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Capitolo 7: Dallo stato liberale al fascismo 

IL CASO ITALIANO: DALLO STATO LIBERALE AL FASCISMO


1) DIFFICOLTà ECONOMICHE NEL PRIMO DOPOGUERRA

1.1 Gli effetti della guerra e gli squilibri strutturali dell’economia:

Per quanto riguarda le conseguenze relative al dopoguerra, il caso italiano risulta essere quello
più particolare e significativo. Il sistema politico venne attaccato alle sue fondamenta da uno
scontro sociale senza precedenti e dallo schieramento dei ceti medi e della borghesia industriale e
agraria verso i movimenti reazionari. Lo stato liberale, che aveva accompagnato l’Italia nel periodo
di guerra, venne travolto da un nuovo regime autoritario, fonte di ispirazione dei movimenti
reazionari: il fascismo.
Questione molto discussa nella storiografia italiana è stato il tema relativo alle modalità di questo
fenomeno:
 In Italia gli effetti della guerra furono particolarmente gravi: la disoccupazione, l’inflazione,
la riconversione della produzione caratterizzarono un lungo periodo di lotte sociali. A questi
problemi si aggiunsero gli squilibri strutturali dell’economia. In Italia non si poté che
creare un clima in cui il riassetto economico e politico erano visti come mete irraggiungibili.
 Come sappiamo, la guerra favorì lo sviluppo del settore industriale, in modo particolare
delle grandi imprese, provocando l’espansione e la concentrazione dell’industria. Industrie
come l’Ilva, la Fiat, l’Edison si servirono dei capitali pubblici per estendere la loro egemonia
nei settori più disparati (abbigliamento, giornali, navi, automobili..). I nuovo colossi
industriali, però, erano spesso dei giganti dai piedi d’argilla, in quanto investivano ingenti
somme di denaro e compivano azzardate speculazioni contando sulla protezione dello stato
(il committente massimo).
 Dal momento che le imprese necessitavano di capitali, l’intreccio tra queste e le banche fu
una conseguenza inevitabile. Infatti il monopolio industriale (triangolo industriale:
Milano, Torino e Genova) si intrecciò con il “quadrumvirato” di banche (Banca
commerciale, Credito italiano, Banco di Roma e Banco di sconto). Un esempio clamoroso
di questo intreccio di interessi è quello dell’Ansaldo-Banca di Sconto che negli anni della
guerra diventò un unico gruppo economico.
 La guerra diede origine ad un sistema capitalistico monopolistico, nel quale lo stato aveva
il duplice ruolo come organizzatore dell’offerta e regolatore della domanda (fatto che
modificò pesantemente i meccanismi della concorrenza).
 Il dualismo dell’economia italiana era dovuto al fatto che le aziende del triangolo
industriale sfruttavano le risorse pubbliche e sottraevano gli investimenti al Mezzogiorno.
Questo nuovo sistema non fece altro che accentuare il divario tra nord e sud, costringendo
le famiglie dei contadini ad emigrare per poter sopravvivere, dato che le terre erano nelle
mani dei latifondisti e della borghesia cittadina. Ma nel 1917, il governo americano un
provvedimento per ridurre l’immigrazione straniera, togliendo così ai contadini italiani
l’unica occasione di riscatto. Negli Usa si passò da 550mila a 50mila emigrati italiani.


 
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1.2 La questione meridionale:


Come già sappiamo, la questione irrisolta delle terre e le varie promesse mai mantenute aveva
portato i contadini a vedere la guerra come garante per l’accesso alla proprietà.
Il contadino-soldato combatté per poter raggiungere il miraggio della terra. Ma, ovviamente, lo stato
liberale non fu in grado di affrontar la questione agraria e di garantire la nascita della piccola
proprietà contadina, che avrebbe consentito la diminuzione del divario tra nord e sud.
In risposta all’incapacità dello stato, i braccianti, guidati dalle leghe sindacali socialiste e
dall’Associazione dei combattenti, occuparono i latifondi chiedendo il possesso delle terre incolte
appartenenti alle grandi proprietà. La reazione dello stato fu del tutto neutrale. Così la
scissione tra stato e contadini poveri del sud aumentò notevolmente e divenne uno degli anelli
deboli dello stato liberale italiano.
A capire la centralità della questione meridionale fu Antonio Gramsci e il gruppo dei giovani
socialisti torinesi (L’Ordine nuovo), i quali sostenevano che i contadini dovessero diventare i
protagonisti della rivoluzione sociale e della ricostruzione del paese.

2) IL BIENNIO ROSSO IN ITALIA

2.1 La crisi nel settore industriale:

La conclusione del conflitto fece inaridire la spesa pubblica, così il settore industriale fu investito da
una profonda crisi, che vedeva il crollo delle grandi imprese sviluppate tramite le commesse dello
stato. Per impedire il collasso del sistema italiano si innesco un processo di interventi di
salvataggio da parte dello stato. Gli italiani erano troppo poveri per garantire un livello di consumo
privato che potesse alimentare le industrie e il mercato interno italiano non era in grado di sostituire
la domanda pubblica. Così lo stato creò un mercato fittizio tramite le sue commesse, il che
garantiva la giusta sopravvivenza del popolo. La conseguenza inevitabile e prevedibile fu
l’aumento della disoccupazione, aggravato dal crollo della lira (basti pensare che per comprare un
dollaro servivano ben 28 lire, contro le 13 dell’anno precedente).

2.2 La mobilitazione del proletariato industriale:

Esito di questa crisi fu un ciclo di lotte operaie senza precedenti. Tra il 1918-20 vi furono oltre 3500
azioni di sciopero. Le richieste dei sindacati erano le seguenti:
1) Riduzione della giornata lavorativa
2) L’aumento dei salari;
3) Delle condizioni lavorative più umane;
4) Il riconoscimento degli organi di rappresentanza dei lavoratori dentro le fabbriche (le
cosiddette commissioni interne).
I braccianti delle zone industrializzate, a differenza di quelli del sud, non chiedevano le terre, ma
salari più elevati e un controllo sull’organizzazione del lavoro agricolo.
I lavoratori riuscirono a tutelare il loro potere d’acquisto e ottennero diverse normative, tra le più
importanti la giornata lavorativa di 8 ore.


 
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Ovviamente, le lotte avevano anche un fine politico.


Si parla di biennio rosso italiano quando le lotte operaie raggiunsero il vertice della loro
conflittualità: siamo nel giugno-luglio del 1919 e gli scioperi insorsero contro il rincaro del genere
alimentare. In molti casi sorsero dei soviet che requisirono i beni di prima necessità distribuendoli
alle famiglie più povere. Lo stato reagì in maniera pesante e calmierò i prezzi dei prodotto di largo
consumo.

2.3 La frustrazione dei ceti medi:


L’inflazione che aveva inondato questo periodo colpiva sia i contadini più poveri e la classe
operaia, sia la piccola-media borghesia, colpita non solo nel salario, ma anche nel suo risparmio;
infatti essa era riuscita ad accumulare titoli di stato nell’età giolittiana e l'inflazione non stava
facendo altro che diminuire il loro valore.
Così, alle difficoltà economiche si aggiunse anche un periodo di crisi d’identità sociale.
La piccola borghesia, in periodo di guerra, aveva goduto di un gran prestigio, che venne poi a
mancare nel dopoguerra, periodo in cui il tenore di vita degli ex combattenti peggiorò
vertiginosamente, non solo per l’assenza del lavoro, ma anche per l’avvicinamento alle classi
proletarie, ritenute socialmente inferiori. Dal momento che gli stipendi degli impiegati furono
danneggiati maggiormente rispetto a quelli degli operai, nacque una sorta di risentimento nei loro
confronti, che si manifestò attraverso organizzazioni sindacali e politiche, le quali volevano esaltare
lo stato di classe intermedia della piccola borghesia, differenziandosi da quella proletaria.
Inoltre, il risentimento era anche verso la borghesia agiata, ritenuta egoista, avida e profittatrice di
guerra (i “pesciani” rappresentano appunto coloro che avevano accumulato ricchezze speculando
sulle commesse statali). Queste proteste esprimevano la frattura fra la grande borghesia e gli
strati sociali intermedi.
In tutto ciò, non poteva che sorgere un sentimento di totale sfiducia nei confronti della classe
dirigente liberale, incapace di rappresentare politicamente i bisogni e gli interessi dei ceti medi.

2.4 Benito Mussolini e la nascita del Movimento dei fasci e delle corporazioni:
Benito Mussolini fu il massimo esponente della corrente rivoluzionaria del partito che colse il
disagio del certo medio, che si sentiva mal rappresentato e minacciato. Dopo essere stato espulso
per propaganda nazionalista, Mussolini fondò a Milano nel 1919 il Movimento dei fasci e delle
corporazioni, costituito da ufficiali e sottoufficiali delusi e dai ceti medi colpiti dalla crisi.
L’obbiettivo che questo movimento si era posto era quello di indebolire il movimento operaio e le
sue organizzazioni, sostituendosi allo stato e facendo uso della violenza.

2.5 Il mito della vittoria mutilata e la “questione di Fiume”:


Come ben sappiamo, per quanto riguarda la questione di Fiume, Orlando e Sonnino non riuscirono
a imporre il rispetto di tutte le clausole del patto di Londra, dal momento che essi pretendevano
l’annessione di Fiume, seppur essa non facesse parte del patto. Così, Fiume venne proclamata
repubblica italiana con un plebiscito e i due abbandonarono la conferenza.
Queste serie di eventi, fece nascere il mito della vittoria mutilata dell’Italia, che <aveva vinto la
guerra, ma perso la pace>, slogan utilizzato dalla propaganda nazionalista contro l’incapacità dello
stato liberale, accusato di possedere uno spirito rinunciatario un totale disinteresse per i diritti della
nazione.


 
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Incapace di affrontare il conflitto sociale, Orlando diede le dimissioni e venne sostituito da Nitti,
esponente del piano liberalismo riformista che si dimostrò del tutto incapace di risolvere la profonda
crisi italiana.
La situazione peggiorò notevolmente quando Fiume venne proclamata “città libera” posta per
15anni sotto il controllo della Società delle nazioni, infatti si susseguirono una serie di incidenti tra
italiani e truppe francesi presenti nella città. Così, la commissione d’inchiesta arrivò alla decisione
di ridurre il contingente italiano, trasferendo parte di questo a Ronchi. Proprio da questa città,
Gabriele d’Annunzio partì alla volta di Fiume e dopo aver dichiarato la sua annessione all’Italia
rimase il padrone della città per un anno.
Questo fatto evidenzia chiaramente la debolezza del governo, che per più di un anno non fu in
grado di intervenire, lasciando l’esempio d Fiume come modello politico per i nazionalisti.
Solo con il trattato di Rapallo Fiume venne proclamata “città libera” e la città venne sgomberata
dalla presenza degli italiani.

2.6 Il Partito popolare e il cattolicesimo democratico di Sturzo:


Il Ppi non è altro che il Partito popolare italiano nato da questo contesto di crisi generale e fondato
nel 1919 da un esponente del cattolicesimo democratico, don Luigi Sturzo. L’obbiettivo del partito
era quello di raccogliere l’adesione dei cattolici per dar origine ad una nuova forza politica, capace
di rappresentare sia gli interessi del mondo operaio, sia gli interessi degli esponenti moderati o
reazionari.
La maggior parte delle adesioni provenivano dalle campagne, nelle aree meno industrializzate del
paese, dove l’influenza dei parroci era maggiore, ma ricevettero diversi consensi anche dal mondo
operaio e dai ceti medi urbani.
Per quanto riguarda il programma di Sturzo, possiamo riassumere in alcuni punti la sua dottrina:
 Rispetto della proprietà privata unito allo sviluppo della solidarietà sociale;
 La riforma agraria e tributaria per una distribuzione più equa della terra e dei redditi;
 Maggiore giustizia sociale;
Piano istituzionale:
 Decentramento amministrativo (anziché essere concentrato in un unico posto, doveva essere
distribuito nel territorio);
 Maggiore autonomia degli enti locali.
Con il nuovo Papa Pio IX il Pps perse via via gran parte della sua influenza nel mondo dei cattolici
fino al suo scioglimento a opera del fascismo 1926.

2.7 La vittoria dei partiti popolari:


Il paese fu chiamato alle urne. L’elezione si svolgeva con il nuovo sistema proporzionale, voluto
sia dai cattolici che dai socialisti.
 A differenza del vecchio sistema uninominale, esso prevedeva l’elezione di più candidati in
ciascun collegio in proporzione al numero dei voti.
 Questo nuovo sistema favorì i partiti ben organizzati (come il Partito socialista e il Partito
popolare) penalizzando i notabili locali e di conseguenza aggravando le difficoltà del Partito
liberale.
Infatti, il Patito popolare e il Partito socialista uscirono vittoriosi e Mussolini ottenne poco più di
4000 voti e nessun seggio.


 
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2.8 La difficile ricerca dei nuovi equilibri:


Dal momento che il potere venne affidato nelle mani dei due partiti popolari, rimase aperto il
problema della formazione di un governo autorevole, in grado di affrontare la crisi politica e
sociale del paese; infatti nessuno dei tre partiti principali era in grado di governare da solo né
intendeva allearsi con uno degli altri due.
Nella disperazione, venne richiamato in causa Giolitti, con la speranza che egli riprodusse quel
compromesso tra la borghesia e le classi lavoratrici avvenuto nel periodo del decollo industriale. Il
suo programma, nettamente riformista, venne rifiutato da gran parte del Partito popolare e dai
socialisti, sempre più orientati verso il massimalismo.
E intanto in Italia il fascismo assumeva delle dimensioni sempre più inquietanti.

2.9 L’occupazione delle fabbriche: la rivoluzione alle porte?


Potremmo dire che la rivoluzione sembrò alle porte proprio quando, nel 1920, gli operai dell’Alfa
Romeo occuparono la fabbrica in risposta all’annuncio della chiusura da parte del dirigente.
A seguito, mezzo milione di lavoratori occuparono le fabbriche del triangolo industriale.
Torino fu l’epicentro dell’occupazione ed era lì che operava il gruppo dell’Ordine nuovo in cui
spiccavano i protagonisti che due anni dopo avrebbero creato il Partito comunista d’Italia (Togliatti,
Terracini, Gramsci e Tasca).
L’occupazione delle fabbriche non poteva che diventare una questione politica che investiva le
responsabilità del Partito socialista, il quale si rifiutò di guidare il movimento e la Cgl cercò subito
di depotenzialo, riducendolo ad un semplice obbiettivo sindacale.
A capo dell’occupazione restò soltanto la Federazione italiana operai metallurgici (Fiom) che
non riuscì, però, a coinvolgere gli operai degli altri settori produttivi.

2.10 La crisi del compromesso giolittiano:


Nel 1920 venne stabilito l’accordo che pose fine all’occupazione delle fabbriche, esso prevedeva
un forte aumento del salario e il riconoscimento delle commissioni interne.
Nonostante gli operai siano stati ascoltati, il conflitto sociale viveva ancora. Infatti, la borghesia
industriale era contro i metodo giolittiani, e riteneva che i sindacati e le pretese degli operai fossero
la causa prima dei disordini sociali e l’impedimento per il risanamento economico nazionale.
Inoltre, dal momento che gli operari erano riusciti a far funzionare le officine in assenza dei
dirigenti, gli industriali si sentirono in un certo senso minacciati, e decisero di abbandonare Giolitti
per favoreggiare il nuovo movimento fascista che stava alle porte.

2.11 Dal biennio rosso al biennio nero:


All’interno del Psi le continue polemiche tra i massimalisti e i riformisti contribuivano a mirare la
credibilità politica e il consenso elettorale:
 Già dopo le elezioni del ’20 liberali conservatori, nazionalisti e fascisti ottennero risultati a
loro favorevoli;
 Operai e contadini sentivano gli effetti di una nuova, breve ma acutissima, crisi economica.
L’avvenimento che segnò la prima offensiva degli squadristi fascisti fu la presa del municipio
socialista bolognese, seguita da una serie di scontri a fuoco. Un mese dopo attaccarono il municipio
socialista ferrarese, seguito da altre azioni analoghe che diffondevano il terrore in tutta la val
padana. Si passò così dal biennio rosso al biennio nero.


 
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3) L’AVVENTO DEL FASCISMO

3.1 La crisi del 1921: trasformazione dello scenario economico-sociale


Tenendo presente la situazione economica precedente (inflazione, i colossi dai piedi d’argilla, il
triangolo industriale, il quadrumvirato, l’intreccio banca-industria), non ci stupiremo ora nel sapere
che agli inizi del ’21 l’Ilva e l’Ansaldo furono sull’orlo del fallimento, trascinando, di
conseguenza, le banche che li avevano finanziati.
Lo stato intervenne in modo da farle sopravvivere, in tutti i settori ci fu un calo degli investimenti e
l’inflazione diminuì leggermente, ma il fronte sindacale si indeboliva sempre più dato che sempre
più persone cercavano lavoro a costo di accettare condizioni meno favorevoli. Questo non fece altro
che indebolire il potere contrattuale e gli sforzi del proletariato operaio compiuti nel biennio rosso.
Nel ’21, Giolitti prese alcuni provvedimenti:
1) Abolì il prezzo politico del pane;
2) Fornì a prezzi bassi i generi indispensabili per la sopravvivenza alla popolazione;
3) Aumentò le tariffe protezionistiche per tutelare il sistema industriale nazionale.

3.2 La fine del compromesso giolittiano e la nascita del Partito fascista:


Con grande intuizione Mussolini pensò che la crisi del compromesso giolittiano e le difficoltà del
movimento operaio potessero spianargli la strada per una riorganizzazione sotto l’insegna dei Fasci.
Così, il Movimento dei Fasci si orientò in senso conservatore, abbandonando l’interesse sociale.
 Mussolini organizzò il partito gerarchicamente dando origine al Partito nazionale
fascista (Pnf), avente già migliaia di iscritti. Per contrastare la Confederazione delle
corporazioni sindacali, che voleva il consenso dei sindacati socialisti e dei cattolici, e per
avvicinarsi alla base politica del suo partito, egli abbandonò il carattere anticlericale e
antimonarchico del Partito.
 In campo parlamentare, Mussolini riuscì ad ottenere la simpatia di Papa Pio IX e quella
delle alte gerarchie militari, rifiutando ogni interesse verso la repubblica.
 La violenza contro il movimento operaio faceva ancora parte del suo progetto, così
Mussolini potenziò le squadre d’azione ed aumentò le spedizioni contro ogni tipi di
cooperativa sindacale e le rispettive sedi centrali, comprese le cooperative rosse e quelle
bianche.

3.3 Gli errori della prospettiva giolittiana e la difficile situazione del Psi:
Possiamo attribuire alle forze liberali e allo stesso Giolitti l’errore dell’ascesa del fascismo. Si
pensava che una volta aver represso i movimenti operaio e bracciantile, i fascisti potessero essere in
un certo senso “scartati” e repressi, ma, come sappiamo, così non avvenne, tanto che il fascismo
venne accolto ingenuamente da migliaia di persone.
La sconfitta del movimento operaio è dovuta soprattutto alla debolezza del Partito socialista,
continuamente messo in crisi dall’egemonia dei rivoluzionari e dei massimalisti, in continuo
conflitto. I riformisti non erano in grado di fornire un piano di riforme che tutelasse gli interessi dei
ceti medi e il riconoscimento dei ceti imprenditoriali.
Inoltre, nonostante il Psi avesse vinto le elezioni del ’21 si trovo isolato, dal momento che liberali,
nazionalisti e fascisti si erano alleati (256 deputati in parlamento appartenenti al “blocco
nazionale”).


 
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3.4 Le spaccature nel Partito socialista:


Come sappiamo, il Psi era al suo interno diviso tra massimalisti e riformisti e lo scontro continuo di
queste componenti non face altro che indebolire il partito. Quando la componente riformista tentò di
prendere una posizione rispetto a quello massimalista la direzione decise di espellerla dal Partito;
 così, Turati, Modigliani e Treves fondarono il Partito socialista unitario (Psu), con
Matteotti come primo segretario.
 Davanti a questa scelta la Cgl assunse una posizione autonoma rinunciando all’alleanza con
il Psi;
 la minoranza comunista del partito decise anch’essa di staccarsi dal Partito e di fondare il
Pcd’I (Partito comunista d’Italia).
Con un Partito socialista così frammentato e isolato il fascismo ebbe strada libera. Il 2 maggio
Italo Balbo invase la città di Ferrara, mentre Bologna veniva occupata giorni dopo dai fascisti
armati, che riuscirono ad assalire anche il municipio cremonesi, radendo al suolo le sedi delle
associazioni socialiste e popolari.

3.5 La marcia su Roma: l’Italia verso la dittatura


Mussolini aveva ormai tutte le carte in regola per poter accelerare la presa del potere:
 lo stato non aveva più alcun controllo dell’ordine pubblico,
 il parlamento era paralizzato dalle sue spaccature interne,
 l’opposizione socialista e liberale non aveva più le forze di resistere alla pressione fascista,
 caduto il governo Giolitti si succedettero ministeri sempre meno in grado di affrontare la
situazione; Bonomi, successore di Giolitti, cadde anch’egli, accentuando maggiormente la
profonda crisi pilitica,
 mentre i fascisti rappresentavano una forza in grado di dettare legge su tutto e tutti.
I piani dell’insurrezione:
 Il 28 ottobre milioni di fascisti armati marciarono verso la capitale, occupando ogni città e
paese di passaggio, mentre Mussolini attendeva l’incarico del re di riformare il governo.
 Il re Vittorio Emanuele III, anziché accettare la proposta Facta che avrebbe consentito
all’esercito di intervenire contro le squadre fasciste che erano state bloccate alle porte di
Roma, assegnò a Mussolini il potere di riformare il governo.
I fascisti, grazie all’aiuto del re, al favore della borghesia industriale, alla neutralità della chiesa e al
sostegno militare divennero i padroni assoluti dello scenario politico e, come sapremo, sarà questo
l’inizio di una dittatura aggressiva e distruttiva.


 
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4. LA COSTRUZIONE DEL REGIME

4.1 I fascisti al governo:


Tra i primi provvedimenti del nuovo regime possiamo individuare:
 Piano economico: vi fu un periodo di ripresa economica che riguarda il triennio 1923-25, in
cui la produzione manifatturiera crebbe del 54% grazie all’accumulazione dei capitali e agli
investimenti. La leva principale utilizzata fu quella del fisco:
 Le leggi fiscali (Giolitti) vennero dichiarate decadute;
 I redditi azionari vennero defiscalizzati;
 Operai e contadini dovettero pagare l’imposta sul reddito;
 Le imposte indirette aumentarono i prezzi sui beni di consumo;
 Gli imprenditori avevano libertà d’iniziativa;
Parallelamente, la spesa pubblica diminuì drasticamente per poter tenere sotto controllo il
debito pubblico (12% di tutta la ricchezza nazionale).
 Piano politico e istituzionale: il regime proibì progressivamente le libertà di parola e
d’iniziativa. Inoltre il regime agevolò la produzione e gli investimenti attraverso grandi
prestiti capitali.
 Piano sociale: per stimolare la produzione interna, il regime lanciò due grandi iniziative:
1) La battaglia del grano: essa consisteva nell’aumentare la produzione agricola, dei
cereali, mediante l’introduzione di nuovi macchinari.
2) La bonifica integrale: consisteva nel dover aumentare la superficie coltivabile
ricavandola dalla palude e dall’incolto, principalmente nel Mezzogiorno.
Queste due iniziative necessitavano di parecchia manodopera, il che avrebbe sicuramente
diminuito il numero dei disoccupati, fornendo numerosi posti di lavoro nelle campagne.

4.2 Il delitto Matteotti:


Nei primi anni di governo, Mussolini, dette avvio ad un programma di radicali trasformazioni
istituzionali. Tradizionalmente ostile al Parlamento, il fascismo ne sostenne le caratteristiche
essenziali, costituendo dei nuovi organismi in sostituzione di esso, che erano conformi alle
esigenze della futura dittatura.
Così, nacquero il gran consiglio del fascismo, a cui furono attribuite alcune funzioni che in
principio spettavano al parlamento, e la milizia volontaria per la sicurezza nazionale, incaricata
della difesa del regime e della quale entrò a far parte anche la squadra d’assalto; aumentano
naturalmente le restrizioni in materia di libertà di stampa e di riunione.
Nel 1924 le elezioni vennero vinte dal “listone” (fascisti e conservatori) per mezzo di voti truccati
ed intimidazioni. Solo Giacomo Matteotti (deputato socialista) ebbe il coraggio di denunciare tale
fatto al Parlamento, venendo così rapito ed ucciso a Roma il 10 giugno 1924.
Tale delitto suscitò una grande indignazione nell’opinione pubblica ed in parlamento alcuni deputati
abbandonano la Camera, attuando una protesta morale che restò tuttavia solo simbolica (la
secessione dell’Aventino) in quanto Mussolini, sebbene apparisse preoccupato e dubbioso, utilizzò
l’aiuto e la protezione del re Vittorio Emanuele III.
Sicuramente, uno dei punti di forza del fascismo fu il sostegno di papa Pio IX, che era il
rappresentante della componente cattolica più conservativa, che si opponeva al socialismo.


 
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4.3 Il 1926, l’anno di svolta: la costruzione del regime fascista:


Passata la bufera in seguito all’assassinio di Matteotti, Mussolini diede una svolta radicale alla sua
politica, in quanto fino a quel momento aveva sempre rispettato formalmente le regole
costituzionali. Così, prese corpo un assetto istituzionale e politico conosciuto con il nome di regime
fascista anche per mezzo di iniziative parallele quali:
- riduzione al minimo dell’attività di opposizione politica
- togliere al parlamento la funzione di massimo organismo politico
- allargare il consenso al fascismo per mezzo della mediazione sociale, cioè attraverso
sindacati di stato, istituti di assistenza e previdenza.
Il vero anno di svolta fu comunque quello compreso tra il 1925 e il 1926: si passò da un regime ad
una vera e propria dittatura, attraverso la promulgazione di una serie di decreti governativi con la
collaborazione di Alfredo Rocco (ministro della Giustizia), uno dei capi del nazionalismo.
Tali decreti limitavano ancora di più la libertà di stampa e di attività politica.
 Allo stesso tempo si ebbe una svolta accentratrice dei poteri nelle mani dello stato: il duce
riunì in se i poteri di capo del governo, del partito e titolare di alcuni ministeri come quello
della Guerra, degli Interni e degli Esteri. Non viene abrogato lo statuto Albertino, ma
subisce nette e sostanziali modificazioni delle sue norme costituzionali.
Il parlamento si vide togliere la funzione legislativa che passò al governo e nello stesso
tempo diventò un semplice organo di controllo.
 Venne modificato anche l’assetto amministrativo della compagine statale: vengono
sostituiti sindaci e presidenti di provincia con podestà e presidi; il potere locale passa nelle
mani del prefetto che risponde direttamente al duce del suo operato.
 Vennero dichiarati illegali tutti i partiti politici escluso quello fascista; nacque il tribunale
speciale per la difesa dello stato allo scopo di sopprimere le opposizioni al regime. Così,
venne attuata una legislazione repressiva che portò all’arresto di Gramsci (comunista) e alla
nascita del fenomeno del fuoriuscitismo dei dirigenti dei partiti socialista, popolare,
repubblicano e liberale tra i quali spiccavano i nomi di Turati, Sturzo e di Nello e Carlo
Roselli.

4.4 Le leggi sindacali:


Nel 1925 l’accordo di palazzo Vidoni obbligò la Confindustria a stipulare accordi solo con il
partito fascista. Infatti, nell’aprile 1926 vennero promulgate delle leggi sindacali che resero illegali
scioperi e chiusure delle fabbriche. Gli organismi di rappresentanza sindacale vennero riconosciuti
come organismi di stato ed inquadrati in corporazioni professionali che avrebbero dovuto risolvere i
conflitti sociali a favore degli interessi superiori della nazione.
La tutela di questi interessi della nazione venne affidata alla Magistratura del lavoro. Con tale
azione repressiva venivano disconosciuti i lavoratori come forza sociale e, nello stesso tempo,
diventavano semplice forza lavoro.
Da queste leggi si nota la volontà di creare uno stato totalitario che impedisce ai lavoratori di
difendersi e contrattare liberamente i propri interessi. Nell’anno successivo venne stilata la
cosiddetta Carta del lavoro, che presentava gli obiettivi generali della nuova politica sociale, che
avrebbero dovuto favorire una collaborazione tra le classi.


 
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4.5 La svolta in politica economica: la rivalutazione della lira


Nel 1926, con il discorso di Pesaro, Mussolini lanciò l’operazione “Quota 90”, che consisteva in
una rivalutazione della lira nei confronti della sterlina, che era la principale moneta di scambio.
La nuova fase prevedeva:
a) una diminuzione dell’inflazione per mezzo del controllo dei prezzi,
b) la protezione di risparmiatori
c) la tutela dei settori industriali più forti, facendo ricorso ad un rigido protezionismo.
Tale azione rafforzò il consenso interno ed estero e stimolò la grande industria pur danneggiando la
piccola impresa esportatrice. La rivalutazione politica fece capire inoltre che in Italia l’unica
volontà politica era quella del duce; si trattava di una prova di forza che fece capire agli
industriali che il nuovo governo non assomigliava minimamente a quello vecchio e che la
mediazione non era comunque tanto semplice e scontata.
Mussolini aveva dimostrato di saper fornire garanzie e di saper mediare i suoi interessi verso i
lavoratori; tutto doveva essere subordinato alla completa adesione al regime e al riconoscimento del
suo potere indiscusso.
La svolta politica andava quindi resa in questa ottica: lo stato corporativo e l’irreggimentazione
degli organi statali erano condizioni indispensabili affinché le conseguenze sociali della
rivalutazione della lira non portassero ad una nuova conflittualità sociale.

4.6 Gli effetti sociali della rivalutazione: il consenso della piccola borghesia
Quota 90 portò ad una nuova crisi nei settori economici dediti all’esportazione e aumentò la
disoccupazione a dismisura e si verificò una forte erosione dei salari.
 Così, si giunge ad un biennio di squilibri e tensioni sociali in particolare nel triangolo
industriale. La carta del lavoro del 1927, di fronte alle nuove lotte, dimostrò la sua
inconsistenza. In queste gravi condizioni il regime scelse di appoggiare i grandi gruppi
industriali, scaricando i costi della rivalutazione sui salari.
 Il regime continuò così a rafforzarsi in quanto la rivalutazione si dimostrò strumento di
difesa del piccolo risparmiatore.
 La borghesia assunse la funzione di base di massa del regime, l’ambito sociale in cui il
partito raccoglieva i maggiori iscritti e consensi.
Anche la chiesa contribuì ad aumentare lo sviluppo del fascismo in quanto prima tollerò la
distruzione del partito popolare e lo scioglimento delle organizzazioni giovanili e poi appoggiò la
svolta totalitaria del regime.

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