebbe spaventare chi non ha paura del conflitto di idee aperto e non dissimulato. Invece, anzich accettare la sfida, il mondo laico sembra temere la pubblicazione di un catechismo interpretandola come dichiarazione di una nuova guerra di religione. Con il risultato, talvolta sconcertante, di vedere i laici impegnati a dettare ai cattolici l'agenda che i cattolici dovrebbero seguire ( e addirittura, come pure accaduto in questi anni,
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a interloquire con la Chiesa sul grado di autentica santit dei nuovi santi). Un risultato non esaltante, dal punto di vista degli stessi laici. 14 luglio 2005