i!'...'
'
http://www.archive.org/details/epicuroopereframOObari
GENTILE
EPICURO
EPICURO
OPERE, FRAMMENTI, TESTIMONIANZE
SULLA SUA VITA
ETTORE BIGNONE
BARI
GIUS. LATERZA & FIGLI
TIPOGKAFI-EDITOKI-LIBUAI
1920
/75-J^
PROPRIET LETTERARIA
NOVEMBRE MCMXIX
53768
VXORI SVAVISSIMAE
evi
AVVERTENZA.
Il
simo
spirito,
risultati
non mai
una
il commento delle opere, dei frammenti e delle testimonianze sulla vita, con un'Appendice ed
un'Introduzione critica, ove segnai i tratti pi salienti della
figura del maestro e della dottrina e discussi le questioni pi
parte: la traduzione ed
scritti.
AVVERTENZA
vili
non
vi pagina, in particolar
modo
E veramente
man-
sottoponendo
il
testo
entro
limiti di spazio
1 Con ottimo pensiero perci la Societ Reale di Napoli ha indetto un concorso con cospicuo premio, per una nuova edizione di tutto quanto possediamo
d'Epicuro e per uno studio sopra la sua dottrina.
2 I frammenti, 70, non contenuti negli Epicurea son segnati con asterisco:
quanto alla critica del testo, il mio differisce da quello dell' Usener in circa centocinquanta passi che sono indicati e discussi nelle note: negli altri luoghi seguii
quello dell' TJsener, o, quando si tratti di frammenti non contenuti negli Epicurea,
quello indicato volta per volta. Qualche altro nuovo testo spero di poter dare
prossimamente con adeguato commento.
Si badi che l' Usener rec insieme commisti i frammenti e le testimonianze,
pur distinguendoli con diverso carattere tipografico naturalmente io intendo quali
frammenti solo quelli che rechino parole testuali di Epicuro e non notizie indirette sulla dottrina. Nelle mie citazioni dei frammenti indico il numero che
hanno nella mia raccolta; in quelle delle epistole, i numeri dei paragrafi segnati
in margine. Con la sigla FHG, designo i Fragmenta Historicorum Graecorum del
MLLER (ed. Didot): con Doxogr. i Dossografi greci editi dal Diels (Berlin, Reimer,
1879). I frammenti e le testimonianze dei presocratici son citati secondo la terza
edizione del Diels (I9ia), e queste ultime son designate con la sigla consueta A,
:
cui segue
il
numero
ivi corrispondente.
chiudon parole supplite da me o da altri nel testo greco per colmare le lacune, o quelle che vi corrispondono nella traduzione: quelli [] parole
aggiunte da me a chiarimento nel tradurre.
I
segni
< >
AVVERTENZA
lavori d'altri, ove
ma
me
IX
mi parvero
errate.
lunghe e pertinaci ricerche, il sincero e caldo consentimento dei lettori che non
manc a quello su Empedocle: dalla parte mia non risparmiai fatica per corrispondervi quanto meglio potessi.
frutto di
E. B.
CORREZIONI
1 1.
28
leggi: Ai
15, dall'alto,
6,
dal basso,
35 15,
50 6 e
7,
51 25,
Chrysippus)
alcuno
leggi: Yi^verai, e
non
segni
<
28,
1.
sg. vr\Qr[y.)g
1.
Tfig
80 26,
opporr
Us.) <Jt8Ql
83 18,
ovfiJttt'd'eCag
100 22,
aX
111
"
"
Illb,
5,
[il
1.
134 17,
147
1,
e votoei
richiamo di questa
n.
va posto a
Metagitnione
T5v vTcov
11 dall'alto].
traverso
dall'alto, leggi:
%y\c,)
p. 35;
56,
sono in Appendice,
INTRODUZIONE
Fra
tutte
le
migliore.
Non mancano,
vero,
ma
Erodoto. Epicuro,
si
ed aspro:
lo
Cic, De
El'ICUKO.
fin., I, 5,
14 sg
De
nat. deor.,
I,
31, 85;
De
fin., II,
6,
18; 9, 27 sg.
EPICURO
discorso
-,
demo
Sulla retorica. Che Epicuro tuttavia sia scrittore perspicuo sempre, non sarebbe giusto affermare. Non solo per difficolt di dottrina o per corruzione di testi manoscritti, le opere
sue sono fra le pi difficili che ci abbia lasciate l'antichit. Il
yo?, il pensiero filosofico, che in Platone era alata parola
d'arte, nei filosofi che vennero dopo Aristotele, opera d'iniziato e di tecnica spesso astrusa. Platone sa tutto esprimere,
anche
ragionamenti pi
sottili,
chi parla, e parla egli ai bei giovani della palestra, con bocca
V. Vita di Epic,
V. Sent. vaU, 26.
% 13.
me
in calce alle
INTRODUZIONE
venze: v' infatti nel suo carattere e nella dottrina una borghesia di spiriti, conforme del resto all'et ellenistica^, che
lo divide per sempre dalla grande arte classica. Ma vi suona
una nota di passione nuova: egli qui non vuole pi solamente
insegnare, ma persuadere; vuole informare un'anima a vita
bella, austera e saggia.
la dottrina,
parlava della
poli
felicit con voce severa e porgeva ai suoi disceun godere sobrio con mano prudente. E v' pure una
Il
si
gia ad Isocrate.
Il
maestro di
stile
pu dire cominci
tendeva a sostituire
l'antico rapsodo: veniva anch'egli per lo piti di lontano, da
quel mondo ionico ricco di secolare sapienza, ma non recava
pi bei canti di epopea e di eroi la sua saggezza fioriva invece
in eleganti discorsi cari agli attici, era maestro di virt molteplice e di accorta prudenza civile. Con l'aedo, figlio d'una civilt ormai dechinante, egli veniva per a gara d'arte; e se
aveva rinunziato al fascino del verso numeroso, sapeva comporre il pensiero in una prosa ritmata ed armonica che piacesse
agli EUeni avidi di bellezza. E come ai Greci, nell'et classica,
l'artifizio del leggere non fu mai caro, ma sempre amarono
il discorso udito dalla bocca dell'oratore o serbato nella memoria fedele, la nuova prosa, in aiuto della memoria, sostituiva al ritmo del verso un ritmo suo, ancor numeroso ed
elegante, ma d'un'altra maniera. Perci la prosa sofistica
tutta contesta di suoi ritmi, ricercati pazientemente per aninfatti
con
Sofisti.
il
si
Sofista
Vedi su questi
Sen., Ep.,
sgg.
6, 6.
epicurea
il
mio studio
in
Atene
Rome,
EPICURO
4
titesi accorte,
membri
mondo
non
gli fu
estinta.
motto caro ad un altro filosofo: aliis laetus slbi sanon potrebbe applicarsi ad Epicuro. Ricorre nei suoi
frammenti qualche eco di gaiezza rumorosa, ma vi suona
Il
piens,
una
noscente
nostro passato.
Non
il
giovane, scrive
ma
il
giovane,
V. Sent. vaU,
SBN.,
Ad
il
al
il
egli, de-
vo-
29.
1.
INTRODUZIONE
che dalla terra contempla i procellosi flutti da cui l'ha difeso la sapienza del maestro; v' invece una sicurezza austera
e pacata, in cui suona un accento profondo di simpatia umana.
Appena l'attraversa qualche moto di ironia fuggevole, tutta
pervasa
EPICURO
li
Con
l'Epistola a Meneceo, le
Massime
numero
pii grande il
Epicuro su questo argomento.
come
non
si
un
trattato.
E neppure
pre rinnova
l'eresia,
le
almeno
si isterilisse
egli
am
nelle
forme dogmatiche di
affermato dovere
il
saggio
che aveva
non avvolgersi
pensiero un monumento
dogmatizzare
28.
121.
V. il Grande compendio (\ieydk'f\ nixonf)) citato spesso negli scolii dtl'Epiad Erodoto.
* Tale appunto l'Epistola ad Erodoto, come avverte Epicuro stesso in principio. V. mie n. ad l.
6 V. Ep. ad Er., 36, 45, 83; cfr. Ep. a Pitocle, 85; Vita di Epic, 12; Cic,
3
stola
De
Acad.,
II, 38.
INTRODUZIONE
giKii,
il
La
rdligion
Martha quanto
Epicuro
mondo
2
romaine
il
d' Auguste
aux Antonins,
1 sgj;.;
G. Bois-
il
di
classico.
V.
fr.
54-55.
Vedi nell'elenco delle opere di Epicuro (in Vita di Epicuro, 2S) Bei sensi
interni: massime a Tiinocrale; Delle malattie: massime a Mitre. Sull'ultimo
titolo (jt. vocov) V. mia n. ad toc.
* Vita di Epic, 138.
6 PniLOD., De ira, col. XLIII, 18 sg-, Wilke.
3
EPICURO
>
^.
testo
il
N manc
lo dice
orti,
gli
^
;
si
avversari ad
amava
il
la filosofia
pi bello dei
li-
il
saggezza epicurea: perch nell'et moderna fu messa in dubnon l'autenticit delle singole massime, almeno quella
della raccolta in s come opera di Epicuro, considerandola invece come un estratto da varie opere di lui, fatto senz'ordine
e discernimento da qualche discepolo posteriore.
Ad un epicureo fervente questo dubbio sarebbe sembrato
certo doloroso, ed a malincuore si sarebbe indotto a credere
che quel volume, su cui meditava i detti di Epicuro e tebio, se
^.
poderoso in
ampiamente dall'Usener,
1
V. infra,
Lue, Alexandr.,
p. 26, n.
e.
V. Lue,
Plut.,
l.
e svolta
wg
otO'd'a, xcov
[3i(3A,icov >al
KecpaXaicoScg
by\x,axa.
cit.
Be Pythiae orac,
yQa-^s xq nvQiaq
oijxio jtQg
venne ripresa
47: t xd-liOTov,
il
^,
-ixv
11,
'EjtiKoyQoq,
399
p
(5
E:
jtel
ti
>(oXvei
el:Tetv
xvx't\q
rsgov, q ovk
koI avxo\ix(o''
et philos.
Epic, Leid.,
1642, p. 1(^93.
INTRODUZIONE
definitiva, e
Epicurea, p.
Studi lucreziani,
xr.iv sg'g'.
p. xxxi.
mio studio Sulla discussa autenticit della raccolta delle KVQiai b^ai
di Epicuro in Rendiconti del R. Istit. Lombardo di se. e lettere, serie II, 1908, p. 792
sg-g. Il Nestle, recensendo questo mio studio in Wochenschrift fr hlnssiche Philol.,
1908, col. 230 sgg dopo aver riassunti i miei argomenti, conchiudeva dichiarando
che se io non avevo arrecato una prova assoluta dcirautenticit delle y.vQiax 6|at,
avevo per considerevolmente indebolito le argomentazioni dell' Usener intese a
provarne la non autenticit. Se non che una speciale prova della autenticit di
esse non si pu pretendere, n ero io tenuto a darla: essa risulta infatti da
tutta la tradizione antica che su ci concorde Chi del resto ha mai domandato
3
V.
il
o recato alcuna prova dell'autenticit d^.lV Epistola od Erodoto o di quella a Mftiecen, non bastandogli l'essere esse citate col nome di Epicuro, come appunto, e ben
pi spesso, sono citate col suo nome le y.vQiai 6|ai, che per di pi sono anche
poste nel catalogo dei libri di Epicuro da Diogene Laerzio?
agli avversari recare la prova della non autenticit.
Mi pare
stia
su questo punto
dunque
le
argo-
10
EPICURO
le argomentazioni gi da me svolte allora, aggiungendovi nuove ricerche, non mi muove tanto l'aspetto
generale della questione (che potrebbe anche parere di valore
secondario) quanto i suoi rapporti con la dottrina epicurea;
perch le ragioni proposte dairUsener derivano spesso da
sumere ora
non
TUsener fonda
non sarebbero trattati
questi:
anzitutto
il
in questa raccolta
nella
vuole vi
materia che, pure svolta in aforismi, rile dottrine fisiche hanno bisogno
di minute dimostrazioni che in una sentenza non possono
aver luogo. Epicuro perci in questo libro presuppone conosciuta la sua dottrina fisica, ne raccomanda lo studio, ma
non ne enuncia i singoli punti, perch non crede in succinti
sulti
si
tratti di
V.
p. es.
Mass. cap.,
queste argomentazioni
dell'
Usener,
v. lo studio citato.
INTRODUZIONE
aforismi possano apparire perspicui
aveva
11
compendi ^
poi rUsener crede che Epicuro
scritto speciali
torto
in queste sentenze
XXXII
XXXVII
Ma
si
dice nelle
prima
ho mostrato come Epicuro combatta ivi
una dottrina che aveva gran favore presso altre scuole filosofiche dell'antichit, onde ad Epicuro tornava utile dimostrarla errata. Del resto lo stesso epicureo Ermarco, l'immediato successore di Epicuro, ritorna con compiacenza su
questo medesimo tema. Quanto alle sentenze XXXVII sg.
(ove si stabilisce che essendo le leggi fatte per l'utilit socievole, esse avranno valore razionale ed obbligatorio solo
se a questa utilit corrispondono o fin quando vi corrispondono) rUsener obietta che, dissuadendo Epicuro il sapiente
dall'occuparsi della vita politica, doveva considerare questi
precetti come di utilit affatto secondaria. Per gi osservai
che Epicuro non impone sempre al saggio di astenersi dalla
vita pubblica ^, e del resto, quand'anche dovesse di politica
non occuparsi, doveva avere un concetto ben chiaro della validit razionale delle leggi, e dei loro limiti, perch egli, se
pure non fosse chiamato ad applicare leggi o sancirne, doveva esservi sottoposto. Forse che a Socrate, l'ideale figura
sentenze
sgg.
nelle note
alla
di queste sentenze
quando
nel
mando?
studiai
Ed appunto
il
loro co-
che io
discussa
suprema della
V. mia
il
12
EPICURO
le^ge intesa
come Tanima
della citt ^
ponenti
quadri farmaco
il
morale pratica
(t)
di
xetQacpdQfxaxog),
Epicuro, com-
ossia
quattro
rimedi a cui sempre dobbiamo ricorrere come conforto e sicurt per vivere felici. Dice in proposito un testo epicureo,
conservatoci dai papiri ercolanesi ~: Sempre ti sia sussidio
quadrlfarrnaco: che la divinit non deve recarti timore
il
[= Mass.
cap., II];
cap.^ I];
la
il
morte [= Massima
bene [= Massima
male [=Mass.
il
cap., IV] .
V.
Papiro
il
3Ius., 56, p.
xal Tya^v
Nuova
sofista in
|xv ev>ixy\xov,
fi
xsTQaqpdQixax.oi;
x 8 68lvv
q)oPov
"d-sg,
^-/tHaQTQifiTov.
vxJJtojtTov O-dvaxog,
Anche
lo
scrittore epi-
cureo pubblicato dal Comparetti in Museo italiano di antichit classica, 1834, voi. I,
p. 67 sgg., dopo avere in simil modo esposto queste quattro dottrine (v. col. XV,
UsENKR, p. 68 sgg.), osserva che per la loro importanza capitale sono poste
capo delle KVQiai 5|aL di Epicuro. [Il testo citato sopra credo ci porga il modo
cfr.
a.
di integrare in
maniera probabile
la
colonna
[jSaiveiv (cfr.
xfjq (tteqI
INTRODUZIONE
13
ha reverente opinione degli di, ed impavido semil fine secondo natura, conoscendo
come il limite del bene ha facile compimento ed agevole abbondanza, ed il limite dei mali ha breve tempo o doglia? .
Su queste sentenze non vi pu essere adunque dubbio circa
colui che
rUsener crede
e gli
ognuna ed
Targomento
rapporti
piti
si
determinasse
il
senso di
si veniva componendo
deve stupire che i singoli nessi e l'intero
disegno non risaltino a prima vista. Se tutte queste sentenze
formassero una catena strettamente connessa di proposizioni
logiche, congiunte da reciproci rapporti, n mai dovessimo
supplire alcun termine intermedio, non avremmo pii una
raccolta di aforismi ma un vero trattato. Ogni aforisma invece in verit un frammento, e chi ne compone un
libro ricerca quell'intima poesia che dei frammenti propria, e che rivive nella curiosit quasi simpatica del lettore, che d'ogni massima indaga le suggestioni riposte, collaborando cos con l'autore nel ricomporne il pensiero in
unit. Epicuro volle appunto offrire ai suoi fedeli una collana
epicuree,
il
perspicuo.
ci
EPICURO
14
di pensieri,
egli
E dovunque
lore.
facilit
non
si
fa parola,
il
sommo
si
osservi che,
ci
mentre intensa pena vogliono quelle gioie che l'immaginazione avida insegue sempre. Scrive infatti Epicuro:
Grida la carne: non soff'rir fame, non soffrir sete, non soffrir
freddo; questo chi possiede e peri avere, anche con Giove
pu contendere in felicit ^ Interpretata cos la massima III,
anche il rapporto con quella che segue diviene chiaro. Epicuro ha in tal modo offerto ogni suo pensiero ai discepoli come
una piccola gemma di saggezza, che deve esser posta nella
sua vera luce, perch ne scaturiscano quei bagliori che ne
illuminino le significazioni riposte. La formula epicurea del
disfarsi,
le
1 Ed infatti al Giussani, a cui tale formula era sfuggita, sembrava che solo
due prime massime fossero a posto ed il disordine incominciasse gi dalla
terza.
2
cfr.
INTRODUZIONE
quadrifarmaco
ci
dunque
modo dobbiamo
qual
15
ci
supremamente cara;
per
la
tamente,
come abbiam
fatto, la
n.
ad
'
ToO
sunt
tur,
^
la lezione ed
il
valore di questa
massima V,
v.
in
mia
loc.
(ef'r.
Mass. cap.,
ii
q5iX,}ca^oi et cpi^oLxaioi,.
Fra
ivi) di cui
tali
si
parla nella
massima V,
si
(v.
Mass.,
XXXI
mio commento
e la VI siano
16
EPICURO
nella massima VII, pone in guardia il saggio contro i pericoli che derivano da questo desiderio che, nel suo inizio, si propone
uno scopo utile, senza per raggiungerlo. Vien naturale
dunque
si
nella sentenza
pi intima e vera fecondit, gravida d'avvenire, che propria d'altri piaceri, ed in particolare di quelli spirituali ed inObietto di questi ultimi la scienza, per, osserva
Epicuro neiraforisma XI, la scienza non ha valore per s,
ma solo per le sue conseguenze; per s infatti non vale che
il piacere supremo, la serenit del saggio. La scienza dunque
tellettivi.
non
gionamento, onde l'ultima (XII) ci porge una pi precisa dimostrazione di quello che s'era premesso nella X, cio che i piaceri dei dissoluti non hanno quel carattere di intima sicurezza
e quella pura liquldaque voluptas che Lucrezio esalta
"*.
per ci considerati in
s,
V.
il
del R. Ist.
^
Lo
loro,
sarebbero beni
si
p, 286, 294
sgg.
v.
sopra
p. 17 n.; 22 sg.
4
V. n. a Mass., X.
INTRODUZIONR
17
sicurezza
umana:
si
parl
paga
al
non
soffrire:
ogni
immagina-
E sulla felicit del saggio, che serba in s intima fonte perenne di felicit, raramente incombe la fortuna
(Mass., XVI), perch nel concetto della sapienza greca, il saggio
l'artefice supremo, a cui i casi della vita servono come la
materia bruta egli dunque anche da materia vile ed infida
sapr sbozzare l'opera d'arte austera ed armonica della propria vita serena. Serena poi sar la sua vita, se giusta
(Mass., XVII), onde trover nella sua coscienza la fierezza
di resistere agli assalti della fortuna, ma ancora maggiormente
se non temer la morte che pi di ogni altro evento in
arbitrio del caso. Ora che la morte non sia un male in s,
Epicuro ha gi premesso nella massima II; potrebbe parere
tuttavia che essa sia un male, come termine a quella eterna
serie di gioie che il pregio degli di. Ma che tale giudizio
sia erroneo, dimostra Epicuro nelle sentenze XIX-XX -, aczioni sfrenate.
che non questo il solo caso in cui Epicuro inserisce una sentenza
ailine ad un'altra, per trarne una conclusione ulteriore; simile
infatti il rapporto fra la XIX e la XX; cos pure la XXII propone un arf^onienfo
che sar svolto poi in quelle che seguono (XXIII-XXIV), quindi al concetto della
prima (XXII) si ritorna nella XXV come conclusione e avviamento ad una nuova
serie di precetti. Cfr. anche neWEpistola ad Erodalo i rapporti fra il 63 e il <8.
2 A torto rUsener crede che le massime
XIX-XX siano doppioni, laddove la
1
di
Si noti
argomento
Epicuro.
EPICURO
18
certandoci che
il
tempo
infinito
il
hanno eguale
finito
gli
neces-
XVIII) pi precisamente
si
il
limite del
trovi con
sommo
piaceri pi
raffinati
alla
tanto dopo la
desiderio di onori e di
chi persuaso di questo, e sa quanto poco basti alla tranquillit dello spirito,
non
soggetto
neppure
alla
brama
di
seconda
la
modo adeguato
1 Che poi la massima XVIII non sia un doppione della III, ho mostrato nelle
note a queste due sentenze. Quanto alla connessione delle massime XVIII-XIX-XX,
risulta evidente dalla dottrina, circa il limite (nQaq) del piacere, che appare in
tutte e tre.
2
V.
il
rum cacca
XVII]
mio studio
cupido,
citato, p. 803
cfr,
Lucr.,
Ili, 59 sg.
Denique avarities
et
hono-
interdum socios scelerum atque ministros Noctes atque dies niti praeAd summas emergere opes, haec vulnera vitae Non minimam partem
mortis formidine aluntur, Turpis enim ferme contemptus et acris aegestas Semola
ah dulci vita stabilique videtur [V. Mass., XXI]. Et quasi iam leti portas cunctarier
ante: Unde homines dum se falso terrore coacti [v Mass., XX]. Effugisse volunt
longe longeque remosse... rem conflant divitiasque Conduplicant avidi... intereunt
partim statuarum et nominis ergo.
3 V. Sent. vat., 14. Cfr. Luca., Ili, 931 sgg.
955 sgg. Che poi la Massima capitale XXI debba connettersi con la XX, nel modo che ho indicato, risulta anche
dal testo epicureo che riferisco pi oltre, p. 31 sg., n. 4.
et
stante labore.
INTRODUZIONE
19
un doppione
ma
sua
allo
come Parmenide, ha
spiriti
l'unilateralit
contemplativi e mistici
della beatitudine
umana. Egli
la mistica di
si
pu dire
infatti
un singosi
raffina,
in
pensa
di ripetersi,
della vita,
il
Ne
per questo aspetto, ad un altro libro di fede, alle Confessioni di S. Agostino, il quale ripercorre passo passo la
via travagliosa e piena di seduzioni dei suoi errori giovanili,
infatti,
per elevare
al fine di
ha saputo conquistare.
Esser colmi d'un solo pensiero in perenne dovizia ed in rispirituale che attraverso alle passioni
Parmkn.,
fr.
3 Diels.
EPICURO
20
conoscenza inesauribile, tale la virt della fede per il credente, sia essa la fede in Dio o nella felicit. E questa appunto
la forza deirepicureismo. Tutti gli epicurei, da Metrodoro
a Diogene di Enoanda, ripetono con ingenua continuit e monotonia sazievole non solo le dottrine del maestro, ma anche
minuscoli ed un poco risii suoi atteggiamenti, pur quelli
bili; e non se ne accorgono e non se ne tediano, come il
credente non
si
medesime parole
Ma
la
massima
XXI
secondo gruppo di sentenze (VIXXI) ove si svolgono le norme prescritte dalla saggezza e
dalla prudenza alla vita del saggio ^ Con la XXII infatti
s' inizia una nuova serie (XXII-XXIV) che tratta dei criteri
delia verit e del giudizio morale. Il passaggio dall'uno all'altro gruppo ben segnato dalla prima sentenza (XXII),
ove si afferma che in ogni atto dobbiamo badare sempre al
altrimenti la nostra
fine etico ed a tutti i criteri del vero
vita sar piena di turbamento ^. Ed appunto perch duplice
l'oggetto di questa massima (cio il bene morale e i criteri
della conoscenza), essa si presta a servire di passaggio
si
pu ritenere compiuto
il
dalle
modo
una
non si dovesse aver fede
che la nostra logica possa adeguatamente conoscere il vero
e dar ragione dell'errore: conoscenza ed azione sono due
gradi successivi d'un medesimo ordine, ed il secondo deve
mento
logico.
N ad
ogni
Si noti
come
la
sua etica
sicurt della vita ed alla rinunzia alla potenza politica ed agli onori: V. anche
sotto p. 21, n. 2.
2 A torto si volle vedere in questa sentenza una massima di contenuto puramente gnoseologico, mutandone arbitrariamente il testo; mentre, come ho indicato
nel commento, la morale di Epicuro strettamente connessa alla sua dottrina
della conoscenza, perch ambedue si fondano sulla testimonianza dei sensi.
INTRODUZIONE
21
biamo procedere
norme
parlato delle
dizio logico
riferirci,
il
la
Come
il
criterio
il
la
desiderii
si
umane.
classificheranno su-
si
la
XXIX;
biamo
infatti essa
visto,
alla
V. pi innunzi
Anche
(lucsta
p.
XXV
massima dopo
la
XXX
dopo
29, n. 1.
serie diuKiue,
come
la
seconda
(v.
s.
p.
2fi,
n. 1),
forma un
ciclo.
^ Che la massima XXVI non si debba collocare dopo la XXX, come vorrebbe
Gassendi, appare manifesto a chi osservi che la XXX tratta della terza categoria dei desideri (v. s. p. 23), e non potrebbe perci precedere la XXVl che tratta
di qu(!lli della seconda. Anche qui dunque i critici, volendo mutare l'ordine di
il
EPICURO
22
massime XXVII-XXVIII,
fra la
XXVI
e la
o che inter-
infatti
^, si
felicit,
dell'amicizia
si
XXVIII
siano doppioni,
le
^.
di
il
ma
si
dichiara
come
la
si
massime XXVII-XXVIII.
che
V.
Cfr. in proposito le
il
fr.
commento
alle
De
fin.,
I,
20, 67.
p. 805: v.
an-
INTRODUZIONE
essere ramicizia
il
sommo
23
sacrifizi
petizione,
ma
la
non gi
*:
la ri-
poich
confidare che
il
ci
la
meno
verr
massima
nei pericoli.
XXVI
stabilisce
il
non
valore dell'amici-
{Mass.,
^.
serie di
massime
di carattere giu-
si
di-
chiariscano
rapporti reciproci. Precedono quelle che determinano il concetto generale del giusto {Mass., XXXI-XXXV): cio,
prima {Mass,, XXXI) si definisce quale sia il diritto di natura, che consiste nell'utilit reciproca di non offendere e
non essere offesi ^; da questa proposizione fondamentale si ri-
Ed
V. infatti Seni,
Per l'interpretazione
appunto
il
sej^ue nelle
vai., 21.
di (questa
massima
e di (incile
che seguono
v. n.
ad
oc.
24
EPICURO
una
ma
(come credevano
Pitago-
Platone)
solo
bene^6r
s {Mass.,
affinch per
non
Epicuro [Mass.,
XXXIV), ma
si
XXXV)
pu essere sicuro
di
conservare
la
il
quale la
violi,
spirituale. Il saggio
Segue ora
la
XXXVI-XXXVIII) esse discorrono, non pii del diconsiderato nel suo valore generico, ma del diritto
[Mass.,
ritto
specifico, cio delle particolari disposizioni di legge, variasecondo i luoghi e le circostanze. La distinzione esposta
nella massima XXXVI, ove si dichiara che, nel senso pi
ampio, il giusto uguale per tutti coloro che siano in condizione di apprezzarne il valore, perch il simbolo dell'utilit
reciproca di non nuocerci a vicenda: ma poich le norme che
si debbono stabilire, affinch si ottenga tale utilit reciproca
pattuita, variano da luogo a luogo e secondo le circostanze
mutevoli, ne consegue che da luogo a luogo varii il diritto
specifico a cui provvedono le leggi.
Ci premesso ne deriva {Mass., XXXVII) che non solo le
norme legislative sono valide, anche se diverse nei vari luoghi ~, ove corrispondano al carattere fondamentale del giusto,
bili
cio l'utile,
ma
altres
INTRODUZIONE
25
Quando la loro
La sentenza seguente (XXXVIII), pare anche a me, come airUsener, un
duplicato di quella che la precede. Ed in ci non v' nulla
e fin tanto che corrispondano a tale carattere.
utilit
cessi,
cessa pure la
loro
validit.
comune a
essa
assai
tutti
significativa
popoli
osservazione,
ed importante per
lo
il
non essere
come vedemmo,
scopo polemico a
cui mira.
l'o-
La prima
debba ritenere a s
conda
ritrae
la
felicit
affini o
indica quali
addirittura ostili: la
della piccola
se-
Ed
bello e giusto
che questo libro aureo degli epicurei, che schiude loro la via
alla felicit, si coroni con una massima in lode dell'amicizia,
cui Epicuro vanta bene immortale e superiore alla saggezza
stessa - ed bello pure che nelle ultime parole di questo
:
libretto sorga
degno
di
ricordo,
Ja
morte
la
sua beatitudine
Ha
termine cos
ripercorrere,
Come
V. Sent.
si
il
non senza
frutto, credo,
ci ha fatto
gran parte dell'etica di
v.
nella
min
n.
ad
loc
EPICURO
26
il
questo ma-
Quanto a doppioni, ne trovammo uno solo, e precisamente contiguo alla sentenza di cui la ripetizione, e tale
vicinanza spiega il modo onde vi fu introdotto. Possiamo
dunque esser certi di avere nelle Massime capitali un libro
a lungo meditato dal maestro, e composto ad arte per dicit.
godendo
di ripercorrere
fidi,
fatti
lui
mentalmente
seguirne
la dottrina
maestri
^.
III
il
testo della
seconda non
entrambe scoperte posteriori agli Epicurea dell' Usener. Orbene, dallo studio
comparativo delle lezioni si vede che, se in qualche punto le due nuove fonti
ci servono a colmare lacune di qualche parola, caduta nel testo di Diogene
Laerzio per omissione degli amanuensi, in generale per la fonte a cui attinse
Diogene I^aerzio certamente migliore. E prova anche pi persuasiva abbiamo
da un papiro ercolanese (pap. 1012, col. 41), il cui testo venne recentemente riveduto del Crnert {KoL u. Mened., p. 116), da cui si ricava che la lezione vne%a(,Qeaiq,
che Diogene Laerzio reca nella massima III, si trovava solo nei buoni manoscritti
posseduti dagli epicurei, mentre i cattivi {x xa>tc5g xovxa yxiyQacpa) recavano
la lezione lalQeoig.
INTRODUZIONE
fu ancora corretto in
problema esser
mento.
ripetizione
il
n potrebbe questo
breve spazio concesso dal com-
soddisfacente
trattato nel
Anzitutto che
una
modo
27
secondo
del primo,
di questi
sia
facilmente a chi li esamini con attenzione; n difficile scorgere che la prima massima propone il quesito che nella seconda si dimostra. Fra le due sentenze intercede cos il me-
Ibid., 126.
135 e n. ivi.
EPICURO
^8
soluto, che
nella
questo ambizioso vanto s'accordano con Epicuro anche gli stoici K Come Epicuro intenda provare quanto af-
-ed In
^,
furono vani. Ingegnosa a prima vista la correzione dell'Usener che legge ga^oi av invece della lezione manoscritta
non
correzione accettabile.
<E
si
il
-gnificherebbero:
gradita.
Ma
la carne, cio
2(^,
p. 1046
Ti Tcaq xv jtXsiova xQvov ov'Q-v nX,?tov e-Saifxovoijoiv, XX' fioicos xal 3iiar\g ToXg
Tv
|xeQfi
2
La
fjSovfjg
3
xfig
INTRODUZIONK
2^
E
teoria,
secondo cui
su di essa
si
ricordi
si
il
che
testo)
la
La qual
illimitati
il
il
istante che
fugge, ed in quell'istante
finito ed infinito
eguagliano a chi non ha nozione del limite che distingue
l'uno dall'altro. Quando il Leopardi, sopra Termo colle, vuol
si
risentire
il
ove
il
suo animo
ama
perdersi,
deve
1 V.
Vita di Epicuro, % 36: cfr. Tertull., De anima, 17 (Usen., p. 183, 5 sgg.)
Epicurei constantius parem omnibus atque perpetuam defendunt veritatem, scd
alia va. Non enim sensum mentiri, sed opinioiiem sensum enim pati non opinavi.
Animam enim opinavi. August., De civilaW dei, Vili, 7 ad Diuscov., ep. CXVIII, 29:
:
Epicurei
numquam
sensus corporis
[cfr.
-f]
oQ%]
falli (dicunt).
EPICURO
30
l'assapora:
non
infausto profeta;
ma
un tempo pur non illimitato produce illimitato piacer. Conclude dunque secondo vuole la sua
del piacere, e cos
Posti
sulla
>
giudizio,
a giudicare
aoristi
INTRODUZIONE
che
il
sommo bene
31
ma
solo
si
il
svaria in
si
considera la qualit,
il
il
pii oltre.
~,
ma
quantit
la
piacere, sino a
il
quando
N pu
per-
saggio persuaso
N di l della morte
vede eterne pene, quei timori, cio, dell'eternit di cui Epicuro ha guarito gli animi umani ^. Le basta dunque che fino
a quando la vita duri, perfetto permanga il piacere, ed a
questo provvede la dottrina che lo riconosce pieno e assoluto
senso e la morte privazione di senso.
neW atarassia
1
V. Mass. cap., XVIII: Plut., Contr. Epic. beat., 3, p. 1088 C: Comune limite
pose Epicuro ai piaceri, la detrazione di tutto il dolore, in quanto solo sino a tal
punto la natura accresce la ffioia, ma non concede che proceda pi lungi in grandezza; e quando essa natura sia pervenuta alla cessazione del dolore, solo accoglie
certe variazioni non necessarie: cfr. lo scolio, alla Mass. cap., XXIX.
* V. Mass. cap., II, e n. ivi.
3 V. Ep. ad. Erod., 81 e n. ivi.
* Un
raffronto epicureo, non ancora scorto, con questa sentenza e la seguente (XXI), nell'operetta intitolata OiXtoxa dell'epicureo Carneisco, conservataci frammentaria nei papiri ercolanesi e pubblicata dal Crnkrt recentemente
in Kololes u. Mened., p. 69 sgg.
v. ivi col. XII, p. 70: xal el ixejiVTijivov, xa]\>'6
:
EPICURO
32
quella di Metrodoro:
insidia
s' vissuto
IV
Se molte sono
le difficolt di lezione e di
interpretazione
'X,r\
[v.
jil
La ragione
per
xQvov,
Mass.,
5
xotg jto^^oig
ji;8Qi|3X,sjtx(ov,
sopra. Interessante
XIX-XX,
il
poi, per lo
confronto con
il
massime
Enoanda. Ivi
sono queste cose che rendono
frammento LXIII
sg. di
Diogene
di
LXIII,
col. 3 sg.
W.)
tuna,
come ho mostrato
sopra, p. 17 sg.
INTRODUZIONE
i
33
neofiti
gono comprenderanno agevolmente, s'anche ommette particolari, se scrive alla brava, in un linguaggio tecnico, incurioso di quella nitidezza d'espressione che piacerebbe anche
in un filosofo. E T incuria spesso manifesta; anche nei primi
periodi, che esprimono un concetto piano e naturale, il pensiero s'avvolge in ambagi inutili. Epicuro non sa pi scrivere
come
si
trattate troppo in
breve e quasi
di scorcio;
perch egli
si
II
Grande compendio
quest'epistola lo scritto
neceo e
le
Massime
(v.
pii
capitali.
Epistola ad Erod., }5 e n.
diffcile di
tratta,
dovrebbe pre-
cedere, perch, nell'ordine della dottrina epicurea, prima veniva la dottrina della
conoscenza (cio la canonica) di cui non abbiamo alcuno scritto particolare ma solo
qualche accenno nelle Massime capitali e n^WEpisioa ad Erodoto, poi la fisica,
poi Velica. Mi parve per inopportuno porre sin dal principio innanzi ai lettori lo
scritto pi arduo di Epicuro (composto da lui per lettori gi iniziati ed esperti
del sistema) mentre la Lettera a Meneceo e le Massime capitali, potevano prepararli man mano ad affrontare diflScolt maggiori.
Epicuro.
34
EPICI! no
nianze epicuree. Questo abbiamo cercato di fare, e credo apparir che in molti punti la dottrina ne esce chiarita ed il
testo ridotto a migliore e pi sicura lezione.
giche,
in cui egli
ma
di risultamenti o di
ad indicare le opinioni pi probabili, combattendo quei filosofi che avevano su tali questioni dottrine
dogmatiche. Pi rude e incondita anche di quella ad Erodoto ^, potrebbe, a chi la legga, parer poco degna di Epicuro. E per verit TUsener trov in un testo ercolanese che
della sua autenticit gi sollevarono qualche dubbio i succesricerche,
solo
(1903),
INTRODUZIONE
'
Ad
maestro ^
sori del
nersi scritta da
lui,
rite-
della natura.
libri
una compilazione
di
frettolosa, fatta
dal maestro stesso o da qualche discepolo, forse per suo incarico, serba
le
abbiamo cercato
ci fu possibile.
Il
nipolo
dunque
dita,
non possono
non
corto, se
Ed
a compensarne la per-
in piccola
parte, servire le
^,
molteplice
ed
il
mirabile
poema
di Lucrezio,
di Epicuro.
gli
scrittori antichi o
florilegi.
un
florilegio
un anno dopo la pubblicazione degli Epicurea delrUsener, onde non furono comprese da lui nell'opera sua e
rimasero perci assai meno note ^. Ed peccato, perch fu
vaticano,
Metereologica, p, 98), ma esse non si riferiscono gi ad un giudizio di preminenza eW epistola a Pitocle su quella ad Erodoto, ma alla semplice preferenza
che dovrebbesi, secondo lui, dare alla lezione (scripturam illam) KXcov xaX.5,
(invece del semplice KA,cov dei manoscritti) che trovasi in Eudocia, nelle prime
parole d<i\V epistola a Pitocle Lo Schneider ha torto di dar valore alla testimonianza di Eudocia, che non ne ha alcuna, ma innocente del giudizio estetico
(attribuitogli per scusabile svista dall' Usener) che sarebbe veramente lepidum
1 V. pap. ercoli
1005, col. Vili, 4 sg., che riferisco secondo le nuove letture
et
del
dubbio per se
si
debba leggere
A.afi,pdvcov
:tiToji,fjg
)q
zieq
xivtov
jisqI qjvoEcog di
le notizie
Epicuro
del
ci
EPICURO
36
fiori
ci
;
dell'opera di Epicuro.
e dai nemici
vennero
tra-
'EniKOVQOv
rtQoocpcvTioig
Allocuzione
di
reggersi jtQoocpa)VT]Ois in oTQoocpcovriasig, come propose il Weil. Il titolo che il raccoglitore diede alla raccolta indica lo scopo morale che si propose. Volle egli
farci riudire la voce di Epicuro, trascegliendo dai suoi detti quelli che ne rias-
sumessero l'insegnamento morale come guida della vita umana. Di queste sentenze epicuree alcuna per non del maestro, ma dei discepoli: a Metrodoro,
infatti, sono assegnate da altre fonti la sentenza 10, la 30 e la 47. dubbio se
sia di Metrodoro o di Epicuro la 31 (v. mia nota ivi). Per di pi una (la 3S)
non fu probabilmente scritta n da Epicuro, n da Metrodoro, che premor al
maestro, ma da un discepolo dopo la morte di Epicuro: l'Usener crede sia forse di
Ermarco. Delle altre, circa una ventina ci erano gi note, e buona parte di esse
atipartengono alle Massime capitali, le rimanenti sono in tutto o in parte nuove.
Recano tutte per il suggello dell'autenticit, sia nella forma che nella dottrina.
Rispetto alla fonte di cui si serv il compilatore, l'Usener crede fosse una raccolta
di pensieri, desunti dalle lettere di Epicuro, Metrodoro, Polieno ed Ermarco, di
cui si sarebbe servito anche Seneca (v. Usener, Wiener Studien, 18'^8, p. 189 sg.:
avrebbe aggiunto a questo primo nucleo anche una scelta delle Massime capitali.
L'ipotesi dell'Usener ingegnosa e assai probabilmente, in parte, coglie nel vero,
perch qualcuna di queste sentenze ha carattere epistolare, credo per sia troppo
assoluta. Il compilatore, come usufru senza dubbio le Massime capitali, pot anche attingere da altri florilegi, se non alle opere epicuree. In nota al fr. 8, ho
indicata infatti la possibilit che una di queste sentenze appartenga al Simposio
di Epicuro. bene dunque evitare ipotesi troppo assolute, e non affermare senz'altro che tanto il compilatore di questa raccolta quanto Seneca, non avessero altrn
fonte, oltre alle Massime capitali, che il predetto florilegio delle epistole epicuree.
Di queste massime l'edizione principe, ed unica sin ora, quella del Wotkk
Wiener Studien, 1888, p. 191 8gg., con apparato critico del Wotke stesso e
considerazioni dell'Usener (p. 175 sgg., 199-201) e del Gomperz (p. 802-210). Ma, come
naturale, il primo testo costituito non sempre soddisfacente; perci nelle note
alla mia traduzione indicai, di volta in volta, quando me ne allontanai per ristabilire la lezione manoscritta o per correggere altrimenti i passi corrotti nel codice.
Gli studi posteriori di cui mi servii saranno ricordati, volta per volta, nelle note.
nelle
INTRODUZIONE
37
Ugual compiacenza i detti pi salienti come i meno significativi, sarebbero sempre per noi la miglior fonte a conoscere
il meglio della saggezza morale di Epicuro. Chi raccolse in-
vece
le
fu,
come si pu desumere da
un avversario ^ Gi la
stoico
pare scelto
ma
in cui
il
florilegio vaticano.
sono evitati
non ne
simpatici a chi
tratti della
fosse
un'allocuzione epicurea,
dottrina pi rudi e
Wiener
2
p.
dell'
le
cui opere,
Usknkr
come
scri-
Studiett.
Senkca, Ep.,
()4,
8: efr.
meno
Lomb.
La
il
mio
yeligione di Seneca ed
di se. e
leti.,
il
Roma, anno
XI,
EPICURO
38
il
culto
supremamente caro
all'uomo antico, la religione della felicit. Tutta la sua dottrina ne pervasa come da un'ansia di certezza e di vittoria;
vittoria sul destino
alfine
raggiunto
non pi l'ansiosa
e con-
tiene al
ma
mondo
strettamente
il
problema
vita
ma
il bisogno spirituale a cui corrispondono, ben reale negli spiriti del suo tempo. La Natura non pi, per Epicuro, solamente la Otiaii; ionica, cieca legge di nascita e morte perenne,
ma
V.
fr. 77.
INTKODUZlONa
625 sgg.) la rappresenter sotto
Madre
la Gra-i
Idea, che
il
39
simbolo della
quando incede
Magna
Mater,
ed
<
L'affetto,
ad ognuno lanciando
l'appello perch si desti all'encomio della felicit ^ ed ancora Lucrezio, in pi vasto mito cosmico, svolge Taccenno
tutta intorno trascorre la terra,
(cpiLtt)
del maestro;
splende
il
Non mancano
Epicuro,
non
vero,
gli aspetti
flutti del
lume
ma neanche
solo in Lucrezio
pi tragici del
mondo
il
la dottrina epistoici
che tutto
in
naturale, che in
assolve
mare,
dituso!
ci
Ed
in cui
ad una
40
EPICURO
come
il
x'Y]Xavyq tcqgikov, la
Ed
rifulgente
la liberazione
che l'uomo trova nella scienza della vita, sui vertici della
prudenza umana. Ogni et stanca ed oppressa, dalla Rinascenza alla Rivoluzione francese, trover nella parola di Epicuro e di Lucrezio, ingenuamente interpretata e rivissuta,
una promessa di libert e di riconsacrata gioia del vivere. E
spesso dal tronco rinsecchito dell'epicureismo rigermineranno
verdi rami, in una vita novella. Ma nessun maestro d'epi-
mondo
Il
Mai come
il
cos perfetta
come
eroica
menzogna
sua gloria.
mentre l'et greca classica consacrava il tipo ideale del filosofo che muore per la giustizia, in Socrate conversante con
1
l'et
felicit:
mia
Volgeva per
vita,
INTRODUZIONE
Pure ad
essi tutti
ricordare le nostre
s'adeguava sempre
41
la gioia
dottrine e le verit
deiranimo nel
da noi scoperte
Ettore Bignone.
LETTERA A MENECEO
Epicuro a Meneceo salute
Nessuno, mentre giovane, indugi a filosofare, n vecchio
poich ad acquistarsi la salute dell'animo, non immaturo o troppo maturo nessuno.
E chi dice che ancor non venuta, o gi pass Tet di
filosofare, come dicesse che d'esser telice non ancor giunta
reti\
gi trascorse. Attendano dunque a filosofia, e il ^'\ovane ed il vecchio; questi affinch nella vecchiezza si man-
122
di filosofare si stanchi:
tenga giovine in
felicit,
su quelle cose che ci porgono la felicit; perch, se la possediamo, nulla ci manca, se essa ci manca, tutto facciamo per
possederla
^.
epicurea,
il
in
sjr.
ricostruito
da me
1012,
col. 57
123
44
EPICURO
attribuirle
beatitudine
^.
la
non
124
li
mantiene conformi alla nozione che ne ha*. Non
perci irreligioso chi gli di del volgo rinnega, ma chi le
opinioni del volgo applica agli di ^ Perch non sono pre-
nozioni ma presunzioni
fallaci, le
il
mio commento
ivi
cfr.
77.
v.
s.
vaQYTis: Epicuro
n. 1.
1900.
5
I,
il
p. 172 sgg.
"
LE'J'TEKA
A MBNECEO
comprendono
45
e si fanno cari
Abituati
la
^
morte:
in
quanto ogni bene e male nel senso, laddove la morte privazione del senso ^. Perci la retta conoscenza che la morte
nulla per noi, rende gioibile la mortalit della vita: non che
vi aggiunga interminato tempo, ma sgombra T (immedicato)
rimpianto dell'immortalit ^ Nulla infatti nella vita temibile,
per chi sinceramente persuaso che nulla di temibile ha il
spinti ad attuare nella vita loro l'ideale di questa divina serenit a cui anche il
saggio pu giungere (v. sotto 135): v. i miei studi citati sopra in n, i e 4 {Riv.
di FiloL, 1. e., p. 540 sg. Atti Acc. di Torino, 8 n.), cfr. Cic, De nat. deor., I, 19, 02
EusEB., Praep. ev., 5, p. 800 a, ove detto che l'affluire dei simulacri divini causa
a noi di grandissimi beni; cfr. Philod., jc. eia., p. 145 G.; 86, 13 G., cit. dalrUsENER, p. XX Pap. di Oss., v. II, n. CCXV, col. I, 11. 16 sgg. Ep. ad Erod.,
;
78. Si
deve
danneggiavano anche
vano
danni anche
:toA,X,c5v
buoni dovettero concedere persino gli Stoici (v. Frg. Stoic. Vct.,
II, fr. 1176 Hgg. Arnim). Questo appunto l'argomento che sempre muove Epicuro
e gli epicurei a combattere l'opinione del volgo e di quei filosofi che ammettono
ai
un intervento divino nelle cose umane (v. L\ct., Biv. inst., Ili, 17, 8). Piuttosto,
come appare dai passi citati sopra, Epicuro e gli epicurei ci tengono a dimostrare
che la loro dottrina, mentre toglie modo di accusare gli di per atti indegni della
loro augusta natura, conserva per alla religione una virt altamente benefica
per gli animi saggi e puri. Per il senso di ;to6xovTai ed XXxQiov, in fine del
periodo, e per la dottrina relativa, v. Mas*, cap.,
1
XXXIX,
130 x q)voixv
EvnQioxov
probabile
lezione dei codici nogov non sia una corruzione di djieiQov, ma provenga
una postilla marginale, in cui il revisore aveva corretto l'omissione di jioQov
dopo XX Tv, introdotta nel testo, fuori posto, dopo ovx, in sostituzione di jceiQov.
clie la
.la
125-
EPICURO
46
126
'',
'ma, se nato,
le soglie
'8;
1 Sia perch il saggio pu sempre eseir dalla vita quando questa gli sia troppo
gravosa per mali insopportabili (v. Cic, De fin., I, 19, 62; Sent. vat., 9); sia perch
le maggiori vilt e le maggiori perturbazioni nascono, direttamente o indirettamente, dal timore della morte. Contro gli altri mali poi di conforto ci che
detto nella Massima cap., IV, ed il fatto che il saggio anche nelle maggiori sventure trova la felicit in se medeimo (v. la lettera di Epicuro morente in Vita di
Ep., 22, Cfr. LucR., Ili, 31 ggg,
Mass. cap., XXI e n. ivi, XXVIII).
- Forse Epicarmo (fr. 11 Diels), che diceva: Morir non
voglio; d'esser morto
ridomi (cfr. Cic, Tusc, I, 8, 15).
;
V. LucR.,
V. Mass. cap.,
Infatti,
Ili, 830
come
sgg.
XX; XL.^
si
dimostra in 3Iass.
il
quantit di gioia di un tempo infinito. Quanto alla qualit del piacere, essa
pende dall'arte del goditore.
6
MiMNERMo??:
ol T xr\q
^cofjg
Crusius.
Non
gi,
come
il
la bellezza
Teognide,
(v,
V. 425 ssr.
tutti,
vecchi e gio-
s& vederne
di-
ama
la vita,
ma
chi non
LETTERA A MENECEO
47
non
N'ha pieno
vita?
diparte dalla ui
si
fermamente*:
cose che non la com-
portano.
Ancora, si ricordi, che il futuro non ne nostro, n interamente non nostro: onde non abbiamo ad attendercelo si-
se sicuramente
vani:
altri
altri:
e,
fatti
il
cosa operiamo, per non soffrire e non esser perturbati. Apogni tempesta dell'anima si placa; n
animato ha da procedere mai ad altro, come a cosa
che gli manchi, n altro cercare, onde sia compiuto il bene
dell'animo e del corpo ^ Ed invero, di piacere abbiam bisogno, quando soffriamo per l'assenza del piacere: (quando
non si soffre), il piacere pi non si cerca ^. Perci dichiapella
l'otteniamo,
l'essere
De
V. LucR.,
Ili, 955
sgg.; Cic,
fin., I,
19, 62.
9U
sgg.
Cic, Tusc,
III, 13, 28
sir.
In nostro potere sempre l'arte di ben disporre la vita e di saperne gioire quanto
a ci che dipende dalla fortuna, esso ha piccolo valore pel saggio (vedi Mass.
;
Nota che Epicuro qui polemizza con i Cirenaici, i quali dicevano \i\ov
XIV, 6; D. L II, 66; 89.
Determinata "la vanit del timore degli di e della morte, Epicuro procedo
cap., XVI).
a stabilire quali siano le con<lizioni necessarie alia vita felice, fra cui anzitutto
la giusta conoscenza del limite da imporre ai nostri desiderii: per la classificazione di questi V, Mass. cap., XXIX sg. Seni, vat., 21.
;
Ed
Il fine
Luca.,
II,
di
giudizio su cui
34;
si
IG sgg.
Nonne
Corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur lucundo sensu cura semola mctuque?;
Mass. cap., Ili, XVIII; cfr. pap. ere, 1012, col. 57 (Cronkrt, Kol. u. Men., p 117).
Cfr. fr. 69: Cic, De fin., I, 53. Vedi anche Massime cap., Ili, ove si dichiara che il limite in grandezza dei piaceri la sottrazione del dolore. Il pia-
128
EPICURO
48
129
riamo
il
felicit,
perch questo
e
da
ri-
E come
e congenito
norma
^
;
questo
il
tal
''';
il
quale
si
il
hanno
solo va-
saggio non ne
V.
V. Sent.
vat., 63.
Cfr. la dottrina
xfiv tt'TQxeiav
LETTERA A MENECEO
un
di
vitto sontuoso,
49
quando interamente
sia sottratto
do-
il
isi
cessa il piacere, che invece perdura e si svaria (vedi Mass. cap , XVIII)
ci
che mostra che la correzione dell' Usener contraria alla dottrina di Epicuro
ma per di pi la lezione manoscritta confermata da Cickrone, De fin., II, 28, 90
che parafrasa questo luogo: Sapientem locupletat ipsa natura, cuius divilias Epicurus parabiles esse docuit..., negat enim tenuissimo viclu... minorem voluptatem
percipi quam rebus exquisitissimis ad epulandum... naturales divitias dixit parabiles esse... non minor, inquit, voluptas percipitur ex vili8imis rebus quam ex
Si noti che dopo la cessazione del dolore non muta quantitatipretiosissimis.
vamente il piacere (e perci Epicuro dice lar\v {f\ovr]v)), ma solo qualitativamente.
1 Cio
l'jtovia (l'assenza del dolore) che il summum boHum (v. s. 128):
cfr. anche Democr., fr. 246 D; Sent. vat., 33; fr. 38.
2 V. Mass. cap., X.
Cio in particolar
modo i Cirenaici,
come il sommo
p.
i7i,
*
col. 3
bene,
'^(^.
Vedi l'eco
di
queste parole
in
Lucr.,
Il, 20
sgg.
Dico, di Enoanoa,
fr.
I,
W.
Epicuro.
i38
EPICURO
50
le
'^
ha
facile
virtus; nec
duzione,
p. 12.
Leggo
doveva essere
quali,
Infatti anzitutto si scosta senza necessit dalla lezione dei codici nell'ultima pa-
rola,
il
il
del testo, la lezione dei codici nelle parole che precedono e seguono la lacuna.
Katuralinente non possibile ristabilire le parole precise cadute, ma il senso
credo si possa ricomporre; leggo dunque ed interpungo cosi: xr\v 6 vn xivcov
LETTERA A MENKCBO
51
(vano nome e senza soggetto, il destino o fato? E saggio appunto chi in noi ripone la causa principale degli avvedei quali alcuni accadono) secondo necessit, alnimenti
perch
tri secondo fortuna, altri infine per nostro arbitrio
egli
vede che
bile,
il
la necessit irresponsabile, la
fortuna insta-
te-
fisici,
numi
la for-
tuna,
beanxiv 8loaYO(xvr]v jtdvTcov yyXXovxoq (el|xaQH,vTiv xevv vo|xa eivai; (cfr. AnaXAG., A 66; Epic. ap. Cic, Be fin., I, 20, 55: oppure yY^^ovxog (xevv vojia
elvai, V\v Y'^^I^^QM-vTiv
i]
xal (AoiQav
naXovav
;)
oocpg
6 xvxr\v ovxe
-O-ev, (bg
yQ
Tf]v
nv rtv
yivo[iv(i)v
fmag
^ ^^ jtaQ'fmfis
Usen.) xx.
xi-d'-
...
Tf]v
Usen.
Meno
ac-
causale i x xr\v \iv vdyHTiv xx, senza logico riferimento a ci che precede.
1 Per la dottrina del libero arbitrio in Epicuro, v. i frammenti del Jt. cpiiaecog
pubblicati dal
in
Rend.
Enoanda,
2
Ist.
fr.
33, col. 3
W.
^ Non si sono accorti gli editori che il testo, quale nei codici ed essi riproducono, certamente errato. Infatti anzitutto il senso non correrebbe; perch il
non essere semplicemenle la fortuna una causa incostaule ((3j3aiov alxiav), non
sarebbe punto dimostrato da ci che segue, cio che da essa non provenga il bene
ed il male che conta per la felicit, ma che solo son posti sotto il suo influsso i
piincipii di grandi beni e mali. Anzi, se la fortuna fesse una causa costante, da
lei proverrebbe il maggior bene o male, durevole per tutta la vita. 1/ argomen-
si
determini,
come abbiamo
fatto,
il
vab^e
degli etfetti di
questa causa incostante. D'altra parte i critici non si sono accorti che Epicuro
non poteva impugnare l'afiermazione pura e semplice che la fortuna sia una causa
incostante, perch avrebbe impugnata la sua propria teoria. Infatti poco prima ( 133)
EPICURO
52
i
beni ed
mali che han valore per la vita felice, quantungl'inizi di grandi beni e mali siano sotto
suo influsso. Infatti egli reputa ^ pi valga essere assennatamente sfortunato che dissennatamente fortunato, quantunque nelle nostre azioni sia preferibile ^ che il saggio giudizio dalla fortuna abbia coronamento.
Queste massime adunque e le congeneri, medita giorno
e notte in te stesso, e con chi simile a te in saggezza, n
135 il
aflfrmato che la fortuna instabile (oxaxos), e le nostre testimonianze ci attestano che Epicuro definiva precisamente la fortuna come una causa instabile,
senz'altro aggiungere: At., I, 29, 6 (Usen., p, 255, 10 sg.) 'EmKOVQog tt^v tvxtjv
X.Y8i axaxov alxtav jtQOOa):rtois xQvois xKoiq (cfr. i testi epicurei del papiro er-
ha
esame
abbia piccolissimo influsso sulla vita del saggio, perch la felicit e l'infelicit
non dipendono dagli avvenimenti, ma dalla nostra disposizione intima, e dalla
possibilit di dominare gli avvenimenti stessi (v. Mass. cap., XVI). Il senso che si
deve dare al testo corrotto diviene anche pi chiaro se si confronta il fr. 176 di
Democrito:
x-u/t]
[lefakcoQoq, X,A,'(3paio
xal Pepatco x (let^ov xfjq Xniboq. Si potrebbe anzi pensare che, come
Epicuro in ci che precede ha di mira Democrito, anche qui si riferisca a questo
frammento democriteo, e che sulla sua scorta si debba integrare il testo lacunoso
Tcp fooovi
ppaiov alxtav (fxeYa^6coQov> n una causa inco, e di ci si potrebbe trovare una prova in 6i6o#ai, che segue, tanto pi che Epicuro capzioso assai nel combattere Democrito
(v. Epistola a Pitocle, 90). Per forse pi consono all'argomentazione seguente
integrare, come ho indicato nella traduzione: |38J3aiov ixtav {\ieyGx(ov ya^cov
ot)H> olexai fiv yQ xx. Ad ogni modo se dubbie possono essere le
f\ xancv
precise parole cadute, non credo si possa ormai pi dubitare della necessit d'ammettere questa lacuna n del senso generale. Ed infatti che nei codici sia da ammettersi una lacuna certo, perch anche l'Usener obbligato a porre in lacuna
di
Epicuro leggendo
o-uxs
(senza cui
ovY.
il
vofAt^wv codd.
v. n. 5, p, 50.
la lezione dell'
Usener
yQ proprio fuor di proposito, e correggere p^xicv non forse neuno di quei casi in cui il comparativo pA,xiov usato
nel senso di preferibile, sottintendendosi il termine di paragone rappresentato
dall'ipotesi contraria, cio qui il non essere coronato dalla fortuna il buon divisamento (v. Madvig, Syntaxe de la langue grecque, p. 179 extr. e cfr. Epic, Ep.
ad Erod., 55 extr.). Credo invece debbasi correggere il yQ-. leggo dunque pX,nato: per
cessario.
il
Pu
trattarsi infatti di
Tiov
6' au.
LETTERA A MKNECEO
53
^.
1 V. il
precetto di Epicuro, riferito pi sotto (Vita di Ep., 121) che il saggio,
pur nel sonno, si mantiene consentaneo a s medesimo.
Per l'adeguamento della felicit
del saggio a quella divina, v. Seni, vat.,
33, 78; Mass. cap., XX; LucR., Ili, 323: Ut nihil impediat dignam dis degere vitam.
MASSIME CAPITALI
I.
L'Essere beato e indistruttibile S non ha egli, n reca
ad altri, affanni; non Toccupa dunque ira, n benevolenza,
perch tali turbamenti son solo nel debole (*).
Nulla per noi la morte: infatti ci che disciolto
II.
(*)
^.
mentalmente, non
numerum], ma quali
= ad
di
simulacri tutti
si-
Omnis
enirn
numerosissimi sono i luoghi degli antichi in cui citata o ricordata. Quanto alla
importanza delle prime quattro sentenze, che riassumono il quadrifarmoco epicureo,
ed all'ordine logico di queste e delle massime seguenti, v. s. Inlroduz., p. 12 sgg.
2 V. Ep. a Menec, 124 sg. e n. ivi. Per le obiezioni mosse dagli antichi contro la correttezza formale di questo ragionamento, vedi i miei Studi Plutarchei
in Riv. di Filai., 1916, p. 271.
^ Questo scolio, importantissimo per la dottrina epicurea sugli di, ci giunto
disgraziatamente in una lezione corrotta. Infatti, nelle i)rime linee, con la lezione
dei codici {ovq |xv... oi); 6), conservata dall' Usener e dal Kochalscky, si verrebbero a stabilire due categorie di numi epicurei, cosa di cui non si ha altrove notizia, e che non neppure credibile per s. Mentre poi evidente l'identit sostanziale fra la teoria esposta da questo scolio e quella attestata da Cicerone
139
EPICURO
56
III.
Estremo
trazione di tutto
limite, in
il
dolore.
E ovunque
mililudine
ibid., 105.
co
(iv
A chiarire la dottrina epicurea in questo passo contriLachelier, Revue de Philol., 1877, p. 264, lo Scott in Journal of Philo.,
1883, p. 212 sgg. e in Fragmenta Herculanensia, p. 197 sgg., il Giussani, I, 227 sgg.
A noi basti dire: 1) che gli di sono conosciuti solo mentalmente, perch i loro
simulacri (su cui vedi Ep. ad Erod., 46 e 49 sgg.: cfr. Ep. a Menec, 123, v. s.
p. 44, 1, ed At., I, 7, 34; Lucr., "V, 148 Sgg.) sono fra quelli pi sottili che vengon
percepiti solo dall'intelletto: 2) che non hanno esistenza ad numerum (ax'Qidpiv,
V. Scott, p. 215 sgg. ed i passi aristotelici ed epicurei ivi citati), cio non hanno
muta
in jto-cexFAeonvovg.
buirono
il
e materiale,
come quella
dei corpi
solidi,
ma
solo
una
di piacere e di dolore,
combattendo
MASSIME CAPITALI
IV.
ma
Non
57
il
dolore,
vole
il
Non
(v.
Plat. Phileb.,
36C-37C;
tenza XVIII
V. n. ivi.
un'eguale contrapframmento, probabilmente di Epicuro, nell'iscrizione di Enoanda (fr. 58 W) Per le polemiche suscitate nell'antichit da questa
sentenza, v. i miei Studi Plularchei in Rio. di Fdul., 1916, p. 266 sgg. Si noti che
Epicuro parla del dolore corporeo o, come dice egli con la sua espressione solita, della carne, perche anche in mezzo ai massimi dolori corporei il saggio pu
provare grandi piaceri spirituali; v. infra l'epistola di Epicuro morente in Vita
1
V.
s.
Ep. a Menec,
posizione stilistica
v.
anche
il
di Kpir,., 22.
Il
Tcp 8 xo'Oxo
[ti]
Ha-Ji;
140
EPICURO
58
VI.
Per
derarsi
141
donde
tutto ci
(*) ci si
possa
*.
credendo
IX.
142
molti
turbamenti che
pi
^.
Se
ogni piacere (col ricordo) e col tempo si conil nostro essere o le parti pi
(*)
comando
dell'autorit regale.
riferentes,
come
tiva che segue. Ci che essenziale perch s'abbia vita saggia, bella, giusta e
felice, appunto la prudenza, come detto nel luogo citato dell'epistola, non
non siano espressamente enumerate, non deve stupire; si confronti infatti il caso
analogo della Massima VI (r[v ya-^v ^ 5>v): per il costrutto cfr. anche fr. 22
mxexr\svyi(bc, ToiaxiTa | wv ov bvvaxv elq oo<f>iav X,'SLV Epict., Diss., I, 4, 28;
Xenoph., Da veci., IV, 13; Hipparch., 1, 1. Per la connessione di questa massima
:
con
le seguenti, v. s. p.
1.5.
stum fecero
viai...
Nec magis
id
nunc
est
ncque
erit
mox quam
fuit
ante. Cfr.
V. n. prec:
v.
Ep., 119:
Luca., V, 1127 sg. Nota che Epicuro ammette per che certi uomini,
portati naturalmente dal loro carattere alla vita politica, se ne possano occupare:
cfr. fr. 105;
V.
Plut.,
3
De
tranq. an.,
V. Epist. a Menec,
2,
p. 465
129.
f.
MASSIME CAPITALI
importanti della natura [umanaj,
di
piaceri
spirituali sulle
cose dei
cieli,
non differirebbero
che riprendere
59
sulla
il
li
dissoluti, se
dei
non avreb-
appunto
il
male
^.
XI.
avremmo
non
ci
bisogno, se
anche
Cic,
Tiisc.
epicureo
v.
Ep. a Menec,
el xaTe:rtvxvo'0TO
noa
122;
r\bovr\
xal
II,
28
S}?.
Ei'c. ap.
memoria nell'edonismo
Quanto al testo h'n^o:
ma
V. 8. p. 16.
*
Per
la dottrina v. Ep. a
Menec,
131 sg.
Cic, De
78
fin.,
sgg.
II, 7,
20 sgg.
Ep. a l'itoclr^
EPICURO
60
Non scioglie
XII.
143
porta, chi
il
non sa quale
Finch
permanga timore
cose dei
delle
cieli e
Della sicurt
XIV.
tata
ad un certo punto,
che, sino
uomini,
ottenere dagli
(il
s'
po-
miglior coronamento) la
Ricchezza
XV.
144
le offre e
^.
naturale ha limite certo e possesso ageambita dalle vane opinioni non conosce
*.
85 s^'. e
segu
MIO,
logici
humanam
sia
li,
Et metus
ille
Omnia
sut'undens
mortis nigrore tieque ullam Esse volujtatem liquidam puramque relinquit. Sono puri
quei piaceri a cui non conseguano timori o desiderii dannosi (cfr. Lucr., IV, 1081
Sv^-g.),
non
soio
questa sentenza
si
come
l'
imperturb
s' visto in
massima X;
si
anche
sopra p. 16). Sui vantaggi della scienza e sull'inquietudine degli esprits forts che
credono poterne fare a meno, v. Polystrat., jt, Xy. HaxdcpQ., fr. 9, col. II sgg.
W: Lucr., III, 55 sgg.; Epist. ad Erod., 81 e mia n. ivi. Questo bene indicato
anche nella sentenza seguente che serve come formula di passaggio rispetto alla
XIV
^
"
Tivi,
(v.
s.
p. 17).
Non credo accettabile la lezione dell' Usener che corregge xe dei codici in
ottenendo cos solamente la ripetizione del medesimo concetto fra ja^XQ'- "civg
Per
Tivi.
onde egli
costretto
t' s^egELOTLHTj
di pi
e uvctfxei
Y^vexai
ir)
ex xfjg
fiovxia;... ocpX,8ia.
MASSIME CAPITALI
61
XVII.
l'ingiusto
XVIII.
Il
^.
Non pu
appena detratto
svaria
si
^. Il
nella carne,
accrescersi,
dolore di ci che
il
il
mancava,
ci
piacere,
ma
solo
Mantengo
Cfr.
Massima, V; Sent.
torto
(v.
scoi,
il
tura perfetto nell'jtovta. Sulla dottrina di Epicuro in questo punto, vedi i miei
studi in Rend. Ist. Lomb., 1908, p. 801;" 1917, p. 300 sgg. e i luoghi ivi citati e
studiati.
*
il
Tfjg
il
tranquilla in cui consiste la felicit, v. Sent. vat., 59, 81; cfr. Mass., XIX sg. e
n. ivi e il testo epic. in V. 11- X 75, e. Vili [^]i 6'v xcp jtax q)ijoiv nqaxi xaxaxv.^eixai
xya'O^v x<al> x ca[H]v, xcxco Jta[a]a alcQa ipux'HS []x:icp8uxxai
De
cup. divit.,
4,
p. 524
f.
come il timore
a Menec, 124
di onori e la
della morto,
il
rimpianto dell'immortalit:
paura
di
perderle
5i)
jid'O'T
cfr.
Ep. a
18.
s. p. 18, 2, il
v.
Mass.,
XIX
gg.
Ep.
desiderio di ricchezze e
Su tale giusta considerazione dei piaMenec, 129 sgg., 127 sgg., 133; Min^s.,
vedi sopra p.
cit.
(II, 9 sgg.).
sgg.
rapporti di questa
massima con
le
seguenti
EPICURO
62
ha sua origine dalla giusta considerazione di questi stessi piache producono all'in-
maggiori timori.
XIX.
tempo
Il
la ragione
finito e
piacere, se di questo
definisca giustamente
si
carne percepisce sempre come illimitati i limiti del piacere, ed in tal modo un tempo pur non
illimitato produce gioia illimitata ^. La ragione poi, rendendosi
conto di quale sia il sommo bene corporeo e quale ne sia il
limite, dissipa i timori rispetto all'eternit e d ordine e
XX.
veramente
la
tempo
del
infinito.
manchi
XXI.
Chi
che
ci manca,
non ha dunque pi de-
dolore di quanto
XXII.
Deve
considerarsi sempre
il
fine reale*
^.
ed ogni
dell'attivit
sono
allettati. A.
cpECJTTixs sia
torto perci
il
uguale a JtoTsxaYfisvov
(tols qj'O-yYOig)
da cui
gli
uomini
corre^^gere 68L(5i,) xXqv, cos pure altri vogliono togliere TsKoq, anch'essi attri-
buendo a questa sentenza un puro valore gnoseologico, invece che morale e gnoseologico, quale essa ha. Infatti in Epicuro la teoria della conoscenza e la morale
sono strettamente connesse, perch uguale
e morale, cio la testimonianza dei
extr.
128.
me
Cic, De
fin., I,
7,
22
mia nota
con
le
il
sensi. V.
Vtia di Epic,
ivi; Epist.
ad Erod.,
31;
82;
cfr.
con
33
Episl. a M'^nec,
fatte in Riv. di FiloL, 1909, p. 57 sg. Sopratutto poi vedi lo scritto d'un epicureo
pubblicato dal Comparetti in Museo Hai. di ant. classica, 1884, p. 67 sg., col. XIII,
dove si dice che dalia cpt)aLoX,oYa deriva la conoscenza dei fini naturali delle
nostre azioni che danno alla vita la maggior sicurezza e secondo cui dobbiamo
5 sg.
Donde
si
scorge
il
MASSIME CAPITALI
evidenza
effettiva,
a cui riferiamo
le
63
sensazione di essa) sia rotonda, o no; di queste opinioni l'una o l'altra sar vera,
a seconda che l'esperienza la confermer. Chi non fa tali distinzioni, pu essere
condotto a negare fede ad ogni sensazione, perch confonder il contenuto effettivo di essa con l'opinamento che suo soggettivo. Sulle intuizioni percettive
iavoia^) v. Ep. ad Er., 1. cit.
OrAnkrt, Kol. u. M''n., p. 117, fondandosi sul papiro ercol. 1012, col. 59,
crede debba leggersi qui ouvexpaXetg (rifiuterai anche) invece della lezione dei
codici di Diogene ovvxaed^Eii; e pi sotto xaQd^ei<; (perturberai) invece della lezione manoscritta di Diogene n^aXeXq (ri/luterai). Ma dubbio se le parole che
si leggono nel papiro appartengano alla citazione del testo di Epicuro o non al
commentatore. Perci conservo la lezione tradizionale, che del resto ha senso
dell' intelletto (q)avxaoxLxal .ni^o'kaX xfjg
^
Il
ottimo.
147
EPICURO
64
ci che
in
quanto
Se,
XXV.
148
in
azione al fine naturale ^, ma, prima di fare tale indagine, rivolgerai ad altro la tua scelta od avversione, discordi dalle
tue parole saranno
XXVI.
tuoi atti.
ma
*,
saziati,
o dannoso appagarli.
XXVII.
Di
tutti
sommo
delTamicizia
ci
porge per la
^.
XXVIII. La
Questo
Leggo
(codd.
Us.
il
sicurt dell'amicizia in
(mia corr. per codici -/tal) jtoav hqioiv xov e^cg r\ \ir\ q'O'cos. Gi il Giussani vide
il difetto della corruzione dell' Usener, ma non persuade il rimedio che propone,
di leggere cio (bg TexTQTjxrg e correggere poi xal (v^Q-rixcs) jtaav xQtoiv. Invece la correzione di xal per xax fra le pi frequenti nei codici di Laerzio,
per la forma abbreviata delia preposizione.
3 Cio al fine etico, Vaponia e Vatarassia: y. Ep. a Menec, 133: cfr. Philod.,
Voli. Rhett., voi. II, p. 56, 41, 4 sg. Sudhaus. Per la dottrina v. s. Intr., p. 20 sg.
;
Mass., XXII;
Lucr
III, 55 sgg.
MASSIME CAPITALI
Dei
XXIX.
65
ma non
XXX.
Da vana opinione
turali
s,
ma
umane
^.
Scolio]
dolore corporeo,
pu permanere
umano pu
assicurarci che
XL) pur
di
(v.
volgare, per timore della morte e dei mali, spesse volte indotto a violare
pi
De
fin
1
I, 15,
I codici di
fin., 1, 13,
45 sg.
De
Cfr. Philod,,
Per l'interpretazione
di
W.
questa massima e
(xq nrag xevriv %av yivo\ivaq), wg axecpdvovq xal vSQidvxcov va^oeig: rica-
vando
le
< >
massima
di
scolio apposto.
Per questi vani desiderii
anche Vita di Epic, 121; Sent.
v.
vat., 64. Il
(AA0E BIQEAS).
Ei'icuBO.
149
EPICURO
66
150
danno ^.
XXXIII.
ma
solo nei
dove
La
giustizia
commerci
sia patto
esista per s,
tempi e luoghi
reciproci, e in quei
Su questa massima
*.
f.
col. 70 cpvaei
yq ^ystai
tvd'Qcojtos un'kixiY.q
slvai TTjq KaxaaxQo]<:pf\q (cosi integro la parte lacunosa, v. Vita di Epic, 137:
p. 118
invece altrimenti),
il
;rtEi6T]
donde si vede che sono naturali secondo Epicuro quelle tendenze che
sono utili, e si comprende pure che se Epicuro il quale considera la virt un
bene non per s (v. Vita di Epic, 138; Cic, De fin., I, 16, 53), ma per l'utile che
ammette poi una tendenza naturale alla virt; pu pure alFermare
ne consegue
che l'ingiustizia non un male
bench conceda che vi un diritto naturale
per s {Mass., XXXIV). Vero che Epicuro ha un concetto assai comprensivo e
non troppo preciso di ci che secondo natura. Erra poi Seneca, Ep., 97, 15
(UsEN., p. 321, 3 sg.), affermando come dottrina epicurea, nihil iustum esse natura.
Sui rapporti della dottrina di Epicuro con quella dei filosofi greci che lo preceoufAcpEQvTcog
mio studio
il
in
Nuova
Epicuro combatte la
Emp.,
fr.
135 e
tesi orfico-pitagorica
viventi,
anche verso
mio commento
segue, V. l'epicureo
Per
Nic, 1161 b
la dottrina di Epicuro,
I,
e la
V. Pyth., 108;
Porph., De
anche in ci che
sg.
sgg.
sua significazione,
V. Introd., p. 23 sgg.
infatti
si
le
40, 68-73;
cfr.
Lucr.,
I,
MASSIME CAPITALI
XXXIV.
L'ingiustizia
non
67
per s
ma
un male,
per
il 151
tali azioni ^
ascosamente oper sottraendosi ai reciproci
patti fermati perch non si rechi n si riceva offesa, non
possibile confidi d'occultarsi, se anche infinite volte per il
presente s'occulti. Non pu infatti sapere se ancora sino alla
morte vi riuscir ^.
XXXVI.
Nell'aspetto generico il dritto uguale per
tutti; perch qualche cosa di utile nei rapporti socievoli;
ma, per le particolari differenze dei varii luoghi e d'ogni
maniera di condizioni, ne consegue che non il medesimo
per tutti il diritto ^.
XXXVII.
Di quelle prescrizioni che son sancite come
giuste dalla legge ^, quella che sia confermata come utile nei
bisogni dei comuni rapporti, ha il carattere del giusto ^, sia
essa uguale ovunque o no. Laddove invece, se alcuno stabilisca
XXXV.
Chi
Epicuro combatte dunque anzitutto l'opinione di coloro quali consideravano la giustizia come un'entit metafsica, e non come un concetto nostro
relativo ai rapporti socievoli; tali erano i pitagorici (v. Arist., MpL, I, 5, 985 b 23;
Alex, in Melaph., 75, 15 sg. cfr. anche la polemica analoga di Epicuro contro
i Pitagorici circa la teoria del tempo in Ep. ad Erod., 72 sg.) e Platone per il
quale esisteva un xa^d'ax Cxaiov, come idt;a nel mondo iperuranio, esistente
per s, contemplata dall'aiiima nella vita oltremondana. Per di pi egli impugna
esistenti p(?r s.
9,
Vedi sopra
per
stoici,
v.
n. 1, p. G6
cfr.
il
sgg.
Pr.ur,,
Comm.
De
fin.. Il,
Cic,
mio studio
28:
Ir.
citato sopra, in
102; Cic,
Nuova
sgg.
De
o/f.. Ili,
p. 486 sg.
2
V. Seni, vai.,
Si distingue qui
2If>ss.
cop.,
XVII.
diritto particolare
luogo e di
Phii.od.,
^
in
Ho
calce
Sudhaus:
v.
anche
Phit-ii-pson,
1.
e,
come glossa:
cfr.
M"ss.,
XXXVIII: x
si
p. 3J6.
1'
Usener pone
Quanto alla
osservi che non mancano in Epivo|xict^vxa 6ixaia.
6 II carallere (tei
giusto non altro che la prenozione (jtQXrjijHq o concetto
fondamentale del giusto a cui si accenna pi sotto, e definita dalla massima XXXI.
cio l'utilit reciproca di non recare o ricevere danno: sulla prenozione epicurea
V. Vita di Epic, 33: e sopra Epistola a Meneceo, p. 41, 1.
152
EPICURO
68
153
154
tare
Leggo con
il
eiq
^,
seguente, v. Introd.,
questi
massima
p. 24 sg.
volle
come
il
testo) sia
anche Epict., Man., 33, 3; M. Aurel., VIII, 26. La dottrina epicurea tende a stabilire una comunit di saggi che per la loro atarassia ed il
tato sopra, V.
MASSIME CAPITALI
si
rende
affini
affini, e quelli
tutti
69
li
ritiene tuttavia
non
as-
XXXX. Coloro
maggior fiducia^; e, pure avvinti dalla pi stretta intinon piangono la morte prematura del [caro] defunto
come se fosse degno di commiserazione ^.
nella
mit,
vincolo di saggezza godano della maggior fiducia gli uni verso degli altri: vedi
Mass., XVI, XL, ed Ep. a Menec, 135 (x ofioiov aavxw). Su questo foedus sapientium V. Cic, De fin., I, 70 e le mie osservazioni in Rivista di Filol., 1909, p. 78.
Simile il concetto di Democrito, fr. 107 D: Amici (q)iX,oi) non sono tutti i congiunti, ma quelli che con noi consentono nel concetto dell'utile comune, cfr.
fr. 286 D. Questa massima, intesa cosi nel suo vero senso, si ricollega perfettamente alla seguente, con cui ha anche nell'espressione verbale evidenti punti di
contatto.
^coQiaaxo (cfr. Porph., De abst., I, 10, p. 93, 2, e Philippson, loc. cit.,
oca xcto XvaixXq jtQTTeiv.
2 Cio, i saggi epicurei: v. s. Massima prec.
3 V. Mass., XXVIII.
* Le ultime parole ovk &bvQavro tg jtQg Xeov xtiv xoO xeXevxfjOavxog jtQOxaxacxQoq)f|v, furono corrette variamente; per jtQq ^eov (che il Crnert, Rh. Mus.,
1907, p. 131 vorrebbe correggere in coq jrQfioLQov, altri altrimenti) cfr. Philod.,
Jt. OTfieCcov, p. 25, 5 8g. G. &z nQq x cpaveQv (per Xeoq cfr. Eur., Or., 832). Ogni
dubbio poi cade, se si considera la dottrina epicurea: Epicuro infatti concede che
il saggio pianga la morte dei suoi cari (contro la dottrina stoica dell'apatia del
1
Leggo
p. 304 n.)
saggio,
sgg.)
v.
ma
per
il
a, e
mie osservazioni
in
Atheneum,
1915, p. 57
il
perii saggio (Mass., II) e nulla deliba dalla sua felicit {^fass., XX); Lucr., Ili,
867 nec miseruin fieri qui non est posse. Questi compianti sono solo propri degli
come
stolti
'
te laeta...
EPISTOLA AD ERODOTO
INTRODUZIONE: ARGOMENTO DELL'EPISTOLA
Epicuro ad Erodoto salute
Erodoto, per coloro che non possono studiare intenta-
scritto
ed applicandosi
Si
nella conoscenza
dell'intera
solo infatti
possano giovarsene,
Ma pur
quali progredirono sufficiente-
di volta
mente
le dottrine principali,
il
costrutto ToXg
|xfi
a\}xdiq
mia
[Usener
dottrina, ricordino
fiv xig]:
(jiageoxeljaaa),
non
Thic,
Lys., 1(), Il ecc.), ma singolare che non si sia visto che simili costruiti
sono particolarmente cari ad Epicuro: v, Mass. cap., XXXIX, XXX, XXXII,
XXXVII: Ep. a Er., 50; a Me., 123, fr. 79. Inoltre Epicuro non disegn solo di
comporre il Grande compendio, a cui qui si accenna, ma efl'ettivamente lo compose.
2 Inserisco nel testo, come fa il Kochalsky, la correzione '/e (So^cv), proposta
dall' Usener in nota. Il ye infatti, oltre a dar ragione del 6 che trovasi nel pi
antico codice di Diogene ed in altri, giova anche a distinguere il contenuto del
Grande compendio da quello di quest'epistola. Nel Grande compendio erano riasIII, 13, 5:
sunte sia
le
ricordare almeno
le
vi
sono solamente
le
dottrine
capitali: essa rivolta agli epicurei gi progrediti, per facilitare loro la ricapi-
83).
35
72
EPICURO
sommi
capi lo
36
compiutamente
edotto, la
massima perfezione
consiste in
Riferisco
o-uv jc'xelva
jt'
La
lezione dei codici (t xaXg jtiPoA,aXg ^cog SwaO'Q-at xofiodai xal :n;es nk
OToixeicjiaxa xal cpcovg ouvayonvcov) corrotta, e la correzione delI'Usener xdoxcov
2
si
non sospetto
spiega, e per di pi lo obbliga a mutare anche avvada (iJt8QiXa|3eIv che segue, (cfr. anche 68,
e confermato
vavofivcov.
da
= ouvaY(i.8va)
in
ci che precede
di
nax
Leggo
tolo'Ot<os>
wv
(cfr.
zione corrotta dei codici t tovtcov. L'errore venne per omissione del compendio.
Epicuro ama tale abbondanza di participi, v. fr. 10: e qui sotto 68; 52 (p. 13,
10 sgg. Us.).
EPISTOLA AD ERODOTO
73
Norme da
come
ferire
sempre
al significato
si-
ri-
nei casi
all'infinito
nelle
senso.
necessario badare
^,
come pure
la
significato fondamentale d'ogni parola, secondo Epicuro, coprenozione di un oggetto, prenozione {nXr\'^iq) che si forma
di sensazioni di esso ripetutamente avute (v. Vita di Ep., 33).
per la
Perci Epicuro avverso alle definizioni (v. infra 72 sg. cfr. fr. 61), che trova
1
Si noti che
sempre
memoria
stituisce
il
la
superflue o capziose.
jtoeiHvOovoiv: non
mi pare
lo si sia interpretato
Cfr. 51: circa le intuizioni intellettive (:ri|3oXal xfjg Siavotaq) v. Vita di Ep.,
31 e
nota
ivi: cfr.
condo Epicuro,
V.
ss
74
EPICURO
conferma
e ci che
modo
di
non cade
sotto
sensi.
II
Dell'universo e di ci di cui
Ed
compone.
considerare
39
si
le verit
'*.
dal senso, opinamento che pu essere vero o falso, secondo che l'esperienza lo
confermi o no: vedi mia nota ad Ep. a Pitocle, 88.
2 Che qui si tratti dei principii fondamentali della fisica, secondo Epicuro, risulta dal 45. Epicuro distingue le verit che cadono sotto i sensi da quelle che
la ragione determina procedendo dai fenomeni sensibili: p. es. l'assioma che nulla
si origina dal nulla, ecc. Sul valore d'entrambe vedi 62 extr.
3 Questa proposizione e quella che segue erano gi enunciate da Empedoclk
(fr. 8 sgg.) e da Anassagora (fr. 17): cfr. Democrito, A 1, p. 13, 20. Per la dottrina
epicurea, vedi Lucr., I, 150 sgg. Nel testo di Epicuro il Cronert crede sia caduta
{ovb (pdeiQexai, elg x jat] v> e che nulla perisce nel nulla. Ma probabilmente
Epicuro omise qui, come altrove, in testi compendiosi (v. i miei Studi plutarchei
in Riv. di Filol., 1916, p. 270 sgg., e qui sotto 41, p. 76, n. 3), un termine del ragionamento che facilmente poteva sottintendersi.
* Cfr. Lucr., I, 225 sgg. Secondo Epicuro le cose che apparentemente si
distruggono, si dissolvono nelle particelle elementari (atomi) indistruttibili, e da
:
esse
5
si
EPISTOLA AD ERODOTO
Ed
ancora
certo
(*)
75
corpi
esistano
attesta
universal-
(*)
^.
S'aggiunga
(**)
gli
uni sono
il
principio, e
1 Nei
codici mancano le parole (ocfiaTa v.ai T:7rog>, introdotte dall' Usener.
Recentemente per parecchi critici, fra cui l'Arndt ed il Kochalsky, ritennero
che il testo di Epicuro possa stare senza questa integrazione: essi credono dunque
debba solo mutarsi t jiv oxi, in t jtv axi (il tutto esiste). A torto per: infatti sarebbe strano che Epicuro dimostrasse l'esistenza del tutto dopo averla
tacitamente ammessa prima, quando dimostr V immutabilit di esso. Per di pi
l'integrazione confermata d&U'Eijistola a Pitocle, 86 (t Jiv ocixaxa xal vacpiis
(pvaiq OTiv). S'aggiunga anche il confronto, gi veduto dall' Usener, con Doxogu.,
p. 581, 20, TL (t) :aav axi a(i\ia{Ta al xevv) (cos infatti deve leggersi questo
passo, perch per Epicuro il tutto non costituito dalla sola materia corporea):
qui dunque l'omissione solo parziale, ma ci che vi di pi che nei codici
di Laerzio comprova la lacuna segnata e colmata dall' Usener. Per la dottrina
V. anche fr. 14 sg.
Skxt. Emp., Ade. doym., II, 329; Lucr., T, 419 sgg. 269 sgg.
;
329 sgg.
2 jil
jtdvTcov
sensus. Per
Kp. a
cfr.
il
Menec,
(aecov, p. 28
3
cfr.
Lucr.,
I,
123; Philii-pso.v,
De Philodemi
libro... n. or\\ieLav
xal
aT|(i,et
sgg.
(luogo) e
(ivacpf)i;
(pvoig
* Epicuro, dopo aver dimostrata l'esistenza della materia e del vuoto, atenna
che nulla esiste j)er s che non sia materia o vuoto; tutto quanto esiste infatti,
o materia o vuoto o accidente della materia e del vuoto. Per la teoria epicurea
V.
Luca.,
I,
p. 28, 13.
I,
4o
76
41
EPICURO
ma debbano
essi [atomi]
permanere
mano
in
mano
al nulla,
di
divisi in
ha un'estremit, e questa estremit tale rispetto a qualnon avendo alcun limite estremo non ha
cos'altro^; perci
come essenze esistenti per s; cosi pure contro ogni teoria spirituache ammetta essenze incorporee (che non siano il vuoto) come l'anima, 67.
Quanto alla lezione del testo, arbitrarie sono le correzioni dell'Usener, del Kochalsky e di altri: deve leggersi con i codici: q Ha#'6X,a5 qjijoeig Xaii^av\ie\'a
al \ir\ d)g x xcuxcov Ov(AjtTa)(iaTa fj ou|x|3e|3TixTa Xeyiieva: infatti per &q cfr.
68 sgg., quanto poi al neutro plurale esso viene per costruzione a senso, dato il
valore collettivo di o'u'd'v precedente; cfr. Massime cap., VI: y^^'^'v % djv.
1 Per la prova dell'indivisibilit degli atomi, desunta dall'assioma
che nulla
si distrugge nel nulla, v. 54: Lucr., I, 485 sgg. e le testimonianze raccolte dall' Usener, p. 191 sgg. Anche qui credo si possa tenere il testo manoscritto. Certo
erravano gli antichi editori che, conservando la lezione dei codici {Xk' ia^vovra
ujtoM.veiv), riferivano loxijovra a jtdvxa: v. infatti Lucrezio, I, 518 sgg. Materies
igitur solido quae corpore constat Esse aeterna potest cum celer dissoluantur:
cfr. 54. E possibile per che la lezione sia esatta, purch si riferisca Icx^^ovxa
a xat)xa (gli elementi indivisibili) che il soggetto della proposizione precedente
di quella che segue. Ove il testo si dovesse ritenere corrotto, credo la pi agevole correzione sarebbe leggere laxvv xi... (cfr. 54), ma che qualche cosa di
delle idee,
lista
questo passo
ditas
3
ojtri
1.
ri
come qualit
Usener (p.
L'
cit.).
ojtco;.
cfr.
|xt]v
50, 103, e
EPISTOLA AD ERODOTO
non avendo
fine;
Per
di pi,
il
fine
deve essere
77
infinito,
non
limitato.
corpi, questi
Per
patti, e
(*).
Scolio] Infatti, pi sotto [ 56], dice che la divisibilit non si estende all'ined ag'g'iunge [che le forme degli atomi sono di numero limitato]: poich
qualit possono mutare, anche se si stabilisce un limite pur alla grandezza
(*)
finito:
le
di essi
atomi
56]
*.
I,
1008 sgg.
il
984 sgg.
4.
Questo scolio diede origine a variiasime interpretazioni e correzioni del testo, di cui nessuna raggiunse il suo scopo, come mostrai nel mio studio citato
sopra (n. 3). Non si vide infatti che la spiegazione della seconda parte doveva cercarsi nel testo di quest'epistola stessa ( 5G) a cui lo scoliasta si riferiva. Leggo dunque Xyei 6 (codd. Xi^yeiv b Usener), jtei,6Ti al noizr\Teq fiexa*
(3(i?tX,ovTai
<>c)el
(el
codd.:
cfr.
56,
si
42
EPICURO
78
43
cadono perpendicolarmente,
(*)
perch
gli
moto sempre
altri
(e gli uni
declinano spontanea-
Scolio] Pi sotto
il
pesanti.
Infatti, come dice poi Epicuro ( 56) e ripete qui lo scoliasta, l'ipotesi democritea
non necessaria per spiegare le variazioni di qualit dei corpi composti, che
Epicuro spiega sia con le mutazioni soggettive del senziente, sia con la modificazione dell'ambiente esterno, sia con la diversa disposizione degli atomi e con il
variare dei loro moti nei corpi percepiti. Per di pi tale ipotesi inconciliabile con
il concetto di atomo, perch infinita variet di forma implicherebbe grandissima
variet di grandezza (v. Lucr., II, 478 sgg.), e se si ammette, come Democrito ed
Epicuro ammettono, che la divisione non proceda all'infinito, e cio si parte da un
limite di grandezza degli atomi non infinitamente piccolo, si dovrebbe supporre che
possano aversi atomi d infinita grandezza, affinch a procedere dal minimo limite
di grandezza si abbia il conveniente divario di dimensioni necessario a comprendere infinite variazioni di forme. E di fatto, secondo le nostre fonti, Democrito
avrebbe ammessi atomi grandi come mondi (Dem., A 47); Epicuro invece nega
( 56 e lo scolio a p. 79) che gli atomi possano raargiungere il limite della visibilit: cfr. anche Lucr., II, 495 sg. formarum novitatem corporis augmen Subsequitur. Quare non est ut credere possis Esse infinitis dstantia semina formis, Ne
quaedam cogas immani maximitate Esse, supra quod iam docui non posse probari:
e ibid., 481 sg. quod s non ita st... semina quaedam Esse infinito debebunt
corporis auctu. Eisulta chiarita cos la dottrina a cui si allude nella seconda parte
di questo scolio.
Nella prima parte invece, si esclude che si possono dare infinite
differenze di forme negli elementi primi supponendo che la variazione delle loro
dimensioni avvenga in piccolezza, ci che dicesi impossibile, perch Epicuro (vedi
56) nega la divisibilit all'infinito della materia, contro l'opinione di Anassagora e di altri. Nota che avxq va riferito ad al axo^iot (come del resto nello
scolio seguente), che il soggetto della frase a cui lo scolio apposto (negi:
),
II testo di
casse il primo genere di moto, cio il moto di caduta per gravit, e propone d
leggere av invece di avxv, ed toxuoat invece di l'oxovoiv. Il Kochalsky accetta
av eia lacuna, ma la pone dopo 6iiOTd|xevaL, colmandola cos: (v.ax oxd'&ixTiv jtl
T HTco cpQovxai). Tale integramento per poco prudente, perch secondo Epiil moto di caduta perpendicolare, ammettendosi la deviazione
per clinamen (v. Lucr., II, 246 sgg,: At., I, 12, 5). Il Giussan (v. II, 169) ed il
Tescari invece non ammettono lacuna, credendo che Epicuro: descriva la condizione d fatto e solo distingua fra rimbalzi lontanissimi, lontanucci e vicinis-
simi
EPISTOLA AD ERODOTO
79
poi gli uni nel loro moto) divergono lontani fra loro, gli altri
trattengono questo stesso rimbalzo, quando siano respinti ^
dagli atomi che ad essi s'intrecciano, o quando sono contenuti
altri atomi fra loro intrecciati. E questo avviene, perch il
vuoto che separa gli atomi gli uni dagli altri, non pu, per la
sua propria natura, opporre ostacolo alla loro caduta: e d'altra
parte la loro insita solidit e durezza fa che urtati rimbalzino, finch r intreccio atomico non li respinge indietro dal
rimbalzo. Questi moti poi avvengono ab aeterio ^, perch
da
questo che
si
il
vuoto
si
(*).
detto, di
* Scolio] Pi sotto [ 54] aggiunge clie gli atomi non hanno neppure qualit
alcuna, fuorch forma, grandezza e peso: e che il colore muti secondo la disposizione degli atomi, dice nei Dodici principii elementari, e aggiunge che essi
55 sg.], perch
visibile
al senso [ 56].
passo, siano parecchie; infatti: l) l'intrusione di uno scolio produsse anche altrove
lacune in queste epistole: 2) coloro che non ammettono la lacuna, correggono il
testo manoscritto in ci che segue: ora invece probabile che l'irregolarit del
costrutto provenga non da corruzione, ma da caduta di una frase, e che perci
il supporre una lacuna sia ancora il rimedio pi prudente, purch la si sappia
colmare in modo che non esiga altra correzione: 3) che Epicuro esponesse qui
forme di moto, e perci anche quello per clinamen (che mi pare a
torto dimenticato qui dall'Usener e dal Kochalsky) molto probabile, non solo
perch dal 45 risulta che nei precedenti si erano indicate le dottrine capitali
della fisica, sufficienti a darne un rapido schema riassuntivo, ma anche perch
del clinamen non si parla in nessun altro luogo dell'epistola, cosa questa assai
singolare, trattandosi di teoria importantissima, n vedo se ne potesse parlare
se non qui. Credo dunque si debba ricostruire presso a poco cosi il testo xivovvxat
T8... at xonoi Tv alcva xal al |xv (xar OT\>|XT]v, at 6 xax jraQyx^ioiv, al 6
tutte le varie
si
appartengono
fluidi)
composta
atomi non intrecciati e che, per rimanere uniti, debbono essere circondati da
altri atomi intrecciati fra loro: cos p. es. l'anima, che un fluido, contenuta
dal corpo che fa da contenente (x oxeyd^ovxa), v. s. 6.
V. LucR., II, 80 sgg.
Cic, De fin., I, 6, 17.
di
44
45
EPICURO
80
damento l'adeguato schema riassuntivo di quanto si deve pensare della natura delle cose esstenti ^
Ed ancora, i mondi sono infiniti, sia quelli simili al nostro,
sia quelli dal nostro dissimili ^. Perch gli atomi, che abbiamo
test dimostrato essere infiniti, percorrono anche i pi lontani
spazi. Ed in verit quelli opportuni a dare origine ad un
mondo od a costituirlo, non possono essere esauriti n da
un solo mondo, n da un numero finito di mondi, n da
quanti mondi sono simili, n da quanti sono ad essi diversi.
Nulla dunque s'apporr a che i mondi siano infiniti.
Ili
46
35: xv xvnov
Tfjs oXtjs
nQay]ia-
Dimostrato che tutto quello che esiste vuoto e materia, e che ambedue
infiniti, ne trae un corollario, che infiniti debbano essere i mondi: cfr. sotto
73: Ep. a Pitocle, 89: Lucr., II, 1052 sgg., e le testimonianze raccolte dall' Usenbr, p. 214, 13 sgg.
3 Per Epicuro, la percezione visiva avviene per mezzo di immagini (xijjroi) o
come trad-uee Lucrezio il termine tecnico, slcoXa, di Episimulacri {simulacra
curo), che giungono al nostro occhio dipartendosi dall'oggetto percepito. Essi sono
uno strato sottilissimo e superficiale di atomi dell'oggetto stesso, che si stacca
dal corpo, per i continui urti che questo riceve dagli atomi esterni in perenne
moto. Tale strato atomico, conserva le particolarit che aveva nel corpo, cio ne
riproduce sia il rilievo, sia i moti atomici dai quali deriva la sensazione del colore. Su questa dottrina epicurea, v. le testimonianze, p. 220, 13 sg. Usener: Lucrezio, IV, 29 sgg.; V. anche R. Schone, Damianos Schrift ber Optik, mit Auszgen aus Geminos, Berlin, 1897, p. 24: cfr. Cenert, Eh. Mus., 1907, p. 128.
2
sono
EPISTOLA AD ERODOTO
81
ci si
E veramente non
*
in alcun
modo
4?
anche il complesso corporeo in moto che vediamo giungere a noi, percorra nei tempi solo concepibili
mentalmente le molteplici traiettorie [che percorrono i suoi
possibile che
ma
in tal caso
la
questo uno dei passi pi ardui e pi discussi delle operette epicuree: per
del testo e per la dottrina v. l'Appendice.
mia lezione
'-
col.
1,
5 Bgg., in Voli.
Herc,
Rosini
col. 9,
Jt.
(fvo..,
II,
esterni e a quelli interni i)rodotti dai cozzi intestini dei loro atomi, cozzi
rallentano
3
il
Leggo
moto degli
altri
Jty^ T( (tc
\i\)
:;teiQ(o
avxcv
per tale
mia lezione
e per la teoria
vedi l'Appendice.
Epicuro.
che
complessi atomici.
48
EPICURO
82
Perch
un oggetto
la visione di
si
stacchino continuamente dagli oggetti e si succedano con velocit massima; in tal modo noi non percepiremo singoli simulacri
necessario che
tali
simulacri
si
ma
A ci
si
aggiunga che
deformazioni che
esterno, e tale
compenso
compensare certe
singoli
ottiene per
si
il
neamente da diversi spettatori, donde tanto pi necessaria tale continua e velocissima formazione di simulacri. Per questa dottrina v. Lucr., IV, 143 sgg.
2 Epicuro riprende la dottrina empedoclea sugli efflussi continui che si dipartono dalle cose; v. Emp.,
DiOG. DI Enoanda, fr. IV,
fr.
89, e
mia nota
col. 2, 6 sg.
ivi.
Luca.,
Per
II, 69:
la dottrina di
Epicuro vedi
16,
1116 C.
Giussani che intende vxavanX-^QCoGiq come il risarcimento degli idoli stessi, deformati dall'ambiente esterno (v. sotto 50; 50); e
giustamente il Tescari lo corresse (Boll, di Filol. classica., 1906, n. 3 sg.) citando
Pr.UT., Adv. Col., 16, 1116 C, donde appare che si tratta del risarcimento dei corpi
da cui si dipartono gli efflussi; ma non han ragione n Plutarco n il Tescari, che
considerano tale risarcimento come prodotto dell'afflusso di altri simulacri esterni
3
vxava7i'kr]Q(oaiq: erra
il
da atomi acconci di qualsiasi orisempre turbinano nell'ambiente circostante, derivanti sia dall'attrito dei
sia dai simulacri, sia da ogni altro afflusso.
gine, che
corpi,
4
Come
nell'ambiente esterno;
ma
tale scomposizione
quando
struose delle nubi, v. Lucr., IV, 129, e cos pare spiegasse Epicuro anche certi
di miraggio, v. Diod. Sic, III, 50, 4: vedi pure su queste avaxasig Epic,
fenomeni
jt.
(fva., Voli.
Herc,
coli, alt.,
VI,
f.
86 sg.
artificiali quei
EPISTOLA AD ERODOTO
perficiale:
altri
83
modi
in cui tali
fe-
quanto si detto
in contrasto con la testimonianza dei sensi, purch si pong*a
mente, in certo modo, alla evidenza effettiva dei fenomeni,
a cui si dovr riferire anche la costante continuit delle propriet sensibili dagli oggetti esterni sino a noi ^
Occorre pure ritenere che per mezzo di afflussi esterni
non solo noi vediamo le forme delle cose ma anche pensiamo -. Infatti non potrebbero le cose esterne imprimere la loro
particolare forma e colore per mezzo dell'aria intercedente
fra esse e noi ^, e neppure per mezzo dei raggi o di efflussi
Infatti nulla di
simulacro
di cavallo
un simulacro
di
altri)
741 sgg.:
\ir\
si
queste concre-
si
come
zioni
superficiali (6i x
si
di
facile ex-
Ritengo tva dei codici, corretto dall' Usener in xtva, considerando Iva come
come fa pure il Kochalsky. Epicuro, secondo la sua dottrina canonica,
raccomanda anche qui di tener conto delle testimonianze dei sensi, cio dell'eu/denza, vdQyeia: ma aggiunge che non si deve solo badare al puro fatto evidente
della percezione visiva, bens anche al fatto della continuit delle qualit sensibili
(ou(i,rcd'(heia) dall'oggetto percepito sino a noi. L'ultima frase del periodo Iva xal
x; Gv\i7t'&\.a^ djt xcv ^ccO^ev JtQq Tifig voioei, fu male intesa anche dagli ultimi interpreti; a conferma della traduzione che ho dato, v. 50 e nota ivi, p. 84
n. 3 cfr. anche 52 sg. e n. ivi. Si noti che Epicuro qui ha in vista la dottrina
di coloro che ammettevano l'azione di un inedio tra il senso e l'oggetto sensibile,
come l'aria (v, s. n. 3), che, secondo lui, avrebbe nociuto a tale conservazione
1
avverbio,
Epicuro
si
ma
feno-
meni
visivi,
anche
soluzioni del
fenomeno
visivo.
Secondo
l'
49
EPICURO
84
di qualsiasi
natura
cos facilmente
che
si
come per
esterne a noi,
60
dipartono
^.
intellettiva o per
Toi) QOfivov
si
si
partono
simulacri], risultante
xal xov Q&vxoq). Quanto alla dottrina seguente, cio quella dei raggi,
certo fu opinione di
dottrina di
che Epicuro
si
riferisca a Senocrate. Tali raggi sono gli effluvi ignei che si di-
partirebbero dall'occhio e
occhi e nella mente. Tale dottrina dell'adattamento del senziente e del sensibile era gi in Empedocle, A 86, 15, che usa anche il termine tecnico Q\ixxeiv,
si
EPISTOLA AD ERODOTO
85
^.
Glossa] secondo un certo moto psichico, che avviene in noi stessi, conma che da essa si pu distinguere 3, moto psichico che causa dell'inganno [cfr, sotto 51].
(*)
stato frainteso.
oppure
di
Anche
il
un simulacro
isolato:
tale interpretazione
esclusa dal
singolare
per di pi yy.ax(ikeiinia
Ed
il
passo
si
spiega se
di
I,
= opinione,
51)
6idX,iii|Jiv
EPICURO
86
Ed
51
non
infatti se
vi fossero queste
si
una riproduzione
le
plastica di
esse S ricevute, sia nei sogni, sia per certe altre intuizioni
dell'intelletto o dei rimanenti criteri. Per di pi non si
52
Glossa] cio
il
ma
che da essa
pu distinguere.
messa
L,^
evidentemente desunta da ci che segue. Si noti per che nei codici queste parole sono inserite dopo cum jtip-aQxveoulivov (nella mia trad.
non sar confermato) ma siccome esse si riferiscono
a v T( :tQoo5o^a^o|i,vcp (in ci che la nostra opinione aggiunge), ho senz'altro
trasferito il richiamo a quest'ultime parole, per comodit del lettore.
1 Leggo: olovsl v elvcvi Xafi|3avo|xvcov, con i codici. Non hanno compreso il
senso di questa frase l' Usener (che legge olov n), e gl'interpreti che accettarono
senz'altro tale mutamento. Epicuro infatti, secondo ci che ha raccomandato
in 48 (v, sopra p. 83), dice che la veracit dei nostri sensi, anche nei sogni o
nelle altre visioni intellettive, si pu provare osservando che vi corrispondenza
dall'
fra le realt esterne e le nostre percezioni. Infatti, p. es., nei sogni, spesso ab-
biamo percezioni che se confrontiamo poi con le realt corrispondenti ci appariscono come riproduzioni plastiche fedeli degli oggetti percepiti, questo, secondo
Epicuro, solo possibile se si ammette l'esistenza dei simulacri che sono in effetto riproduzioni esatte
rappresentazioni visive che possono aver conferma dal tatto. Che tale debba essere
la lezione e l'interpretazione del testo, credo si dimostri anche col confronto di
passi epicurei: v. p. es. Plut., Quaest. conv., Vili, p. 734 f (=Us., p.
altri
2L 4,
ove delle visioni dei sogni si dice: l/o'^'ca noQcpoei8sIs xcO ciiaxog xps\iay\i.va<; [ioixr\Taq; e Comm. Lucani, VII, 8, p. 221, 1: atomos intuere animis
nostris in imaginibus corporum: cfr. anche Lucb., IV, 749 sgg. Per la dottrina
23 sg.),
cfr.
anche Vita
V.
V. Vita di Ep.,
s.
n. 2, p. 85.
34.
EPISTOLA AD ERODOTO
tiva dei fenomeni, e perch
non
si
a ci che erroneo ^
IV
L'udito e l'olfatto.
Ed anche
da
ci
Epicuro censura
gli
scettici:
cfr.
Massime
capitali,
(ioio|XEQ8l5
1123
7, 19;
XXIV; XXIII;
Plut
Lucr.,
cantra Col.,
25,
b.
come intende
il
Giussani
(I,
80)
attribuendo
I due participi giusto siano accordati con vTT]Ta ISixyo.Tov, perch appunto questa continuit doH'efllusso e tale accordo delle qualit sensibili,
che produce in noi la percezione cosciente e ci rivela i caratteri del fenomeno
che percepiamo. Infatti, perche sentendo un suono noi i)ossiamo distinguere che
un canto o un rumore ecc., necessario che il flusso sonoro non si deformi totalmente, ma conservi
caratteri atomici che aveva (luando fu emesso: senza di
ci l'afflusso delle stesse particelle, che avessero perduto la disposizione ed i moli
T OTfia!
EPICURO
88
53
produce in noi, per lo pi, Tappercezione di esso o, se no, almeno ce ne rivela il carattere esterno. Infatti se non si conservasse e continuasse sino a noi questo accordo continuato
di propriet sensibili, tale appercezione non si potrebbe produrre. Non bisogna dunque credere che l'aria stessa si impronti di particolare forma, per causa della voce emessa o
perch non sarebbe in alcun
degli altri suoni congeneri ^,
modo probabile che l'aria possa riceverne tale impronta
ma piuttosto che quando emettiamo la voce, l'urto che cos
movimento
effluvio fluido
di particelle
^,
e che da
uditiva.
fenomeno visivo
(v,
Democr.
128).
La
determinata invece la qualit dell'efflusso fluido, perch non tutti gli efflussi fluidi
recano percezione uditiva.
II, 414 sgg. In quest'api3 Per la teoria dell'odorato, v. Lucr., IV, 673 sgg.
:
EPISTOLA AD ERODOTO
89
V
Gli atomi, loro propriet, parti e moti.
Ed anche
atomi non ritengono alcun' altra qualit degli oggetti sensibili, fuorch
forma, peso e grandezza, e tutto ci che naturalmente consi
gli
detrazione
stola
non
^.
si tratta
degli altri sensi, del gusto cio (su cui v. Lucb., IV, 6i5 sgg.,
IV, 230 sgg.), perch essendo questo un compendio, riservato a^li epicurei gi progrediti, facile era per
essi ricavarne la dottrina per analogia o dagli scritti pi ampi di Epicuro (v. 83).
1 Per questa dottrina epicurea
v. s. 42: Lucr., II, 333 sgg.: Ili, 185 sgg.:
I, 358 sgg.
II, 730 sgg. Si badi che alla forma naturalmente congenito l'avere
Il,
398 sgg.) e del tatto (su cui vedi Luca., II, 434 sgg.
2).
Vedi su questo passo e la dottrina qui esposta il mio studio citato sopra a
p. 77, n. 3. Il testo credo vada costituito in modo diverso da come lo costituisce
l'Usener. Egli infatti mette in calce, come una varia lezione non genuina, le parole v 3ioXA.oX5' xivcv 6 xal jcQooovg xal cpSotJS, che gli editori precedenti e
poi il Giussani e il Tescari, conservano nel testo leggendo |xv noXXiv, xivtv 6
5tal TtQ. M. . Ora certo che le parole v jtoA,A.os (se. vxiyQtfoiq) in molti manoscritti , sono il lemma di una varia Icctio, (a torto perci il Kochalsky, che
mantiene la frase in glossa, le muta in v xjioig), e basta a persuadercene il
confronto con le analoghe espressioni del testo ercolanese papiraceo che reca
altre varie lezioni delle opere epicuree, pubblicato dal Crnkrt in Kolotes und
Menedemus, 1906, p. 116. Perci v noXXolq va senz'altro tolto dal testo. Resta
invece a vedere se la varia lezione che segue corrisponda o no ad una tradizione
2
lemma,
si
testo.
Ora che
il
di fatto
anche pu concorrervi l'aggiunta o detrazione di essi (p. e., aggiunta di elementi si ha nelle amalgame e nelle leglie di metalli; detrazione invece nei corpi
che si disseccano e si induriscono e nella formazione del ghiaccio, v. Kp. a Pitocle,
109). Errata poi e la lezione nv nokXv, perch non sempre concorrono i due
54
EPICURO
90
che
traspongono siano
si
indistruttibili
ed abbiano natura
55
forma
la
che si aggiungono o detraggono (v. Lucr., I, 680 sgg., 684 sgg.)- Piuttosto mi pare
opportuno leggere %ax jiexa-Q-oeig (tlvcov), tivcv 6 >tal Kx. Tivov cadde per
un caso frequentissimo di aplografla: cfr., infatti, un luogo aifatto parallelo in
Ep. a Pitocle,
1
Che
gli atomi,
ma
(eodd.
JtoTi^vaL
Kochalsky, pone
tra parentesi toto yq al vayxaXov, con costruzione implicata, e senso non persuasivo (dass sie als kleine Krperchen und spezielle Formationen zugrunde
liegen bleiben ). Ora a me pare certo che qui Epicuro voglia dire invece che gli
atomi permangono immutabili e indistruttibili, bench abbiano parti e forme
loro, e che necessario che si lasci ad essi la propriet d'aver parti (yoi, vedi
69) e forme specifiche (v. 42). Infatti Platone aveva sostenuto che
54 sgg.
tutto ci che ha parti distruttibile e trasmutabile; e che la materia primordiale
sia assolutamente indeterminata e priva di forma era pure dottrina di Platone
che poi pass ad Aristotele e ad altre scuole: per di pi Democrito considerava
inconciliabile il concetto dell'indivisibilit atomica con la propriet di avere
parti (v. Democr., ap. Diels, II^, p. 5, n. 13). Si aggiunga anche che x iinoXeinH8va, che segue pi sotto, oltrea comprovare l'esattezza di reofivEiv, indica appunto le qualit che permangono all'atomo (cfr. il principio del 54). E del resto
che Epicuro debba dire che gli atomi devono avere parti, risulta anche da ci
che scrive sopra: 54 xal ca | vdYnrig Gxr\[iaxi Gvii(pvf\ axi. Dunque, con le
parole discusse, Epicuro distingue il suo concetto di atomo da quello de]VijXr\
platonica e dagli atomi democritei: towo poi si riferisce a x xeiv yxovs xal
ox'nfiaxtojio'g ISiovs (come indica il valore stesso di ibiovg che nell'interpretazione
del Kochalsky svisato) e non necessario correggerlo in xa^Cxa, come alcuno po-
Usener),
il
trebbe esser tentato di fare: cfr. infatti s. 55 (Usen., p. 12, 15) xoijxou jtQoovxoq.
Si noti che xeivo si riferisce a xw fj,8xa|3d?i^ovxi, che l'ultimo nominato, cfr. 59
(p.
17, 12
Usen.).
L'argomentazione
Lucrezio,
il
EPISTOLA AD ERODOTO
91
Queste propriet che rimangono come fondamento, sono dunsufficienti a produrre le differenze dei complessi corporei,
que
poich necessario che qualcosa appunto rimanga come fondamento, e che (nulla) si distrugga nel nulla ^
Non bisogna neppur credere che gli atomi possano avere
qualsiasi grandezza; perch non vi si opponga l'attestazione
dei fenomeni. Qualche differenza di grandezza si deve per
credere che abbiano: poich se avranno anche questa propriet, si potr dar meglio ragione di ci che riguarda le
nostre sensazioni esterne ed interne ^. Che invece essi possano avere qualsiasi grandezza, non solo non necessario
per spiegare le differenti qualit [dei complessi], ma per di
pi gli atomi, in tal caso, dovrebbero divenir visibili, ci che
non si vede avvenire, n si pu comprendere in qual modo
potrebbe aversi un atomo visibile ^.
Oltre a ci non bisogna credere che in un corpo limitato
vi sia un numero illimitato di parti, e neppure parti di qualsivoglia grandezza. Perci non solo si deve escludere la divisione all'infinito in parti sempre minori^, per non togliere
ad ogni cosa la forza di resistenza^ e perch nella concezione dei complessi corporei ^ non siamo costretti a ridurre
ow)
<|XTi6v> elg
jat]
6v
cp'O'eiQeo'dai
v. 8. S8
Cio,
si
atomica
cfr.
Lucr.,
I,
599 sgg.
II,
variazioni per-
Mantengo
"^
atomistici citati da
me
nel
commento ad
testi
I,
empcdoclei e
551 sgg.
se
92
EPICURO
al nulla le cose
Inoltre, poich
come un tutto in s o diviso nelle sue parti: per di pi non si comprende come,
componendo un tutto, dobbiamo o possiamo sminuzzarlo. Il Kochalsky, traduce
con concetto, e credo a ragione. Intendo dunque che nel concepire i complessi
come composti di parti, non dobbiamo sminuzzare queste, considerandole come
frazioni infinitamente piccole regressivamente all'infinito. Si noti che x vxa
(le cose che sotto), son propriamente gli atomi, in confronto con i complessi corporei, perch quelli permangono immutabili, questi divengono sempre. Il concetto era democriteo e venne dalla polemica con gli eleatici. Per di pi nota
che la divisibilit all'infinito, pu considerarsi in due sensi, o come reale e
meccanica, o come ideale; Epicuro nega la possibilit dell'una e dell'altra; e
contro la seconda combatte particolarmente in ci che segue, negando la possibilit del passaggio ideale regressivo da parte a parte (fAerpaois irl x 8X,aTTov).
Sul concetto del minimo di divisibilit epicureo,
Usener.
1
jtl
v. le
testimonianze a p. 197,
9 sg.,
L' Usener ed altri non badano che la [lex^aoig pu avvenire in tre modi:
T loov,
curo intende
jtl
x fiel^ov ed
ammesso
jil
x e^axxov, e non solo secondo i due ultimi. Epiuna grandezza limitata non si possano
senz'altro che in
concepire i due primi modi di [lEx^aoiq; procede invece a dimostrare che non
ammissibile nemmeno il terzo. Cosi si spiega il iir\bs che sembr ostico a molti.
Giussani, I, p. 67. A combattere la dotti-ina della diEpicuro era mosso anche dal bisogno di confutare la
tesi eleatica dell'impossibilit del moto, v. Appendice.
2 Leggo con i codici
(TJs. et) JtTiXixoi cuv: giustamente il Giussani (I, p. 66)
restitu in questo punto la lezione manoscritta; ma in ci che precede non credo
accettabile la sua proposta, che non tien conto dell' jicog che in tutti i codici
eccetto che in uno. Sulla dottrina delle parti minime oltre che lo studio del Giussani, vedi anche Pascal, Studi sul poema di Lucrezio, p. 48 sgg., che in alcuni
punti corregge e completa lo studio del Giussani.
V. anche sotto
p. 93, n. 3, e
r\
EPISTOLA AD ERODOTO
93
di seguito
Per
deve pensare
di piti,
il
minimo
percepibile con
il
senso,
si
modo
diverso da esso:
finit
con
le
ma
successivi
af-
passaggi da
Quando
am-
mettono i passaggi da parte a parte], crediamo di distinguere in questo minimo sensibile una parte di qua ed un'altra
di l, vuol dire che ci che colpisce il nostro senso un
simile minimo; e noi scorgiamo successivamente questi minimi, incominciando dal primo, e non gi come parti di un
medesimo minimo e neppure come contigui ad altre parti
con le parti loro; ma solamente come unit, che nella loro
natura individua, determinano la diversa misura delle grandezze, maggiori o minori secondo il loro numero ^. Tale analogia bisogna credere si debba applicare anche alla parte
Vedi su questo periodo Giussani, L cit., che ha chiarita la teoria. Il Giusxw oppure oCto), (codd. cOtco o tovto (BF^) ), ma probabilmente anche la lezione to-to possibile, intendi ovx eori tojto (cio qixesto
processo ideale) elg neiQov ujtdQxeiv. Il Kochalsky anche qui abbonda di mutazioni non necessarie e non intende rettamente la teoria. Epicuro dice, come ne
riassume nitidamente la dottrina il Pascal, l. e, p. 50: ciascun corpo visibile
la somma di minimi punti percettibili, i quali, appunto perch sono di grandezza
finita, sono finiti anche di numero; ma questi minimi punti percettibili, non sono,
nel corpo, visibili per se stessi, perch noi, quando guardiamo un corpo, non vediamo tanti minimi punti percettibili messi l'uno accanto all'altro. Questo nel
mondo del sensibile: lo stesso deve accadere dunque nel mondo dell'invisibile; e
cio: l'atomo risulta a sua volta di parti minime, ma non infinite, e queste parti,
nell'atomo, non sussistono separatamente.
- Tale la serie
delle quantit matematiche che procede all'infinito in pi
ed in meno secondo la serie dei numeri interi, o quella delle frazioni, o quella
delle potenze. Si badi infatti che qui non si parla solo della [lex^aaiq jtl xcOXaTTov: credo perci che a torto il Tescari ed altri introducano anche qui ni
xoijXaxxov che nel testo non c', n credo ci voglia (v. s. p. 92, n. 1): nota anche
1
il
plurale jieTapdoeig.
EPICURO
94
59
minima dell'atomo.
Infatti
sensi, per si
come
le
cose invisibili,
offrono l'unit di misura alle estensioni [fra loro rispettivamente] maggiori e minori ^. Infatti la somiglianza che tali
parti minime hanno rispetto a tutto ci che ha natura omoge-
nea e continua [cio agl'indivisibili di qualsiasi natura] sufche s' detto sin ora: non
possibile invece che si abbia un accozzamento di questi mi-
si
ha
di
quanto suscettibile
di
moto
'^
Cio
(v.
s.
p. 93)
2 Leggo 7tQ(xov (BFGrf) con il Tescari perch jtqctov nella migliore tradizione manoscritta. Nel resto a ragione il Giussani (I, p. 70) ed il Tescari tolgono
la lacuna che l'Usener ha segnata dopo jtaQaOHEud^ovxa, ma a torto levano la vir-
anche dai
va
riferito
ad
k'kaxicxoic, (le
come
l'interpretano
il
Giussani ed
il
xowo
si
Tescari: e ci
li
rende
atti alla
creazione
a cui
le
vediamo
(!)
EPISTOLA AD ERODOTO
Ed ancora
^:
come
si
95
deve affermare
l'alto, o
Testremo
veramente se da qualsiasi punto ove ci troviamo, si proceda alFinfinito sopra il nostro capo, manioppure che
festo che questo limite non lo troveremo mai
la direzione in basso dal punto immaginato sino all'infinito
possa essere, ad un tempo, in alto ed in basso rispetto al medesimo punto: infatti questo inconcepibile. Perci si pu
considerare come una sola la direzione ideale procedente all'infinito in alto, ed una sola quella in basso; anche se per
un numero infinito di volte la direzione sopra il nostro capo
incontrasse i piedi di coloro che stanno sopra di noi, o il capo
il
basso,
o in alto
se fossero
di
quelli
ugualmente
si
estende al
infinita si conce-
sione di movimento qualsiasi di minime unit di moto, cos, come si detto precedentemente, ogni grandezza corporea composta di minime unit di estensione.
E che tale sia il senso voluto, appare anche da ci che segue, in cui si parla del
movimento e, come vedremo, si precisa la differenza fra le parti minime di estensione (cio le parti minime atomiche) e le parti minime di moto. Che le parti minime degli atomi non siano suscettibili di moto risulta da Lucrezio (I, 628 sgg.) come
vide gi il Giussani; (cfr. le acute osservazioni del Pascal, l. cit., p. 53 sg.).
Perci il testo di Epicuro, quale si legge nei manoscritti: cijficpQTioiv 6 >t tovtcov
xiviioiv ^vrcov ovx oiv xe yevo'O'ai, deve essere corrotto, onde il Brieger, seguito
dal Pascal e dal Tescari, legge: jiCvtioiv (ovk) ex. Ma neppure il Brieger contento della sua correzione; perch trova ci vorrebbe cte x. cx .: correggo dunque
Toij<Tcov d)g>Tcv y.. ., che preferibile paleograticamente e conviene con la teoria
esposta; i minimi di estensione differiscono infatti in ci dai minimi di moto, in
quanto i primi non sono suscettibili di moto. Per il costrutto xcivg Jtgg xi, vedi
AnthoL, XI, 141. Non da approvarsi n la lezione M-exaPaxd del Kochalsky, n
l'interpretazione della dottrina che ne consegue.
1
Per comprendere questo passo, bisogna ricordare l'obiezione fatta gi da
Aristotele ai filosofi precedenti {Phys., 205 b 30: cfr. 215 a 8), e poi successivamente
da altri ad Epicuro (v. p, e., Cic, De fin., I, 6, 17; Plut., Ade. Col., 8, p. 1111 b:
Sioic. rep., 44, 1054 b), contro la possibilit di un moto dall'alto in basso nell'infinito, per cui bisognerebbe ammettere nell'infinito un alto e basso assoluto. Epicuro cerca parare l'obiezione, negando s che nell'infinito vi sia un alto e basso
assoluto, ma ammettendo per due designazioni convenzionali per indicare le due
npjtoste direzioni del moto di caduta nell'infinito spazio. Acutamente si occupa
della dottrina esposta in questo passo il Giussani, I, p. 1G8 sgg. Quanto alla lezione del testo, non accetto la lacuna posta dall'Usener dopo xaxqvoQev invece
di yeiv v dei codici, che l'Uscner muta in xelvov, leggo yEiv(\'oovai. b\K)ov, o
:
pongo
'mtv.
eo
EPICURO
96
Per di pi:
61
necessario
che
g^li
Infatti fino
il
^,
solo equiveloci
quando
pur
si
sin
essendo equiveloci,
gli
atomi che
si
si
anche
cos]
e [se in essa
si
muo-
Per
si
volesse
il
successivo
(62), v.
esso
l'Ap-
pendice.
2
Le parole
Appendice.
Questo periodo fu tormentato variamente dai critici con molteplici emendamenti, ed anche l'interpretazione vari da filologo a filologo. Per conto mio credo
si debba e si possa ritornare alla lezione manoscritta, purch si comprenda la dottrina qui esposta da Epicuro. Di ci si tratter ampiamente in Appendice. Giover avvertire quanto al testo, che tolgo (cu) inserito dall'Usener prima di -Q^ttcov,
pongo una virgola prima di looxaxrv, e tolgo quella posta dall'Usener dopo
ovccv, leggo con i codici >tat [espunto dall'Usener] xax xv A,dxiOTov e. %qvov,
e metto una virgola dopo questa parola; pure con i codici leggo: si [Usener fj] jxt)
cp' va, dopo di che restituisco nel testo le parole %a-z xQvoug che l' Usener
espunge come glossa, e colloco una virgola dopo xQvovg.
<H> xov n/.r)|avTog, v.
4
EPISTOLA AD ERODOTO
97
vera in
siffatti
testato dalla
casi
vista,
^ :
come
ci at-
ci che
mentale.
VI
Dell'anima e della sua natura.
Ed
^,
sottili particelle,
ad un
che, in
sottigliezza
modo
dei
all'altro.
fluido ven-
modo
assai
rimanente organismo.
tutto ci manifesto
dagli urti
IV,
muovano con
dalle att-
velocit rallentata
(v. s, 83).
V. 8. 38.
4, 6;
si
IV,
3, 11
I, p.
Art,,
Buch
Epicuro.
63
EPICURO
98
64
ma non
la
causa prin-
non ha pi
65
mezzo
effet-
del moto,
l)
ammala
sciuta, perch
1
La sensazione ha luogo per partecipazione del corpo, per mezzo dei suoi
organi; infatti Epicuro sostiene la dottrina della sensazione in loco: v. Lucr., Ili,
359 sgg. Ma i fenomeni intellettivi e affettivi sono di pura pertinenza dell'anima
e di quel nucleo che nel petto; v. infra p. 100, cfr. At., IV, 4, 6.
'^
Brieger la lezione dei codici xsQft) (xQco codd.) fifia "vYYSYsvnil corpo d all'anima le condizioni necessarie al sentire, cio la possibilit di non disperdersi e di vibrare nei moti suoi proprii; in
questi moti poi si produce nell'anima il fenomeno sensitivo, di cui l'anima fa partecipe il corpo per mezzo del contatto e della simpatia o consentimento di queste
3
ixvcp
Tengo con
(
vo)
il
codd.). Infatti
Non
essendosi badato a ci
si
corresse
il
testo,
EPISTOLA AD ERODOTO
parte
[di esso]
perisca con
il
se
99
la contiene
maner
*,
se [la parte
[nel corpo]
el'O''
Xov
el
xe al fiQovg xivg.
es.
Giussani,
I,
p. 214;
Queste parole
Heinze, p. 38),
l'intero
il
umano
si scioglie,
poreo che
contiene la
lui.
per vero,
mentre quando tutto il corpo si scioglie l'anima perisce, pu invece una parte
dell'anima permanere quando si dissolva in tutto o in parte qualche singolo
organo del corpo che pure uno oxeYd^ov per la parte d'anima contenutavi. E naturalmente un organo pu essere solo ferito e lacero, od essere troncato interaincancrenirsi e dissolversi per il male (cio A.u'd^f|vai, in tutto o in parte,
mente
come detto nel passo discasso) senza che ne consegua la morte dell'uomo.
Costruisco T xcv xfiov
ouvxelvov
vedi
per anche possibile intendere
ouvxeXvov nel significato concreto, cio ci che mantiene unita l'anima [nella
2
jtX.f|#oq
mia nota a
79.
sua natura specifica]. Per costruire come il Giussani ed il Tescari, credo dovrebbe esservi x O'uvxetvov x xcov xficov Ji^fj-O^oi;.
3 Seguo con il Giussani la lezione del codice laurenziano (F) 6iaXvo|xvov.
Ilo tradotto secondo la lezione dei codici, ma non la credo esatta; infatti
l'anima pur escita dal corpo xivelxai, perch in perpetuo moto sono sempre gli atomi
(V. 43). Piuttosto deve osservarsi che
moti degli atomi che la costituiscono non
EPICURO
100
66
Non
^,
se
Oltre a ci
67
poreo
si
(*),
si
non suscettibile di
il vuoto; per il vuoto
n di passivit alcuna, ma solamente d modo ai
muoversi attraverso se stesso ^. Perci, quelli che
poreo, se non
attivit
corpi di
(*) Scolio] Questo dice pure Epicuro altrove, ed aggiunge clie l'anima consiste
atomi assai levigati e rotondi, notevolmente differenti per da quelli del fuoco*.
Ed aggiunge che una parte di essa non partecipe di ragione, e questa diffusa per tutto il rimanente organismo; la parte razionale invece nel petto, come
appare dai sentimenti di timore e di gioia. Il sonno prodotto da quelle particelle
dell'anima che son diffuse per tutto l'organismo, che si riuniscono, o si dissipano
e poi si abbattono l'una sull'altra per gli urti^ Dice pure che il seme genitale
di
proviene da tutte
le parti
dell'organismo.
saranno pi sensiferi; a ci
si
avxq vv\ieiq
o\b
Che Epicuro
affatto
V. LucR.,
gli accidenti
quali
I, 435 sgg.
questo un indizio che Epicuro, nel luogo a cui si riferisce lo scoliasta,
polemizzava contro Democrito, il quale faceva consistere l'anima solo di atomi
ignei.
v.
3,
5.
EPISTOLA AD ERODOTO
101
cordandosi di ci che abbiamo detto in principio, potr adeguatamente considerarle, abbracciandole nelle loro linee generali, e cos da esse giunger senza errori alla conoscenza
precisa dei particolari.
VII
Di ci che esiste per s e delle sue contingenze.
Ed
PaCvei)
cum
;7ieQl
Leggo
Us.
csv[l-
corpore...
animum
^bbiamo particolari
SiaXfirpeig)
Secondo Epicuro oltre alla materia ed il vuoto nulla esiste per se; negando
non sia il vuoto, e perci ogni entit spirituale.
Tutto ci che noi possiamo pensare o conosciamo oltre la materia ed il vuoto
non se non contingenza o accidente della materia e del vuoto. Su ci non c'
dubbio: piuttosto poich Lucrezio, I, 445 sgg., usa due vocaboli coniuncta, per
2
EPICURO
102
69
plesso
corpo, nella sua interezza, possiede la propria nanon gi per che sia costituito dalla loro unione
il
tura eterna,
come
parti
70
mut variamente
Epicuro, i corpi o sono visibili, o sensibili ma non visibili (p. es. vento, caldo,
freddo, suono v. le test, raccolte dell'Usener, p. 222, 7 sgg.; Lucr., I, 300 sgg., ecc.),
oppure ne visibili n sensibili, come gli atomi {r]Xa).
1 Si deve leggere \iBye'>v con i codici: cfr. 58 extr.
59; cfr. Arist., Phys.,
le parti minime^
T, 3, p. 187 a, Top,a iizy'&r\. Le prime unit di grandezza sono
;
V. s. p. 94.
Per esempio,
Per
l'
le percezioni sensibili v.
3
s.
p. 101, n. 2.
codici
hanno
68 extr.
EPISTOLA AD ERODOTO
dovran porre
si
fra
gF invisibili ed
103
le
n saranno
(insensibili),
nome secondo
l'uso
ma
neppure hanno
non
si
pu pensare
^.
E secondo
natura
la
un corpo
determinate intuizioni,
ma
in
la
il
tutto,
tutto, e
infatti
esistenti
neppur questo
si
pu pensare n
di queste
Ma, come
manifesto,
tingenze concernenti
corpi
non
inscindibili
(*)
ma
da
son
essi,
n da
che
siffatte*
V.
n. p. 101, n. 2.
s.
Tolgo
la lacuna posta dall' Uscner e leggo coi codici XX' dxe (Us. Stco, tanto
pi arbitrai-iamente, in quanto prima pone una lacuna) bf\noTe: a torto si mut
2
Se una correzione fosse necessaria leggerei X.X,'<tov) 6v tqjiov xx per l'atcfr. Thuc, vii, G7; Xkn., Dee, 3, 5: Madvig, Syiitaxe de la langue gyecqut\
p. 121, 2: ma forse l'anacoluto deve conservarsi: un simile anacoluto probabilmente in Luca., Ili, 84, ove, se si mantiene la lezione dei codici, v' un egnal
paesaggio dalla costruzione con l'infinito a quella con il verbo finito. Per la d(t*
trazione
trina v.
s.
68 e n. ivi.
EPICURO
104
ci
72
deve pure
rifletter
bene che
il
ma
Invece
secondo
73
razione,
ma
ai giorni
ed
^,
ed
similmente
alle
1 Cio, il tempo non una propriet d un soggetto esistente per s, che troviam congiunta di necessit o per accidente alla, prenozione (ossia al concetto) che
abbiamo di questo, come p. es., al concetto di corpo congiunta necessariamente la propriet del peso e per accidente quella d'essere in moto o in quiete. Infatti, come si osserva subito dopo, quando io dico tempo lungo, tempo breve, nel
mio pensiero non si presenta alcun' idea d'un tale soggetto a cui sia da riferirsi una
particolare qualit. Piuttosto il tempo una propriet accidentale di propriet
accidentali; e per vero il tempo si determina per mezzo di propriet fisiche transitorie come il moto o la quiete d'un corpo, che possono essere pi o meno duraturi,
o per mezzo di stati d'animo che possono essi pure durare pi o meno: cfr. Sext.
Emp., Hypoth.,
Ili, 137;
I, 22,
5; Lucr.,
und Men.,
I,
459 sgg.
p. 104: v.
il
anche
Skxt, Emp., Adv. dogm., X, 181 sgg.: 219 sgg. Nel fine di questo periodo mcp-
come
fa
il
Tescari.
2
Sulle diverse definizioni del tempo, tentate dai filosofi greci, contro cui com-
loc. cit.,
X, 169 sgg.
torto alcuni
intendono ibiania
modo di dire; v. infatti l5iov nella linea di sotto.
^ Si noti che (come spiega Sesto Empirico, l. e, 224, esponendo la dottrina
epicurea del tempo) i giorni e le notti sono condizioni accidentali dell'ambiente
esterno, cio condizioni di oscurit o di luce determinate dal sole nel nostro ambiente esterno (l'aria); perci anche in questo senso il tempo qualit accidentale di qualit accidentali,
come abbiamo
detto sopra, v. n.
1.
EPISTOLA AD ERODOTO
105
pensiamo
come una
[qualit accidentali]
(*).
Vili
MONDI.
Oltre a ci che
si
mondi
origi-
si
ed ogni complesso atomico limitato congenere alle cose che assiduamente vediamo, e
che tutti se ne sceverarono originandosi da propri agglomeramenti, maggiori o minori, e che di nuovo tutti si dissolvono, quale pi rapidamente, quale pi lentamente, per diverse cause (**). Ed ancora si deve esser persuasi, che non
solo non necessario che i mondi abbiano un'unica for-
(*)
nel
Scolio] Questo dice anche nel secondo libro dell'opera Della natura e
Grande compendio.
(**) Scolio] Afferma dunque senza dubbio che
Con l'Arndt
il
Kochalsky, conservo
il
tempo
sensibile o di
una propriet
di
chiama a
2
J*er la
luoghi
^
ci. Sulle
xavxa nkiv
prenozioni ed
tempo,
i
vocaboli
ivi citati.
come
tali dissolvibili.
Per ci che
Gomi'EKZ, Zeilschr.
f.
d. sterr.
Gymn,,
si
dice su1.
XI, n.
1867, p. 207
sgg.).
fr.
del
74
EPICURO
106
IX
Svolgimento della civilt
75
la
certi periodi e
Scolio] Nel libro deeimosecondo dell'opera Della natura, dice pure che
(*)
essi sono differenti fra loro, ed alcuni sferici, altri ovoidali, altri d'altre forme;
per non possono avere qualsiasi forma; e dice pure che non sono esseri animati
sceveratisi dall'infinito.
(**)
Glossa]
Lo
ed animati:
cfr.
anche Lucr.,
II,
1067 sgg.
oltre,
ed impensierito
EPISTOLA AD ERODOTO
deriv da convenzione \
a seconda delle singole
ricevendo speciali
ma
stirpi,
107
Pi tardi poi, di comune accordo, le singole genti determinarono per convenzione le espressioni proprie, per potersi
fare intendere con minore ambiguit e pi concisamente.
E quando alcuno che n'era esperto introduceva la nozione di
cose non note, dava loro determinati nomi, o secondo l'istinto
naturale che li faceva pronunziare ^, oppure a ragion veduta,
scegliendoli secondo il fondamento pi comune di esprimersi
in tal
modo
^.
n xov nelQov,
(v.
Kuiinkr^,
due
jt susseguentisi
449 A).
Leggo con
Kax
il
3,
9 sgg.
(m-v) vayv.aO'&vxag.
come crede
rUsener. Epicuro intende che coloro i quali imposero nome alle cose che ancora
non ne avevano uno, quando lo scelsero non abbandonandosi all'istinto, che
offre espressioni onomatopeiche, lo scelsero secondo l'analogia, componendo la
parola in modo. che essa esprimesse il carattere della cosa. Le parole composte,
di cui i greci hanno gran copia, sono di tal natura; lo stesso dicasi per ogni
altra lingua. Chi, p. es., disse per primo attaccapanni, scelse il nome secondo
il fondamento o la causa pi generale che si pu avere di esprimersi in tal modo.
Intendo poi le ultime parole in modo diverso dagli altri critici e dal Giussani,
3
76
EPICURO
108
X
Dei fenomeni celesti.
77
l'
infinito Q^TivejcJai
(= xov
Q|XTiveoai)
correzione cpsQjxevov (Usen.), invece di cpeQ|XEva (codd. e vulg.) che ritengo con
il Tescari e con il Kochalsky: nel resto seguo la lezione dell' TJsener. Il senso
si
applichino
si
EPISTOLA AD ERODOTO
109
mondo,
del
costitu
si
tale
regolare
si
ufficio della
in siffatte dottrine
non
applicabile
il
metodo
come
ritenere
delle varie
ma
si
struttibili
deve
^,
di in-
Quanto agli
ci
di in particolare, v. Ep. a
Menec,
gli immortali (ol -Q-avaToi) i beati (et jidjtaQeg), e ci avverte che il nostro
concetto degli di deve corrispondere alle prenozioni corrispondenti a questi vo-
come
caboli (cfr.
Massima
capitale, I).
V. Ep. a Pitocle,
Per Epicuro hanno solo valore assoluto quelle dottrine che intendono allo
scopo pratico
90
ivi). Fra tali dottrine sono certamente quelle che riguarche determinano la natura dei fenomeni celesti. Queste dottrine, come dice Epicuro subito dopo, debbono essere dogmatiche e non ammettono
pluralit di spiegazioni (v. infra p. 110 sg.) Invece le dottrine che riguardano le
cause precse dei fenomeni celesti ed il preciso accertamento del come si producano, non sono indispensabili per la felicit (per essa infatti basta sapere che non
dipendono da azione divina), e sono possibili su questi punti diverse spiegazioni,
purch in accordo coi fenomeni.
^ Leggo con i codici xal 6oa avyyeyf\ (Usener ovvxeUei) jiQg tt]v elg tov-co -
tocle, 85 sgg., e
dano
XQtpeiav
(v.
cfr.
Ep. a Menec.
Kp. a Pitocle,
cfr.
mie note
116,
ts
110
79
EPICURO
vero ce ne persuade la ragione. Quanto invece concerne l'indagine del tramontare, del sorgere, del rotare, e dell'eclissarsi
degli
astri e di
tutti
se
non
si
grandi sono
loro timori,
cause delle rivoluzioni degli astri e del loro sorgere e tramontare ed eclissarsi e dei fenomeni simili, come avremo
veduto accadere anche nei casi singoli da noi considerati ^,
80
si
sia
per
*.
osser-
Leggo con
Tfjg yvcoecos in
si
Tf]s
dice.
V.
Ep. a Pitocle,
Ep. a Pitocle,
85:
fr.
60; 105, e
87.
Secondo Epicuro bisogna, nell'indagine delle cause dei fenomeni celesti, procedere dall'analogia dei fenomeni terrestri, e quando si veda che un simile fenomeno terrestre pu avere pi cause, concludere che anche il fenomeno celeste pu
averne parecchie, e determinarle secondo tale analogia: v. p. e., Ep. a Pitocle,
5
95: 103.
EPISTOLA AD ERODOTO
^,
111
Se dunque crediamo che un siffatto fenomeno possa prodursi e comportarsi 2 probabilmente anche presso a poco
quando si tratti di fenomeni
in questo determinato modo
la cui conoscenza sia indifferente per il raggiung-imento della
come
se
presso a poco
Leggo T
codd. ttiv
:
x'
Us.) ex xiv
diverse spiegazioni
Ep. a Pilocle^
si
v. s. n, 2, p.
86 ojteq (se.
codici hanno:
x p,ovaxw5 ex^v)
xal cJC
jil
vzzq'/js.^-
fi.v
oxiv olcnstha
Jico;
8tj
jtA,eovaxTiv exei xal xf)? yEvacaq alxiav xal xiig ovaiaq. Naturalmente
non importa che nell'ultima frase si abbia solo ytvExai; perch anche poco sopra
a jiXEOvaxwg xov fi yi-vhevov, segue semplicemente x jtXEovaxw^ ov|x|3alvov.
i2 Cfr. PoLYSTR. Ei'ic. 31. Xyov Kaxaq)Qov>'ioecos col. Ili, G sgg. Wilke:
e sopra
locle,
77.
'
Si allude
al
Menec,
124
II,
XI, XIII,
XX.
si
112
EPICURO
cosicch,
mali temibili
82
^,
conda dei casi rispettivamente generali o individuali ^, e dobbiamo pure attenerci sempre all'evidenza immediata rispetto
a ciascuno dei criteri. Infatti se cos ci comporteremo, nell'indagine dei fenomeni celesti o di ogni altro che cotidianamente
ci si presenti, ritroveremo esattamente la causa da cui il turbamento ed il timore deriva ed il modo di liberarci da tutte
quelle inquietudini che
massimamente
E chiunque
sommi
principi!,
esposizione ricordandola esattamente, credo ne ricaver sicurezza incomparabile, in confronto con gli altri uomini, anche
se
le dottrine
esatto di tutte
mali temibili sono determinati, secondo Epicuro, dal retto intenche basta alla natura umana e dei limiti del dolore stesso (v. Massime capitali, III, IV, XVIII), dalla persuasione che gli di non si occupano delle
cose umane e che la morte non nulla per noi, che non ci sono riserbate dopo
la morte eterne pene {Mass. cap., I, II, XI, XIII), e che d'altra parte non pu essa
diminuire la nostra felicit (ibid., XX, XL).
2 Epicuro deride i cosi detti spiriti forti, che mentre credono di poter fare a
1
I limiti dei
dimento
di ci
meno
della filosofia, cadono poi facilmente in perturbamenti d'animo pari o superiori a quelli del volgo: vedi Lucrezio, III, 41 sgg.l: Polystrat. Epic, op. cit.,
col. II, 6 sg.
Intendi che
tutti gli
badare alla nostra sensazione individuale, quando si tratta di casi in cui possiamo
essere giudici noi soli. Vedi per una simile distinzione. Massima capitale XXXVI.
Per le norme di giudizio espresse in questo periodo v. 37 sgg., e note ivi.
EPISTOLA AD ERODOTO
113
mia
nell'intera
a mente,
gli
(codd. elOLv
Epicuro.
EPISTOLA A PITOCLE
INTRODUZIONE
Argomento della lettera. Qual metodo debba seguirsi
NELLO studio DEI FENOMENI CELESTI.
mostravi
il
di-
84
ma
anche opportunamente
scritti ^
Questa tua domanda volentieri abbiamo accolta e con
buona speranza. Perci, recati a termine tutti gli altri miei
scritti, voglio ora soddisfare al tuo desiderio, pensando che
tali
credo necessarie
il
Casaubono (codd.
^acczl^eiv
Usen. PaoTct^ovxi).
KochaUky.
Non
85
EPICURO
116
da poco han preso gusto alla sincera dotod a cui resti troppo poco tempo libero
dalle occupazioni della vita comune. Accoglila dunque di buon
animo, e tenendola a memoria, esaminala in ogni suo punto,
con intenta cura, non meno delle altre dottrine contenute
nel Piccolo compendio ad Erodoto^ che gi ti inviai ^
Anzitutto bisogna esser persuasi che dalla ^ conoscenza
dei fenomeni celesti, in qualsiasi modo se ne tratti, o unitamente ad altre dottrine o separatamente, non pu derivare
mente a
quelli che
altro scopo se
86
non
Pare
si
si cita come appartenente al Piccompendio un passo che nell'epistola ad Erodoto non v'.
2 jfon prudente correggere it in elitg, come fa il Kochalsky, per ovviare
airelissi del verbo finito da cui sia retto l'infinito vouC^elv: vedi infatti tale uso
pi volte in quest'epistola (cfr. n. a 87; 92; 101; 106; ili), similmente nelle Sentenze vaticane (v. Sent., 48: cfr. anche Philod., jteQl xax., X, 12, 30; 13, 8, 30 ecc.).
Va sottinteso Set o vvaxv o vbxexai, a seconda dei casi. Il non avere osservato
tale uso produsse molte arbitrarie atetesi e mutazioni in questi passi.
Il carattere principale della filosofia greca dopo Aristotele, la preminenza
che viene assumendo il problema morale sopra ogni altro, e l'essere ad esso subordinati tutti gli altri. Questo anche pi manifesto in Epicuro, che definisce
la filosofia come l'attivit intesa alla conquista della vita felice (v. Sext. Emp.,
Adv. math., XI, 169), e che dichiara vacuo ogni ragionamento filosofico che non sia
rivolto alla salute dell'anima: v. fr. 60, cfr. Plut., Adv. Col., 19, 1117; cfr. Sent.
che segue v. s. Ep. ad Erod., 78 sgg.
vat., 54. Per ci
4 I codici hanno [i-qxe x Tjvaxov al (BH^ Q, nai om. cett.) oiaQoPidteo'd'ai. Il
Crnert propone di espungere il xai: mi par meglio legger al (fijtQaHTov). Per
comprendere bene quello che segue, si noti che l'uomo, secondo Epicuro, deve
rendersi conto dei fenomeni e delle loro cause, per non essere soggetto a superstizioni ed avere fiducia che le cose sono realmente quali appariscono alla nostra
esperienza, onde possa debellare il dubbio scettico (v. s. 96, p. 127: Mass. cap.,
XXIII sgg.). Perci egli ritiene che debbano avere una soluzione unica tutti quei
problemi che non possono avere che una sola soluzione in accordo con i dati dell'esperienza, siano essi problemi morali o fisici. Rispetto alle cause dei fenomeni
celesti il metodo deve essere differente. Siccome essi non possono essere esaminati da noi con suflScente esattezza, e poich si pu concepire che veramente, nei
diversi casi, varie possano esserne le cause, basta determinarne le eause possibili, purch esse siano in accordo con l'esperienza dei fenomeni terrestri analoghi
'^
EPISTOLA A PITOCLE
117
'
ad essi
di accer-
2
^
somiglianza con
*
si
La
Gv\i:f<)V(oq xoic,
jtX. xq.,
delle
spiegazioni molteplici,
meno
come
Jtdvxcov ho-
da
il
metodo
ci
dei fenomeni celesti, sempre che per non vi si opponga l'esperienza. Quanto a
xax Jtdvxcov, si sarebbe tentati di correggerlo in xjtl rcdvxcov, ma pu conservarsi, perch qui xaxd con il genitivo viene ad avere i senso fondamentale di
topra. Per il concetto qui esposto v. anche Epist. ad Er., 79 extr., 80 in.
s?
EPICURO
118
son probabili. Se invece se ne accetta qualcuna, e se ne riche sia egualmente in accordo con i
fenomeni, chiaro che si esce dai giusti limiti della scienza
Leggo
La vera
modi
^.
hanno 6 ti o 6 riva).
lezione di questo passo credo sia stata ristabilita dal Crnert,
Rh. Mus. , G, 130 che, seguendo gl'indizi dati dal codice laurenziano (F),
legge ovx &g x {ovxa>g F) v xoXs (AETetQoig cpaivfieva. Per la dottrina, v. s. pagina 111, n. 1.
3 Conservo la lezione dei codici jil x avvanxiieva xo'Oxq), intendendo 3tl
quod attinet ad (cfr. p. es. Demostene, 44, 59). A torto si intese 8iaiQexov ^rl x
senso.
Ma
EPISTOLA A PIT0CLE3
119
Mondi
Un mondo
circoscritta d cielo
*,
le
e la
(*),
fitto,
abbiamo esperienza,
ma
di ac-
certarne nessuno.
Appendice). Invece
certo
(v. 89),
manente consideri come frammento di una delini/ione (di Epicuro stesso) sul
mondo, trascritta dal glossatore come additamcnto alle prime linee di questo paragrafo, e lo ponga poi senz'altro tra
frammenti di Epicuro (p. 213, 3 sg.)- Questo
procedimento mi pare estremamente ardito. Ci la cui dissoluzione produce la ruina
di quanto in esso contenuto, sono
moenia mundi di Lucrezio (v. Lucr., I, 1102
i
Sgg.;
II,
si
due parti
di
di
cui trattano
120
EPICURO
o triangolare o di qualsiasi
89
a questo
formalmente l'aggiunta marginale consista di due parti distinte, sempre per rientrambe ai moenia mundi, perch il xat ha tutta l'aria di un rappezzo,
quantunque poco sia da richiedere per correzione stilistica da una glossa marginale, messa gi in fretta nel corso di una lettura; ma, anche se si ammetta che
siano due parti distinte, possono essere benissimo due aggiunte successive dello
stesso glossatore, che, confrontando l'opera maggiore di Epicuro, o ricordandola,
volle recare sui moenia mundi determinazioni omesse in quest'epistola. N vi
ragione di ritenere citazione diretta di un testo epicureo la seconda parte pi
della prima. Ci che ad ogni modo importa provare che ambedue corrispondono
alla dottrina di Epicuro. Che vi corrisponda la prima ci attestato dal confronto
con il passo di Lucrezio citato sopra; quanto alla seconda credo si possa provare
epicurea col confronto di un testo di Epicuro stesso: v. Epic, jt. cpva., 1. XI, p. 1,
ferentisi
vTTixa
[jc8]Qi^Tiq)'d'e(,T
jiu[m]-
QaLTTi[T]a &Gx'.nohibva.\....
cfr.
Sul moto
la quiete del limite estremo dei mondi, v. infra 92 sg., p. 125:
LucR., V, 510, 517. Quanto alla sua forma, si noti che oltre alla teoria della
sua
sfericit,
p. 6, 39),
V.
Plut.,
anche
De
nione orfica e forse anche empedoclea (v. il mio Empedocle, p. 342 sg.). Quali siano
le ragioni per cui Epicuro consideri come ammettenti una sola soluzione alcuni
di questi problemi cosmologici, mentre per altri ne ammetta parecchie come
egualmente
possbili, v. s. n. 3 p. 118.
II
EPISTOLA A PIT0CLB5
121
solo o pi
vi
si
fenomeni
^.
cfr. p. es. DoxoGR., p. 500, 4; 525, 1, Si noti poi che qui vi certamente (come
gi osserv l'Usener) un'allusione polemica a Leucippo il quale diceva che il
mondo si forma in un gran vuoto: v. Dico. Laert., IX, 31. Per anche altri, come
Zenone
stoico,
finito vuoto, V.
mondo, dopo
si
provi con
momento
il
confronto di Lucr.,
II,
1116 sgg.,
il
il
iniziale della
90
EPICURO
122
II
Gli astri
Origine degli astri,
loro grandezze e moti e fenomeni relativi.
Il sole e la luna ed i rimanenti astri, (non) ^ si formarono separatamente e poi furono compresi nel suo ambito
dal mondo e da quelle parti di esso che servono appunto a
sua difesa^; ma tosto si costituirono e successivamente crebbero (*), per aggregamenti e vortici di determinate sostanze,
(*)
La
il
mare
3.
XX che segue
nega: ed
infatti
gli astri gi
EPISTOLA A PITOCLB
123
deiruna
natura.
dell'altra
Ed anche
questo suggerito
dai sensi.
[di
il
colore e lo splendore-.
perch la terra e il mare non sono composti d atomi sottili, gazosi (jtveunaTixd)
od ignei. La glossa marginale si riferiva solo all'essersi formati sin dal principio
e gradualmente anche la terra ed il mare, come gli astri; ma inserita nel testo,
al posto dove nei codici, dovrebbe significare che anche la terra ed il mare risultarono dagli stessi elementi di cui risultarono gli astri, ci che sarebbe assurdo.
1 Tale era pure l'opinione di Eraclito, A 1, p. 68, 3 sg. Per la dottrina d'EpiFilod., jt. ay\\i., col. 10, 35: Demetr. Lag. (?) pap.
curo, V. Luca., V, 564 sgg.
ercolanese 1013, fr. 12 (v. Crnert, Kol. und. Men., p. 115, n. 516). Essa fu causa
di acerbe censure degli antichi: v. p. es. Cic, De fin., I, 6, 26. Pare poi strano
che Epicuro faccia qui distinzione della grandezza del sole xax x jtQq i]\iq e
jtax x Ka-O-'aux. Diverse spiegazioni furono tentate, combattute, a ragione, dal
Giussani (n. a Lucr., V, 564 sgg.). Ma neppure la sua spiegazione, assai sottile
e intricata, mi pare regga. Secondo me, nQg fiixag ha lo stesso valore che nella
Massima cap., II, cio indica per quanto pu importare a noi, v. infatti Epist. ad
Er., 80, ove si osserva quale quel limite di precisione, in queste dottrine sui
fenomeni celesti, che pu avere valore per noi e per la nostra felicit (cfr. s.
85 sg.). Epicuro fonda la sua induzione sopra i fuochi terrestri; ma egli avr
osservato che a seconda del differente grado di umidit o secchezza dell'aria, si
pu avere o no irradiazione, e perci il sole pu essere anche un poco pi piccolo
di quello che appare; mentre poi non neppure certo che non possa essere un
poco pi grande; perch non sappiamo precisare in modo assoluto se anche i
fuochi terrestri, veduti di lontano, non perdano un poco della loro grandezza,
prima di perdere il loro splendore e i loro contorni netti. E ci appunto indica,
a quanto credo, nel periodo che segue, ove c'Oxco, nel senso complessivo, va congiunto con nax xt^v alo^O-TOiv. V. anche Filod., Jt. ar\ii., 1. cit. Cfr. anche il papiro epicureo pubblicato dal Crnkkt, Rhein. Mus., 1907, p. 124 sgj*'.
2 L'ultima parte di questo scolio fu molto torturata nell'interpretazione e nella
lezione; ma io credo che si debba mantenere la lezione dei codici e non sia neppure da accettarsi la correzione 'KV ov yQ dell' Usener. Il testo manoscritto si
comprende, purch, come feci io, si riferisca xovxco a xw jio|5X.Xeiv xijv xQav,
che il concetto espresso nelle parole immediatamente precedenti. Epicuro dice:
se il sole dovesse perdere tanto di grandezza per la distanza da cui lo vediamo,
perch non dovrebbe perdere anche assai pi di splendore? Infatti i fuochi veduti
di lontano, quando si vedono evidentemente pi piccoli ci appariscono anche pi
confusi; e proprio la distanza del sole, maggiore di quella di ogni altro fuoco
:
91
EPICURO
124
possiamo avere esperienza, sarebbe la pi adatta a fargli perdere lo splennon l'ha perduto, vuol dire che non ancora tale che esso debba avere
di cui
dore. Se
perduto, in
modo
sensibile, di
grandezza.
Sul sorgere e tramontare degli astri, secondo Epicuro, v. Lucr., V, 650 sgg.,
e le testimonianze raccolte dall' Usener a p. 230, 8 e 354, 1. Epicuro, secondo il
metodo delle diverse spiegazioni possibili, prende in esame queste cause pi proba1
sorgere e il tramontare del sole e della luna avverrebbe perch s'accenspengono, volta per volta; opinione gi di Senofane (A 33, 38), di Eraclito
(fr. 6 Diels) e di Metrodoro di Chio, (A 4). 2) Per apparizione, sopra la terra, e
per occultazione. Tale occultazione Anassimene (A 7, p. 23, 24 sg. Diels) pensava
potesse accadere per causa delle parti elevate della terra stessa, cosicch il sole
non scenderebbe sotto terra, ma le girerebbe intorno (cfr. A 14). L'opinione pi
comune era invece che il sole realmente passasse sotto la terra quando tramonta.
2 La lezione dei codici, 6TJvao'8-ai, deve conservarsi; sottintendi vxerai, vedi
bili: 1) l\
dono
sopra
e si
n. 2, p. 116.
scorga
il
xr\
fi
lega 'Ejiihoijqo'u
Lucrezio non si dilunga a provare che il sole pu spegnersi ad occidente, ma quando propone l'ipotesi che si accenda ad oriente, si
sente obbligato a recare un esempio (V, 663), cio lo spettacolo che si narrava si
vedesse al sorgere del sole, dal monte Ida. Anche Epicuro doveva servirsi, nei
libri Jt. cpijoecos, di tale esempio, che riferito altres da Diodoro Siculo, XVII,
oocpia ^eJQev.
Ed anche
EPISTOLA A PITOCLB
125
Vedi Anassimene (A
16)
54; Farm.,
che credeva
fr.
10, 7).
30 ed
A 56).
Cfr.
Anassimenk,
Apollonia, A 9.
&
DI
Cfr.
Ai^ix., II,
15; Anassag.,
23, 6.
72;
Diogenk
93
EPICURO
126
tinuamente
a mancare
si
spiegazioni all'accordo
artifizi degli
9i
II
con
calare ed
il
^.
conversione di questo astro ^, o parimenti per diversa conformazione dell'aria^, od anche per occultazione'^, o final-
mente in
tutte le
modo per
spiegazione del
cui
terrestri a
non
si
Cfr.
Anassimandro,
V. la notizia di At.,
2
Cfr.
Democr.,
Per
le cautele
II, 23, 5
le altre,
Diogene
senza badare a
9).
sugli stoici.
89.
che
si
suggeriscono v.
Ep. ad Er.,
s.
n. 2, p. 121.
79, 80.
A 1, p. 69, 25 sg. Diels; il quale crea forma di scafo, e che la sua luce variasse a seconda
delle sue conversioni; Lucrezio per pi esplicito e minuto e pare si riferisca
5
Una
deva che
Doxogr.,
v.
Vitruv., IX,
2,
1;
cfr. 1, 16;
cfr.
Diels,
p. 200.
EPISTOLA A PITOCLE
127
di scorgere ci
comitanti, invece di
delle
sue
parti
nella
^,
un
di spiegazione.
per
sovrapposizione
[d'altro
*,
altri
spirito.
zione,
V. Ep. ad Er.,
80, s. p.
Ili n.
pu avvenire
nei
1.
Quanto
(v.
rois,
*
sopra
Conv.,
II,
le fasi della
luna; vedi
p. 126, 7.
Per
La prima
il
128
EPICURO
^ a
ci adatto.
cos
non
impossibile
si
di determinati fatti
97
Per
(*).
spiegarsi
(*)
coll'analogia di consueti
Scolio]
ag'giunge che
Lo
il
della terra, od anche perch la luna stessa si ritiri. Questo dice pure
Diogene
V.
A 41,
ove
si
si
eclissano,
il
sole e la
luna, cadono in qualche anfrattuosita della terra, in luoghi inabitati. Pi esplicita la testimonianza su
1
La
Metrodoro
di Chio,
4, p. 141, 23 sg.,
Diels.
Fj
o-
qxov xivq. Cfr. Anassimene, cit. s. p. 126, 7; Anax., A 77; Emped., A 59.
2 Cio, anche sulla terra vediamo successione armonica e mirabile di fenomeni,
dei quali possiam scorgere le cause meccaniche successive, e che perci non
possiamo attribuire all'azione degli di. Cos dobbiam pensare accada anche dei
fenomeni celesti. Lucrezio, per questa medesima argomentazione, si serve di una
mirabile descrizione poetica (V, 733 sgg), il cui valore logico per estremamente dubbio, perch, descrivendo egli una figurazione plastica del succedersi
delle stagioni (forse una danza simbolica), ci porge proprio un esempio di fatti
ove opera l'ingegno o la volont umana, onde si potrebbe pensare ad un simile
intelligente intervento divino nei fenomeni celesti.
3 V. Epist. ad Erod., 76 sg.
* Diogene di Tarso, epicureo, nelle (Lezioni^ scelte: v. sotto Vita di Epicuro, 26.
EPISTOLA A PITOCLE
129
causa
sia
compiersi
il
il
pu esser
ora in poco ora in molto tempo, a seconda della varia lunghezza degli spazi ^ (che deve percorrere sia il ritardo o
Tacceleramento del suo corso, perch attraverso a certi strati
dell'aria) ed a certi luoghi passi pi veloce o pi lento. E
questo conforme a ci che vediamo accadere nei fenomeni
terrestri, ai quali debbono accordarsi le spiegazioni che diamo
dei fenomeni celesti. Coloro invece che accettano un solo
modo di spiegazione, non solamente si pongono in contrasto
con i fenomeni, ma anche perdono di vista il limite imposto
:
umana
conoscenza.
^L'Usener
si
testo. Infatti, se
(v. 113)
fi
(3Qa6aj-
sole deve trovare deficiente materia di cui nutrirsi; v. infatti sotto 113 e ci
che detto sopra dei moti tropici del sole, 9:5 e le note ivi. Epicuro poi si richiama ai fenomeni terrestri, perch facile vedere una fiamma propagarsi pi
lentamente, o quando impedita da vento contrario, o quando trovi materia meno
infiammabile.
il
Epicuro.
EPICURO
130
99
dell'aria. Infatti
nessuna
di queste
con
Ad
modo
fenomeni.
ogni
si
due ragioni
in contrasto
si
avveri
pu determinare
III
Le nubi possono prodursi ed adunarsi, o per vario condensamento dell'aria causato dalla continua spinta dei venti ^;
o per
il
"^
e con-
Non
100
La
ripetizione prova
come que-
Leggo
Epicuro, V. At.,
si
porge,
Ili, 4, 5;
Anassimexe,
rega toto
f|
di
V.
^biq b jiotoiq
l'accolta di atomi opportuni era necessaria per l'origine dei fulmini, come mostra il confronto di ci che segue e Democr., A 93. Per la terza, cfr. Senofane,
fr.
30;
4
'
46;
Metrodoro
di Chio,
kX'kr^kov'/itv tfAcov,
Lucr., VI,
17.
che a torto
Lucr, VI,
il
quae pos-
jnX,fi-
oeig!) teneri.
Non si deve intendere come mutazioni degli atomi che comperch nella teoria epicurea questo sarebbe impossibile (v. Epistola ad Erodoto, 54), ma non v' neppure bisogno di mettere in dubbio n la
lezione n l'uso appropriato di questa parola (il Giussani la segna con un punto
interrogativo, ibid p. 227). S'intenda perci quale mutazione dei complessi atomici, che da solidi (v. 100) o fluidi, si rendono liquidi. Cfr. Lucr., VI, 5i0 sg.,
5
METaPaX,?^,vTcov.
pongono
le nubi,
EPISTOLA A PITOCLE
131
tuoni
nella
anche per
dal vento
il
^,
come accade
nei nostri
vasi
^,
od
oppure anche perch pi nubi compatte come cristalli sfregandosi fra loro si infrangono
Del resto l'esperienza dei
fenomeni terrestri indica che diverse possono essere le cause
anche di questi fenomeni dei quali qui ci occupiamo.
In pi modi si originano pure i lampi
Il lampo pu
*'\
''.
che esamina
compressione delle nubi, 2) nubi strutte dal sole e liLa prima spieg^azione era gi in Anassimene(A 17),
clr. Senokanb (A4'i): per tale mutazione, cfr. anche Arist., Melereol.,1, 11, 347 b, 18.
1 La lezione dell' Usener non d senso soddisfacente; credo perci si debba
correggere jivev[iaxa in ^M'0''^'i>v (cfr. 5iJ ove i codici hanno jtvstjpiaTog invece
eiJ^aTog) e nel resto mantenere la lezione dei codici, cio: eri te ^evfxdxcov xax
quefatte,
due
casi, 1)
come cera
jtoqjoQv ji
al fuoco.
k,jtn:r\bei(ov xTzcav
EJ
valga ci che
si
xax nocp.
>tx.].
g,
si
''
loi
EPICURO
132
di pi nubi,
* :
"^
per la filtrazione delle particelle sottilissime della luce attraverso le nubi, donde essendosi esse incendiate si produca
il
tuono
^.
Oppure per
TtoxeXela'Q'ai
nax
nax
Tr|v
Usen.
xal Tf|v) ToiJTov xlvTjoiv. Tanto con la lezione dei codici, come quella dell' Usener
queste parole non hanno senso che soddisfi, mentre naturale invece che si dia
la ragione per cui si
produce
il
tuono.
La mia
il
si
EPISTOLA A PITOCLB
133
il
lampo
il
vento
rispettive. In tali
precede
il
102
che produce
il
lampo, mentre
il
fragore prodotto
pii
tardi
cause del tuono qui addotte siano due^ di cui la prima si perdette per una
E di fatti son due anche nel luogo citato di Lucrezio (VI, 145 sgg.); cio:
1) il crepitio del fuoco al contatto con gli elementi umidi della nube; 2) l'impetuoso propagarsi dell'incendio, quando la nube sia composta di elementi assai
aridi. Per di pi anche in Aristotele, loc. cit., Empedocle, A 63 e Diogene di
Apollonia, A 16 (cfr. Eracl., A 14) si tratta dello stridore del fuoco in contatto
con la nube, come causa del tuono. Leggo perci xal xax t<tiv cXltv xal xax
T>riv xoTOu y.ivr\aiv {sia per lo stridore [del fuoco in contatto con gli elementi
che
le
lacuna.
umidi]) sia per l'impetuoso propagarsi del fuoco. Per o|li; v. Arist., loc. cit.
Quanto poi al doversi conservare nel testo le parole poste dall'Usener in glossa,
credo apparir anche pi certo a chi consideri che anche Lucrezio parla di queste
due cause del tuono, come conseguenti al fulmine (v. V, 145) dunque naturale
che stiano qui in questo luogo ove si parla dei lampi. A ci si aggiunga che se
non si ritenessero, verrebbero precisamente a mancare due delle pi importanti
spiegazioni che Lucrezio trov in Epicuro.]
1 V.
LucR., VI, 175 sgg. 300 sgg., il quale reca l'esempio della ghianda di
piombo, lanciata dalla fionda, che col moto rotatorio diviene incandescente: cfr.
Metrod. di Cuio, a 15; Chrysipp., ap. At., Ili, 3, 13.
2 V. Demock., cit. s., p. 132, n. 5; cfr. Lucb., VI, 214 sgg.
3 V. Arist., Meteor, II, 0, 309 b, 8 sgg.; Lucr., VI, 164 sgg
che reca l'esempio
ben noto del taglialegna, di cui di lontano vediamo prima il colpo della scure,
mentre solo pi tardi ci giunge il fragore dell'urto.
* Leggo Jtal jtaxdQQTjliv, come vide bene 1' Usenkr, Praef., p. xx.
:
103
EPICURO
134
cipita violentemente
Od anche possono
il
ed
fuoco
si
in tal
modo
si
produce anche
il
tuono
se
il
vento
^,
104
avvenire quando
precipita
la
fede ai miti, ci che avverr se, attenendoci giustamente ai fenomeni, ne trarremo induzioni per ci che non cade sotto i sensi.
IV
trombe marine, terremoti, venti, grandine,
neve, rugiada, brina, ghiaccio, arcobaleno, alone.
Cicloni, turbini,
cicloni
in basso, spinta a
che mentre
la
Pu anche essere cauun vento turbinoso, onde una porzione dell'aria sia
(*)
fulmini
5.
281 sgg.
2
V.
s.
n. 4, p. 131.
3 otQTiaxfjQag
sembrano
tali.
EPISTOLA A PITOCLE
135
compressione deiraria
tutt' intorno.
Quando
il
ciclone s'ab-
105
si
hanno
le
colonne marine.
terremoti
duce vento
'*.
Oppure per
la
avvenire in diversi
I
venti
altri
^.
Per
moti possono
anche
modi.
''
tali
ri-
le parti
tempo
in tempo,
quando
YtvT|Tai, parole
Anche qui
2, p. 116.
loe
EPICURO
136
propaga.
La grandine
per cui
si
si
una
di
certi
elementi
producono tanto l'unione che la frattura, perch la condensi forma ad un tempo per singole parti e complessivamente. Quanto alla sua forma arrotondata non impossibile
che risulti per liquefazione degli spigoli ^, od anche, nella
concrezione complessiva, come si detto, per mezzo di un
regolare agglomeramento degli elementi aquei od aeriformi
sazione
107
^.
La neve pu formarsi
sia
quando
sottile
pioggia
si
riversi
''
1 L'ipotesi deriva dall'osservazione che venti e pioggia sono spesso concomitanti; V. Arist., Meteor., 360 b, 27 sg.
2 I codici hanno:
x 6 Xom nvev\iaxa y^verai, xal Xiyov Jteovxcov slg x
nokk
3.
Cfr. Aristot.,
EPISTOLA A PITOCLB
137
los
produce la rugiada
sollevino tali ema-
massimamente
nazioni che poi
si
si
"^
si
'
mente, opinione diffusa (v. gi Ajcassimen,, A. 7 17: Anaxag., A 85): per nessuno, che io sappia, accenna, come Epicuro, alla simmetria dei pori. Per dei cfr.
;
103 extr.
Cfr.
jiveTj(AaTLxv.
ri
Zeno
3
V.
I.
cit.
8.
n.
precedente.
109
EPICURO
138
si produce sia perch dall'acqua, per la presspremuti fuori tutti gli elementi rotondi, e si
uniscano invece quelli angolosi ed a spigoli acuti, che son
Il
ghiaccio
sione, siano
aggiungano dal
siffatti
elementi
ed essi, conciliatisi insieme, facciano consolidare l'acqua, scacciando via un certo numero
di elementi rotondi.
L'arcobaleno avviene per i raggi del sole che si proiet-
si
di fuori,
tano contro l'aria umida ^; od anche per una speciale intima unione ^ dell'aria e della luce, atta a produrre le particolari gradazioni di colori, o tutte insieme o separatamente
ciascuna.
Donde
dell'aria possono
no perch essa
si
ricevere quella
proietta contro
le
vicini
perch
l'aria stessa
La spiegazione ha
il
135, p. 45,
del
MENE,
3
A
La
ma
M.
Jtax'
distacca dalla lezione manoscritta: correggo perci xax cv\i(pvoiv liav. Per
o-ujicpuoig nella dottrina ottica, vedi il testo democriteo, Dbmocr., A 135, p 47, 30:
cfr.
17
Plin,, li,
150
115
colorumque
* Cfr. Arist., Meteor., Ili, 372 b, 15; (cfr. 371 b, 18 sgg.). Le spiegazioni che
Epicuro d dell'alone assomigliano a quella che dava Senofane del fenomeno
analogo dell'arcobaleno, fr. 32 D.
EPISTOLA A PITOCLE
alla luna], respinge
simmetricamente
139
tutt'
modo da addensarla
forma compatta e circolare. E questo
intorno a quest'astro in
avviene perch, in determinate parti, o si produce la pressione di un qualche afflusso dal di fuori,- oppure il calore
chiude pori convenienti, in modo che possa effettuarsi questo
fenomeno ^
Le comete
si
producono o quando
si
forma in
certi spazi
"*
1 Le due ultime spiegazioni credo debbano intendersi nel senso che, o si produce una spinta esterna, che fa confluire con forza l'aria alla luna, o il calore
chiude i pori dell'aria ed allora le emanazioni della luna non potendo disperdersi,
attraverso ad essi, veng-ono risospinte indietro e addensate intorno alla luna.
2 Cfr. Senofane, A 44, che considerava le comete come nubi, infiammate
EraCLiDE PoNTico ap. Ai3T., III, 2, 5: Epigene ap. AicT., Ili, 2, 6 (jiveiJuaToq vacpogv
nenvQU)\ivov) Senec, iV. Q., VII, 4 sgg. Posidonio ap. Diog. L., VII, 152.
^ V. Ippocrate di Chio ed Escuilo, A 5, p. 299, 27 sgg. Diels.: cfr. At., Ili,
2, l: ScHOL. Arat., 1091 M. Tale opinione, che considerava le comete come veri
astri i quali appariscano solo in determinati tempi, da Epicuro distinta in due
ipotesi separate r una che questa apparizione intermittente avvenga per spein
ciale moto del cielo, l'altra che accada per speciale moto di questi astri
conformit alla sua dottrina generale del moto degli astri, in cui si ammette la
possibilit di entrambe queste ipotesi (v, s. p 1:^5; 140, n. 1).
* Ci che segue, tino al fine di questo paragrafo, posto dall' Usener, seguito
anche dal Kochalsky, fra parentesi quadre, come un'interpolazione, per la struttura del periodo, nel testo greco, col verbo all'infinito senza un verbo finito reggente. Vedi per altri simili casi di tale costruzione in quest'epistola (v. s. n. 2,
:
in
EPICURO
140
divenendo cos
per
visibili.
La
si
produce
le
avviene l'apparizione.
112
Che
astri
certi
rotino
un
^.
ne sia
si
accorda con
si
fe-
nomeni.
113
moto.
1
oriz-
zonte; cio di quelle stelle la cui distanza dal polo minore dell'altezza del polo
sull'orizzonte:
cfr.
di
9 sgg. W. Le
moto generale
fermo e gli astri si muo-
Enoanda, Vili,
1,
il
(v. s. p.
125).
Lo
il
seguente.
2
Leggo Tiv
\ir\
(se. jcX.avo'd-ai)
(v.
s.
p. 125, n. 2).
Leggo x
\ia.
xiolv) vcofia>.taig
L'errore della lezione manoscritta, provenne da corruzione per iotacismo (xfiv per Ttv') e per compendio male interpretato [AM
aA,X(T)v)]. Cfr. per
l'errore dei codici le prime parole della glossa a 50 dell' Ep. ad Erod. (p. 12,
XQa)}i,vT]v.
19 Us.).
EPISTOLA A PITOCLE
punti, delle
in certi
141
e regolarmente le
ducano
variazioni
le
di questi
fatti
una
di
accendano;
modo che
si
in
pro-
sola spiegazione,
consigliano parecchie,
nisterio
Che
^.
certi astri
loro corso
pu
^,
si
altri
nel lu
spiegarsi, sia
sima orbita, si muovono per con moto pi lento '^; sia perch muovono in direzione opposta, trascinati in senso contrario da un siffatto vortice; od anche perch, pur seguendo
il medesimo moto vorticoso, gli uni percorrono orbite maggiori, gli altri orbite minori ^. Volere poi recare un'unica
soluzione degno di coloro che vogliono darla ad intendere
ai pi
Le
^.
casi, sia
'',
sia
perch delle
combina-
dei lampi.
Correggo
V.
'^
*
6
6
^
S.
p.
Jtdvxcov,
atomi
a produrre
atti
il iis
108 8g.
Cfr. l'epicureo
Diogene
di
Enoanda,
naq
di
fr.
1.
Vili,
1,
3 sgg. VV.
cit.
>tal
xal
''^
EPICURO
142
fuoco,
quando
si
*
il compimento di tali pronostici. Infatti tale stoltezza
non potrebbe venire in mente neppure ad un qualsiasi essere vivente, purch solo mostri un poco pi di accortezza, e
tuare
tanto
meno
perfetta beatitudine.
Ricordati
dunque accuratamente,
ho detto,
e potrai cos in
ti
In particolar
modo
poi
datti a
considerare
I codici
hanno xal
?^?-oi
(p.
le
139) sulle
dottrine che
comete.
dei
divina.
3
V.
s.
98.
v. s. p. 108 sg.
EPISTOLA A PITOCLE
143
questi
affetti
affini, cosi
criteri del
vero e sopra
gli
^.
senza dubbio, se considererai, come meglio puoi, contemporaneamente tutte queste dottrine, esse ti renderanno agevole
scorgere le cause dei fenomeni sngoli: mentre coloro che
non abbiano posto in questo studio la massima cura, non
possibile se ne
gano
il
fine
jca'O^cv: il
Kochalsky
n'&T]
sono essi
perci non potrebbero essere qui agf?iunti ai criteri come qualcosa di diverso da essi. L'obiezione a prima vista persuasiva; ma non credo
stessi
criteri,
per re}?gH, se si considera, che i jid'^Ti, oltre essere criteri del vero nella canonica epicurea, sono anche ogf?etto dell'etica come affetti e fines. honorum et malorum, cio come piacn-i e dolori. Perci lo scrittore epicureo con essi qui accenna
alle dottrine sugli affetti (e fra essi anche i desiderii v. Mass. cap., XVIII, e nota
ivi
XXVI sgg ) come elementi della dottrina morale, ci che risulta anche da
;
V.
s.
n. 3, p. 116.
TESTAMENTO DI EPICURO
X,
(DiOG. Laert.,
16-21).
lascio tutti
demo
is
ed a Timocrate
figlio di Demetrio del demo Potamo, secondo la donazione
fatta ad ambedue, trascritta nel Metroo ^, a condizione che n
Torto e le sue dipendenze ^ lo assegnino ad Ermarco ^ figlio
di Agemorto mitilenese ed a coloro che s'occupino di filosofia
V. C.
Filocrate, del
di
figlio
Sul testamento di Epicuro e su quelli a noi giunti degli altri filosofi greci,
G. Bruns, IJie Testamente der griech. Philosophen, in Zeitschr. der Savigny-
Sliflung,
roman. Abth.,
I (1880), p. 1 sgg.
Teubner, 1914:
tilie,
Bate,
{= KL
sgg); H. Diels,
und rm. An-
Per
altri
testamenti di epicurei, in
aveva pre-
Epicuro
(v. 17), V.
il
altri filosofi, in
2
'
ispirato Epicuro.
*
Su Ermarco,
il
Resta di
lui
un busto,
v.
Comi-aretti e
De
24 sg.:
Petra, La
villa
ercolanese, p. 263.
Epicuro.
10
EPICURO
146
di-
Ed
con
lui,
mia scuola,
assegno la dimora nel giardino, affinch, insieme con Aminomaco e Timocrate, secondo il loro potere, la mantengano,
ed a coloro che succederanno ad essi come eredi, secondo
il
modo
il
giar-
viva.
18
TESTAMENTO DI EPICURO
di Posdone e quello di Polieno
io solevo
nel
mese
di Metagitione,
147
come
^.
it
di
3
*
di
20
21
EPICURO
148
Provvedano ancora a
da noi stabilito, affinch
secondo fu
adempiute, per quanto
sia possibile.
3.
FRAMMENTI
SENTENZE VATICANE
Allocuzione epicurea
I-II
111
= Massime
= Mass.
capitali, I-II.
cap., IV.
V = Mass.
Yl
= Mass.
perch se ha
perdura
se nella carne
cap.y V.
cap.,
XXXV.
VIII
= Mass.
cap.,
XV.
non
necessit
sicura-
necessario
ma
^.
1 'EjtixotjQO'u Qoocpvnoig.
Su queste massime, mancanti quasi tutte agli Epicurea deirUsener, perch scoperte pi tardi, vedi sopra p. 35 sgg. Segnai con
asterisco quelle che non si trovano negli Epicurea, tra parentesi quadre rac-
V. Cic,
poet., 14, 36 b.
3
Epic. beat
6,
p.
XXXV.
1090 e, e
Il
non
potest.
ma-
150
EPICURO
[X
(==
Metrod.,
mortale ed a
finito
fr.
37 Krte
tempo
*).
2],
e dovremo
non signore del tuo dimani,
procrastini il godere
cos la vita nell' indugio vanamente si
strugge, ed ognuno di noi senza concedersi mai requie si
muore ^.
non esser pi
in eterno; tu per,
:
lum
in necessitate vivere necessitas nulla est. Per neintendi l'imperio della fortuna e delle circostanze avverse, che
del resto poco potere hanno sul saggio (v. Mass. cap., XVI: Seni, vat., 44), e da
cessit (vdYHTj)
quando non
vi sia pi
FRAMMENTI
151
* XV. Le nostre abitudini, come cosa a noi propria, le pregiamo, siano esse eccellenti ed invidiateci dagli altri o no
;
cos
dobbiam
fare di
dulgenti ^
* XVI. Nessuno che scorga
come
scatone,
ne preso ^.
* XVII. Non
ma
il
male
il
un bene
lo presceglie,
rispetto a
^,
ma
ade-
maggior male,
felice e invidiabile,
il
al
il
fosse
se
il
giovane,
prima ansioso
e dubitosaraente
ha
sperati,
*.
Per
II
il
testo e
testo
di
\ielt,ov,
come
e;i^Ii
il
Crnert vide che deve intendersi zXeaa-Q^slq xc xaxw wg ya'O'w (o\JYHQivop,vq)) jcQg
T Hx [cfr. fr. 48]. Nel senso generale per non mi pare i critici abbiano visto il
giusto. Perch secondo l'interpretazione dell' Usener, si crede che in questa massima si parli del sag{?io, il quale pronto a scegliere anche il dolore, quando ne
consegua un maggior bene (cf. fr. 7l). Interpretazione che per resa impossibile
sia da eXeaa'&elq come da 'OtiQsv'O'T] infatti anche la traduzione che il Crnert
ne d (nemo sanus per se eligit malum quod videt, sed comparato maiore quo:
Deve
intendersi
dunque
ma
non
del saggio,
I,
10, 33:
Mass. cap.,
XXV;
e particolarmente
fr.
39.
Il
soddisfano
le
xfxfj richiesto,
non solo, come vide bene il Tlionias, per il contropposto che segue (xw YQ<;i), ma
anche perch nel culmine della giovinezza le passioni sono pi vigorose e temibili.
* Leggo con
codici a(faXei naxa/.XeLaag x'^Q'-''''' * torto mutato dall'editore
in x<Qa''> guastando il bel concetto: vedi infatti Ep. a Menec, 122 e mia nota ivi:
v. anche
cfr. le mie osservazioni in Atene e Roma. A. XI, e. 313 n. e Crnert, 1. e.
i
EPICURO
152
conversare,
il
il
contatto assiduo,
gi vecchio
*.
XX = Mass.
cap,,
*XXI. Non
remo saziando
XXIX.
violentare la natura,
ma
obbedirvi: v'obbedi-
non
^.
*
s*
inizi dall'utile
ma
^.
i
natrice,
sia
ric-
vert ^.
* XXVI. Sappi che a lungo e breve discorso proposta una
sola
meta
^.
*XXV1I.
frutto
il
ma
1 A torto si dubit delle parole yQcov T'ri}x8Qov''YY8VTiTai, ed il Gomperz propose di correggere ysgcov x']\x, cpqvtiolv. Non si vide infatti che questa sentenza
un'eco indiretta dalla massima popolare che troviamo in Teocrito, XII, 2: ol
8 Tio'&evvxeq v
r\\iaxi
yeQay.ovaiv
II
il
rivive e
Mass. cap.,
cfr.
V. Vita di Epic,
XXVI; XXIX
120 e le
sg.
mie osservazioni
cfr.
5 Allude a questa sentenza Seneca, Ep., 4, 10: magnae divitiae sunt lege naturae composita paupertas.: cfr. anche fr. 49. V. anche Mass. cap., XV, fr. 48.
6 Cio, lungo e breve discorso debbon solo mirare alla chiarezza ed al convincimento: v. Vita di Epic, 13: cfr. infra Sent., 82.
FRAMMENTI
153
Per la dottrina
cfr.
Diogene
Exoanda,
di
(fr.
fr.
47 K),
ragione.
2 V. Luca., V, 110 sg. Qua prius adgrediar quam de re fundere fata Sanctius
multo certa ratione maj^is quam Pythia quae tripode a Phoebi lauroque profatur: vedi l'allusione ironica in Cic, De nat. deor., I, 66 Haec ego nune physi-
et
come
p. e. Seni.,
*
20.
riferita
di
10; 47.
Ad Epicuro
attribuita questa
(p. 228),
bench poi
si
EPICURO
154
XXXII. La venerata
(parola)
chi la venera.
*XXXII1. Grida
non
sete,
la
XXXIV. Non
soffrir
soffrir
felicit^.
^.
*XXXV. Non
di quello
che
ti
[XXXVI. La
^.
bene
*
XXXVIII.
''
a Metrodoro,
quale assegnata
di Metrodoro per
la stessa ragione per cui credo di Metrodoro la sentenza precedente.
' Il codice ha: xov aocpov ae^aaxq ya'&wv
[lex xwv oe(3o|x8vcov axi. Quanto
ad ya'O'tv fu gi corretto con ragione dall' TJsener in ja-&v, cosi pure \iexa. in
[i,sya: xcv os|3o|xva)v preferisco conservarlo anzich correggere x ae^o\iv( con
l'Usener. Rispetto poi a oe^aaxg, cos solo come nel testo non ha senso, e
rUsener lo corregge in ae^aa\iq {venerazione), ma il confronto con il fr., 32 che
si riferisce alla medesima dottrina, c oePonvco yQ ^ol x tts uq)'fi(xcv Xeysia mostrato pi favorevole all'attribuzione
al
ixeva,
2
le
II,
Menec,
135.
Mass. cap.,
(f)
xaneivi]
ipvxfi).
Per
la dottrina v.
jALj<Q<'i|iJxo)g;
9.
FRAMMENTI
155
'*.
YlYvecd^ai y'Kiv.
Ma
y^cov,
(EpicuruB).
EPICURO
156
tura;
ma
*XLVI. Le
ci
frangente m'arrender:
ma quando
ci
dipartiremo, proclamando
1 Non credo che questa sentenza sia stata giustamente interpretata riferendola alla dottrina espressa da Epicuro nel fr. 93 (conservatoci da Seneca) moleslum est semper vitam tnchoare', mentre diverso ne il contenuto. Il massimo bene
il piacere (v. Ep. a Menec, 129), ora, come si vede dalla Mass. cap., Ili, Epi-
Con
di Filol., 1917,
FRAMMENTI
*XLVIII. Sforzarci
157
di
misura
allietarci.
XUX-L =
il
non
^,
sei
troppo
violi le leggi ed
al tuo talento.
*LII. L'amicizia* tutta intorno trascorre la terra, lanciando a noi tutti l'appello di destarci all'encomio della
felicit.
codice legge ttjv vaxqav xr\q jtQoxQag, mutato dall'edit. in x'nv voxeMa la lezione del codice va benissimo, come osserva giustamente il Cro-
II
Qaiav...
nert, data l'elissi comunissima di q [cfr, infatti Ep. a Pitocle, 96 e mia n. ivi].
Errata invece certamente la lezione del codice v o 6c5, ma anzich v 6w,
che d l'editore, credo debbasi correggere v (jcc)o6cp: il concetto espresso da
jtQoSog infatti suggerito da ci che segue (neiv 6'jrl jigag lA.'O^cojiev) lo
spirito aspro e l'accento, sarebbero la correz. soprascritta mal letta. In principio
della sentenza ho conservato, come nel testo, l'infinito con l'elissi di 6e o 8ov
(cfr. Ep. a Pitocle, 85 e n. ivi). Cfr. il medesimo uso in Marco Aurelio, XI, 10;
:
TTjv
Kax odQKa
y.ivr\aiv
cfr.
Plut., Adv.
OoL,
27, 1122
E; Contr. Epic,
2,
108 B.
ner,
Per la
'H
f|
fine, v.
(piA,ta,
cos
il fr. 8,
il
codice
cpiX-ooocpCa Ilartel,
ma
Weil.
critici corressero
beat.^ 7, p. 1091
B, e Puilod.,
jt.
'Ejcix., fr.
IX,
lin. 17
EPICURO
158
^.
Riv. di FiloL, 1915, p. 578 8^,)- Siccome poi, secondo Epicuro, veri amici sono i
saergi perch soli sanno godere dell'atarassia (v. Mass. cap., XL) naturale che
inviti a proclamare il loro comune pregio. [Che la lezione del codice
mi accerta ora il confronto con Dionys. episc. n. cpvaecog ap. Eus. Praep.
XIV, 27, 8, p. 782 e, che evidentemente ebbe sott'occhio questo testo od uno
l'amicizia
li
sia esatta,
ev.
Questa sentenza
Per
atl T'r\y
xov
(xa>taQiO|j,o'0
:iiaQaMaA,8t (se.
ci
era gi riferita
citx'
di
tovtov iiexovaiav
|onoiO)'d"iioo|x-
Epicurus)].
questa sentenza
come
di
Epicuro da
altri
gnomologi.
Meneceo.
cfr.
Simon.,
fr.
52: x
yQ vevevirinvov
QEHxov Eoxai.
3 L'editore divise in due sentenze diverse l'unica massima data, con lezione
lacunosa, dal codice, che legge: X-yet nv oocpg co |xaXX.ov oxQepX.ovp.evog xv
q)tX,ov |3ios a-xo jtfis 5i' jtiotCag avyxv''x\o&T:a.\, v.aX vaxexaixiofivog eoxai L' Use-
si
(a'xg
f|
qcv oxq8-
mologio del cod. palai, gr. 129 di Heidelberg (v. Wiener stud., 1890, p. 209) in
questa forma: Xyel (a. . o. o fi. oxQ8|3Xoijp-svog fj axQ^Xov\ivov xo^O cptXov, e
quantunque l'Usener creda che questa redazione provenga da correzione dotta,
non vedo perch non si debba considerarla genuina. Quanto al rimanente della
sentenza ( ptog xx.) l'Usener e l'editore lo considerano come una sentenza lacunosa che debba stare a s. Ma credo abbia ragione il Thomas di attenersi fedelmente all'attestazione del codice che la unisce alla precedente e di pensare si
abbia in queste parole la seconda parte del pensiero espresso nelle precedenti.
N deve stupirci che nel gnomologio palatino manchi la seconda parte, perch
anche la sentenza 30 ivi riferita monca. Non posso per accordarmi con lui
nell'integrazione. Leggo dunque f| ozQE^Xov\ivov xov cplkov, (xal -JiQ O'xoij xed^vri^exat el yQ 3tQof]aexat> xv q)tA,ov pCog avxc xx Per la dottrina v. Mass.
cap., XXVIII e mia n. ivi: Vita di Epic, 120 (e n. ivi); 121; Plut., Adv. Col. 8,
1111 B. E noto come la tortura fosse adoperata come mezzo per ottenere delazioni.
FRAMMENTI
159
liticai
* LIX.
*
Non
LX. Dalla
giunto
il
il
volgo,
ma
la falsa
vita
ognuno
si
diparte
v'
^.
vederci vicini
nostri
cari,
V. Ep. a Menec,
a Mass.
cap.,
% 119.
XXIX.
Questa sentenza ci era gi nota dalla versione che ne reca Seneca, Epist.,
(=UsBN., p. 30S, 1) nemo non ita exit e vita, tamquam modo intraverit (iltesto greco n&q (aneq Hqxi yeTOV'i'S ex xov ptov jtQxexai): varia pu per esserne l'interpetrazione. Seneca (che forse non lesse neppur lui la sentenza nel
contesto, ma la trov in un florilegio) l'intende detta in cominiseiazione degli
uomini, che non si migliorano mai, pur invecchiando, ed anzi rincara la dose:
falsum est: peiores morimur quam nascimur, L' Usener invece l'interpreta altrimenti; e confronta Cic, De fin I, 15, 49 e Lucr., Ili, 972, i quali osservano non
doversi temere la morte perch la condizione dei morti pari a quella in cui ci
trovammo prima della nascita, cio l'insensibilit. Per mi pare veramente difficile trarre a tale significazione le precise parole del testo. Ma neppure l'interpetrazione di Seneca mi presuade, perch impressa di quel pessimismo un poco
retorico che gli proprio. Epicuro, credo, avrebbe distinto i saggi dal volgo. Mi
pare assai pi probabile invece che in questa massima Epicuro volesse dire che
l'uomo morendo deve staccarsi da ogni bene della sorte, e trovarsi cos povero
come quando nasce, vano dunque accumulare ricchezze che dovremo abbando3
22, 13
5, 13 8g.
Haud
ad undas, Nudus ab inferna, stulte, vehere rate: SiL. Ital., V, 267 modo quem
Fortuna fovendo Congestis opibus donisque refersii opimis, IS'udum Tartarea portabit navita cymba; Palladas, Anlh. Gr., X, 58 J^udi in terra veniamo, ignudi andremo sotterra; Affaticarmi perch, se il fine veggo ignudo? Minuc. Fkl., Nemo tam,
pauper polest esse quam natus est.
*
Leggo con
il
}]
( tov
tcv jiXtjoiov
cod.) Tpiq: si
mutare variamente; ma non credo a ragione, se si pensa che questa sentenza deve essere tratta da un contesto pi ampio, ove probabilmente si trattava
prima del mutuo amore e della confidenza che saggi epicurei, pur non stretti da
vincoli di parentela, godono fra loro (v. Mass. cap., XL); e si stabiliva che non
tanto da parentela quanto da comune vincolo di saggezza e dalla fiducia reciproca
viene la vera intimit (cfr. infatti Mass. cap., XL e Dkmocr fr. 107 amici non
Bono tutti
parenti, ma quelli che consentono nel medesimo concetto intorno all'utile) In tal modo questa sentenza doveva seguire, nel testo com|)iuto, come
una conseguenza di ci che precedeva: Infatti bellissima cosa anche.... Chi
pens
di
II
infatti
tolga
codice ha
il
xaC.
l'elg.
i]
q 7io'k'kr\v.
Leggo dunque
EPICURO
160
non cercare
* LXIII.
di
Anche
*LXV.
ma
acquista
si
^.
'^
Una
successivi.
Xoylav
vedi i nuovi testi addotti dal Crnert, Rh. Mus., 61, p. 421.
HoRAT., Sat., I, 1, 102 sgg. pergis pugnantia secum Frontibus adversis
componere: non ego avarum Cum veto te fieri vappam iubeo ac nebulonem... Est
modus in rebus, sunt certi denique fines, Quos ultra citraque nequit consistere rectum.
3 Cfr. Senofonte, Memor., I, 1, 9.
* Che si tratti del dolore per gli amici defunti, pensa giustamente l'Usener
{Wiener Studien, 1888, p. 185 n.). Cfr. Mass. cap., XL e i versi di Lucrezio citati
Per
d^ufAG^aTcxo)
Cfr.
Germ 27.
XIV; Sent., 44: con
Jt.
olx.,
XVIII, 37 sgg. lensen. Vita di Epic, 121. Nella sentenza di Epicuro credo
sarebbe forse conveniente integrare: jcv(Ta x ov(i,q3Qov)xa y.%xr\xai: y. Pvi'lod..
1. e. Se no si pu facilmente supplire tale concetto mentalmente.
col.,
Cfr.
fr.
79 sg.
xr\q i^vxf\q
xdQioxov X,txvov
FRAMMENTI
*
LXX.
Nulla da
te si
161
vita che
ti
rechi
si
= lfas5.
LXXII
compia?
cap., XIII.
'
'
rem, Omnia conductis coemens obsonia nummis, bench non mi consti che i
commentatori se ne siano accorti. Cfr. anche Lucr., Ili, 1003 sg. deinde ingratam
animi naiuram pascere semper Atque explere bonis rebus satiareque nunquam...
1 Cfr. Sent., 7; Mass. cap
XXXIV-XXXV.
,
V. Ep. a Menec,
129 Sff.
ove
riferita la risposta
osserva l'editore, a Solone in Schol. ad. Dion. Chrys., Or., 72, 13 ap. Boissonade,
Ad Marin., p. 99 e in Schol. Lucian., t., IV, p. 137 lac.
< Cfr. Metrod., fr. 41 Krte (Plut., Adv
Col., 31, p. 1125 e: Cantra Epic. beat.,
16, 1098 e): Non pi debbonsi salvare gli Elleni e coglier da loro corone, in gara
di saggezza, ma mangiare e ber vino, o Timocrate, senza che la carne ne soffra
e con piena gioia. Il confronto con questo frammento ed il fatto che Epicuro
sia invece lodato per
10)
mi
(v.
Vita di Epic,
il
tono con cui un altro Epicureo, Diogene di Enoanda, proclama le verit del maestro per tutti gli Elleni (Dioc; Oen., fr. XXV, 2, il sg. W.); cfr. anche la Sent., 29.
5
"
Cfr.
Cic,
Epicuro.
De
..
11
EPICURO
162
*
LXXIX.
medesimo n
gli
altri
*LXXX.
Il
* LXXXI. Non scioglie il turbamento dell'anima, n produce gioia che valga, massima ricchezza n onore e considerazione presso le turbe, n altro che corrisponda a cause
non commisurate [al fine naturale] ^.
LXXXII.
citiam,
detta l'amicizia
gode
il
saggio:
come
cfr.
in Ep. a
Democr.,
fr.
facit,
Menec,
189; 37.
Cfr.
FRAMMENTI
CITATI COL TITOLO DELL'OPERA A CUI
APPARTENGONO
La
sono piaceri
(diJtovia),
stabili
(xaTaaTr]|iaTixal riSovai);
moto per
l'attivit loro
invece la
veggono essere
si
pia-
Casi dubbi.
2.
Far
il
le leggi divietano,
Non
facile dare
quando
una ri-
^.
il
II
contesto ed
II
p. 1127
sg.)
tratta,
come
Col.,
34,
circospetto.
le
dopo avere riferito il passo, aggiunge: ci vuol dire, lo far, ma non voglio
ammetterlo . Ora, se si osserva che Plutarco scrive questo in un'opera di acerbissima polemica contro gli Epicurei, e che egli, per censurare Epicuro, non pot
tarco,
EPICURO
164
Piccolo compendio.
Non
3.
esiste
alcun
modo
avvenimenti
di
non
si
(in confronto di
volere ^
Contro Teofrasto.
4.
...
Ma
come convenga
nella tenebra
^.
mento anche
le
1910, p. 302.
1
II
frammento (Usen.,
II
p.
frammento (Usen.,
da Diogene Laerzio, X,
135.
Per
il
102, li
sg.)
tolto
da Plut., Adv.
Col., 7, p. 1110 C,
quale, dopo aver detto che Epicuro, nel secondo libro di quest'opera, affermava
che i colori non sono connaturati con i corpi, ma s'originano dall'ordine e dalla
il
(v. s. Ep. ad Erod., 54 sg.), riferisce le parole di Epitrovavano pi sopra. Anche Lucrezio si serve di questa
argomentazione per provare che gli atomi non hanno colore (v. Lucr., II, 746 sg.
Denique nos ipsi caecis quaeciimque tenebris Tangimus, haud ullo senlimus tincta
colore): cfr. Philod., jt. ar]\i., p. i;3 Gomp. At., I, 15, 9, p. 314, 11 Diels. Contro
Teofrasto avrebbe anche scritto Leonzio (su cui v. Vita di Epicuro, 4) v. Cic,
De no.t. deor., I, 33, 93; Plin., Nat. hist., praef., 29. N vi forse ragione di credere che a lei fosse attribuita quest'opera di Epicuro.
si
165
FliAMMENl'l
Simposio.
5.
PoLiExo. Neghi
vino? K
tu, o
gli
ardori pro-
dotti dal
il
Perci non
il
si
Si tratta di
chiarire questo e
Bgg.;
V.
altre in
modo conveniente
^,
pos-
A
E
il
Plutarco {Quaest. conv., Ili, 5, 1, p. 052 A: Plut., Op. mor., IV, p. 114 Bernard.),
cio che il vino non caldo in senso assoluto {a.vxox&XG)c,) ma contiene certi atomi
capaci di produrre ardore e certi altri capaci di produrre refrigeramento, e che
esso vino, quando viene nel corpo, abbandona certi atomi e certi altri riceve dal
corpo stesso, a seconda delle affinit che hanno essi e le mescolanze loro in raple sostanze del nostro corpo. Da ci deriva che dei bevitori alcuni si
riscaldino, altri provino refrigeramento.
porto con
2
Non mi
dell'
mentre dal
jtoqjaiveo'd'aL
Usener,
il
quale pone
il
le
parole di
il
monianze La parole che seguono ( ... infatti manifesto... ) secondo dice Plutarco, venivano poco dopo.
^ Nota che gi per Democrito (fr. 1>J8D) il termine cpvoig inlicava gli atomi.
* La lezioni; dell' Usener fj al y^ (codd. el 6ov ye) xQaig jtaQa^VYeloai
r|)\)XQ""
otag fpvotv jroxeXoeiav, non credo sia accettubile neppure per il senso. Infatti
EPICURO
166
sano costituire quella struttura da cui risulta il freddo. Ingannati da ci dicono gli uni che il vino incondizionatamente
capace di produrre refrigeramento, altri invece che incondizionatamente capace di produrre ardore.
7. Spesse volte poi il vino neppure venne nel corpo recando potenza calorifica o refrigerante: ma quando il suo
volume sia agitato e si scomponga l'ordine degli atomi che
lo costituivano, ne accade che, a volte, gli atomi capaci di
produrre ardore, si adunino insieme e producano, per il
loro numero, calore e infiammazione al corpo; a volte invece recedano e ne avvenga perci refrigeramento ^
8.
nuoce
se
non
come
il
modo onde
si
forma
il
109.
2
(cfr.
degli epicurei e senza indicare di averla tolta dal Simposio di Epicuro. Certo per
tale affermazione v'era nel Simposio, v. Plut., Quaest. conv., Ili, 6, 1, p. 653 D.
Una massima identica in fine della Se7tt. vat., 51, che si credette fin ora tolta da
lettera, ma poich Plutarco dice che Epicuro, conversando nel Simposio con
alcuni giovani, fa tale considerazione, non si pu credere che la Sentenza vaticana
sia tolta appunto da questo luogo del Simposio? La sua forma potrebbe convenire ugualmente bene ad una lettera quanto ad un dialogo. N importa che la
una
prima parola del testo di Diogene sia avvovaiT], mentre nella massima vaticana
qjQoCoia, perch Diogene riferisce un precetto generico degli epicurei e non
testualmente un frammento del maestro. Per di pi Galen., In Hipp. epidem.,
Ili comm., I, 4, e Art. med., 24 riporta col nome i Epicuro questo precetto, usando
la parola qjQoSioia (Usen
p.
118, 27 sgg.).
FRAMMENTI
g-iovane, a tutti del
tempo
tuo,
167
uomini attempati
e famosi...
Del
10.
ne detraggo
fine.
so farmi
un concetto
del bene, se
e quelli dell'udito, ed
vista
^.
10*.
so
di
Questo frammento, che manca negli Epicurea dell' Usener, tratto da Phijc. 'H'^oQv vjto|xv., II, col. X; v. Sudhaus, Suppl., p. 50, 5 sg. (cfr. Voli. Rhett.,
I, 102 sgg. Sudhaus). Che si tratti di una citazione letterale veramente assai
probabile, quantunque nelle parole che precedono ed intercedono vi sia incertezza
nella lezione, e qualche incertezza vi possa anche essere sulla costituzione stessa
del testo del frammento, come mostra il confronto del testo stabilito dal Sudhaus
nei due luoghi. Queste parole son pronunziate da Idomeneo (una delle persone di
questo dialogo) che deride un giovane sofista. Anche lo stile (nelle parole da q
1
LOD.,
ad v5|(ov) rifa il verso all'artifizioso modo di scrivere dei sodisdegno di Epicuro contro la retorica sofistica, vedi le sue parole su Nausifane, fr. 17. Cfr. Vita di Epic, 7 n. Un altro nuovo frammento di
Epicuro (appartenente all'opera Sulla retorica) pare veramente sia in questi stessi
fiv
a'Tg
fisti.
q)if]aai,g
Quanto
al
(v. voi. I,
Ma
Filo-
demo
ci ottre
EPICURO
168
percepisce
il
vengon
dall'udito
che
gli
che in tutta
senso.
umana
persona
la
pu dire che
si
l'anima,
dai canti, ed
la
speranza di
dell'animo dcb-
tutti
da dolore
sola letizia
nella
si
umana
di goderne, libera
^.
12.
ma
senso:
di
si
le
se perci
si
e cantibus,
2
Per
per
et
cantibus codd,
Per
4, p.
rapporti fra
B; Cic, De
fin., II,
frammento
Usen
4, p.
II
42
(v.
(v.
138,
Il
frammento
p. 122,
ci
24 sg.
Ep. a Menec,
Us.).
132.
Per
la dottrina v. fr.
sg
Vita di Epic,
FRAMMENTI
S'onori
13.
bello e le virt,
il
169
Della natura.
MERO
14.
La natura
15.
La natura
di tutto
che
corpi e spazio
esiste,
^.
^.
colore e lo splendore
il
^.
16*.
L'atomo
La facciano
17.
come
^.
II
frammento
dottrina v.
2
stola
n.
citato
p.
546
(Uskn., p. 123,
9).
Per
la
in 37 libri, e costituiva la
il
da Athen., XII,
^.
Somma
p. 125, 4).
Per
la dottrina cfr.
Epi-
p. 1114
ad Ep. ad Erodoto,
% 39).
3
Il
tocle,
6
11, p.
1112
(Uskn., p.
11).
12.5,
frammento (Uskn., p. 126, 28 sg-}?.) citato nello scolio ad Pepisi, a Pi 91. Per la mia lezione ed interpretazione del testo vedi n. ivi.
Tali definizioni son riferite dallo Schol ad Dionys. Thr., p. 660, 25 IJekk.
II
mento
frammento (Usev.,
v.
Vita di Epic,
p.
7.
40 e n. ivi.
130, 3) e citato
da Dioo. Lakrt., X,
7; per
il
com-
EPICURO
170
...
e se
pure vi
sia
LETTERE SPURIE
20. Polino, sai tu
gioia...
VH2,
'^
FRAMMENTI
FRAMMENTI
171
LETTERE
DI
INVIATE A PI PERSONE.
Lettera
21.
Questo
ai filosofi in Mitilene.
lo trasse cos
Maestro
io
sia
non
FRAMMENTI
DI
LETTERE
Ad Anassarco.
23. Io
stolte virt
3 II
frammento
(y.
a.
fr.
nome
12 Sffg.
dello scritto
da cui
EPICURO
172
Ad Apelle.
24. Felice te, o Apelle,
[di dottrina]
ti
Ad Ermaroo.
25. Epicuro ad Ermarco, salute: Volgeva per me il supremo giorno e pur felice della mia vita, quando questo ti
i miei mali della vescica e dei viche pi oltre non poteva procederne la violenza. Pure
ad essi tutti s'adeguava la gioia dell'animo, nel ricordare le
nostre dottrine e le verit da noi scoperte. Ora tu, come si
<jonviene alla buona disposizione che fin dalla prima adolescenza mostrasti verso me e la filosofia, abbi cura dei figli
sceri,
di Metrodoro
-.
A
26.
Son ben
in tre balzi
cfr.
II
fin
frammento
Temista.
(v.
Usen., p,
12, p.
da Ateneo, XIII,
p. 588
A:
veemenza
2
nell'esprimersi.
ci
De
96 (.Usener,
fr. 37.
y
Su Ermarco
Per la fonte
5 e n. ivi.
v.
di
Vita di Epic,
24.
p. 140, 21 sg.) v.
Vita di Epic,
FRAMMENTI
17S
Ad Idomeneo.
27.
Cos m'accade di
^
tu che tutti
28.
vinetto...
29.
figlioli.
Se
^.
ti
30.
ma
si
frugalit,
e parco,
gli averi,.
ma
mia
1
vita,
tarie contribuzioni
La fonte
18, p.
a cui
1117
(Usen., p. 141,
assogettavano
miei mali
volon-
fr.
42.
si
felice della
i
Skneca, Epist.,
curo, prosegue:
rus illum
EPICURO
174
vescica, che
si
Ora
come
filo-
tu,
si
A
32.
Come
dicevo,
brama innaturale
colse
ti
COLOTE.
di abbracciar le
mie
gi-
venerazione divina
me
considera immortale
pure
A
33.
Per
il
me
Leonzio.
come
ti
tuo biglietto
^.
'^.
A
34.
35.
gresso
Fuggi, o
felice,
M'accomoder
il
PlTOCLE.
e attender
il
^.
fr.
immortale, e
^.
v. Vita di
Epic,
22; cfr.
sopra
25 e nota ivi.
17, p. 1117
fuit,
deus, inclyte
in Rivista di filoL, a.
conflu pure
3
4
6
il
Memmi, Qui
[se.
XXXIV,
p. 242
le
Diogene Laerzio, X,
Diogene Laerzio, X,
Diogene Laerzio, X,
5 (Usener, p. 146, 13
6 (Usen., p. 150, 10):
5 (Usen., p. 150, 28):
25.
24.
FRAMMENTI
175
marco
e Ctesippo, e vi
figli di
FRAMMENTI
DI
LETTERE
Tutto trabocca
il
mio corpo
di dolcezza,
quando vivo
pagnano
ma
per
g'
incomodi che
vi
si
accom-
^.
Questa lettera tratta dal papiro ercolan. 176, col. 18: v. Usener, p. 154,
GoMPERz, Hermes, V, p. 386 sgg. Quanto agli amici qui ricordati, v. per
Ermarco n. a fr. 25, per Pitocle fr. 34 sg., per Ctesippo fr. 42; per Temista fr. 26;
per Matrone fr. 19. Questo frammento una prova della gentilezza d'animo di
Epicuro. Vedi anche il suo interesse per i figli di Metrodoro nel testamento e
nelle lettere scritte poco prima di morire.
2 PniLODEM., jiQayiiax. V. H^, I, 128 (Usener, p. 154, 20 sg.): cfr. Crnert, Rh.
1
11 sg.
Mus,, 1906,
^
p. 424: v. fr. 30 a.
Stob., Fior., XVII, 34 (Usen,, p. 156, 4 Sgg.): cfr. Vita di Epic, 11: e
Ep. a Menec,
130.
fr.
30 a:
KPiCUKO
176
volerlo
*.
sti
nome
*.
che a
lui
piace
io
'".
II
dell'
Dico Laert., X, 11 (Usener, p. 156, 22 sg.): v. Vita di Epic, 11; cfr. fr. sg.
Plut., Contr. Epic, 15, 1097 C (Usen., p. 156, 22 sg.): si tratta anche qui di
quelle contribuzioni che Epicuro riceveva dai suoi fidi: v. fr. 27: cfr. Testamento
2
di Epicuro, 20.
157, 5 sg.).
XIX;
28, col.
XXXIII;
29, e
Philippson, Arch.
FRAMMENTI
177
45.
46.
carne
Vuoi
Non
il
sia
ti
ti
al
grido
d<*lla
fame: non aver sete: non aver freddo. E questo l'anima difpu reprimere; ed poi pericoloso che essa, per
l'indipendenza dai desideri che sempre le congenita, non
presti orecchio all'appello che a lei lancia la natura ^.
ficilmente
47. Se vivi
condo
le
^.
prende norma da natura e non dalle vane opicircostanza basta a se medesimo; perch ri-
48. Chi
nioni, in ogni
spetto a quello
anche
la
maggior ricchezza
desiderii illimitati,
non (ricchezza
ma
povert)
-".
Queste parole son tolte da Seneca, Ep., 79, 15 (Usen., p. 158, 12 sg.). Secondo
Seneca (che reca il frammento in costruzione indiretta) questo
avrebbe detto Epicuro in una lettera scritta dopo molti anni, quando f?i Metrodoro era uorto, dopo avere in essa ricordato con commosse parole l'amicizia sua
e di Metrodoro.
Sknkca, Ep., 8, 7 (UsKNER, p. 160, 25): cfr. fr. 9.
^ Questo frammento (come altri, che indicheremo volta per volta) tratto da
Porfirio, Ad Marceli., 30, p. 293 N^. (Usen., p. 161, 7 sg.), ove non citato come
d Epicuro
di altri; per, qui ed altrove, in questo scritto di Porfirio, abbiamo
un mosaico di sentenze desunte da varii scrittori e particolarmente da Epicuro.
E certo in questa massima v' una parte epicurea; v. infatti Sent. vat., 33. Dubbio per se anche il rimanente sia di Epicuro o rafifazzonamento di Porfirio.
Con tale cautela dunque bisogna accogliere anche gli altri frammenti che l' Usener tolse da Porfirio, quando non siano confermati da altra fonte. Epicureo il
vocabolo rpuoioXYT|Tov con cui incomincia il frammento, cfr. fr. 32.
1
ci che riferisce
'^
cui
il
Seneca, Ep.,
PoRPiiYR
si
Ad
16, 7
XV
e n. ivi.
Marceli., 27, p. 291 N^. (Usen., p. 161, 24 sg.). Per la riserva con
v. s. n.
fr. 46:
EiMcuuo.
fr.
78)
12
EPICURO
178
e desiderii ^
50. Credi a me: pi augusto sembrer il tuo discorso fra
cenci e da vile giaciglio; perch le tue parole non saranno solo
dette,
ma
comprovate
^.
foglie,
52.
te,
non a
specialmente
ritirati in te
54.
Dobbiamo
prediligere
come
L'Usener corregge
se
Tuno
all'altro
'^.
medesimo, quando
sei
^.
vivere
ne fosse spettatrice
ma
il
^.
vat., 25
mi
a
Per la dottrina cfr. anche Mass. cap., XVIII e n. ivi.
1 PoRPHYR., Ad Marc, 29, p. 293 W: Usen., p. 161, 29 sgg. Per le cautele con
cui devesi tener conto dei passi desunti da Porfirio, v. n. a fr. 46. Per la dottrina
cfr. fr. 48. Il fr. sg., nell'ediz. dell' Usener, uguale a Sent. vat., 14.
2 Seneca, Ep., 20, 9 (Usen., p. 162, 25 sgg.). Seneca prosegue: Ego certe aliter
audio quae dicit Demetrius noster, cum illum vidi nudum.... incubantem: non
praeceptor veri sed testis est.
3 Stob., Fior., V, 28: Porph., Ad Marc, 29, p. 293 N^. (Usener, p. 163, 4 sg.;
cfr. LX): cfr, Lucr., II, 35 sgg. Nec calidae citius decedunt corpore febres Textilibus si in picturis ostroque rubenti lacteris, quam si in plebeia veste cubandum.
4 Seneca, Ep., 7, 11 (Usen., p. 163, 7 sgg.) cfr. fr. 43; 44.
(v.
n.
fr. 78).
&
Seneca, Ep.,
abire; in te
25,
ipsum
redi,
4, 26. Per questo carattere dell'epicureismo e delle dotmio studio in Atene e Roma, anno XI, p. 308 sgg. Fedele a
questo precetto epicureo si mostra Orazio in Sat., I, 4, 133 sgg.: Neque enim cum...
me Porticus except, desura mihi: ' Rectius hoc est, Hoc faciens vivam meiius... '.
6 Seneca, Ep., il, 8 (Usen., p. 163, 18 sg.): cfr. fr. sg. e il detto di Zenone
il
I,
p. 69, n. 319
Arnim.).
FRAMMENTI
55.
se
ti
179
guardasse Epicuro ^
pu essere percepito dai sensi, od invece dell'attestazione contraria [che dai fenomeni pu venire alle nostre supposizioni] '.
il
57.
58.
Non
medesimo
faresti
anche per
grandi
'^.
un nemico non
come un cane ^.
guardia, perch
^.
Seneca, Ep.,
25, 5: cfr.
il
rifiutarti,
St.
Vet., voi.
ma
I,
p.
sta in
136, n.
612 Arnim).
2 II frammento tolto da Philod., TtQayiiax., V. H^, I, 126 (Usen., p. 163, 29 i\^.\.
Traduco per secondo il testo dato dal Crnkrt, Rh. Mus., 1906, p. 425, che rivide il papiro. Per ci di cui si parla v. Ep. ad Erod., 59; 50 sgg. 47: Ep. a
;
a p. 118.
3 Plut., Contr. Epic, 28, p, 1105 D (Usen., p. 164, 6). Altrove Plutarco, ibid.,
p. 1097 E, riferisce che Epicuro, ricordando le ultime parole del fratello morente,
scriveva di essersi sentito invadere da uno stru<?gimento di ^ioia che solo le lacrime possono donare. E Metrodoro diceva, circa il ricordo dei cari defunti: v'
una particolare gioia, affine alla mestizia, che in tali circostanze bisogna ricercare, V. Sen., Ep., 99, 25. Su questa petrarchesca voluptcs dolendi, gi cara agli
Epicurei, v. il mio studio ricordato sopra in n. a fr. 53.
* Questo ed il frammento seguente, sono conservati da parecchi gnomolo^ri.
Pitocle, 87 sgg. e n. 3
v.
Usen.,
''>
p. 164, 26 sg.
Per la fonte
v.
n.
cfr.
EPICURO
180
FRAMMENTI
D'INCERTA SEDE
Frammenti sulla teoria della conoscenza.
Vano
umana
* 61.
passione: e
come
l'arte
Frammenti sulla
62.
finito
Fisica.
PORPHYR.,
Ad
rispetto all'in-
Marceli., 31, p. 394, 7 sg. N^., Stob., Fior., 82, 6 (Usen., p 169,
frammento che precede nell'ediz, dell' Usener la Seni. Vat., 54), Porfirio
introduce come proprio questo passo in quel suo mosaico di varie sentenze di cui
abbiamo detto sopra (n. a fr. 46), lo Stobeo lo riferisce con il lemma II'u'&^aYQou.
14 8g. Il
Per assai probabile sia di Epicuro; infattile parole: Gri.ia la carne ecc. che
appariscono nel fr. 46 in Porfirio e che sono date come di Pitagora dallo Stob,,
Fior., 101, 13, sappiamo ora essere di Epicuro dalla Sent. Vai., 33. La medesima
confusione avvenne anche altrove. Per la dottrina v, Sent. Vat., 51: Ep. a Pitocle, 85 sg.
2
al
all'
Teeteto pubblicato in Beri. Klassihertexte, II, 1905 (v, ivi col, 22, 39
Per
la dottrina v, Epist.
ad
cpva.,
XXVIII
ed. Cosattini,
Hermes,
sj?,)
ove
anche Epic,
1894, p. 9, col 6
3 Plut., Strom., fr. 8, Dox., p, 581, 19 Diels (Usen., p. 191, 1 sg.)- Se proprio
queste sieno le parole precise di Epicuro, come crede l' Usener, dubbio certo sua
la dottrina: v. Hieron., Comm. in Eccles., e, 1, t. III, p. 391 D Vali. Asserii (Epi;
lusTiNUs,
FRAMMENTI
181
si
64.
Pu l'acqua produrre
lo
non possono
sommovimento
vi s'opponga.
crescendo e da se
in alto
^.
devano gli orfici ed i pitagorici iv. il mio Empedocle, p. 208, n. 3). 11 passo di
Lucrezio ed i testi citati da me nel mio Empedocle mostrano che nel luogo di
Cels. ap. Origen., IV, 67, 254 Hoesch., chel'Usener cita (p. 191 n.), a torto egli
corregge la lezione volgata jtsQioog in jtQoSoq (fAota ji'Qxr]? slg x^oc; oxlv
Tcv d^vTTcv :n;eQoog, xal xax xg xexayixvai; vav-DKA-i'ioeig vciY^Ti x a'x
if|
II
De
p. 211, 22 Sgg.)-
avvcrarai secondo
diversi casi.
EPICURO
182
65. Certo
[gli di], se
fra loro,
66. Sacrifichiamo
piamente
conforme
alle leggi,
senza
di
esposi...
^.
67. Se il dio dovesse esaudire i voti umani, pi tosto morrebbe ogn'uomo, poich assiduamente fra loro si augurano
molti mali^.
Frammenti sull'Etica.
68. Principio e radice d'ogni
tre.
rimento
bene
il
^.
1 II
frammento ci conservato da Filodemo, itegl -O^ecv SLaycoy. v. Scott,
Fragm. Hercul., Oxford., 1885. p. 174 (efr. Usen., p. 2J9, 14 sg.). Che secondo Epicuro gli di potessero parlare, appare anche da Sext. Emp Adv. dogm., IX, 178.
In ci che segue in Filodemo, si vede che l'argomentazione d'Epicuro era tratta
dall'analogia con il saggio, che l'essere pi simile agli di (v. Epist. a Menec, 124)
onde si argomentava che gli di dovevano parlare in greco o in una lingua affine,
:
oiSanev y^Y^'^Tag
greci
si
v,
19 sg.)-
che fece grande scandalo, ripetuto da Metrodoro, fr. 39 sgg. Korte. Come Epicuro per procedesse nella classiflc>izione dei piaceri per il loro valore, v. nel
mio studio Sopra un frammento del comico Damosseno, Rendiconti del R. Istit.
liombardo 1917, p. 299; cfr. Mass. cop.^ IX e n. ivi.
FRAMMENTI
69. Allora
abbiamo necessit
183
del piacere,
quando soffriamo
cessit alcuna.
ma
l'impulso naturale,
70.
non
liberazione da
71.
meglio
attestol-
frire pi
Stob., Fior.,
1-
Nel
128.
fine
17, 35
codici leggono: ov yq
f\
-O-ev,
piaceri, per
non
sof-
^.
).
Per
la dottrina v. Epist. a
L'Usener corregge
Sixiav
Menec,
jroiet fco-
ornnino nulla
facil;
Per
ojifi
flovfi,
ndqavxa,
ma
jtaxv.
Per
la dottrina cfr.
Mass. cap.,
, 1916, p. 28-'
sg.
cfr.
Plut., ibid.,
xov
III.
si
jiya
pu ren-
(oxa-O^f)
i
lisi
del piacere,
^
3,
p.
.su
ner) se nel
metodo aristotelico-platonico
frammento si
Menec,
dottrina v. Ep. a
Questo frammento
7C9
il
129
e n. ivi.
EPICURO
184
72.
la
nostri crucci ^
i
78.
75.
Amor
desiderio
76.
di
vera
stessa
filosofia dissolve
il
Non
che
78.
uccider^.
ti
'*.
La
agevole,
di vita: se perdu-
;i
^.
trovi
si
il
al saggio
'.
necessario rese
^.
che sia pago a ci che ha, ma piuttosto si crucpoich essi fanno come i
febbricitanti, cui il maligno male d sete sempre, e sempre
infatti stolto
desiderano
le
PoRPHYR. Ad Marceli., 29, p. 292, 22 sg. N^.: Usener, p. 291, 9 sg. Per le
si deve accogliere anche questo frammento, v. s. n. a fr. 46. In ci
che segue presso Porfirio, si dice che le cause di questi mali sono da cercarsi
nell'anima. E forse anche in ci Porfirio parafrasa un testo epicureo, v. infatti
Diogene di Enoanda, fr. I sg. W. cfr. Democr,, fr. 159 Diels, ove un simile
1
corpo e l'anima.
Plut., Be aud. poet., 14, p. 36
dibattito fra
2
Sent. vat.,
3
il
3.
p. 1103
31, p. 294, 5
N^.
(v,
sopra
n.
fr.
46):
Usen.,
p. 296,
fin.,
II,
28,
90
(Usen., p. 300,
21).
Il
come
di
Anche
- 185
FRAMMENTI
sentono sempre privi
a multiformi desideri ^
si
79.
80.
gnore
di tutto
mondo
il
Onesta cosa
81.
83.
Timore
84.
ma
lieta
povert
stimola
^.
ancor misero
si-
^.
'^.
massima ricchezza
82. Frugalit
timore
il
li
^.
di
^.
di
maggiori guai
sera vita
non termine
permuta
di miserie,
^.
accumula ricchezze,
ma
si
crea mi-
^.
PoRPH., Ad. Marc, 27, p. 291, 24 N^. (ove a ragione non accettata la lezione
Usener onviov per o' ojtdviov): Usen., p. 301, 11: intendi, gli stolti numcano di atarassia eh' la vera ricchezza: v. fr. 80; 82: Sent. vat., 59; 69. Per
1
dell'
Aelian., Var.
Seneca, Epist.,
Seneca, Epist.,
est paupertas,
Cfr.
s.
fr.
si
fr. 46.
9,
2,
5:
hist.,
Usener,
laeta est.
Non
qui
p. 303, 5 sg.
Seneca aggiunge:
illa vero
non
30.
di
p. 303, 24).
PoRPH., Ad. Marc, 28, p. 292, 12 sg. N^. Usen., 304, 15 sg. Per la circospesi deve accogliere questo frammento v. s. n. 44. Probabilmente esso
non che una parafrasi di Seni, vat., 63.
7 PoRPH., Ad.
Marc, 28, p. 292 N'^. Uskn., p. 304, 19 sg. Anche qui Porfirio
6
di Epicuro, lo
Kp.,
17, 11.
8
fr.
PoRpii., Ad.
Marc,
29, p. 293, 11
N^: Usen.,
p. 304, 25 sg.
Per
la fonte v. n.
EPICURO
186
immodica, madre
86. Ira
d' insania
87. L'infelicit
Greve non
88.
ma
volgo],
del volgo
90.
privi
di
[beni
questi
cari
al
^.
fiacca
si
l'esser
^.
Anima
89.
ture
ad un giorno sereno
pusilla
*.
C'insegna
[la
poco pregio
accogliere
turbarci
quelli che
ardire contro
stimansi
alle fortune, e
senza
suoi
mali. Perch
effi-
meno
Chi
pi gioia
in
comune
desidera
il
^.
domani,
al
^.
l'avvenire
tutta
protende
si
al-
^.
18, 14
XLIV. lensen.
col.
(Usener,
a fr. 46.
PoRPH., Ad. Marc,
V. n.
'^
II
frammento
col.
(cfr.
p. 305, 25).
citato
come
di
W.: Usen.,
p. 306, 4 sg.
V. n. preced.
v.
Usen.,
p. 306,
n.
fr. 46.
cap.,
6
Per
XVI. In
Plut.,
127.
fine
De
30, p. 293
N^: Usen.,
la dottrina v. Ep. a
espungo
il
5tal
Menec,
p. 306, 23
134 sg.:
p.
LXXVIII.
Menec,
supremum Grata
HoRAT., Epist.,
I,
14, 13
omnem
crede diem
tibi
diluxisse
stolto,
ed Epistola
FRAMMENTI
sempre ricominciar
94.
Fra
gli altri,
ricomincia a vivere
genere
alla morte ^.
96.
Son
97.
ti
99.
dementi
gli
il
''.
risibile
Massimo
sempre
la stoltezza:
Vi pu esser cosa pi
98. Sputacchio
rano,
di
ch
la vita
^.
col tuo
187
vanamente
lo
ammi-
^.
~.
precedente ed il sg.
Seneca aggiunge: considera quid
vox ista significet... et intelleges, quam foeda sit hominum levitas cotidie uova
vitae fundamenta ponentium, novas spes etiam in exitu incohantium .
1
Seneca, Ep.,
Seneca, Ep.^
23, 9:
Seneca, Ep.,
24, 22:
13,
Seneca, p.^
23:
24,
vata da Philod., n.
Usen,, 308,
13.
V.
il
fr.
'EjtiJt., col.
XIII
a, 9 sg.
v. infiitti le
mie ricerche
e integra-
zioni in Rivista di FiloL, 1915, p. 535. Per la sottile dottrina epicurea clic appare in
ivi; cfr. s. Introd., p. 18. Secondo Epicuro iu
nasconde l'istintivo amore della vita el il timore della
morte, e poich a molti la vita non sembra possibile senza saziare quelle passioni
(come l'amore del potere e della ricchezza), che in origine (v. Mass. cop., VII)
derivarono dal bisogno di rendere la vita sicura, essi preferiscono la morte alla
cotidiana agonia delle loro speranze ed ambizioni. Similmente lo Schopenhauer,
si
und
Vorst., IV, 89 (p. 510 ed. Griseb.), cfr. voi. II, 280 sg. ecc.
(fr.
203 D.):
la
morte
le
corron
dietro.
6
Seneca, Kp,^
Athen., XII,
Usen., 315,
1
24, 23:
p. 547
Usen.,
A: Plut
Adv.
E; De
B:
sgg.
2,
p. 266, 39:
Usen
XVII.
EPICURO
188
101.
Le
conoscenza dell'errore ^
facciano ingiustizia,
102. Colui
ma
saggi,
che ha conseguito
fatta
sommo bene
il
'\
connaturato
mente onesto
^.
104. Guardati d'attorno per vedere con chi possa mangiare e bere, prima che per vedere ci che tu possa bere
e mangiare: poich mensa senza amico vita da leone e
da lupo
105.
^.
Non fanno
fortuna o
felicit,
ma
ed avere
affetti miti
va,t.,
tium
2
Seneca, Ep.,
80, eOTL
28, 9:
jigcTT]
Usen.,
p. 3l8, 12.
Per
fug-ere et sapientia
prima
il
Horat., Ep.,
che
^.
I,
1,
4]
v. Sent.
Stultitia caruisse.
Stob., Fior., 43, 139 (Usen,, p 320, 27) che cita la sentenza
Anche questa
invece non
tale
Ad Marc,
come
di Epicuro.
27,
ivi.
n.
5
Usener,
FRAMMENTI
18&
modo l'uomo
mancome nessuno,
possa meglio
bliche
^.
come
il
al
comando
tudine e trepidazione se
ci
piena di inquie-
Se bene
il
ai
il
suo opuscolo:
25: crede
4,
bene qui latuit bene vixit: Hora.t., Epist., I, 17, 10: nec vixit male qui natus
moriensque fefellit.
2 Plut., Adv. Colot., 31, }). 1125 C: Uskner, p. 328, 13 Sf?. Veramente Plutarco
non riferisce queste parole come di Epicuro, ma come citazione dag-li epicurei.
Sef?ue poi un altro frammento di Metrodoro, questo invece l'Usener crede sia
di Epicuro. Il 'fine prescritto dalla natura" (t Tfjs cpvoecog xi'koq,) Vatarnssio,
cfr. Mass. cap., XXV: Ep. a Menec, 133. Quanto ad | QX'HS? si noti che ini'
zialmente gli onori ed il potere non sono desiderati per se stessi, ma per la sicurezza che l'uomo crede in tal modo potersi procurare (v. Mass. cap., VII), per^
milii,
pi tardi gli uomini, trascinati dall'esempio e dall'abitudine, finiscono col desiderare onore e potenza per se medesimi.
Questo frammento ed i seguenti, che non sono negli Epicurea dell' Usener,
vennero ritrovati pi tardi nell'iscrizione di Diogene Enoanda, fra altre massime di Epicuro (fr. LVI sgg. William). Cfr. Democr., fr. 3 Diels proderit nobis
illud salutare praeceptum quo monstratur tranquillitas, si ncque privatim ncque
publice multa aut malora viribus nostris egerimus . Cfr. Sent. vai., 21: Epist. a
'
Pitoclc, 86.
*
che
Per
si
la
il
Cfr. fr.
occ.
Voli.
IO.t.
vjv.,
Rhett
p.
,
Por ci
ll-.-SF.
passim:
EPICURO
190
Non
la
nobili
od
ignobili,
*111.
uomini
spirituali
ma
~.
limiti prefissi
fece gli
al
vaso ricolmo
* 113. Gridare
ahim
essendo
di
dolendoci per
ma
uomo
saggio]
lo
spasimo, cosa
^.
1 Per
la fonte (Diog. Oen., fr. LVIII), v. s. n. a fr. 109. Per la dottrina v.
Mass. cap., IV; Sent. vai., 4; fr. 73.
2 Diog. Oen., fr. LIX: per la fonte v. s. n. a fr. 109. Cfr. Alcidamante ap.
ScHOL., Ad Arist. Rhet., I, 13, p. 1373 B, 18: LicofrOxNE in Arist,, Poi, I, 3, 1253 B,
18: Antifonte Sofista, 1. e, fr. 2, col. 2.
3 Diog. Oen., fr. LX: per la fonte v. sopra fr. 109. Quanto al paragone con
il vaso V. LucR., Ili, 936, 1003 sg.
VI, 16; Plut., Contr. Epic, 1088 E; 1089 D.
:
Nel
testo
ttiv]
cptioiv
jcXo'Oto[v
?\
[xcig vO-Qw^toig
jtA,r)Q8L
cfr. fr. 30 e n.
ivi:
*
Diog. Oen.,
Epicuro,
118:
fr.
LXI
cfr. ci
v.
Vita di
VITA DI EPICURO
VITA DI EPICURO
SCRITTA DA DlOGENE LAERZIO
demo
figlio di
"*,
Alessandro
dicca
^,
'^
6icc6oxii
xwv
cpiXoocpcov di
FHG,
III,
70),
Sezione di Alessandria.
638; Cic, De nat. d., I, 26, 72
14, cfr. 18. Venne ad Atene, come detto sotto, a 18 anni, nel 323.
Nell'anno 322, cfr. Diod., XVIII, 18, 9, quando i coloni ateniesi vinti da Perdicca furono scacciati da Samo.
T.
sotto
^
Nel
Epicuro.
13
194
EPICURO
tempo
prese
insieme con
filosof
segnare
la
gli
altri,
nome da
occuparsi di
lui.
Sappiamo da
lui stesso
che incominci ad
a quattordici anni ^ Apollodoro l'epicureo, nel primo libro Della vita di Epicuro, dice che egli
filosofia
si
grammatici, perch
principio
ma
poi, venutigli
fra
libri di
Democrito,
si
volse
mano
filosofici;
r infimo
pedagogo
il
pi svergognato dei
di
bimbi
Filosofarono con
Neocle,
lui,
5,
di tutti
venne da Samo
fisici,
viventi
il
pi ciuco.
Cheredemo ed Aristobulo
come
dice Tepicureo
Filodemo nel decimo libro della Rassegna dei filosofi
ed
anche il suo schiavo, di nome Mis, secondo narra Mironiano
^
^.
Dietimo, lo stoico, che gli voleva male, lo calunni odiosissimamente, mettendo in giro cinquanta lettere vergogno-
Suida
(v.
infra
testini., 10)
12 anni.
2
Fr. 40,
TiM.,
FHG,
fr.
sotto testim.,
7).
III, p. 45.
51 Diels.
da
Fr. 6
ci,
VITA DI EPICURO
sissime, da lui attribuite ad Epicuro, e
colui
195
non meno
lo
calunni
le letterucce
"*,
cubina Leonzio l'etera'^; e che diede come proprie le dottrine di Democrito sugli "atomi e di Aristippo sul piacere.
Affermano che non fu cittadino legittimo, come dice Timocrate ed Erodoto nel libro Sulla giovinezza di Epicuro ^
:
1 Cfr. Athen., XIII, fili b, che parla di un Teotimo autore di scritti caluntiiosi
contro Epicuro, smascherato da Zenone epicureo. K incerto per se sia una sola
persona col Diotimo di cui parla D. L., come pure incerta la lezione del testo
et neQ IIooeiScvLov
13,
374,
Crnert,
l.
cit.,
p. 22.
modo secondo una perifrasi in uso nella tarda grecit, e cosi intende anche
Kochalsky. Ma tale perifrasi in Diogene Laerzio (cfr. II, 77, &q tpaoiv ci jtsQ
Tv Bicova v xatg AiaTQiPag e altrove: v. Crnert, Kootes und Menedemus, 1006,
p. 144) pare designi talvolta l'autore da cui tolta la notizia e le fonti intermedie. Qui potrebbe indicare Posidonio e i suoi discepoli, oppure Posidonio
le fonti che cita o che riferiscono la notizia.
tal
il
'^
La
reo coSexdTco
Gassendi) xcv jtLYQacpofxvcov iouXeiov ^yxcov, d. (sic) oxi tzeq Tog -n. L' Usener legge v xolg StSexa... d. oxi neQ rf\c, ely..boq, seguendo il Nietzsche. Ma
non pare lezione accettabile, perch non si pu credere, osserva giustamente il
Kochalschy, che un'opera, almeno di dodici libri, trattasse tutta della Vige.sima
mensile celebrata dagli epicurei in onore del maestro
cfr. il mio studio Sopra un frammento del co<v. testamento di Epic, 16 sg.
mico Damnsseno Rendic. dell' Ist. Lomb. di scienze e lettere, 1917, p. 288 sg.).
Si noti poi che siccome il pi antico codice di Laerzio, il borbonico, ha 5co6exaxco,
sembra logica la lezione v xw coexxco del Gassendi, preferibile anche per il
senso: in quanto a ci che segue, leggo v xw ScoSeHdxcp... i oxi 6 jiQg xols x
(cfr., per la forma del numerale, sotto 14, 15, ecc.).
* Lo stesso diceva Demostene di Eschine (Dkm., De corona, 258 sg.).
" Vedi l'eco
di questo pettegolezzo in Alcifronk, II, 2: cfr. Epic, fr. 33:
Plot., Contr. Epic, 4, 1089 C. Leonzio fu sposa non legittima di Metrodoro, vedi
sotto 23; donna dotta, che secondo alcuni (Cic, De nat. d,, I, 33, 93; Pi. in.. A', h.
praef., 29) avrebbe scritto contro Teofrasto: cfr. Plin. N. h., XXXV, 144.
V. sotto
p. sg.
11.
2.
EIMCURO
196
Temista
attender)
il
tuo amabile
altrove,
Ed
chiamiate^.
ini
accomoder
si
divino ingresso
Mi
Ed
^.
lei
per le
let-
tere di Epicuro a Mitre, v. Usen., p. 134, 2; 148; cfr. Plut., Adv. Col, 33, 1156
Contr. Epic.
15, 1097
B;
cfr.
gli
'',
E:
dedic un'opera,
V. sotto 28.
Per Idomeneo v. Strabone, XIII, 589 (infra testim., 8) v, sotto 23: per le letda Epicuro v. fr. 27 sgg.: egli sovvenne Epicuro nelle sue strettezze, V. fr. 27, cfr. Gomperz, Hermes, V, p. 392, cfr. Testamento di Epicuro 20:
un'eco dell'accusa contro Epicuro in Athen., VII, 279 F, che parla di adulazione di Epicuro verso Idomeneo e Metrodoro. Ma la stessa menzione di Idomeneo nel testamento di Epicuro ( 20), sgombra il pettegolezzo qui ricordato contro
idomeneo. Quanto ad Erodoto esso il discepolo a cui diretta l'epistola di
Epicuro sulla fsica; v. ricordata l'opera sua su Epicuro sopra 4. Pu esser
dubbio se in quest'opera negasse esplicitamente che Epicuro fosse legittimo cittadino ateniese, o solo ricordasse questa asserzione di altri. Su Timocrate (fratello di Metrodoro) che disert la scuola di Epicuro, v. s. 23, 6-8. Contro lui
scrisse Epicuro, v. Cic, De nat. deor., I, 33, 93. V. anche l'opera di Epicuro ricordata da Diogene Laerzio, in 28, neQ jta'd'cv 6^ai jtqs TL^iougaTriv.
2
V.
V.
fr.
fr.
33.
26.
di
lei
si
8):
era dedicata un'opera di Epicuro {Neocle, a Temista) v. sotto 28, a cui forse
De fin., II, 21, 67 sg.; in Pis., 26, 62 sg.
La
lezione
29, p. 1124 C.
dei
codici
(ventasi
avTfi
jtaQaiveXv
si
pensa di ammonirla
VITA DI EPICURO
come
197
mamente
ad
altre
se
Quanto a me
ne detraggo
infatti,
non
so
piloquio,
intitolati
lo
ingiuria^ quanto
discepolo di Epicuro
pu.
^
pure,
Cos
fratello
di
nei
libi'i
Metrodoro
dopo
(a'Tfi)
n.
v.
(voiit,ei avxijv
Ma pi probabile invece la lezione dell'ediz, principe (Frofche del resto ha valore di manoscritto, avTr\v :rteQatveiv (veramente
l'ediz. ha TteQaivelv), recentemente appoggiata dal Crnkrt, Rh. Mus., 61, p. 423.
il qiuile cita Artemidoro, I, 78, p. 73, 8 Herch., el xig y'^'^a^'- ^v ov-/t olev ujroXd^oi :teQaCveiv, cfr. IV, 20, 212, 15. Questa lezione parr anche pi verosimile se
velvai Kochalsky).
beniana),
Fr.
34.
Su Timocrate,
v.
s.,
5,
n. 2.
198
EPicuiiO
filosofia
polemizza, fra
gli altri,
continuamente
si
come molti
<-<
La
altri
facciano finita:
animi
servili,
ripete, e in
essi
certo
in-
fu travagliato
la sofistica^
Sulle malattie di Epicuro, v. anche Eliano fr. 39 Herch., che certamente rida fonte avversaria, come vedesi dalla palese esagerazione. Dice es^li che
ferisce
Epicuro da giovane non poteva alzarsi da solo; che aveva mal d'occhi e non poteva resistere, non solo alla luce del sole ma neppure al fulgore del fuoco; che
gli esciva il sangue dai pori, ed era cos malandato da non poter sopportare neppure il contatto dei paimi. Che sia stato infermo di idropisia attesta Plutarco,
Cantra Epic. beat., 16, p. 1097 E, il quale dice che Epicuro si vantava di aver
raccolto amici alcuna volta a banchetto, pur malato di idropisia {ay.ixt]\
2 Secondo il Crnert {Kololes und
Menedemus, p, 20 sg.) quest'epistola sarebbe la medesima che citata anche con il titolo jtiOToA,Ti jteQl jtLTTj6et)|xTa>v
(V. Athen., vili, p. 354 B sg., Uskner, p, 152 sg.), in cui erano contenute simili ingiuriose allusioni a filosofi famosi (v. sotto 8), e ritiene sia da porsi fra le epistole
spurie. Pare sia da accogliersi la lezione t? del Menage, invece di xag codd.,
cfr.
UsEN.,
3
p.
1.36,
Ritengo
araig
la lezione dei
aA,>.oig
KoL
u.
Men
di copiare,
p. 17,
ma
si
infatti
tratta di
Egli teneva
14),
ma
in quello
una
bench Epicuro
lo
negasse
(v.
sotto 13).
Fr. 17.
in
"
VITA DI EPICURO
199
Questo
lo
di
Nau-
giuria,
lo
discepoli
di
Platone stesso:
soprannominava
il
confusio-
\=
Piag-
alcuni,
rUsener legge
dole
senso che
da
le
15)
detto aureo, per dileggio, volgendosi a cattivo senso un vocabolo che potrebbe
essere un elogio; cos qui, poich ?i.oi6oQ8todaL indica chiaramente che l'inten-
Maesiro prende senso ironico; si comprende infatti come Nausifane, che pretendeva d'essergli stato maestro, chiamasse ironicamente Maesiro Epicuro che si
dichiarava autodidatta (v. sotto 13). Anche da noi, di chi altezzoso per quello
che sa e non vuole apprendere da altri, s'usa dire: gi egli Maestro.
2
Plat., Phil., 21
e,
dove
il
il
come
vita
^ Il
si
riferisce
tone ebbe alla corte di Siracusa. Quanto al secondo (xQvooCiv), credo vada inteso
nel senso di ingenuo, bamboccione, con riferimento agli uomini dell'et dell'oro,
Lue, De lapsu
in sal.,1: Theocr., XII, 16. Particolarmente tale ironia si riquanto credo, all'abitudine di Platone di narrare miti, ed alla sua credenza neir immortalit dell'anima.
* Vedi pi ampiamente Athen., Vili, 354 b.
^ v.vn7]xi\v: Eraclito deriso per il suo stile oscuro (donde il nome onoxeivg)
anche da Lucaiczio, I, 639, clarus ob oscuram li)iyiam; non dunque giusta l'interpretazione del Kochalsky: Umwerter alle Werte.
Letteralmente: giudice di chiacchere. Per lungamente Epicuro us chiamarsi democriteo e scrisse di Democrito con molta lode; v. Plut., Adi\ Col., 3,
1108 E.
cfr.
ferisce, a
200
epici: 110
gladoni^];
dialettici
rompi-
ignorante e zotico.
coTbelli; Pirrone,
tiene salda in
innumere successione
tratti
verso
sua riconoscenza
fratelli,
genitori
la cortesia verso
^,
di maestri
della setta,
Aggiungi ancora
^.
la
tra
come
servi
la
beneficenza verso
quali
il
pi insigne
E quantunque
volgessero allora
1 Sulla forma di questo nome, v. Crnert, op. cit., p. 25 sg. Contro Antidoro
Epicuro scrisse un'opera v. infra 28, cfr. Plut., Adv. Col., 32, 1126 A.
2 Da non confondersi con Metrodoro di Lampsaco (v. s. p. 22) amicissimo di
Epicuro. Questo Metrodoro che disert la scuola epicurea fu discepolo di Apol-
lodoro
3
XXIV, XXVI.
Sulla continuit della scuola epicurea e sulla fedelt dei discepoli alla dot-
trina del maestro, sino ai pi tardi tempi dell'et classica, v. Aristocl. ap. Eus.,
Praep.
Num.
XIV,
ev.,
p. 8, 9 sgg..
4
21,
1,
p.
769 a;
Numen.,
Voli.
ib.,
XIV,
Rhett.,
5,
3,
p. 728
Jtojxviifi,., I,
a (Thedinga, Be
Sudhaus, SuppL,
Dell'affetto di
un frammento
V.
fr.
Gomperz:
mia nota ivi.
124, e
cfr.
Philod.,
ib., p.
145;
VITA DI EPICURO
tempi
difficilissimi
due o
amici
^.
201
^;
questi da
dovunque
parte loro,
solo
gli
abitassero, veni-
giardino
comune
^,
come
visitarlo,
riferisce
gli averi,
ii
comune
debba essere ogni cosa fra gli amici. Infatti Epicuro osservava
che questo costume di gente che diffidi, e dove non v' fiducia non v' amicizia. Egli stesso poi dice nelle lettere^, che
gli bastava sola acqua e un po' di pane; ed aggiunge:
Mandami un po' di cacto conservato, perch possa quando voglia
scialarmela^' . Tale era egli che proclamava il piacere scopo
della vita. Ed Ateneo cos lo esalta con questo epigramma:
<^
lo
in
sofi
(*)
Il
giardino
sua Scorsa
[tra
lo
in
alcuni punti lo
filosofi]-
quei tempi,
2
V.
fr.
v.
6, p.
1090
6).
passo di Plutarco, ve:li le mie osservazioni in Riv di FiloL, a 1916, p. 280 sg.).
3 Sull'orto di Epicuro, v, Ses., /?p.,2l, 10: cfr. Pmn., XIX, 51 (v. infra, tesii>n., li.
Circa 1/4 *li litro (I. 0,5:70).
6
Fr. 38.
Fr. 39.
V. Epic,
S''nt. co.p.,
XV
(e
ivi):
cfr.
Skn.,
Kp
IG, 9.
il
202
EPICURO
con
discepoli,
ad Euriloco ^. Ed egli ed Ermarco contestano pure l'esistenza del filosofo Leucippo ^ che Apollodoro
r epicureo ed altri dicono esser stato maestro di Democrito.
stesso, nella lettera
di
Usa per designare le cose propriet di vocaboli, che il grammatico Aristofane censura, come troppo personale. Per fu cos
perspicuo, che anche nell'opera Della retorica, non pretende
altro che perspicuit.
Sii fe-
-'
'i
"
V.
I codici
8.
1: cfr. testini., 2 e
hanno "Aqiotov
2,
11 sgg.
Euseb.,
l.
cit.
ivi.
'AqCotcov 'AX.eav8Qeg
7izQiKaxr\x\.v.c,;
infatti
stone non fosse epicureo, giacch accus di plagio Epicuro; siccome poi Aristone di Alessandria discepolo di Antioco (v. Susemihl, II, p 308) scrisse di filosofia e di storia, possibile che scrivesse
7
I,
di
Epicuro.
26, 72.
VITA DI EPICURO
203
tisettesima olimpiade,
sotto
15
Agemorto, di Mitilene
Mor di un calcolo alla vescica che g' imped d'urinare, secondo dice anche Ermarco nelle epistole, dopo quatche prima di
tordici giorni di malattia. Riferisce Ermippo
morire s'immerse in un bacino di bronzo pieno d'acqua calda,
e chiesta una coppa di vino puro lo bevve d'un fiato: quindi,
ammoniti gli amici che non obliassero le sue dottrine, spir.
Su di lui abbiamo scritto quest'epigramma:
direzione della scuola Ermarco,
figlio di
^.
"^
Salve,
disse,
memori
siate di
estreme parole,
le
ai cari
Tale
la
testamento... [Segue
p.
145 sgg.].
A. 270
Ji.
a. Cr.
Cr.
3 V. su Ermarco, s. '24 sg., ed il testamento di Epicuro 17; 20, fr. 2,1, ?>6:
Srnkca, ,'/)., 52, 3, che reca il giudizio di P^picuro 8uirint!;e{?no di Eimnrco, poco
ori;?inale ed alquanto restio: Phii.od., jt. 0-av., col. 9: sulla sua dottrina v. Porphyr.,
De
absl., I, 7-12 e
*
Fr. 40,
Fr. 31.
FHG,
particolarmente Philipfbon,
III, 45.
/.
cit., p.
315 sgj?.
22
EPICURO
204
ma insigni massimamente,
Ateneo o di Timocrate e di Sande,
qaale, dopo che conobbe Epicuro, non se ne
Metrodoro \
figlio
lanipsaceno;
il
non per
dipart, se
1J3
torn da
lui.
fu
di
sei mesi,
valentuomo
in tutto,
ri-
nel primo libro del suo Metrodoro. Dicono morisse sette anni
prima
di Epicuro', 6.
tia
libri
Contro
dialettici',
7.
Contro
9.
Della mutazione;
sofisti^
10.
di ilascita.
Sulla vita di Metrodoro!;(nato nel 330 o nel 329, morto nel 277) v. Dubning,
De Melrod.
Epic. vita
et scriptis,
Lips., 1870:
XXVIII
i.
1890).
p. es.,
alt.,
VI,
fr.
45 sgg.
cfr.
Epic, Testamento,
18.
ol 3t8Ql OiXSrifxov V. g. 4,
V.
s.
nota
2.
15 e n. ivi.
VITA DI EPICURO
uomo
205
povero stato, ed egli da principio si occup di retoconoscono di lui questi libri bellissimi: 1. Ventidue
dissertazioni su Empedocle, in forma di lettere^ 2. Delle scienze',
3. Contro Platone-, 4^. Contro Aristotele. Fu uomo valente:
mori di paralisi.
Furono ancora suoi discepoli Leonto lampsaceno e similmente la moj^lie di lui Temista^; alla quale pure scrisse
Epicuro: Colote ^ e Idomeneo
essi pure di Lampsaco. Pur
questi furono suoi discepoli insigni: e tali fnrono pure Polistrato che succedette ad Ermarco ^
ed a Polistrato successe
Dionisio, a Dionisio Basilide. Fu pure insigne ApoUodoro [soprannominato] Re del giardino ^, che compose oltre quattrocento libri, e i due Tolomei alessandrini, il nero ed il bianco:
Zenone Sidonio ^, discepolo di ApoUodoro, che molto scrisse:
Demetrio soprannominato Lacone": Diogene di Tarso ch<^
scrisse le Lezioni scelte^: Orione, ed altri che gli epicurei
genuini chiamano sofisti.
Vi furono anche altri tre Epicuri: il figlio di Leonto e
Temista: un altro Epicuro di Magnesia, ed un quarto maestro
rica.
di
Si
25
'^,
d'armi.
V.
e n. ivi.
8. 5
Discepolo e amico di Epicuro, grande ammiratore del maetro (v. fr. 32,u
compose un'opera per dimostrare che seguendo le dottrine degli altri filosofi non
possibile neppur vivere; contro lui scrisse Plutarco l'operetta Cantra Coloten.
Per altri scritti contro Platone e su ci che ne rimane nei papiri ercolanesi, vedi
Crnert, op. cit., p. 4 sgg.
V. H. Sauppe, Idomeneus Rhein. Mus., 1843, p. 450 sgg.; v. s. 5 e n.
-
'*
ivi: cfr.
di
Epic,
fr.
29 sgg.
lui
un'opera, tra
(cfr. il bello
(piXoaocplaq, cfr.
510 8g.).
v.
Cr.nkrt, op.
'
*'
KT:aoTveavvo5
Contemporaneo
Liti., II, p. 20
"
51.
V. su lui
ai]\i.
97
cit.,
V..
ed.
p.
il
v. 8. 2, 10, 13.
p. 87
di
sg
cfr.
Gomperz, Hermes,
Su Dionisio
v.
Lue,
1877,
Su Basilide
v.
Susemihl, Gesch.
d. Al.
SusKMiHL,
oy\\i.
II,
p. 2G0 sg.;
1)75;
Crnkrt, op.
cit.,
p.
100
est
sgg.
Diogene
L.,
26
EPICURO
206
tutti
super per
essi
non
come
dice
Cameade, che
lo
il
Non
numero
vi sono
scritti
l'emul Cri-
libri
perci
in
e di Aristotele.
questi sono
3.
i
Megarici;
6.
Casi dubbi;
delle avversioni;
9.
natte;
15.
17. Neocle,
Delle
vite,
7.
Del
Massime
fine;
Dei;
libri
10.
13.
Del
criterio
Canone;
quattro;
16.
Del
retto
operare;
doro; 20. Della vista; 21. Dell'angolo nell'atomo; 22. Del tatto;
a Mitre^; 38. Callistola; 39. Della potest regale; 40. Anassimene; 41. Lettere.
Su Timocrate
v. s. 5.
jtEQl elSc^cov
I codici
hanno
jteQl
46 sgg. e n. ivi.
{\))
VITA DI EPICURO
Quali siano
le
che in
dottrine
207
essi svolge
epistole, in
cui
procurer di
riassunta per
sommi
29
fenomeni
celesti.
La
si
filo-
secondo Epicuro.
Si divide
dunque
conoscenza]; la
fisica-,
30
al sistema,
La
i
fisica
sommi
capi
^,
le epistole.
epicurei son
soliti
ad unire
canonica con
la
la fisica:
la
la
la
fisica
fine morale.
Kax
u.
nel
le
sen-
KoL
^,
infatti
Men.,
appunto
p. 20, n.
tali
11 e p. 17,
sommi
si
capi.
Il
Crnkrt,
alluda ad una
i)ar-
xcoQelv
xax
931
sgg. Denique
Erod.,
3
37 e
nota
Tkles, p.
3, 15 el
ivi: 82; 73 e n.
cfr.
Xd(3oi (pcovriv
-01
EPICURO
208
sero anche
per sia
tali^.
le
percezioni
intuitive
dell'intelletto.
Lo
dice
neW Epitome ad
Erodoto sia nelle Massime capiInfatti egli dice che ogni sensazione irrazionale e
non partecipa
di
memoria
^,
e certamente
non ha
attivit di
mentre
33
La
mento
in noi,
come,
ci
1 V. Ep. ad Erod., 38, 51; e Mass. cap., XXIV (v. s. p. 63). Questo periodo
pu essere una correzione marginale di Diogene Laerzio, che si accorse di avere
data una falsa notizia nel compilare dalla sua fonte; infatti particolarmente nella
Mass. cap.., XXIV la cpavxaOTiHTi reiPoXr] xr\q iavoiaq messa alla pari con gli
altri criteri (i sensi interni ed esterni). possibile che Epicuro non trattasse di
questo criterio nel Canone, ma l'aggiungesse agli altri in opere posteriori,
V.
s.
p. 28
sgg.
VITA DI EPICURO
minate qualit:
infatti
per prenozione,
subito,
proprio, secondo
209
Adunque
il
signi-
diversi problemi,
questo un
presunzione
{yKh\\[n:;)
e dicono che
sione
Donde
fu introdotta Tespres-
appare da vicino ^.
I sensi interni (jia^-n), dicono, sono due: il piacere ed il
dolore: che si manifestano in ogni essere animato; e Tuno,
[il piacere], propizio alla natura di esso, l'altro,
[il dolore],
vi contrario ^. Il piacere ed il dolore sono i criteri delle
e accertarsi quale
V.
La
g.
p. 73 e n. ivi.
uomo perch ha
avevamo
tale
opinamcnto ha
50 sg.
cap.., XXIV
Nell'esempio che qui si
che di lontano appare rotonda, veramente
rotonda, o invece quadrata ed appare rotonda per la distanza. Era questo un
sempio tipico nelle .scuole: ci". Lucr., IV, 353 sgg. 501 sgg.
*
cfr.
Mass.
V. sotto
Epicuro.
137.
14
210
EPICURO
elezioni
indagini
le
parole
~.
delle
Questo, per
sommi
filosofa]
tempo
ad Erodoto, v. s. p. 71 sgg.]
Questa l'epistola che scrisse sulla fisica. Quest'altra invece tratta dei fenomeni celesti. [Segue l'Epistola a FUocle,
stola
(83)
V.
s.
115 sgg.]
p.
(116)
117
per esporremo
le
KocHALSKY,
(v.
Philod.,
jt.
Mass. cap.,
Sent.
Vat., 78 s.
del resto egli deve essere libero dalle passioni proprie degli stolti
XXX). Per
p. 161),
ed
(v.
come
l'amicizia
(v.
20, p. 1101
A,
A;
cfr. le
mie
oss. in
Per-
che seguiva.
bene
VITA DI EPICURO
211
si pu divenire saggi con qualsiasi costin in qualsiasi popolo. Anche se posto alla ir
tortura il saggio felice ^ Egli solo sa essere riconoscente ^,
ed in egual modo si adopera per gli amici presenti ed assenti,
con parole e (con atti). Quando per torturato, geme e si lamenta ^. A donna a cui vietano le leggi d'unirsi, non s'unir
il sapiente, come dice Diogene nel Compendio delle dottrine
morali di Epicuro ^. N dar pene corporali ai servi, li compatir piuttosto e perdoner a quelli che siano di buona indole. Non crede che il saggio debba innamorarsi; n si dar
pensiero della sua sepoltura. Non crede che Tamore avvenga
per azione divina^, come (dice) Diogene nel...; neppure parler bellamente a modo dei retori ^. Dicono che l'amplesso
venereo non giova mai; gi molto se non nuoce
Epicuro in
giudica che il saggio possa sposarsi e aver figli, come dice
nei Casi dubbi e nei libri Della Natura; ma sullo sposarsi
tuzione
fisica,
'^.
si
regoler secondo
si
durer
nell'ebbrezza
neppure parteciper
il
le
'^,
come
dice
^.
Non
per-
v. le
testimonianze
raccolte dall' Usener, p. 338; cfr. per sotto 118: e fr. 112.
2 V. Sent. Vat.,Gl. Per la lezione della frase che segue v. l'integrazione del
r Usener,
p. 335
;n:Qd^eco5 levai),
mancando
il
numero
fr.
112);
cfr.
fr.
II, Col.,
VI,
sg.
testo compiuto:
'
si
col VII, 2;
perdurare
XIX,
fr,
di
persona
3.
XTQ'ioeiv
in
[x-i],
KPICUHO
212
120
libro
lascer
non terr per discorsi d'apparato per pubbliche solenAvr cura delle sostanze e sar previdente per l'avve-
scritti;
nit
(121)
Amer
^.
la
'^.
''.
||
jt.
V.
s.
V.
s.
118
117 e n. ivi.
'Ejcix., fr. 9,
*
e n. ivi; cfr. Phil., Voli. Rhet., ed. Sudhans, II, p. 290 e Philod.,
12 sg.
V. Sent. vat., 41
s.
cfr. il
p. J55 e
mio studio
1.
ivi eit.
Contro
il
sommo
XXVIII, e n. ivi; XL. L'errore pot venire per la forma abbreviata della yreposiaione. Per ci che precede v. Mass. cap., XVI e nota ivi: fr. 90,
3Iass. cap.,
121;
v xaXg #8coQiais.
Che
si tratti di
chiaro da Plut., Contr. Epic. beat., 13, 1095 C, dove detto che secondo Epicuro
il saggio pi di ogni altro gode delle audizioni e delle rappresentazioni dionisiache; cfr. anche Philod., Jt. svo., 76, 1: Usener, p. 258. Il Kochalsky invece intende v 'Q-ecoQiais an Avissenschaftlicher Betrachtung: ci che, trattandosi del
Dopo queste parole deve
saggio, sarebbe proprio una verit troppo evidente.
essere avvenuto uno spostamento nel testo, di cui vi sono prove indubbie. Infatti fin qui si parlava della dottrina d Epicuro sul saggio; invece in ci che
segue nei codici (v. s. p. 214, 1. 3 sgg.) sino alle parole: veniamo ora all'epistola, si
VITA DI EPICURO
213
il
pu ben
es-
ma pu
musica e
di poesia;
vere poesie.
letture in pubblico,
ma
AoxsL S'a-uToIg).
chiamo
Avr opinioni
l^f\q.
ri-
perch agg'iuns'esse un brano in margine o in calce, cio precisamente il passo che tratta delle dottrine etiche di carattere generale. E per
verit le parole Credono essi si attaccano benissimo al passo intruso fra i precetti
sul saggio (v. p. sg.,c/)(? vi siano colpe di differente gravit). D'altra parte, messo
a posto il brano intruso, le parole Veniamo ora all'epistola risultano a loro posto,
precedendo esse immediatamente l'epistola a Meneceo. L'errore pu essere avvenuto nel copiare l'autografo stesso di Diogene Laerzio, dove quest'aggiunta era
posta dall'autore in margine, o in una copia successiva, per un'omissione che il
al copista
si
si, ove egli supplirebbe (THva) o(:7t^o'Tov>, mentre il Kochalsky invece integra oIxtjoiv. Ma in verit
non manca nulla, basta porre virgola dopo va'd'f|oeLv, e ricordarsi che Epicuro
pone il piacere delle statue in proprio onore fra i piaceri non naturali n necessari (v. scolio, alla Massiina cap. XXiX, 8. p. 65), indiflferenti perci per il saggio,
e causa di granii mali a chi se ne faccia un bisogno (v. Lucr., Ili, 7S, Eimc,
Mass. cap., VII: cfr. Sent. vat., 61). f" naturale invece che il sapiente (per quella
venerazione e quel culto quasi divino dei saggi che Epicuro raccomanda, v. fr. 32)
innalzi statue a coloro che per virt ammira.
^ Dato il concetto assolutamente pratico che Epicuro ha della saggezza e della
filosofa (V. mia n. ad PJp. a PitocL, 8.5), e poich la scienza della felicit ormai assicurata dalla doltrina del maestro (v. Lucr., V, 8 sgg.), preclusa ogni
via di progresso.
EPICURO
214
(ij.)
di vita
fra coloro
(*)
Vedi
il
seguiio.
me
introdotta, v.
s.
p. 212, n.
8.
v. s. n, 8, p. 212].
Il testo
resta cos
che non necessario, poich, secondo Epicuro e gli avfalli di diversa ed altri di pari gravit. Sulla dottrina
degli stoici che uguali siano tutti i falli, sia quelli che comunemente si giudicano
leggeri, sia quelli che son giudicati gravissimi: v. Stoic. Vet. Fr., Ili, p. 140 sgg.
ad
jxaQxrifAaxa, chiaro
p. 988
4
B sgg.;
Cfr.
fr.
cfr.
Cic, De
104: Sent.
fin.,
47,
II,
p. 270
Hoersch.
19, 61.
PiQ
MJtXTQcv
(BP^Q:
v xaig
FP2Hf)
-fiovaXq %ne7tXr]Q(v
(B HnenXt]-
ticolarmente
fr.
102:
Mass.
cap., X.
Per l'uso
di xjtXriQa) cfr.
Eur., Orest.,
.54,
VITA DI EPICURO
215
somma
intensa,
felicit,
o quella
genza del futuro, come dichiara anche nel Piccolo (?) compeidio; e dice: Non esiste alcun modo di preveggenza del futuro,
e se pure alcuno vi fosse, bisogna esser persuasi che gli avvenimenti non hanno alcun valore, {in confronto di ci che)
dipende dal nostro libero arbitro^. Questo basti intorno alle
dottrine che si riferiscono alla vita morale. E pi ampiamente ne ha trattato altrove.
125
216
EPICUIIO
Differisce dai Cirenaici rispetto alla dottrina del piacere.
136
Essi infatti
ma
solo di
fine,
primo
Lettera
lo stesso
La
V esultanza
(ei&cpoaijv'n) *
si
stabili-, la
gioia
[ijiq)
p. 535
(catastematici) che consistono nella pura detrazione del dolore (v. fr 1). I Cirenaici
invece non tenevano conto che del piacere in moto; lo stato di calma od assenza
di dolore lo consideravano come insensibilit, quale quella di un morto, cfr. Clkm.
Alex., Strom., II, 21, p. 36.
2
(x
La
Y'V''1>5
V. infatti
Cic, De
fin., II, 3, 9,
il
piacere
Fr. 29 Korte.
* 8i&(pQoaijvTi
ma
credo
che Epicuro
si
riferisse
ai
versi
d'O.MERo,
dove ecpQoouvTi usato per la gioia dei banchetti. Per simili citazioni di poeti
in Epicuro v. l'epistola a Meneceo ^ 126) e s. 137. In questa opinione mi conferma il fatto che Epicuro spesso accusato d'aver tolto da questi versi e da
altri di Omero la sua dottrina del piacere: v. Lue, Da pai-asito, 10; Senec, E}).,
88, 5; cfr. Schol. Od., IX, 28; Heracl., AH. Hom., 75: Atiien., XII, p. 5:5; Sexp.,
Adv. Math., I, 273 sgg. 283.
:
VITA DI EPICURO
217
e per l'avvenire
137
pia-
Dimostra poi che il piacere il fine, che ci dobbiamo proche gli esseri animati, appena nascono,
trovano benessere nel piacere, e dal dolore invece rifuggono,
naturalmente e per istinto. Questo indica che spontaneamente
fuggiamo il dolore ^: per cui persino Eracle, quando la
tunica avvelenata lo strazia, emette alti lamenti:
porre, osservando
i montani scogli
delPEubea le balze
gemon
di Locri, e
'^.
le virt si
non per
come
s stesse,
si
cerca
rare,
'',
'^.
1 Sul valore che Epicuro d all'elemento del tempo nella dottrina del piacere
Ep. a Menec, 122; Mass. cap., IX e mia n. ivi). I Cirenaici invece tenevan
conto solo della (xovxQovog fi5ovi, del piacere dell'istante.
2 Cfr. Cic, De fin., I, 9, 30; II, 10,|31; Sext. Emp., Hypot., Ili, 194.
3 SoPH., Trach., 787 sg. I codici di Laerzio offrono un testo alquanto diverso
da quello dei manoscritti di Sofocle, che certo serbano la lezione corretta. Si
vede che Diogene cita a memoria. La prima parola del v. 1, nei codici di Sofocle, pocv che qui non potrebbe^stare, perch sopra v' Po: e di fatto 1 codici di
(v.
di
Pocv.
non d senso
Casaubono
*
Cfr.
forse la migliore.
23;
98;
Oen.,
fr.
XXV,
xMass. cap.
vai
EPICURO
218
Ed
ora poniamo
il
coronamento, a dir
cos,
dell'opera
Mas-
guono
le
Massime
capitali, v.
s.
p.
55 sgg.].
ALTRE TESTIMONIANZE
SULLA VITA DI EPICURO
1.
Aelianus
(fr.
p. 418, 12 Bernh.
tin di vita,
ed
Epicuro
madre
ai fratelli, e
2.
Cicero,
attestano
De
nat. deor.,
suoi scritti, di
Pot frequentare
la
jcQOTvO-Tig
Kttl
26, 72.
Epicuro
si
gloria,
come
^...
I,
^;
tpocpYog ourog:
Su
jtQOTvO^Tig, v.
pi?
220
EPICURO
in
un
le lezioni di
Samo
qui
infatti
certo Panfilo
*,
discepolo
abitava nell'adolescenza
3.
22
e.
[Usen., p.
166].
Epicuro du-
il
suo genetliaco
^.
dini (horti) in
5.
Plin., N. hist.,
immagini
immagini
lizio
Roma
XIX,
stessa
51.
si
XXXV,
5.
Epicuro e
le
Gli
stessi
hanno
nizzano
di
Epic,
14, e
proprio
essi
Suida, v.
222.
s.
p.
che
7.
Cfr.
Circa
Epicuro che
5
Circa
il
le
sagj^o
debba amare
si
il
allude, v.
la
il
ALTRE TESTIMONIANZE
221
6.
filosofo
a ciascuno un certo
numero
di fave.
7.
Sorse
il
Caos da prima
domand
maestro
al
Sorse il
leggeva [l'emistichio esiodeo]
Caos da prima ', donde fosse sorto il Caos, poich era sorto
per primo: il maestro gli rispose che non era afi'ar suo insedi scuola
gnare
che
gli
ma
tali cose,
filosofi.
'
Ed Epicuro: Dunque
essi
Fu
le
cose veramente^.
Lampsaco, Metrodoro il discepolo di Epicuro, ed in certo modo anche Epicuro fu lampsaceno; perch dimor alcun tempo a Lampsaco, ed ebbe
amiche le persone pi insigni di questa citt, Idomeneo e
8.
di
Leonto.
Strab., XIV, p. 638. Gli Ateniesi, inviati a Samo Pericle e il poeta Sofocle, assediando i Samii ribelli, li posero a
mal partito. Pi tardi vi mandarono due mila coloni {cleruchi)
9.
(il
padre di
E narrano che
curo vedi anche Cic, De /in., V, I, 3, il quale dice che gli epicurei avevano il
Epicuro persino sulle coppe e su gli anelli. Per quelli conservati, v.
CoMi'ARKTTi K Dk Pkira, La Villa ercolatiese, tav. XII, 5-7.
1 Nel 294;
quando }?li ateniesi furono assediati da Demetrio e patiron grave-
ritratto di
mente
la
fame.
Esiodo, Teog.^
Cfr.
v.
116 sgg.
2.
222
EPICURO
SuiDA,
fratelli:
s.
V, 'Eni'KovQoq.
Epicuro,
ateniese, del
demo
Gargettio,
figlio
di
dapprima
in
poi caposcuola in Mitilene a trentadue anni, pi tardi in Lampsaco e parimenti in Atene nel suo giardino. Furono suoi
maestri
il
si
dopo
la
morte di
Moltissimi sono
2
3
suoi scritti.
APPENDICE
Sommario:
I.
l'Epistola ad Erodoto.
II.
La
61
sg.
40 sgg. del-
mutabilit dell'universo ed
V. Orazio e
le
il
39 dell'Epistola
Fra
le
dottrine epicuree
una
delle pi discusse e
meno
quest'ultima trattano
doto,
ancora pieni di
difficolt, in particolar
modo
l'ultimo,
per la lezione e l'interpretazione del testo, quantunque parecchi studiosi ne abbiano fatto oggetto d'acute indagini, che
per, su vari punti,
non riescirono a
risultati soddisfacenti
poich trattasi di questioni intricate che non potevano risolversi nell'ambito d'una nota, mi parve necessario farne oggetto di apposita Appendice.
il
Eiprendiamo dunque
in
esame
testo e la dottrina:
Per
1 Vedi
in particolar modo, fra gli ultimi studiosi, Briegkr, Epihur's l.eme
von der Seele, Halle, 1893, p. 5 sgg.: Giussani, Studi Lticreziani, 1896, p. 100 sgg.
Tkscari, Nota epicurea: vxiv.o-jti]., in Boll, di Filol. class., luglio 1907, p. 1 sgg.
dell'estr.'itto: il testo e le note del Kocualsky, l. e. al passo corrispondente dell'epistola: Hans von Arnim, Epikurs Lchre von Minimum, Wien, 1907, p. 13 sgg.
:
Epicuro.
15
EPICURO
226
parole
jxri^evg
dvxLxjtTovTo?
sto
dvTixjrteiv
il
diverse parti,
ma
che segue, le parole orav jiT^-O-v jxT]8 xeivoig vtixjtTT), spiegano chiaramente che non si tratta di vibrazione interna,
perch del resto Epicuro avrebbe detto v xeivoig: confronta
del resto anche ivi nayxd a-uToig.
che
gli
stessa.
come sempre,
il
nei particolari.
APPENDICE
nulla
si
crea n
227
si
il
moto atomico
orav ye
8r)
sia
ojtavx^
firiv
avxoXc,'
ovxe
avco ovd^'
7]
xdxco
fila xc5v
tic,
f|
tfiicov
jxixQ
|XT]8
x jtdyiov 8i xc5v
twv
jxeyaXov,
xeivoig vxixjcxr).
XQOiJcrecov
qpoQct,
ov^'
f|
PaQtv.
^ non si muover pii veloce del picquando per questo non trovi ostacolo, n
il piccolo del grande, compiendo tutto il
suo corso sempre
in una sola direzione ^, quando nulla neppure contro esso si
opponga. N pm veloce ^ sar il moto in alto, n quello laterale per opera degli urti, n il moto in basso per azione del
Perch
pesante
il
colo e leggero,
proprio peso
torto
prascritto
si
si
moto
poich
si
nega
primo periodo
so-
la possibilit
mentre
il moto
che Epicuro intende
pQaSijxeQov,
come
di quello di
Ma
si
di qui risulta
una
ad Erodoto, 43.
come gi vide il Giussani, la lezione dell' Usener (PQaS-uTeQov)
TCV \ieyX(v, (pi lentamente) del grande, perch essa si fonda su di una
falsa illazione che Epicuro parli solo del moto di caduta, mentre Epicuro nelle
parole precedenti non fa alcuna eccezione, ed in quelle che seguono dice chiaramente che intende parlare di ogni moto, anche laterale o in alto.
3 Epicuro usa il neutro x paga, mentre prima ha xo\ioi femminile; perci
prudente intendere di ogni corpo grave in genere, come legge generale della
materia, v. infatti sotto p. 2a8; 239. Si noti poi che probabile l' integrazione
dell' Usener x ([leyXa) xal PaQa, (il grande) o pesante >>, perch poi segue x
1
V.
IxixQfx
p:p.
errata,
xal Kovcpa,
EPICURO
228
lentano
il
'noto
moto
cos fosse,
il
TEQOV,
TlXlpY),
8Jtl
t)
ToaoJTov \ia YorifxaTi xr\v cpopv c/r^asi, eco? (av ti) dve|c0)8V
lavxoc, bvva\iiy.
f]
TtQC,
T]y
(ex)
TOIJ
JlTj-
o l'altro genere
Ho
Suva^iiv,
TT)v
ma
il
jtq?
ho inserito
(ex),
Giussani,
avvenne
Ma
ma
l'urto.
fa distinzione fra
prime dottrine
fisiche greche,
o;(fifAa jtQg
iiye'Qoq
f)
x pdQog
f\
APPENDICE
229
ed
il
lui
proposta dei
testi
epicurei. Si badi
poi che
il
Nuova
minimi
Rivista Storica, A.
di
tempo
I,
il
(1917) fase
III, p. 29 sgg.,
testi
Philu'p.son in Hertnes,
Epicuro e
1918, p. 375-878,
sulle tyx-(\xec, ex
le
sue
V. Ep. ad Erodoto,
V.
SiMPMC,
57
sgg. e n.
ivi.
Phys., p. 938, 18 sgg. Diels.; Sext. Emp., Adv. dogn., X, 120 sgg.;
142 sgg.
4
V. TnKMtsT., In Arisi.
l'Inji.,
p. 183, 9 sgg.
Wall.
230
EPICURO
indivisibile
dunque
propria via.
Ma
non
vi
in ogni urto
permane
E
il
di fatto
come il pensiero. Ora siccompongono di atomi che prima di staccarsi dal corpo hanno subito gi infiniti contraccolpi e ritorni
alla primitiva direzione, tali urti non debbono averne dimisola direzione nel vuoto, veloce
come
simulacri
si
APPENDICE
231
Tabbiamo
negava
^,
il
minimo spazio
^.
indivisibile
ma
il
ritardo cagio-
velocit
si
soluzione soddisfacente.
alla
si sia
la lezione
come furono
l'
chiamo prima
di Epicuro, in
di stabilire quale
daremo
del passo,
dovrebbe essere
cer-
dottrina
la
V.
17
ag-.
Diele.
232
EPICURO
tener conto di quello che egli dica nel periodo che dovremo
poi esaminare; e
vedremo poi
riodo, serbandoci
non
gli
si
II,
308 sgg.
producono
le
le
vibrazioni degli
loro vibrazioni,
ne
risulta
APPENDICE
che mentre
come
quelli,
pensiero,
il
si
il
moto
si
233
compiono
tempi veloci
in
di tanto rallentata
da
complessi e in tutte
le
atomi? Non
1
esito
tali
a rispondere,
il
moto dei
no:
la
perch,
per esempio,
struttura sottilis-
loro
sima, che pochi o punti ostacoli nel loro moto, anche nella
di. altri
complessi pi
onde
il
loro
si
sottili
ancora, ed in am-
V.
I<:p.
ad Erod.,
47 8 s.
p. 237:
LucR., IV,
5i04-210.
EPICURO
234
^AXX
[.iT]V
xal
xat
T<;
cvyyiQiGeiq
laoraj^av oiLiacv
'^
XQvov,
\ii]
q)'
Qdxxov
xr
cp'
va
tpa xgaq
tjtov
xat xv Xxioxov
'^ecoQiTOijg
Qr\-
cpQsaO^ai
XQvovq
ovve^f)
^,
XX
x yg JtQoa8o|at,^8vov
yiyr\xai.
old Xyov
'&scoQT]tol
jteqI
XQvoi x ovve^kq
xf\g
d?iri'&8(;
1 II jtat fu tolto dal Brieger e dal Tescari (il quale, come l'Usener, il Breger,
Giussani ed il Kochalsky, espunge anche il xai innanzi a y,ax xv X.xicxov
ows^TJ XQvov, e dopo legge slra [xr] cp' va con il Giussani). Quanto alle altre lezioni del Breger e del Kochalsky, sono troppo disformi dalla lezione dei codici
per tenerne conto.
2 L'Usener ed il Giussani leggono cuyxQioeig (oi).
^ Corretto dall' Usener invece di -O-TTov dei codici: forse per la lezione dei
codici si potrebbe tenere, sottindendo cpsQec'O-ai che vien dopo.
^ In verit fui tentato di leggere <v> tw, e la caduta di v sarebbe paleogra-
il
ficamente di agevolissima spiegazione, perch precede cov. Se si ritiene x( bisogna spiegarlo come un dativo di rapporto e tradurre riguardo al muoversi . Ma
il miglior testo, a quanto credo, si nasconde nella lezione del codice F (con B il
pi autorevole dei codici laerziani) che legge xal x invece di xw, ora il xat mi
pare veramente genuino, per il parallelismo con xal xax xv Xdxtcxov nx. che
segue, onde proporrei di seguire gli indizi forniti da F, e leggere xal x o xv x^,
mutano
el
il
V.
Cos
in
T|;
lafirziani,
s.
i
codici.
l'Arnim dopo
invece di
el.
Il
Tescari ha
rj
il
sovrabbondano,
ma
APPENDICE
80tlV
235
jcl
A,a|xPav|X8vov
71U.V
f]
Xttx' 8:i:iPo?.T)V
Tfj
gli atomi, quando sono liberi, sono equinon subiscono intoppi, cos] anche quando
pur
si trovano nei complessi corporei, si potr dire che
essendo equiveloci, nel muoversi in una sola direzione, gli
atomi che si trovano nei corpi \ e nel minimo tempo continuato del loro moto
essi sono pii o meno veloci, se ~ non
[si muovono] in una sola direzione, nei tempi rapidi come il
Orbene [come
ma
moto
del
[del
mente compiersi
casi
in
una
sola direzione,
moto
non
vera in siffatti
come
ci
che ricaviamo
dall' intui-
il
quando trovino
ostacoli] >.
le-
avevamo ricavato
Queste parole rag v xoXq -Qoia[iaaiv x\iovg, potrebbero essere una glossa;
chiunque conosca bene lo stile di Epicuro e degli epicurei, sa come essi talora
usano riempitivi, mentre tal altra sono troppo succinti: del resto la frase deve
essere stata introdotta, dall'autore o da altri, perch non si credesse che il sog1
ma
Che Tel
del testo
(cfr. p. e.
el, si
1204: cfr. Tiiuc, VI, 79; Vili, 14; Xkn., Cyr., IV,
Syni., 599,
2)
e del resto
mutano. Quanto
al
un simile
4,
18; v.
KChnkr Gkrth,
-
elissi
che
si
n.
rallentato
preced.
EPICURO
236
primo d'essi congiunto con i precedenti, sia nella brecon cui tocca di dottrine assai sottili, si comporta come
vit
pu spiegarsi
in
due modi.
vano
in
una
p.
Infatti
si
pu ritenere
in quanto
96:
si
gli
ma
in questo caso
il
loro corso
ha subito
uno
l'influsso
sottile
V.
il
proemio della
lettera.
APPENDICE
237
^ Dunque
gli
ma
ad un'unit
indivisibile
anche
(e
perci
il
xai)
looxaxci; Jtdvxa i
fAEQg v x)
2
Cfr.,
x&v
xv 'EjttxovQOV Qoxet
poco sopra, x yQ xo\iov xal x
\iEQ(v xiveiO'dai: e
ig^S'Ctti
xal x PgaiJxeQov.
V.
V. iiT.,
s.
il
EPICURO
238
clie
ci
altri
simulacri
loro atomi
nella
pochi ne incontrano
nostra atmosfera)
che perci
tratti,
E che a ci pensasse
vede anche dal periodo seguente ove si dice che
l'illazione intorno ai moti invisibili degli atomi, che cio
essi, anche nei tempi solo percettibili mentalmente, debbano
muoversi in una sola direzione, non giusta in siffatti casi,
cio in quei casi in cui vi sia vrinonr], mentre altri ve ne
sono in cui tale dvTixoatri non si ha. Ed alla possibilit di
questi casi alludono appunto, come vedemmo, l'et e Tavversativa che segue. Restano cos ristabiliti il testo genuino e la
in
una
Epicuro
si
con
non meno
non meno discussi per l'inaltre difficolt v' anche il
difficili
modo
si
riattac-
scolio a Massima cap., I e mia note ivi. [Dello scolio a questa sentenza tratta
R. Philippson in due articoli {Zur Epikureischen Gtterlehre, Hermes , 1916,
p. 568 sgg.: e Nachtrgliches zur Epikur. Gtterlehre, ibid. , 1918, p. 358 sgg.)
giunti a
lippson
ma conoscenza
si
erkennbar
Anche
>ta#'
APPENDICE
239
cano
ed
altri
persuaso
il
mi occuper dopo
trattazione,
di questi presunti
la
spostamenti;
(ei-
loro sottigliezza,
la
a riprodurre
gli
\iy\y
xa
8i xov nevov
f|
Tc5v vTixoaljdvTcov
gli
staccano, continua:
si
cpop
Jtdv jifjxog
yivo\ivr\,
xat
|j,Ti8e[iiav
ojtdvtriaLV
attraverso
il
Si badi poi
che
il
moto
il
quale avvenga
gr intoppi
si
di lentezza o di velocit.
stesse
di
dvTixojtri,
infatti
non spe-
scono
dvTixojtri,
onde
il
loro
moto
si
il
Cos
codici,
rUscner le^ge
vxixoapvxcov.
loro
EPICURO
240
ma
rimbalzi,
per
essi
si
numero maggiore
del
soluta di essi. Epicuro dice qui la stessa cosa che nel 62,
quando accenna a quei rimbalzi degli atomi che avvengono
pensiero, e fanno
s che la traietcomplesso corporeo ne sia ritardata e si compia non gi con il moto atomico di insuperabile
rapidit, ma con velocit percepibile con il senso.
Pi difficile invece ci che segue, sia per la lezione sia
per r interpretazione del testo. Ecco dunque come credo
in
il
debba leggersi
xovt;
e interpretare
il
passo:
oi
\ii\y
o'Satif
o^ dv
v alo'&'qt)
Jt8Qi?idPcofxev
xr[V
acJ5}xa
y.ax
jtl
dqpiatdfievov) dvTixojtfj
xoaovxov x xd^oc,
(d8iavr)Tov yg, al
iiiQi
xf^c;
cpoQdg
\ir[
yxi-
i]
compiono
suoi atomi]
^,
\i]v
perch non
segue poi un altro oiire, onde essi sono costretti ad inserirvelo. Il Kochalsky
congettura ov [ir[v ovx (i\io..
2 Cosi correggo la falsa lezione dei codici xar x cpsQ|xevov: l'Usener, seguito
anche qui dal Giussani e dal Tescari, corregge xal x cpsg.: il Kochalsky xal ;iiocpsQfxsvov, ma l'articolo lo credo necessario, perch non si tratta di qualsiasi corpo
(ed infatti anche l'atomo un corpo) ma del complesso corporeo, che si muove
con i suoi atomi e che giunge a noi con velocit sensibile, in contraposizioue
con gli atomi stessi.
3 Pongo tra parentesi
cpiOTjAevov, i
tutto quello che segue, biavr\xov
tojto. V. s.
critici e gli editori invece pongono fra parentesi solo biayY[xov
dal Giussani e dal Teseari, legge, ov
[ir[v
ou-O-'
p. 241 n.
4
1.
Cos
riscono un
leggendo
vov (Giussani).
6 Per simili casi
talmente dal lettore,
il
il
Tescari e
od
il
Kochalsky, inse-
<o<jTe> cuvaqjLHvovjjis-
con JtoXvs, 3tA,eico ecc., da compiersi menKuhner-Gerth., op. cit., II, p. 636.
di elissi, in frasi
v.
Giussani,
(o'UT'>cpi>tvoi3fX8vov (Usener),
APPENDICE
solo inconcepibile,
viene
tutt'
ma
in tal caso
^^g
^
principio
Anche
perch
esprime in
modo non perspicuo per chi non sia iniziato alla sua dottrina, come erano i lettori a cui dedica questa epistola. Vetradotto,
Epicuro, qui
come
diamo dunque
di
il
intelligibile,
sgrovigliare l'intrico.
Ed
si
anzitutto,
non
si tratti di un complesso corporeo, rianche dalle parole messe fra parentesi, ove si parla di
velocit sensibile; infatti gli atomi si muovono con velocit
pari a quella del pensiero, e non gi con velocit sensibile.
Resta ora da interpretare la parte posta fra parentesi, la
cui spiegazione anche pii difficile. Infatti neppure il Giussi
sulta
le
fatti 57 oijxe
yq
oTtcog... 'oxi
vofioai, Jtwg
\i-
YeOog; cfr. 56 nav \iye'd^oi ujtdQXEi-v oijxs y^Q\aL[iv axi... (flx-&ai xe it|.i'5ei
xal jtQg f][idiq Qaxi; xiiovq. Quanto all'uso del futuro (eaxai) dove in italiano
il
condizionale, cfr,
53 i^o^wXtiv
yQ tvsiav
'%ei
tojto nday^iiv
Ojt' xeLVT^s.
-
p. e.
Il
Kp. ad AV.,
Epicuro.
72 (p. 24, 13
il
sif^nificalo di e cioi\
come
spesso, cfr.
Usen.).
16
EPICURO
242
passo,
p, 240 n. 4) e che fa violenza al testo maanche ne ricava un senso che non pu in alcun modo ammettersi. Secondo lui infatti (e con lui si accorda il Tescari) Epicuro vorrebbe dire, che il corpo non pu
seguir tutti i moti dei suoi atomi, perch essendo essi venuti
da ogni parte dello spazio, prima di far parte del corpo e di
trovarsi ivi nei moti atomici propri del corpo, anche il corpo
avrebbe dovuto venire tutt' intero d'ogni parte dello spazio.
Ma sarebbe il colmo dell'assurdit, se si pensasse che un corpo
possa avere preso parte ai moti dei suoi atomi anteriori alla
sua formazione. E poich tale significato deriva dai mutamenti
introdotti nella lezione manoscritta anche pi condannabile,
ed prova che a torto si mut il testo dei codici.
E veramente il testo manoscritto pu dare un senso migliore, sinora non veduto, Epicuro, dunque, nelle parole poste fra parentesi, osserva che l'ipotesi presunta, non solo
per s impensabile, ma in contradizione con l'esperienza se
arbitraria (v.
noscritto,
s.
ma
infatti
il
il
atomi,
ma
vibrante e
momento dovrebbe
lo
partire
vediamo partire
^.
V. Studi Lucreziani, p. 115 sg. Anche per rispetto alla parte precedente
passo mi scosto da lui, non solo per la lezione, ma altres per l'in-
di questo
si
APPENDICE
243
corpo poliedrico di
una
cui,
faccia triangolare
ABC,
sensibile lungo
della base
A C,
si
traiettoria
lungo
la linea
ci attesta l'occhio,
A CE.
Epicuro ha dunque affermata cos la correlazione necessafra dvtLxojiri e velocit, ed avverte che tale principio bisogna tenerlo bene a mente, appunto perch dovr servirsene
ria
come vedemmo,
poi,
nel 61 sg.
Anche qui
simulacri.
la lezione
dei codici
da correggersi
L'Use-
ner legge:
eW oTi
8i8coA,a talq
o'O^ev
x^ (^^)
djteiQO)
avxcav
xjixeiv
i\
xjtxeiv
xt.
La prima
difficolt
Ci
sotto
V.
ad wnQ^h^xa
oOv
Jtdvxa
piOv dvxi-
eyei,
ev^vc,
vxt-
non
offre
posto,
sensi
s.
parte, sino
'xei,
p. 217
si
EPICURO
244
insuperabile sottigliezza, ne consegue che essi debbano anche avere insuperabile velocit....
Le difficolt incominciano in ci che segue. Anzitutto come
deve interpretarsi
avf^pietQov,
la le-
certamente corrotta perch manca T articolo richiesto dair infinito che segue? Gi
anticamente, sin dalla versione Ambrosiana, e di recente
dal Tescari e dal Kochalsky, si suppl :tQ? (t) tw, intendendo
oiJ|i^eTQov nel senso di adeguato. Ma lo studio di altri testi
epicurei, credo dimostri che au^i^ieTQov debba intendersi in
zione dei manoscritti
JtQ? tc dTceiQcp,
altro senso,
Infatti
da Epicuro
tutto in
quando
fatta
dipendere dall'avere
gli
atomi
il
loro corso
una
secondo del
e
non
Jt.
interrotto
pii
(piJaEcog,
da
ostacoli
(Tcoiev
verse direzioni
essi sottilissimi
245
APPENDICE
leggendo
Ttgq
ci
3toAA,ag
dvTixJtteiv...
piTi^v
Tcxeiv Ti:
impossibile, non
solo
perch
significare
xal djteiQoig
eii'fHjg
vtix-
Tzsigoig
ajteiQOi;
da
solo
ii finitamente
come
usato
sottile,
affine
ma
non
si
ma
a noX-
attribuisce
nella
frase
precedente.
Perci
il
Tescari ed
il
Menec, 124
xr\q
X,^r\q -(WriTv:
126 t
xf\c,
^cofjg
oTiaoTv:
persuader che
cfr. 3Iass. cap., XXXIX
aitTcv.
Infatti anche i
djteiQcp
(tc5
[li])
jtQg
tw
debba leggersi
pochi
o nessuno
ma
(v.
simulacri incontrano ostacoli
48),
x pi ^aggovv),
si
ne incontrano ciascuno singolarmente, mentre, quando si consideri l'infinita successione di simulacri che affluiscono da
un oggetto, gli ostacoli sono molti, ma sono ripartiti fra i
ciascuno di
essi,
atomi dei quali sostituiscono quelli deviati e mancanti nel simulacro precedente. In
tal modo l'immagine, quando non giunga troppo di lontano,
viene a noi non deformata ^, perch, osserva giustamente Lucrezio, noi non vediamo i singoli simulacri, che sono impersimili al precedente deformato, gli
cettibili e la cui
infinitamente breve,
Cfr. p. es.,
Thuc,
T,
28.
\ii]
incirca come,
all'
di
EPICURO
246
diremmo
singole
noi, nel
immagini fotografiche,
ma abbiamo
la visione
E che
le
com-
simulacri
debbano incontrare qualche ostacolo nel loro continuo succedersi, risulta anche dalla circostanza che noi, secondo
Epicuro, percepiamo la distanza per mezzo dell'aria che i
simulacri spingono contro l'organo visivo ^ Giustamente perci Epicuro, secondo la semplicissima correzione da me introdotta, osserva che si pu dire i simulacri non incontrino
nessun ostacolo o pochi ne incontrino, purch non si consideri un numero illimitato di essi. E probabilmente in ci che
segue potrebbe leggersi
dvtix:n;t8iv
Ev'&vc,
molti, ed in
Ma
ostacolo.
ti,
jro,,og
cio:
infinita
poich
mentre quando
codici
hanno
In
tal
simulacri sono
incontrano qualche
successione, tosto
jtoA-aig,
TtoXXalc,
si
pu ritenere
come
sostantivo
modo
il
significato
dell'ultimo
membro
diviene
pii
ma
egualmente esatto; perch una grande moltitudine ed infinita successione d'atomi, sia componenti simu-
generale,
sempre
Il
x^T)
ostacoli.
djteiQcp
[XT])
o-O^ev
xal
a'UTcv
piri'd''v
dvxixTUTeiv
f]
A,LYa
dvTixjtteiv, noXkalq
dvTixjtteiv
ti.
Cio:
(v. s. p. 244,
il
APPENDICE
247
II
E opportuno
la struttura di quest'epistola
essa trattate.
Non
del disordine,
scritta
fossero
onde dubitarono che nella tradizione manoavvenuti degli spostamenti; opinione che
il
inda-
Non
. accaduto
presso a poco quel che
accadde per le Massime capitali, cio non si scorto il criterio che guid Epicuro nella disposizione delle diverse dottrine, cosicch, mentre queste sono disposte con ordine prestabilito e conveniente, il preteso ordine che altri vi volesse
introdurre sarebbe disordine ed inconseguenza. E ci non
dico a biasimo del Giussani, di cui tante sono le benemerenze verso Lucrezio ed Epicuro, e che ha il merito anche
qui di aver posto un quesito che deve essere risolto, ma per
massime quando si
come questi, in cui
tratti di
scritti
di
carat-
la tradizione di scuola e
l'insegnamento orale dovevano compire molte lacune, lumegdi scorcio, e dar ragione di
certi ordinamenti, scelti a ragion veduta, ma dei quali il criterio informatore era palese solo a chi fosse gi esperto del-
l'
intero sistema.
Che questa
lettera
fosse
destinata
a lettori gi esperti
(xjiog)
tali
lettori
generalissimo
EPICURO
248
non teoretica
ma
dall'autore
come
compose
altri,
chit
il
Diogene Laerzio)
razza, debba non
molteplici trasposizioni.
la
mia traduzione.
APPENDICE
materia, del vaoto e
deg-li
249
atomi, che
compongono
complessi
una
se-
enuncia un punto essenziale dell'atomismo, cio rjieiQia^, che Cicerone chiama anche vis infntatis. Infatti, in ci che segue ( 41-45), si espone che infiniti
sono i mondi, infinito il vuoto, infinito il numero degli atomi di ciascuna forma atomica (mentre le forme stesse
sono non gi infinite ma di numero inconcepibile), infinito
si
moto ed infinito
il
atomi ed
gli
il
il
tempo e
corollari im-
e fra essi
miche,
n da un
sol
esauriti
mondo n da un numero
'\
onde
ne risulta perfetto, ed
formano un tutto indisGiussani, che non vide questo principio
solubile
^.
Orbene
al
45
Cic, De fin., I, 6, 21: cfr. De nat. deor., I, 19, 50: cfr. anche Ep. a Pitocle,
nota che ivi la dottrina dell' jteiQta posta non solo fra le pi importanti,
ma subito dopo quella delle Qxo-l, che anche qui precede.
Circa i'ioovofxta epicurea non s' badato al precedente di Alcmeone: vedi
Alcm., fr. 4 Diels. Ottime osservazioni suU'loovonCa d'Epicuro sono negli articoli
1
llG, e
'^
TOUTOv
el (lv
neiQa x
Una nota
speciale merita
il
:rtetQa)v
Ma
qjtovf)
si
interpret
come
*(ovYi nel
cui
qui
si
limiti
debba
(i]
xooavxTi
cpcovi'))
vis infnitatis.
250
EPICURO
pone una disposizion sua che, ad esaminarla dopo le osservazioni fatte sinora, appare chiaramente uno scompiglio di
quanto Epicuro aveva appositamente ordinato. Dice infatti il
Giussani
Fa
vatr
poi
difficolt; il
41,
42
brano 'AXX
)^.
Non
piT]v
xal x nv ajteiQv
come da
nell'infinito un alto
capisce
si
alla
fine
del libro
I,
oti...
ecc.
s ed con-
dopo dimobench
di 60,
Ma dopo
quello che
le
dunque da accostare
prime
linee) e 60^.
il 45, che
Giussani pare spostato, sta benissimo dove e deve essere
li appunto e non altrove, essendo un corollario che presuppone non solo la dimostrazione dell'infinit della materia
si
al
Sludi Lucr.,
p. 12 sg.
Ho
un ovvio errore
corretto
APPENDICE
251
*
* *
Consideriamo ora 1 paragrafi seguenti (46 sg.) che particolarmente c'interessano, perch del moto dei simulacri, di
cui qui si tratta, ci siam dovuti occupare poco sopra. Il Giussani osserva (p. 4): il testo epicureo... quale lo abbiamo,
mostra il pii bel disordine che immaginar si possa. La teoria
atomica v' distratta in cinque brani staccati ( 41 fino a cpvoeiq; poi 42 [da jiQq -.h toiJToig]
47
44, 46 [da xal \ir\v]
[fino a xaxaiJTcofiev]
54-59; 61-62). Ora verissimo che la
dottrina atomica distratta in pi parti: ma questo vera-
trasposizioni,
non piuttosto
Epicuro
si
prefisse?
il
di-
sordine siasi introdotto nella tradizione manoscritta per spostamenti, urta subito contro un'obiezione gravissima, che,
cio,
ad Epicuro spezzettare l'esposizione della dottrina atomica, se egli voleva nella prima parte esporne solo quel tanto
che fosse utile ad un sommario brevissimo della fisica, con
particolare riferimento alla djieiQta. Se infatti, come abbiamo
provato, dopo il 42 deve venire proprio ci che segue nel
testo dei nostri codici, Epicuro doveva necessariamente tratsario
separando ci che sotto un certo rispetto poteva parere congiunto. E questo fece con tanto minor scrupolo, in quanto che
scriveva per lettori capaci di ricollegare le fila interrotte e
supplire mentalmente ci che per il momento egli omettesse.
Dunque non dobbiamo attenderci un ordine elementare di
esposizione, ma, come s' detto, dopo quel primo schizzo
brevissimo della fisica, dobbiamo considerare ci che segue^
EPICURO
252
quasi
fosse
Il
come
Che questo
i 46 sgg.
Giussani anche qui osserva giustamente che la dottrina
il
di 46, (xal
met del 47
f.irv
xal
f)
8i
(cio sino a
%(jX
si
ci
Ma
questa dottrina,
p. ^1,
APPENDICE
253
come
Ili
Un esame
con la dottrina
poco sopra:
39 Kal
dell' jteiQia,
xal
\ii\v
oii-Ov
oxiv,
oi)#.v
6 dv
elq
yq
6 ^lexa^aXel
f\
axiv
jtoiriaaL
cui
ci
nv el Toiotov
elae^fO-v
di
elg
eig
aiiix
dovemmo occupare
fjv
olov
xt]v
no.Q.
|^exa(3oX]v
inftitti
xal
yQ x
jioi'iaaixo
Usen.j.
difficile di quest'epistola, e
xoioixov
koxi,
viJv
\izTa^Q.%zl.
Giussani, voi.
eaxai. nag yQ x
il
II,
discusso
p.
197 n.,
libera-
Raumes und
des Stoffes;
P/ie-
ma
mutazione
254
EPICURO
rainare bene
cfijaEcog
^levaA,!]
dimostrazione
(v.
II,
294 sgg.,
nixo[ir\
estende di pi su questa
V, 350 sgg. i), seguendo
si
cfr.
p. 581,
ad Erodoto
(t
il
nv dsl
principio
toiojtov f)v
come
Pseudoplutarco, come Lucrezio, seguono un testo epicureo pi ampio. Per n Lucrezio ne lo Pseudoplutarco ci
sia lo
II,
297 sgg.
et vertere
motus.
i
1
APPENDICE
255
mondi
e negli infiniti
rappresentate.
di Epicuro, per
meni
questo corrisponde
il
quale tutte
al
sempre
tutte
principio astronomico
le possibili
prendere meglio ci che dice Epicuro in questa dimostrazione dell'immutabilit del tutto. Infatti non essendo possibile una mutazione dell'universo finch i suoi componenti
permangono quali sono, perch esso mutasse occorrebbe che
mutassero i suoi componenti. Ora i componenti dell'universo
sono il vuoto e la materia. Ma da s non possono mutare,
perch, come dice pi volte Lucrezio, mutazione, quando non
si tratti di trasposizioni o aggiunte o detrazioni di parti,
sarebbe una creazione dal nulla e questa stata dimostrata
impossibile e se trasposizioni dei componenti si hanno continuamente nei singoli corpi, per la legge di equilibrio gi
osservata esse non aggiungono altre possibilit di combinazioni che sono tutte esaurite. Eimane dunque il caso di
aggiunte o di detrazioni dei componenti dell'universo; ma
queste pure sono impossibili, perch oltre l'universo non vi
nuU'altro ove la materia possa trasferirsi, n altro che vi
possa entrare e produrre modificazione, rompendo l'equilibrio a cui abbiamo accennato. Cos la dimostrazione vera:
mente persuasiva.
Ed
^non
v' nulla
EPICURO
256
Adv.
Col., e. 13, p.
debba supporre
si
onde leggerei:
yg ativ
ov^v oTiv,
|i8Tapo^v
ov'O^v
(jtoi
av
jcoir'iaaLTo:
ti
elg o
lX-d^oi,
o)
f\
non vi
non vi
cio:
la
caduta di qualcosa,
dv
elaeX'Qy
eig
avr
:7T;v
tt)V
mu-
docle
(p.
27 sgg.; cfr.
fr.
13,
sgg.),
gi Empedocle
(fr.
17, v.
espone entrambe.
14), le
IV
In proposito di quanto
si
lare valore,
'^
Ecco
il
il
luogo di Temistio
{li
^8 sgg.):
Ti
x ^iye'&og l fxeQwv
el ycxQ
xig
[lye^og
jiv
dfxeQg
ei
x):7toxLdoito,
1 P. 198, 16 sg., la lezione di questo passo (Simpl., In phys., p. 934, 25 sg. Diels)
deve modificarsi con un lieve spostamento, secondo l'edizione critica del Diels:
|xeQc5v Y'^-Q "^^^ "^ nys-O-og v.aX xqv Y.ivr[Giy xal tv xqvov elvai XyovTeg (ol
JT8qI 'Ejtt'/tOUQOV).
APPENDI e 15
6
tiT]>tTi
xQvov TLv
\iEQf\,
n\ x
Qxt
yg
Gxr\\ia.
xoiwv xal
et
xt
xoi5
\io}<.oyeixai
xQvo?
eiT)
iaipexg, v
cp
xiveixai xi
A,axiaxoD
vKoxi'&eo'ai xch
vTtoxidiiEvog
oi5xo;
xr\v
laoxa/^i; v xc5
267
SiTj^ei.
auvxi'O^vxi
XQvoug
vyyii]
p.ye'&og
8ia(p'&8tQei
fi8Qc5v.
II
x dxxov xal
Se
^i8Q85
PQa8iJX8QOV, Jigay-
\iiq.
'^kikovqov oocpiaq,
oxi x ^v dp^ia
d[xa|av 8 v xQiclv
xriv
f)
di pili Sesto Empirico, trattando delle obiezioni che si possono fare alla teoria del minimo epicurea, argomenta cos:
(Adv. dogm.y X, 148) et 8 xal ol xjtoi [x8Qiaxol xal x oc.uaxa
oi5x
dfxeQfi,
dvdyxT
xal xv xQvov
ov yQ v
iO(p
xal x
d^iepoiig xjtoi;
xoi
xjtov, v axLCfxco
{.ir)
elvai
d^ieQf]
xjiov
XX' v d^?icp
fiv
xa)
8A.dxicTxov
x d^iepg
xv oA,ov
0(x)\ia
dfieQfj
8 x xotjxou ^lpog.
il
indivisibile.
1,
p.
232
a,
19 sgg.
17
EPICURO
258
***
Un'altra testimonianza, mancante agli Epicurea dell'Use
ner e che credo debba esservi ag-giunta, questa di Ee>ifanio,
Adv. haeres., I, 7, 8, p 589 Diels:
'EjtLxoDQog xate^fig ^Et xovToug jtQovoiiaLav tcd xapicp eiOTiYi)0aTO'
x|.ia)v
xal ^
j^coQetv
dei yzvycoo]c,
auveatavai x jrdvTa
xf\q
cpvaeco; t]8'
jtdiv jTiyi'VO^ivrig,
}xt]8jt;ox
:JtvEj|xa
jt8Qiaq)LYY'''V
ooxeQcp
av JtdXiv
xie xr)V
acpiy^ai
Jtdoav
xr]v
eie,
jti;toA,dcrai
avca,
'uA,r]v
ei'x'
6 Piaa^c xivi
x 8
6A,a
nXov xal
xoij
xal |
atixfiq
ovv
cpucriv
xcv
j"
r\
^(vriv
xaiQcp tczqio-
iTidvxcov,
o-uxco
^irjv
yaQ
xojt' ati
jtviJ|xaxo?,
cp'
ato^a
"vai,
elq
'uqpecrxdvai
eE,
qpucriv. '0^A,ficTav
x dxo^a SiaxexQLOdai. x
xaxov xov
Sajtavco^ivrg
ixdaai ^v x ovxa
qpjoecog
av ndXiv
x S
f)6'
Xa xal lv xafxov
elvai x
ai)rojLiaTia|.ioi)
avxcov
xivEcr'O^ai
xcv daxQcov,
wg
fj
vyg
xf)
jtEQi8ivr|ai
ijtdvxa
EauvEO'O'ai nveviiaxoq.
dati che
abbiamo
508)
di Lucrezio
ci lascia
d'Epicuro, ed infatti
5 sgg.) la
il
pone appunto
7,
APPBNDIC E
neQiaaoxsQC ocpiy^ai
x]v
ma non
jtaav
{)1t]v.
259
Che
o{, come
emendamento assai pi lieve;
basta cio leggere xal qw, ci che non neppure una vera
correzione, perch nell'archetipo le parole non erano divise.
cosa certa,
propone
Ma
il
basta un
Diels;
che interessante che Qovg termine proprio episi vede dai frammenti del libro II del JteQl cpuoecoq (editi dal Rosini, Voli. Herc. ^, II) di Epicuro, ove ricorre
pi volte, cfr. qui sopra p. 244. Altre singolari coincidenze
di espressione possiamo ritrovare con Lucrezio. Vedi infatti
le parole x 8 paQircata xai OTiv^aXi] xaxo) vEveuxvai, che
consuonano affatto con la vigorosa immagine lucreziana:
ci
come
cureo,
V, 495 sgg.
in
imum
LucR.,
II,
le
parole
x\\q
qpuoecog...
con
arcavcofivng
si
riferi-
sce al
toutou
ove
si
tt]v
cpvoiv.
debba correggere,
vi sia
Ma
io
un emendamento
Jiepi-
il
xi\y
si
assai pi lieve e
xvaiv invece jdi
un equivalente
di
ttiv
dOpoia^v
che
il termine tecnico epicureo, usato per questa congeatomi nel primo processo della formazione del mondo
(v. Ep. a Pitocie, 90). Che la testimonianza di Epifanio sia
poi attendibile nei particolari teoretici, credo si possa mostrare esaminandola parte a parte. Che il mondo secondo Epicuro siasi formato xat' rtQovoTioiav, ben noto, ed anche Lu-
rie di
non
si
si
Che
tutto
risolva principio
Con
ivi.
del-
EPICURO
260
Pu sembrar
cio
eivai
8^
anche
vnaQxr\q
ov
ix'qv
afxjiav.
si
II,
il
luogo
1115 sg.
dice in seguito,
oijpijtav
na-
mondo secondo
la dottrina
un
Vedi
V.
il
Epifanio.
il
APPENDICE
261
come mostrai
Bollettino di
filol.
classica,
due
XVII, 1910,
p.
135,
gi in
anche prima
altri passi.
*
* *
manca anche un
altro
il
testo
con-
V,
[se. xajxog]), ex
\izxa^o'kr\c,
xy\c,
.\'kr{kov
fxeyLcrTT]
yevTiT?
yzyyG^ai x ^wa*
ohe,
fisQT]
xal EvqijiiSt^-
xal
ixv vOpo^rcov
f|
8''UYQo|3A,OD(; ataYva<;
{>ec5v
ysveTojQ,
votiag
Che
mondo
Per
si
tratti
la lezione
dei
del
codici
(xa|xog)
-^y-tycoc,
EPICURO
262
'O^tqcv,
\iY\T:r[Q
piv
8'
8X yaiaq
qpiSvT' el?
yo^^oiv,
elq oiQdviov
'6A''^cyx8i
8'
ndXiv
r\Xiye
Yovfji;
jtov)
xoav Tc8Ei^8v.
Nec
Come
fetto
si
e se
vede,
il
parallelo
passo di Aezio
il
si
'
APPENDICE
si
visto
quanto adeguatamente
crezio abbia
263
vi si riferisca
^.
il
non
citare poeti,
xoDc,
V.
punto
vedi infatti
Usener,
p.
difficile.
i
119, 22
delle
in
Koi. u. Mrn., p.
luoghi
riferiti
Tieoi
dal Crnert,
120.
Rispetto ad Anassagora bene notare che, secondo DioVita di Epic, 12), egli era il filosofo antico pi
caro ad Epicuro, e di fatti si possono trovare diversi altri
cle (v.
^.
Una nota particolare merita la Sentenza Vaticana, 15, anche per un confronto con Orazio, che non credo sia stato scorto
ancora. Occorre anzitutto trascrivere il testo, perch quello
Naturahnento non
s. p.
195 n.
2).
Ed
infatti
ad ogni tratto l' Usener reca testiuionian/e in cui ricorre tale formula.
2 V. UsENKK, Epic, p. 173 n.
3 V. le mie note a.V Epistole a Pilocle. Sa alcune altro testimonianze, mancanti all' Usener, v. il mio studio, Sopra un frammento del comico Damosseno (Atti
dell' Jst. Lomb. di scienze e lettere A. 1917), ed una mia Nota recente ncj^li Atti della
R. Acc. di Torino, A. 1919.
264
EPICURO
ri'Qri
xai vn
av xe
wa3TEQ
fificov
i8ia ti[xc5|Xv, av
avx(bv
\ir],
(Weil)
te
xQr[ax e^cofAsv
(Wilamowitz: cod.
^r?ioiJ[X8'd'a)
av TneixEg woiv.
xcv nXac,,
On peut penser
mais je ne sais quel mot on
pourrait mettre la place de r\^r\ . La stessa difficolt si
presenta al Leopold che vuol togliere t^t], perch: bonis
moribus non invideri sed delectari solet.
Per ogni dubbio scompare, se si confronta questa sentenza
con la satira III del libro I di Orazio, che ne un ottimo
commento ~. L'argomento, come ognuno sa, il bisogno
charactre
r\{hf]?
aux origines de
famille,
dell'indulgenza reciproca.
Anche qui
si
dal Crnert,
ut tua rursus et
illi
(cit.
61, p. 419:
isti
Errori
nomen
virtus posuis
honestum
V. 68 sgg
vitiis nemo sine nascitur optimus ille est, Qui minimis urgetur.
Amicus dulcis, ut aequumst, Cum mea compenset vitiis bona; pluribus bisce. Si
modo plura mihi bona sunt, inclinet, amari. Si volet: hac lege in trutina poneset
tur eadem..
..
sgg
140
APPENDICE
tenga
ci
al
Ma non
medesimo verso
il
265
altrui:
difetti
vede
^-Qt]
fine,
intendere
Come
si
in
come
feci
40, 3) invece
che
8n;ieixer5
pro-
siamo disposti a
mentre giusta legge
tutti
ci
il
vedemmo: ed epicureo
il
come
gli amici,
sono
difetti;
Lucrezio,
cfr.
310
III,
sg.:
Nec
naturale
De
^
Ed anche
dopo
radicitus evelli
iras decurrat
il
falli
mala posse
acris, e vedi
parla di quell'ira
saggio.
valore
si
ad
minimi
XXXI,
il
massimi
^.
giudicavano di eguale
Da Epicuro
tolto
(v.
il
con-
Mass.
ancora dalla dotquadro dell'origine prima degli animali, e degli uomini nati della terra ed
incivilitisi nel lungo e penoso cammino deiresperienza (vedi
Lucr., V, 782 sgg.: Diog. di En., fr. IX, sgg. con le mie osservazioni ed integrazioni in Empedocle, p. 628 sg.). Abbiani
dunque una novella prova di quanto Orazio abbia tratto dal
saggio maestro degli orti.
cap.,
cfr.
Orazio, v. 98 sg.), ed
I8fi
Orazio,
ibid.,
78 s^j?.; cfr.
n.
1.
EPICURO
266
sentenze, o partitamente o
gi, in
qualsiasi forma, al
tempo
di
modo
dal confronto
Come
I, 2, 8,
^.
e.
31).
Vedi per altri rapporti fra Epicuro ed Orazio, il bello ed acuto studio del
[Colgo l'occaPhilippson, Horaz' Verhltnis zur Pliilosophie, Magdeburg, 1911.
sione di questa Appendice per aggiungere alcune note suppletive alla parte gi
stampata.
P. 35: l'autenticit dell'Epistola a Pitocle fu energicamente difesa
dail'Arnim in Encycl. Pauly-Wissowa, s. v. Epihuros, p. 138. Non tutti gli argomenti sono ora egualmente validi, dopo la revisione del papiro, cit. da me
a p. 35 n. 1, fatta dal Crnert; ma altri son sempre degni di molta considerazione. P. 73 n. 4: per le jii|3oXat, vedi ora anche Philod,, :7reQL ^aviag (pubbL
2
flSovcv jti|3oXd;:
quanto a
Stjohqtcov,
che in tale costrutto si trova gi nell'et di Senofonte e si fa poi sempre pi coP. 85 n. 3: osserva, quanto alla mia
(v. Madvig, Synt., tr. fr., p. 228 n.).
interpretazione di idXTjiiJiv 8 Exoojoav, che in Ep. ad Erod. 69 ricorre la frase
Exovxa I5ias 5iaAriipeis in senso atfatto analogo a quello da me sostenuto, cio
anche i aDfx|3|3T]Kxa possono essere conosciuti distintamente, bench in conP. 86 n. 1: ottima connessione con il tutto. Cfr. anche la mia n. 1 a p. 101.
ferma di ci che qui dico e della mia difesa del testo manoscritto, Lucr., IV,
230 sgg.
P. 100 n. 2: Xysxai fu proposto pure dal Hkidel, Amer. Journ. of Philol.y
P. 118 n. 3: un simile uso di jtt anche nel Testamento di Epic, 20
1902.
(UsBN., p. 168, 2), dove a torto l'Usener legge jtaQd invece di iri dei codd.
P. 132 n. 5: naturalmente rimane impregiudicato se debba leggersi cvyec^'kiyi^a.iy
P. 134 n. 5:
come propone l'Usener, o ovujtecpA.x'Oai come sarebbe pi regolare.
ora per son persuaso che l'Usener ha torto di porre queste parole in glossa,
e che si debbono conservar nel testo con la semplice aggiunta di un 5: xco
Tcv'kr\Giv Y^'^'^^^"'') "^ fAsv JtoA,) irgg gog xi qsTj^v, v w ndioxa jcegauvol :ri;n;xovOLv,
sl () (Cobet ?) jtQs 'kXxx'ka. Infatti l'Usener obbligato a supporre non solo
l'inserzione di una glossa, ma anche che sia spostata, dovendo riferirsi (v. n.
Usen., p. 47, 1. 19) alla fine del periodo precedente, cosa non probabile; per di
pi sarebbe singolare che l'autore di quest'epistola si fosse lasciata sfuggire
l'occasione di spiegar perch i fulmini cadano per lo pi sui monti. Vedi del
resto anche Lucf., VI, 191 sgg. 274 sgg. In tal caso la traduzione, secondo il
mune
APPENDICE
testo cos costituito, sar:
onde spezza
la
267
nube che non gli d modo di espanun qualche alto monte, ove
massimamente cadono
ovvio
quando
il
si
Gnom.
di
la terra
Zenone, e Lucr., V,
988].
INDICE
Avvertenza
pag.
Correzioni
Introduzione
vii
pa.
43
55
OPERE DI EPICURO.
Lettera a Mbnecbo
Massime capitali
Epistola ad Erodoto.
Introduzione. Argomento dell'epistola
Norme da seguirsi in ogni indagine
I.
II.
Principii fondamentali
71
.
73
Dell'universo e di ci di cui
si
compone
74
III.
80
IV.
L'udito e l'olfatto
87
V.
VI.
VII.
vili. I
IX.
mondi
89
97
101
105
Dei fenomeni
Epistola a Pitoclb.
X.
108
celesti
dei
fenomeni
celesti
115
EPICURO
270
I.
bia,
II.
III.
IV.
pag. 119
i22
130
134
139
145
arcobaleno, alone
cio,
V.
Testamento
tempo
di Epicuro
FRAMMENTI.
pag. 149
Sentenze Vaticane
Frammenti citati col titolo dell'opera a cui appartengono.
163
Casi dubbi
ivi
Piccolo compendio
164
Contro Teofrasto
Simposio
Del fine
Della natura
filosofi
in Mitilene
ivi
165
167
169
170
ivi
173
Ad Anassarco
Ad Apelle
Ad Ermarco
...
A Temista
Ad Idomeneo
A Colote
A Leonzio
A Pitocle
Lettera ad
ad una fanciulla
giorni supremi
un
Epistola dei
fanciullo o
...
ivi
172
ivi
ivi
173
174
ivi
ivi
175
ivi
271
INDICE
Frammenti
di
della conoscenza
...
paff.
175
180
ivi
182
VITA DI EPICURO.
Vita di Epicuro scritta da Diogene Laerzio
Altre testimonianze sulla vita di Epicuro
Appendice
Indice
pag. 193
...
219
223
269
0)
H
P
CQ
0)
KOMiflCAL INSTITUTE
Of
MEOIAEVAL SlUDIES
TORONTO-5, CANADA
17532
'
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