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Appunti sciasciani [*]

[in occasione della presentazione del


libro di LUCIANO Curreri
'Solo sei parole per Sciascia'

Gioved 28 Maggio, presso booq, in vicolo della neve all'alloro ]

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Un post per Rosso Malpelo


13 agosto 2015

Abbiamo letto, di soppiatto, il saggio multiplo di Curreri sulle


sei parole sciasciane, avendo avuto il compito di contrabbandarlo
a chi avrebbe dovuto avere il ruolo, assieme ad altri, di
accompagnare lautore nella presentazione del libro, qui a booq.
Non avevamo da lungo tempo riletto Sciascia, essendone stati,
per, lettori, sebbene saltuari, in anni passati. Ci manca quindi una
lettura organica, e forse non ci siamo nemmeno mai posti delle
domande avendo gi relegato Sciascia nell archivio del gi visto,
in mezzo alle ultime polemiche degli anni 80.
La prima domanda che vorremmo porre allautore del
saggio se esista o se sia possibile ricostruire attorno
allopera sciasciana un pensiero forte.
Siamo consapevoli, nel chiedere questo, che il percorso
sciasciano costellato di prese di posizione e forse anche di
puntigli, in particolare se si guarda alla sua attivit di polemista
ma, al di l di questo, quello che sembra emergere limitando il
nostro sguardo a sorvolare quello che di Sciascia abbiamo
letto il delinearsi di un metodo.
Un metodo di ricerca che quello di scandagliare la
realt, magari attraverso la storia o le storie, applicando, a
tratti, una sorta di indagine poliziesca di cui per non si
viene mai capo, di cui non si scopre mai lassassino.
Daltronde Sciascia rifugge la ricerca sistematica ed assume
lo smarrimento del percorso, nel percorso, come metodo, cos
come sottolinea Curreri citando Sciascia: Si intenda lo smarrirsi e
il non vedere una strada come un cercarla e farsela [ CURRERI,
Leggerezza, pg. 85].
Questo metodo non sembra mai essere arido e mi pare che,
in fondo, dappertutto, segua una traccia, ossia che alla fine una
bussola ci sia ed la ricerca continua, da parte di Sciascia, di
una giustizia negata, una giustizia il cui filo si perde sempre,
ed come se lo scrittore avesse il compito, vano, di
inseguire questo filo, di rendere evidente il senso di una
giustizia smarrita.

I luoghi dellingiustizia sono tanti, troppi e percorrono la


Storia. E il simbolo perenne di questa ingiustizia insolvibile,
Curreri mi pare lo accenni nella prima parte del libro
[CURRERI, Zolfare, pg. 42], un macro organismo vivente,
unimmagine mitica e filosofica del potere, richiamata dallo
stesso Curreri, il Leviatano. (La stessa immagine che, per destino,

abbiamo ritrovato in questi giorni nel bel film del regista russo Andrei
Zvyagintsev (Il Leviatano, 2015).

Ci chiediamo, dunque, questo il percorso sciasciano?


E questa perenne denuncia che tende rendere visibile il
Leviatano, questa volta in senso hobbesiano, come rimarca
Curreri, ossia come costruzione interna ed esterna alla
societ degli uomini che, alternativamente, fascismo,
Democrazia Cristiana, oppure mafia; un presidio interno ad
ogni uomo che diventa coscienza comune, di piccole o
grandi comunit. E questa volta s, lo possiamo dire:
ideologia. Unideologia, che rappresentazione vivente di un
potere pervasivo.
Unideologia contro la quale possibile una sola forma
di resistenza: altruismo e socievolezza come atti singoli di
solidariet (due sostantivi usati in [CURRERI, Zolfare, pg. 42],:
sono, un esempio per tutti, i legionari fascisti di
Antimonio che rifiutano di fucilare i prigionieri e lo fanno
di nascosto, con un sotterfugio. Senza compiere alcun atto
politico, senza alcuna abiura esplicita del fascismo, cos
come non cera nessun atto politico nelladesione al
fascismo ed alla milizia: uno aderisce perch spera dalla
Spagna di tornare in America e laltro per campare la
famiglia.
Tornando alla domanda iniziale, ovvero se ci sia un
pensiero
forte
nella
letteratura
sciasciana,
e
se,
conseguentemente, (conseguenza arbitraria di cui mi
assumo ala responsabilit!) si possa parlare, nel caso di
Sciascia di letteratura impegnata Curreri ci rimanda ad
una nota [ CURRERI, Corpo, nota 5, pg. 66] in cui si riporta il testo
di unintervista rilasciata in francese. A tale proposito Sciascia
afferma che la nozione di letteratura impegnata gli
estranea in quanto il significato che le si attribuisce
riferito alla letteratura politica o partitica. Rivendica quindi il
suo metodo, ossia la ricerca e lanalisi dei fatti, come uneredit
dellIlluminismo, stabilendo un filo di continuit tra Voltaire e Zola.
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Ecco la definizione del metodo: Suivez avec attention tous ce qui


survenait dans le monde.
Non un caso per che Curreri, dopo aver citato un dialogo
del Candido di Sciascia, dove vengono messi a confronto Marx Lenin vs. Hugo Gorky , confronto in cui gli scrittori hanno la
meglio [ CURRERI, Corpo, pgg. 66-67] sui padri del comunismo,
sembra circoscrivere meglio il punto dinteresse riportando un
passo di Luperini (1978) in cui ci si riferisce alle ideologie
come a strutture sterili e ripetitive, laddove, sottolineerei,
queste siano mere espressioni burocratiche (ah ! come mi
mancano!) e che bisognava mirare alla vita, al corpo per
superare lalienazione e la reificazione.
(E qui Curreri riallaccia Zola a Sciascia.)
Ma quello che salta agli occhi a proposito di Candido di
Sciascia un elemento cronologico, secondo me non trascurabile:
quel libro fu finito di scrivere il 3 ottobre del 1977. Un anno
cruciale. La domanda sarebbe se Sciascia nello scrivere
Candido abbia risentito del clima di quellanno particolare
fino a farne il perno di quel racconto.
E non (mi auguro) una domanda a caso:
Curreri associa la parola corpo al Candido di
Sciascia. Ad un racconto in cui lessere comunista del
protagonista del racconto un fatto istintivo che coinvolge la sfera
delle emozioni. Il comunismo per Candido era insomma
qualcosa che aveva a che fare con lamore, anche col fare
allamore, etc.
E noto che una delle caratteristiche del Movimento del
77 sia stata linsistenza su una concezione psico-fisico della
politica ossia il bisogno di comunismo ovvero la teoria dei
bisogni.
Un bisogno di appagamento totale, non solo di giustizia
sociale, ma anche di rivoluzione sessuale, e addirittura di diritto al
soddisfacimento di desideri borghesi e di appagamento al proprio
desiderio di benessere.
Giusto un esempio, la canzone di Alberto Radius Nel ghetto
(1977):
() io non ho cultura
ma non voglio stare male
che si arrangi
chi ha paura del caviale
e bruciare tutto
non sempre cos brutto
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come leggi il giorno dopo


sul giornale

Un rifiuto netto veniva esercitato anche nei confronti di una


certa visione del rigore che in termini di politica economica si
riconduceva al rifiuto della politica dei sacrifici ed alle politiche
dellausterit che quel Movimento non accettava.
Insomma, Sciascia colui che segue con attenzione ci
che accade non credo ignorasse la teoria delle due societ
(ASOR ROSA, Forme nuove di anticomunismo, LUnit, 20/02/1977)
espressa da Asor Rosa che qualche verit riusciva a coglierla.
A. Rosa sostiene che la teoria dei bisogni nasce da una
spaccatura tra due realt sociali, due societ, appunto.
Asor Rosa sostiene che il Movimento del 77 non cerca di
influenzare il blocco storico di riferimento del Pci e del sindacato,
si tratta di capire che la lotta non pi per imporre una
diversa ipotesi politica alle stesse masse (come poteva
avvenire per i gruppi storici della Nuova Sinistra) ma tra due
societ diverse.
Una la classe operaia organizzata, estesa e sindacalizzata, a
cui il Pci faceva riferimento e laltra sono le fasce marginali ed
emarginate cresciute nelle periferie, magari contigue alla prima,
ma con bisogni e condizioni oggettivamente diversi, fino a
costituire un soggetto politico contrapposto senza alcuna proposta
di alleanza. Fino alla cacciata di Lama dallUniversit, quale
simbolo di quella prima societ, senza esitazioni o complessi nel
cercare lo scontro con il servizio dordine della Cgil. Asor Rosa
sostiene che non si vuole distinguere tra chi dirige lorganizzazione
e chi diretto (ossia loperaio organizzato), si tratta di un unico
blocco con cui scontrarsi.
Di questo per Sciascia non si occupa in modo diretto
indugia piuttosto nellanteporre la critica allipocrisia del partito
burocratizzato da parte di un esponente di una forma di
spontaneismo comunista, chiamiamolo cos. Uno spontaneismo che
A.Rosa, probabilmente, avrebbe definito anticomunismo.
Eppure quella particolare forma di adesione spontanea, e
direi fisica, al comunismo era una componente di quel Movimento,
era parte integrante di quela seconda societ.
Se solo se ne avesse voglia basterebbe sfogliare un libro di
diversi anni fa, Care compagne, cari compagni , ossia una
raccolta delle lettere che i compagni scrivevano a Lotta
Continua, (obiettivamente il quotidiano pi sensibile alle
5

tematiche emergenti tra i giovani del Movimento) durante il 77.


Venne pubblicato lanno dopo.
Citiamo a caso il titolo di una lettera: Esiste un modo
comunista di voler bene?
() Noi crediamo che essere comunisti significhi porsi,
perlomeno, il problema di esserlo in tutto. E non crediamo che
<<siccome la societ borghese, solo quando faremo il
comunismo (= paradiso terrestre ?) i rapporti sentimentali
cambieranno>> ma che le due cose siano strettamente legate e
che debbano camminare parallelamente. La lotta, la costruzione
del comunismo anche un modo diverso di vivere e di stare
insieme
firmato Gioacchino e Daniela
(AA.VV.,Care compagne, cari compagni, Edizioni coop. giornalisti
Lotta Continua 1978, pg. 206)
Rosso Malpelo
26/05/2015

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