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MAURO LEVRINI - 2014

CORSO DI APNEA - BASI DI FISICA


Ritengo sia pi che opportuno fare una rapida carrellata sulle leggi fisiche che entrano in gioco in
immersione e conoscere le basi del funzionamento del nostro organismo, per analizzare e capire le
sue reazioni in un'immersione in apnea. Senza queste basi sarebbe pi difficile capire il significato
delle tecniche illustrate nella parte pratica.
Le leggi fisiche
Il Principio di Archimede
La Pressione
La legge di Dalton
La legge di Boyle e Mariotte
IL PRINCIPIO DI ARCHIMEDE
"Un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l'alto pari al peso del volume di
fluido spostato"
Si parla di "fluido" in generale, perch il principio funziona anche nell'aria (aerostati), ma a noi
interessa l'acqua!
Un corpo immerso in acqua occupa un certo spazio e quindi sposta una certa quantit d'acqua.
Perch alcune cose galleggiano e altre no? abbastanza intuitivo che se il corpo immerso pesa pi
dell'acqua che sposta andr irrimediabilmente a fondo, mentre se pi leggero gallegger... e
gallegger pi o meno sempre in base a questo rapporto. A un oggetto leggerissimo (polistirolo?),
baster una piccolissima parte immersa per pareggiare il suo peso; un pezzo di legno sar imerso
magari per met, cio per quella parte che se fosse acqua peserebbe come tutto l'oggetto. Un blocco
di ferro andr sicuramente a fondo, perch il peso (specifico) del ferro superiore a quello
dell'acqua... ma allora perch le navi galleggiano? Ovviamente perch sono costruite con una forma
che sposta un volume di acqua molto pi pesante di tutta la nave!
In piccolo, disponendo di un contenitore graduato, potremmo verificare direttamente queste
affermazioni.

La spinta di galleggiamento dipende ovviamente dalla densit (peso specifico) del fluido considerato.
Nell'esempio si usato come riferimento lo standard dell'acqua distillata a 4 C, che difficilmente si

trova in natura; da cui si comprende che un'acqua in cui sono disciolti sali minerali, sar tanto pi
pesante quanto pi aumenta la sua salinit cosicch la spinta di galleggiamento in acqua di mare sar
pi forte che in acqua dolce.
Anche se con piccole variazioni soggettive, il corpo umano, con i polmoni pieni d'aria, in acqua ha una
leggera spinta di galleggiamento. Questa spinta aumenter se indossiamo una muta, perch con il
suo spessore aumenter il nostro volume e quindi il peso dell'acqua spostata.

LA PRESSIONE
Esaminiamo il concetto di pressione (P) riferito ai
fluidi.
L'essere umano "progettato" per vivere in un
ambiente terrestre, respirando l'aria in cui
immerso. La Terra circondata dall'atmosfera,
cio dall'aria, che una miscela composta
essenzialmente da Azoto (N - 78%), Ossigeno (O2
- 21%) e il restante 1% di gas rari tra cui il
principale l'Argon ma che possiamo
considerare ininfluenti.
L'atmosfera si pu considerare come la massa
d'aria che ci circonda, per un'altezza di circa 10
km e siccome anche l'aria pesa, al livello del
mare la sua pressione (che sullo stesso punto
agisce in ogni direzione) di circa 10 kg/cm2,
quindi circa 1 kg per km di altitudine. Questo
vuol dire che, salendo di quota la pressione
diminuisce.
Le unit di misura adottate per misurarla sono
molte, a seconda della branca di scienze che le
utilizza di preferenza:
1 atm = 760 mm Hg = 760 torr = 101325 Pa =
1013,25 mbar, ma a parte i mm di mercurio,
utilizzati soprattutto in passato per il riferimento
al barometro, le altre sono praticamente
equivalenti e per comodit di calcolo si assume 1
atm = 1 bar = 1000 hPa.
In acqua succede la stessa cosa, per l'acqua pi pesante dell'aria e ne bastano 10 m per generare
una pressione di 1 bar. Ne consegue che, sommando la pressione atmosferica sul livello del mare, a
10 m di profondit saremo sottoposti a una P assoluta di 2 bar, a -20 di 3 e cos via.

LA LEGGE DI DALTON
"La pressione totale esercitata da una miscela di gas, uguale alla somma delle pressioni parziali che
sarebbero esercitate dai gas se fossero presenti da soli in un eguale volume".

Come abbiamo visto, l'aria una miscela di gas composta essenzialmente da azoto e ossigeno in una
percentuale che per comodit possiamo arrotondare rispettivamente in 80% e 20%. Per quanto
enunciato sopra, potremo dire che a un bar di pressione (cio al livello del mare) l'azoto ha una
pressione parziale di 0,8 bar (800 mbar) e l'ossigeno di 0,2 bar (200 mbar).
Questi valori andranno ricordati quando si valuter come interagiscono in rapporto alla pressione e al
sistema cardio-respiratorio.

LA LEGGE DI BOYLE E MARIOTTE

Espressa dalla formula P x V = K (a temperatura costante, Pressione x Volume = costante),


ovviamente si riferisce a volumi liberi di modificarsi: un contenitore rigido sottoposto a una pressione
continuer a mantenere il proprio volume... almeno fino a quando la sua resistenza meccanica lo
consentir. Proprio per questo medici e scienziati, fino ai primi del '900, ritenevano impossibile
l'immersione umana in apnea al di sotto dei 30 m, perch, valutando la resistenza della gabbia
toracica e i volumi polmonari, prevedevano il suo schiacciamento a quella pressione e la conseguente
morte del subacqueo. Posti davanti all'evidenza che invece molti pescatori di spugne raggiungevano
quote ben superiori, come in greco Haggi Statti, noto per il recupero dell'ancora della nave "Regina
Margherita" con diverse immersioni attorno ai 70 m, i medici approfondirono ( il caso di dirlo!) i loro
studi, arrivando a comprendere uno dei fenomeni pi particolari che coinvolgono l'organismo nelle
discese molto profonde. Si tratta dello spostamento del sangue dalle zone periferiche del nostro
corpo (mani, braccia, piedi, gambe), verso il tronco. Questo movimento di sangue viene chiamato
emocompensazione (blood shift). Questa particolare capacit di adattamento, che accomuna l'uomo
a tutti i mammiferi marini, instaura all'interno del nostro torace una massa liquida incomprimibile
che ne impedisce l'implosione. Il fenomeno riguarda soprattutto immersioni molto profonde, che
coinvolgono solo marginalmente le immersioni ricreative di cui si sta parlando qui.
In generale, comunque, l'aria presente nei nostri polmoni, immergendoci in apnea, subisce l'aumento
di pressione, riducendo proporzionalmente il volume. Per quanto detto prima riguardo alle pressioni
parziali dei gas che compongono l'aria atmosferica, anche queste varieranno nella discesa e
successiva risalita ed bene conoscerne gli effetti dal punto di vista fisiologico, che condizioneranno
di conseguenza anche l'aspetto tecnico dell'imersione.

CORSO DI APNEA - BASI DI FISIOLOGIA


Nel complesso funzionamento dell'organismo, le interazioni fra le varie funzioni e le mutate
condizioni a cui siamo sottoposti in immersione vanno capite per evitare rischi che spesso non sono
immediatamente evidenti. In passato, chi affrontava le attivit subacquee privo delle conoscenze
attuali, spesso incorreva in incidenti anche mortali che la medicina dell'epoca non era nemmeno in
grado di spiegare, quando addirittura non dava indicazioni completamente sbagliate. Ancora all'inizio
del '900 si credeva che la gabbia toracica venisse irrimediabilmente schiacciata a profondit superiori
ai 30m ed era pressoch sconosciuta la manovra di compensazione, con la conseguenza di frequenti
rotture dei timpani.
Ricordando le leggi fisiche descritte nella pagina relativa, vediamo quindi di individuare gli argomenti
da analizzare:

Le conoscenze fisiologiche di base

La respirazione
La circolazione sanguigna
La vista
L'udito
Sincopi e barotraumi

LA RESPIRAZIONE
La respirazione un'azione automatica ma controllabile. Una buona respirazione la base per una
buona apnea.
L'elemento pi importante
per la salute delle cellule
l'ossigeno:
si
pu
sopravvivere settimane senza
cibo, giorni senz'acqua, ma
solo pochi minuti senza aria.
L'ossigeno necessario per
convertire il glucosio in ATP
(adenosina trifosfato), ossia
energia, utile a sua volta per
rimuovere le tossine; infatti,
senza un sufficiente apporto
di ossigeno, il corpo non
riesce ad espellere i rifiuti e il
funzionamento degli organi, il
lavoro muscolare e le funzioni cerebrali sono legate all'apporto di ossigeno che deriva dalla
respirazione.

I polmoni sono contenuti e protetti dalla gabbia toracica e separati dagli intestini dal diaframma. La
contrazione e l'espansione della gabbia toracica e del diaframma variano il volume polmonare,
consentendo la ventilazione.
La ventilazione si caratterizza per volumi e capacit:

Volume corrente Volume di aria inspirato ed espirato durante la normale respirazione;


Volume di riserva inspiratoria Volume di aria che pu essere ulteriormente introdotto dopo una
normale inspirazione;
Volume
di
riserva
espiratoria Volume di aria
che
pu
essere
ulteriormente espirato dopo
una normale espirazione;
Volume residuo Volume
rimanente nei polmoni dopo
l'espirazione massima;
Capacit vitale Volume che
pu essere espirato dopo
un'inspirazione forzata (la
somma di 1, 2 e 3);
Capacit
inspiratoria
Volume che pu essere
inspirato
dopo
un'espirazione normale (la
somma di 1 e 2);
Capacit funzionale residua
Volume di aria rimanente
nei polmoni al termine di
un'espirazione normale (la
somma di 3 e 4);
Capacit polmonare totale
Volume massimo che pu essere contenuto nei polmoni dopo un'inspirazione forzata (la somma
di 1, 2, 3 e 4);

Strutturalmente l'apparato respiratorio composto da:


naso esterno (fosse nasali e cavit nasali);
faringe;
laringe, in cui si trovano le corde vocali;
trachea;
bronchi e bronchioli;
polmoni, costituiti dagli alveoli polmonari;
pleura, formata da due foglietti, viscerale e parietale che sono rispettivamente adesi al polmone
e alla gabbia toracica creando fra di essi una cavit a pressione negativa, contenente il liquido
pleurico, fondamentale per permettere ai polmoni di non collassare e contrarsi e dilatarsi nei
movimenti respiratori.

L'inspirazione avviene per un meccanismo attivo: il diaframma si abbassa e i muscoli intercostali


provocano l'espansione delle costole, determinando un aumento complessivo della capacit della
cavit toracica e di conseguenza una depressione che richiama aria dall'esterno. L'espirazione dova
soprattutto alla componente elastica dei polmoni, che, con il rilassamento dei muscoli intercostali e
del diaframma, li fa tornare al volume di partenza.
La respirazione, quando automatica, (cio involontaria), viene regolata dagli impulsi nervosi che
partono dal bulbo, definito anche midollo allungato, che la parte pi inferiore del Tronco cerebrale
e che a sua volta riceve informazioni da barocettori e chemiocettori presenti nei vasi sanguigni, che
rilevano essenzialmente le concentrazioni di
CO2.
La massa dei polmoni composta da migliaia
di alveoli consente di sviluppare una
superficie di quasi 200 m2 e pu essere
immaginata
come
una
spugna.
All'interno di ciascun alveolo, attraverso le
diramazioni dei bronchioli, arriva l'aria
inspirata e attraverso le sottilissime pareti
alveolari avvengono gli scambi gassosi con il
sangue. Con un processo osmotico legato
alle differenze di concentrazione gassosa,
l'emoglobina dei globuli rossi cede l'anidride
carbonica (CO2) prodotta dalle cellule e fissa
l'ossigeno (O2) presente negli alveoli. Il
limite minimo perch possa avvenire questo
scambio di circa 66 mbar di pressione parziale dell'Ossigeno e questo pu provocare i problemi

descritti nel capitolo di tecnica.

LA CIRCOLAZIONE SANGUIGNA
Appurato che respiriamo per avere a disposizione il prezioso ossigeno che serve al nostro organismo
per sopravvivere... occorre che "qualcosa" lo trasporti e lo distribuisca in tutto il corpo e, gi che c',
raccolga la spazzatura e la porti allo smaltimento! ;-)
Il veicolo il sangue, per mezzo dei
globuli rossi che, tramite l'emoglobina,
possono fissare O2 e CO2 percorrendo
vene e arterie per raggiungere ogni
singola cellula del corpo.
Intanto, definiamo che si chiamano
arterie tutti i vasi sanguigni che
partono dal cuore, muscolo cavo che
funge da pompa, diramandosi in
sezioni sempre pi piccole fino a
diventare capillari (sempre arteriosi)
che, finito il percorso verso la periferia
si trasformano in capillari venosi
ingrandendosi sempre di pi fino a
confluire nelle vene, che sono tutti i
vasi sanguigni che arrivano al cuore.
Detto questo possiamo individuare
due "circuiti" distinti: il grande circolo,
che si dirama in tutto il corpo per
portare il sangue dal cuore verso la
periferia e il circolo polmonare o
piccolo circolo che porta il sangue
"sporco" arrivato al cuore, verso i
polmoni dove, grazie alla respirazione,
viene ripulito (come visto prima,
tramite gli alveoli) e torna al cuore per
ricominciare il giro.
Rispetto al suo contenuto e alla circolazione principale e relativamente pi "visibile" si inizi a
chiamare "sangue arterioso" quello ossigenato che circola nelle arterie del grande circolo e per
contro, "venoso" quello povero di ossigeno e carico di CO2 che torna al cuore nelle vene... per,
rispetto al circolo polmonare il discorso si ribalta, perch le arterie polmonari (che partono dal cuore
per andare ai polmoni) porteranno sangue cosiddetto "venoso" e viceversa le vene polmonari che
arrivano al cuore dopo il passaggio nei polmoni, porteranno il sangue appena ripulito e quindi
tipicamente "arterioso"!
Oltre ai globuli rossi (eritrociti, 4/5 milioni/mm3), il tessuto sanguigno composto anche di globuli
bianchi (fagociti, 7.000/mm3) che si occupano della difesa dell'organismo e piastrine (trombociti,
~300.0003) che hanno la funzione di bloccare le perdite di sangue (emostasi) e contribuiscono alla
sua coagulazione.

Il cuore sicuramente il muscolo pi importante del nostro corpo e lavora ininterrottamente da


prima della nascita fino alla nostra morte, per pompare il sangue e alimentare tutto l'organismo.
Il battito cardiaco un atto involontario e non controllabile, se non in minima parte... anche se si dice
che alcuni santoni, dopo una vita di meditazione trascendentale, possano arrivare a rallentarlo fino a
fermarsi. L'automatismo controllato, come per la respirazione, dai soliti centri bulbari, che
reagiscono a situazioni di stress o impegno fisico, accelerando i battiti per preparare o sostenere un
lavoro muscolare pi intenso. Le reazioni emotive (spavento, rabbia) sono uno stimolo ancestrale alla
fuga o alla lotta (che quindi richiedono energia), mentre uno sforzo intenso o prolungato va
comunque sostenuto per consentire il lavoro muscolare necessario.
Abbiamo detto che il cuore lavora come una pompa e come una pompa provvisto di cavit separate
da valvole che consentono la
gestione indipendente dei due
circoli. La fase di contrazione
(compressione) detta sistole
e quella di dilatazione
(aspirazione),
diastole.
Durante la diastole tutto il
cuore rilassato, permettendo
al sangue di fluire nelle
quattro cavit. Il sangue
confluisce dalle vene cave
nell'atrio destro e dalle vene
polmonari nell'atrio sinistro.
Le valvole atrioventricolari
sono contemporaneamente
aperte e consentono il
passaggio del sangue dagli atrii
ai ventricoli. La diastole dura
circa 0,4 secondi, abbastanza da permettere ai ventricoli di riempirsi quasi completamente.
La sistole comincia con una contrazione degli atrii, della durata di circa 0,1 secondi, che determina il
riempimento completo dei ventricoli. Quindi si contraggono i ventricoli per circa 0,3 secondi. La loro
contrazione chiude le valvole atrioventricolari e apre le valvole semilunari; il sangue povero di
ossigeno viene spinto verso i polmoni, mentre quello ricco di ossigeno si dirige verso tutto il corpo
attraverso
l'aorta.
Una frequenza cardiaca compresa tra 60 e 100 battiti per minuto (bpm) considerata fisiologica; una
frequenza inferiore ai 60 bpm viene chiamata bradicardia; una frequenza superiore ai 100 bpm
definita tachicardia. Non sempre le bradi- o tachicardie sono patologiche (ad esempio tachicardia
fisiologica nell'attivit fisica). Durante il sonno il cuore pompa 5 litri di sangue in un minuto, mentre
durante un'attivit fisica moderata la quantit doppia. Per un'attivit pesante o una vigorosa
attivit atletica si arriva a 20-30 litri al minuto.

LA VISTA
La luce attraversando un mezzo trasparente,
viene deviata proporzionalmente alla densit del
mezzo attraversato (rifrazione). L'aria e l'acqua
hanno due coefficienti di rifrazione diversi pari
rispettivamente a 1 e 1,33 per la cornea del
nostro occhio, a contatto con l'aria, ha lo stesso
indice di rifrazione dell'acqua, ci permette di
deviare i raggi luminosi che colpiscono la cornea,
in modo tale da esseri messi a fuoco sulla retina,
ma se ci immergiamo in acqua, a contatto con la
cornea abbiamo un liquido con lo stesso indice di
rifrazione pertanto i raggi luminosi non
subiscono alcuna deviazione e non vengono
messi a fuoco sulla retina ma dietro di essa.
La maschera subacquea ricrea uno strato di aria
davanti alla cornea, consentendoci una visione
nitida, ma si determina comunqe una certa
rifrazione dovuta al passaggio dei raggi luminosi
attraverso l'acqua, il vetro della maschera e l'aria
da essa incamerata, ci porta a percepire un'immagine pi vicina e ingrandita di circa 1/3.
Oltre alla rifrazione, anche la
diffusione della luce da parte
dell'acqua,
contribuisce
a
peggiorare la visione subacquea e
la
visione
dei
colori

condizionata
dal
fenomeno
dell'assorbimento: la luce solare
penetra con difficolt nell'acqua
e i vari colori si comporteranno in
maniera diversa in rapporto alla
lunghezza d'onda del loro raggio
luminoso; gi dai primi metri si
perde il rosso e in sequenza giallo e verde, oltre i 40 m sar presente solo pi il blu. Solo illuminando
un oggetto con un'altra fonte di luce (un faro subacqueo) se ne potranno vedere i colori naturali.
Chi affetto da disturbi della vista (miopia, presbiopia) necessiter di una maschera ottica, con lenti
appropriate per correggere il difetto, analogamente all'uso degli occhiali nella vita normale. Alcune
dei principali produttori di attrezzature subacquee prevedono maschere di questo tipo per
correggere i difetti pi comuni, altrimenti possibile rivolgersi ad un ottico per far incollare una lente
adatta al vetro interno della maschera.

L'UDITO
Gli orecchi costituiscono l'organo dell'udito. Il fatto che siano due ci consente di distinguere la
provenienza dei suoni, perch il cervello in grado di valutare l'eventuale differenza del tempo di
arrivo dei suoni tra un orecchio e l'altro (milionesimi di secondo) per determinarne la direzione.

Dal punto di vista anatomico l'orecchio suddiviso in tre parti: l'orecchio esterno, costituito dal
padiglione e dal condotto uditivo; l'orecchio medio, che parte dalla membrana timpanica, racchiude
la catena degli ossicini (martello, incudine e staffa) ed collegato al naso e al retrobocca attraverso la
tuba di Eustachio; l'orecchio interno, con l'apparato vestibolare, la coclea e i canali semicircolari.
Dal punto di vista funzionale invece, l'orecchio svolge una duplice funzione: quella uditiva, che ci
permette di sentire e quella vestibolare (dell'equilibrio), che regola gli aggiustamenti degli occhi e del
corpo in rapporto al movimento.
Mentre per la funzione uditiva sono coinvolti tutti i settori dell'orecchio, la funzione vestibolare viene
svolta esclusivamente nell'orecchio interno, dai canali semicircolari e dal vestibolo.

Rispetto all'attivit subacquea, sono importanti


alcune considerazioni legate alle diverse condizioni
ambientali. L'acqua pi densa dell'aria e
l'impulso sonoro si diffonde molto pi lontano e
pi velocemente. L'udito umano adatto a
captare suoni dai 20 hertz fino a 20mila hz, ma
sott'acqua, la capacit uditiva aumenta grazie alla
trasmissione ossea tramite l'osso mastoide,
arrivando, secondo recenti studi, a sentire suoni e
rumori con frequenza pari a 200mila hz
(ultrasuoni).

Abbiamo gi visto nella parte tecnica gli effetti (e i rischi) della pressione sul timpano e le manovre di
compensazione necessarie, ma occorre anche evidenziare che sott'acqua verr meno una delle
facolt dell'udito: distinguere la provenienza dei suoni. In aria, la velocit di propagazione delle onde
sonore di 300 m/sec, mentre in acqua si raggiunge un valore 4 volte e mezzo superiore. Questo
annulla la possibilit di apprezzare una differenza di tempi di percezione da un orecchio all'altro e di
conseguenza la direzione da cui proviene il suono, mentre la maggiore propagazione falsa la
valutazione della distanza dell'origine, basata sui parametri abituali che paragonano la conoscenza
del suono all'intensit percepita.
Ne consegue che, pur essendo in grado di sentire "meglio" i suoni, risulta pi difficile localizzarli e
quindi aumenta il rischio di non percepire correttamente un eventuale pericolo.

SINCOPI E BAROTRAUMI
Pu essere utile conoscere i principali incidenti in cui pu incorrere l'apneista, per il sano principio
del: "Se li conosci li eviti!". Escludendo gli incidenti "meccanici" quali urti contro gli scogli o le barche
in transito, crampi, ingestione accidentale di acqua, contatto con agenti urticanti o pesci pericolosi,
qui analizzeremo solo quelli di natura fisiologica o derivanti dalle variazioni di pressione dovute
all'immersione.

Sincopi
L'incidente classico da apnea la sincope, a cui si gi accennato in altri paragrafi e che qui cerco di
spiegare negli aspetti principali.
Nell'immersione in apnea il subacqueo pu contare soltanto sull'ossigeno presente nel suo
organismo (nei polmoni, nel sangue, nei tessuti) all'inizio dell'apnea. Durante l'immersione,
l'ossigeno gradualmente diminuisce e parallelamente aumenta l'anidride carbonica prodotta
dall'attivit metabolica dei vari tessuti del corpo umano.
Sar proprio il graduale accumularsi di CO2 nel sangue a stimolare i centri bulbari cerebrali preposti
alla respirazione, che a loro volta stimoleranno nel subacqueo la ripresa della respirazione attraverso
le contrazioni diaframmatiche, che per dopo un certo tempo cessano. Queste contrazioni del
diaframma vanno dunque considerate dal subacqueo come un utilissimo campanello d'allarme:
infatti il nostro organismo non pu tollerare tassi troppo elevati di CO2 (ipercapnia) e tassi troppo
bassi di O2 (ipossia). Al di sopra (per la CO2) e al di sotto (per O2) di questi valori si avrebbe la
sincope respiratoria, con conseguente perdita di coscienza, detta appunto sincope da apnea
prolungata. Una sincope di questo tipo normalmente si risolve da sola dopo 30" - 1min, con un
tentativo spontaneo di ripresa della respirazione. evidentemente essenziale che a questo punto ci
sia qualcuno che ci assite, anche solo tenendoci la testa fuori dall'acqua, perch altrimenti questa
inspirazione provocherebbe l'entrata di acqua nei polmoni con conseguente annegamento!
Le cause possono essere principalmente due:

L'effettivo prolungamento dell'apnea


La riemersione da un'apnea in profondit (anche qui comunque troppo prolungata)

Nel primo caso la causa principale quasi sempre l'attuare, prima dell'apnea, una iperventilazione
(respirazione forzata) troppo prolungata. L'iperventilazione pu essere praticata con metodi diversi e
tende comunque ad abbassare il tasso alveolare ed ematico dell'anidride carbonica.
Il sangue quando lascia i polmoni, anche nella normale respirazione, pressoch saturo di O2: di
conseguenza l'iperventilazione riesce ad aumentare di pochissimo la quantit di ossigeno a nostra
disposizione per l'apnea e per questo sono comunque sufficienti pochi atti respiratori profondi.
Continuando l'iperventilazione sar solo la CO2 a diminuire, ritardando l'insorgere degli stimoli
respiratori e riducendo sensibilmente il tempo che intercorre tra l'inizio delle contrazioni
diaframmatiche e la sincope da ipossia.
Nel secondo caso, il meccanismo stato descritto ampiamente nella parte di tecnica, ma ribadisco
che oltre i 10m non il caso di attendere le contrazioni diaframmatiche per iniziare la risalita. La
regola per immergersi in apnea in sicurezza quella di non compiere pi di 4 /5 atti respiratori
profondi ricercando mentalmente la massima tranquillit psicologica. infatti quest'ultimo il fattore
di gran lunga pi importante nel determinare la durata dell'apnea.

Un altro tipo di sincope possibile quella detta "da idrocuzione", cio praticamente provocata da
uno shock termico per l'ingresso improvviso in acqua dopo essere stati al sole o comunque al caldo
per lungo tempo. Non si pu dire che sia strettamente connesso all'attivit dell'apneista, ma
comunque utile conoscere questa eventualit nelle nostre uscite al mare.
Da non dimenticare, comunque, di avere sempre un compagno che veglia sul nostro operato: da
questo ultimo aspetto pu dipendere la nostra vita.

Barotraumi
Si intende barotrauma un trauma fisico dovuto alla pressione. La manifestazione tipica
nell'immersione la rottura del timpano dovuta all'aumento di pressione nella discesa verso il
fondo, non adeguatamente compensata dalle manovre descritte nel paragrafo di tecnica. Da notare
che in caso di difficolt di compensazione per infiammazione della mucosa e presenza di catarro che
ostruisce le tube, l'inconveniente, anche se pi raramente, si pu verificare anche in senso inverso,
cio per estroflessione, se, dopo aver compensato nella discesa, si risale, magari troppo velocemente
e l'aria che era stata spinta a forza nell'orecchio medio non riesce pi a uscire a causa dell'ostruzione.
Una seconda causa pu essere la presenza di una bolla d'aria nel condotto uditivo (orecchio esterno)
che, liberandosi improvvisamente per un movimento della testa, provoca l'ingresso violento di acqua
che battendo sul timpano lo pu sfondare per il cosiddetto "colpo d'ariete".
La rottura del timpano, oltre al dolore, provoca l'ingresso di acqua nell'orecchio medio, con possibili
danni alla catena degli ossicini ed effetti destabilizzanti sull'orientamento e l'equilibrio, con vertigini
anche violente. In questi casi, oltre all'intervento del compagno di immersione (!) utile mantenere il
controllo e sganciare la cintura di zavorra per riacquistare una spinta di galleggiamento che ci riporti
in superficie. Normalmente il timpano si cicatrizza da solo e se non ci sono altri danni l'udito non
dovrebbe subire menomazioni rilevanti, salvo una possibile riduzione a causa di rotture (e
cicatrizzazioni) ripetute che potrebbero irrigidire la membrana.
Altri inconvenienti dovuti alla mancata o difficile compensazione sono i forti dolori alle cavit ossee
del cranio (seni frontali e mascellari) o le piccole lesioni capillari all'occhio o alla pelle all'interno della
maschera, di cui si gi parlato nella pratica.
In ultimo si pu considerare l'eventualit che l'apneista si trovi nella possibilit di prendere aria da un
subacqueo con autorespiratore che lo soccorra in profondit facendolo respirare dal suo erogatore
oppure respiri l'aria rimasta imprigionata sotto la volta di una cavit subacquea. Se poi l'apneista
risale autonomamente, deve ricordarsi che l'aria respirata in profondit, risalendo si espande (legge
di Boyle) e i suoi polmoni NON sono in grado di contenerla! Bisogner lasciar uscire quella in eccesso,
senza trattenere l'espirazione, per evitare lacerazioni negli alveoli con possibili gravissime
conseguenze, quali embolia gassosa traumatica (EGA), danni polmonari e conseguenti emorragie che
possono provocare la morte!
Analogamente si pu verificare l'eventualit (meno prevedibile) di una dolorosa espansione di gas
intestinali o gastrici, dovuti a fermentazioni di un'alimentazione poco corretta, che devono liberarsi
per "via naturale", magari agevolando questa uscita con una favorevole posizione del corpo (a testa
in alto per lo stomaco, viceversa per l'intestino) ;-)
Bisogna dire per che nei brevi tempi dell'apnea difficilmente possono accumularsi quantit di gas
tali da creare reali fastidi.

CORSO DI APNEA - TECNICA


Per comprendere a fondo (!) il motivo di molte delle indicazioni che seguono utile, se non
indispensabile aver acquisito le nozioni teoriche di base di fisica e di fisiologia riportate nelle pagine
precedenti. Lo scopo di puntualizzare su alcuni aspetti della didattica pratica che ritengo
fondamentali, basandomi su 10 anni di esperienza diretta nella conduzione di questi corsi, per dare
qualche consiglio, proporre le mie esperienze e qualche trovata particolare da applicare nella pratica
in piscina
A volte potr sembrare troppo insistente sull'acquaticit e sui movimenti corretti, ma ritengo che
muoversi bene in acqua, soprattutto in apnea, non sia solo una questione di estetica, ma un
elemento fondamentale per avanzare nell'acqua nel modo pi efficace e quindi risparmiare ossigeno
prolungando lo spazio e il tempo a disposizione.
IL CONCETTO DI ALLENAMENTO IN PISCINA
Nei corsi l'attivit principale si svolge in piscina, ma necessario che l'allievo impari ad affrontare e
gestire le situazioni che si presenteranno al mare. Capire i problemi e le difficolt, in un ambito
protetto e controllato, aiuter ad evitare incidenti quando ci troveremo al mare, in situazioni spesso
prive di assistenza e con scarse possibilit di ricevere aiuti
Voglio aprire una parentesi sul nuoto di superficie che quasi sempre si fa in piscina, definendolo
"riscaldamento". In qualsiasi sport il cosiddetto riscaldamento si fa per impegnare gradualmente la
muscolatura, accelerando i battiti cardiaci con un'attivit fisica moderatamente pi intensa, per
aumentare la circolazione del sangue e smaltire meglio il carico di acido lattico che si accumula a
seguito del lavoro muscolare maggiore richiesto dallo sport. Ai fini dell'apnea in s, questo
riscaldamento NON necessario, perch in apnea dovremo cercare di limitare al massimo lo sforzo
muscolare, al fine di ridurre il consumo di ossigeno! Un paio di vasche potrebbero essere utili per
acclimatarsi alla temperatura dell'acqua, ma nulla di pi. Per l'attivit in piscina serve a prepararci
alle immersioni al mare, dove nuoteremo anche per ore per esplorare i fondali e potremmo trovarci
in presenza di correnti e di onde che ci ostacoleranno. quindi utile un certo allenamento muscolare
e un'abitudine all'uso delle pinne, per cui anche queste vasche (spesso noiosissime) hanno la loro
giustificazione... soprattutto quando si fanno usando, appunto, le pinne.
In piscina vanno quindi sviluppate le basi per una buona apnea, che, senza pretese agonistiche,
permettano di ottenere buoni tempi, resistenza e prestazioni che consentano di divertirsi in
sicurezza.
Saranno perci fondamentali le tecniche di base:

Una corretta respirazione

La rana subacquea

Una buona pinneggiata

Una capovolta efficace

Una corretta compensazione

L'attivit subacquea

Un'attrezzatura adatta

LA RESPIRAZIONE
La respirazione un'attivit automatica, ma controllabile. Come si apprende nella teoria, la
respirazione controllata da un sistema di barocettori e chemiocettori che essenzialmente rilevano
la presenza di CO2 nel sangue e in base a queste rilevazioni il centro del respiro, nel cervello, regola la
frequenza e l'ampiezza del respiro. Questo per un meccanismo adatto ad attivit aerobiche, dove
l'apporto d'aria costante e sufficiente a soddisfare le necessit vitali. In apnea, dove la riserva d'aria
quella contenuta nei polmoni al momento dell'immersione e non pu essere rinnovata, sar
necessaria una respirazione costantemente controllata per tutta la durata degli intervalli tra una
discesa e l'altra, al fine di avere sempre condizioni di partenza ottimali per poter prolungare
un'apnea, anche in rapporto allo sforzo sostenuto.
Cercando di descrivere in modo semplice i meccanismi che regolano l'apnea, bisogna innanzitutto
capire che l'iperventilazione, in qualsiasi forma, NON aumenta se non minimamente la disponibilit
di O2 (l'emoglobina, respirando normalmente, gi a livelli di saturazione attorno al 96-98%). Quella
che cambia la percentuale di CO2, che con una ventilazione forzata pu ridursi anche di 1/5,
ritardando cos lo stimolo a respirare. La sensazione del neofita quando afferma che gli "manca il
fiato" gi dopo pochi secondi di apnea dovuta soprattutto ad un cattivo uso della respirazione
prima dell'apnea.
Si disquisito a lungo su forme di iperventilazione e/o respirazione yoga. Probabilmente la
respirazione yoga ottima in preparazione, a secco, per un'immersione sportiva da record, ma le
tecniche yoga relative alla respirazione non sono altro che le tecniche di ventilazione polmonare
ottimali che abbiamo sempre insegnato (io almeno le ho insegnate) prima dell'arrivo di mode
"innovative". Ventilare utilizzando aree polmonari poco interessate nella respirazione automatica,
consentendo un miglior ricambio ed eliminazione della CO2 non un'invenzione orientale! Del resto
ho troppo rispetto per le antiche culture orientali per apprezzare gli scimmiottamenti fatti in
occidente, spesso da autentici ciarlatani. Per contro sono ormai noti i rischi di un'iperventilazione
forzata e prolungata, che riduce troppo i livelli di CO2 ritardando i "campanelli d'allarme" delle
contrazioni diaframmatiche. Io sono abbastanza scettico su queste considerazioni, tutte
correttissime, per carit, ma che mostrano dei limiti se applicate ad un'attivit sportiva di svago. A
mio parere un buon apneista non ha bisogno di "campanelli d'allarme" per capire quando la sua
apnea volge al termine... ha bisogno piuttosto dell'abitudine a una costante consapevolezza e attenta
vigilanza sulle sue condizioni fisiche ed emotive. Nuotando in superficie, mentre si osserva il fondale
per decidere dove e quando immergersi, non c' yoga che tenga e l'unica "tecnica" un respiro
profondo (ma non eccessivamente) e costante, attraverso un aeratore non troppo lungo o troppo
grosso (per non aumentare troppo lo spazio morto), che mantenga buoni livelli di ventilazione e
ricambio nei polmoni, con 3-4 respirazioni pi profonde prima della capovolta.
Anche in piscina, tra un esercizio e l'altro, si consiglia di eseguire quella che chiamiamo "respirazione
alternata". Si tratta semplicemente di respirare, rilassandosi, tenendosi al bordo o alla corsia,
espirando sott'acqua e riaffiorando appena per inspirare. NON deve essere un "esercizio", ma un
momento di recupero in cui importante respirare profondamente e con ritmo, ma quasi pi
importante concentrarsi sul rilassamento dei muscoli, partendo idealmente dalla testa e scendendo
alle spalle, al busto e alle gambe. Mentre si espira dovrebbe diventare abituale rilasciare la
spontanea contrazione dei muscoli, abbandonandosi, con l'unico appoggio della mano che ci sostiene
e senza altri movimenti. Io preferisco fare questa respirazione lasciandomi andare sott'acqua (per la
lunghezza del braccio che mi sostiene) sfuttando cos la compressione di quel metro d'acqua che

aiuta acomprimere l'addome, migliorando la ventilazione. Bastano 7-8 atti respiratori completi e si
riparte! Questo in alternativa alle normali 4 chiacchiere tra una vasca e l'altra... che non sono certo il
modo migliore per prepararsi a un'apnea ;-)
comunque importante considerare alcuni aspetti "collaterali" legati alla corretta ventilazione;
aspetti su cui, secondo me, si fatta molta "letteratura", stabilendo spesso dei dogmi ingiustificati: il
primo relativo agli ultimi metri della risalita, che sono sempre i pi critici per il crollo della pressione
parziale dell'ossigeno, che pu portare alla sincope proprio nella risalita. Di solito si consiglia di
evitare l'ulteriore sforzo di soffiare via l'acqua presente nel boccaglio per ricominciare a respirare.
Questo corretto, ma bisogna valutare se si in una situazione estrema, dopo un'apnea protratta o
se ci sono margini che consentono di farlo. Nel primo caso si sputa il boccaglio, nel secondo non
necessario (e qui ritorna il discorso sulla coscienza di quello che si sta facendo) e sputando il
boccaglio si obbligati a respirare alzando la testa, con la bocca a pelo d'acqua, rischiando che uno
spruzzo di onda ci "affoghi" proprio mentre, finalmente, facciamo il primo bel respiro a pieni
polmoni! Una mia abitudine, collaudata in tanti anni di immersioni, quella di cominciare a espirare
(nell'aeratore) circa 1/2 metro prima della superficie. Questo consente di uscire concludendo
l'espirazione senza sforzo e trovarsi con il tubo vuoto (senz'acqua) pronti per un'immediata
inspirazione.
Un secondo aspetto quello del "recupero" dell'aria espirata per compensare la maschera, che, in
risalita, espandendosi, uscirebbe e andrebbe sprecata. Recuperarla mantenendo una leggera
inspirazione dal naso, negli ultimi metri, forse pi un sollievo psicologico ed possibile solo se non
c' acqua nella maschera, altrimenti si rischia che il rimedio sia peggiore del male. Se usiamo una
buona maschera da apnea, a volume ridotto, la quantit d'aria sprecata irrisoria.
In ultimo e in relazione a questo discorso, apro una parentesi, ispirata alla visione di tante scene
subacquee che siamo abituati a vedere al cinema o nei telefilm. Invariabilmente vediamo subacquei
(o semplicemente gente caduta in acqua) che, mentre sono immersi espirano piccole o grandi
quantit d'aria. Soprattutto nelle scene di lotta o di spasmodiche risalite vediamo esagerate colonne
di bolle uscire dalla bocca di chi gi dovrebbe essere in carenza d'aria, con effetto indubbiamente
drammatico, ma con grande sconcerto di chi sott'acqua ci va davvero. La "respirazione interna" a
livello polmonare, consentita dagli scambi gassosi alveolari, che necessitano di tutta l'aria
disponibile (quella che abbiamo inspirato in superficie). Buttarla fuori una manovra inutile e
pericolosa (sostanzialmente stupida!).
Capisco che il motivo di queste scene risiede nel fatto che gli attori in realt respirano da erogatori
passati (fuori inquadratura) dai subacquei di supporto e quindi non hanno bisogno di economizzare
l'aria, anzi, soprattutto in risalita DEVONO lasciar uscire l'aria in eccesso (per l'aumento di volume di
quella respirata in profondit) ... per rimane l'aspetto "scenico" errato e che potrebbe indurre a
gravi errori chi si trovasse realmente in situazioni analoghe senza le conoscenze pratiche necessarie.

LA RANA SUBACQUEA
Senza le pinne lo stile di nuoto pi efficace e meno dispendioso
la rana. Tralasciando lo stile agonistico, che, privilegiando la
velocit, pi improntato a una forte spinta di braccia, il tipo di
rana, anche di superficie, che si pratica per l'apnea deve sempre
essere improntato all'ottenimento del massimo risultato con il
minimo sforzo. A differenza del nuoto in superficie, dove la
bracciata molto ridotta e serve praticamente solo per dare
l'appoggio per sollevare la testa nella respirazione, sott'acqua la
bracciata completa e la spinta risulta in genere leggermente
maggiore di quella delle gambe a rana. La passata di gambe
comunque deve essere efficace per contribuire all'avanzamento
e diventano importanti le pause, esasperate fino quasi all'arresto,
per risparmiare le energie e prolungare l'apnea.
Una terza cosa, meno appariscente ma altrettanto importante
lottenimento di un assetto perfetto, che consente al corpo di
restare in perfetto equilibrio
idrostatico, consentendo di
rivolgere tutta la forza delle
spinte al solo avanzamento,
senza sprecare energie per
non salire verso l'alto o
raschiare il fondo.
Nelle tre figure si vedono
rispettivamente 1: la partenza
dal bordo, con il caricamento
delle gambe e la spinta. 2:
dopo la pausa, la bracciata
completa, con la successiva
pausa a braccia lungo i
fianchi. 3: il caricamento delle
gambe mentre si portano avanti le braccia, con un deciso colpo di gambe finale e altra pausa distesi.

LA PINNEGGIATA
Sono abbastanza deluso dalla progressiva faciloneria con cui si insegna e la conseguente perdita di
una buona tecnica. Una pinneggiata corretta non solo questione di eleganza, ma permette di
avanzare meglio nell'acqua, riducendo lo sforzo e consentendo apnee migliori. Eppure non vedo pi
istruttori che insistano nel correggere questi movimenti... e quel che peggio che neanche loro
pinneggiano in maniera corretta!

Sono stufo di vedere in acqua quelli che io chiamo "palombari ciclisti" che "scalciano" nell'acqua
muovendo le gambe solo dal ginocchio in gi, dimezzando la resa perch piegando il ginocchio si
porta indietro il tallone, "sfilando" la pinna nell'acqua senza nessuna spinta. Ancor peggio il
movimento con i piedi a martello che zappano inutilmente nell'acqua, ma fortunatamente questo
un difetto che riguarda solo i peggiori autodidatti. Il movimento corretto dunque a gambe tese (ma
non rigide) con i piedi distesi che "pennellano nell'acqua, spingendo in entrambe le passate.
Anche in verticale ridicolo e faticoso "pestare" con un movimento "a bicicletta" che, oltre che
ridicolo a vedersi anche poco produttivo in termini di spinta, perch, alzando il ginocchio (spesso
con il piede a martello, come se si salisse una scala) si provoca una spinta negativa nell'acqua (si tira
verso il basso) e spingendo con la pianta del piede la spinta molto inferiore a quella della pinna
distesa e che effettua il corretto movimento a "pennello" a gambe distese.
In sostanza, in generale, ma principalmente per l'apnea, non serve pinneggiare con forza, ma
pinneggiare BENE!
I vostri istruttori (spero) vi avranno spiegato nella pratica questi concetti e non mi dilungo oltre.
Piuttosto vorrei accennare alla pinneggiata "a delfino" che in apnea molto usata e che, se fatta
bene, ha una resa maggiore, perch si utilizza anche il movimento del corpo, oltre a quello delle
gambe. Bisogna fare attenzione a non esagerare nell'ondeggiamento e trovare il giusto equilibrio per
ottenere un movimento fluido ed efficace, altrimenti il lavoro muscolare diventa eccessivo e vanifica i
vantaggi. Ovviamente meglio utilizzare pinne "lunghe", tipicamente da apnea e il movimento sar
regolato anche in base alla loro maggiore o minore rigidit. L'ideale sarebbe il monopinna, ma qui
entriamo nel campo agonistico, le cui esigenze sono diverse da quelle dell'immersione sportiva.

LA CAPOVOLTA
Chi non sa nuotare ha paura, essenzialmente, di "andare a fondo". Chi si affaccia all'attivit
subacquea, invece, si rende subito conto che, chi pi chi meno, tutti galleggiamo e "andare a fondo"
non cos facile come sembra. L'errore pi comune in questi tentativi e quello di cercare di "tirarsi
sotto" a forza di braccia e, in pi, sbattendo forsennatamente i piedi quando ancora non sono
immersi, schizzando tutti i vicini e... spaventando i pesci! ;-)

La capovolta invece va fatta bene, soprattutto per scendere senza sforzo e quindi senza bruciare
inutilmente ossigeno, che il combustibile per lo sforzo muscolare. Come certo avrete constatato,
quello che spinge il corpo sott'acqua ESCLUSIVAMENTE il peso delle gambe che vengono sollevate
in verticale fuori dall'acqua. Per ottenere questo ci si avvale di un movimento ben preciso detto
"capovolta".
Senza pinne si usa la capovolta in raccolta, con le pinne quella a squadra; in entrambe il primo
movimento da fare , paradossalmente, di sostentamento, con le braccia che spingono (invece di
tirare) da dietro e dall'alto verso il basso e avanti, per dare l'appoggio necessario per effettuare una
semirotazione, rimanendo inizialmente in superficie, e poter distendere le gambe in alto, sulla
verticale del tronco, nel momento in cui quest'ultimo si trover perpendicolare alla superficie con le
braccia puntate verso il fondo. Nella capovolta in raccolta il movimento delle braccia pi
"avvolgente" e parte dal sostentamento in verticale (a rana), con una mezza bracciata in avanti per
aiutare la rotazione del corpo; in quella in squadra (dalla posizione orizzontale) baster
semplicemente portare le braccia distese lungo i fianchi e spingerle, sempre distese, in avanti per
dare l'appoggio al tronco che si piega a 90 gradi. In entrambi i casi, alla fine della rotazione, il tronco
si trover perpendicolare alla superficie e le braccia distese in avanti, sulla stessa linea. A questo
punto il semplice peso delle gambe, sollevate in verticale, sar sufficiente a spingere il corpo
sott'acqua senza altri movimenti e senza sforzo. Appena i piedi (o la pala delle pinne) saranno
immersi, si potr cominciare il movimento di spinta delle gambe (a rana o con la pinneggiata) e la
prima bracciata. Se non si arriva a trovarsi completamente sott'acqua con il solo movimento della
capovolta, vuole semplicemente dire che NON stata fatta bene!

LA COMPENSAZIONE
All'aumentare della profondit e quindi della pressione, tutte le parti comprimibili, sia del corpo sia
dell'attrezzatura, supiscono una riduzione di volume.
Riguardo al corpo tutte le cavit contenenti aria sono
coinvolte. L'effetto pi evidente si ha nel timpano, che si
introflette dolorosamente perch l'aria contenuta
nell'orecchio medio comprimendosi, non si oppone pi
alla pressione esterna in aumento. Anche le cavit (seni)
del cranio (soprattutto frontali e paranasali) subiscono
questa pressione, ma se i canali ossei di comunicazione
tra di loro sono liberi, non ne risentiamo. Per ovviare a
questi problemi si esegue la manovra detta
"compensazione". Fisiologicamente ci pu essere una
maggiore o minore facilit soggettiva a compensare; c'
chi ha la fortuna di avere canali di comunicazione sempre liberi e ampi e chi ha una minore perviet,
ma, in presenza di sintomi da raffreddore e infiammazione delle vie respiratorie, pu risultare
difficoltoso (e doloroso).
La manovra pi banale e comunemente usata (Valsalva, dal nome del medico che usava questa
tecnica per espellere le sostanze purulente dall'orecchio medio in caso di otite), consiste nel tenere
tappato il naso, comprimendo, con la contrazione dei muscoli addominali, una piccola quantit d'aria
come per espirare. Quest'aria, non potendo uscire dal naso, si insinua nelle cavit in comunicazione
col retrobocca (tube di Eustachio) e va a compensare timpano e seni facciali. Presenta il difetto di
coinvolgere un certo sforzo muscolare e polmonare nell'esecuzione. Questo pu essere rischioso in
certe condizioni, ma se si ha l'accortezza di eseguirla senza aspettare di essere al limite del dolore
(con un maggiore divario di pressione da bilanciare) in genere non comporta inconvenienti.
Una manovra un po' pi complessa e difficile da spiegare, che prende il nome da 2 pionieri della
subacquea italiana (Marcante-Odaglia) ed conosciuta a livello internazionale col nome di 'Manovra
Frenzel', sfrutta sia il movimento sia la pressione: la lingua chiude il collegamento con i polmoni,
iniziando un movimento simile alla deglutizione e in seguito fungendo da pompa, verso l'alto, per
esercitare la spinta pressoria verso l'orecchio medio. Anche questa manovra, come il Valsalva, si
effettua con le narici chiuse e, richiedendo un'esecuzione pi elaborata, va imparata con un po' di
pratica.
Passando ora all'attrezzatura, i problemi si concentrano nella maschera, generando il cosiddetto
"colpo di ventosa". Sento con sconforto e raccapriccio che ancor'oggi c' qualcuno che insiste
nell'affermare che il colpo di ventosa avviene in risalita... mentre ovviamente esattamente il
contrario! Forse degli effetti ce ne accorgeremo una volta risaliti, ma l'inconveniente certamente
avvenuto scendendo!! Analizziamo, una volta per tutte, il meccanismo.
Scendendo sotto la superficie anche la maschera soggetta all'aumento di pressione e, disponendo
di un bordo morbido ed elastico, si schiaccia progressivamente sul viso, seguendo la diminuzione
dell'aria contenuta nel suo interno.

Fino a un certo punto (nei primi 2 metri) questa elasticit in genere sufficiente ad ottenere una
pressione interna uguale a quella esterna, ma, esaurita la possibilit di ridurre il volume interno, la
pressione interna rester quella che , mentre quella esterna continua ad aumentare (2). Questa
depressione all'interno della maschera fa s che i fluidi (sangue, muco) del corpo, che comunque
esposto alla pressione esterna, tendano ad essere risucchiati nella maschera, che funge appunto da
ventosa.
Ci pu provocare la rottura dei vasi capillari pi superficiali (dell'occhio o
della pelle, soprattutto dove compressa dal bordo della maschera), che
non provoca gravi conseguenze, ma resta fastidiosa e lievemente
impressionante. comunque evidente che la causa LA DISCESA, perch
in risalita la maschera si allontana dal viso, NON perch una qualche
misteriosa entit la "tira" in fuori, ma perch l'aria al suo interno, aumentando di volume, la spinge a
ritornare alla situazione iniziale. Per essere pi chiari, il fraintendimento probabilmente deriva
proprio dall'accostamento all'immagine della ventosa. Se pensate al comune stura-lavandini, la
manovra che si fa con quella "ventosa" diversa: prima si comprime forzatamente, FACENDO USCIRE
l'aria dai bordi, poi si esercita una forte TRAZIONE MECCANICA dal manico, creando la depressione
che aspira. Dalla maschera, aria NON ne esce, mentre si schiaccia, perch lo schiacciamento dovuto
alla spontanea riduzione del volume interno. Quindi, se scendendo non superiamo il punto di
'autocompensazione', risalendo si ritorna alla condizione iniziale, senza alcun effetto ventosa.
Ovviamente a questo inconveniente si rimedia facilmente soffiando piccole quantit d'aria dal naso
(3) MENTRE SI SCENDE (ma guarda un po' il caso!) e quest'aria "aggiunta" uscir da sola,
espandendosi in risalita e sfuggendo dai bordi della maschera. Per inciso, paradossalmente, questo
significa che in quel momento la pressione interna alla maschera SUPERIORE a quella esterna (e
quindi NON pu creare un effetto ventosa!).
A questo punto qualcuno salta sempre su a dire: "...Sar, ma io resto convinto che succeda in
risalita!" ... Pazienza! La "fede" trascende sempre dalla dimostrazione scientifica! :-/

L'ATTIVIT SUBACQUEA
Applicando le conoscenze teoriche descritte nelle pagine dedicate a fisica e fisiologia, vedremo che
nella discesa in profondit, la pressione dell'acqua che agisce su tutta la superficie corporea
determina la riduzione di volume di tutte le cavit deformabili contenenti gas, principalmente la
cavit toracica, che si riduce con l'innalzamento del diaframma e la compressione delle costole.
Interviene poi un meccanismo (detto blood-shift) che aumenta la concentrazione di sangue a livello
alveolare, contrastando lo schiacciamento... ma questo un discorso che riguarda profondit
notevoli e che qui non interessa approfondire.
L'aumento
della
pressione
esterna,
nell'immersione,
si
traduce in un aumento della
pressione dell'aria alveolare e cio
delle singole pressioni parziali dei
gas che la compongono (Legge di
Dalton). Tralasciando l'azoto,
l'aumento di pressione parziale di
O2 non potr che consentire il
mantenimento della saturazione
di ossigeno del sangue per un
periodo pi lungo mentre
l'aumento della CO2, da valori
iniziali minimi, sar poco influente
e aumenter in rapporto al lavoro
muscolare nel tempo trascorso
senza ricambio. Teoricamente
quindi, ad una certa profondit,
l'apnea potrebbe prolungarsi pi
che in superficie... ma bisogna
risalire per respirare! Qui si
nasconde il pericolo maggiore,
perch risalendo, diminuisce la
pressione esterna e quindi anche
quella parziale dell'O2. Da 10 m
alla superficie si dimezza! Gli
scambi alveolari sono possibili fino
a una pressione parziale di circa 66 mbar, quindi un valore che sul fondo poteva essere ancora
sufficiente allo scambio tra alveoli e sangue, dimezzandosi interrompe l'ossigenazione del sangue e,
negli ultimi metri della risalita, pu provocare una sincope. Purtroppo non ci sono regole fisse e le
nostre condizioni fisiche non hanno parametri costanti, quindi solo l'attenzione continua,
l'allenamento e l'esperienza possono indicarci quando il momento di risalire. Le contrazioni
diaframmatiche possono essere un utile 'campanello d'allarme', ma non sono un elemento affidabile
e soprattutto non il caso di attenderle se ci troviamo a profondit elevate, perch sono il sintomo
del raggiungimento di un limite che in una lunga risalita verr sicuramente superato. Per dare un
riferimento numerico (indicativo) se il valore di Pp O2 iniziale pu essere di 180 mbar, scendendo a 10

m (e considerando il consumo per farlo) supponiamo arrivi a 300 mbar. Rimaniamo sul fondo un
certo tempo e consideriamo che scenda a 120... ancora pi che sufficiente agli scambi alveolari
(fino a 66), ma se a questo punto risaliamo (consumandone un altro po') questo valore crolla
rapidamente a 50, un livello insufficiente all'ossigenazione alveolare.
Ma torniamo alla pratica...
Appena scesi sotto la superficie, in apnea, il problema principale muoversi con il minor dispendio di
energie (quindi minor consumo di ossigeno). Gli obiettivi possono essere la semplice esplorazione o
l'esecuzione di un qualsiasi "lavoro" subacqueo. Nel primo caso si cercer di coprire la maggior
distanza possibile ottimizzando pinneggiata e assetto per ottenere il miglior risultato con il minimo
sforzo. La pinneggiata sar lenta e ampia (un po' pi ampia che in superficie) oppure a delfino. Se
vicini al fondo si dovr fare attenzione a non sollevare, con la pinneggiata, nuvole di sedimenti che
diminuiranno la visibilit (soprattutto a chi eventualmente ci seguir). Nel caso si debba eseguire un
lavoro specifico (spedare un'ancora, recuperare qualcosa), l'attenzione sar rivolta a raggiungere
velocemente il punto su cui operare e valutare quanto prolungare la permanenza, in rapporto alla
profondit, allo sforzo da sostenere e alle condizioni soggettive del momento. A volte, trattenersi
pochi secondi in pi, pu essere molto rischioso per quanto detto prima.
Dal punto di vista della sicurezza si insiste giustamente sulla necessit di non essere mai da soli,
consiglio spesso disatteso soprattutto da chi pratica la caccia subacquea, ma fondamentale per
evitare gran parte dei rischi. Vorrei puntualizzare comunque su alcuni aspetti di questa procedura:
prima di tutto, se ci si immerge in coppia, le discese vanno alternate. Mentre uno scende l'altro lo
controlla costantemente dalla superficie, approfittando della pausa per recuperare con una
ventilazione corretta e facendo attenzione soprattutto agli ultimi metri della risalita del compagno. Si
dice spesso che i due apneisti 'devono' avere le stesse prestazioni, ma questo, secondo me, non
fondamentale (anche se aiuta), in quanto la maggior parte degli incidenti avvengono appunto in
risalita. Piuttosto importante curare l'assetto, che deve essere sempre leggermente positivo. A
corpo libero questo avviene naturalmente, ma se si indossa una muta o un corpetto bisogner
regolare l'eventuale zavorra in modo da mantenere comunque una spinta leggermente positiva gi
da almeno 3 m di profondit. Considerando che, con lo schiacciamento, la galleggiabilit della muta si
riduce scendendo, SE si dispone di una buona capovolta, preferibile un buon galleggiamento in
superficie, che risulta anche riposante nelle pause.
Se si deve effettuare un lavoro faticoso, come spedare un ancora, meglio farlo in pi riprese,
piuttosto che prolungare uno sforzo e poi trovarsi in debito di ossigeno. Una prima discesa per
valutare il da farsi, poi le successive per eseguire il lavoro. Se si deve fare uno sforzo meglio trovare
un appoggio stabile con i piedi sul fondo. Se si deve portare un peso in superficie, spesso meglio
assicurarlo con una cima e recuperarlo da un mezzo di appoggio invece di fare sforzi pericolosi per
risalire a forza di pinne.

L'ATTREZZATURA
Per la zavorra (che si pu anche non usare) ritengo sufficienti le considerazioni fatte prima: va tarata
(di volta in volta) secondo il proprio galleggiamento, che varia in relazione all'uso di una muta, ma
anche dell'acqua in cui ci si immerge: dolce, salata (e di differente salinit).
Una capovolta ben fatta permette di scendere senza sforzo anche con un buon galleggiamento
iniziale e quest'ultimo aiuta a non affaticarsi nel nuoto di superficie (e quindi a recuperare meglio).
Ovviamente deve avere un sistema di sgancio rapido! Quello che ho sempre usato io una
vecchissima fibbia della Tigullio (che non ho pi visto in commercio) che permette, con un semplice
movimento del pollice, uno sgancio veramente immediato e senza scorrimento della cintura nella

fibbia. Ce n' anche un modelo pi recente (della Poseidon) che consente anche una regolazione
istantanea della lunghezza, ma, utilizzando in apnea mute pi sottili e non superando i 20m la
compressione non rende necessarie queste regolazioni, per cui l'ho destinata alle immersioni con le
bombole. La sostanza che questi tipi di fibbie danno una maggiore sicurezza di poter essere
sganciate velocemente.
Per inciso... non mi e mai capitato di avere
necessit di sganciarla! ;-)
Vediamo l'attrezzatura
maschera... e coltello.

di

base:

pinne,

Le pinne sono preferibilmente lunghe, con la


calzata a scarpetta. Le pinne lunghe implicano
una pinneggiata meno ampia e un po' pi
veloce rispetto a quelle pi corte, perch la
spinta incrementata dalla flessione e
dall'elasticit della pala. necessario un po' di
allenamento per evitare l'insorgere di crampi.

La maschera dovr essere a ridotto volume interno. Evitare assolutamente le tipiche maschere da
"bombolari", con grandi vetri, spesso anche laterali, che danno la sensazione di una migliore visibilit,
ma comportano grossi volumi da compensare. Per evitare che la maschera si appanni i vetri (interni)
dovranno innanzi tutto essere ben puliti.
Abbondano i consigli su cosa usare come antiappannante:
una patata tagliata, il dentifricio, appositi spray (questi li
escluderei, perch possono essere irritanti) ... secondo me
il metodo migliore rimane quello della propria saliva! Si
sputa nella maschera PRIMA di bagnarla, si sparge la saliva
su tutta la superficie interna del vetro (ho visto gente che
sputava sull'esterno dei vetri!), si sciacqua ed fatto!
Bisogna considerare che anche la differenza di temperatura
facilita la condensa. Se si accaldati e ci si immerge in
acque fredde pi facile l'appannamento. quindi meglio "rinfrescare" anche il viso prima di
indossare la maschera. Collegato alla maschera importante l'aeratore. Diametro grande (~2,5 cm),
boccaglio morbido, curva di raccordo flessibile. Su quest'ultimo aspetto vorrei spezzare una lancia a
favore del tanto criticato corrugato. Io ho sempre usato quello! Se rimane un po' d'acqua, si ferma
nelle pieghe del corrugato; quando ho usato quelli lisci, spesso quel po' d'acqua mi finiva
direttamente in gola! ;-)
Il coltello... Non serve per epiche lotte con gli squali e non un vezzo da "macho". Non si usa quasi
mai, ma se rimaniamo impigliati in una lenza o in una
rete pu salvarci la vita! Ovviamente deve essere
affilato come un rasoio (un coltello che non taglia un
pezzo di ferro inutile!). Va fissato preferibilmente al
polpaccio, c' chi dice che meglio all'interno ( meno
facile che si impigli in qualcosa), ma io ritengo sia pi
difficile raggiungerlo (ed estrarlo) quando serve e lo tengo all'esterno.
L'ultimo importante elemento dell'attrezzatura il pallone segnasub. A parte il fatto che richiesto
per legge, svolge due importantissime funzioni: segnalare la nostra presenza in acqua ad eventuali
imbarcazioni in transito e fornire un punto di appoggio e galleggiamento in caso di difficolt.
Bisogna purtroppo osservare che la dilagante ignoranza di chi va per mare sempre la causa
principale degli incidenti. Ogni anno si registrano morti e feriti colpiti dalle eliche di motoscafi,
nonostante i segnali e le cautele di chi si immerge. Spesso non si riconosce (o non si vede) la boa
segnasub o addirittura si passa tra la boa e il nuotatore, agganciando la cima di collegamento con la
deriva o il piede dell'elica! Per questo motivo il capo della cimetta andrebbe tenuto in mano e non
fissato al polso o alla cintura.

Esercizi "strani"
Nel corso degli anni, spinto dalla "noia" di macinare vasche su vasche in apnea, abbiamo elaborato
qualche variante e qualche "stranezza" per gli esercizi in piscina. Ce ne sono alcuni che sicuramente
avranno utilizzato anche altri, senza bisogno di suggerimenti:
Percorsi con maschera oscurata. Aiutano a vincere l'apprensione e a concentrarsi sulla posizione e
l'orientamento. Servono anche a verificare se spingiamo pi con una gamba che con l'altra... in

questo caso, invece di andar dritti, si faranno deviazioni inconsapevoli. La maschera oscurata si
ottiene semplicemente coprendo l'interno del vetro con nastro isolante.
Capovolte con la tavoletta. Si utilizza una normale tavoletta in polistirolo per nuoto e serve ad
ottimizzare la capovolta (sia a squadra con le pinne, sia in raccolta, senza). Per riuscire a vincere la
spinta di galleggiamento della tavoletta e immergersi, la capovolta DEVE essere perfetta! La
superficie della tavoletta pu essere usata come timone per impostare il corretto assetto di discesa.
Nuoto subacqueo con la tavoletta. Fatta la capovolta, o meglio, partendo dal bordo sfruttando la
superficie della tavoletta per immergersi, muovendola come se si volesse raccogliere una palata di
sabbia davanti ai piedi, si pu iniziare a nuotare in orizzontale. Brevi tratti possono anche essere fatti
anche a corpo libero, ma sono particolarmente stancanti. Anche qui, pi che nella capovolta, la
superficie della tavoletta aiuter (come un'ala) a contrastare la spinta di galleggiamento. Se sar facile
muoversi in orizzontale avanzando veloci, sar impossibile non venire a galla se si rallenta troppo!
Per l'esercizio a cui sono pi affezionato e del quale penso di poter rivendicare la paternit quello che
ho chiamato scherzosamente " caccia alla cernia".
Piccolo inciso: ai tempi in cui era pi in voga la caccia subacquea, la cernia era impropriamente detta
"pesce assassino" per la quantit di subacquei morti nel tentativo di estrarla dalla tana in cui
l'avevano colpita. Nella foga e nello sforzo di recuperare il pesce colpito, incastrato in qualche
anfratto, si rimaneva quei secondi di troppo che poi portavano alla sincope. Questa circostanza,
aggiunta al fatto che i cacciatori spesso si immergevano da soli, gelosi dei loro siti e delle "loro" tane,
provocava spesso tragici incidenti.
Ma veniamo all'esercizio.
Si fa in squadra. Maggiore il numero
dei partecipanti e pi semplice sar.
L'ideale in 4: in 3 molto faticoso (e
dura poco) in 5 si smette per "noia",
ma se qualcuno interrompe prima
diventa subito pi impegnativo.
L'obiettivo portare una tavoletta
(polistirolo) sul fondo e trattenerla
alternandosi nelle discese per dare il
cambio a chi la tiene. essenziale una
buona
coordinazione
e
il
mantenimento di una tempistica costante. Chi trattiene la tavoletta sul fondo non deve essere
costretto a farlo per pi di 10" (parlo di 5 m, se la profondit inferiore l'esercizio ha meno senso). La
difficolt (oltre che in una buona tecnica di base) sta nel fatto che i tempi di recupero tra una
capovolta e la successiva sono minimi. Naturalmente necessaria anche una buona logistica negli
spostamenti e negli scambi, per non intralciarsi e non farsi scappare la... "cernia"! ;-))
Secondo quanto sperimentato, oltre a coinvolgere il gruppo in una specie di gioco impegnativo,
abitua a ragionare in termini di squadra, a collaborare e a sincronizzare e ottimizzare i movimenti, ma
soprattutto a concentrarsi sulle tecniche migliori per migliorare i risultati e diminuire i rischi.
Inizialmente, quando non c' ancora una buona preparazione, si pu "addomesticare" la cernia
sostituendo un peso alla tavoletta e quindi eliminando gran parte dell'impegno fisico per
concentrarsi sui tempi e il sincronismo. ;-)
BUON DIVERTIMENTO!!!

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