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Disputa su Mancuso e dintorni

Intorno alla teologia di Vito Mancuso

1. Il “fenomeno” Vito Mancuso

Chi è Vito Mancuso, l’uomo che ha riportato la teologia dai polverosi scaffali di qualche facoltà te-
ologica al centro del dibattito pubblico?
Vito Mancuso è nato a Carate Brianza nel 1962. Ha conseguito il baccellierato in teologia presso la
Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano, la Licenza presso quella dell’Italia meridionale
di Napoli, dove ha potuto studiare con mons. Bruno Forte, la cui produzione teologica ha indubbia-
mente influito sulla sua riflessione. Infine ha conseguito alla Lateranense di Roma il Dottorato in
Teologia. A Roma ha studiato con mons. Piero Coda la teologia hegeliana, discutendo una tesi che
sarà pubblicata con il titolo “Hegel teologo e l’imperdonabile assenza del Principe di questo mon-
do” da Piemme, nel 1996. Attualmente insegna teologia presso la facoltà di Filosofia
dell’Università Vita e Salute – San Raffaele di Milano-Cesano Maderno.
Mancuso è divenuto molto noto in Italia nel 2007, pubblicando presso Raffaello Cortina, Milano, il
fortunato saggio “L’anima e il suo destino”. Aveva tuttavia già avuto modo di farsi conoscere con
l’importante studio su Hegel, che ho menzionato, e soprattutto con un suo lavoro originale, ai miei
occhi anche più interessante e profondo de “L’anima e il suo destino”: mi riferisco a “Per amore.
Rifondazione della fede”, edito da Mondadori (Milano), nel 2005. Più recentemente ha pubblicato,
sempre con Mondadori (Milano), “Disputa su Dio e dintorni”, una conversazione con Corrado Au-
gias intorno ai temi della fede cristiana. Il suo ultimo saggio è “La vita autentica”, uscito presso
Cortina, sempre nel 2009.
Mancuso ha riscosso un notevole successo di pubblico perché nei suoi libri si propone di affrontare
problemi che stanno a cuore ad ogni uomo: perché c’è il male nel mondo, che cos’è l’anima, cosa ci
aspetta dopo la morte etc. Tutti questi temi purtroppo non sono affrontati dalla maggior parte dei te-
ologi. Un libro che si proponga di affrontarli da un punto di vista scientifico e ragionato non può
non incontrare il favore del pubblico: in qualche misura copre una lacuna del mercato. A Mancuso
bisogna poi riconoscere una certa cultura e una facilità di scrittura che rende piacevole la lettura dei
suoi scritti: elementi che certamente hanno giovato al loro successo. Non sempre le citazioni che
riempiono i suoi libri sono corrette ed è frequente il fraintendimento degli autori riportati, ma pro-
babilmente i lettori chiudono un occhio su questo particolare.
Nonostante questi pregi, che hanno decretato il successo delle opere di Mancuso, alcune voci auto-
revoli hanno avanzato più di un interrogativo circa la ortodossia degli scritti del teologo milanese e
sulla loro compatibilità con la rivelazione.
Il primo a muovere una velata critica è stato il cardinale Carlo Maria Martini, amico personale di
Mancuso e autore di una prefazione a “L’anima e il suo destino”. Il cardinale riconosce i meriti di
Mancuso (“hai avuto un bel coraggio” gli dice Martini “a scrivere dell’anima, la cosa più eterea, più
imprendibile che ci sia, tanto che si giunge a dubitare che essa esista”1), eppure riconosce che le sue
affermazioni “non sempre collimano con l’insegnamento tradizionale e talvolta anche con quello
ufficiale della Chiesa”2. Nel breve spazio della prefazione il cardinale non sviluppa una critica delle
tesi di Mancuso, né evidenzia quali siano le affermazioni del teologo che non sono compatibili con
l’insegnamento della Chiesa. Tuttavia Martini si augura che “anche coloro che non saranno
d’accordo con parecchie idee del tuo libro comprendano queste cose e ti ascoltino con attenzione”3.
L’invito del cardinale a confrontarsi criticamente con l’opera di Mancuso non è stato vano e
“L’anima e il suo destino” ha avuto – forse anche grazie al suo successo – tre importanti recensioni
che, accanto alla sottolineatura dei meriti intellettuali dell’opera, cercano anche di mostrarne i punti
deboli e criticabili. Mi riferisco alla recensione di padre Corrado Marucci SI su La Civiltà Cattoli-
ca4 e a quella di mons. Bruno Forte, già maestro di Vito Mancuso a Napoli, pubblicata
sull’Osservatore romano del 2 febbraio 2008. Una presa di distanza dalle tesi di Mancuso, interes-
sante più per l’autore che per il contenuto, è quella di Enzo Bianchi5: il priore della comunità ecu-
menica di Bose rappresenta infatti quell’area della Chiesa cattolica che potremmo chiamare – in
modo sicuramente improprio ma efficace – “martiniana”6. Ebbene è significativo che proprio da
questa area importante del cattolicesimo attuale, area che ha indubbiamente nutrito e formato il gio-
vane Vito Mancuso, venga una presa di distanza dalle sue più mature riflessioni teologiche.
Con ciascuno di questi tre critici Mancuso si è confrontato, sforzandosi di giustificare le proprie
conclusioni. I suoi interventi mostrano da un lato il desiderio di non sottrarsi al dialogo con le voci
1
Mancuso [2007], p. xiii.
2
Ibidem.
3
Mancuso [2007], p. xiv.
4
Cfr. Marucci [2008].
5
Cfr. Bianchi [2009].
6
Padre Timothy Radcliffe OP, già Maestro generale dei domenicani, ponendosi da una prospettiva un po’ più ampia del ristretto dibattito intraeccle-
siale italiano, chiama Concilium catholics i cristiani di questa area, contrapponendoli ed affiancandoli ai Communio catholics (cfr. Radcliffe [2005]).
È evidente che alla base di questa denominazione vi sia la contrapposizione fra le due celebri riviste teologiche. I Concilium catholics sono perciò i
cristiani formati dalla teologia radicalmente innovativa di Karl Rahner, di Edward Schillebeeckx e di Hans Küng, mentre i cosiddetti Communio ca-
tholics sono quelli che – consapevolmente o inconsapevolmente – sono vicini alla teologia innovativa, ma perfettamente nel solco della comunione
con la Chiesa e con il suo Magistero che è portata avanti dalla rivista Communio (i cui “teologi di punta” furono, come è noto, Hans Urs von Baltha-
sar, Henri de Lubac, Joseph Ratzinger).
Padre Radcliffe auspica nella sua opera che queste due anime del cattolicesimo possano dialogare e conoscersi, per giungere ad un arricchimento re-
ciproco, laddove spesso regna uno scontro fra queste due parti – che finiscono per assomigliare a fazioni politiche. L’auspicio di padre Radcliffe è
sicuramente condivisibile, sebbene a mio parere sia piuttosto l’area Concilium a rifiutare pregiudizialmente il confronto e il dialogo, certa com’è di
essere nel giusto.
discordanti – un desiderio assai apprezzabile, dato che raramente si incontra fra i teologi più pro-
gressisti; d’altra parte Mancuso in questo modo approfondisce le proprie tesi e con maggiore chia-
rezza le presenta.
Per questi motivi credo sia piuttosto proficuo iniziare la nostra analisi del pensiero di Mancuso da
questo dibattito, svoltosi nel 2008, contemporaneo al diffondersi fra il grande pubblico delle opere
del teologo milanese. Questa ricostruzione sarà anche utile per gettare le basi della ricostruzione del
pensiero di Mancuso, che affronterò nei capitoli successivi.

a) La recensione di padre Corrado Marucci SI

Padre Marucci SI apre il suo articolo criticando l’esordio de “L’anima e il suo destino”. Così nota il
gesuita:

“Mancuso, seguendo una moda terminologica più del gergo politico e giorna-
listico che non filosofico, dichiara che il suo referente è la “coscienza laica”,
intendendo con ciò “la ricerca della verità in sé e per sé” (p. 9). Sarebbe diffi-
cile trovare qualche pensatore, dai presocratici a oggi, che abbia un differente
concetto di verità: il problema è come si può arrivare alla certezza di aver rag-
giunto tale verità. Ma forse, come emerge da alcune allusioni, egli è convinto
che chi aderisce alla fede cristiana lo faccia tacitando le difficoltà razionali o
addirittura senza troppo pensare.”7

Padre Marucci ha senza dubbio ragione nel rilevare che Mancuso non è l’unico a fare appello alla
ragione scevra di pregiudizi e al giudizio della coscienza sgombrata dal peso dell’autorità. È infatti
proprio del pensiero filosofico il non appellarsi ad altra autorità oltre a quella della ragione. E il ge-
suita correttamente rileva che il cristiano non si sottrae a ciò. Come lo stesso Mancuso riconosce8 è
lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica a ribadire che il giudizio della coscienza è l’ultima i-
stanza alla luce della quale l’uomo deve uniformare le proprie azioni e le proprie convinzioni:

“1778 La coscienza morale è un giudizio della ragione mediante il quale la per-


sona umana riconosce la qualità morale di un atto concreto che sta per porre,
sta compiendo o ha compiuto. In tutto quello che dice e fa, l'uomo ha il dovere
di seguire fedelmente ciò che sa essere giusto e retto. È attraverso il giudizio

7
Marucci [2008], p. 256.
8
Cfr. Mancuso [2007], p. 1: l’autore cita CCC n. 1800 (“l’essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza”).
della propria coscienza che l'uomo percepisce e riconosce i precetti della Legge
divina:

La coscienza « è una legge del nostro spirito, ma che lo supera, che ci dà degli
ordini, che indica responsabilità e dovere, timore e speranza. [...] Essa è la mes-
saggera di colui che, nel mondo della natura come in quello della grazia, ci par-
la velatamente, ci istruisce e ci guida. La coscienza è il primo di tutti i vicari di
Cristo » (John Henry Newman, Lettera al Duca di Norfolk, 5: Certain Difficul-
ties felt by Anglicans in Catholic Teaching, v. 2 (Westminster 1969) p. 248)

1779 L'importante per ciascuno è di essere sufficientemente presente a se stesso


al fine di sentire e seguire la voce della propria coscienza. Tale ricerca di inte-
riorità è quanto mai necessaria per il fatto che la vita spesso ci mette in condi-
zione di sottrarci ad ogni riflessione, esame o introspezione:

« Ritorna alla tua coscienza, interrogala. [...] Fratelli, rientrate in voi stessi e in
tutto ciò che fate fissate lo sguardo sul Testimone, Dio » (Sant’Agostino, In e-
pistulam Ioannis ad Parthos tractatus, 8, 9: PL 35, 2041).”

Tuttavia dalla stessa formulazione del Catechismo, emerge con chiarezza come la concezione della
coscienza proposta da Mancuso contraddica quella insegnata dalla Chiesa cattolica. Per Mancuso la
inappellabilità e la libertà della coscienza implica l’assenza di qualunque legame della coscienza ri-
spetto ad una qualsiasi autorità, fosse pure l’autorità di Dio che si rivela all’uomo. Al contrario la
tradizione cristiana, con sant’Agostino, insegna che nel santuario della coscienza l’uomo può incon-
trare Dio, interior intimo meo. L’autorità con la quale il giudizio della coscienza regola la nostra vi-
ta morale, mostra chiaramente come la coscienza sia piuttosto “araldo di Dio e il messaggero, e ciò
che dice non lo comanda da se stessa, ma lo comanda come proveniente da Dio, alla maniera di un
araldo quando proclama l'editto del re. E da ciò deriva il fatto che la coscienza ha la forza di obbli-
gare.”9
Mancuso al contrario intende la libertà in senso prometeico: la libertà di un Capaneo, che pur di af-
fermare se stesso nega e calpesta ogni autorità. Sfugge al nostro autore che l’autentica libertà sia
quella che si ha nell’obbedienza al Dio infinitamente buono che ci ha creati e redenti. Ma, come a-
vremo modo di vedere nella parte sistematica di questo saggio, l’analisi di Mancuso è perfettamente
coerente nell’esaltare implicitamente il non serviam dell’angelo caduto.

9
San Bonaventura da Bagnoregio, In II librum Sentent., dist. 39, a. 1, q. 3, concl.: Ed. Ad Claras Aquas, II, 907 b; citato in Giovanni Paolo II, Verita-
tis Splendor, n. 58.
Pur nel ristretto ambito della sua recensione, il padre Marucci si accorge di questo nodo problemati-
co dell’opera di Mancuso e annota infatti che la libertà e l’appello alla coscienza non possa essere
pensata come in conflitto con il piano di amore del Dio dei cristiani, che esige dai suoi figli una
λογικὴ λατρεία (Rm. 12, 1), cioè un culto “razionale”. Le parole di san Paolo sintetizzano perfet-
tamente l’essenza della religione cristiana, che è obbedienza della ragione – perfettamente libera e
padrona di sé nel suo atto – all’autorità di Dio che si rivela. La libertà e l’obbedienza sono perciò
perfettamente conciliati e la contraddizione che tra essi scorge Mancuso è del tutto inconsistente.
Eppure bisogna dire che è proprio su questo assunto – indimostrato perché indimostrabile – che
Mancuso basa la propria speculazione. Concludendo “L’anima e il suo destino”, l’autore ricorda
che un giorno gli tornarono in mente queste parole di Agostino: “Io stesso non crederei al Vangelo,
se non mi spingesse a credere l’autorità della Chiesa cattolica”10
Proseguendo la propria analisi, il gesuita della Civiltà Cattolica osserva che

“diverse volte, in questo capitolo e anche nei seguenti, Mancuso dice di voler
essere un pensatore cattolico, un figlio della Chiesa. È perciò assai strano che
egli, in un’opera che sostanzialmente vorrebbe essere di teologia, tra le pre-
messe argomentative non faccia alcun riferimento alla metodologia
dell’esegesi biblica e a quella propria della teologia cattolica”11.

È questa probabilmente l’obiezione cruciale che si deve rivolgere a Vito Mancuso. In più punti egli
afferma di volere sviluppare una teologia che pensi la fede cattolica, ma di se stesso dice di essere
“eterodosso”. Ciò genera effettivamente una certa confusione fra i lettori del teologo milanese, che
non incontrano nei suoi libri, se non davvero sporadicamente, il riferimento ai loci classici della te-
ologia cattolica, cioè la Sacra Scrittura, la Tradizione, il Magistero della Chiesa e la ragione uma-
na12. Riguardo alla Bibblia, Mancuso afferma, sicuramente in modo corretto, che “il biblicismo è
una pericolosa malattia, è la paralisi dello spirito”13; tuttavia egli per “biblicismo” non intende la
deriva di certa teologia narrativa odierna che rifugge dalla interpretazione concettuale della rivela-
zione biblica, amputandone così la comprensione, né intende l’appello modernista e ormai un po’

10
Agostino di Ippona, Polemica contro i Manichei, a cura di A. Cosentino, in Opera omnia, XIII/2, Città nuova, Roma, 2000, p. 309.
11
Marucci [2008].
12
Melchior Cano, nel suo celebre trattato De locis theologicis, elencava in tutto i dieci seguenti luoghi teologici: “il primo luogo è l’autorità della Sa-
cra Scrittura che contiene i libri canonici. Il secondo è l’autorità della tradizione di Cristo e degli Apostoli le quali anche se non furono scritte sono
arrivate fino a noi come da udito a udito, in modo che con tutta verità si possono chiamare come oracoli di viva voce. Il terzo è l’autorità della Chiesa
cattolica. Il quarto è l’autorità dei Concili, in modo speciale i Concili Generali, nei quali risiede l’autorità della Chiesa cattolica. Il quinto è l’autorità
della Chiesa romana, che per privilegio divino è e si chiama apostolica. Il sesto è l’autorità dei santi padri. Il settimo è l’autorità dei teologi scolastici,
ai quali possiamo aggiungere i canonisti (periti in diritto pontificio), tanto che la dottrina di questo diritto la si considera quasi come altra parte della
teologia scolastica. L’ottavo è la ragione naturale, molto conosciuta in tutte le scienze che si studiano attraverso la luce naturale. Il nono è l’autorità
dei filosofi che seguono come guida la natura. Tra questi senza dubbio si trovano i Giuristi (giureconsulti dell’autorità civile), i quali professano anche
la vera filosofia (come dice il Giureconsulto). Il decimo e ultimo è l’autorità della storia umana, tanto quella scritta dagli autori degni di credito, come
quella trasmessa di generazione in generazione” (M. Cano, De locis, lib. I, cap. 3).
13
Mancuso [2007], p. 279.
ammuffito al metodo storico critico quale ultima e sola istanza di ermeneutica biblica, prescindendo
totalmente dai dogmi insegnati dal Magistero. Non sono queste le derive che Mancuso ha di mira:
come emerge da una lettura della sua opera nel suo complesso, per “biblicismo” egli molto proba-
bilmente intende soltanto il riferimento alla Sacra Scrittura, come fonte autentica e preziosissima
della Divina Rivelazione, realmente ispirata dallo Spirito Santo e quindi priva di qualunque errore.
In modo assai sgradevole Mancuso sentenzia infatti che fra i 73 libri di cui si compone il canone
scritturistico “ve ne sono di banali [...]; alcuni sono capolavori assoluti, mentre altri presentano pa-
gine persino dannose al progresso spirituale delle anime verso la via del bene e della giustizia”14.
Queste parole non possono non ferire chi, da credente, ritiene la Scrittura divinamente ispirata per
comunicare agli uomini ciò che il buon Dio voleva che essi sapessero15.
Ma ciò di cui soprattutto si avverte la mancanza, nelle opere di Vito Mancuso, è il nome di Gesù
Cristo. Il teologo milanese, pur volendo fondare una concetto di teologia cristiana, tace quasi sem-
pre nei suoi scritti la figura di Gesù Cristo. Questa scelta, come cercherò di mostrare, non è affatto
estemporanea, ma perfettamente consequenziale rispetto alle assunzioni che Mancuso fa nelle pro-
prie opere.
Nasce perciò la domanda di capire se effettivamente Mancuso debba essere considerato un autore
che fonda la propria riflessione sulla fede in Cristo, o non piuttosto un pensatore che cerca di af-
frontare temi cruciali prescindendo dalla rivelazione cristiana. La questione è determinante per sta-
bilire un dialogo ed un confronto critico con le posizioni di questo autore16. Il padre Marucci, evi-
denziando i punti in cui l’opera di Mancuso si allontana dal dogma cristiano, sembra optare per la
prima delle alternative, cercando di fondare un dialogo che abbia come punto di partenza la comune
accettazione della rivelazione cristiana. A me sembra preferibile il secondo approccio, perché, co-
me lo stesso padre Marucci osserva, le posizioni di Mancuso sono così distanti dall’insegnamento

14
Mancuso [2007], pp. 104-105.
15
La dottrina cattolica circa la Sacra Scrittura è presentata con ammirevole chiarezza dalla costituzione dogmatica “Dei Verbum” del Concilio Vati-
cano II. Si prenda ad esempio questo passaggio: “Le verità divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della sacra Scrittura, furono
scritte per ispirazione dello Spirito Santo La santa madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del
Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo (cfr. Gv. 20,31; 2 Tm. 3,16); hanno Dio per autore e come
tali sono stati consegnati alla Chiesa per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affin-
ché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte . Poiché dunque tutto
ciò che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo, bisogna ritenere, per conseguenza, che i libri della Scrittura
insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture. Pertanto «ogni
Scrittura divinamente ispirata è anche utile per insegnare, per convincere, per correggere, per educare alla giustizia, affinché l'uomo di Dio sia perfet-
to, addestrato ad ogni opera buona».” (Dei Verbum, n. 11).

16
Circa la difficoltà del dialogo con chi non accoglie la rivelazione cristiana così si esprimeva san Tommaso d’Aquino: “Contra singulorum autem
errores difficile est procedere, propter duo. Primo, quia non ita sunt nobis nota singulorum errantium dicta sacrilega ut ex his quae dicunt possimus
rationes assumere ad eorum errores destruendos. Hoc enim modo usi sunt antiqui doctores in destructionem errorum gentilium quorum positiones
scire poterant quia et ipsi gentiles fuerant, vel saltem inter gentiles conversati et in eorum doctrinis eruditi. Secundo, quia quidam eorum, ut Mahume-
tistae et Pagani, non conveniunt nobiscum in auctoritate alicuius Scripturae, per quam possint convinci, sicut contra Iudaeos disputare possumus per
vetus testamentum, contra haereticos per novum. Hi vero neutrum recipiunt. Unde necesse est ad naturalem rationem recurrere, cui omnes assentire
coguntur. Quae tamen in rebus divinis deficiens est.” (Summa contra Gentiles, lib. 1 cap. 2).
della Chiesa che potrebbe risultare quasi pleonastico rilevarle. Solo per nominare le più vistose,
tratte da “L’anima e il suo destino”, si possono citare le seguenti affermazioni:
a) “la credenza della risurrezione della carne appare nella sua inconsistenza fisica e teologica”
(Mancuso [2007], p. 225);
b) “parlare di eternità dell’Inferno è una contraddizione assoluta” (ibidem, p. 263);
c) il purgatorio è “una salutare invenzione” (ibidem, p. 279);
d) “il peccato originale [è] un autentico mostro speculativo e spirituale, il cancro che Agostino
ha lasciato in eredità all’Occidente” (ibidem, p. 287).
Naturalmente se si nega il peccato originale, si nega la necessità della redenzione operata da Cristo.
Perché mai Nostro Signore avrebbe sofferto una passione così dolorosa e sarebbe morto in croce, se
non c’è alcun peccato da espiare e l'umanità non ha bisogno di redenzione?
Tuttavia, accettando la pretesa di Mancuso di essere “teologo cattolico”, il padre Marucci SI con-
clude perciò così la propria recensione:
“Se per teologia si intende la riflessione dell’intelletto umano illuminato dal-
la fede sulla Sacra Scrittura e sulle definizioni della Chiesa, allora il nostro
giudizio complessivo su questa opera non può che essere negativo. L’assenza
quasi totale di una teologia biblica e della recente letteratura teologica non i-
taliana, oltre all’assunzione più o meno esplicita di numerose premesse filo-
soficamente erronee o perlomeno fantasiose, conduce l’Autore a negare o
perlomeno svuotare di significato circa una dozzina di dogmi della Chiesa
cattolica.”17
La constatazione del padre Marucci è evidentemente corretta, alla luce anche solo delle poche cita-
zioni di Mancuso che ho fatto fino ad ora. Ed è sicuramente assai necessaria in un periodo di diffusa
ignoranza circa i misteri fondamentali della nostra fede: l’autorevolezza di cui gode la Civiltà catto-
lica ha sicuramente aiutato molte persone, conosciuto tale giudizio, a saper comprendere i pur già
evidenti errori di Vito Mancuso.
Tuttavia ciò non ha impedito che il suo pensiero si diffondesse in modo sempre più capillare e con-
quistasse sempre nuove menti. Probabilmente è più proficua una analisi che non presupponga la ac-
cettazione da parte di Mancuso della rivelazione cristiana e che si confronti con lui solo sul piano
della ragione. Come osserva san Tommaso con chi non accetta la Sacra Scrittura “necesse est ad na-
turalem rationem recurrere, cui omnes assentire coguntur” (Summa contra Gentiles, lib. 1 cap. 2).
Del resto lo stesso Mancuso, sebbene con una certa sfrontatezza non abbia cessato dal professarsi
“teologo cattolico” (affermazione che, come abbiamo visto, non corrisponde affatto a verità), nella

17
Marucci [2008], p. 263.
sua replica alla recensione del padre Marucci implicitamente accetta di collocarsi in una dimensione
alternativa rispetto a quella della teologia cristiana, che dà sempre come presupposta la fede e la ac-
cettazione del Magistero della Chiesa.
In modo un po’ saccente Mancuso elude la critica, trincerandosi dietro i nomi di autorevoli studiosi
che avrebbero avuto del suo lavoro una considerazione maggiore di quella ad esso assegnata dal pa-
dre Marucci. Fa un lungo elenco di personalità (il cardinale Martini, mons. Coda, Umberto Galim-
berti, Giuliano Ferrara e lo gnostico Marco Vannini), per poter accusare il padre Marucci di avere
contravvenuto al precetto dato da san Giacomo: “Non dite male gli uni degli altri, fratelli” (Gc. 4,
11)18. Peccato che Mancuso non comprenda che la correzione dell’errore è una delle forme più alte
di carità e di misericordia e che gli elogi del mondo, di cui egli ama fare sfoggio, sono cosa ben più
vana e insignificante della dolce contemplazione della Verità. Al di là di questa sgradevole retorica,
emerge però con chiarezza l’idea del tutto distorta che Mancuso ha della riflessione teologica. Dopo
avere posto in ridicolo la pregevole recensione del padre Marucci (ma probabilmente il nostro “teo-
logo cattolico”, quando offende, rispetta quel detto di Gc. 4, 11), Mancuso riporta questo interessan-
te apologo, che merita di essere citato per intero:

“Il severo padre gesuita [si riferisce a p. Marucci, N.d.A.], che detesta la me-
scolanza dei generi etterari e delle discipline, se leggerà questo articolo mi
scuserà, ma io quando parlo amo farmi capire e poi ho precedenti illustri di
mescolanza dei generi letterari, Platone con i miti, Gesù con le parabole. A
grandissima distanza ecco la mia. Un uomo entra dai carabinieri: “C’è un in-
cendio terribile, i pompieri non rispondevano e io ho rubato loro un camion,
presto venite”. Il maresciallo: “Ho scoperto che lei ha rubato un camion!”.
L’uomo: “Sì, gliel’ho appena detto io, c’è un incendio terribile a due passi da
qui”. Il maresciallo: “Lei ha rubato un camion, io la dichiaro in arresto!”. Ho
scritto a pagina 2 del mio libro [“L’anima e il suo destino”, N.d.A]: “Sono
consapevole del fatto che il metodo del mio argomentare, che si basa anche
sulla filosofia e sulla scienza oltre che sulle fonti tradizionali della teologia,
può ingenerare notevoli perplessità sia in ambito teologico sia in ambito
scientifico. Oggi vige lo statuto della netta separazione tra i due ambiti”. Sa-
pevo fin dall’inizio che personaggi come padre Marucci si sarebbero irritati.
Ma non potevo immaginare che dopo aver detto “guardate che ho rubato un
camion ai pompieri perché quelli dormono e l’incendio avanza”, il mare-

18
Sembra che per Mancuso la Scrittura abbia come unica funzione il fornire citazioni ad effetto per attaccare i propri avversari e per elogiare se stes-
so. Nostro Signore Gesù Cristo, come ho anticipato, resta un optional, nonostante gli sporadici (e sempre strumentali) riferimenti alla Bibbia.
sciallo padre Marucci mi avrebbe accusato proprio di aver rubato un camion.
Che ho praticato un metodo nuovo e criticato alcuni dogmi l’ho detto io per
primo, auto-denunciandomi. Il punto non è il camion, ma i pompieri che
dormono e l’incendio che avanza.”19

Bisogna dire che a Mancuso non manca l’ironia ed è veramente buffo che, dopo avere abbandonato
il sacerdozio, egli voglia insegnarne la missione ad un sacerdote gesuita. Ma tralasciamo questo
punto – che pure è il primo pensiero di chi legge queste righe – e rivolgiamoci al contenuto che
Mancuso intende far passare. Ricordiamoci che queste parole intendono essere una risposta a chi
aveva criticato la sua opera di “teologia cattolica” per l’assenza di riferimenti a quella rivelazione
cristiana che pure della vera teologia cattolica è il punto di partenza. Mancuso risponde dicendo
che, accanto alle “fonti tradizionali” della teologia, avrebbe fatto riferimento anche a nuovi punti di
partenza, come la filosofia e la scienza e che questo avrebbe irritato “personaggi come padre Ma-
rucci”. Naturalmente questa ricostruzione non è affatto corretta, come i lettori possono vedere con-
frontando la replica di Mancuso con la recensione di padre Marucci. Ciò che si critica di Mancuso è
di avere del tutto tralasciato il riferimento al dato di fede, cosa che egli nega dicendo di essersi rifat-
to alle “fonti tradizionali”. Circa l’impiego della filosofia e della scienza bisogna dire che il buon
Mancuso non è certo il primo a introdurle nel discorso teologico. Egli stesso lo riconosce nella pro-
pria replica a padre Marucci, all’inizio della quale, con la modestia che gli è propria, riporta quali
suoi degni predecessori in questa modalità di fare teologia i santi Tommaso d’Aquino e Alberto
Magno. Cerchiamo innanzi tutto di chiarire questo snodo piuttosto complicato.
La teologia è una scienza che investiga con la ragione i misteri della fede. Ciò significa in concreto
che una conclusione teologica può essere tratta da due premesse di cui una sia di fede e l’altra sia
invece di ragione. Ora, è evidente che la filosofia (ma anche la scienza) possono fornire queste pre-
messe e questa era la prospettiva entro la quale si muoveva la ricerca di san Tommaso d’Aquino.
Così commenta al riguardo un tomista autorevole come il padre R. Garrigou-Lagrange OP:

“la teologia, mediante un discursus propriamente illativo, da una verità di fe-


de e da un’altra di ragione, non rivelata, deduce una terza verità, che non era
simpliciter ossia propriamente rivelata, ma soltanto virtualiter, cioè nella sua
causa. Questa terza verità, se è rigorosamente dedotta, non appartiene al
campo della fede, ma a quello della scienza teologica”20

19
Mancuso [2008 a].
20
Garrigou-Lagrange [1953], p. 75.
La novità di Mancuso, a questo livello, è antica quanto la teologia. Naturalmente però la filosofia
deve essere criticamente esaminata. La logica insegna che da una premessa vera e da una falsa, è
possibile che derivi una conclusione vera o una conclusione falsa. Perciò chi costruisse una teologia
fondandosi su premesse di fede – che sono sempre vere – e su presupposti filosofici erronei, si e-
spone al rischio di derivare conclusioni erronee. Questo evidentemente non si dà nel caso di Mancu-
so, il quale non accetta come premesse della propria argomentazione proposizioni garantite
dall’autorità di Dio che si rivela all’uomo. E, come cercherò di mostrare nei capitoli seguenti di
quest’opera, la filosofia alla quale si riduce la speculazione di Mancuso presenta più di un aspetto
criticabile. Quanto alla scienza – qui il riferimento dovrebbe essere alla scienza sperimentale – essa
è semplicemente assente dal discorso di Mancuso; le citazioni tratte dagli scritti di “scienziati” che
compaiono nella sua opera sono in verità tratte da testi che tentano di fornire una ripresentazione già
filosofica delle acquisizioni della scienza sperimentale.
Questo è il quadro nel quale si muove la teologia, da quando esiste. Mancuso tuttavia, affermando
di innovare questa tradizione, non mente, sebbene l’innovazione non stia certo nella valorizzazione
della ragione umana, che è essenziale all’argomentazione teologica; la sua innovazione è piuttosto
quella che soggiace all’apologo dell’incendio. Secondo Mancuso i cristiani d’Occidente vivono og-
gi un forte dramma: per la prima volta nella storia larghe parti della popolazione vivono senza fede.
Questo dato è vero ed è giustissima la preoccupazione di Mancuso per lo stato della Chiesa in Eu-
ropa. Limitandoci all’Italia – che pure non ha conosciuto una secolarizzazione radicale come la
Francia o l’Olanda – possiamo notare che la frequenza domenicale, che negli anni ’50 si attestava
attorno al 60%, è scesa sotto il 20%. I religiosi uomini si sono ridotti in quarant’anni di un terzo.
Analoga crisi vivono le congregazioni femminili. Ovunque sembra che il male trionfi: aborto, fami-
glie rovinate, occultismo, pornografia, omosessualità, corruzione, invidia, relativismo etc.
E lo vediamo dagli occhi di tante persone che conosciamo: occhi spenti, privi di speranza.
Probabilmente è a questo che si riferisce Mancuso quando parla di “nichilismo”.
È giusto quindi chiederci di chi sia la responsabilità di questo grave problema e soprattutto cosa si
possa fare per rimediare. Per il nostro autore responsabili della crisi non sono solo gli uomini che
hanno abbandonato la Chiesa, ma anche la Chiesa che ha abbandonato gli uomini. L’espressione è
imprecisa, perché la Chiesa, che è Corpo Mistico di Cristo, è in se stessa “tutta gloriosa, senza mac-
chia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (Ef. 5, 27), perché purificata da Cristo
che “a dato se stesso per lei” (Ef. 5, 25). Quindi, più che incolpare la Chiesa, si possono considerare
responsabili gli uomini di Chiesa. Questo pensiero può essere evidentemente sensato: se pensiamo
quante anime abbia convertito da solo san Pio da Pietrelcina, capiamo bene che se ogni cattolico
fosse santo almeno la metà di quel che fu padre Pio, il mondo non avrebbe abbandonato la Chiesa.
“Molti vanno all’inferno perché non c’è chi preghi e faccia sacrifici per loro” ha detto la Madonna a
Fatima.
Ma non di questo parla Mancuso. A suo dire la responsabilità degli uomini di Chiesa è di avere an-
cora un attaccamento a una posizione teologica retrograda – noi diremmo, di essere semplicemente
ancorati alla fede cattolica. “È davanti a noi” scrive Mancuso “lo spettacolo di un continente senza
religione, una civiltà senza anima. O si prende coscienza della necessità di rivedere l’impianto
dogmatico del cristianesimo, oppure le prossime generazioni parleranno del cristianesimo come noi
oggi parliamo della religione dei greci o dei fenici.”21 Qui emerge con chiarezza ciò che ha in mente
l’autore: “rivedere l’impianto dogmatico del cristianesimo”. Egli non parla del doveroso tentativo di
esprimere le verità della fede in modo comprensibile all’uomo di oggi – tentativo che è alla base del
Catechismo della Chiesa Cattolica pubblicato da Giovanni Paolo II o, se vogliamo, dell’intero
Concilio Vaticano II.
Mancuso non vuole aggiornare la predicazione del dogma alla mentalità dell’uomo contemporaneo,
vuole semplicemente cambiare il dogma. Sa di commettere qualcosa che non è propriamente corret-
to – nel suo apologo esprime questa consapevolezza dicendo che “ruba un camion”. Tuttavia ritiene
che il proprio fine, che sarebbe poi comunicare la fede a coloro che l’hanno persa, giustifichi il furto
del camion, che è visto come un male necessario per spegnere l’incendio che infiamma.
Come si vede, questo ragionamento è esattamente quello che san Paolo condannava dicendo: “Per-
ché non dovremmo fare il male affinché venga il bene, come alcuni - la cui condanna è ben giusta -
ci calunniano, dicendo che noi lo affermiamo?” (Rm. 3, 8). Gli avversari dell’Apostolo erano gli
gnostici – ed è in effetti proprio della mentalità gnostica pensare che il male sia lecito come mezzo
per ottenere il bene. Al contrario il cristiano fa proprio questo insegnamento di san Paolo: “la carità
non abbia finzioni: fuggite il male con orrore, attaccatevi al bene” (Rm. 12, 9).
Se anche, per ipotesi, i libri di Mancuso ottenessero l’effetto che egli si augura – di far recuperare
cioè la fede ad alcuni dei suoi eventuali lettori – ciò non toglierebbe comunque che il mezzo per ot-
tenere questo fine, ovvero l’abbandono del dogma, è intrinsecamente male.
Questo punto merita tuttavia di essere approfondito, perché molti cattolici, pur riconoscendo con fa-
cilità i numerosi errori di Mancuso, accettano però il ragionamento che egli ha sviluppato in questa
replica a padre Marucci SI.
“Non è sempre in linea con l’insegnamento della Chiesa” si sente dire “ma in fondo solleva proble-
mi che stanno a cuore all’uomo, permette di parlare di tematiche di fede con persone che prima al
solo sentire il nome di Cristo cambiavano argomento etc.”

21
Mancuso [2008 a].
Questo ragionamento è molto diffuso – e non escludo che abbia contribuito al successo editoriale di
Vito Mancuso: è probabile che molte delle copie che ha venduto siano state regalate da anime pie e
in perfetta buona fede ad altri “lontani” dalla Chiesa. Perciò vale la pena analizzare la validità di un
simile argomento.
Come emerge già a questo stadio della nostra analisi, i libri di Mancuso negano molte verità di fede.
Ora, se chi li leggesse fosse indotto ad interrogarsi circa i temi che trattano e, sulla base di tali inter-
rogativi, fosse indotto a ricercare la vera dottrina cattolica e ad abbracciarla, le opere di Mancuso
avrebbero solo accidentalmente contribuito a far recuperare la fede al suo lettore. Naturalmente ciò
è possibile e spesso la Provvidenza scrive dritto anche sulle linee storte.
Se invece chi legge Mancuso, abbandona il suo agnosticismo per abbracciare le idee che l’autore
difende, non avrebbe affatto abbracciato la fede cattolica, ma una credenza puramente umana, in al-
cuni casi eventualmente coincidente con quanto Dio ci ha rivelato, ma spesso in grave disaccordo
con quanto la Chiesa insegna.
A che serve una simile credenza? Chi, in buona fede, crede che anche una simile credenza sia me-
glio dell’agnosticismo, compie un grave errore di valutazione. Ciò che Dio ci chiede è una fede in-
tegra. Per salvarsi infatti è necessario avere la carità, cioè amare Dio, il prossimo e se stessi di un
amore soprannaturale. Ma per amare Dio di amore soprannaturale (carità), occorre anche conoscerlo
con una conoscenza soprannaturale (fede). Da ciò segue che, mentre è possibile avere fede senza
essere in grazia di Dio, non è possibile amare Dio ed essere in grazia senza la fede, che è come il
fondamento della vita spirituale. Come si può amare chi non si conosce? È evidente perciò quanto
afferma la lettera agli Ebrei: “senza la fede è impossibile essergli graditi” (Eb. 11, 6).
Bisogna poi ricordare che è sufficiente negare uno solo degli articoli di fede per perderla22. Per que-
sti motivi se, come credo sia già sufficientemente chiaro, molte delle affermazioni di Vito Mancuso
contraddicono la fede cattolica, è del tutto illogico ipotizzare un profitto spirituale da parte dei suoi
lettori. È necessario sottolineare questo punto, che lo stesso Vito Mancuso – presumo in buona fede
– non coglie.
Alla luce dell’analisi svolta fino ad ora dell’apologo dell’incendio e del pompiere emerge con chia-
rezza come la prospettiva da cui parte l’autore non sia la prospettiva della teologia. Di conseguenza

22
Cfr. in proposito Tommaso d’Aquino, Summa Theol. IIa-IIae, qu. 5, art. 3, co: “Respondeo dicendum quod haereticus qui discredit unum articulum
fidei non habet habitum fidei neque formatae neque informis. Cuius ratio est quia species cuiuslibet habitus dependet ex formali ratione obiecti, qua
sublata, species habitus remanere non potest. Formale autem obiectum fidei est veritas prima secundum quod manifestatur in Scripturis sacris et doc-
trina Ecclesiae. Unde quicumque non inhaeret, sicut infallibili et divinae regulae, doctrinae Ecclesiae, quae procedit ex veritate prima in Scripturis
sacris manifestata, ille non habet habitum fidei, sed ea quae sunt fidei alio modo tenet quam per fidem. Sicut si aliquis teneat mente aliquam conclu-
sionem non cognoscens medium illius demonstrationis, manifestum est quod non habet eius scientiam, sed opinionem solum. Manifestum est autem
quod ille qui inhaeret doctrinae Ecclesiae tanquam infallibili regulae, omnibus assentit quae Ecclesia docet. Alioquin, si de his quae Ecclesia docet
quae vult tenet et quae vult non tenet, non iam inhaeret Ecclesiae doctrinae sicut infallibili regulae, sed propriae voluntati. Et sic manifestum est quod
haereticus qui pertinaciter discredit unum articulum non est paratus sequi in omnibus doctrinam Ecclesiae (si enim non pertinaciter, iam non est hae-
reticus, sed solum errans). Unde manifestum est quod talis haereticus circa unum articulum fidem non habet de aliis articulis, sed opinionem quandam
secundum propriam voluntatem.”
è legittimo esigere che il confronto con lui si sposti dal piano teologico (che presuppone sempre il
dato di fede) al piano semplicemente razionale.
In quest’ottica sembra muoversi la recensione di mons. Bruno Forte, che lo stesso Mancuso ha ap-
prezzato maggiormente.

b) La recensione di mons. Bruno Forte

Mons. Bruno Forte è stato docente di Vito Mancuso a Napoli (dove l’autore ha conseguito la Licen-
za in Teologia). Alla scuola di Forte Mancuso ha conosciuto Hegel e la sua prospettiva teologica.
Questo è ben vivo nelle parole dell’arcivescovo, il quale osserva – con dispiacere – un cambiamento
di prospettiva nella produzione di Mancuso.
La sua prima opera, nata come tesi di dottorato discussa alla Lateranense, parlava infatti della teo-
logia di Hegel, lamentando in essa l’assenza del “Principe di questo mondo”, cioè del diavolo, e in
generale del male. In Hegel infatti la dialettica che governa il reale considera il male solo come
momento negativo, necessario per lo sviluppo dell’Idea e l’affermarsi progressivo dello Spirito. In
quest’ottica il male – come negazione – è necessario affinché si attui lo Spirito Assoluto. Hegel in-
somma presenta la versione filosofica di quel celebre verso del Faust in cui Mefistofele si presenta:
“Ein Teil von jener Kraft, / die stets das Böse will und stets das Gute schafft”
(“parte di quella forza / che vuole sempre il male e produce sempre il bene”, Goethe, Faust, I, vv.
1336-1337).
Mancuso, nella sua prima opera, aveva presentato a giudizio di mons. Forte una doverosa critica di
questa concezione che, con ragione, possiamo dire gnostica: “contro Hegel [Mancuso] ribadisce l'i-
nesorabile sfida del male che devasta la terra, precisamente nel suo volto diabolico e insondabile”23.
Possiamo ipotizzare che mons. Forte si sia in qualche misura riconosciuto nelle riflessioni del primo
Mancuso, dato che anche la riflessione teologica dell’arcivescovo risente del “fascino”24 della spe-
culazione hegeliana25, sebbene ne colga (alcuni) aspetti che risultano del tutto inconciliabili con la
fede cattolica.
Nella recensione di mons. Forte emerge perciò una certa amarezza nel constatare che, a partire da
Per amore, la riflessione di Mancuso si sia accostata a quegli errori che il primo Mancuso rimpro-
verava ad Hegel:

23
Forte [2008].
24
Cfr. Forte [1985], p. 270.
25
Queste suggestioni possono portare anche a conclusioni criticabili. Si veda in proposito Cavalcoli [2004], pp. 343-358.
“il libro sull’anima” egli scrive “ha suscitato in me un senso di profondo di-
sagio e alcune forti obiezioni, che avanzo nello spirito di quel servizio alla
Verità, cui tutti siamo chiamati. La prima obiezione riguarda la potenza del
male e del peccato. Mancuso non esita ad affermare che il peccato originale
sarebbe “un'offesa alla creazione, un insulto alla vita, uno sfregio all'inno-
cenza e alla bontà della natura, alla sua origine divina” (Mancuso [2007], p.
167). È vero che l'intento dichiarato dall'autore non è di “distruggere la tradi-
zione”, ma di “rifondarla” (Mancuso [2007], p. 168), cercando di tenere in-
sieme “la bontà della creazione e la necessità della redenzione”: in quest'otti-
ca, il peccato originale non sarebbe altro che “la condizione umana, che vive
di una libertà necessitata, imperfetta, corrotta, e che per questo ha bisogno di
essere disciplinata, educata, salvata, perché se non viene disciplinata questa
nostra libertà può avere un'oscura forza distruttiva e farci precipitare nei vor-
tici del nulla” (Mancuso [2007], p. 170).
La spiegazione non convince: dove va a finire in essa il dramma del male, la
potenza del peccato? […] Vanificare il peccato originale e la sua forza attiva
nella creatura vuol dire banalizzare la stessa condizione umana e la lotta col
Principe di questo mondo, che proprio Mancuso aveva rivendicato contro
l'ottimismo idealistico di Hegel.”26

Mons. Forte si appunti maggiormente sull’assenza del male come libera scelta dell’uomo nell’opera
di Mancuso – fatto da tutti constatabile e di per sé evidente, tanto che l’arcivescovo teatino cita a
conferma di ciò Kant. Probabilmente è questo carattere meno ancorato al dato della rivelazione cri-
stiana ad avere favorevolmente colpito Mancuso. Ciò non toglie che lo stesso mons. Forte concluda
però la sua recensione fortemente critica rilevando che la pretesa “rifondazione” della fede elimina
il valore del sacrificio della croce: senza il peccato originale la redenzione operata da Cristo è inuti-
le. Quel che rimane è solo una vuota conoscenza. Una “gnosi”, come non ha timore di affermare
mons. Bruno Forte:
“La conseguenza di queste premesse è la dissoluzione della soteriologia cri-
stiana. Se non si dà il male radicale, e dunque il peccato originale e la sua for-
za devastante, su cui appoggia la sua azione il grande Avversario, la salvezza
si risolve in un tranquillo esercizio di vita morale, che non vive più di alcuna
tensione agonica e non ha bisogno di alcun soccorso dall'alto: "salvarsi l'ani-

26
Forte [2008].
ma" non sarebbe né più né meno che una sorta di autoredenzione. […] Senza
il dono dall'alto, nessuna salvezza è veramente possibile. Sta qui la verità della
fede, il suo scandalo: proprio così, la sua potenza di liberazione, la sua offerta
della via unica e vera per "salvarsi l'anima". Pensare diversamente, non è teo-
logia cristiana: è “gnosi”, pretesa di salvarsi da sé.”27

c) Il dialogo tra Enzo Bianchi e Vito Mancuso

La lettura del pensiero di Mancuso come una “gnosi” di ritorno, che mons. Forte propone, è a mio
parere molto fondata e costituirà il Leitfaden della mia analisi della sua “teologia”. Sul tema della
gnosi è interessante un breve scambio pubblico tra Enzo Bianchi – che mosse a Mancuso questa
medesima accusa – e Mancuso stesso che la respinse.

d) Il motivo di questo libro

Come probabilmente il lettore avrà già compreso, anch’io sono dell’opinione che molte delle tesi
che Mancuso difende non siano affatto in accordo con la rivelazione cristiana.
Questo libro ha perciò un duplice scopo: ricostruire da un lato il pensiero di Vito Mancuso, mo-
strandone anche l’intima coerenza, e mostrare anche perché questo pensiero si debba ritenere in-
compatibile con la rivelazione cristiana.
Una questione preliminare potrebbe essere la seguente: perché sforzarsi di dimostrare che le tesi di
Mancuso sono in conflitto con la fede in Gesù Cristo? Ha senso una tale impresa? Non è forse cosa
migliore che esistano voci anche discordanti con quanto la Chiesa insegna in materia di fede?
La risposta a queste domande si presenta complessa per una serie di motivi. Al giorno d’oggi la cul-
tura dominante ha oscurato il valore della verità ed il relativismo insegna che non esistono posizioni
false, ma al massimo posizioni più o meno interessanti28. Gesù Cristo al contrario ha sostenuto, du-
rante tutta la sua predicazione, che la Verità non solo esiste, ma che Lui stesso era ed è la Verità
(cfr. Gv. 14, 6). Di fronte ad una tale pretesa non si può rimanere indifferenti: o Cristo mente e be-
stemmia, o ciò che Egli ha detto è vero ed Egli è veramente il Figlio di Dio.
Questa stessa pretesa avanzata da Cristo ci è riproposta dalla Chiesa, che annuncia quelle stesse ve-
rità che Dio ha rivelato all’uomo. Non solo: la Chiesa afferma anche di essere infallibile quando
propone dottrine relative alla fede e alla morale. Così si esprime ad esempio la Costituzione dogma-
tica Lumen Gentium, del Concilio Vaticano II:

27
Forte [2008].
28
Così R. Rorty, in La filosofia dopo la filosofia, Laterza, Roma-Bari.
“[La] infallibilità, della quale il divino Redentore volle provveduta la sua Chiesa nel definire la dot-
trina della fede e della morale, si estende tanto, quanto il deposito della divina Rivelazione, che de-
ve essere gelosamente custodito e fedelmente esposto. Di questa infallibilità il romano Pontefice,
capo del collegio dei vescovi, fruisce in virtù del suo ufficio, quando, quale supremo pastore e dot-
tore di tutti i fedeli che conferma nella fede i suoi fratelli (cfr. Lc 22,32), sancisce con atto definiti-
vo una dottrina riguardante la fede e la morale (cfr. Conc. Vat. I, Cost. dogm. Pastor Aeternus:
Denz. 1839 [3074]). Perciò le sue definizioni giustamente sono dette irreformabili per se stesse e
non in virtù del consenso della Chiesa, essendo esse pronunziate con l'assistenza dello Spirito Santo
a lui promessa nella persona di san Pietro, per cui non hanno bisogno di una approvazione di altri,
né ammettono appello alcuno ad altro giudizio” (Cfr. Lumen Gentium, n. 25).
Questa pretesa della Chiesa cattolica è ben presente a Vito Mancuso ed egli infatti la mette in di-
scussione. Tuttavia chiediamoci in primo luogo perché è così importante, per il cristiano, essere fe-
dele agli insegnamenti del Magistero della Chiesa. Oggi purtroppo si dà poca importanza alla verità
e, conseguentemente, anche alla fede, illudendosi che sia possibile amare Dio o, più modestamente,
essere persone oneste, anche senza conservare la fede cattolica. Pressoché nessuno crede nell'esi-
stenza dell'inferno; ma i pochi che ancora pensano che esista sono certi che, se mai qualcuno ci fini-
sce, non ci finisce certo perché non ha la fede cattolica. La Scrittura tuttavia insegna che la fede è
necessaria per salvarsi (cfr. Eb. 11, 6). Del resto è evidente che sia così: per salvarsi occorre morire
con la virtù soprannaturale della carità. Ma è impossibile che la carità si dia senza la fede, perché è
impossibile amare Dio di amore soprannaturale se non lo si conosce con una conoscenza sopranna-
turale29. In generale infatti è impossibile amare qualcuno se non lo si conosce.
Per questa ragione santi come Domenico di Guzmàn versavano molte lacrime per gli eretici che a-
vevano abbandonato la fede e dedicavano ogni loro energia per recuperarli a Cristo e alla sua Chie-
sa.
Una chiara esposizione di queste verità che andiamo esponendo ci è data di nuovo dalla Lumen
Gentium: “Il santo Concilio si rivolge quindi prima di tutto ai fedeli cattolici. Esso, basandosi sulla
sacra Scrittura e sulla tradizione, insegna che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza.
Solo il Cristo, infatti, presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via
della salvezza; ora egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr.
Gv 3,5), ha nello stesso tempo confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano
per il battesimo come per una porta. Perciò non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non i-

29
La Costituzione dogmatica “Dei Filius” del Concilio Vaticano I dice ad esempio così: “Poiché senza la fede è impossibile piacere a Dio e giungere
all'unione con i suoi figli, così senza di essa nessuno potrà mai essere assolto, come pure nessuno conseguirà la vita eterna senza aver perseverato in
essa sino alla fine. Affinché poi potessimo adempiere il dovere di abbracciare la vera fede e perseverare costantemente in essa, Dio, mediante il Suo
Figlio Unigenito, istituì la Chiesa e la insignì di così chiare note perché potesse essere conosciuta da tutti come custode e maestra della parola rivela-
ta” (cfr. “Dei Filius”, cap. III).
gnorando che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria,
non vorranno entrare in essa o in essa perseverare” (cfr. Lumen Gentium, n. 14).
Sono questi i motivi che mi spingono a presentare i numerosi punti in cui Vito Mancuso si allontana
dall’insegnamento di Gesù Cristo, affinché quanti avessero abbracciato le sue idee erronee possano
accorgersi del grave pericolo che ciò comporta. Parallelamente il libro cercherà di dimostrare
l’inconsistenza delle tesi che Mancuso difende, muovendosi sullo stesso piano sul quale l’autore co-
struisce le proprie riflessioni – un piano che fa astrazione dalla fede cattolica.

Bibliografia

Opere e articoli di Vito Mancuso

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cuso, Piemme, Casale Monferrato, 1996.
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Mancuso [2007], L’anima e il suo destino, V. Mancuso, Raffaello Cortina editore, Milano, 2007.
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Mancuso [2009], La vita autentica. Che cosa fa di un uomo un uomo, V. Mancuso, Raffaello Corti-
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Altri testi citati

Bianchi [2009], Come è difficile dialogare, E. Bianchi, in Famiglia cristiana del 19 aprile 2009.
Cavalcoli [2004], Il mistero della Redenzione, G. Cavalcoli OP, Sacra Doctrina, Monografie, anno
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Forte [1985], Gesù di Nazareth. Storia di Dio, Dio della storia, mons. B. Forte, Paoline, Milano,
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Garrigou-Lagrange [1953], La sintesi tomistica, R. Garrigou-Lagrange OP, Queriniana, Brescia,
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Radcliffe [2005], What is the point of being a Christian, T. Radcliffe OP, Continuum International
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Zacchi [1920], L’uomo. La natura, l’origine e i destini, A. Zacchi OP, Libreria editrice F. Ferrari,
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