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Appunti sparsi in occasione della presentazione del libro di LUCIANO Curreri 'Solo sei parole per Sciascia'
[Giovedì 28 Maggio, presso booq, in vicolo della neve all'alloro].
Appunti sparsi in occasione della presentazione del libro di LUCIANO Curreri 'Solo sei parole per Sciascia'
[Giovedì 28 Maggio, presso booq, in vicolo della neve all'alloro].
Appunti sparsi in occasione della presentazione del libro di LUCIANO Curreri 'Solo sei parole per Sciascia'
[Giovedì 28 Maggio, presso booq, in vicolo della neve all'alloro].
Abbiamo letto, di soppiatto, il saggio multiplo di Curreri sulle
sei parole sciasciane, avendo avuto il compito di contrabbandarlo a chi avrebbe dovuto avere il ruolo, assieme ad altri, di accompagnare lautore nella presentazione del libro, qui a booq. Non avevamo da lungo tempo riletto Sciascia, essendone stati, per, lettori, sebbene saltuari, in anni passati. Ci manca quindi una lettura organica, e forse non ci siamo nemmeno mai posti delle domande avendo gi relegato Sciascia nell archivio del gi visto, in mezzo alle ultime polemiche degli anni 80. La prima domanda che vorremmo porre allautore del saggio se esista o se sia possibile ricostruire attorno allopera sciasciana un pensiero forte. Siamo consapevoli, nel chiedere questo, che il percorso sciasciano costellato di prese di posizione e forse anche di puntigli, in particolare se si guarda alla sua attivit di polemista ma, al di l di questo, quello che sembra emergere limitando il nostro sguardo a sorvolare quello che di Sciascia abbiamo letto il delinearsi di un metodo. Un metodo di ricerca che quello di scandagliare la realt, magari attraverso la storia o le storie, applicando, a tratti, una sorta di indagine poliziesca di cui per non si viene mai capo, di cui non si scopre mai lassassino. Daltronde Sciascia rifugge la ricerca sistematica ed assume lo smarrimento del percorso, nel percorso, come metodo, cos come sottolinea Curreri citando Sciascia: Si intenda lo smarrirsi e il non vedere una strada come un cercarla e farsela [ CURRERI, Leggerezza, pg. 85]. Questo metodo non sembra mai essere arido e mi pare che, in fondo, dappertutto, segua una traccia, ossia che alla fine una bussola ci sia ed la ricerca continua, da parte di Sciascia, di una giustizia negata, una giustizia il cui filo si perde sempre, ed come se lo scrittore avesse il compito, vano, di inseguire questo filo, di rendere evidente il senso di una giustizia smarrita.
I luoghi dellingiustizia sono tanti, troppi e percorrono la
Storia. E il simbolo perenne di questa ingiustizia insolvibile, Curreri mi pare lo accenni nella prima parte del libro [CURRERI, Zolfare, pg. 42], un macro organismo vivente, unimmagine mitica e filosofica del potere, richiamata dallo stesso Curreri, il Leviatano. (La stessa immagine che, per destino,
abbiamo ritrovato in questi giorni nel bel film del regista russo Andrei Zvyagintsev (Il Leviatano, 2015).
Ci chiediamo, dunque, questo il percorso sciasciano?
E questa perenne denuncia che tende rendere visibile il Leviatano, questa volta in senso hobbesiano, come rimarca Curreri, ossia come costruzione interna ed esterna alla societ degli uomini che, alternativamente, fascismo, Democrazia Cristiana, oppure mafia; un presidio interno ad ogni uomo che diventa coscienza comune, di piccole o grandi comunit. E questa volta s, lo possiamo dire: ideologia. Unideologia, che rappresentazione vivente di un potere pervasivo. Unideologia contro la quale possibile una sola forma di resistenza: altruismo e socievolezza come atti singoli di solidariet (due sostantivi usati in [CURRERI, Zolfare, pg. 42],: sono, un esempio per tutti, i legionari fascisti di Antimonio che rifiutano di fucilare i prigionieri e lo fanno di nascosto, con un sotterfugio. Senza compiere alcun atto politico, senza alcuna abiura esplicita del fascismo, cos come non cera nessun atto politico nelladesione al fascismo ed alla milizia: uno aderisce perch spera dalla Spagna di tornare in America e laltro per campare la famiglia. Tornando alla domanda iniziale, ovvero se ci sia un pensiero forte nella letteratura sciasciana, e se, conseguentemente, (conseguenza arbitraria di cui mi assumo ala responsabilit!) si possa parlare, nel caso di Sciascia di letteratura impegnata Curreri ci rimanda ad una nota [ CURRERI, Corpo, nota 5, pg. 66] in cui si riporta il testo di unintervista rilasciata in francese. A tale proposito Sciascia afferma che la nozione di letteratura impegnata gli estranea in quanto il significato che le si attribuisce riferito alla letteratura politica o partitica. Rivendica quindi il suo metodo, ossia la ricerca e lanalisi dei fatti, come uneredit dellIlluminismo, stabilendo un filo di continuit tra Voltaire e Zola. 3
Ecco la definizione del metodo: Suivez avec attention tous ce qui
survenait dans le monde. Non un caso per che Curreri, dopo aver citato un dialogo del Candido di Sciascia, dove vengono messi a confronto Marx Lenin vs. Hugo Gorky , confronto in cui gli scrittori hanno la meglio [ CURRERI, Corpo, pgg. 66-67] sui padri del comunismo, sembra circoscrivere meglio il punto dinteresse riportando un passo di Luperini (1978) in cui ci si riferisce alle ideologie come a strutture sterili e ripetitive, laddove, sottolineerei, queste siano mere espressioni burocratiche (ah ! come mi mancano!) e che bisognava mirare alla vita, al corpo per superare lalienazione e la reificazione. (E qui Curreri riallaccia Zola a Sciascia.) Ma quello che salta agli occhi a proposito di Candido di Sciascia un elemento cronologico, secondo me non trascurabile: quel libro fu finito di scrivere il 3 ottobre del 1977. Un anno cruciale. La domanda sarebbe se Sciascia nello scrivere Candido abbia risentito del clima di quellanno particolare fino a farne il perno di quel racconto. E non (mi auguro) una domanda a caso: Curreri associa la parola corpo al Candido di Sciascia. Ad un racconto in cui lessere comunista del protagonista del racconto un fatto istintivo che coinvolge la sfera delle emozioni. Il comunismo per Candido era insomma qualcosa che aveva a che fare con lamore, anche col fare allamore, etc. E noto che una delle caratteristiche del Movimento del 77 sia stata linsistenza su una concezione psico-fisico della politica ossia il bisogno di comunismo ovvero la teoria dei bisogni. Un bisogno di appagamento totale, non solo di giustizia sociale, ma anche di rivoluzione sessuale, e addirittura di diritto al soddisfacimento di desideri borghesi e di appagamento al proprio desiderio di benessere. Giusto un esempio, la canzone di Alberto Radius Nel ghetto (1977): () io non ho cultura ma non voglio stare male che si arrangi chi ha paura del caviale e bruciare tutto non sempre cos brutto 4
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Un rifiuto netto veniva esercitato anche nei confronti di una
certa visione del rigore che in termini di politica economica si riconduceva al rifiuto della politica dei sacrifici ed alle politiche dellausterit che quel Movimento non accettava. Insomma, Sciascia colui che segue con attenzione ci che accade non credo ignorasse la teoria delle due societ (ASOR ROSA, Forme nuove di anticomunismo, LUnit, 20/02/1977) espressa da Asor Rosa che qualche verit riusciva a coglierla. A. Rosa sostiene che la teoria dei bisogni nasce da una spaccatura tra due realt sociali, due societ, appunto. Asor Rosa sostiene che il Movimento del 77 non cerca di influenzare il blocco storico di riferimento del Pci e del sindacato, si tratta di capire che la lotta non pi per imporre una diversa ipotesi politica alle stesse masse (come poteva avvenire per i gruppi storici della Nuova Sinistra) ma tra due societ diverse. Una la classe operaia organizzata, estesa e sindacalizzata, a cui il Pci faceva riferimento e laltra sono le fasce marginali ed emarginate cresciute nelle periferie, magari contigue alla prima, ma con bisogni e condizioni oggettivamente diversi, fino a costituire un soggetto politico contrapposto senza alcuna proposta di alleanza. Fino alla cacciata di Lama dallUniversit, quale simbolo di quella prima societ, senza esitazioni o complessi nel cercare lo scontro con il servizio dordine della Cgil. Asor Rosa sostiene che non si vuole distinguere tra chi dirige lorganizzazione e chi diretto (ossia loperaio organizzato), si tratta di un unico blocco con cui scontrarsi. Di questo per Sciascia non si occupa in modo diretto indugia piuttosto nellanteporre la critica allipocrisia del partito burocratizzato da parte di un esponente di una forma di spontaneismo comunista, chiamiamolo cos. Uno spontaneismo che A.Rosa, probabilmente, avrebbe definito anticomunismo. Eppure quella particolare forma di adesione spontanea, e direi fisica, al comunismo era una componente di quel Movimento, era parte integrante di quela seconda societ. Se solo se ne avesse voglia basterebbe sfogliare un libro di diversi anni fa, Care compagne, cari compagni , ossia una raccolta delle lettere che i compagni scrivevano a Lotta Continua, (obiettivamente il quotidiano pi sensibile alle 5
tematiche emergenti tra i giovani del Movimento) durante il 77.
Venne pubblicato lanno dopo. Citiamo a caso il titolo di una lettera: Esiste un modo comunista di voler bene? () Noi crediamo che essere comunisti significhi porsi, perlomeno, il problema di esserlo in tutto. E non crediamo che <<siccome la societ borghese, solo quando faremo il comunismo (= paradiso terrestre ?) i rapporti sentimentali cambieranno>> ma che le due cose siano strettamente legate e che debbano camminare parallelamente. La lotta, la costruzione del comunismo anche un modo diverso di vivere e di stare insieme firmato Gioacchino e Daniela (AA.VV.,Care compagne, cari compagni, Edizioni coop. giornalisti Lotta Continua 1978, pg. 206) Rosso Malpelo 26/05/2015