Per quanto riguarda le conseguenze relative al dopoguerra, il caso italiano risulta essere quello
più particolare e significativo. Il sistema politico venne attaccato alle sue fondamenta da uno
scontro sociale senza precedenti e dallo schieramento dei ceti medi e della borghesia industriale e
agraria verso i movimenti reazionari. Lo stato liberale, che aveva accompagnato l’Italia nel periodo
di guerra, venne travolto da un nuovo regime autoritario, fonte di ispirazione dei movimenti
reazionari: il fascismo.
Questione molto discussa nella storiografia italiana è stato il tema relativo alle modalità di questo
fenomeno:
In Italia gli effetti della guerra furono particolarmente gravi: la disoccupazione, l’inflazione,
la riconversione della produzione caratterizzarono un lungo periodo di lotte sociali. A questi
problemi si aggiunsero gli squilibri strutturali dell’economia. In Italia non si poté che
creare un clima in cui il riassetto economico e politico erano visti come mete irraggiungibili.
Come sappiamo, la guerra favorì lo sviluppo del settore industriale, in modo particolare
delle grandi imprese, provocando l’espansione e la concentrazione dell’industria. Industrie
come l’Ilva, la Fiat, l’Edison si servirono dei capitali pubblici per estendere la loro egemonia
nei settori più disparati (abbigliamento, giornali, navi, automobili..). I nuovo colossi
industriali, però, erano spesso dei giganti dai piedi d’argilla, in quanto investivano ingenti
somme di denaro e compivano azzardate speculazioni contando sulla protezione dello stato
(il committente massimo).
Dal momento che le imprese necessitavano di capitali, l’intreccio tra queste e le banche fu
una conseguenza inevitabile. Infatti il monopolio industriale (triangolo industriale:
Milano, Torino e Genova) si intrecciò con il “quadrumvirato” di banche (Banca
commerciale, Credito italiano, Banco di Roma e Banco di sconto). Un esempio clamoroso
di questo intreccio di interessi è quello dell’Ansaldo-Banca di Sconto che negli anni della
guerra diventò un unico gruppo economico.
La guerra diede origine ad un sistema capitalistico monopolistico, nel quale lo stato aveva
il duplice ruolo come organizzatore dell’offerta e regolatore della domanda (fatto che
modificò pesantemente i meccanismi della concorrenza).
Il dualismo dell’economia italiana era dovuto al fatto che le aziende del triangolo
industriale sfruttavano le risorse pubbliche e sottraevano gli investimenti al Mezzogiorno.
Questo nuovo sistema non fece altro che accentuare il divario tra nord e sud, costringendo
le famiglie dei contadini ad emigrare per poter sopravvivere, dato che le terre erano nelle
mani dei latifondisti e della borghesia cittadina. Ma nel 1917, il governo americano un
provvedimento per ridurre l’immigrazione straniera, togliendo così ai contadini italiani
l’unica occasione di riscatto. Negli Usa si passò da 550mila a 50mila emigrati italiani.
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Capitolo 7: Dallo stato liberale al fascismo
La conclusione del conflitto fece inaridire la spesa pubblica, così il settore industriale fu investito da
una profonda crisi, che vedeva il crollo delle grandi imprese sviluppate tramite le commesse dello
stato. Per impedire il collasso del sistema italiano si innesco un processo di interventi di
salvataggio da parte dello stato. Gli italiani erano troppo poveri per garantire un livello di consumo
privato che potesse alimentare le industrie e il mercato interno italiano non era in grado di sostituire
la domanda pubblica. Così lo stato creò un mercato fittizio tramite le sue commesse, il che
garantiva la giusta sopravvivenza del popolo. La conseguenza inevitabile e prevedibile fu
l’aumento della disoccupazione, aggravato dal crollo della lira (basti pensare che per comprare un
dollaro servivano ben 28 lire, contro le 13 dell’anno precedente).
Esito di questa crisi fu un ciclo di lotte operaie senza precedenti. Tra il 1918-20 vi furono oltre 3500
azioni di sciopero. Le richieste dei sindacati erano le seguenti:
1) Riduzione della giornata lavorativa
2) L’aumento dei salari;
3) Delle condizioni lavorative più umane;
4) Il riconoscimento degli organi di rappresentanza dei lavoratori dentro le fabbriche (le
cosiddette commissioni interne).
I braccianti delle zone industrializzate, a differenza di quelli del sud, non chiedevano le terre, ma
salari più elevati e un controllo sull’organizzazione del lavoro agricolo.
I lavoratori riuscirono a tutelare il loro potere d’acquisto e ottennero diverse normative, tra le più
importanti la giornata lavorativa di 8 ore.
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Capitolo 7: Dallo stato liberale al fascismo
2.4 Benito Mussolini e la nascita del Movimento dei fasci e delle corporazioni:
Benito Mussolini fu il massimo esponente della corrente rivoluzionaria del partito che colse il
disagio del certo medio, che si sentiva mal rappresentato e minacciato. Dopo essere stato espulso
per propaganda nazionalista, Mussolini fondò a Milano nel 1919 il Movimento dei fasci e delle
corporazioni, costituito da ufficiali e sottoufficiali delusi e dai ceti medi colpiti dalla crisi.
L’obbiettivo che questo movimento si era posto era quello di indebolire il movimento operaio e le
sue organizzazioni, sostituendosi allo stato e facendo uso della violenza.
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Incapace di affrontare il conflitto sociale, Orlando diede le dimissioni e venne sostituito da Nitti,
esponente del piano liberalismo riformista che si dimostrò del tutto incapace di risolvere la profonda
crisi italiana.
La situazione peggiorò notevolmente quando Fiume venne proclamata “città libera” posta per
15anni sotto il controllo della Società delle nazioni, infatti si susseguirono una serie di incidenti tra
italiani e truppe francesi presenti nella città. Così, la commissione d’inchiesta arrivò alla decisione
di ridurre il contingente italiano, trasferendo parte di questo a Ronchi. Proprio da questa città,
Gabriele d’Annunzio partì alla volta di Fiume e dopo aver dichiarato la sua annessione all’Italia
rimase il padrone della città per un anno.
Questo fatto evidenzia chiaramente la debolezza del governo, che per più di un anno non fu in
grado di intervenire, lasciando l’esempio d Fiume come modello politico per i nazionalisti.
Solo con il trattato di Rapallo Fiume venne proclamata “città libera” e la città venne sgomberata
dalla presenza degli italiani.
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Capitolo 7: Dallo stato liberale al fascismo
3.3 Gli errori della prospettiva giolittiana e la difficile situazione del Psi:
Possiamo attribuire alle forze liberali e allo stesso Giolitti l’errore dell’ascesa del fascismo. Si
pensava che una volta aver represso i movimenti operaio e bracciantile, i fascisti potessero essere in
un certo senso “scartati” e repressi, ma, come sappiamo, così non avvenne, tanto che il fascismo
venne accolto ingenuamente da migliaia di persone.
La sconfitta del movimento operaio è dovuta soprattutto alla debolezza del Partito socialista,
continuamente messo in crisi dall’egemonia dei rivoluzionari e dei massimalisti, in continuo
conflitto. I riformisti non erano in grado di fornire un piano di riforme che tutelasse gli interessi dei
ceti medi e il riconoscimento dei ceti imprenditoriali.
Inoltre, nonostante il Psi avesse vinto le elezioni del ’21 si trovo isolato, dal momento che liberali,
nazionalisti e fascisti si erano alleati (256 deputati in parlamento appartenenti al “blocco
nazionale”).
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Capitolo 7: Dallo stato liberale al fascismo
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4.6 Gli effetti sociali della rivalutazione: il consenso della piccola borghesia
Quota 90 portò ad una nuova crisi nei settori economici dediti all’esportazione e aumentò la
disoccupazione a dismisura e si verificò una forte erosione dei salari.
Così, si giunge ad un biennio di squilibri e tensioni sociali in particolare nel triangolo
industriale. La carta del lavoro del 1927, di fronte alle nuove lotte, dimostrò la sua
inconsistenza. In queste gravi condizioni il regime scelse di appoggiare i grandi gruppi
industriali, scaricando i costi della rivalutazione sui salari.
Il regime continuò così a rafforzarsi in quanto la rivalutazione si dimostrò strumento di
difesa del piccolo risparmiatore.
La borghesia assunse la funzione di base di massa del regime, l’ambito sociale in cui il
partito raccoglieva i maggiori iscritti e consensi.
Anche la chiesa contribuì ad aumentare lo sviluppo del fascismo in quanto prima tollerò la
distruzione del partito popolare e lo scioglimento delle organizzazioni giovanili e poi appoggiò la
svolta totalitaria del regime.
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