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http://www.archive.org/details/epicuroopereframOObari

FILOSOFI ANTICHI E MEDIEVALI


A CURA DI G.

GENTILE

EPICURO

EPICURO
OPERE, FRAMMENTI, TESTIMONIANZE
SULLA SUA VITA

TRADOTTI CON INTRODUZIONE E COMMENTO


DA

ETTORE BIGNONE

BARI
GIUS. LATERZA & FIGLI
TIPOGKAFI-EDITOKI-LIBUAI

1920

/75-J^

PROPRIET LETTERARIA

NOVEMBRE MCMXIX

53768

VXORI SVAVISSIMAE

evi

NOMEN EST OMEN


D. D.

AVVERTENZA.
Il

largo e vivo favore ottenuto dal mio Empedocle % mi

fu incitamento a raccogliere, in un'opera informata al mede-

simo

spirito,

risultati

dei miei studi su Epicuro

non mai
una

intermessi da circa vent'anni. Questo volume ne contiene

il commento delle opere, dei frammenti e delle testimonianze sulla vita, con un'Appendice ed
un'Introduzione critica, ove segnai i tratti pi salienti della
figura del maestro e della dottrina e discussi le questioni pi

parte: la traduzione ed

importanti riferentisi ai suoi

scritti.

Questa prima parte mi sembr anche pi urgente, perch


una compiuta traduzione dei frammenti e degli scritti di Epicuro non esiste in alcuna lingua, e parecchi testi anzi non
furon mai tradotti, neppur separatamente. Del resto non ne
abbiam neppure un'edizione che corrisponda allo stato presente degli studi. Gli Epicurea dell' Usener (Lipsia, Teubner
1887 ^j, sono bens una delle opere pi insigni prodotte dagli
studi classici nello scorso secolo, ma chi conosca le condizioni
precedenti dei testi epicurei e le estreme difficolt di lezione
e d'interpretazione che essi presentano, non si stupir che

1 giusto qui ringrazi


critici che ne fecero recensioni, ed in special modo
l'Accademia delle scienze di Torino che lo premi con il premio Gautieri.
2 L'edizione del 1887 fu riprodotta pi tardi con mezzi fotomeccanici, e perci
senza mutazione alcuna.
i

AVVERTENZA

vili

molto rimanga ancora da fare in quest'ambito ^


se

non

vi pagina, in particolar

modo

E veramente

nelle operette epicuree

conservateci da Diogene Laerzio, ove, in parecchi luoghi,


FQsener non abbia determinata la lezione genuina, con ammirevole acume, in passi profondamente corrotti, credo per
sieno ben poche le pagine, ove, in qualche luogo, non si debba
modificare il testo da lui adottato, o dimostrando l'esattezza
della lezione manoscritta, a torto abbandonata, o correggen-

dola quando non sia sanata ancora.


Per di pi gli Epicu-ea furon pubblicati nel 1887,

man-

cano perci di parecchi frammenti e testimonianze venuti pi


tardi in luce o sfuggiti all'acume ed alla vastissima dottrina
dell'autore.

queste difficolt ho cercato provvedere,

sottoponendo

ad una laboriosa nuova recensione, come pure non


minor cura ho posto nel commento, pur dovendolo contenere

il

testo

entro

limiti di spazio

concessimi dalla natura di questa col-

perch un compiuto commento dei testi epicurei


manca e non meno^ indispensabile d'una traduzione ^. Dei
lezione;

1 Con ottimo pensiero perci la Societ Reale di Napoli ha indetto un concorso con cospicuo premio, per una nuova edizione di tutto quanto possediamo
d'Epicuro e per uno studio sopra la sua dottrina.
2 I frammenti, 70, non contenuti negli Epicurea son segnati con asterisco:

quanto alla critica del testo, il mio differisce da quello dell' Usener in circa centocinquanta passi che sono indicati e discussi nelle note: negli altri luoghi seguii
quello dell' TJsener, o, quando si tratti di frammenti non contenuti negli Epicurea,
quello indicato volta per volta. Qualche altro nuovo testo spero di poter dare
prossimamente con adeguato commento.
Si badi che l' Usener rec insieme commisti i frammenti e le testimonianze,
pur distinguendoli con diverso carattere tipografico naturalmente io intendo quali
frammenti solo quelli che rechino parole testuali di Epicuro e non notizie indirette sulla dottrina. Nelle mie citazioni dei frammenti indico il numero che
hanno nella mia raccolta; in quelle delle epistole, i numeri dei paragrafi segnati
in margine. Con la sigla FHG, designo i Fragmenta Historicorum Graecorum del
MLLER (ed. Didot): con Doxogr. i Dossografi greci editi dal Diels (Berlin, Reimer,
1879). I frammenti e le testimonianze dei presocratici son citati secondo la terza
edizione del Diels (I9ia), e queste ultime son designate con la sigla consueta A,
:

cui segue

il

numero

ivi corrispondente.

chiudon parole supplite da me o da altri nel testo greco per colmare le lacune, o quelle che vi corrispondono nella traduzione: quelli [] parole
aggiunte da me a chiarimento nel tradurre.
I

segni

< >

AVVERTENZA
lavori d'altri, ove

ma

me

IX

ne valsi diedi notizia volta per volta

solo in qualche luogo pi notevole indicai le interpre-

tazioni date dagli altri che

Auguro a questo volume,

mi parvero

errate.

lunghe e pertinaci ricerche, il sincero e caldo consentimento dei lettori che non
manc a quello su Empedocle: dalla parte mia non risparmiai fatica per corrispondervi quanto meglio potessi.
frutto di

E. B.

CORREZIONI
1 1.

28

leggi: Ai

15, dall'alto,
6,

dal basso,

35 15,

50 6 e

7,

51 25,

Chrysippus)

alcuno

dal basso, togli: assoluto

leggi: Yi^verai, e

57 7 sg., dall'alto, togli


(>4

non

segni

<

28,

1.

Cic, Nat. deor.

>: (v. n.)

21, dal basso, leggi: correzione, e

sg. vr\Qr[y.)g

1.

65 22 e 24, dal basso, leggi: gnomologio


78 22, dal basso, leggi: possano
80 17,

Tfig

80 26,

opporr

Us.) <Jt8Ql

83 18,

ovfiJttt'd'eCag

100 22,

aX

111

"

"

Illb,

5,

[il
1.

134 17,
147

1,

e votoei

richiamo di questa

n.

va posto a

oppure per un vento

Metagitnione

Alcune importanti note suppletive, a


94, 3; 100, 2; 118, 3; 132, 5; 134, 5;

T5v vTcov

11 dall'alto].

traverso

dall'alto, leggi:

%y\c,)

p. 35;

56,

sono in Appendice,

1; 73, 3; 76, 2; 85, 3; 86, 1;


p. 229 n. 1: 238 n.: 266 n. 2.

INTRODUZIONE

Fra

tutte

opere di Epicuro conservateci da Diogene

le

Laerzio, l'Epistola a Meneceo


la

migliore.

Non mancano,

senza dubbio, letterariamente

vero,

anche nelle Massime cacon arte a

pitali e nei frammenti, pensose sentenze espresse

d lume e vigore l'acuta scelta e disposizione delle parole;


poich sbozzare in forte rilievo una massima riesce talvolta anche a scrittori trascurati, pi c'interessa l'amorosa
cura e la compiacenza d'effetti d'arte che egli dimostra nel
comporre questa lettera. E se ne atteggia una figura d'Epicuro scrittore diversa dal giudizio che ne diedero gli antichi e
daremmo noi pure, se solamente avessimo di lui V Epistola ad
cui

ma

Erodoto. Epicuro,

si

dice dagli antichi, fa scrittore inelegante

riprendono d'enfasi un poco grossolana, d'usare


espressioni grevi e strane, di sprezzare l'arte dello scrivere
e non di saper comporre con bel ritmo i periodi. Cicerone che non sembra l'abbia letto molto,
reca qualche giudizio
contradittorio
ora dice che non gli muove accusa perch

ed aspro:

lo

manchi di quell'eloquenza che gli grata in un filosofo, ma


non stima per necessaria, purch riesca perspicuo; ed Epicuro, osserva egli, di chiarezza non manca; ora invece lo rimprovera di scriver confuso ^ Epicuro stesso non sembra
1

Cic, De

El'ICUKO.

fin., I, 5,

14 sg

De

nat. deor.,

I,

31, 85;

De

fin., II,

6,

18; 9, 27 sg.

EPICURO

pretendesse ad altro che a chiarezza e precisione ^ Ai suoi

Ad una sola meta tende lungo e breve


ed altrove ammonisce: Ripudisi la fanciullesca
ricerca di euritmia nello stile, che, invaghita di minuzie,
perde di vista le cose serie ^. Della sua lotta contro l'arte
discepoli ricordava:

discorso

-,

retorica son giunti a noi copiosi gli echi nell'opera di Filo-

demo

Sulla retorica. Che Epicuro tuttavia sia scrittore perspicuo sempre, non sarebbe giusto affermare. Non solo per difficolt di dottrina o per corruzione di testi manoscritti, le opere
sue sono fra le pi difficili che ci abbia lasciate l'antichit. Il
yo?, il pensiero filosofico, che in Platone era alata parola
d'arte, nei filosofi che vennero dopo Aristotele, opera d'iniziato e di tecnica spesso astrusa. Platone sa tutto esprimere,

anche

ragionamenti pi

sottili,

con l'agevole freschezza di

chi parla, e parla egli ai bei giovani della palestra, con bocca

con la melodiosa grazia della lingua greca, ancor


prossima alla poesia che l'accende di lume e d'ardore, mentre
si atteggia piana e candida nelle nuove eleganze della prosa
che in Atene riceve la cittadinanza del mondo. Ma gi in
Aristotele la parola filosofica ha perduta questa divina giovent: i fiumi d'oro del suo stile, tanto cari a Cicerone, egli
per i suoi disceli riserbava ai libri d' indole pi popolare
poli scriveva compendi di lezioni e manuali disadorni, ove
appena a tratti splende qualche luminoso pensiero espresso
in scorcio di nitida forza. Egli ha appreso ai filosofi che verranno dopo lui ad avere due stili e due maniere una inattica, e

condita e rude per

gli scritti tecnici o di scuola, l'altra or-

nata e composta in armonia per le opere destinate ad un


pubblico pi vasto. Ora tra le opere di Epicuro la lettera ad
Erodoto appartiene al primo genere, quella a Meneceo invece al secondo. sempre lui che parla, con le sue fiducie
salde,

con voce un poco greve e non melodiosa, senz'agii! mo-

V. Vita di Epic,
V. Sent. vaU, 26.

% 13.

3 V. la sentenza del gnomologio d Heidelberg, posta da


Sentenze vaticane {Sent., 82).

me

in calce alle

INTRODUZIONE

venze: v' infatti nel suo carattere e nella dottrina una borghesia di spiriti, conforme del resto all'et ellenistica^, che
lo divide per sempre dalla grande arte classica. Ma vi suona
una nota di passione nuova: egli qui non vuole pi solamente
insegnare, ma persuadere; vuole informare un'anima a vita
bella, austera e saggia.

Le grandi anime epicuree > diceva Seneca ^, non le fece


ma l'assidua compagnia d'Epicuro ; ed in queste
brevi pagine rivive veramente la figura di questo vecchio che

la dottrina,

parlava della
poli

felicit con voce severa e porgeva ai suoi disceun godere sobrio con mano prudente. E v' pure una

ricerca d'effetti in lui insolita.

periodo e la frase appaiono

Il

spesso studiati amorosamente, e le sentenze sono espresse in

modo che rimangano ben

salde e ferme nel ricordo. Vi

si

sente l'antica tradizione stilistica greca che procede da Gor-

gia ad Isocrate.

Il

maestro di

stile

nella prosa greca era stato

pu dire cominci
tendeva a sostituire
l'antico rapsodo: veniva anch'egli per lo piti di lontano, da
quel mondo ionico ricco di secolare sapienza, ma non recava
pi bei canti di epopea e di eroi la sua saggezza fioriva invece
in eleganti discorsi cari agli attici, era maestro di virt molteplice e di accorta prudenza civile. Con l'aedo, figlio d'una civilt ormai dechinante, egli veniva per a gara d'arte; e se
aveva rinunziato al fascino del verso numeroso, sapeva comporre il pensiero in una prosa ritmata ed armonica che piacesse
agli EUeni avidi di bellezza. E come ai Greci, nell'et classica,
l'artifizio del leggere non fu mai caro, ma sempre amarono
il discorso udito dalla bocca dell'oratore o serbato nella memoria fedele, la nuova prosa, in aiuto della memoria, sostituiva al ritmo del verso un ritmo suo, ancor numeroso ed
elegante, ma d'un'altra maniera. Perci la prosa sofistica
tutta contesta di suoi ritmi, ricercati pazientemente per aninfatti

con

Gorgia, e la prosa d'arte greca

Sofisti.

Nella vita attica

il

si

Sofista

Vedi su questi

a. XI, col. 309


2

Sen., Ep.,

sgg.
6, 6.

spiriti della filosofia

epicurea

il

mio studio

in

Atene

Rome,

EPICURO

4
titesi accorte,

volute assonanze, equilibrio studiato di

membri

e di frasi rispondeiitisi, che formino quasi nuovi versi logici,

che l'orecchio coglie compiaciuto e la memoria serba fedele.


E dell'arte di Gorgia non neppure ignara la prosa di Tucidide. Quanto ad Epicuro, egli aveva passata la prima giovinezza nel

mondo

ionico in cui rimanevano le ultime tra-

dizioni del periodo dei Sofisti; Nausifane, che se

non

gli fu

maestro certo ebbe scuola e fama quando Epicuro era ancor


giovane, aveva cara la retorica dei Sofisti, ed Epicuro, combattendolo non pare si sia sempre dimenticato dell'arte del maestro celebrato ai tempi della sua giovent. L'Epistola a Meneceo
perci curata con singolare compiacenza di stile. Non di
rado il periodo scandito con sapienza d'antitesi ed artifizio
di contrapposti, parole affini o consonanti sono accostate ad
arte il maestro che proclama di bandire con libera voce gli
oracoli della natura ^ ferma cos nel ricordo i suoi dogmi in
parole salde e in sentenze profondamente incise, ove permane
la sicurezza d'una persuasione che i secoli non hanno ancora
;

estinta.

motto caro ad un altro filosofo: aliis laetus slbi sanon potrebbe applicarsi ad Epicuro. Ricorre nei suoi
frammenti qualche eco di gaiezza rumorosa, ma vi suona
Il

piens,

male; la vita epicurea non conosce l'agile gioia spensierata, la


piovxQovog fi8ovri che fiorisce l'istante, cara ad Aristippo. E non
senza ragione a Seneca la filosofia di Epicuro pareva sobria
ed astinente, ed, a riguardarla da vicino, non scompagnata
da tristezza ^. Di un epicureo d'altra natura, del Montaigne,
pot dirsi che per le opere sue la gioia di viver sulla terra
s' fatta pi agile e pi vivida. Epicuro invece insegna ai
suoi

una

noscente

gioia pi meditata, profonda e sopratutto pi ricoal

nostro passato.

Non

il

giovane, scrive

vesi stimar felice ed invidiabile,

ma

vita bella; perch

culmine del suo

il

giovane,

lubile ludibrio della fortuna:

V. Sent. vaU,

SBN.,

Ad

il

al

il

egli, de-

vecchio che visse una


fiore,

vo-

vecchio invece alla vecchiezza

29.

Gali, de vita beata, XII, 4: XIII,

1.

INTRODUZIONE

e quei beni che prima ansioso


dubitosamente ha sperati, ora tiene a s avvinti in saldo
riconoscente ricordo ^ Lo spirito dell'et ellenistica ben
vivo in questa sentenza! Orbene, quando Epicuro parla della
sua dottrina nella lettera a Meneceo, la sua voce giunge a
noi veramente come da un porto precluso alle tempeste della
passione, e non v' neppure la superba gioia di Lucrezio

come a securo porto approd,

che dalla terra contempla i procellosi flutti da cui l'ha difeso la sapienza del maestro; v' invece una sicurezza austera
e pacata, in cui suona un accento profondo di simpatia umana.
Appena l'attraversa qualche moto di ironia fuggevole, tutta
pervasa

da una eloquenza grave

e solenne. Cicerone far

esporre dal personaggio del suo dialogo la morale epicurea

con ampio eloquio romano, pi scoperto, numeroso ed un poco


forense; ma non sapr pii ritrovare quell'intima passione
quasi accorata, quell'accento d'ambiziosa e ferma certezza, che
ha Epicuro, d'essere un rivelatore di nuovi valori morali, e
d'aver per primo insegnato alla vita la gratitudine reverente
per la felicit concessa dalla Natura. In queste pagine dunque
possiamo veramente coglier nel vivo un'eco di quella vita epicurea che attrasse spiriti cos disformi in diverse et
anime
poetiche ed ardenti, come Lucrezio; accorti e squisiti goditori in tempi fortunosi, come Attico fieri assertori di libert
civile, come Cassio; ingenui borghesi, come quel Diogene di
Enoanda che, nel fine dell'et classica, fece incidere, con ostentata compiacenza, gli scritti del maestro accanto ai propri
nella pubblica piazza di un borgo provinciale. E son pagine
queste che serbano ancora dello spirito greco le nobili proporzioni delle forme e la chiarezza dell'ordine: sono perci
fra le meno difficili di quante restano di Epicuro.

V. Sent. vai., 17,

EPICURO

li

Con

l'Epistola a Meneceo, le

Massime

capitali (nvQiai 8|ai)

costituiscono la fonte migliore da noi posseduta sulla morale

epicurea, e son tanto pi preziose quanto

numero

delle opere perdute di

pii grande il
Epicuro su questo argomento.

Epicuro infatti non appartiene a quella schiera di filosofi, cosi


numerosi nell'antichit, che poco o nulla scrissero, o scelsero, come Platone, la form'a pi prossima al conversare, il
dialogo, detto perci da un antico ^ il figlio della filosofia,
parendo loro che il ^tyog, pur nella sua significazione intima

come

nell'origine della parola,

non

si

rivelasse nella sua fe-

condit perenne se non nella meditazione personale o nella


discussione viva, e che

un

trattato.

E neppure

pre rinnova
l'eresia,

le

almeno

si isterilisse

egli

am

nelle

forme dogmatiche di

l'indagine irrequieta che sem-

sue costruzioni di pensiero, suscitando se non


la libera ricerca nei discepoli. Egli

affermato dovere

il

saggio

che aveva

non avvolgersi
pensiero un monumento

dogmatizzare

nel dubbio^, volle lasciar del suo


compiuto, ben disegnato nelle sue opere capitali, a tutti accessibile per brevi riassunti, per ammonizioni e per concisi precetti nelle opere minori. Per i neofiti aveva preparato larghi e
compiuti compendi del sistema ^ agli iniziati porgeva accorto
pi concisi sommari delle dottrine principali'*; agli uni ed
agli altri raccomandava di apprendere a memoria i precetti
pi salienti ^ gli amici e i lontani ammoniva con lettere, iniziando cos quel compito di direttore spirituale delle coscienze
;

Lue, Bis accus.,


V. Vita di Epic,

28.
121.

V. il Grande compendio (\ieydk'f\ nixonf)) citato spesso negli scolii dtl'Epiad Erodoto.
* Tale appunto l'Epistola ad Erodoto, come avverte Epicuro stesso in principio. V. mie n. ad l.
6 V. Ep. ad Er., 36, 45, 83; cfr. Ep. a Pitocle, 85; Vita di Epic, 12; Cic,
3

stola

De

fin., II, 7, 20;

Acad.,

II, 38.

INTRODUZIONE

che ebbe poi tanta fortuna neir impero romano \ ed a cui


Seneca rivolse tutta la sottigliezza del suo ingegno scaltrito
nella conoscenza degli uomini e della complessa anima
umana. Ai suoi discepoli infatti Epicuro voleva esser presente
sempre con la parola e col ricordo: Dobbiamo prediligere,
diceva, una bell'anima e sempre porcela dinanzi, per vivere
come se ci contemplasse, e fare ogni cosa come se ne fosse
spettatrice , ed altrove: Opera sempre come se ti guardasse
Epicuro 2. Da ci il bisogno di diffondere il suo pensiero, facendone un sicuro porto agli spiriti inquieti, precludendo i
dubbi e gli errori, stringendo le menti con una fitta rete di
teorie e ammonimenti, che rispondessero ad ogni intima domanda degli animi dubbiosi. quindi naturale che egli avesse
pensato di porgere ai suoi fedeli un manuale, ove i principali
punti del suo sistema fossero raccolti ed ordinati in brevi ed
efficaci massime, affinch fosse per loro quasi un consigliere
presente sempre, e riecheggiasse la parola del maestro. Anzi,
pi di un manuale di tal natura compose, perch, oltre le
Massime capitali^ almeno due delle opere di Epicuro, annoverate dal suo biografo, ebbero forma aforistica^; ma il vero
libro d'oro degli epicurei, furono veramente le Massime capitali, di cui ora ci conviene discorrere.
Questa raccolta ottenne mirabile fama per tutta Tantichit. Diogene Laerzio la colloca a coronamento dell'opera
sua: perch, scrive egli con candido ardore, il termine possa
essere l'inizio della felicit *; Filodemo la cita come uno
dei testi capitali ^; i discepoli di Epicuro s'erano adoperati a

giKii,
il

V. Martha, Les moralisies sous l'empire romain, Paris, 1900^,

La

rdligion

Martha quanto

Epicuro

mondo
2

romaine
il

d' Auguste

aux Antonins,

1 sgj;.;

G. Bois-

IP, 1900, p. 25 sg. Per, tanto

Boissier, dimenticano di mettere in luce la precedenza

in quest'arte di direttore delle coscienze, di cui fu

il

di

primo maestro nel

classico.

V.

fr.

54-55.

Vedi nell'elenco delle opere di Epicuro (in Vita di Epicuro, 2S) Bei sensi
interni: massime a Tiinocrale; Delle malattie: massime a Mitre. Sull'ultimo
titolo (jt. vocov) V. mia n. ad toc.
* Vita di Epic, 138.
6 PniLOD., De ira, col. XLIII, 18 sg-, Wilke.
3

EPICURO

mantenerne puro da corruzioni


ogni tratto vi

riposata del maestro degli


bri

>

^.

testo

il

N manc

lo dice

orti,

gli

^
;

riferiscono; Luciano, che

si

avversari ad

amava

il

la filosofia

pi bello dei

li-

a questo volumetto la ventura singolare di

essere arso sulla pubblica piazza da quello spirito bizzarro

d'impostore e taumaturgo che fu Alessandro di Abonotico,


quale ne gett in mare le ceneri per disperdere e soffocare cos la libera voce deirantico ilosofo ^.
Ne questa fu l'ultima ventura toccata al manuale della

il

saggezza epicurea: perch nell'et moderna fu messa in dubnon l'autenticit delle singole massime, almeno quella
della raccolta in s come opera di Epicuro, considerandola invece come un estratto da varie opere di lui, fatto senz'ordine
e discernimento da qualche discepolo posteriore.
Ad un epicureo fervente questo dubbio sarebbe sembrato
certo doloroso, ed a malincuore si sarebbe indotto a credere
che quel volume, su cui meditava i detti di Epicuro e tebio, se

neva seco come un manuale di direzione intima, non fosse


opera sapiente ed armonica del maestro, ma confusa compilazione di un ignoto. Ed infatti Plutarco opponeva come il
colmo dell'assurdit, contro il concetto epicureo delle formazioni naturali, l'impressione di sdegno che avrebbe provato
un epicureo, se gli fosse stato detto che quelle Massime capitali, che erano quasi la sua bibbia, non erano state scritte da
Epicuro per i suoi discepoli, ma che il libro si era composto
da s senza disegno prestabilito, per semplice aggregazione
di parti

^.

Tuttavia questa opinione, posta innanzi dal Gas-

sendi e rimasta lungo tempo quasi obliata fra le pagine del

poderoso in

folio del filosofo francese

ampiamente dall'Usener,
1

V. infra,

Lue, Alexandr.,

p. 26, n.
e.

V. Lue,
Plut.,

l.

e svolta

wg

otO'd'a, xcov

[3i(3A,icov >al

KecpaXaicoScg

by\x,axa.

cit.

Be Pythiae orac,

yQa-^s xq nvQiaq
oijxio jtQg

venne ripresa

dotto e diligentissimo raccoglitore

47: t xd-liOTov,

jieQixov TTJg xvQq ooq^Cag

il

^,

-ixv

11,

'EjtiKoyQoq,

399

p
(5

E:

jtel

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Bi^d^s, 5|ag, XX'

el:Tetv

xvx't\q

rsgov, q ovk

koI avxo\ix(o''

XXr\Xa xcv yQa\i[i,x(oy oviinsavxcov 7isxsXa'&r\ x pipiov.

V. Gassendi, Animadv. in D. L. de vita

et philos.

Epic, Leid.,

1642, p. 1(^93.

INTRODUZIONE

Dopo TUsener, la sentenza parve


comunemente, bench il Giussani
l'avesse messa in dubbio in una nota dei suoi studi su Lucrezio ^. Perci, alcuni anni or sono, mi accinsi a dimostrarne
Terrore, in uno scritto, che, come accade di quelli pubblicati
in atti di accademici, rimase ignoto a molti, onde ancora il
giudizio deirUsener s'usa ripetere ampiamente ^. Ed a riasdegli scritti di Epicuro ^
fu ripetuta

definitiva, e

Epicurea, p.

Studi lucreziani,

xr.iv sg'g'.

p. xxxi.

mio studio Sulla discussa autenticit della raccolta delle KVQiai b^ai
di Epicuro in Rendiconti del R. Istit. Lombardo di se. e lettere, serie II, 1908, p. 792
sg-g. Il Nestle, recensendo questo mio studio in Wochenschrift fr hlnssiche Philol.,
1908, col. 230 sgg dopo aver riassunti i miei argomenti, conchiudeva dichiarando
che se io non avevo arrecato una prova assoluta dcirautenticit delle y.vQiax 6|at,
avevo per considerevolmente indebolito le argomentazioni dell' Usener intese a
provarne la non autenticit. Se non che una speciale prova della autenticit di
esse non si pu pretendere, n ero io tenuto a darla: essa risulta infatti da
tutta la tradizione antica che su ci concorde Chi del resto ha mai domandato
3

V.

il

o recato alcuna prova dell'autenticit d^.lV Epistola od Erodoto o di quella a Mftiecen, non bastandogli l'essere esse citate col nome di Epicuro, come appunto, e ben
pi spesso, sono citate col suo nome le y.vQiai 6|ai, che per di pi sono anche
poste nel catalogo dei libri di Epicuro da Diogene Laerzio?
agli avversari recare la prova della non autenticit.

Mi pare

stia

su questo punto

dunque
le

argo-

mentazioni dell'Usener, credo, reggeranno anche meno ora, se mi riescila, come


spero, di dimostrare che anche l'unico argomento dell'Usener che non avevo
direttamente dimostrato falso, cio la questione del disordine, cade esso pure,
perch le Massime capitali, a studiarle bene, appariscono ordinate secondo un
disegno prestabilito, in ogni loro parte. Del resto prove di non lieve valore per
confermare che Epicuro stesso scrisse appositamente le massime per questa raccolta, e non furono tolte tutte da altre opere di lui, gi recai nel mio scritto citato
sopra. Ed anzitutto che Diodoro, il quale nacque meno di duecento anni dopo
Epicuro, non solo le cita coin di Epicuro, ma bada di precisare che il loro titolo
venne da Epicuro stesso (Diod., 1. XXV, fr. 1 Dindorf), e Filodemo, illustre epicureo e dottissimo, allude a coloro che scrissero contro le Massime capitali, indicando chiaramente che si egli come gli altri consideravano questa come un'opera
particolare di Epicuro e non come un centone degli scritti del maestro. Si noti
ancora che mentre gi gli antichi posero in dubbio l'autenticit di altre opere di
Epicuro, nessuno mai pose la raccolta frale opere spurie. Per di pi le massime che
la compongono sono citate frequentemente, ma nessuna riferita come appartenente ad altra opera, mentre proprio tutto dovevano ricorrere negli altri scritti
di Epicuro. Una prova indiretta si potrebbe anche desumere da un framniento di
Filodemo (pap. 1005, col. Vili) in cui (I. 18) il Crnert (Kol. u. Men., p. ii4) recentemente, in parte lesse in parte integr: ^Xe|ev (Zenone) 6 xal [ex xcv jiivelYQan(ivcov [xuqIcov o'Icv vta^ Infiliti Zenone, uno dei caposcuola dell'orto epicureo,
non avrebbe intrapreso a purgare da qualche interpolazione questa raccolta, se
essa non fosse che un centone senza autorit alcuna. Ma per vero su questo testo
non ci si pu fondare in nessun modo, perch che vi si pftrli delle xuQiai 6^at
semplice congettura.

10

EPICURO

le argomentazioni gi da me svolte allora, aggiungendovi nuove ricerche, non mi muove tanto l'aspetto
generale della questione (che potrebbe anche parere di valore
secondario) quanto i suoi rapporti con la dottrina epicurea;
perch le ragioni proposte dairUsener derivano spesso da

sumere ora

non

retta interpretazione di parecchie fra queste massime


(onde alcune parvero doppioni di altre) o dei reciproci rap-

porti delle teorie epicuree.

TUsener fonda
non sarebbero trattati

Gli argomenti su cui

questi:

anzitutto

il

suo giudizio son

in questa raccolta

alcuni punti fondamentali della dottrina epicurea, laddove vi


si

svolgerebbero teorie affatto secondarie; per di pi vi ap-

parirebbero sentenze che sono


raccolta poi dominerebbe

inutili duplicati di altre

nella

maggior disordine; finalmente


alcune sentenze sarebbero tolte da lettere, serbando il caratil

tere dello stile epistolare.

L' ultimo argomento veramente di lievissimo valore.


Che in qualche massima si rivolga la parola al lettore in seconda persona ^ non vuol punto dire che esse sieno tolte da
un'epistola. Numerosissimi aforismi hanno tal forma, e non
furono scritti per aver luogo in una lettera. Ed ogni traduttore, antico o moderno, che abbia a tradurre detti d'Epicuro,
si serve di tal forma, quando pii gli convenga, anche quando
nel testo non l'abbiano. Pi singolare potrebbe apparire invece che in questi aforismi non si tocchi della fisica. Ma osservai gi che, essendo questo un criterio prestabilito del raccoglitore, non si pu negare se se lo sia proposto Epicuro
piuttosto che un discepolo. E del resto un libro di massime

vuole vi

materia che, pure svolta in aforismi, rile dottrine fisiche hanno bisogno
di minute dimostrazioni che in una sentenza non possono
aver luogo. Epicuro perci in questo libro presuppone conosciuta la sua dottrina fisica, ne raccomanda lo studio, ma
non ne enuncia i singoli punti, perch non crede in succinti
sulti

si

tratti di

per s perspicua, laddove

V.

p. es.

Mass. cap.,

queste argomentazioni

XXV. Per una

dell'

Usener,

pi minuta confutazione di alcune di

v. lo studio citato.

INTRODUZIONE
aforismi possano apparire perspicui

aveva

11

per la fisica del resto

compendi ^
poi rUsener crede che Epicuro

scritto speciali

torto

in queste sentenze

tocchi argomenti morali che nella dottrina epicurea avessero

valore affatto secondario. Tale sarebbe ci che

XXXII

XXXVII

Ma

si

dice nelle

prima
ho mostrato come Epicuro combatta ivi
una dottrina che aveva gran favore presso altre scuole filosofiche dell'antichit, onde ad Epicuro tornava utile dimostrarla errata. Del resto lo stesso epicureo Ermarco, l'immediato successore di Epicuro, ritorna con compiacenza su
questo medesimo tema. Quanto alle sentenze XXXVII sg.
(ove si stabilisce che essendo le leggi fatte per l'utilit socievole, esse avranno valore razionale ed obbligatorio solo
se a questa utilit corrispondono o fin quando vi corrispondono) rUsener obietta che, dissuadendo Epicuro il sapiente
dall'occuparsi della vita politica, doveva considerare questi
precetti come di utilit affatto secondaria. Per gi osservai
che Epicuro non impone sempre al saggio di astenersi dalla
vita pubblica ^, e del resto, quand'anche dovesse di politica
non occuparsi, doveva avere un concetto ben chiaro della validit razionale delle leggi, e dei loro limiti, perch egli, se
pure non fosse chiamato ad applicare leggi o sancirne, doveva esservi sottoposto. Forse che a Socrate, l'ideale figura
sentenze

sgg.

nelle note

alla

di queste sentenze

del saggio greco,


sulla

quando

nel

Critone ragiona nel carcere

opportunit di sottrarsi alla legge od obbedirvi nelle

ultime conseguenze, non importava direttamente determinare


fino a qual limite fosse,

mando?
studiai

Ed appunto

secondo ragione, imperioso


il

altrove, dimostra con quanto ardore fosse

in Grecia, la tesi, cara a Platone, della validit

il

recente papiro antifonteo,

loro co-

che io
discussa

suprema della

Particolarmente il Grande compendio e VKpislola ad Erodoto.


11. a Mass. cap., VII.

V. mia

Infatti alcune delle riserve

che fa F.picnro nel suo libro Casi dubbi, circa


dovevano con o^ni probabilit fondarsi sulla dottrina esposta in questa massihia (v. fr. 2 e mia n. ivi).
8

il

conte}i:no del sag'nio in rapporto alle lejrgi,

12

EPICURO

le^ge intesa

come Tanima

intelligente e la sacra tradizione

della citt ^

Pi importanti invece, per i rapporti con la dottrina di


i due ultimi argomenti dell'Usener, Tuno sui
presanti doppioni, l'altro sopra il disordine della raccolta
stessa. Di questi due argomenti conviene trattare insieme,
perch ambedue dipendono dall'interpretazione delle singole
massime, e su di essi mi fermer di pi, perch credo di
poter aggiungere molto a quello che gi dissi nello studio
sopra citato.
Che le prime quattro massime siano a posto e nell'ordine dovuto, riconosce anche l'Usener; infatti esse riassumono
Epicuro, sono

principii fondamentali della

ponenti

quadri farmaco

il

morale pratica

(t)

di

xetQacpdQfxaxog),

Epicuro, com-

ossia

quattro

rimedi a cui sempre dobbiamo ricorrere come conforto e sicurt per vivere felici. Dice in proposito un testo epicureo,
conservatoci dai papiri ercolanesi ~: Sempre ti sia sussidio
quadrlfarrnaco: che la divinit non deve recarti timore

il

[= Mass.
cap., II];

che non paurosa


che agevole a procurarsi

cap.^ I];

cap., Ili]; e facile a sopportarsi

la
il

morte [= Massima
bene [= Massima

male [=Mass.

il

cap., IV] .

Queste quattro massime son dunque la costellazione luminosa


a cui l'epicureo dovr fissar sempre lo sguardo nella sua vita,
come indica il maestro stesso, quando ritrae la figura ideale

mio studio su Antifonte

V.

Papiro

il

3Ius., 56, p.

>tal jravTaxfji staQsrefAsvov

xal Tya^v

Nuova

sofista in

rivista storica, 1917, fase. III.

(secondo le ultime letture del Crnert in Rhein.


617 e in Kolotes und Mcnedemus, Lipsia, 1906, p. 190 s. v. Epikur):
ercol., 1005, col. 4

|xv ev>ixy\xov,

fi

xsTQaqpdQixax.oi;

x 8 68lvv

q)oPov

"d-sg,

^-/tHaQTQifiTov.

vxJJtojtTov O-dvaxog,

Anche

lo

scrittore epi-

cureo pubblicato dal Comparetti in Museo italiano di antichit classica, 1834, voi. I,
p. 67 sgg., dopo avere in simil modo esposto queste quattro dottrine (v. col. XV,

UsENKR, p. 68 sgg.), osserva che per la loro importanza capitale sono poste
capo delle KVQiai 5|aL di Epicuro. [Il testo citato sopra credo ci porga il modo

cfr.
a.

di integrare in

maniera probabile

la

colonna

del jieqI |xa[via5] di Filodemo, pub-

blicato da D. Bassi in Rivista di Filologia, 1917, p. 460, ove supplisco cosi le 1. 5


5L xf[q evsK'x,aQ\xeQ'i]aea)q y'-'v^t^C"-] JtQxeiQOv [xg iisyiaxaq ]Xy'Y]bvaq vjibqsg.
:

Epic, Epist. a Menec,

129). Cos pure nella colonna 2* 1. 5 sg.


xv [xlvuvov 6La]X,i^i|)ta5 fiQxi^oOaL: per la parola
Sta^THJiag, particolare a Filodemo, v. i luoghi citati in Philod., Voli. Rheth., II,
p. 305 e nel rifacimento del Crnert del lessico del Passow, sub v.]

[jSaiveiv (cfr.

supplisco: xv] cpi3ov ex

xfjq (tteqI

INTRODUZIONE

13

del sag-gio neV Epistola a Meneceo: Chi credi tu prevalga a

ha reverente opinione degli di, ed impavido semil fine secondo natura, conoscendo
come il limite del bene ha facile compimento ed agevole abbondanza, ed il limite dei mali ha breve tempo o doglia? .
Su queste sentenze non vi pu essere adunque dubbio circa
colui che

pre di morte, e sa quale

l'opportunit di esse e sul loro ordine: per le rimanenti invece

rUsener crede

sia palese un assoluto disordine, e che vi si


scorgano numerosi doppioni ^. E veramente a riordinarle si
erano ingegnati, qua e l, gli editori, senza riuscire a buon
fine; ed io stesso, nel mio scritto citato sopra, pur combattendo le altre argomentazioni deirUsener, ammettevo che un
qualche disordine si ritrovasse in questa raccolta, cercando di
mostrare in qual modo potesse essersi prodotto nelle diverse

edizioni di essa. Per, quanto pi studiai


scritti epicurei,

altra causa che l'inesatta

e gli

interpretazione di parecchie fra

queste massime, laddove, se bene

ognuna ed

Targomento

m'accorsi che l'apparente disordine non aveva

rapporti

piti

si

determinasse

il

senso di

intimi e riposti con le varie dottrine

si veniva componendo
deve stupire che i singoli nessi e l'intero
disegno non risaltino a prima vista. Se tutte queste sentenze
formassero una catena strettamente connessa di proposizioni
logiche, congiunte da reciproci rapporti, n mai dovessimo
supplire alcun termine intermedio, non avremmo pii una
raccolta di aforismi ma un vero trattato. Ogni aforisma invece in verit un frammento, e chi ne compone un
libro ricerca quell'intima poesia che dei frammenti propria, e che rivive nella curiosit quasi simpatica del lettore, che d'ogni massima indaga le suggestioni riposte, collaborando cos con l'autore nel ricomporne il pensiero in
unit. Epicuro volle appunto offrire ai suoi fedeli una collana

epicuree,

il

perspicuo.

disegno dell'opera intera

ci

V. Epist. a Menno., % 133; cfr. anche Mass. cap., X.


Sarebbero doppioni, secondo l'Usener, (p. xlvi) le seguenti sentenze: IIIXIX-XX; XXVI XXX; XXVIl XXVIII; XXXIXVIII; XI-XII-XIII; XV XXI
1

XXXIII; XXXVII XXXVIII.

EPICURO

14

ben meditati e connessi in un unico disegno, che


aveva fermo innanzi alla mente, e che essi dovevano
ritessere per mezzo della conoscenza della sua filosofia. Leggerli e comprenderli finemente esigeva dunque una specie
di iniziazione; e questa non era piccola parte del fascino onde
il libretto aureo si circondava nell'antichit. Valga del resto
l'esempio: si cerchi di ricomporre il primo gruppo di sentenze, di cui conosciamo il disegno dalla formula a noi nota
del quadri farmaco. Perle prime due massime non v' difficolt; esse dicono appunto quanto in quella formula espresso;
ma se si procede all'esame della terza, la cosa non pi cos
agevole ^ La terza massima suona infatti cos: L'estremo

di pensieri,
egli

limite, in grandezza, dei piaceri, la detrazione d'ogni do-

E dovunque

non v' dolore


d'entrambi. Ebbene questa sentenza, secondo la formula del quadri farmaco, va connessa
con le due prime e fu posta a capo di tutte le altre, perch
attesta che il bene facile ad acquistarsi. Per in essa di tale

lore.

piacere e finch perdura,

dell'animo o del corpo o

facilit

non

si

fa parola,

pu tuttavia essere dedotta da un

pi intimo esame di questa massima, quando


consistendo

il

sommo

si

osservi che,

piacere nell'assenza del dolore, esso

ci

offerto facile e largo dalla Natura, che poco desidera a sod-

mentre intensa pena vogliono quelle gioie che l'immaginazione avida insegue sempre. Scrive infatti Epicuro:
Grida la carne: non soff'rir fame, non soffrir sete, non soffrir
freddo; questo chi possiede e peri avere, anche con Giove
pu contendere in felicit ^ Interpretata cos la massima III,
anche il rapporto con quella che segue diviene chiaro. Epicuro ha in tal modo offerto ogni suo pensiero ai discepoli come
una piccola gemma di saggezza, che deve esser posta nella
sua vera luce, perch ne scaturiscano quei bagliori che ne
illuminino le significazioni riposte. La formula epicurea del

disfarsi,

le

1 Ed infatti al Giussani, a cui tale formula era sfuggita, sembrava che solo
due prime massime fossero a posto ed il disordine incominciasse gi dalla

terza.
2

V. Sent. Vat., 33:

cfr.

Mass. cap., XVIII, XXI.

INTRODUZIONE

quadrifarmaco

ci

dunque

modo dobbiamo

qual

15

preziosa, perch oltre suggerirci in

interpretare le prime quattro sentenze,

dovremo seguire per


comprendere in modo adeguato le altre.
Se procederemo per tal via, seguendone i suggerimenti, ci
renderemo conto del disegno di questa raccolta, e cadr cos
ogni ragione di ritenerla spuria: perdi pi credo ci riescir
indica anche qual procedimento ideale

ci

ricollegare fra loro e

di chiarire diversi particolari della dottrina di Epicuro.

Espresso ingegnosamente il quadrifarmaco^ Epicuro nel


aforisma riassume T ideale della vita felice non solo perch sgombra da paure {Mass., I-II), ricca di beni naturali

{Mass., Ili) e forte contro i dolori {Mass., IV), ma perch


giusta, saggia e bella; e tale vita, dice egli, non pu risultare se non dalla prudenza ^ E singolare come non si sia visto
quanto degnamente questa massima coroni la serie dei quattro principii capitali. Ed in verit agli epicurei doveva esser

supremamente cara;

infatti Cassio, cui Cicerone mordeva


sua fede epicurea, gli rispondeva con nobile fierezza:
Quelli che tu chiami 'gli amici del piacere', sono amici
del giusto e del bello ^. Quando poi si corregga adegua-

per

la

tamente,

come abbiam

lezione corrotta dei codici,

fatto, la

ed esattamente s'interpetri l'ultima parte di questa sentenza,


si scorge come essa inizii una nuova serie di aforismi (VI-XXI)
sulle norme che la prudenza prescrive alla vita umana.
Primo ufficio della prudenza offrire al saggio l'atarassia e difenderlo dai mali che possono incoglierci dagli
uomini: perci, nella massima VI, si stabilisce che un
bene secondo natura tutto quello che pu assicurarci tale sicurt ^. Ma poich il fondamento che natura pone,
spesso male interpretato, e molti credono di procurarsi questa
Quale debba essere

n.

ad
'

ToO

V. Cic, Ad. fam., XV,

Jta^ig y.al SLxaCcog ^fjv

sunt

tur,
^

la lezione ed

il

valore di questa

massima V,

v.

in

mia

loc.

19, 2 sg. Ipse...

(ef'r.

Mass. cap.,

Kpicurus... dicit cjt oxiv ^5cog uveu


V)... et

ii

qui a vobis cpiXi'iSovoi vocan-

q5iX,}ca^oi et cpi^oLxaioi,.

Fra

ivi) di cui

tali
si

beni appunto anche la giustizia

parla nella

massima V,

si

(v.

Mass.,

XXXI

vede dun(iue come la

anche per questo rispetto strettamente connesse.

mio commento
e la VI siano

16

EPICURO

sicurt acquistando potenza ed onori, Epicuro

nella massima VII, pone in guardia il saggio contro i pericoli che derivano da questo desiderio che, nel suo inizio, si propone
uno scopo utile, senza per raggiungerlo. Vien naturale

dunque

si debba seguire nella scelta


determina nella sentenza Vili; ove si
espone che ogni piacere per s un bene S ma pu essere
causa di conseguenze dannose. Ed il criterio di scelta si precisa meglio nella massima IX (anch'essa male interpretata
fin ora) ^ che acutamente esamina le diverse categorie di
si

dichiari quale criterio

dei beni, ed esso

si

piaceri e la loro varia potenza fecondatrice di nuovi beni,

onde alcuni prevalgono su altri. Epicuro pu cos dimostrare,


X, che le gioie dei gaudenti mancano di quella

nella sentenza

pi intima e vera fecondit, gravida d'avvenire, che propria d'altri piaceri, ed in particolare di quelli spirituali ed inObietto di questi ultimi la scienza, per, osserva
Epicuro neiraforisma XI, la scienza non ha valore per s,
ma solo per le sue conseguenze; per s infatti non vale che
il piacere supremo, la serenit del saggio. La scienza dunque
tellettivi.

fine ma strumento. Per essa necessaria {Mass., XII);


ove non conoscenza razionale errore, turbamento, pas-

non

sione inquieta: essa sola ci concede di godere piaceri illibati.


Si vede dunque come le massime XI-XII non sono doppioni
(come crede TUsener, ed io pure ero un tempo disposto ad
ammettere), ma. la seconda la dimostrazione della prima ^.
Per di pili ambedue costituiscono con la IX e la X un solo

ordine di proposizioni logiche, conchiuse in un medesimo ra-

gionamento, onde l'ultima (XII) ci porge una pi precisa dimostrazione di quello che s'era premesso nella X, cio che i piaceri dei dissoluti non hanno quel carattere di intima sicurezza
e quella pura liquldaque voluptas che Lucrezio esalta
"*.

per ci considerati in

s,

non nelle conseguenze

V.

il

del R. Ist.
^

Lo

loro,

sarebbero beni

parla nella massima precedente.


frammento del comico Damosseno in Rendiconti

piaceri della gloria e della potenza, di cui

mio studio Sopra un


Lomb. di se. e lett., 1917,

si

p, 286, 294

stesso rapporto intercede nelle

sgg.

massime XIX-XX, XXVII-XXVIII,

v.

sopra

p. 17 n.; 22 sg.
4

V. n. a Mass., X.

INTRODUZIONR

17

E neppure la XIII una ripetizione delle precedenti,


ma, come mostrai gi nel mio studio citato sopra, serve
come formula di passaggio alla massima che segue ^: vi si
determinano infatti i due aspetti sotto cui pu considerarsi
la

sicurezza

umana:

cio la sicurezza esterna, di cui

si

parl

gi nella sentenza VI, e l'intima sicurt, che opera della

Ambedue per si assommano nella vita del saggio,


ed insieme si afforzano, perch, dice l'aforisma XIV, della sicurezza esterna principale sussidio la vita ombratile ed appartata dal volgo, vita che in s possiede prodiga abbondanza
di beni superiori a quelli che la fortuna tiene in suo arbitrio. E veramente, soggiunge Epicuro {Mass., XV) vera ricchezza quella che posa confidente in un suo termine sicuro,
scienza.

e tale la ricchezza della natura,

paga

al

non

soffrire:

altra ricchezza catena infinita di desideri e di

ogni

immagina-

E sulla felicit del saggio, che serba in s intima fonte perenne di felicit, raramente incombe la fortuna
(Mass., XVI), perch nel concetto della sapienza greca, il saggio
l'artefice supremo, a cui i casi della vita servono come la
materia bruta egli dunque anche da materia vile ed infida
sapr sbozzare l'opera d'arte austera ed armonica della propria vita serena. Serena poi sar la sua vita, se giusta
(Mass., XVII), onde trover nella sua coscienza la fierezza
di resistere agli assalti della fortuna, ma ancora maggiormente
se non temer la morte che pi di ogni altro evento in
arbitrio del caso. Ora che la morte non sia un male in s,
Epicuro ha gi premesso nella massima II; potrebbe parere
tuttavia che essa sia un male, come termine a quella eterna
serie di gioie che il pregio degli di. Ma che tale giudizio
sia erroneo, dimostra Epicuro nelle sentenze XIX-XX -, aczioni sfrenate.

che non questo il solo caso in cui Epicuro inserisce una sentenza
ailine ad un'altra, per trarne una conclusione ulteriore; simile
infatti il rapporto fra la XIX e la XX; cos pure la XXII propone un arf^onienfo
che sar svolto poi in quelle che seguono (XXIII-XXIV), quindi al concetto della
prima (XXII) si ritorna nella XXV come conclusione e avviamento ad una nuova
serie di precetti. Cfr. anche neWEpistola ad Erodalo i rapporti fra il 63 e il <8.
2 A torto rUsener crede che le massime
XIX-XX siano doppioni, laddove la
1

di

Si noti

argomento

Epicuro.

EPICURO

18

certandoci che

il

tempo

infinito

il

hanno eguale

finito

copia di bene. Per per questa dimostrazione


sario determinare (nella sentenza

che non abbia

fatto nella III, quale sia

bene, ed in quale rapporto esso

gli

neces-

XVIII) pi precisamente
si

il

limite del

trovi con

sommo

piaceri pi

nostra immaginazione avida. Egli permassima XVII pone la XVIII, congiungendola


in questa medesima serie che tratta, come abbiam mostrato,
dell'attitudine del saggio verso la fortuna K E poich Epicuro,
cari

raffinati

alla

tanto dopo la

aveva notato che ogni nostro


fama deriva, per recondita origine,
dal timore della morte, onde gli uomini vedono nella vita
oscura e spregiata quasi un annullamento del proprio essere ^, egli dalla massima XX, in cui prov che il saggio
non scorge alcun male nella morte, deduce, nella XXI, che
con

sottile analisi psicologica,

desiderio di onori e di

chi persuaso di questo, e sa quanto poco basti alla tranquillit dello spirito,

non

soggetto

neppure

alla

brama

di

ricchezze e di onori. Solo l'uomo volgare, infatti, vede in


questi piaceri quasi un compenso alla brevit della vita, e
non s'accorge che mentre si affaccenda a procurarseli, fuggono inquieti e travagliosi quegli anni che egli avrebbe potuto serenamente godere ^. La massima XXI non dunque

seconda

la

dimostrazione della prima. Per su queste due massime, e la dot-

trina espressavi, dovr soffermarmi pi oltre, correggendo anche in


il

modo adeguato

testo della seconda.

1 Che poi la massima XVIII non sia un doppione della III, ho mostrato nelle
note a queste due sentenze. Quanto alla connessione delle massime XVIII-XIX-XX,
risulta evidente dalla dottrina, circa il limite (nQaq) del piacere, che appare in

tutte e tre.
2

V.

il

rum cacca
XVII]

mio studio
cupido,

citato, p. 803

cfr,

Lucr.,

Ili, 59 sg.

Denique avarities

Quae miseros homines cogunt transcendere

et

hono-

fines luris [v. Mass.,

interdum socios scelerum atque ministros Noctes atque dies niti praeAd summas emergere opes, haec vulnera vitae Non minimam partem
mortis formidine aluntur, Turpis enim ferme contemptus et acris aegestas Semola
ah dulci vita stabilique videtur [V. Mass., XXI]. Et quasi iam leti portas cunctarier
ante: Unde homines dum se falso terrore coacti [v Mass., XX]. Effugisse volunt
longe longeque remosse... rem conflant divitiasque Conduplicant avidi... intereunt
partim statuarum et nominis ergo.
3 V. Sent. vat., 14. Cfr. Luca., Ili, 931 sgg.
955 sgg. Che poi la Massima capitale XXI debba connettersi con la XX, nel modo che ho indicato, risulta anche
dal testo epicureo che riferisco pi oltre, p. 31 sg., n. 4.
et

stante labore.

INTRODUZIONE

19

della XV, ma il suo contenuto pi ampio,


ed illumina una particolare dottrina dell'etica epicurea, riconnettendosi con la sentenza precedente.
N ci deve riuscire strano che Epicuro ritorni spesso
su dottrine affini, chiarendole di nuovo lume, volta per
volta, o ricavandone applicazioni particolari; perch tale
la necessit del suo sistema morale. Anch'egli potrebbe dire
come Parmenide: Indifferente per me donde io prenda
la mossa, perch di nuovo a quel punto medesimo ritorner > *, Come infatti la filosofia di Parmenide muove dall'unit ed immutabilit dell'essere e ad essa ritorna in perpetuo ciclo, cos la dottrina morale di Epicuro muove dal

un doppione

piacere supremo (la quiete e l'imperturbabilit del saggio), e


ad esso sempre si riconduce. Sua ricchezza non sono le singole verit teoretiche, scoperte in curiosa e feconda indagine,

ma

le applicazioni pratiche, ricercate

con assiduo amore

sua

forza la perseveranza assidua d'una sola verit, presentata


spirito in multiformi aspetti, e quella fede pertinace
che scava negli animi un solco di persuasione profonda. Anche

allo

come Parmenide, ha

che propria degli


Parmenide per
l'ontologia eleatica che ferma lo spirito nella pura unit
dell'essere; la mistica di Epicuro, se cos si pu chiamare,
l'edonismo che tutta riposa l'anima nella contemplazione
egli,

spiriti

l'unilateralit

contemplativi e mistici

della beatitudine

umana. Egli

la mistica di

si

pu dire

infatti

lare mistico della gioia, della gioia della carne che

un singosi

raffina,

successive rinunzie, sino alla tranquillit astinente.

in

pensa

di ripetersi,

della vita,

il

Ne

quando rinnova, per ogni forma od evento

suo monito di sicurezza. L'etica sua rassomiglia

per questo aspetto, ad un altro libro di fede, alle Confessioni di S. Agostino, il quale ripercorre passo passo la
via travagliosa e piena di seduzioni dei suoi errori giovanili,
infatti,

per elevare

al fine di

ogni capitolo un inno di gioia alla purit

ha saputo conquistare.
Esser colmi d'un solo pensiero in perenne dovizia ed in rispirituale che attraverso alle passioni

Parmkn.,

fr.

3 Diels.

EPICURO

20

conoscenza inesauribile, tale la virt della fede per il credente, sia essa la fede in Dio o nella felicit. E questa appunto
la forza deirepicureismo. Tutti gli epicurei, da Metrodoro
a Diogene di Enoanda, ripetono con ingenua continuit e monotonia sazievole non solo le dottrine del maestro, ma anche
minuscoli ed un poco risii suoi atteggiamenti, pur quelli
bili; e non se ne accorgono e non se ne tediano, come il
credente non

si

sazia di ripetere quelle

medesime parole

formule che proclamano la verit per cui egli vive e spera.


La filosofia epicurea infatti, come tutta l'etica antica, una
particolare ascesi.

Ma

ritorniamo alla nostra indagine. Con

la

massima

XXI

secondo gruppo di sentenze (VIXXI) ove si svolgono le norme prescritte dalla saggezza e
dalla prudenza alla vita del saggio ^ Con la XXII infatti
s' inizia una nuova serie (XXII-XXIV) che tratta dei criteri
delia verit e del giudizio morale. Il passaggio dall'uno all'altro gruppo ben segnato dalla prima sentenza (XXII),
ove si afferma che in ogni atto dobbiamo badare sempre al
altrimenti la nostra
fine etico ed a tutti i criteri del vero
vita sar piena di turbamento ^. Ed appunto perch duplice
l'oggetto di questa massima (cio il bene morale e i criteri
della conoscenza), essa si presta a servire di passaggio
si

pu ritenere compiuto

il

dalle

precedenti d'argomento morale alle seguenti d'argo-

modo

una
non si dovesse aver fede
che la nostra logica possa adeguatamente conoscere il vero
e dar ragione dell'errore: conoscenza ed azione sono due
gradi successivi d'un medesimo ordine, ed il secondo deve
mento

logico.

N ad

ogni

potrebbesi aver fede in

dottrina morale qualsiasi, posto che

poggiare sul primo. Epicuro dunque, che fonda

Si noti

come

la

sua etica

esse formano un ciclo completo; infatti nella massima XXI si


VI e della VII, cio alla

ritorna, dopo successivi passaggi, all'argomento della

sicurt della vita ed alla rinunzia alla potenza politica ed agli onori: V. anche
sotto p. 21, n. 2.
2 A torto si volle vedere in questa sentenza una massima di contenuto puramente gnoseologico, mutandone arbitrariamente il testo; mentre, come ho indicato
nel commento, la morale di Epicuro strettamente connessa alla sua dottrina
della conoscenza, perch ambedue si fondano sulla testimonianza dei sensi.

INTRODUZIONE

21

sopra l'attestazione del senso interno, il quale ci rivela come


l'uomo tenda naturalmente al piacere e fugga dal dolore, ci
avverte nella massima XXIII con quanta ponderazione dob-

biamo procedere

nel giudicare le testimonianze dei sensi, per-

ch in ultima analisi ad essi dobbiamo riferirci come criteri


del vero e del falso. Per, aggiunge nella sentenza XXIV, non
si deve confondere con il contenuto effettivo della sensazione,
quell'opinamento che le va congiunto, ma in realt non le
imputabile, perch il senso irrazionale, non giudica, non ricorda, n compie alcun atto proprio dell'intelligenza: e per
questo appunto non pu errare ^ Fermate queste norme, Epicuro, nell'aforisma XXV, riprende la prima parte della massima XXII, servendosene come conclusione alla serie precedente ^ ed insieme come passaggio ad una nuova serie che
tratta dei desideri. I desiderii infatti sono l'oggetto del giudizio morale, onde si comprende perch prima Epicuro abbia

norme

parlato delle
dizio logico
riferirci,

il

la

Come

del giudizio logico.

infatti nel giu-

vero e del falso a cui dobbiamo


sensazione, e l'errore deriva dall'opinamento;
criterio del

cos nel giudizio morale

calma corporea (aponia)

il

criterio

bene ultimo, cio

il

l'errore viene dal falso opinamento, cio dalle illusioni

Giudicati a questa stregua,


bito in

la

e la tranquillit spirituale (atarassia),

desiderii

si

umane.

classificheranno su-

due grandi categorie, che Epicuro determina nella mas-

XXVI; desiderii necessari, quelli che hanno di mira


l'aponia, non necessari quelli che possano venir repressi
senza che ce ne incolga necessariamente dolore. A torto dunque
sima

si

volle trasportare questa

la

XXIX;

biamo

infatti essa

visto,

alla

V. pi innunzi

Anche

(lucsta

p.

XXV

massima dopo

la

XXX

dopo

necessariamente congiunta, come ab^. Piuttosto


potrebbe sembrare che

29, n. 1.

serie diuKiue,

come

la

seconda

(v.

s.

p.

2fi,

n. 1),

forma un

ciclo.
^ Che la massima XXVI non si debba collocare dopo la XXX, come vorrebbe
Gassendi, appare manifesto a chi osservi che la XXX tratta della terza categoria dei desideri (v. s. p. 23), e non potrebbe perci precedere la XXVl che tratta
di qu(!lli della seconda. Anche qui dunque i critici, volendo mutare l'ordine di
il

EPICURO

22

siano fuor di posto le

ceda una lacuna

massime XXVII-XXVIII,

fra la

XXVI

e la

o che inter-

XXVII. Come mai

infatti

dalla dottrina dei desiderii Epicuro passa a trattare di quella


dell'amicizia, per poi ritornare alla prima? Introdurre uno
spostamento non mi pare tuttavia n utile n prudente; possibile invece sarebbe supporre l'omissione di una massima
il cui contenuto, a quanto credo, potrebbe ricavarsi, presso
a poco, da quanto dice Epicuro stesso neW Epistola a Meneceo^
127 ^ Per egli, fidandosi neir accorgimento dei suoi discepoli, omise forse questa formula di passaggio. Ecco dunque
come credo si possa compiere l'ordito del ragionamento. Nella
massima XXVI si afferma che non sono necessari quei desiderii che non hanno per iscopo il sommo bene ne consegue
dunque che sieno necessari quelli che si propongono tale fine.
E siccome fra tutti i beni il pi necessario alla felicit, secondo
:

Epicuro, l'amicizia, senza cui non pu essere vita vitale

^, si

comprende come Epicuro abbia collocata la massima XXVII


subito dopo la XXVI. Infatti nel luogo citato oiV Epistola a
Meneceo, egli afferma che dei piaceri necessari, alcuni sono
necessari alla

felicit,

alla vita stessa:

dell'amicizia

altri alla sanit del

si

deve parlare prima che


Non poi vero che

dei desiderii umani.

XXVIII

siano doppioni,

massima XXVI propone una prima

le

Nella prima infatti

^.

queste massime, vi posero non ordine,


al fine naturale (di cui si

ogni altro oggetto

di

sentenze XXVIIcome crede l'Usener per aver male

intesa la seconda di esse

il

corpo, altri infine

ma l'amicizia necessaria alla felicit; dunque

ma

si

dichiara

confusione. Si osservi invece

come

la

distinzione generica dei desideri, in rapporto

parla nella precedente sentenza), utile a determinare

valore dell'amicizia, della quale

si

discorre poi nelle

massime XXVII-XXVIII.

Quindi la XXIX reca la classificazione compiuta dei desideri; la XXX finalmente


determina la nostra attitudine verso i desideri della terza categoria. Anche nelV Epistola a Meneceo, 127, si propone prima una pi larga classificazione dei desideri in due categorie, per determinarne poi le sottocategorie.
1 Se si dovesse credere che una sentenza fosse perduta, potrebbe facilmente
ricostruirsi dal passo citato dell' Epistola a Meneceo, presso a poco in questa
forma xcov jti'&vfiicv al |xv jtQq eSaifiovCav elolv voynaiai, al 6 nQg ttiv xov
:

ocfAaTos ox^TioCav, al 5 Jigg a-x t ^fiv.

che

104: Sent. vat., 78: Cic,

V.

Cfr. in proposito le

il

fr.

commento

alle

De

fin.,

I,

20, 67.

mie osservazioni nello studio citato sopra,


due massime.

p. 805: v.

an-

INTRODUZIONE
essere ramicizia

il

sommo

23

sussidio che la saggezza ci porge

seconda invece si afferma


che la sicurt, propria del saggio, di fronte al dolore ed alla
morte, fa s che Tamicizia possa avere fondamento incrollabile
anche in mezzo a quelle circostanze che richieggano gravi
alla sicurt delia vita intera: nella

per non venir meno airaraico.


Anche qui dunqae la seconda sentenza

sacrifizi

petizione,

ma

la

non gi

riprova della verit della prima

*:

la ri-

poich

l'amicizia pu essere solo utile alla nostra sicurt, se potremo

confidare che

il

suo aiuto non

Abbiamo gi osservato che


una prima distinzione generica

ci

la

meno

verr

massima

nei pericoli.

XXVI

stabilisce

dei desiderii, necessari e

necessari, distinzione utile a determinare

il

non

valore dell'amici-

zia. Onde Epicuro procede pi oltre, e nella sentenza XXIX


propone una classificazione pi ampia, distinguendo tre categorie di desiderii: 1) naturali e necessari; 2) naturali e non necessari 3) non naturali e non necessari. Nella massima XXX
si discorre dei desiderii non naturali e non necessari,
non dunque essa una ripetizione della XXVI (come crede
rUsener), perch i desiderii non necessari, di cui si trattava
nella XXVI, appartengono tanto alla seconda quanto alla
terza categoria, laddove la nostra attitudine deve essere differente a seconda che i desiderii siano da classificarsi nel;

l'una o nell'altra di esse

Segue ora una nuova


ridico

{Mass.,

^.

serie di

massime

di carattere giu-

XXXI-XXXVIII). Anch'esse appariscono

sposte in ordine logico, purch opportunamente

si

di-

chiariscano

rapporti reciproci. Precedono quelle che determinano il concetto generale del giusto {Mass., XXXI-XXXV): cio,
prima {Mass,, XXXI) si definisce quale sia il diritto di natura, che consiste nell'utilit reciproca di non offendere e
non essere offesi ^; da questa proposizione fondamentale si ri-

Ed

V. infatti Seni,

Per l'interpretazione

appunto

il

metodo che Epicuro

sej^ue nelle

massime XI-XII; XIX-XX.

vai., 21.

di (questa

massima

e di (incile

che seguono

v. n.

ad

oc.

24

EPICURO

cava: anzitutto {Mass XXXII) che non v' rapporto giuridico


fra esseri che non siano in grado di stabilire tali patti reciproci: in secondo luogo {Mass., XXXIII) che la giustizia non
,

una

entit metafisica per s stante

ma

(come credevano

Pitago-

un concetto relativo alle condizioni


socievoli. Non dunque questa sentenza una ripetizione
della XXXI, ma un corollario di essa. L'errore anche qui prorici e

Platone)

solo

venne dalla falsa interpretazione delle due massime. Epicuro


procede poi pi oltre; la giustizia non infatti neppure un

bene^6r

s {Mass.,

affinch per

non

Epicuro [Mass.,

XXXIV), ma

si

solo per l'utile che ne deriva:


creda sia possibile violarla impunemente,

XXXV)

pu essere sicuro

di

osserva che nessuno

conservare

la

il

quale la

violi,

propria sicurt e quiete

dunque l'osserver sempre ^


seconda parte di queste massime giuridiche

spirituale. Il saggio

Segue ora

la

XXXVI-XXXVIII) esse discorrono, non pii del diconsiderato nel suo valore generico, ma del diritto

[Mass.,
ritto

specifico, cio delle particolari disposizioni di legge, variasecondo i luoghi e le circostanze. La distinzione esposta
nella massima XXXVI, ove si dichiara che, nel senso pi
ampio, il giusto uguale per tutti coloro che siano in condizione di apprezzarne il valore, perch il simbolo dell'utilit
reciproca di non nuocerci a vicenda: ma poich le norme che
si debbono stabilire, affinch si ottenga tale utilit reciproca
pattuita, variano da luogo a luogo e secondo le circostanze
mutevoli, ne consegue che da luogo a luogo varii il diritto
specifico a cui provvedono le leggi.
Ci premesso ne deriva {Mass., XXXVII) che non solo le
norme legislative sono valide, anche se diverse nei vari luoghi ~, ove corrispondano al carattere fondamentale del giusto,
bili

cio l'utile,

ma

altres

che queste norme sono valide solo

Cfr. Mass., XVII.


Epicuro (come vide giustamente il Philippson) si contrappone a quei filosofi,
come ad esempio i Cinici, i quali osservavano che ogni cosa valida per natura,
si comporta egualmente ovunque (p. es. il fuoco abbrucia presso tutti i popoli)
servendosene a combattere l'autorit delle leggi. Epicuro evita l'obiezione, distinguendo il diritto secondo natura, cio il diritto generico, dal diritto specifico.
1

INTRODUZIONE

25

Quando la loro
La sentenza seguente (XXXVIII), pare anche a me, come airUsener, un
duplicato di quella che la precede. Ed in ci non v' nulla
e fin tanto che corrispondano a tale carattere.
utilit

cessi,

cessa pure la

loro

validit.

due possono essere le spiegazioni del duplicato.


Epicuro stesso cur due edizioni di questa raccolta
e nella seconda sostitu Tuna massima con l'altra, onde poi
un lettore solerte not a margine la sentenza mancante nel
suo esemplare; oppure tale aggiunta marginale deriv da
un'altra opera di Epicuro, ove ricorreva una sentenza parallela a questa inclusa nel nostro manuale. Per delle due
sentenze credo la prima sia da considerarsi preferita dall'autore o unicamente da lui posta tra le Massime capitali', perch
vi si indica che non infirma il valore giuridico di una predi strano:
Infatti

scrizione di legge, riconosciuta utile in pratica,

comune a

essa
assai

tutti

significativa

popoli

osservazione,

ed importante per

lo

il

non essere

come vedemmo,

scopo polemico a

cui mira.

Le due massime XXXIX-XL, coronano degnamente

l'o-

pera, determinando quale sia la vita e la condotta del sag-

La prima

gio in rapporto con gli altri esseri.


esseri

debba ritenere a s

conda

ritrae

la

felicit

affini o

indica quali

addirittura ostili: la

della piccola

se-

accolta di saggi cui

l'amicizia avvince in vincoli indissolubili.

Ed

bello e giusto

che questo libro aureo degli epicurei, che schiude loro la via
alla felicit, si coroni con una massima in lode dell'amicizia,
cui Epicuro vanta bene immortale e superiore alla saggezza
stessa - ed bello pure che nelle ultime parole di questo
:

libretto sorga

degno

di

un discreto accenno SiWeuthanasia del sapiente,


quando dalla vita si diparte, ma non di

ricordo,

commiserazione, perch con

Ja

morte

la

sua beatitudine

conchiusa, non violata.

Ha

termine cos

ripercorrere,

Come

V. Sent.

si

il

nostro minuto esame che

non senza

frutto, credo,

debba interpretare questa massima


vat., 78.

ci ha fatto
gran parte dell'etica di

v.

nella

min

n.

ad

loc

EPICURO

26

Epicuro. Conforme allo scopo pratico di essa, abbiamo visto


essere

il

questo ma-

disegno, ben condotto e compiuto, di

nuale: cade dunque ogni argomento contro la sua autenti-

Quanto a doppioni, ne trovammo uno solo, e precisamente contiguo alla sentenza di cui la ripetizione, e tale
vicinanza spiega il modo onde vi fu introdotto. Possiamo
dunque esser certi di avere nelle Massime capitali un libro
a lungo meditato dal maestro, e composto ad arte per dicit.

scepoli che avessero la preparazione necessaria a


le linee,

godendo

di ripercorrere

potr giovare Tesserci

fidi,

aver meditato con

fatti

lui

mentalmente

noi pure, per breve ora, suoi

queste sentenze lapidarie, che

in s racchiudono la singolare passione d'uno tra


di vita la cui

seguirne

la dottrina

voce ebbe nelle et pi larga eco

maestri

^.

III

Uno studio particolare meritano le due massime XIX e


XX, perch trattano d'una ingegnosa dottrina epicurea non
bene^interpretata sin ora, e perch

il

testo della

seconda non

Questo appunto raccomanda Epicuro nel fine AqW Epistola ad Erodoto.


Determinata l'autenticit di questa raccolta, pu essere utile accertarci che
l'esemplare che Diogene Laerzio ebbe presente e ci tramand era buono, anche se
molteplici errori derivarono poi per causa degli amanuensi che copiarono l'opera
di Diogene. Di ci si potrebbe gi aver fiducia dato l'interesse singolarissimo che
Diogene ha per Epicuro. Ma migliori prove ci arrecarono le ultime scoperte. Infatti alcune di queste sentenze si trovarono nel Gnomologio Vaticano (v. sotto, ci
che diremo delle sentenze vaticane da me tradotte) e nell'iscrizione di Enoanda,
1

entrambe scoperte posteriori agli Epicurea dell' Usener. Orbene, dallo studio
comparativo delle lezioni si vede che, se in qualche punto le due nuove fonti
ci servono a colmare lacune di qualche parola, caduta nel testo di Diogene
Laerzio per omissione degli amanuensi, in generale per la fonte a cui attinse
Diogene I^aerzio certamente migliore. E prova anche pi persuasiva abbiamo
da un papiro ercolanese (pap. 1012, col. 41), il cui testo venne recentemente riveduto del Crnert {KoL u. Mened., p. 116), da cui si ricava che la lezione vne%a(,Qeaiq,
che Diogene Laerzio reca nella massima III, si trovava solo nei buoni manoscritti
posseduti dagli epicurei, mentre i cattivi {x xa>tc5g xovxa yxiyQacpa) recavano
la lezione lalQeoig.

INTRODUZIONE
fu ancora corretto in

problema esser
mento.
ripetizione

il

n potrebbe questo
breve spazio concesso dal com-

soddisfacente

trattato nel

Anzitutto che

una

modo

27

secondo

del primo,

di questi

due aforismi non

sia

come pensa TUsener, apparir

facilmente a chi li esamini con attenzione; n difficile scorgere che la prima massima propone il quesito che nella seconda si dimostra. Fra le due sentenze intercede cos il me-

desimo rapporto che abbiamo veduto essere, per esempio, fra


la decima prima e la decima seconda; sono perci ambedue
da ritenersi e Tuna non potrebbe stare senza Taltra. Vediamo
ora la dottrina di cui trattano. La sentenza decimanona afferma Il tempo finito e V infinito hanno ugual copia di
gioia, se di essa si definisca giustamente il limite con la
ragione. questa una dottrina particolarmente cara ad
Epicuro, perch solamente se di ci persuaso il saggio potr
contendere di felicit con gli di, come egli orgogliosamente
aff'erma ^ Con pi umani sensi, Saffo pensava che la morte
debba essere il peggior male, altrimenti non si comprenderebbe che gli di onnipossenti ne abbiano lasciato Teredit
agli uomini e per s abbiano ambita Teterna beatitudine.
Epicuro persuaso invece che il timore della morte ed il
desiderio dell'immortalit siano i due pi terribili errori, a cui
la filosofia porge rimedio, non gi aggiungendo interminato
tempo al vivere, ma sgombrando l'immedicato rimpianto dell' immortalit^. Veramente, egli osserva, come dei cibi non
ricerchiamo i pi abbondevoli ma i pi piacevoli, cos non
il tempo pi durevole ma il pi gradevole ci caro ^. Il perfetto goditore bada alla squisitezza e non alla durata della
gioia ed questa una verit che Aristippo, l'esteta dell'edonismo, avrebbe sottoscritta volentieri. Ma Epicuro vuole accertamenti anche pi precisi e persuasioni pi solide, e perci,
ritornando su questo argomento che gli caro, aff'erma ri:

V. Sent. vat.^ 33; Ep. a Menec,


V. Ep. a Menec, $ 184.

Ibid., 126.

135 e n. ivi.

EPICURO

^8

non solo nella qualit del piacere ma neppur


quantit, il tempo finito, che prescritto alla vita
umana, deve nulla invidiare all'eternit concessa agli di

soluto, che

nella

questo ambizioso vanto s'accordano con Epicuro anche gli stoici K Come Epicuro intenda provare quanto af-

-ed In

ferma, accennato di passaggio nella sentenza decimanona,


ed esposto distesamente nella massima che segue. Per disgrazia per la prima parte della massima ventesima corrotta
nei codici

e sin ora gli sforzi fatti dai critici per sanarla

^,

furono vani. Ingegnosa a prima vista la correzione dell'Usener che legge ga^oi av invece della lezione manoscritta

ma, chi esamini attentamente il passo, vede che


Anzitutto, n facile a spiegarsi come sia accaduta tale corruzione nei manoscritti, n
consigliabile correggere la parola JtaQeaxeiJaaev che ricorre
poche linee dopo ed in fine della massima XVIII, ed ha perci
ogni aspetto d'essere genuina anche l dove l'Usener vorrebbe mutarla. In secondo luogo questa correzione fa dire
ad Epicuro cosa inconciliabile con la sua dottrina. Queste
prime parole infatti, secondo l'emendamento dell'Usener, sijtaQeaxeuaoev

non

correzione accettabile.

<E

si

per verit la carne percep illimitati i


ed un tempo infinito le potrebbe esser cosa
badi che Epicuro oppone qui, come sempre,

il

senso corporeo, alle facolt intellettive del-

-gnificherebbero:

limiti del piacere

gradita.

Ma

la carne, cio

l'uomo, di cui parla in seguito; cio considera la sensazione,


presa in s pura e schietta, detraendone quell'opinamento
che spesso le si accompagna, ma che non le appartiene e che,
come dice altrove, ne pu e deve essere distinto ^. Il corpo
non ragiona n pensa, sente solamente il dolore ed il piacere
nella loro qualit pi ingenua: come potrebbe dunque desiderare che esso durasse infinito, anzich essere limitato, se

V. Plut., De stoic. repugn.,

2(^,

p. 1046

v ito^A-oig elQTjxg (se. Crysippus

Ti Tcaq xv jtXsiova xQvov ov'Q-v nX,?tov e-Saifxovoijoiv, XX' fioicos xal 3iiar\g ToXg

Tv

|xeQfi
2

La

fj \isv odQ| nXa^e x jtsQaxa


neiQa xal jteiQos axT]v xevog JtaeEaxsijaoev.
V. Ep. ad Erod., 50 sg., e mia n. ivi.: cfr, Mass. cap., XXIV.

fjSovfjg
3

xQvov evaifioviag \ieTaGxovGiv.

lezione, corrotta, dei codici questa:

xfig

INTRODUZIONK

2^

Epicuro stesso dice, che la sensazione n ricorda, n ragiona,


n opina alcunch? ^ Desiderare che il godimento duri infi-

un giudizio sull'eccellenza del piacere illimiIl corpo, questo non fa n pu fare:


questo affermer se mai la ragione, se le sembri giusto, e
della ragione Epicuro parla dopo ed indica come essa risolva
altrimenti il quesito. Non dobbiamo dunque far dire ad Epinito emettere

tato rispetto al limitato.

curo cosa contraria alla sua dottrina, tanto pi se per giungere


a questo avremo dovuto modificare la lezione manoscritta.

E
teoria,

del resto, che Epicuro qui

secondo cui

su di essa

si

bene della sua

fondi, risulta dalla stessa sua affermazione (nelle

prime parole del


i

ricordi

si

senso non emette giudizi, e che anzi

il

che

testo)

limiti del piacere.

la

La qual

carne percepisce come

illimitati

cosa non potrebbe accadere se

il

corpo avvertisse che il godimento ha un fine, e che sarebbe


desiderabile non avesse termine mai solo accade invece se
;

il

senso, nella sua schietta e divina ingenuit, viva nel puro

istante che

fugge, ed in quell'istante

non abbia perturba-

zione o presentimento dell'attimo successivo; onde in ogni at-

timo senta la pienezza dell'infinito. Perch

finito ed infinito
eguagliano a chi non ha nozione del limite che distingue
l'uno dall'altro. Quando il Leopardi, sopra Termo colle, vuol
si

risentire

il

brivido, o diremo meglio l'horror lucreziano del-

l'infinit degli spazi,

ove

il

suo animo

ama

perdersi,

deve

seder presso l'amica siepe ed a quell'esiguo confine parago-

nare l'immensit sconfinata. Per il fanciullo, invece, che


vive nella purit del senso, interminato ed immenso tutto
quello in cui posi l'anima sua, non prevedendo termini alla
pienezza del suo sentire. Per questo, a ripensarvi, gli anni
della fiinciullezza e della prima gioventi paiono cos lunghi
e ricchi di cose, mentre quelli che seguitano poi s'incalzano
rapidi al loro termine.

1 V.
Vita di Epicuro, % 36: cfr. Tertull., De anima, 17 (Usen., p. 183, 5 sgg.)
Epicurei constantius parem omnibus atque perpetuam defendunt veritatem, scd
alia va. Non enim sensum mentiri, sed opinioiiem sensum enim pati non opinavi.
Animam enim opinavi. August., De civilaW dei, Vili, 7 ad Diuscov., ep. CXVIII, 29:
:

Epicurei

numquam

sensus corporis

[cfr.

-f]

oQ%]

falli (dicunt).

EPICURO

30

Secondo Epicuro dunque il corpo, ingenuo goditore, non


prevede confine alla sua gioia la gode nel suo pieno e
:

l'assapora:

non

infausto profeta;

ma

in ogni attimo coglie

la beatitudine deir infinito.

Dopo questo che

s' detto, non difficile correggere il


leggendo xal ajr8iQ(ov oiix ajieiQ)og avx^v XQvog jraQeoxvaaev. L'errore avvenne per il caso consueto di aplografia:
l'occhio del copista, mentre scriveva la prima parola, corse
alla seconda, in cui ricorrevano le medesime lettere, ed
omise quelle che erano in mezzo. Corretto cos il testo, Epicuro, nelle ultime parole, viene a dire appunto ci che consegue di diritto alla prima parte di questa frase: E per
vero la carne percepisce ^ sempre come illimitati i confini
testo,

un tempo pur non illimitato produce illimitato piacer. Conclude dunque secondo vuole la sua
del piacere, e cos

con ingegnosa psicologia.


buona via, ci che segue non ci pu recar
pili difficolt. Epicuro infatti continua: La ragione poi rendendosi conto quale sia il sommo bene corporeo ^ e quale
ne sia il limite ^, dissipa i terrori rispetto all'eternit e d
ordine e sicurezza a tutta la vita: non ha quindi pi alcun
desiderio del tempo infinito. N fugge tuttavia il piacere, e
quando le circostanze ci costringano ad escir di vita, dipartendosi, non sente rimpianto di qualcosa che le manchi
dottrina, e

Posti

sulla

alla vita perfetta

>

La carne non ha emesso alcun

giudizio,

a giudicare

interviene l'intelligenza; e sentenzier secondo l'analisi del

piacere che Epicuro ha premesso altrove. Sa dunque essa

due aoristi, come poi il seguente in tv 3tavxeXf\ ptov jtaQsoxeijaosv, sono


gnomici: cfr. Mass. eap., XL.
2 T xf\c; ouQ^q xXoq: cio l'aponia: v. Ep. a 3Ienec., 131: x \ii] Xyelv xax x
ocfia: cfr. Mass. cap., XXV: x xXoq xf\g cp-uOECog.
3 Per questo limite, Jigag, v. Mass. cap., Ili (oqos) e cfr. Epistola a Menec,
133, ove si riassume la dottrina della massima III, x xcv Ya-O-cv jtQag. Lucr.,
V, 1430 sgg., ergo hominum genus incassum frustraque laborat Semper et in curis consumit inanibus aevum, Nimirum quia non cognovit quae sit habendi Finis
et omnino quoad crescat verv, voluptas.
* xo-u Qiaxov pCou: v. p. 31, n. 4.
1

aoristi

INTRODUZIONE

che

il

sommo bene

31

corporeo l'assenza di dolore, e che

piacere non cresce oltre questo termine,

ma

solo

si

il

svaria in

raffinamenti che non sono necessari alla felicit ^ Del resto in

questa massima non

si

considera la qualit,

del piacere. Perci, per T intelligenza,

il

perdura, perfetto e non pu crescere


turbarlo

il

pii oltre.

pensiero della morte, perch

che essa nulla per noi

~,

ma

quantit

la

piacere, sino a

il

quando

N pu

per-

saggio persuaso

essendo ogni male o bene nel

N di l della morte
vede eterne pene, quei timori, cio, dell'eternit di cui Epicuro ha guarito gli animi umani ^. Le basta dunque che fino
a quando la vita duri, perfetto permanga il piacere, ed a
questo provvede la dottrina che lo riconosce pieno e assoluto
senso e la morte privazione di senso.

neW atarassia

assicurata al saggio. Il tempo infinito invece


nessuna squisitezza potrebbe aggiungere alla nostra gioia, che
quando viviamo non ha mancamento, e quando non saremo
pi non sapremo di non possedere. Ed a coloro, i quali come
Egesia, il persuaditore di morte pensano, che, essendo il
peggior male soffrire ed il vero bene non soffrire, la morte sia
migliore della vita; Epicuro oppone che Vaporila non solo un
bene negativo, ma concreto in s e solido (v. fr. 11) il piacere
dunque, pur nel suo limite della non sofferenza, da ricorcarsi e gustarsi, e la vita per chi la prova un bene: s'anche
la morte non sia un male perch la morte stato d'incoscienza. Godr dunque l'epicureo la vita e, quando giunga
il tempo di escirne, non sentir rimpianto di qualcosa che gli
manchi alla vita perfetta *. Alla voce di Epicuro s'unisce cos
;

1
V. Mass. cap., XVIII: Plut., Contr. Epic. beat., 3, p. 1088 C: Comune limite
pose Epicuro ai piaceri, la detrazione di tutto il dolore, in quanto solo sino a tal
punto la natura accresce la ffioia, ma non concede che proceda pi lungi in grandezza; e quando essa natura sia pervenuta alla cessazione del dolore, solo accoglie
certe variazioni non necessarie: cfr. lo scolio, alla Mass. cap., XXIX.
* V. Mass. cap., II, e n. ivi.
3 V. Ep. ad. Erod., 81 e n. ivi.
* Un
raffronto epicureo, non ancora scorto, con questa sentenza e la seguente (XXI), nell'operetta intitolata OiXtoxa dell'epicureo Carneisco, conservataci frammentaria nei papiri ercolanesi e pubblicata dal Crnkrt recentemente
in Kololes u. Mened., p. 69 sgg.
v. ivi col. XII, p. 70: xal el ixejiVTijivov, xa]\>'6
:

EPICURO

32

Ti prevenni, o Fortuna, e ad ogni tua


mi premunii; e non a te, non ad altro frangente m'arrender ma quando sia necessit dipartirci, assai sputacchiando la vita e quelli che ad essa stoltamente s'appiccicano,
con bel peana ci dipartiremo, proclamando che ben per noi

quella di Metrodoro:
insidia

s' vissuto

IV

Se molte sono

le difficolt di lezione e di

interpretazione

Massime capitali, che abbiam cercato di risolvere, pii


numerose anche sono nella Lettera ad Erodoto, che per noi
la fonte pi preziosa per la fisica di Epicuro. E non provengono solo dalla condizione materiale del testo, corrotto nei
codici, ma dalla forma stessa e dal carattere di questo scritto.
delle

Letterariamente la differenza di questa dalla Lettera a Meneceo


si scorge a prima vista. Epicuro qui non ha ambizioni stilistiche, anzi per lo pi trascurato e frettoloso.

appare dal proemio

'X,r\

[v.
jil

La ragione

alla lettera. Egli parla agli iniziati:

per

Tov cpuoino) xkXovc, xal O''8'v k'k'ki^yxa, xov Qicxov (3iou


XX] jcaQ t jat] xv%zXy xcv na^ xoig atoXA,o['5] JteQi pX, jtxwv,
xov jtaQVTOg o^'d-v xovxa SuoxsQq ov'elg xv Xoijcv alcva oj^rioovxa.

xQvov,

Mass.,
5

utile, perch le parole x jt) xuxelv xcav jtaQ


alludono a quelle competizioni per ottenere onori e potenza, di cui si parla nella massima XXI; onde si vede che la sentenza XXI era da
Carneiseo letta ed interpretata in connessione con la XX, appunto come mostrai

Questo confronto particolarmente

xotg jto^^oig

ji;8Qi|3X,sjtx(ov,

sopra. Interessante

XIX-XX,

il

poi, per lo

confronto con

il

massime
Enoanda. Ivi
sono queste cose che rendono

studio della dottrina espressa nelle

frammento LXIII

sg. di

Diogene

di

si dice: Non piccole n frali


a quella degli di, e che non ci rendono in nulla inferiori, perch mortali, all'essere beato e incorruttibile [efr. Mass. cap., 1]. Perch, quando
viviamo, pari la nostra felicit a quella degli di... qui intercede una lacuna
in cui certo si diceva che quando moriamo perdiamo coscienza di noi, e perci
non ci accorgiamo d'essere privati d'alcun bene. Infatti il testo prosegue nel
fr. seguente: ... e se privo di senso, come pu sentire la propria inferiorit?.
1 V. Sent. vat., 47: questo passo indica come le Massime capitali XIX-XX siano
giustamente riunite in un sol disegno con la massima XVI, che tratta della For(fr.

LXIII,

col. 3 sg.

W.)

la nostra vita pari

tuna,

come ho mostrato

sopra, p. 17 sg.

INTRODUZIONE
i

33

ha composto un compendio sul medesimo tema,

neofiti

pi ampio e diffuso ^ Confida adunque che coloro che lo leg-

gono comprenderanno agevolmente, s'anche ommette particolari, se scrive alla brava, in un linguaggio tecnico, incurioso di quella nitidezza d'espressione che piacerebbe anche
in un filosofo. E T incuria spesso manifesta; anche nei primi
periodi, che esprimono un concetto piano e naturale, il pensiero s'avvolge in ambagi inutili. Epicuro non sa pi scrivere

come

si

parla, arte meravigliosa dei primi scrittori attici

neppure ha quella densit nervosa, anche se inelegante ed


ardua, eh' propria degli scritti di scuola d'Aristotele, ove
tutta si rivela quella mente sempre inquieta a ricercare, a
definire, a proporre problemi, nel travaglio ansioso d'un pensiero che di continuo scopre e ci addita nuove mete. Epicuro invece ha qualche cosa da dire ben definito e conchiuso;
ma, ove non si sorvegli, la sua forma modella male il pensiero. Pur tuttavia, anche in questa lettera, sono qua e l
brani che nella loro secchezza arida hanno un che di austero.
La difficolt maggiore viene dalla mancanza di certi nessi
del pensiero, dall'essere alcune dottrine

trattate troppo in

propone di discorrerne per discepoli che gi conoscano la sua filosofia e pos-

breve e quasi

di scorcio;

perch egli

si

sano seguirlo in una ricapitolazione rapida. Accadde perci


che molto spesso i moderni abbian trovate difficolt che i
a cui il maestro si rivolgeva non avrebbero rilevate,
ed abbiano corretto il testo l dove era sano e diceva cosa
conforme alla dottrina di Epicuro. Occorre dunque anche ora,
dopo l'opera insigne dell' Usener e le acute ricerche del
lettori

II

Grande compendio

quest'epistola lo scritto

neceo e

le

Massime

(v.

pii

capitali.

ivi). Appunto perch


Epicuro, l'ho posta dopo la Lettera a Me-

Epistola ad Erod., }5 e n.
diffcile di

Veramente, per l'arg-onicnto che

tratta,

dovrebbe pre-

cedere, perch, nell'ordine della dottrina epicurea, prima veniva la dottrina della

conoscenza (cio la canonica) di cui non abbiamo alcuno scritto particolare ma solo
qualche accenno nelle Massime capitali e n^WEpisioa ad Erodoto, poi la fisica,
poi Velica. Mi parve per inopportuno porre sin dal principio innanzi ai lettori lo
scritto pi arduo di Epicuro (composto da lui per lettori gi iniziati ed esperti
del sistema) mentre la Lettera a Meneceo e le Massime capitali, potevano prepararli man mano ad affrontare diflScolt maggiori.
Epicuro.

34

EPICI! no

Brieger e particolarmente del Giussani \ convergere su queste


pagine ogni luce che si possa derivare dalle altre testimo-

nianze epicuree. Questo abbiamo cercato di fare, e credo apparir che in molti punti la dottrina ne esce chiarita ed il
testo ridotto a migliore e pi sicura lezione.

Affine per argomento a questa lettera, quella a Pitocle,


che tratta di una provincia della fisica epicurea, di secondaria
importanza per il maestro; cio, delle dottrine metereolo-

giche,

in cui egli

ma

non ambiva a novit

di risultamenti o di

ad indicare le opinioni pi probabili, combattendo quei filosofi che avevano su tali questioni dottrine
dogmatiche. Pi rude e incondita anche di quella ad Erodoto ^, potrebbe, a chi la legga, parer poco degna di Epicuro. E per verit TUsener trov in un testo ercolanese che
della sua autenticit gi sollevarono qualche dubbio i succesricerche,

solo

nej?li Studi critici sul poema di Lucrezio del Pascal


n occorre qui ricordare altri lavori che saranno indicati, ove occorra, nelle
note. Desine di lode sono pure la versione latina del Tescari {Studi di filologia
class., voi. XV) e quella tedesca del Kochalskt (Lipsia, 1;14), dalle quali per
dissento in parecchi luoghi. Sopra tutto poi il Kochalsky in troppi punti, in questa
epistola e altrove, ricorre a rimaneggiamenti arbitrari del testo. Una nota particolare merita l'opinione, sostenuta specialmente dal Giussani {Studi lucreziani,
1896, p. 12 sgg., 104 sgg.) che in quest'epistola si riveli gran disordine avvenuto
per trasposizioni di brani nei codici. In verit per, quando egli vuole mostrare
come vi si possa porre rimedio, non vi riesce (v. la mia Appendice). E di fatti,
come ho mostrato nell'Appendice, questo preteso disordine proviene dal carattere
stesso della lettera composta per gli iniziati, che scorgevano nessi che a noi sfuggono se non approfondiamo bene l'esame delle particolari dottrine. Ogni ritocco
dunque non solo pericoloso, ma arbitrario. La medesima questione ricorre infatti anche per la Poetica e per altre opere di Aristotele, in cui furono proposte
trasposizioni che poi in effetto si videro inopportune.
- Non so se valga la pena di rilevare una curiosa svista dell' Usener, il quale
{Praef., p. xxxvii) dice: De secunda ad Pythoclem epistula lepidum extat
Schneideri Saxonis iudicium, ' multo elegantiorem scripturam atque Epicuri dignireni iilam' quam primam (cio V Epstola ad Erodoto) esse vel propterea, quod ad
adulescentem pulcherrimum pulcra danda fuerit; ' fuisse enim Epicurum acerrimo
pulcritudinis sensu in sexu utroque praeditum et ad scribendum instigatum '.
Le parole virgolate dall' Usener aono veramente dello Schneider (E'ptcuri P/jysica
1

Acute ricerche sono anche

(1903),

INTRODUZIONE

'

Ad

maestro ^

sori del

nersi scritta da

lui,

ogni modo, anche se non dovesse

rite-

certo compilata sull'opera sua maggiore,

della natura.

libri

una compilazione

di

frettolosa, fatta

dal maestro stesso o da qualche discepolo, forse per suo incarico, serba

le

abbiamo cercato

tracce e le oscurit, che

dileguare per quanto

ci fu possibile.

Testamento di Epicuro, conservatoci pure da Diogene

Il

Laerzio, l'ultimo suo scritto giuntoci compiuto. Piccolo ma-

nipolo

dunque

dita,

che fu uno dei

fra tante opere del maestro,

pi fecondi autori dell'antichit.

non possono

non

corto, se

Ed

a compensarne la per-

in piccola

parte, servire le

testimonianze raccolte dagli scrittori antichi,


colanesi

^,

molteplice

ed

il

mirabile

poema

di Lucrezio,

frammenti erche in vasta e

anima di poeta ripercote la parola e la dottrina


Giova per riudirne, qua e l, la voce in quelle

di Epicuro.

sentenze che ne serbarono

gli

scrittori antichi o

tra queste, particolarmente quelle scoperte in

florilegi.

un

florilegio

un anno dopo la pubblicazione degli Epicurea delrUsener, onde non furono comprese da lui nell'opera sua e
rimasero perci assai meno note ^. Ed peccato, perch fu
vaticano,

Metereologica, p, 98), ma esse non si riferiscono gi ad un giudizio di preminenza eW epistola a Pitocle su quella ad Erodoto, ma alla semplice preferenza
che dovrebbesi, secondo lui, dare alla lezione (scripturam illam) KXcov xaX.5,
(invece del semplice KA,cov dei manoscritti) che trovasi in Eudocia, nelle prime
parole d<i\V epistola a Pitocle Lo Schneider ha torto di dar valore alla testimonianza di Eudocia, che non ne ha alcuna, ma innocente del giudizio estetico
(attribuitogli per scusabile svista dall' Usener) che sarebbe veramente lepidum
1 V. pap. ercoli
1005, col. Vili, 4 sg., che riferisco secondo le nuove letture

et

del

Ck.nkbt, {Kol. u. Ulen., p. 2S,

175): vjtoiiticiv riva

^ioxokfv xal xf\q ji[Qq nv]'d^o>4?.8a jieqI (xexecQCov


(

dubbio per se

si

debba leggere

A.afi,pdvcov

:tiToji,fjg

)q

zieq

xivtov

xal tov YIbq y[ea]Tcov

integrare Qeoxcv o gercv) al xcv el^

Mtxqcoqov vacpegofivcov 'Yito'dTixJv %xX.


-

Dei frammenti ercolanesi del

jisqI qjvoEcog di

edizione attendibile (vedi in proposito

le notizie

Epicuro
del

ci

manca ancora una

Cosattini, Per una nuova

(piio. di Epicuro in Riv. di filai., XXXIII, p 292 sgg.":,


ed anche l'Usener li ommette nei suoi Epicurea. N mai forse se ne avr un testo
che conceda di trarne una traduzione, in cui non possibile indicare in ogni
punto ci che si legge realmente nel papiro e ci che integraxione o congettura.
^ Queste SI sentenze, da me tradotte e designate con il nome di Sentmze Valicane, furono scoperte dal Wotke nel codice vaticano gr. 1950 del secolo XIV:

edizione dei frammenti del n.

EPICURO

36

rono scelte ad arte fra i pi bei


Gli altri frammenti conservatici,
pi per citazione dei suoi nemici

fiori

ci
;

dell'opera di Epicuro.

giunsero infatti per lo

e dai nemici

vennero

tra-

scelti con cura i tratti meno


potevano far scandalo. Ci rivelano perci un aspetto interessante del suo carattere, ma, direm cos, piuttosto segnano
le ombre che le luci della sua figura spirituale. E neppur
discepoli, con l'ingenua ammirazione che raccoglie con
i

simpatici e quelle boutades che

codice miscellaneo che contiene le opere di Senofonte, i Pensieri di M. Aurelio


(V. l'ediz. di M. Aurelio dello Stich, p. vii), il Manuale di Epitteto ed altre opere
Il florilegio epicureo contenuto nei fogli 401 v.-iO?. La raccolta reca il titolo

'EniKOVQOv

rtQoocpcvTioig

Allocuzione

di

Epicuro, n probabilmente da cor-

reggersi jtQoocpa)VT]Ois in oTQoocpcovriasig, come propose il Weil. Il titolo che il raccoglitore diede alla raccolta indica lo scopo morale che si propose. Volle egli
farci riudire la voce di Epicuro, trascegliendo dai suoi detti quelli che ne rias-

sumessero l'insegnamento morale come guida della vita umana. Di queste sentenze epicuree alcuna per non del maestro, ma dei discepoli: a Metrodoro,
infatti, sono assegnate da altre fonti la sentenza 10, la 30 e la 47. dubbio se
sia di Metrodoro o di Epicuro la 31 (v. mia nota ivi). Per di pi una (la 3S)
non fu probabilmente scritta n da Epicuro, n da Metrodoro, che premor al
maestro, ma da un discepolo dopo la morte di Epicuro: l'Usener crede sia forse di
Ermarco. Delle altre, circa una ventina ci erano gi note, e buona parte di esse
atipartengono alle Massime capitali, le rimanenti sono in tutto o in parte nuove.
Recano tutte per il suggello dell'autenticit, sia nella forma che nella dottrina.
Rispetto alla fonte di cui si serv il compilatore, l'Usener crede fosse una raccolta
di pensieri, desunti dalle lettere di Epicuro, Metrodoro, Polieno ed Ermarco, di
cui si sarebbe servito anche Seneca (v. Usener, Wiener Studien, 18'^8, p. 189 sg.:

Crnert, Kol. und Men., p. 20, n. Ili), e l'ipotesi dell'Usener spiegherebbe


per qual ragione alle massime di Epicuro siano frammischiate quelle di Metrodoro ed una almeno di altro discepolo. Per il raccoglitore del florilegio vaticano
i-i'r.

avrebbe aggiunto a questo primo nucleo anche una scelta delle Massime capitali.
L'ipotesi dell'Usener ingegnosa e assai probabilmente, in parte, coglie nel vero,
perch qualcuna di queste sentenze ha carattere epistolare, credo per sia troppo
assoluta. Il compilatore, come usufru senza dubbio le Massime capitali, pot anche attingere da altri florilegi, se non alle opere epicuree. In nota al fr. 8, ho
indicata infatti la possibilit che una di queste sentenze appartenga al Simposio
di Epicuro. bene dunque evitare ipotesi troppo assolute, e non affermare senz'altro che tanto il compilatore di questa raccolta quanto Seneca, non avessero altrn
fonte, oltre alle Massime capitali, che il predetto florilegio delle epistole epicuree.

Di queste massime l'edizione principe, ed unica sin ora, quella del Wotkk
Wiener Studien, 1888, p. 191 8gg., con apparato critico del Wotke stesso e
considerazioni dell'Usener (p. 175 sgg., 199-201) e del Gomperz (p. 802-210). Ma, come
naturale, il primo testo costituito non sempre soddisfacente; perci nelle note
alla mia traduzione indicai, di volta in volta, quando me ne allontanai per ristabilire la lezione manoscritta o per correggere altrimenti i passi corrotti nel codice.
Gli studi posteriori di cui mi servii saranno ricordati, volta per volta, nelle note.
nelle

INTRODUZIONE

37

Ugual compiacenza i detti pi salienti come i meno significativi, sarebbero sempre per noi la miglior fonte a conoscere
il meglio della saggezza morale di Epicuro. Chi raccolse in-

vece

le

sentenze vaticane, non

fu,

alcuni indizi, ne un discepolo n

come si pu desumere da
un avversario ^ Gi la

stessa collocazione di questo florilegio, fra altre opere stoiche,

presumere che esso dovesse esser composto da qualche


ecclettico dell'et imperiale che, come Seneca, non
ricusava di trarre pensosi ammonimenti da ogni scuola e
perci neppure dall'epicurea. Scriveva infatti Seneca ^i l
rimedi dell'anima furon gi ritrovati dagli antichi; a noi non
resta se non cercare le occasioni e la maniera di servircene
ed Epicuro era stato veramente fra i primi che avesse impresso al suo insegnamento quel carattere di direzione intima
delle coscienze, che prevalse poi nell'et imperiale. Non
strano dunque che non solo Seneca ma anche M. Aurelio,
nelle sue meditazioni, da Epicuro togliesse massime di saggezza e si ponesse innanzi la figura di lui morente e le ultime
sue parole, come sigillo d'una vita austera e confortata da
suprema serenit contro il dolore ^. L'imperatore filosofo, che
contempla dall'estremo culmine del mondo classico la sapienza
antica, senz'altra passione che quella dell' eroica verit,
sente spesso che gli atomi o gli di sono ipotesi per cui troppo
s' combattuto con asprezza dogmatica, mentre all'anima
inquieta ed avida di sicurezza morale altri pi intimi bisogni
di bont, di forza, di bellezza prevalgono, a cui si pu recare
conforto da ogni scuola e setta. Con simili preoccupazioni
ci fa

stoico

pare scelto

ma

in cui

il

florilegio vaticano.

sono evitati

non ne

simpatici a chi

tratti della

fosse

un'allocuzione epicurea,
dottrina pi rudi e

parola grave e pacata di quel saggio,

V. su ci alcune giuste osservazioni

Wiener
2

p.

dell'

le

cui opere,

Usknkr

come

scri-

nello scritto citato delle

Studiett.

Senkca, Ep.,

()4,

8: efr.

325 sg. Cfr. Pascal,

conti del R. Ut.


i

meno

discepolo; rimane invece la

Lomb.

La

il

mio

studio, citato sopra, in Atene e

yeligione di Seneca ed

di se. e

leti.,

V. M. AuRKL., VII, G4; IX, 41.

il

1906, p. 472 sgg.

Roma, anno

XI,

petisiero epicureo, in Rendi-

EPICURO

38

veva poi un asceta cristiano, S. Gerolamo, son piene d'erbe


e di frutta selvagge e di gioia astinente.
Sono dunque queste massime un nuovo documento della
ammirazione, che la dottrina epicurea, anche attraverso lotte
acerbe, non mai interamente composte, dest nel mondo classico. E non senza ragione, perch nella dottrina di Epicuro,
pi che in alcun'altra, ardente

il

culto

supremamente caro

all'uomo antico, la religione della felicit. Tutta la sua dottrina ne pervasa come da un'ansia di certezza e di vittoria;
vittoria sul destino

umano, certezza che l'uomo abbia

alfine

ove confidare sicuro. La


dottrina stessa di Democrito, da cui Epicuro tanto desume,
ne pare quasi trasfigurata. Non v' pi in lui il dubbio eleatico, che il mondo dell'esperienza possa essere un'illusione
dei nostri sensi, quel dubbio che accosta Democrito a Platone

raggiunto

limiti estremi del vero,

nella metafisica del pensiero ellenico:

non pi l'ansiosa

e con-

tinua ricerca di nuovi misteri della natura, per cui Democrito


continua la tradizione ionica. La fisica di Democrito protesa
tutta all'indagine infaticata, la fisica di

sui culmini ambiziosi della certezza.

tiene al

ma

mondo

Epicuro invece sta

Anche Epicuro appar-

ionico per le tradizioni della sua giovinezza;

cittadino d'Atene, figlio dell'et alessandrina, congiunge

strettamente

il

problema

della natura ai bisogni della

vita

morale. Sull'universo di Democrito impera ancora la Moira


omerica, sul mondo morale di Epicuro ambisce a dominio
sovrano la volont. I mezzi teoretici onde si serve a rinnovare
le linee del

sistema del suo predecessore saranno fallaci;

ma

il bisogno spirituale a cui corrispondono, ben reale negli spiriti del suo tempo. La Natura non pi, per Epicuro, solamente la Otiaii; ionica, cieca legge di nascita e morte perenne,

trova rispondenze simpatiche per l'anima umana a cui


porge prodiga i suoi beni, purch essa sappia apprezzarli:
Sia grazia alla divina Natura, dir egli, che il necessario
fece agevole, il disagevole non necessario * e Lucrezio (II,

ma

V.

fr. 77.

INTKODUZlONa
625 sgg.) la rappresenter sotto

Madre

la Gra-i

Idea, che

il

39

simbolo della

quando incede

Magna

Mater,

nelle citt popolose,

munifica tacita in doni di muta salute


mortali di bronzo e d'argento il cammin delle vie
coprono in largo tributo, e neve di rose effondendo,
tutta adombran di fiori la Madre e la turba seguace.
tutti

ed

Dalla Natura stessa nasce quel bisogno di solidariet umana,


e quella fiducia di affetti, per cui, dir Epicuro:

<

L'affetto,

ad ognuno lanciando
l'appello perch si desti all'encomio della felicit ^ ed ancora Lucrezio, in pi vasto mito cosmico, svolge Taccenno
tutta intorno trascorre la terra,

(cpiLtt)

del maestro;

O degli Eneadi madre, piacer dei mortali e dei Numi,


Venere alma, che sotto i mobili astri del cielo,
florido il mare di vele, le terre opime di messi
fecondatrice pervadi, per che ogni vita mortale,
concepita per te, contempla il lume del sole,
te, divina, te fuggono i venti e le nubi dei cieli,
sboccia fiori soavi la dedala terra al tuo passo
e radiosi al

splende

il

Non mancano
Epicuro,

tuo avvento sorridono

cielo placato in largo

non

vero,

gli aspetti

flutti del

lume

ma neanche

solo in Lucrezio

pi tragici del

mondo

il

la dottrina epistoici

che tutto

mistero dell'universo in un prefisso disegno di prov-

vida saggezza. Epicuro accuser


sveler la culpa naturae, che
retto

in

naturale, che in

questi versi si irradia di luce quasi divina:


curea non conosce l'ottimismo razionale degli

assolve

mare,

dituso!

dal consiglio divino.

ci

Ed

la xexvia xfjg (pvaecog e Lucrezio


impedisce di credere il mondo
questo un contrasto radi-

cato nelle profonde necessit logiche di ogni sistema edonistico,


titesi

in cui

ad una

l'amaro che s'infonde alla

sempre l'annon pu non sentire


coppa del piacere. Ma, pur fra

tesi ottimistica si solleva

pessimistica: chi cerca la volutt

V. Sent. rat., 52 e mia n.

40

EPICURO

queste ombre, l'appello alla vita ed alla gioia fecondatrice


della Natura, s'eleva

come

il

x'Y]Xavyq tcqgikov, la

fronte del tempio della saggezza epicurea.

Ed

rifulgente

la liberazione

che l'uomo trova nella scienza della vita, sui vertici della
prudenza umana. Ogni et stanca ed oppressa, dalla Rinascenza alla Rivoluzione francese, trover nella parola di Epicuro e di Lucrezio, ingenuamente interpretata e rivissuta,
una promessa di libert e di riconsacrata gioia del vivere. E
spesso dal tronco rinsecchito dell'epicureismo rigermineranno
verdi rami, in una vita novella. Ma nessun maestro d'epi-

cureismo rinnovato ritrover pi tanto consenso e tanta fede


di discepoli, perch in nessun tempo pi la dottrina sar
tanto conforme al clima spirituale.

mondo

Il

Mai come

alessandrino la vera patria dell'epicureismo.

uomini furono cos avidi di quel delicato


mai come allora
l'uomo pose tutta la sua orgogliosa superiorit nel proclamarsi felice mai come allora la vita umana cerc avidamente
allora gli

equilibrio spirituale che revSaipiovia greca:

il

suo tipo di perfezione, che obbedisse a canoni di armonia

cos perfetta

come

quelli che regolano la statuaria di Prassi-

Ogni filosofo deve offrire il suo modello della


suprema perfezione umana, deve attestarlo nella sua vita, e
conchiuderlo in una morte armoniosamente serena. Dinanzi
airultimo dolore, alla dipartita suprema, deve saper proclamare come Arda, porgente allo sposo Tarma con cui s'
colpita: Patte ^ non dolet. Questa audace sfida al destino, questa
tele e di Lisippo.

eroica

menzogna

alla legge della natura, sar la

sua gloria.

mentre l'et greca classica consacrava il tipo ideale del filosofo che muore per la giustizia, in Socrate conversante con
1

discepoli nella sua cella, lungi ai pianti delle femine, in

aspettativa del meraviglioso mistero dell'anima rinascente;

alessandrina lo ritrover in Epicuro che, nelle ultime


sue parole, afferma vittoriosa dinanzi alla morte la fede nella

l'et

felicit:

me il giorno supremo e pur felice della


quando queste cose ti scrivevo. Cos acuti erano i
miei mali... che pi oltre non poteva procederne la violenza.

mia

Volgeva per

vita,

INTRODUZIONE

Pure ad

essi tutti

ricordare le nostre

s'adeguava sempre

41
la gioia

dottrine e le verit

deiranimo nel

da noi scoperte

Queste due morti, cos diverse e pur cos greche entrambe,


segnano il limite di due et, e rappresenteranno per l'uomo
antico il suggello di due tipi umani e di due forme spirituali,
con propria fede e devozione: V imitatio Socratis e V imitatio
JEpicuri.

Milano, Pasqua del 1918.

Ettore Bignone.

LETTERA A MENECEO
Epicuro a Meneceo salute
Nessuno, mentre giovane, indugi a filosofare, n vecchio
poich ad acquistarsi la salute dell'animo, non immaturo o troppo maturo nessuno.
E chi dice che ancor non venuta, o gi pass Tet di
filosofare, come dicesse che d'esser telice non ancor giunta
reti\
gi trascorse. Attendano dunque a filosofia, e il ^'\ovane ed il vecchio; questi affinch nella vecchiezza si man-

122

di filosofare si stanchi:

tenga giovine in

felicit,

per riconoscente memoria dei beni

goduti ^ quegli affinch sia ad un tempo giovane e maturo


di senno, perch intrepido deiravvenire. Si mediti dunque

su quelle cose che ci porgono la felicit; perch, se la possediamo, nulla ci manca, se essa ci manca, tutto facciamo per
possederla

^.

Medita perci e pratica le massime che sempre ti diedi,


ritenendole gli elementi di una vita bella ^. Anzitutto consi1

Cfr. sul valore della riconoscente

epicurea,

il

memoriti del bene tfoduto nelln dot.rinu

passo allatto affine a questo

in

I'hilod., n. 'Ejtixo'UQOv, fr. IV, 13

sjr.

anche infra Sem rat.,


17 e Mass. cap., IX. I due luof^hi citati per primi dimostrano l'esattezza della
lezione manoscritta x^Qi-v, che altri volle mutare in xaQv.

ricostruito

da me

in Riv. di Filai., 11)15, p. iU sgg'., vedi

V. la definizione epicurea in pap. ercol,

1012,

col. 57

edito dal Ciuisrui,

Kol. u. Men., p. 117.


3 In ci che se^ue, sino a 127, si eiuuiziano ed espongono i principii fondamentali dell'etica epicurea che formano la irima parte del quadri farmaco oedi
Introd., p. 12) cio: 1) che non si debbono temere gli di; 2) che la morie noa

nulla per noi.

123

44

EPICURO

dera la divinit come un essere vivente incorruttibile e beato,


secondo attesta la comune nozione * del divino,
e non

attribuirle

nulla contrario all'immortalit, o discorde dalla

beatitudine

^.

Ritieni vero invece intorno alla divinit, tutto

ci che possa conservarle la beatitudine congiunta a vita im-

mortale. Perch gli di certo esistono: evidente^ infatti n'


conoscenza: ma non sono quali il volgo li crede; perch

la

non
124

li
mantiene conformi alla nozione che ne ha*. Non
perci irreligioso chi gli di del volgo rinnega, ma chi le
opinioni del volgo applica agli di ^ Perch non sono pre-

nozioni ma presunzioni

fallaci, le

opinioni del volgo sugli

^ Pertanto dagli di ritraggono i maggiori danni gli stolti


e malvagi, ed i maggiori beni i buoni e saggi''; perch
di

^ f| xoivT) vi\aiq: questa comune nozione la prenozione


{nQXy]y^iq) epicurea,
che pi sotto {Vita di Epic, 33) appunto definita xadoXtxf) vr]aig. Tale
prenozione della divinit proviene dal ricordo dei simulacri degli di (per la
dottrina dei simulacri, el(aka, v. Ep. ad Er., 49 ag., 46 sg.) che giungono a noi
nei sogni e nella veglia; v. Cic, De nat. deor., I, 18, 40; 18, 46 sgg.; 27, 76; cfr.
la col. I del pap. ere. 168, pubblicata da me in Atti della R. Accademia delle scienze

di Torino, 1912 (adun. del 21 aprile) p. 6 sgg. dell'estratto, e


LucR., V, 1167 sgg.

il

mio commento

ivi

cfr.

V. Massime capitali, I; Ep. ad Erod.,

77.

chiama evidenti quelle cognizioni che abbiamo per mezzo


dell'attestazione dei sensi: e tale appunto quella degli di, che deriva dalla prenozione, la quale non altro se non la sintesi di sensazioni ricevute e ricordate,
^

v.

s.

vaQYTis: Epicuro

n. 1.

Cio attribuisce loro qualit, p. es. la benevolenza o l'ira, che discordano


dalla nozione che ha degli di, quali esseri viventi beati ed immortali. Sulla questione degli di in Epicuro, v. anche il papiro di Ossirinco studiato dal FraccaROLi in Atti della R. Acc. delle scienze di Torino, voi. XXIV, adun. del 18 febbr.
*

1900.
5

Buone osservazioni ha pure


Cfr. Luce.,

I,

il

Guyau, La morale d'Ep.,

p. 172 sgg.

80 sgg.; V, 1198 sgg.

V. la distinzione fra la JtQ^rjipig (prenozione) e

V vjiX'r\y^[,g in Vita di Ep., 34.


Errano gl'interpreti anche pi recenti, che rendono questo passo come ss
Epicuro volesse in questo punto contradire all'opinione comune che dagli di possano derivare mali o beni per gli uomini. Epicuro invece dice tutt'altro. Naturalmente egli non ammette che gli di operino direttamente in bene o in male
degli uomini (v. Mass. cap., I); tuttavia dagli di derivano massimi beni o massimi mali per gli uomini, a seconda del concetto che questi ne hanno. Infatti coloro
che hinuo un falso concetto degli di ne temono la vendetta o ne ricercano ansiosamente il favore, rendendo la propria vita infelice e travagliata (v. Ep. ad Er.,
% 77), mentre i saggi e virtuosi in\ece, che ne hanno un giusto concetto, dalla
contemplazione della beatitudine degli di ricevono il massimo piacere e sono
6

"

LE'J'TEKA

A MBNECEO

questi adusati alle proprie virt,


i

comprendono

45
e si fanno cari

loro slmili, e ci che vi discorda stimano alieno

Abituati

pensare che nulla per noi

la

^
morte:

in

quanto ogni bene e male nel senso, laddove la morte privazione del senso ^. Perci la retta conoscenza che la morte
nulla per noi, rende gioibile la mortalit della vita: non che
vi aggiunga interminato tempo, ma sgombra T (immedicato)
rimpianto dell'immortalit ^ Nulla infatti nella vita temibile,
per chi sinceramente persuaso che nulla di temibile ha il

spinti ad attuare nella vita loro l'ideale di questa divina serenit a cui anche il
saggio pu giungere (v. sotto 135): v. i miei studi citati sopra in n, i e 4 {Riv.
di FiloL, 1. e., p. 540 sg. Atti Acc. di Torino, 8 n.), cfr. Cic, De nat. deor., I, 19, 02
EusEB., Praep. ev., 5, p. 800 a, ove detto che l'affluire dei simulacri divini causa
a noi di grandissimi beni; cfr. Philod., jc. eia., p. 145 G.; 86, 13 G., cit. dalrUsENER, p. XX Pap. di Oss., v. II, n. CCXV, col. I, 11. 16 sgg. Ep. ad Erod.,
;

78. Si

deve

noti ancora che l'interpretazione

vnQ #8cv. Infatti, secondo l'opinione


miti del politeismo greco, gli di spesso punibuoni e saggi. E che dagli di potessero incogliere

riferirsi alle :7tocpdoeig tcov

volgare degli antichi, e secondo

danneggiavano anche

vano

danni anche

comune non regge; perch v^ev non

:toA,X,c5v

buoni dovettero concedere persino gli Stoici (v. Frg. Stoic. Vct.,
II, fr. 1176 Hgg. Arnim). Questo appunto l'argomento che sempre muove Epicuro
e gli epicurei a combattere l'opinione del volgo e di quei filosofi che ammettono
ai

un intervento divino nelle cose umane (v. L\ct., Biv. inst., Ili, 17, 8). Piuttosto,
come appare dai passi citati sopra, Epicuro e gli epicurei ci tengono a dimostrare
che la loro dottrina, mentre toglie modo di accusare gli di per atti indegni della
loro augusta natura, conserva per alla religione una virt altamente benefica
per gli animi saggi e puri. Per il senso di ;to6xovTai ed XXxQiov, in fine del
periodo, e per la dottrina relativa, v. Mas*, cap.,
1

XXXIX,

saggi hanno con gli di, perch anch'essi


beatitudine e serenit (v. sotto 135 e Sent.vnt., 33),

Si tratta della somiglianza che

sono partecipi della somma


onde solo essi possono farsi degli di un concetto adeguato ed averne la giusta
ammirazione; cfr. Philod., jt. e^o., p. 124, 1 G., su cui v. le mie osservazioni in
Riv. di Filol, 1. e, p. 540; Mass. cap., XXXIX.
" V. Mass. cap., II, e luoghi cit. ivi.
a Per la dottrina v. sotto Massime cap.,
XIX sg. e luoghi cit. ivi. Quanto al
testo, leggo: cx diireiQOv JiQoaxi-Q-elaa XQvov, XX Tv(d7t0Q0v)xfJ5 ^avaolag q)eXo|ivTi jtOov. Infatti i codici, dopo ovk, leggono noQov, che ivi certamente errato, e va letto dneiQov, come gi fece il Menage; ma chi osservi con quanto amore
Epicuro in quest'epistola ricerchi quelle antitesi di concetti e quelle assonanze, care
anche a Tucidide (v. p. es., per citarne solo qualcuna, 122 Acoqo?
nQcoQog: 1-Jt3 oi&
T jiA,eIov /wX x i]5iov olgeTai ov x fi'jxioxov Xk x iiioxov xaQjii^txai

130 x q)voixv

EvnQioxov

6 jcevv 5uojtQioxov ecc.) parr assai

probabile

lezione dei codici nogov non sia una corruzione di djieiQov, ma provenga
una postilla marginale, in cui il revisore aveva corretto l'omissione di jioQov
dopo XX Tv, introdotta nel testo, fuori posto, dopo ovx, in sostituzione di jceiQov.
clie la
.la

125-

EPICURO

46

non viver pi ^ perci

126

stolto chi dice ^ di temer la morte non


perch venuta gli dorr, ma perch preveduta Taddolora: infatti quello che presente non ci turba, stoltamente, atteso, ci
angustia. II pi orribile dei mali, la morte, non dunque
nulla per noi; poich quando noi siamo, la morte non c', e
quando la morte c', allora noi non siamo pi. E cos essa
nulla importa, n ai vivi n ai morti, perch in quelli non
c', questi non sono pi ^. Invece, la maggior parte ora fuggono la morte come il maggiore dei mali, ora (la desiderano)
come requie (dei mali) della vita; (ma il saggio n ricusa

n accusa la morte; perch la vita non per lui


un male, n crede un male non pi vivere ^. Ma come dei
cibi non preferisce senz'altro i pi abbondevoli, ma i pi gradevoli; cos non il tempo pi durevole, ma il pi piacevole,
gli dolce frutto ^
Chi esorta invece il giovine ad una vita bella, il vecchio
ad una bella morte ^. ha poco senno non solo per il gradevole della vita
ma anche perch una sola la meditazione
e l'arte di ben vivere e di ben morire. Assai peggio ancora
chi dice: bello non esser nato,
la vita),

'',

'ma, se nato,

le soglie

dell'Ade al pi tosto varcare

'8;

1 Sia perch il saggio pu sempre eseir dalla vita quando questa gli sia troppo
gravosa per mali insopportabili (v. Cic, De fin., I, 19, 62; Sent. vat., 9); sia perch
le maggiori vilt e le maggiori perturbazioni nascono, direttamente o indirettamente, dal timore della morte. Contro gli altri mali poi di conforto ci che
detto nella Massima cap., IV, ed il fatto che il saggio anche nelle maggiori sventure trova la felicit in se medeimo (v. la lettera di Epicuro morente in Vita di
Ep., 22, Cfr. LucR., Ili, 31 ggg,
Mass. cap., XXI e n. ivi, XXVIII).
- Forse Epicarmo (fr. 11 Diels), che diceva: Morir non
voglio; d'esser morto
ridomi (cfr. Cic, Tusc, I, 8, 15).
;

V. LucR.,

V. Mass. cap.,

Infatti,

sgg. [Plat.], Axioch,, p. 365

Ili, 830

come

sgg.

XX; XL.^

si

dimostra in 3Iass.

cap., X.IX sg.,

il

tempo limitato ha uguale

quantit di gioia di un tempo infinito. Quanto alla qualit del piacere, essa
pende dall'arte del goditore.
6

MiMNERMo??:

ol T xr\q

cfr. fr. 1-2

^cofjg

Crusius.

anaaxv: cio per

vani, pu avere la vita.

Non

gi,

come

il

piacere che per

la bellezza

Teognide,

(v,

V. 425 ssr.

tutti,

vecchi e gio-

intese alcuno, per l'amore che egli dimo-

stra per la vita: giacch Epicuro rimprovera non chi

s& vederne

di-

Mass. cap., XX).

ama

la vita,

ma

chi non

LETTERA A MENECEO

47

non

se infatti questo dice convinto, perch

N'ha pieno

vita?

diparte dalla ui

si

fermamente*:
cose che non la com-

arbitrio, se vi era deliberato

se invece scherza, dice sciocchezza in

portano.

Ancora, si ricordi, che il futuro non ne nostro, n interamente non nostro: onde non abbiamo ad attendercelo si-

curamente come se debba avvenire, e non disperarne com^


non possa avvenire^.
Similmente si sappia ^ che dei desiderii sono alcuni naturali,

se sicuramente

vani:

altri
altri:

e,

dei naturali, necessari gli uni, solo naturali gli

dei necessari certi son necessari alla felicit, certi al

bene stare del corpo,

Poich una retta con-

altri alla vita stessa.

siderazione di essi sa riferire ogni scelta ed avversione alla


salute del corpo ed alla tranquillit (dell'anima); questo in

fatti

il

veramente per questo ogni

fine della vita felice'': e

cosa operiamo, per non soffrire e non esser perturbati. Apogni tempesta dell'anima si placa; n
animato ha da procedere mai ad altro, come a cosa
che gli manchi, n altro cercare, onde sia compiuto il bene
dell'animo e del corpo ^ Ed invero, di piacere abbiam bisogno, quando soffriamo per l'assenza del piacere: (quando
non si soffre), il piacere pi non si cerca ^. Perci dichiapella

l'otteniamo,

l'essere

De

V. LucR.,

V. infra Seni, vat., 14; 35; LucR., Ili,

Ili, 955

sgg.; Cic,

fin., I,

19, 62.

9U

sgg.

Cic, Tusc,

III, 13, 28

sir.

In nostro potere sempre l'arte di ben disporre la vita e di saperne gioire quanto
a ci che dipende dalla fortuna, esso ha piccolo valore pel saggio (vedi Mass.
;

Nota che Epicuro qui polemizza con i Cirenaici, i quali dicevano \i\ov
XIV, 6; D. L II, 66; 89.
Determinata "la vanit del timore degli di e della morte, Epicuro procedo

cap., XVI).

rjjxTeQOv elvat x incaQv, v. Akl., Var. HisL,


^

a stabilire quali siano le con<lizioni necessarie alia vita felice, fra cui anzitutto
la giusta conoscenza del limite da imporre ai nostri desiderii: per la classificazione di questi V, Mass. cap., XXIX sg. Seni, vat., 21.
;

Ed

Il fine

della morale l'assenza di dolore corporeo e la serenit dell'anima.

sentimenti di piacere e di dolore sono i due criteri


fonda tutta la dottrina morale di Epicuro. Cfr. Vita di Ep.,
i

XXV, XXVI, XXX;


s

Luca.,

II,

di

giudizio su cui

34;

si

Mass. cap., XXII,

Sent. vai., 33.

IG sgg.

Nonne

videre nil aliud sibi naturam latrare, nisi utqui

Corpore seiunctus dolor absit, mente fruatur lucundo sensu cura semola mctuque?;
Mass. cap., Ili, XVIII; cfr. pap. ere, 1012, col. 57 (Cronkrt, Kol. u. Men., p 117).
Cfr. fr. 69: Cic, De fin., I, 53. Vedi anche Massime cap., Ili, ove si dichiara che il limite in grandezza dei piaceri la sottrazione del dolore. Il pia-

128

EPICURO

48
129

riamo

il

piacere principio e fine della

felicit,

abbiamo riconosciuto come bene primo

perch questo
e

da

esso iniziamo ogni scelta ed ogni avversione, e ad esso ci

ri-

facciamo, giudicando ogni bene alla

E come

e congenito

norma

^
;

del piacere e del

primo bene e connaturato, per


ma talora a
molti rinunziamo, quando ne consegua per noi maggiore
incomodo; e molti dolori stimiamo preferibili ai piaceri,
quando maggior piacere ne consegua, se lungo tempo avremo
sopportato i dolori ^. Ogni piacere adunque, per sua propria
natura, bene; ma non per ognuno da eleggersi^; similmente ogni dolore, per sua natura male, non per ogni do130 lore sempre da fuggirsi *. A misura ed a norma degli utili e
dei danni, convien dunque giudicare piaceri e dolori ^: infatti
a volte il bene per noi un male, a volte il male un bene.
Ancora, consideriamo gran bene l'indipendenza dai desideri ^, non perch sempre ci debba bastare il poco, ma affinch, se non abbiamo molto, il poco ci basti: siamo infatti
persuasi soavissimamente goda l'abbondanza chi minimamente
ne ha bisogno
e che tutto quello che natura vuole agevole,
ci che l'opinione vana malagevole ^.
E per vero i cibi frugali recano uguale copia di piacere *
dolore.

questo

il

ragione pure non eleggiamo ogni piacere,

tal

''';

cere non pu crescere oltre questo lmite, raggiunto

il

quale

riazioni qualitative di piacere, che sono affatto secondarie, ed

si
il

hanno

solo va-

saggio non ne

ha bisogno per esser

felice: cfr. Mass. cap., XVIII.


V. per la dimostrazione epicurea, tolta dall'osservazione della naturale tendenza negli esseri viventi, Vita di Ep., 137; cfr. ivi, M.
1

fr. 71: Cic, De fin., I, 10, 32 sgg.


II, 17, 56.
Cio solo debbono scegliersi quei piaceri che non apportino maggiori dolori:
V. Mass. cap., Vili.
2

V.

V. Sent.

vat., 63.

che Platone fa svolgere da Socrate nel Protagora, p. 351 B sgg.


propriamente la virt di bastare a s.
7 II medesimo contrapposto stilistico fra \b\.Gxa ed tixioto, che Epicuro
ripete
in fr. 91, era gi in Xenoph., Mem., I, 6, 5: ok oiO'&' 6ti \iv r\biaxa o'O'tcov
\v,iaxa ipou elrai, 6 f\iaxa rctvtov fxioxo xov \if] jcagvxos refO-unE noxov;
cfr. anche Tblbte, p. 39 H.
8 V. Mass. cap., XV; Lucr., II, 16 sgg., cit. s.
p. 47, n. 5.
Leggo fiftovfjv con i codici: arbitrariamente ed a torto l'Usener corregge
tjaiov (ripugnanza): non solo, infatti, secondo Epicuro, sottratto il dolore non
5

Cfr. la dottrina

xfiv tt'TQxeiav

LETTERA A MENECEO

un

di

vitto sontuoso,

49

quando interamente

sia sottratto

do-

il

pane ed acqua danno il piacere supremo ^


quando se ne cibi chi ne ha bisogno. L^ essere usi a vitto
semplice e non sontuoso, dunque salubre e rende Tuomo
alacre alle necessarie occupazioni della vita; e quando, ad
intervalli, addiveniamo a vita sontuosa, ci rende ad essa
meglio disposti e ci fa intrepidi della fortuna. Quando noi
dunque diciamo che il fine il piacere, non intendiamo i
piaceri dei dissoluti e dei gaudenti ^
come credono certuni,
ignoranti o dissidenti ^ o che mal ci comprendono
ma il
non soffrire quanto al corpo e non esser turbati quanto alTanima. Perch non simposi o feste continue, n godersi
giovanetti e donne, n pesci od altro che offre mensa sontuosa, rendono dolce la vita ^, ma sobrio giudizio che indaghi
le cause d'ogni scelta o avversione e discacci gli errori onde
gli animi son colmi d'inquietudine. Di tutte queste cose
principio ed il massimo bene la prudenza ^, e perci anche
pi pregevole della filosofa la prudenza, origine di tutte le
altre virt, perch c'insegna che non c' vita piacevole se
non saggia e bella e giusta, (n saggia bella e giusta) se
lore del bisogno; e

isi

cessa il piacere, che invece perdura e si svaria (vedi Mass. cap , XVIII)
ci
che mostra che la correzione dell' Usener contraria alla dottrina di Epicuro
ma per di pi la lezione manoscritta confermata da Cickrone, De fin., II, 28, 90
che parafrasa questo luogo: Sapientem locupletat ipsa natura, cuius divilias Epicurus parabiles esse docuit..., negat enim tenuissimo viclu... minorem voluptatem
percipi quam rebus exquisitissimis ad epulandum... naturales divitias dixit parabiles esse... non minor, inquit, voluptas percipitur ex vili8imis rebus quam ex
Si noti che dopo la cessazione del dolore non muta quantitatipretiosissimis.
vamente il piacere (e perci Epicuro dice lar\v {f\ovr]v)), ma solo qualitativamente.
1 Cio
l'jtovia (l'assenza del dolore) che il summum boHum (v. s. 128):
cfr. anche Democr., fr. 246 D; Sent. vat., 33; fr. 38.
2 V. Mass. cap., X.

Cio in particolar

modo i Cirenaici,
come il sommo

quali considerarono lo stato di non

come crede Epicuro, ma come


condizione simile a quella d'un essere morto: v. Clkm. Alex., Strom., II, 21;

sofferenza (itovCa) non gi

p.

i7i,
*

col. 3

bene,

'^(^.

Vedi l'eco

di

queste parole

in

Lucr.,

Il, 20

sgg.

Dico, di Enoanoa,

fr.

I,

W.

^ cp\)vx]aiq, cio prudenza e saggezza naturale e pratica: v. su ci che segue


Mass. cap., V: e l'epicureo Cor.OTK nQq xv nX,Ta)vog Auolv, ed. dal Crnkrt, KoL
u. Men., p. I(i6 a, col. IX, 8 sgg.

Epicuro.

i38

EPICURO

50

non piacevole. E certo

virt sono connaturate a vita felice,

le

e la felicit n' inseparabile


133

Infatti chi stimi superiore a colui

che ha opinione reverente degli di, ed impavido sempre di morte e fermamente


conosce qual il fine secondo natura, e sa come il limite dei
^

compimento ed agevole abbondanza, il limite


ha picciol tempo o doglia^; e quel potere
che alcuni considerano signore supremo del mondo, proclama ^
beni

'^

ha

facile

dei mali invece

Cfr. Spinoza, Eth., V, 42

Beatitudo non est virtutis praemium, sed ipsa


ibidines corcemus, sed contra quia eadem
gaudemus, ideo ibidines coercere possumus.
2 Epicuro chiude la sua esortazione con la
lode del sag-gio: su quest'uso epicureo V. l'esempio in Cic, De /?n., I, 19, 62 sgg.
y T T(5v yad'cv ^rgag, cio quel limite che
determinato nella Mass. cap,,
III: Qos xov fisY#otjg tcv ya'd'cv le due espressioni qos e jtQag sono affatto
sinonime, cfr. Mass. cap., XVIII sgg.
4 Fin qui si riassume il quadri farmaco epicureo:
v. Mass. cap., I-IV; Intro1

virtus; nec

eadem gaudemus, quia

duzione,

p. 12.

Leggo

YYX.>.ovToq con i codici (Usener SiaveA-tvrog). In ci che segue il


testo manoscritto certo lacunoso, ci che fu visto gi dagli antichi editori, le
cui congetture per non sono accettabili. E neppure si pu dire abbia emendato
adeguatamente il testo l' Usener, che per vide giustamente che nella lacuna
"

doveva essere

il primo termine della triplice classificazione degli avvenimenti,


secondo Epicuro (v. At., I, 29, 5, p. 326, 3 Di, debbono dividersi in tre
categorie, quelli che accadono secondo necessit, quelli che dipendono dalla fortuna, e quelli che sono imputabili al libero arbitrio. Nel resto invece non credo
vi sia dubbio che le integrazioni e le correzioni dell' Usener siano inaccettabili.

quali,

Infatti anzitutto si scosta senza necessit dalla lezione dei codici nell'ultima pa-

prima della lacuna, leggendo Siaye^cvTog invece di yyXXovxoq; per di pi


ragionamento che risulta dalla sua integrazione non corre netto: infatti Epicuro
non punto probabile abbia detto che il saggio considera che ogni cosa avviene
secondo necessit, o secondo fortuna, o secondo libero arbitrio, perch la neces-

rola,
il

sit irresponsabile, la fortuna instabile,

il libero arbitrio invece autonomo, onde


biasimo e la lode Un simile modo di ragionare
sarebbe infatti sofistico. Infine l' Usener, per costruire un sol periodo mostruoso,
che comprende i 133 e 134 e la prima parte del 1H5, costretto a correggere
in due altri luoghi il testo manoscritto, leggendo ujroX.afApvovxog invece di vtcoXa^pdvojv dei codici (p. 65, 16 Us.) e pi sotto vouitovxog (p 66, 2) invece di
vo^i^cov; mentre evidente che tale passaggio, attestato dai codici, dal genitivo
assoluto alla costruzione con il participio nominativo, dimostra che nelle parole
perdutesi per la lacuna, terminava il primo periodo col genitivo assoluto e ne
cominciava uno nuovo con nuova costruzione. Secondo questo criterio dunque
credo si debba colmare il testo, conservando, secondo le buone regole di critica

ad esso naturale consegua

il

del testo, la lezione dei codici nelle parole che precedono e seguono la lacuna.
Katuralinente non possibile ristabilire le parole precise cadute, ma il senso
credo si possa ricomporre; leggo dunque ed interpungo cosi: xr\v 6 vn xivcov

LETTERA A MENKCBO

51

(vano nome e senza soggetto, il destino o fato? E saggio appunto chi in noi ripone la causa principale degli avvedei quali alcuni accadono) secondo necessit, alnimenti
perch
tri secondo fortuna, altri infine per nostro arbitrio

egli

vede che

bile,

il

la necessit irresponsabile, la

fortuna insta-

nostro arbitrio invece autonomo, onde ad esso pur

naturale consegua biasimo e lode

Meglio era infatti

te-

nersi ai miti sugli di, che essere schiavi al destino dei

fisici,

perch quelli almeno ammettono speranza di placare

numi

onorandoli, questo invece ha implacabile necessit.

la for-

il saggio non la stima - una divinit, come il volgo


e neppure la
perch dio nulla opera senz'ordine e misura
considera una causa incostante (dei maggiori beni o mali ^}
perch egli certo (non) crede che essa doni agli uomini

tuna,

beanxiv 8loaYO(xvr]v jtdvTcov yyXXovxoq (el|xaQH,vTiv xevv vo|xa eivai; (cfr. AnaXAG., A 66; Epic. ap. Cic, Be fin., I, 20, 55: oppure yY^^ovxog (xevv vojia
elvai, V\v Y'^^I^^QM-vTiv

i]

xal (AoiQav

naXovav

;)

oocpg

KVQKxx^v alxiav (cfr. i fr. del n. cfva. di Epicuro


(Aevog
wv d \iy nax' vyKr\v y^'vo'VTai), bk ^

6 xvxr\v ovxe

-O-ev, (bg

yQ

Tf]v

nv rtv

cit. in n. seg.) jcag'


xiix'nS

yivo[iv(i)v

fmag

^ ^^ jtaQ'fmfis

ot JioX,Xol votii^ouoiv, iiJtoXanPavcov (p. 65, 16 codd.

Usen.) xx.

"(jjtokaii^vovxog)... xQeiT-tov elvai vo(xtl;(ov (codd.: vo|i.i,^ovTog

xi-d'-

...

Tf]v

Usen.

Meno

ac-

Kochalsky che pone tre lacune


pi lascia come l' Usener la proposizione

cettabile di quella dell' Usener poi la lezione del


e introduce altre correzioni, e per di

causale i x xr\v \iv vdyHTiv xx, senza logico riferimento a ci che precede.
1 Per la dottrina del libero arbitrio in Epicuro, v. i frammenti del Jt. cpiiaecog

Gompkrz in Wiener Stud., I, 1879, p. 27 sgg. cfr. anche Crkdaro,


Lomb., 1892, pp. 620-32; Giussani, I, p. 160 sgg., che per si fonda
sulla pubblicazione anteriore del Gomperz (in Sitz. d. k. Akad. zu Wien, 1876,
p. 92 sgg.); LucR., II, 251 sgg. In ci che precede e segue Epicuro combatte
particolarmente Democrito, v. Epist. a Pitocle, 90 e mia nota ivi: cfr. Dioo. di

pubblicati dal
in

Rend.

Enoanda,
2

Ist.

fr.

33, col. 3

W.

vjtoXa\i^dv(x)v codd.: v. n. prec.

^ Non si sono accorti gli editori che il testo, quale nei codici ed essi riproducono, certamente errato. Infatti anzitutto il senso non correrebbe; perch il
non essere semplicemenle la fortuna una causa incostaule ((3j3aiov alxiav), non
sarebbe punto dimostrato da ci che segue, cio che da essa non provenga il bene
ed il male che conta per la felicit, ma che solo son posti sotto il suo influsso i
piincipii di grandi beni e mali. Anzi, se la fortuna fesse una causa costante, da
lei proverrebbe il maggior bene o male, durevole per tutta la vita. 1/ argomen-

tazione corre solo se

si

determini,

come abbiamo

fatto,

il

vab^e

degli etfetti di

questa causa incostante. D'altra parte i critici non si sono accorti che Epicuro
non poteva impugnare l'afiermazione pura e semplice che la fortuna sia una causa
incostante, perch avrebbe impugnata la sua propria teoria. Infatti poco prima ( 133)

EPICURO

52
i

beni ed

mali che han valore per la vita felice, quantungl'inizi di grandi beni e mali siano sotto

que ammetta che

suo influsso. Infatti egli reputa ^ pi valga essere assennatamente sfortunato che dissennatamente fortunato, quantunque nelle nostre azioni sia preferibile ^ che il saggio giudizio dalla fortuna abbia coronamento.
Queste massime adunque e le congeneri, medita giorno
e notte in te stesso, e con chi simile a te in saggezza, n

135 il

aflfrmato che la fortuna instabile (oxaxos), e le nostre testimonianze ci attestano che Epicuro definiva precisamente la fortuna come una causa instabile,
senz'altro aggiungere: At., I, 29, 6 (Usen., p, 255, 10 sg.) 'EmKOVQog tt^v tvxtjv
X.Y8i axaxov alxtav jtQOOa):rtois xQvois xKoiq (cfr. i testi epicurei del papiro er-

ha

colanese 1670 pubblicati dal Bassi e studiati da me con nuore integrazioni ed


del facsimile oxoniense in Riv. di Filol., 1917, p. 246 sg. cfr. p. 252 sg.).
chiaro dunque che Epicuro combatte invece l'opinione di coloro che a questa
causa incostante attribuivano l'origine dei maggiori beni e mali per gli uomini,
come si ricava dall'argomentazione che segue. Egli infatti crede che la fortuna

esame

abbia piccolissimo influsso sulla vita del saggio, perch la felicit e l'infelicit
non dipendono dagli avvenimenti, ma dalla nostra disposizione intima, e dalla
possibilit di dominare gli avvenimenti stessi (v. Mass. cap., XVI). Il senso che si
deve dare al testo corrotto diviene anche pi chiaro se si confronta il fr. 176 di

Democrito:

x-u/t]

[lefakcoQoq, X,A,'(3paio

g, fpvaiq b' avxQy.r\c,' 6i7t8Q vix.

xal Pepatco x (let^ov xfjq Xniboq. Si potrebbe anzi pensare che, come
Epicuro in ci che precede ha di mira Democrito, anche qui si riferisca a questo
frammento democriteo, e che sulla sua scorta si debba integrare il testo lacunoso
Tcp fooovi

ppaiov alxtav (fxeYa^6coQov> n una causa inco, e di ci si potrebbe trovare una prova in 6i6o#ai, che segue, tanto pi che Epicuro capzioso assai nel combattere Democrito
(v. Epistola a Pitocle, 90). Per forse pi consono all'argomentazione seguente
integrare, come ho indicato nella traduzione: |38J3aiov ixtav {\ieyGx(ov ya^cov
ot)H> olexai fiv yQ xx. Ad ogni modo se dubbie possono essere le
f\ xancv
precise parole cadute, non credo si possa ormai pi dubitare della necessit d'ammettere questa lacuna n del senso generale. Ed infatti che nei codici sia da ammettersi una lacuna certo, perch anche l'Usener obbligato a porre in lacuna
di

Epicuro leggendo

o-uxs

stante (prodiga di grandi doni)

(senza cui

ovY.

il

senso non corre) innanzi ad olexai.

vofAt^wv codd.

Anche qui non credo accettabile

v. n. 5, p, 50.

la lezione dell'

Usener

egli legge pXxioxov

(codd. |3Xxiov) yQ v xatg Jigd^eot x jtaXrg XQi'O'v Q'O-co'&fjvai 5i xa-uxi^v: infatti


ottima cosa che nelle nostre azioni il saggio consiglio sia da essa fortuna coro-

yQ proprio fuor di proposito, e correggere p^xicv non forse neuno di quei casi in cui il comparativo pA,xiov usato
nel senso di preferibile, sottintendendosi il termine di paragone rappresentato
dall'ipotesi contraria, cio qui il non essere coronato dalla fortuna il buon divisamento (v. Madvig, Syntaxe de la langue grecque, p. 179 extr. e cfr. Epic, Ep.
ad Erod., 55 extr.). Credo invece debbasi correggere il yQ-. leggo dunque pX,nato: per
cessario.

il

Pu

trattarsi infatti di

Tiov

6' au.

LETTERA A MKNECEO

53

mai, desto o in sonno, sarai turbato gravemente*; vivrai in-

vece come un dio fra gli uomini; poich in nulla simile


ad un essere vivente vita mortale, uomo che viva fra immortali beni

^.

1 V. il
precetto di Epicuro, riferito pi sotto (Vita di Ep., 121) che il saggio,
pur nel sonno, si mantiene consentaneo a s medesimo.
Per l'adeguamento della felicit
del saggio a quella divina, v. Seni, vat.,
33, 78; Mass. cap., XX; LucR., Ili, 323: Ut nihil impediat dignam dis degere vitam.

MASSIME CAPITALI

I.
L'Essere beato e indistruttibile S non ha egli, n reca
ad altri, affanni; non Toccupa dunque ira, n benevolenza,
perch tali turbamenti son solo nel debole (*).
Nulla per noi la morte: infatti ci che disciolto
II.

insensibile, e l'insensibile nulla per noi

(*)

^.

mentalmente, non
numerum], ma quali

Scolio] In aUri scritti dice che gli di sono conoscibili

gi risultanti secondo identit numerica [v.ax'Qi'iiv


[risultanti]

= ad

secondo identit formale, per continuo afflusso


hanno forma umana 3.

di

simulacri tutti

si-

mili, compostisi in unit. Essi

Cio l'Essere divino: v. sopra Kp. a Menec,

Lucr., II, 646 sgg.


123 sg.
per se divom natura necessest Immortali aevo sumnia cum pace
fruatur Semola ab nostris rebus seiunctaque lunghe; Nam privata dolore omni, privata perlclis, Ipsa suis poUens opibus, nil indiga nostri, Nec bene promcritis caQuesta sentenza fu tra le pi famose d'Epicuro e
pitur nequo tangitur ira.
1

Omnis

enirn

numerosissimi sono i luoghi degli antichi in cui citata o ricordata. Quanto alla
importanza delle prime quattro sentenze, che riassumono il quadrifarmoco epicureo,
ed all'ordine logico di queste e delle massime seguenti, v. s. Inlroduz., p. 12 sgg.
2 V. Ep. a Menec, 124 sg. e n. ivi. Per le obiezioni mosse dagli antichi contro la correttezza formale di questo ragionamento, vedi i miei Studi Plutarchei
in Riv. di Filai., 1916, p. 271.
^ Questo scolio, importantissimo per la dottrina epicurea sugli di, ci giunto
disgraziatamente in una lezione corrotta. Infatti, nelle i)rime linee, con la lezione
dei codici {ovq |xv... oi); 6), conservata dall' Usener e dal Kochalscky, si verrebbero a stabilire due categorie di numi epicurei, cosa di cui non si ha altrove notizia, e che non neppure credibile per s. Mentre poi evidente l'identit sostanziale fra la teoria esposta da questo scolio e quella attestata da Cicerone

De nat. Deor., 1,49: Epicurus... docet eatn esse


naluram deorum, ut primum non sensu, sed mente cematur, nec... ad numerum, ut ea quae ille propter fnnitatem oteQfxvia appellai; sed, imaginibus si-

nell'esporrc la dottrina epicurea.


vini et

139

EPICURO

56
III.

Estremo

trazione di tutto

limite, in

il

dolore.

grandezza, dei piaceri la de-

E ovunque

piacere, e finch per-

dura, non v' dolore dell'animo o del corpo o d'entrambi ^

et transitione perceptis, cum infinita simillimarum imaginum species


ex innumerabilibus individuis existat et ad nos affluat, cum maximis voluptatibus
in eas iraa^'ines mentem intentam infixamque nostrani intellegentiam capere qnae
sit et beata natura et aeterna [se. r [lanQiov xal dcp^agtov, JUas., I]; cfr. anche

mililudine

Quanto al testo, per la prima parte accetto la correzione del Gassendi


(invece di ovq ^v), nella seconda leggo (o;)ovs 6. Nel fine poi ristabilisco
la lezione manoscritta :itoT8Te?t80jxvcov, che il Kiihn, seguito anche dall' Usener,

ibid., 105.

co

(iv

A chiarire la dottrina epicurea in questo passo contriLachelier, Revue de Philol., 1877, p. 264, lo Scott in Journal of Philo.,
1883, p. 212 sgg. e in Fragmenta Herculanensia, p. 197 sgg., il Giussani, I, 227 sgg.
A noi basti dire: 1) che gli di sono conosciuti solo mentalmente, perch i loro
simulacri (su cui vedi Ep. ad Erod., 46 e 49 sgg.: cfr. Ep. a Menec, 123, v. s.
p. 44, 1, ed At., I, 7, 34; Lucr., "V, 148 Sgg.) sono fra quelli pi sottili che vengon
percepiti solo dall'intelletto: 2) che non hanno esistenza ad numerum (ax'Qidpiv,
V. Scott, p. 215 sgg. ed i passi aristotelici ed epicurei ivi citati), cio non hanno
muta

in jto-cexFAeonvovg.

buirono

il

una identit numerica


identit formale

e materiale,

come quella

dei corpi

solidi,

ma

solo

una

perch la loro materia, invece


di rimanere la medesima durante un lungo periodo di tempo, come nei corpi solidi, continuamente si muta e ne affluisce dell'altra, sempre identica, e questo
permette agli di di permanere eterni, mentre tutte le cose si distruggono: 3) noi
percepiamo da essi un continuo flusso di immagini, le quali per la continuit e
celerit del loro affluire, ci danno un'impressione continuata ed unica (v. Ep. ad
Erod., 1. eit.). Che gli di di Epicuro siano antropomorfici, risulta anche da altre
testimonianze epicuree; v. le testimonianze raccolte dall' Usener, p. 232 sgg.
1 Non s' veduto ancora l'esatto valore di questa sentenza, s che l' Usener la
considera a torto (v. s. p. 13, 2) come un duplicato della XVIII (v. il mio studio in
Rendiconti del R. Ist. Lomb., 1908, p. 800 sg. e n. a Sent., XVIII). Per ben comprenderla bisogna tener conto del suo intento polemico e delle dottrine a cui si
contrappone. Essa si diride in due parti; nella prima si aff'erma che il piacere
ha per limite in grandezza la detrazione di tutto il dolore; si determina dunque il
valore del bene finale, cio l'assenza di dolore (aponia), considerata nel suo carattere edenico, Epicuro infatti combatte la dottrina dei Cirenaici che ammettevano tre stati differenti di sensibilit, dolore, piacere e calma, e la caln)a non
stimavano avesse valore edonico n finale, ma la consideravano come uno stato
puramente negativo, pari a quello degli esseri inanimati (vexqo'D xardOTaoig, vedi
Clem. Alex., Strom., II, 21, p. 179, 36: per la polemica con i Cirenaici v. infra
Vita di E., 136 e n. ivi). Per di pi V aponia per Epicuro un piacere stabile
(catastematico) e non pu crescere in grandezza, mentre per i Cirenaici il sentimento edonico sempre in moto, v jtivfjoei. Finalmente, dato che il massimo bene
per Epicuro la pura assenza del dolore, ne risulta che assai facile assicurarsi
lo stato di perfetta felicit, ed in tale senso questa sentenza considerata come
fondamentale nel quadrifarmaco (v. s. p. 14). Nella seconda parte della sentenza
invece Epicuro nega la possibilit di piaceri misti, cio la contemporanea unione
(xa)''

fAoeCEiav, v. Scott, ibid.),

di piacere e di dolore,

combattendo

la dottrina platonica sui piaceri falsi o misti

MASSIME CAPITALI
IV.

ma

Non

57

perdura continuamente nella carne

il

dolore,

massimo permane minimo tempo S e non persiste


molti giorni quel soffrire che appena si sovrappone al piacere corporeo^: anzi le lunghe malattie pi hanno abbondeil

vole

piacere del corpo che la doglia.

il

Non

non sar saggia, bella


e giusta la tua vita; (e vita saggia, bella e giusta, non pu
essere'^) senza felicit: a chi ^ manchi ci donde deriva vita
saggia, bella e giusta, non possibile viva felice.
V.

(v.

potrai vivere felice, se

51 A sq. Resp., IX, 586 A sq.). Vedi infatti Olimpiodoro


Stallbaum: 'EjtCxovQog ovh otetai piCy'V'w^''*'' '^vnr\v fiSovfi,
ya^w x xaxv cfr. Sent. vat., 42. Per il differente contenuto della sen-

Plat. Phileb.,

36C-37C;

in Plat. Philc'b., p. 275


\ir\bs

tenza XVIII

V. n. ivi.

un'eguale contrapframmento, probabilmente di Epicuro, nell'iscrizione di Enoanda (fr. 58 W) Per le polemiche suscitate nell'antichit da questa
sentenza, v. i miei Studi Plularchei in Rio. di Fdul., 1916, p. 266 sgg. Si noti che
Epicuro parla del dolore corporeo o, come dice egli con la sua espressione solita, della carne, perche anche in mezzo ai massimi dolori corporei il saggio pu
provare grandi piaceri spirituali; v. infra l'epistola di Epicuro morente in Vita
1

V.

s.

Ep. a Menec,

posizione stilistica

v.

133, e infra Seni. vaA., 4, in cui

anche

il

di Kpir,., 22.

Per l'interpretazione del testo v. MAftvia, ad Cic. de fn.'^, I, 12, 40.


supplemento del Gassendi {ov cpQoviiAcog xal xaXcg xal ivcaCcog: cfr. Cic,
De fin., I, 18, 17) alla lezione lacunosa dei codici di Diogene Laerzio, ora confermato dall'iscrizione di Enoanda (fr. 54 W). Perci do il testo come integro.
Nell'iscrizione di Enoanda per perduta l'ultima parte di questa sentenza.
La lezione dei codici (cio: orco 6 toIto htj ujictQxei o\) ^f) (giustamente corretto dal Gassendi in ^fiv) cpQovifxwg xal xaXcq xal SivtaCcog vKdQXEi, ovh oxi xo''cov
fjcos 'C,f\v) corrotta. Gli antichi editori non ne cavarono nulla di buono; e neppure pu accontentarci il testo dell' Usener che legge ed interpunge: fixco 6'gv
xovxcov ... olov ^fiv cpQovincog, >tal xx, non solo per le molteplici correzioni introdotte (tanto pi che le parole 6 xoOxo sono ora conlermate dalla Sent. vat., 5,
che riproduce questa massima in modo incompiuto) ma anche per il senso che ne
risulta. intatti anzitutto assurdo che si possa vivere saggiamente e non bellamente e giustamente; perdi pi la frase otov 1;tv txatcog, oltre che contorta nella
forma, sarebbe perfettamente inutile nella sostanza. Credo tuttavia si possa risolvere la diflrtcolt che ci presenta la lezione e l'interpretazione di queste parole,
con il confronto del passo analogo delVKpist. a Menec, 132, ove si dice che il
massimo bene la prudenza (qpovrioig), da cui derivano tutte le altre virt, e che
n'insegna non esservi felicit siMiza vita saggia bella e giusta, n vita saggia bella
e giusta senza felicit: cos pure in modo simile argomenta Cicerone in De fin.,
I, 18, 57-()0, il quale, premessa la parte precedente di questa Massima capitale, ne
ricava che infelice lo stolto e che il saggio e prudente non pu non essere felice
( 61). Cfr. CoLoTB cit. 8. p. 49, n. 5. Leggo dunque, con lievissima correzione:
'^

Il

Tcp 8 xo'Oxo

[ti]

vnQ%e\. {\) ov ^f\v qpQOvtuco? xal

Ha-Ji;

nal ixatcog xx, inten-

140

EPICURO

58

VI.

Per

derarsi

ottener sicurezza dai nostri simili, deve consi-

un bene secondo natura

procurare questa sicurt


VII.

141

donde

tutto ci

(*) ci si

possa

*.

Vollero alcuni divenir famosi e conspicui,

credendo

dunque la loro vita


non secura, non
natura
bramarono ^.
secondo
inizialmente,
che,
quello
hanno
Vili. Nessun piacere male per s: ma i mezzi onde
cos procurarsi sicurt dagli uomini; se
secura, ottennero il bene naturale; se

otteniamo certi piaceri recano


gioie

IX.

142

molti

turbamenti che

pi

^.

Se

ogni piacere (col ricordo) e col tempo si conil nostro essere o le parti pi

densasse, e riguardasse tutto

(*)

Glossa] [per mezzo] del

comando

dendo toOto come preparativo e

dell'autorit regale.

riferentes,

come

spesso, alla proposizione rela-

tiva che segue. Ci che essenziale perch s'abbia vita saggia, bella, giusta e
felice, appunto la prudenza, come detto nel luogo citato dell'epistola, non

escludendosi per che Epicuro intendesse alludere anche ad altre condizioni ed


come appare dalla Vita di Epic, 117, ove si osserva che al saggio sono necessarie certe disposizioni fisiche e di razza. Che esse

attitudini necessarie al saggio,

non siano espressamente enumerate, non deve stupire; si confronti infatti il caso
analogo della Massima VI (r[v ya-^v ^ 5>v): per il costrutto cfr. anche fr. 22
mxexr\svyi(bc, ToiaxiTa | wv ov bvvaxv elq oo<f>iav X,'SLV Epict., Diss., I, 4, 28;
Xenoph., Da veci., IV, 13; Hipparch., 1, 1. Per la connessione di questa massima
:

con

le seguenti, v. s. p.

1.5.

Poich il bene la sicurezza e la tranquillit dello spirito {xaQogia), saranno


beni secondo natura tutte quelle circostanze che possano procurarci tale condizione
tranquilla di spirito: cfr. Massime, XXXI; XIV; XXVIII; XXXIX; tali sono tutte le
istituzioni ritrovate a difesa della vita civile: cfr. Luca., V, 1105 sgg. Gli uomini
per i quali credono di giungere alla sicurezza per mezzo della potenza politica si
sbagliano, in quanto questa involve tale competizione d'onori che non concede loro
di vivere tranquilli, come spiegato dalla massima seguente: cos pure Lucrezio,
dopo aver indicato in qual modo gli uomini primitivi cercarono di rendere sicura
la vita umana, aggiunge (1120 sgg.): At claros homines voluerunt se atque potentes. Ut fundamento stabili fortuna maneret Et placidam possent, opulenti, degere
vitam, Nequicquam quoniam ad summum succedere honorem Certantes iter infe1

stum fecero

viai...

Nec magis

id

nunc

est

ncque

erit

mox quam

fuit

ante. Cfr.

Sent. vat., 81.


2

V. n. prec:

v.

Mass. cap.,XIV;XXI e nota

ivi; Sent. vat., 64; Vita di

Ep., 119:

Luca., V, 1127 sg. Nota che Epicuro ammette per che certi uomini,
portati naturalmente dal loro carattere alla vita politica, se ne possano occupare:
cfr. fr. 105;

V.

Plut.,
3

De

tranq. an.,

V. Epist. a Menec,

2,

p. 465

129.

f.

MASSIME CAPITALI
importanti della natura [umanaj,

mai fra loro ^


X. Non avremmo nulla

di

piaceri

spirituali sulle

cose dei

cieli,

non differirebbero

che riprendere

ci che cagione dei loro godimenti

anche apprendesse loro qual

59

sulla
il

li

dissoluti, se

liberasse dai timori

morte e sui dolori, ed

limite dei desiderii e

dei

non avreb-

dolori^: colmi sarebbero infatti d'ogni godere, e

bero causa alcuna di soffrire nell'anima e nel corpo, ci che

appunto

il

male

^.

Della scienza della natura non

XI.

sospetto e timore delle cose dei cieli

avremmo

non

ci

bisogno, se

turbasse, e non te-

messimo che la morte possa essere per noi qualcosa, e non ci


nuocesse il non conoscere i limiti dei dolori e dei desiderii ^.
Quest'importantissima sentenza non fu interpretata in modo adeguato, ed
il Kocliaisky di recente ne diede una traduzione errata. Come si debia interpretare V. nel mio studio Sopra un frammento del comico Damosseno in Rendiconti del R. Istit. Lomb. di scienze e lettere, 1917, p. 286 sg'g'., ove indico finche
due nuove testimoiiianze sulla teoria epicurea circa il condem^amento dei piaceri
(v.axajtiJKvcoaig tcv fiofisvcov) di cui qui si parla, mancanti agli Epicurea deTUsener. Anche in questa sentenza, come nella III, Epicuro si oppone ai Cirenaici, i
quali non ammettevano distinzione fra
piaceri (v. D. L., II, 87). E^li invece, pur
ritenendo che in grandezza non differiscano fra loro i piaceri che consistono nella
cessazione del dolore (v. s. p. 56, 1), ammette non solo differenze qualitative fra
essi (v. Massima cap., XVIII) per lo svariarsi del piacere dopo la cessazione del
dolore, ma afferma anche che vi son piaceri pi densi di contenuto, percli durano pi tempo e possono permanere nel ricordo, opponendosi di nuovo ai (cirenaici che davano valore solamente al piacere istantaneo e dicevano che col t(!mpo
si disperdono i moti dell'anima. Inoltre, per Epicuro, vi sono piaceri pi o meno
estesi, in quanto si riferiscono all'intero or-ranismo ('0'QoiO|xa, v. Ep. ad Krod.,
ad una sola parte di esso (cfr. Spinoza, Kt/i., III, prop. XI schol.), e
63 8f?{?.)
meno importanti, in quanto si riferiscono o no alle parti pi importanti della
pi
natura um;ina, cio all'anima e ai sensi superiori (xvQicTaxa, v. fr. Pi.ut., Adv.
Col., 1118 D sj?.; DiOG. DI En., fr. 38-39 W; Luca., Ili, 3'.6). Per tali piacevi del1

anche

l'intelligeuza e dell'anima, vedi Sent. vai., 78; 10 (cfr. Lucr.,

Cic,

JJisp.^y, dS, 110 sgg.). Per l'importanza della

Tiisc.

epicureo

v.

Ep. a Menec,

el xaTe:rtvxvo'0TO

noa

122;

r\bovr\

xal

Seni, vot., 17 e nota ivi.


(^ivr)|xi]

II,

28

S}?.

Ei'c. ap.

memoria nell'edonismo
Quanto al testo h'n^o:

xal) XQvo) al xx.

mancano nei codici di Diojfcne Laerzio,


sono nell'iscrizione di Enoanda, fr. 45 (s operta doi>o la pubblicazione ih'<;li
Epicurea dell' Usener) che reca questa sentenza. Che siano jfenuine ed omesse per
svista dapali amanuen.si dell'opera lnerziana, credo risulti dJla massima scfiuente.
^ Per
rapporti di questa massima con la precedente e quelle che sefruono
2

xal TCV X-YTftvcov: queste parole

ma

V. 8. p. 16.
*

Per

la dottrina v. Ep. a

Menec,

131 sg.

Cic, De

Sul valore utilitario della scienza v. Ep. ad Erod.,

78

fin.,

sgg.

II, 7,

20 sgg.

Ep. a l'itoclr^

EPICURO

60

Non scioglie

XII.

143

porta, chi

il

non sa quale

terrore di ci che all'uomo pi imsia la

natura dell'universo e sta in

ansia e sospetto per le favole dei miti. Senza studio della


natura non dunque possibile godere schietti piaceri K
XIII.

Finch

permanga timore

cose dei

delle

cieli e

dell'Ade e di ci che avvenga nell'infinito, non giova esserci


procurata sicurt fra gli uomini ~.

Della sicurt

XIV.
tata

ad un certo punto,

che, sino

uomini,

ottenere dagli

(il

s'

po-

miglior coronamento) la

sicurt che deriva da vita tranquilla ed appartata dal volgo,

per l'appoggio che


propri beni

per la purissima sua dovizia di

Ricchezza

XV.

144

le offre e

^.

vole; quella che


limite n misura

naturale ha limite certo e possesso ageambita dalle vane opinioni non conosce

*.

mie note ivi. Ohe questa massima non


come crede l'Usener, ho dimostrato s. p.
fra le massime IX, X, XI, XII.

85 s^'. e

segu

MIO,

logici

-csQaLos riovfi: cfr. Locr., Ili, 37 sg.

ruutis agendus, Funditus

humanam

sia
li,

un doppione delle due che


ove indico anche i rapporti

Et metus

ille

foras praeceps Ache-

qui vitam turbai ab imo

Omnia

sut'undens

mortis nigrore tieque ullam Esse volujtatem liquidam puramque relinquit. Sono puri
quei piaceri a cui non conseguano timori o desiderii dannosi (cfr. Lucr., IV, 1081
Sv^-g.),

non

cio solo quei piaceri che ci assicurino

soio

piaceri dei dissoluti,

questa sentenza

si

come

l'

imperturb

s' visto in

ibilit dell'animo. Tali

massima X;

si

scorge cos come

ricolleghi alla serie iniziata con la sentenza VIII (v.

anche

sopra p. 16). Sui vantaggi della scienza e sull'inquietudine degli esprits forts che
credono poterne fare a meno, v. Polystrat., jt, Xy. HaxdcpQ., fr. 9, col. II sgg.
W: Lucr., III, 55 sgg.; Epist. ad Erod., 81 e mia n. ivi. Questo bene indicato
anche nella sentenza seguente che serve come formula di passaggio rispetto alla

XIV
^

"

Tivi,

(v.

s.

p. 17).

Ofr. Sent. vat., 10, e n. ivi,

Non credo accettabile la lezione dell' Usener che corregge xe dei codici in
ottenendo cos solamente la ripetizione del medesimo concetto fra ja^XQ'- "civg
Per

Tivi.

onde egli

costretto

t' s^egELOTLHTj

con la lezione dell' Usener non si comprende |eQ8iOTri>cifi,


a proporre la correzione ^sQeioigfi. Leggo dunque: uvdfxet

di pi

e uvctfxei

xal e'JtOQia elXi"/CQivea(TTTi, Ks%eQyaGxii(o)xx'r\

Y^vexai

ir)

ex xfjg

Per il mio supplemento cfr, Philod. ap. Usen., p, 328, 5 sg.


Per il concetto della sentenza v. Sent. vai., 67, 81, 44; Mass. cap., XV.
* La ricchezza naturale (cio quanto la natura desidera) non se non l'assenza
di dolore e la tranquillit dell'animo: v. Epist. a Menec, 128 e mia nota ivi;
cfr, Lucr., V, 1117 sgg, Quod si quis veram vitam ratione gubernet, Divitiae grandes horaini sunt vivere parce Aequo animo; neque enim est unquam penuria
parvi. Cfr. Sent. vat., 25, 33; Vita di Epic, 12 (epigramma di Ateneo).

fiovxia;... ocpX,8ia.

MASSIME CAPITALI

61

Raramente al saggio incombe la Fortuna, perch


XVI.
ogni cosa che pi importa e vale, la ragione ha gi preordinata, e per l'intero corso della vita preordina e preordiner ^

XVII.

l'ingiusto

XVIII.

giusto tranquillissimo, colmo d'inquietudine

Il

^.

Non pu

appena detratto
svaria

si

^. Il

nella carne,

accrescersi,

dolore di ci che

il

il

mancava,

ci

piacere,

ma

solo

limite poi che la ragione prescrive ai piaceri

xax xv cvvex'n XQvov to ptou


Per la dottrina cfr. Ep. a Metiec, 134 Seni, vat., 47 fr. 90.
Epicuro ricalca una sentenza democritea (fr. 119 D.) Gli uomini si foggiarono un
idolo della fortuna, pretesto della loro stoltezza. Infatti poco vale la fortuna
contro saggia prudenza, mentre accorta preveggenza sa regger rettamente la pi
^

Mantengo

la lezione dei codici SicxTixe xal

Sioixet Hai ioiHfioei,.

parte della vita.


vat., 79; fr. 99; Cic, De fin., I, 16, 50 sgg.
rUsener considera questa sentenza come un doppione della III; infatti nella sentenza presente Epicuro, oltre a quello che ha affermato nella III,
cio che il massimo limite in grandezza del piacere corporeo l'assenza del dolore, stabilisce una teoria ulteriore, cio che di l di questo limite si danno solo
variazioni qualitative dl piacere. Queste variazioni qualitative per non sono
2

Cfr.

Massima, V; Sent.

torto

necessarie alla vita felice

(v.

scoi,

a Mass., XXIX), essendo

il

piacere di sua na-

tura perfetto nell'jtovta. Sulla dottrina di Epicuro in questo punto, vedi i miei
studi in Rend. Ist. Lomb., 1908, p. 801;" 1917, p. 300 sgg. e i luoghi ivi citati e
studiati.
*

il

Tfjg

'fi5oviv nx non s' compreso bene il testo


Kochalsky traduce: die hchste intellectuclle
gedankliche Losung der Fragen die dem Denken die Grssten

6 biavoiaq x nQaq x jtax ttiv

pensiero di Epicuro, onde

il

Lust aber erzeugt die


ngste bereiten, und solcher, die jenen gleichartig sind . Ma Epicuro dice tutt'altro. Il limite (itgag) che la ragione ci impone Ijuel medesimo di cui si parla
nella massima XV circa la ricchezza, cio quel tanto di bene che basti alla vita

tranquilla in cui consiste la felicit, v. Sent. vat., 59, 81; cfr. Mass., XIX sg. e
n. ivi e il testo epic. in V. 11- X 75, e. Vili [^]i 6'v xcp jtax q)ijoiv nqaxi xaxaxv.^eixai
xya'O^v x<al> x ca[H]v, xcxco Jta[a]a alcQa ipux'HS []x:icp8uxxai

Sen., Ep., 66,

per chi saggio la ricchezza naturale ho


certo confine, e saldo per lui il limite di ci onde ha bisogno. Naturalmente per
anche quel raffinamento di piacere che segue alla pura apon'ia pu essere desiderabile, ma non essendo necessario, la ragione ce lo concede solo in quanto non
nuoce, e qui interviene appunto quel criterio di giusta considerazione (xXyioii;)
de piaceri e delle affezioni ad essi congeneri (noYevfi xouxcov, cio i desidcrii
maggiori turbamenti all'uomo,
ed i dolori) (v. Mass., XI), che possono recare
45; Plut.,

De

cup. divit.,

4,

p. 524

f.

come il timore
a Menec, 124
di onori e la

della morto,

il

rimpianto dell'immortalit:

sg. e Luca., Ili,

paura

di

perderle

5i)

11, 4, 7, 26, 29.

jid'O'T

cfr.

Ep. a

18.

s. p. 18, 2, il

v.

Mass.,

XIX

gg.

Ep.

desiderio di ricchezze e

Su tale giusta considerazione dei piaMenec, 129 sgg., 127 sgg., 133; Min^s.,

Piaceri, dolori e desiderii sono poi noyevfi, perch sono tutti

Vita di Epic, 34. Per

vedi sopra p.

cit.

(II, 9 sgg.).

ceri, dei dolori e dei desiderii v.


8,

sgg.

rapporti di questa

massima con

le

seguenti

EPICURO

62

ha sua origine dalla giusta considerazione di questi stessi piache producono all'in-

ceri e di tutte le affezioni congeneri


telletto

maggiori timori.

XIX.

tempo

Il

la ragione

V infinito hanno ugual copia di


il limite con

finito e

piacere, se di questo

definisca giustamente

si

carne percepisce sempre come illimitati i limiti del piacere, ed in tal modo un tempo pur non
illimitato produce gioia illimitata ^. La ragione poi, rendendosi
conto di quale sia il sommo bene corporeo e quale ne sia il
limite, dissipa i timori rispetto all'eternit e d ordine e

XX.

veramente

la

Non ha quindi pi alcun desiderio


N fugge tuttavia il piacere, e, quando le

sicurezza a tutta la vita.

tempo

del

infinito.

circostanze ci costringono ad uscir di vita, dipartendosi, non

manchi

sente rimpianto di qualcosa che le

XXI.

Chi

agevole ci che pu detrarre


e

che

alla vita perfetta.

s' fatta ragione dei limiti della vita, sa che


il

ci manca,
non ha dunque pi de-

dolore di quanto

offre sicurt alla vita intera:

siderio di cose che importano contenzione e pericolo

XXII.

Deve

considerarsi sempre

il

fine reale*

^.

ed ogni

Su questa massima e la se}?u>^nte v. sopra p. 28 sg'g.


Per la mia correzione (xal jieiQ<ov ovk neiQ)oc,) e per il commento v. s. p. 28-30.
3 Perch questa massima non sia un puro duplicato della XVI, come crede
punti di dottrina qui svolti v. s. p. 18.
rUsener, e circa
1

x qrsoxTixg Tkoc,: cfr., per il senso di 'cpsOTTixs, Vita di Epic, 32 uqjoxTjxe


6 T Q&v r\\ii al Kovsiv: Epicuro contrappone quello che per lui il fine reale
*

dell'attivit

sono

umana, cio Vaponia

allettati. A.

cpECJTTixs sia

torto perci

il

e Valaraasiu, ai fini illusori

CrOnert, Rh. Mus.,

uguale a JtoTsxaYfisvov

(tols qj'O-yYOig)

da cui

gli

uomini

crede che qui


in Ep. ad Erod., 37, e vuol
1907, p. 31,

corre^^gere 68L(5i,) xXqv, cos pure altri vogliono togliere TsKoq, anch'essi attri-

buendo a questa sentenza un puro valore gnoseologico, invece che morale e gnoseologico, quale essa ha. Infatti in Epicuro la teoria della conoscenza e la morale
sono strettamente connesse, perch uguale
e morale, cio la testimonianza dei
extr.

128.

me

Epist. a Pilocle., 116 e

Cic, De

fin., I,

7,

22

mia nota

con

le

il

sensi. V.

criterio ultimo del giudizio logico

Vtia di Epic,

ivi; Epist.

ad Erod.,

31;

82;

cfr.

con

33

Episl. a M'^nec,

osservazioni sul testo e sull'interpretazione da

fatte in Riv. di FiloL, 1909, p. 57 sg. Sopratutto poi vedi lo scritto d'un epicureo

pubblicato dal Comparetti in Museo Hai. di ant. classica, 1884, p. 67 sg., col. XIII,
dove si dice che dalia cpt)aLoX,oYa deriva la conoscenza dei fini naturali delle
nostre azioni che danno alla vita la maggior sicurezza e secondo cui dobbiamo

5 sg.

regolarci nelle nostre opzioni o avversioni.

Donde

si

scorge

il

rapporto che ricol-

MASSIME CAPITALI

evidenza

effettiva,

a cui riferiamo

le

63

nostre opinioni; altra-

mente tutto sar colmo di dubbio e d'inquietudine.


XXIII.
Ove tu ti opponga a tutte le sensazioni, non
avrai neppur pi alcun criterio a cui riferirti, per giudicare
quelle che tu dichiari fallaci ^
XXIV.
Se rifiuti senz'altro [la testimonianza di] qualche
sensazione, e non distingui rispetto a ci che attende conferma, Topinamento ^ ed il contenuto effettivo della sensazione interna ed esterna e di ogni intuizione percettiva dell' intelletto, perturberai^ anche [la testimonianza] delle altre
sensazioni con la tua vana congettura, e cos ad un tempo
rifiuterai ogni criterio di giudizio. Se poi riterrai esatto nei
tuoi pensieri opinabili, tanto ci che attende conferma quanto

le seguenti (XXIII-XXV) alla XXVI, ove si tratta


appunto dei desiderii e della loro classificazione. D'altra parte noi possiamo solo
aver fede che il fine morale sia quello che Epicuro ricava dalia testimonianza
dei sensi (v. Ep. a Menec, loc. cit.; Vita di Epic.^ 137), se abbiamo provato che
i
sensi non ci ingannano mai. Per l'evidenza (vcyeicx), di cui qui parla Epicuro,
V. Ep. ad Er., loc. cit., e mia nota ivi,
1 Epicuro argomenta
contro gli scettici: cfr. Vita di Epic, 31 sgg. e nota
ivi: cfr. Ep. ad Er., 39; Sext. Emp., Adr. dogm., II {Malli., VIII), 63 sg.
2 Leggo con la maggior parte dei codici
x o^a^fievov v-ax. x jtQooixvov.
Sui termini tecnici x jtQoojxvov (ci che attende conferma) e x o^a^nevov
(l'opinamentn) v. Ep. ad Er., 50 sg. e nota ivi; cfr. Vita di Epic, 34. Epicuro
vuol dire, che dato p. es. il caso tipico della torre che, vista da lontano, ci appare rotonda mentre quadrata, il contenuto etfettivo della sensazione che io
percepisco una sensazione di torre rotonda (cio a me giunge un simulacro visivo
di tal forma) ed in questo la sensazione non mente, perch effettivamente il simulacro che a me giunge della torre rotondo. Per se la torre realmente sia
rotonda o quadrata, questo ci che attende conferma. Rispetto a tale questione
io posso avere due opinioni, cio che la torre effettivamente (e non solo la mia

lega questa sentenza (XXII) e

sensazione di essa) sia rotonda, o no; di queste opinioni l'una o l'altra sar vera,
a seconda che l'esperienza la confermer. Chi non fa tali distinzioni, pu essere
condotto a negare fede ad ogni sensazione, perch confonder il contenuto effettivo di essa con l'opinamento che suo soggettivo. Sulle intuizioni percettive
iavoia^) v. Ep. ad Er., 1. cit.
OrAnkrt, Kol. u. M''n., p. 117, fondandosi sul papiro ercol. 1012, col. 59,
crede debba leggersi qui ouvexpaXetg (rifiuterai anche) invece della lezione dei
codici di Diogene ovvxaed^Eii; e pi sotto xaQd^ei<; (perturberai) invece della lezione manoscritta di Diogene n^aXeXq (ri/luterai). Ma dubbio se le parole che
si leggono nel papiro appartengano alla citazione del testo di Epicuro o non al
commentatore. Perci conservo la lezione tradizionale, che del resto ha senso
dell' intelletto (q)avxaoxLxal .ni^o'kaX xfjg
^

Il

ottimo.

147

EPICURO

64
ci che

non ne ha bisogno ^ non fuggirai Terrore,

in

quanto

avrai conservato ogni ambiguit in qualsiasi giudizio dei vero


o del falso

Se,

XXV.

148

in

ogni circostanza, non riferirai ogni tua

azione al fine naturale ^, ma, prima di fare tale indagine, rivolgerai ad altro la tua scelta od avversione, discordi dalle
tue parole saranno

XXVI.

tuoi atti.

Dei desiderii, quelli che non importano sofferenza

corporea se non siano compiutamente


cessari
difficile

ma

*,

non sono nequando si vegga

saziati,

facile dissiparne lo stimolo

o dannoso appagarli.

XXVII.

Di

tutti

beni che la saggezza

sommo

felicit di tutta la vita,

delTamicizia

ci

porge per la

sopra ogni altro l'acquisto

^.

XXVIII. La

medesima persuasione che ci assicura non


eterno e neppur lungamente durevole, ci
male
esservi alcun
massimamente persuasi della salda
mezzo ai mali limitati della vita ^.
fa

Questo

Leggo

detto particolarmente contro


(g xExr\QTf\-n>q

(codd.

Us.

il

sicurt dell'amicizia in

soggettivismo logico dei Cirenaici.

>ax' vwQriKc,) sor\ Jtoav [xcpio|3f)TT|Oiv y,ax

(mia corr. per codici -/tal) jtoav hqioiv xov e^cg r\ \ir\ q'O'cos. Gi il Giussani vide
il difetto della corruzione dell' Usener, ma non persuade il rimedio che propone,
di leggere cio (bg TexTQTjxrg e correggere poi xal (v^Q-rixcs) jtaav xQtoiv. Invece la correzione di xal per xax fra le pi frequenti nei codici di Laerzio,
per la forma abbreviata delia preposizione.
3 Cio al fine etico, Vaponia e Vatarassia: y. Ep. a Menec, 133: cfr. Philod.,
Voli. Rhett., voi. II, p. 56, 41, 4 sg. Sudhaus. Per la dottrina v. s. Intr., p. 20 sg.
;

Ep. ad Er., 81.


* V. la classificazione dei desiderii esposta nella sentenza XXX e lo scolio
ivi (cfr. sopra Introd., p. 21); Mass., XV; Sent. vat., 33, 21; 59, 69.
5 Per la connessione di questa sentenza con la precedente, e per la teoria qui
cfr.

Mass., XXII;

Lucr

III, 55 sgg.

espressa v. sopra Introd., p. 21 sg.


Questa sentenza non fu rettamente interpretata, onde la si consider come
un doppione della precedente, ci che non vero (v. s. Introd., p. 22: cfr. anche
le mie osservazioni in Rendiconti dell'Ist. lomb. di se. e lett., 1908, p. 805). Anche
la lezione dell' Usener non credo sia giusta: s deve leggere con i codici ocpdXeiav cpiJitag (Us. cpiXiaiq). E Cicerone pure doveva avere innanzi a s un testo in
cui era la lezione cpiJaaq, perch traduce praesidium amicitiae: non esattamente
per traduce ocpaX-eia con praesidium. Per bene intendere il testo di Epicuro occorre tener presente i passi paralleli che citer. Epicuro dice che la persuasione
che il saggio ha che nessun male eterno ci attende dopo la morte (v Ep. ad Er.,
81: efr. Lucr., Ili, 1073 sgg.) e che i dolori della vita son poca cosa (v. JKass.,

MASSIME CAPITALI

Dei

XXIX.

65

desiderii, alcuni sono naturali e necessari,

ma non

necessari ^ altri invece non sono n


naturali n necessari, ma nascono da vana opinione (*).
altri naturali

XXX.

Da vana opinione

si generano quei desiderii


nache non importano dolore corporeo se non saziati
in cui intensa passione ^; e la difficolt di dissiparli
non viene dunque da lor natura, ma dalle stolte credenze

turali

s,

ma

umane

^.

Epicuro stima naturali e necessari quei desiderii che ci liberano dal


come bere quando si ha sete; naturali ma non necessari quelli
che non sottraggono il dolore corporeo, ma solo svariano il piacere*, come i cibi
sontuosi; non naturali e non necessari (quelli che nascono da vana opinione) ^
come il desiderio di corone e di statue in proprio onore ^.
(*)

Scolio]

dolore corporeo,

IV), ci fa certi che la sicurezza dell'amicizia nei mali della vita

pu permanere

umano pu

assicurarci che

salda. Infatti solo questa inirepidit dinanzi al destino

l'epicureo sprezzer ogni pericolo ed anche la morte


vat., 56

e nota ivi; Mass. cap.,

XL) pur

di

(v.

Vita di Epic.^ 121; Sent.

non tradire l'amico; mentre l'uomo

volgare, per timore della morte e dei mali, spesse volte indotto a violare

pi

sacri vincoli di affetto. V. infatti le osservazioni dell'epicureo Torquato in Cic,

anche il mio commento a Mass.., XXXIX.


Diogene Laerzio ci danno un testo lacunoso, e la lacuna fu variamente colmata. Per la scoperta del gnoseologio vaticano (posteriore agli Epicurea dell' Usener), in cui questa massima riferita (^^ni. va^, 20) ci ha restituito
il testo integro. La lezione del gnoseologio vaticano fu confermata anche dall'iscrizione di Enoanda (fr. LI Will.): va corretto dunque il supplemento dell' Usener e la prima parte della massima deve leggersi cos: tjv ;rtL#v(Aicv at piv
eloL cpvotxal ital .vayv.xa.1^ di 6 tpuoijtal fxv ovv. vayv.dxai 6 x. Secondo tale
testo ho tradotto. Per la dottrina v. Ep. Menec, 127 sg.; Sent. vat., 21; Cic, Dn

De

fin
1

I, 15,

49 e Lucr., Ili, 83 sg. Cfr.

I codici di

fin., 1, 13,

45 sg.

De

Cfr. Philod,,

Per l'interpretazione

ira, col. 44, 9

di

W.

questa massima e

rapporti con la precedente, vedi

Introd., p. 23: cfr. Sent. vat., 68 sg.


* V. Mass., XVIII e n. ivi. Tali desiderii si possono appagare solo in quanto
non nuociono: ed anche senza appagarli la vita umana pu essere felice, perch
il piacere ha raggiunto in quantit il massimo suo grado con la cessazione del
dolore: v. Ep. a Menec, 130 sg. cfr. Mass. cap., III.
& Probabilmente il testo di Diogene Laerzio lacunoso, come mostra il confronto con ci che precede, ove si determina sempre il carattere delle varie specie dei
desiderii, prima di venire all'esempio: leggo perci o(3te 6 cpvoijtg oijT'vayxatag
;

(xq nrag xevriv %av yivo\ivaq), wg axecpdvovq xal vSQidvxcov va^oeig: rica-

vando

le

parole poste fra

< >

dal fine della stessa

massima

di

Epicuro a cui questo

scolio apposto.
Per questi vani desiderii
anche Vita di Epic, 121; Sent.

v.

cit. sopra Introd., p. 18, 2: cfr.


motto epicureo era: Vivi ignorato

Luca., Ili, 78 sg.

vat., 64. Il

(AA0E BIQEAS).
Ei'icuBO.

149

EPICURO

66
150

Il diritto di natura il simbolo deirutilit reciXXXr.


proca rispetto a non recar danno n riceverne ^
Verso quegli animali che non poterono fermar
XXXII,
patti reciproci per non ricevere n recar danno, non v'
a^iusto n ingiusto ^; cos pure verso quei popoli che non
poterono o non vollero fermar patti di non recare n ricever

danno ^.
XXXIII.

ma

solo nei

dove

La

giustizia

commerci

sia patto

non qualcosa che

esista per s,
tempi e luoghi

reciproci, e in quei

alcuno di non recare o ricevere danno

Su questa massima

*.

e le seguenti che trattano del diritto, v. l'ottimo studio

del Philippson, Die Rechtsphilosophie der Epikureer in Arch.

f.

Gesch. der Philo-

Philippson ha mostrato chiaramente, contro l'opinione


dei critici precedenti, che Epicuro ammette un diritto naturale, e che ov\i^oKov
in questa massima si deve tradurre con simbolo, espressione, e non patto, accordo.
A conferma della tesi sostenuta dal Philippson credo utilissimo questo passo del

soplie, 1910, 291 sgg". Il

papiro ercolanese epicureo 1013,

col. 70 cpvaei

yq ^ystai

tvd'Qcojtos un'kixiY.q

slvai TTjq KaxaaxQo]<:pf\q (cosi integro la parte lacunosa, v. Vita di Epic, 137:

Crnert, Kol. und Men.,

p. 118

invece altrimenti),

jtEiSrijreQ iaoxQcpcog- cfvasi

jtvoov eivai SexTixq, ^teiSr) 'Kaxr\vayy,aciivo)q' cp'uoeL 6s xt^v geTiv icxeiv,

il

;rtEi6T]

donde si vede che sono naturali secondo Epicuro quelle tendenze che
sono utili, e si comprende pure che se Epicuro il quale considera la virt un
bene non per s (v. Vita di Epic, 138; Cic, De fin., I, 16, 53), ma per l'utile che
ammette poi una tendenza naturale alla virt; pu pure alFermare
ne consegue
che l'ingiustizia non un male
bench conceda che vi un diritto naturale
per s {Mass., XXXIV). Vero che Epicuro ha un concetto assai comprensivo e
non troppo preciso di ci che secondo natura. Erra poi Seneca, Ep., 97, 15
(UsEN., p. 321, 3 sg.), affermando come dottrina epicurea, nihil iustum esse natura.
Sui rapporti della dottrina di Epicuro con quella dei filosofi greci che lo preceoufAcpEQvTcog

dettero e seguirono, vedi

mio studio

il

in

Nuova

Rivista storica, 1917, p. 464 sgg.

e particolarmente p. 486 sg.


2

Epicuro combatte la

giustizia fra tutti

Emp.,

fr.

135 e

tesi orfico-pitagorica

viventi,

anche verso

mio commento

che vi sia una comune legge di

bruti: 'cfr. Giamblico,

ivi; Arist., Eth.

abst., I, 7, p. 89, 22; III, 25, p. 221.

segue, V. l'epicureo

Per

Nic, 1161 b

la dottrina di Epicuro,

Ermarco presso Porfirio, De abst.,


massima con le precedenti

Sul rapporto di questa

I,

e la

V. Pyth., 108;

Porph., De
anche in ci che
sg.

sgg.

sua significazione,

V. Introd., p. 23 sgg.

ben comprendere questa massima ci ha avviati il Philippson, dimostrando


i quali vedevano in questa sentenza una negazione
del diritto naturale, espressamente affermato invece gi nella massima XXXI. Neppur egli per credo ne abbia determinata interamente la significazione. Non si bad
*

l'errore dei critici precedenti,

infatti

che questa massima

si

riconnette alla dottrina epicurea dei Gvii^e^r[y,xa (di

cui tratta Epicuro in Ep. ad Erod.,

donde risulta che tutte

le

40, 68-73;

cfr.

Lucr.,

I,

445 sgg., 455 sgg.),

qualit morali, e perci anche la giustzia, non sono entit

MASSIME CAPITALI

XXXIV.

L'ingiustizia

non

67

per s

ma

un male,

per

il 151

timore che sorge dal sospetto di non poter rimanere occulti


a coloro cui compete punire

tali azioni ^
ascosamente oper sottraendosi ai reciproci
patti fermati perch non si rechi n si riceva offesa, non
possibile confidi d'occultarsi, se anche infinite volte per il
presente s'occulti. Non pu infatti sapere se ancora sino alla
morte vi riuscir ^.
XXXVI.
Nell'aspetto generico il dritto uguale per
tutti; perch qualche cosa di utile nei rapporti socievoli;
ma, per le particolari differenze dei varii luoghi e d'ogni
maniera di condizioni, ne consegue che non il medesimo
per tutti il diritto ^.
XXXVII.
Di quelle prescrizioni che son sancite come
giuste dalla legge ^, quella che sia confermata come utile nei
bisogni dei comuni rapporti, ha il carattere del giusto ^, sia
essa uguale ovunque o no. Laddove invece, se alcuno stabilisca

XXXV.

Chi

Epicuro combatte dunque anzitutto l'opinione di coloro quali consideravano la giustizia come un'entit metafsica, e non come un concetto nostro
relativo ai rapporti socievoli; tali erano i pitagorici (v. Arist., MpL, I, 5, 985 b 23;
Alex, in Melaph., 75, 15 sg. cfr. anche la polemica analoga di Epicuro contro
i Pitagorici circa la teoria del tempo in Ep. ad Erod., 72 sg.) e Platone per il
quale esisteva un xa^d'ax Cxaiov, come idt;a nel mondo iperuranio, esistente
per s, contemplata dall'aiiima nella vita oltremondana. Per di pi egli impugna

esistenti p(?r s.

anche l'opinione degli


poree,
1

9,

Vedi sopra

per

stoici,

S::nkca, Ep., 113,

v.

n. 1, p. G6

38 sgg.; Seat, vai., 70, ed

cfr.

il

quali anche le qualit morali erano entit cor-

sgg.

Pr.ur,,

Comm.

De

fin.. Il,

Cic,

mio studio

noi., 45, 2, p. 1081


9,

28:

Ir.

citato sopra, in

102; Cic,

Nuova

sgg.

De

o/f.. Ili,

Riv. slor., 1917,

p. 486 sg.
2

V. Seni, vai.,

Si distingue qui

2If>ss.

cop.,

XVII.

sentenza XXXI, dal


dipendente dai diversi bisogni determinali dalle condizioni di
tempo e, secondo tale criterio, sancito dalle prescrizioni di legge: cfr.
il

diritto naturale, di cui si parla nella

diritto particolare

luogo e di
Phii.od.,
^

in

Ho

calce

Voli. Rket., I, p. 259

Sudhaus:

v.

anche

Phit-ii-pson,

1.

e,

inserito nel testo le parole xcv vofiio^vTcov elvai SixaCcov che

come glossa:

cfr.

M"ss.,

XXXVIII: x

collocazione di (jiieste parole nel testo greco,


curo inversioni assai dure.

si

p. 3J6.
1'

Usener pone

Quanto alla
osservi che non mancano in Epivo|xict^vxa 6ixaia.

6 II carallere (tei
giusto non altro che la prenozione (jtQXrjijHq o concetto
fondamentale del giusto a cui si accenna pi sotto, e definita dalla massima XXXI.
cio l'utilit reciproca di non recare o ricevere danno: sulla prenozione epicurea
V. Vita di Epic, 33: e sopra Epistola a Meneceo, p. 41, 1.

152

EPICURO

68

una legge che n9n risulti corrispondere all'utilit dei comuni


non ha pi la natura del giusto. E se, pur venendo a decadere pi tardi l'utilit di quello che venne sancito
come giusto, durante un certo tempo per esso corrispose alla
prenozione del giusto, durante questo tempo tale prescrizione
non fu meno giusta, per coloro che non si perturbano per
vane ciance, ma badano solo ^ alla realt delle cose.
XXXVIII. Quando quelle cose che furono sancite come
rapporti, essa

153

giuste dalla legge, nella pratica, senza che le circostanze siano

mutate, appariscano non corrispondenti alla prenozione del

non erano giuste. E quando, per


mutate condizioni di cose, non pi giovino quelle prescrizioni sancite come giuste, in tal caso, esse erano giuste quando
utili ai comuni rapporti dei concittadini, ma pi tardi non

giusto, vuol dire che esse

154

furono pi giuste, quando non pi utili.


Chi nel miglior modo possibile seppe affronXXXIX.

tare

r inquietudine che pu derivare da causa esterna

Leggo con

il

Koehalsky XX^ &nX((x)q)

eiq

^,

r (codd. XK jiXelaxa: Usener

XX'eig xd) nQy\iaxa ^Xnovaiv. Per la dottrina svolta in questa e sulla

seguente, v. Introd.,

questi

massima

p. 24 sg.

Questa massima non fu giustamente intesa dai. critici, ed a torto anche si


mutare la lezione dei codici in questa prima parte. Per t jit] d^aQQovv cfr.
Thuc, I, 36, 1 (cfr. I, 142, 4): Plut., Cut. min., 44. Quanto al particolare amore
di Epicuro per l'uso del neutro concreto invece di un astratto, v. sotto Appendice. Rispetto a Gvoxr\aiievoq (per cui l' Usener troverebbe necessario avaxeiX\ievog, onde sospetta di una lacuna che il Koehalsky introduce nel testo) esso
va benissimo, purch s'intenda nel senso di affrontare v. Pol., Ili, 106, 4; Diod.
Sic, I, 18. Quanto poi al senso generale della massima, a torto fu interpretata
2

volle

come

Philippson (intendendo x (ati d'aQQO'iv riferito


da altri, fraintendendo il senso di |j,cpva
e XXffvXa. Come debbasi interpretare secondo i luoghi paralleli epicurei ho mostrato in Rivista di FUoL, 1915, p. 542 sgg. Chi riescito ad affrontare nel miglior
modo possibile l'inquietudine che pu venire dalle circostanze esterne il saggio epicureo: v. Mass., VI sg., XIV, XVIII, XL. Che egli si faccia affini tutti gli
esseri (per il neutro v. Mass., I) pari a lui in atarassia detto neV Epistola a
Meneceo, 124: tali sono i saggi e gli di. Verso i non saggi ed il volgo l'epicureo, per senso d'umanit, si comporta come se non fossero a s affini, ma neppure
a s del tutto alieni. Dai malvagi, dai nemici (v. fr. 59) e dagli animali nocivi (cfr.
Ermarco in Porph., De abst., I, 10 XXocpvXov ^ccov) si difende quanto pu. Per
di carattere politico, sia dal

ad ^vog che non v' nel

il

testo) sia

senso di iitpvXov e XXcpvXov, oltre

passi epicurei riferiti nello scritto ci-

anche Epict., Man., 33, 3; M. Aurel., VIII, 26. La dottrina epicurea tende a stabilire una comunit di saggi che per la loro atarassia ed il
tato sopra, V.

MASSIME CAPITALI
si

rende

affini

affini, e quelli

tutti

69

quegli esseri che possibile renderci

che non possibile

li

ritiene tuttavia

non

as-

solutamente da so alieni. Con tutti quelli poi per cui neppur


questa attitudine gli fu possibile, evita d'entrare in rapporto
e, per quanto utile, li tiene da s lontani ^

XXXX. Coloro

che seppero procurarsi la maggior sicurt

dai vicini, vivono anche fra di loro vita soavissima, perch

maggior fiducia^; e, pure avvinti dalla pi stretta intinon piangono la morte prematura del [caro] defunto
come se fosse degno di commiserazione ^.
nella

mit,

vincolo di saggezza godano della maggior fiducia gli uni verso degli altri: vedi
Mass., XVI, XL, ed Ep. a Menec, 135 (x ofioiov aavxw). Su questo foedus sapientium V. Cic, De fin., I, 70 e le mie osservazioni in Rivista di Filol., 1909, p. 78.
Simile il concetto di Democrito, fr. 107 D: Amici (q)iX,oi) non sono tutti i congiunti, ma quelli che con noi consentono nel concetto dell'utile comune, cfr.
fr. 286 D. Questa massima, intesa cosi nel suo vero senso, si ricollega perfettamente alla seguente, con cui ha anche nell'espressione verbale evidenti punti di
contatto.
^coQiaaxo (cfr. Porph., De abst., I, 10, p. 93, 2, e Philippson, loc. cit.,
oca xcto XvaixXq jtQTTeiv.
2 Cio, i saggi epicurei: v. s. Massima prec.
3 V. Mass., XXVIII.
* Le ultime parole ovk &bvQavro tg jtQg Xeov xtiv xoO xeXevxfjOavxog jtQOxaxacxQoq)f|v, furono corrette variamente; per jtQq ^eov (che il Crnert, Rh. Mus.,
1907, p. 131 vorrebbe correggere in coq jrQfioLQov, altri altrimenti) cfr. Philod.,
Jt. OTfieCcov, p. 25, 5 8g. G. &z nQq x cpaveQv (per Xeoq cfr. Eur., Or., 832). Ogni
dubbio poi cade, se si considera la dottrina epicurea: Epicuro infatti concede che
il saggio pianga la morte dei suoi cari (contro la dottrina stoica dell'apatia del
1

Leggo

p. 304 n.)

saggio,
sgg.)

v.

ma

Plut., contr. Ep., p. 1101

per

il

a, e

mie osservazioni

in

Atheneum,

1915, p. 57

naturale dolore che proviamo della loro perdita, non gi perch

siano oggetto di compassione quanto alla loro sorte; giacch

il

morire non nulla

perii saggio (Mass., II) e nulla deliba dalla sua felicit {^fass., XX); Lucr., Ili,
867 nec miseruin fieri qui non est posse. Questi compianti sono solo propri degli

come

tali li ritrae Lucrezio, III, 894 sgg.


lam iam non domus accipiet
misero misere' aiunt 'omnia ademit Una dies infesta tibi tot praemia
vitae ' lUud in hs rebus non addunt: nec tibi earum Iam desiderium rerum super
insidet una '. Cfr. Sent. vat., 66. Utile pure confrontare Plat., Phaed., 58 E Bg.

stolti

'

te laeta...

EPISTOLA AD ERODOTO
INTRODUZIONE: ARGOMENTO DELL'EPISTOLA
Epicuro ad Erodoto salute
Erodoto, per coloro che non possono studiare intenta-

mente ogni mio

scritto

intorno alla natura, o leggere con

diligenza le opere maggiori che composi, per essi appunto

preparai un compendio di tutta la mia dottrina, perch ab-

biano a tener bene a mente almeno^

ed applicandosi

necessario che anche coloro

Si

nella conoscenza

dell'intera

deve seguire la lezione dei codici

solo infatti

possano giovarsene,
Ma pur
quali progredirono sufficiente-

in volta, nelle questioni pi importanti.

di volta

mente

le dottrine principali,

allo studio della natura,

il

costrutto ToXg

|xfi

a\}xdiq

mia

[Usener

dottrina, ricordino

fiv xig]:

(jiageoxeljaaa),

bvvaiiwoig-avTolq trovasi in altri scrittori, (v.

non

Thic,

Lys., 1(), Il ecc.), ma singolare che non si sia visto che simili costruiti
sono particolarmente cari ad Epicuro: v, Mass. cap., XXXIX, XXX, XXXII,
XXXVII: Ep. a Er., 50; a Me., 123, fr. 79. Inoltre Epicuro non disegn solo di
comporre il Grande compendio, a cui qui si accenna, ma efl'ettivamente lo compose.
2 Inserisco nel testo, come fa il Kochalsky, la correzione '/e (So^cv), proposta
dall' Usener in nota. Il ye infatti, oltre a dar ragione del 6 che trovasi nel pi
antico codice di Diogene ed in altri, giova anche a distinguere il contenuto del
Grande compendio da quello di quest'epistola. Nel Grande compendio erano riasIII, 13, 5:

sunte sia

le

dottrine generali sia le particolari, cosicch chi l'avesse letto doveva

ricordare almeno

le

prime. In quest'epistola invece

vi

sono solamente

le

dottrine

capitali: essa rivolta agli epicurei gi progrediti, per facilitare loro la ricapi-

tolazione del sistema nelle linee fondamentali

(v. 45, 68,

83).

35

72

EPICURO

sommi

schema complessivo di tutta la trattazione.


abbiamo frequente necessit;
di quella dei particolari non altrettanto. Occorre dunque
rifarsi all'intera dottrina S ed assiduamente rarnmemorarne
quel tanto che basti a ritrarne T intuizione essenziale delle
cose, e donde si possa derivare la minuta conoscenza dei
particolari, quando si siano ben compresi e ricordati i lineaper

capi lo

Infatti deir intuizione del tutto

36

menti pi generali. Infatti anche per colui che della dottrina


sia

compiutamente

edotto, la

massima perfezione

consiste in

questo, cio, nel sapersi rapidamente servire delle intuizioni

(non solo delle teorie particolari ma anche delle universali) ^


riassunte in semplici formule e massime elementari. Poich
non possibile abbracci compiutamente il successivo svolgimento della complessa teoria, chi non sia capace di rias37

sumere in succinte massime nella sua mente ci che sia


stato anche parte a parte minutamente conosciuto. E poich
tale metodo utile a tutti coloro a cui famigliare lo studio
della natura, io che proclamo l'assidua occupazione in questa
indagine, ed in tale norma'* massimamente trovo la tranquilla serenit della mia vita, ho per te composto, qualsiasi
possa esserne il valore, anche questo compendio e riassunto
per sommi principii di tutta la mia dottrina.
1

Riferisco

o-uv jc'xelva

jt'

KeXva a x SXa di qualche linea sopra, e leggo Patotov nv

xal [Gs] ouvE/og v

Tfj |xvf)fAri Jtx.

La

lezione dei codici (t xaXg jtiPoA,aXg ^cog SwaO'Q-at xofiodai xal :n;es nk
OToixeicjiaxa xal cpcovg ouvayonvcov) corrotta, e la correzione delI'Usener xdoxcov
2

per Hai difficilmente


YO|xvcov,

si

non sospetto

spiega, e per di pi lo obbliga a mutare anche avvada (iJt8QiXa|3eIv che segue, (cfr. anche 68,

e confermato

p. 2a, 11 Us., e partic. 82 extr. jt8q)aX,aLCo6OTaTa jtiT8T{XT]nva

Quale debba essere


segue. La perfetta conoscenza

vavofivcov.

la correzione credo risulti

da

= ouvaY(i.8va)

in

ci che precede

una dottrina richiede che la si possa abbraccome dicesi subito dopo. Ed


anche prima Epicuro ha affermato che pi necessario avere una idea chiara
del complesso che delle parti; dunque la perfetta conoscenza dovr includere
l'uno e l'altro genere di sapere. Mantengo perci in tutto la lezione dei codici,
e

di

ciare tutta nei particolari e nelle teorie generali,

solo inserisco (jceqI tcv

nax

\iQog xal jiegl xcov o^cov),

innanzi a jiQq nX. Tali

omissioni sono assai frequenti nei codici di Laerzio.


3

Leggo

tolo'Ot<os>

wv

(cfr.

Vita di Ep., 23; Sent. vat., 76), invece della le-

zione corrotta dei codici t tovtcov. L'errore venne per omissione del compendio.
Epicuro ama tale abbondanza di participi, v. fr. 10: e qui sotto 68; 52 (p. 13,
10 sgg. Us.).

EPISTOLA AD ERODOTO

73

Norme da

seguirsi in ogni indagine.

Primieramente, o Erodoto, convien renderci conto del


\ per poterci ad esso

gnificato fondamentale delle parole

come

ferire

criterio nei giudizi, o nelle indagini o

dubbi: se no senza criterio procederemo


dichiarazioni ^, o useremo parole vuote di
Infatti, per avere un criterio di giudizio
casi dubbi o nelle indagini o nei giudizi,

sempre

al significato

si-

ri-

nei casi

all'infinito

nelle

senso.

a cui riferirci nei

necessario badare

primitivo per ogni vocabolo, senza avere

bisogno ancora di particolare dichiarazione. Cos pure bisogna


scrutare sempre le sensazioni che riceviamo d'ogni cosa ^ ed in
generale

le intaizioni presenti, sia dell'intelletto, sia di qual-

sivoglia dei criteri

^,

come pure

la

testimonianza effettiva dei

significato fondamentale d'ogni parola, secondo Epicuro, coprenozione di un oggetto, prenozione {nXr\'^iq) che si forma
di sensazioni di esso ripetutamente avute (v. Vita di Ep., 33).
per la
Perci Epicuro avverso alle definizioni (v. infra 72 sg. cfr. fr. 61), che trova
1

Si noti che

sempre
memoria

stituisce

il

la

superflue o capziose.
jtoeiHvOovoiv: non

mi pare

giustamente nel senso di


si sia ben
reso il vero senso di tutto il passo. Vedi infatti la nota precedente e confronta la
testimonianza raccolta dall'Usener, p. 180, io sg., ove dicesi che impossibile dichiarare il significato di tutte le parole e vano dichiarare solo quello di alcune.
Per Epicuro basta si segua il senso fondamentale delle parole, corrispondente
alla prenozione che uno dei criteri del giudizio (v. n. pr.): se a tal metodo non ci
atteniamo, o non ci larcmo intendere, o dovremo ogni volta dichiarare il significato del vocabolo che usiamo, procedendo cosi all' infinito. Per di pi non avremmo
alcun criterio per stabilirlo, perch tale criterio pu essere dato solamente dalla
prenozione che la parola suscita in noi (v. 73: Vita di Ep., 34; 33).
^ Leggo: ti xe (Arndt: codd. eite) xg alo^O-i'iaeii; bel Jivxcov (codd. Jtdvxa)
xriQeLV. Per la mia correzione Jtdvxwv, v. Ep, a Pilocle, 88 x nvxoi qpvxao(ia
xdoxou xT^QT^xov. L'espunzione di xaxu, dinanzi ad alo^rioeig, necessaria, perch,
ritenendolo, il testo contradirebbe alla dottrina di F'.picuro: infatti le sensazioni
criteri, dunque le sensazioni dovrebbero scrutinare se stesse,
sono pur esse fra
ci che Epicuro non ammette; onde, ritenendo il Jtaxd qui, bisognerebbe supporlo
caduto dinanzi a xg jiaQovaaq ed a x vjtdQx- niir], come voleva il Gassendi.
2

lo si sia interpretato

dimostrare: lo stesso dicasi per jtoet^eiq che segue; e neppure credo

Cfr. 51: circa le intuizioni intellettive (:ri|3oXal xfjg Siavotaq) v. Vita di Ep.,

31 e

nota

ivi: cfr.

condo Epicuro,

V.

Giussani, Studi Lucr., p. 171 sgg. Sui criteri di giudizio, se-

Vita di Ep., ibid.

ss

74

EPICURO

sensi interni, per aver

conferma

e ci che

modo

di

determinare ci che deve aver

non cade

sotto

sensi.

II

Principii fondamentali della dottrina fisica.

Dell'universo e di ci di cui

Ed

compone.

secondo queste norme, dobbiamo procedere a


che non cadono sotto i sensi ^. Ed anzitutto, che nulla s'origina dal nulla ^; perch ogni cosa nascerebbe da qualsiasi cosa, senza bisogno di alcun seme generatore. E se ci che dispare si dissolvesse nel nulla, tutte
le cose sarebbero ormai perite, perch, nelle singole dissoluzioni, si sarebbe ridotta al nulla la materia che le costituiva
Ed altres non dubbio che T universo fu sempre quale
ora, e sar tale sempre; perch non vi nulla in cui
possa mutarsi; infatti oltre il tutto non vi nulla, che possa
penetrandovi produrvi mutazione ^.
ora,

considerare

39

si

le verit

'*.

1 T jcQOO|X8vov: V. sotto 50 sgg.; Mass. cap., XXIV;


Vita di Ep., 34. Ciche attende conferma, l'opinamento che noi aggiungiamo ad una percezione avuta

dal senso, opinamento che pu essere vero o falso, secondo che l'esperienza lo
confermi o no: vedi mia nota ad Ep. a Pitocle, 88.
2 Che qui si tratti dei principii fondamentali della fisica, secondo Epicuro, risulta dal 45. Epicuro distingue le verit che cadono sotto i sensi da quelle che
la ragione determina procedendo dai fenomeni sensibili: p. es. l'assioma che nulla
si origina dal nulla, ecc. Sul valore d'entrambe vedi 62 extr.
3 Questa proposizione e quella che segue erano gi enunciate da Empedoclk
(fr. 8 sgg.) e da Anassagora (fr. 17): cfr. Democrito, A 1, p. 13, 20. Per la dottrina
epicurea, vedi Lucr., I, 150 sgg. Nel testo di Epicuro il Cronert crede sia caduta
{ovb (pdeiQexai, elg x jat] v> e che nulla perisce nel nulla. Ma probabilmente
Epicuro omise qui, come altrove, in testi compendiosi (v. i miei Studi plutarchei
in Riv. di Filol., 1916, p. 270 sgg., e qui sotto 41, p. 76, n. 3), un termine del ragionamento che facilmente poteva sottintendersi.
* Cfr. Lucr., I, 225 sgg. Secondo Epicuro le cose che apparentemente si
distruggono, si dissolvono nelle particelle elementari (atomi) indistruttibili, e da
:

esse
5

si

costituiscono poi altre nuove cose: cfr. 41; 54.

Sulla lezione del testo e la dottrina epicurea in questo punto, v. l'Appendice.

EPISTOLA AD ERODOTO

Ed

ancora

certo

(*)

del vuoto) ^ Infatti che

75

che l'universo consiste (dei corpi e


i

corpi

esistano

attesta

universal-

mente ^ di per s, la sensazione, che deve esserci fondamento,


come gi ho detto, per procedere ragionando all'induzione
delle verit che non cadono sotto i sensi. Ed pur necessario che esista lo spazio, che noi chiamiamo vuoto e luogo
e natura intattile ^, altrimenti i corpi non avrebbero dove
stare n per dove muoversi, come di fatto vediamo si muovono.
Per oltre ai corpi ed al vuoto, non v' nulla che si possa
neppur pensare (come concepibile o per analogia con le cose
concepibili) sotto specie di cose per s esistenti, e non come
quelle che diciamo propriet concomitanti o contingenze dei

corpi e del vuoto

(*)

^.

S'aggiunga

Scolio] Questo dice anche nel

(**)

che dei corpi

gli

Grande compendo, verso

uni sono

il

principio, e

nel primo libro dell'opera Della natura.


(**) Scolio] Questo ripete anche nel primo libro dell'opera Della natura, nel
decimoquarto e decimoquinto e nel Grande compendio .

1 Nei
codici mancano le parole (ocfiaTa v.ai T:7rog>, introdotte dall' Usener.
Recentemente per parecchi critici, fra cui l'Arndt ed il Kochalsky, ritennero
che il testo di Epicuro possa stare senza questa integrazione: essi credono dunque
debba solo mutarsi t jiv oxi, in t jtv axi (il tutto esiste). A torto per: infatti sarebbe strano che Epicuro dimostrasse l'esistenza del tutto dopo averla
tacitamente ammessa prima, quando dimostr V immutabilit di esso. Per di pi
l'integrazione confermata d&U'Eijistola a Pitocle, 86 (t Jiv ocixaxa xal vacpiis
(pvaiq OTiv). S'aggiunga anche il confronto, gi veduto dall' Usener, con Doxogu.,
p. 581, 20, TL (t) :aav axi a(i\ia{Ta al xevv) (cos infatti deve leggersi questo
passo, perch per Epicuro il tutto non costituito dalla sola materia corporea):
qui dunque l'omissione solo parziale, ma ci che vi di pi che nei codici
di Laerzio comprova la lacuna segnata e colmata dall' Usener. Per la dottrina
V. anche fr. 14 sg.
Skxt. Emp., Ade. doym., II, 329; Lucr., T, 419 sgg. 269 sgg.
;

329 sgg.
2 jil

jtdvTcov

sensus. Per

Kp. a

cfr.

il

Menec,

(aecov, p. 28
3

cfr.

Lucr.,

I,

422 sgg.: Corpus... per se

communis dedicai esse

carattere universale di certo attestazioni del senso v. sotto 82:

123; Philii-pso.v,

De Philodemi

libro... n. or\\ieLav

xal

aT|(i,et

sgg.

Epicuro usa promiscuamente

(luogo) e

(ivacpf)i;

(pvoig

le parole T;tog ('spazio), xevv (vuoto), x&Qa


(natura intattile); cfr. Doxogr. 318, 1; Lucr., I, 426; 334.

* Epicuro, dopo aver dimostrata l'esistenza della materia e del vuoto, atenna
che nulla esiste j)er s che non sia materia o vuoto; tutto quanto esiste infatti,
o materia o vuoto o accidente della materia e del vuoto. Per la teoria epicurea

V.

Luca.,

I,

p. 28, 13.

I,

68, p. 101 sg. Epic, n. (fva. ap. Gomp., Wwner Stud.,


Epicuro evidentemente obbietta anzitutto contro Platone e la teoria

430 sgg., e sotto

4o

76
41

EPICURO

complessi, gli altri elementi di cui quelli risultano: e questi


sono indivisibili [atomi] ed immutabili,
se vero che le

cose universe non debbano ridursi di

ma debbano

essi [atomi]

zione dei complessi

permanere

mano

in

mano

al nulla,

indistrutti nella dissolu-

di

natura compatta, perch ^ infatti


nessun modo ed in nessuna parte
del loro corpo. Perci i primi elementi debbono di necessit
essere sostanze corporee indivisibili.
Ed ancora: l'universo infinito. Infatti ci che finito

non possono esser

divisi in

ha un'estremit, e questa estremit tale rispetto a qualnon avendo alcun limite estremo non ha

cos'altro^; perci

come essenze esistenti per s; cosi pure contro ogni teoria spirituache ammetta essenze incorporee (che non siano il vuoto) come l'anima, 67.
Quanto alla lezione del testo, arbitrarie sono le correzioni dell'Usener, del Kochalsky e di altri: deve leggersi con i codici: q Ha#'6X,a5 qjijoeig Xaii^av\ie\'a
al \ir\ d)g x xcuxcov Ov(AjtTa)(iaTa fj ou|x|3e|3TixTa Xeyiieva: infatti per &q cfr.
68 sgg., quanto poi al neutro plurale esso viene per costruzione a senso, dato il
valore collettivo di o'u'd'v precedente; cfr. Massime cap., VI: y^^'^'v % djv.
1 Per la prova dell'indivisibilit degli atomi, desunta dall'assioma
che nulla
si distrugge nel nulla, v. 54: Lucr., I, 485 sgg. e le testimonianze raccolte dall' Usener, p. 191 sgg. Anche qui credo si possa tenere il testo manoscritto. Certo
erravano gli antichi editori che, conservando la lezione dei codici {Xk' ia^vovra
ujtoM.veiv), riferivano loxijovra a jtdvxa: v. infatti Lucrezio, I, 518 sgg. Materies
igitur solido quae corpore constat Esse aeterna potest cum celer dissoluantur:
cfr. 54. E possibile per che la lezione sia esatta, purch si riferisca Icx^^ovxa
a xat)xa (gli elementi indivisibili) che il soggetto della proposizione precedente
di quella che segue. Ove il testo si dovesse ritenere corrotto, credo la pi agevole correzione sarebbe leggere laxvv xi... (cfr. 54), ma che qualche cosa di
delle idee,
lista

xl... oxegev xal 6iX,Tjxov) permanga nella disLucr., I, 578 sgg.


2 Leggo ola 6ti (codd. oxav: Usener vxa): l'errore sarebbe venuto per il consueto iotacismo, donde poi AI fu letto N. Le ragioni dell'indivisibilit degli atomi
son due: anzitutto essi hanno bens parti, ma tali che non possono esistere separate dal tutto ( 58 sgg.: At., I, 3, 18), in secondo luogo non vi sono inter-

indistruttibile {iaxvov: cfr. 54

soluzione dei complessi;

stizi vuoti (At.,

questo passo
ditas
3

ojtri

1.
ri

come qualit
Usener (p.

L'

cit.).

ojtco;.

cfr.

Ci indica la duplice espressione che usa Epicuro in


Cos pure Lucrezio distingue la simplieitas dalla soli-

degli atomi: cfr. anche 54: gxeqev xal biXvxov.


xviii)

ricostituisce cos: (KX

crede sia caduto qui un membro del ragionamento, che


x nv ov jcaQ'xeQv xl ^ecoQstxai) (ma il tutto non

|xt]v

pu considerare rispetto qualcos'altro da esso distinto) cfr. Cic, De div., II,


con lui s'accordano i critici. Forse per qui, come altrove (v. s. p. 74,
n. 3), Epicuro, nel riprodurre in forma compendiosa l'argomentazione, omise un
membro del ragionamento che poteva facilmente sottintendersi). Per la dottrina
cfr. Lucr., I, 951 sgg.: II, 104, 8 sgg.: Epic, fr. 63.
si

50, 103, e

EPISTOLA AD ERODOTO

non avendo

fine;

Per

di pi,

il

fine

deve essere

77

infinito,

non

limitato.

tutto infinito per la moltitudine dei corpi e per

^ Infatti se infinito fosse il vuoto e liminon potrebbero persistere in nessun luogo


ma sarebbero tratti qua e l, dispersi per l'infinito vuoto,
perch non sostenuti da altri, ne rimbalzati indietro dagli
urti 2. E se invece fosse finito il vuoto, i corpi infiniti non

l'estensione del vuoto


tati

corpi, questi

potrebbero esservi contenuti.

che sono indivisibili [atomi] e comche costituiscono i complessi, ed in cui questi si


dissolvono, hanno inconcepibile numero di forme ^: perch

Per

di pi: quei corpi

patti, e

non sarebbe possibile che tante differenze [quante sono dei


complessi] risultassero dalle medesime forme [di atomi] delimitate di numero. E di ciascuna di tali forme vi un numero assolutamente infinito di atomi, mentre per il numero
delle forme loro sono non gi infiniti, ma solo di numero
inconcepibile

(*).

Scolio] Infatti, pi sotto [ 56], dice che la divisibilit non si estende all'ined ag'g'iunge [che le forme degli atomi sono di numero limitato]: poich
qualit possono mutare, anche se si stabilisce un limite pur alla grandezza
(*)

finito:

le

di essi

atomi

56]

*.

Sull'infinit della materia e del vuoto, v. Luce.,

vaxojtdg, non vxixojtdg,

I,

come vorrebbe correggere

1008 sgg.
il

984 sgg.

Crnert, perch alla

si oppongono appunto quegli urti che li respingono in alto


moto iniziale di caduta (cfr. xiJteQeiovxa che precede).
3 Su questa dottrina e ci che segue, vedi le mie ricerche in Atti della E. Acc.
delle scienze di Torino, voi. XLVII, sed. 21 aprile 1912, p. 13 sgg. dell'estratto,

dispersione degli atomi


dal

e cfr. qui sotto n.

4.

Questo scolio diede origine a variiasime interpretazioni e correzioni del testo, di cui nessuna raggiunse il suo scopo, come mostrai nel mio studio citato
sopra (n. 3). Non si vide infatti che la spiegazione della seconda parte doveva cercarsi nel testo di quest'epistola stessa ( 5G) a cui lo scoliasta si riferiva. Leggo dunque Xyei 6 (codd. Xi^yeiv b Usener), jtei,6Ti al noizr\Teq fiexa*

(3(i?tX,ovTai

<>c)el

(el

codd.:

cfr.

una simile corruzione

p. 29, 14 Us.) iiX'kei xig xr. Il testo cos

in 56, p. 16, 4 Us. e 78,

corrisponde all'argomentazione del

56,

combatte la dottrina di Democrito. Infatti Democrito (v. A 9 Diels, IP,


p. 4, 21 sgg.) credeva che fossero infinite le forme atomiche, perch solo in tal
modo pensava si potessero spiegare le continue mutazioni di qualit nei corpi
composti. Epicuro invece ammette infinito il iumero degli atomi (v. s. 41 8g.),
ma non infinito, bens solo inconcepibilmente grande, il numero delle forme loro.
ove

si

42

EPICURO

78
43

Gli atomi (*) poi, sono in continuo

cadono perpendicolarmente,
(*)

perch

gli

moto sempre

altri

(e gli uni

declinano spontanea-

[ 61] aggiunge che essi si muovono con uguale velocit,


vuoto lascia ugualmente passare senza ostacolo i pi leggieri ed i pi

Scolio] Pi sotto
il

pesanti.

Infatti, come dice poi Epicuro ( 56) e ripete qui lo scoliasta, l'ipotesi democritea
non necessaria per spiegare le variazioni di qualit dei corpi composti, che
Epicuro spiega sia con le mutazioni soggettive del senziente, sia con la modificazione dell'ambiente esterno, sia con la diversa disposizione degli atomi e con il
variare dei loro moti nei corpi percepiti. Per di pi tale ipotesi inconciliabile con
il concetto di atomo, perch infinita variet di forma implicherebbe grandissima
variet di grandezza (v. Lucr., II, 478 sgg.), e se si ammette, come Democrito ed
Epicuro ammettono, che la divisione non proceda all'infinito, e cio si parte da un
limite di grandezza degli atomi non infinitamente piccolo, si dovrebbe supporre che
possano aversi atomi d infinita grandezza, affinch a procedere dal minimo limite
di grandezza si abbia il conveniente divario di dimensioni necessario a comprendere infinite variazioni di forme. E di fatto, secondo le nostre fonti, Democrito
avrebbe ammessi atomi grandi come mondi (Dem., A 47); Epicuro invece nega
( 56 e lo scolio a p. 79) che gli atomi possano raargiungere il limite della visibilit: cfr. anche Lucr., II, 495 sg. formarum novitatem corporis augmen Subsequitur. Quare non est ut credere possis Esse infinitis dstantia semina formis, Ne
quaedam cogas immani maximitate Esse, supra quod iam docui non posse probari:
e ibid., 481 sg. quod s non ita st... semina quaedam Esse infinito debebunt
corporis auctu. Eisulta chiarita cos la dottrina a cui si allude nella seconda parte
di questo scolio.
Nella prima parte invece, si esclude che si possono dare infinite
differenze di forme negli elementi primi supponendo che la variazione delle loro
dimensioni avvenga in piccolezza, ci che dicesi impossibile, perch Epicuro (vedi
56) nega la divisibilit all'infinito della materia, contro l'opinione di Anassagora e di altri. Nota che avxq va riferito ad al axo^iot (come del resto nello
scolio seguente), che il soggetto della frase a cui lo scolio apposto (negi:

^TlJCTOl [al Ito|xol]

),

questo passo, assai discusso, cos si legge nei codici: xivowTai


T8 owexcs al lxonoi tv alcva, xal al jxv Eiq [iay,Qv n'XXr[X(j)V biiGx\xevai, al
5 avTv TV otaX-fiv la^ovaiv, bxav xvxfOi Tfi neQi7t'ko'nr\ xexXL^ivai i^ OTEya^^evai
jtaQ Twv jtXexTLxcv. L'Usener segna una lacuna, dopo xv alcva, in cui si indi1

II testo di

casse il primo genere di moto, cio il moto di caduta per gravit, e propone d
leggere av invece di avxv, ed toxuoat invece di l'oxovoiv. Il Kochalsky accetta
av eia lacuna, ma la pone dopo 6iiOTd|xevaL, colmandola cos: (v.ax oxd'&ixTiv jtl
T HTco cpQovxai). Tale integramento per poco prudente, perch secondo Epiil moto di caduta perpendicolare, ammettendosi la deviazione
per clinamen (v. Lucr., II, 246 sgg,: At., I, 12, 5). Il Giussan (v. II, 169) ed il
Tescari invece non ammettono lacuna, credendo che Epicuro: descriva la condizione d fatto e solo distingua fra rimbalzi lontanissimi, lontanucci e vicinis-

curo non sempre

, e quanto al testo correggono atixo'D (Brieger) invece di avxv, ed loxovcai


invece d 'lO/ovaiv. Orbene, quantunque io sia quanto mai disposto a conservare
intatti i testi manoscritti, credo tuttava che le probabilit d una lacuna in questo

simi

EPISTOLA AD ERODOTO

mente dal moto

retto, gli altri

79

rimbalzano per Furto; di questi

poi gli uni nel loro moto) divergono lontani fra loro, gli altri
trattengono questo stesso rimbalzo, quando siano respinti ^
dagli atomi che ad essi s'intrecciano, o quando sono contenuti
altri atomi fra loro intrecciati. E questo avviene, perch il
vuoto che separa gli atomi gli uni dagli altri, non pu, per la
sua propria natura, opporre ostacolo alla loro caduta: e d'altra
parte la loro insita solidit e durezza fa che urtati rimbalzino, finch r intreccio atomico non li respinge indietro dal
rimbalzo. Questi moti poi avvengono ab aeterio ^, perch

da

eterni sono gli atomi ed

questo che

si

il

vuoto

tutte queste dottrine

si

(*).

grande importanza, purch


tengano bene a mente, offre come fon-

detto, di

* Scolio] Pi sotto [ 54] aggiunge clie gli atomi non hanno neppure qualit
alcuna, fuorch forma, grandezza e peso: e che il colore muti secondo la disposizione degli atomi, dice nei Dodici principii elementari, e aggiunge che essi

non possono a^ere qualsiasi grandezza

55 sg.], perch

mai atomo divenne

visibile

al senso [ 56].

passo, siano parecchie; infatti: l) l'intrusione di uno scolio produsse anche altrove
lacune in queste epistole: 2) coloro che non ammettono la lacuna, correggono il
testo manoscritto in ci che segue: ora invece probabile che l'irregolarit del
costrutto provenga non da corruzione, ma da caduta di una frase, e che perci
il supporre una lacuna sia ancora il rimedio pi prudente, purch la si sappia

colmare in modo che non esiga altra correzione: 3) che Epicuro esponesse qui
forme di moto, e perci anche quello per clinamen (che mi pare a
torto dimenticato qui dall'Usener e dal Kochalsky) molto probabile, non solo
perch dal 45 risulta che nei precedenti si erano indicate le dottrine capitali
della fisica, sufficienti a darne un rapido schema riassuntivo, ma anche perch
del clinamen non si parla in nessun altro luogo dell'epistola, cosa questa assai
singolare, trattandosi di teoria importantissima, n vedo se ne potesse parlare
se non qui. Credo dunque si debba ricostruire presso a poco cosi il testo xivovvxat
T8... at xonoi Tv alcva xal al |xv (xar OT\>|XT]v, at 6 xax jraQyx^ioiv, al 6
tutte le varie

jcax jtaXfAv. xcxcov 6, al fxv

cpQOvxai) elq jxaxQv n'XXi'iXtov Liaxa^evai, al

Su questo testo ho condotta la mia traduzione.


fonda sulla testimonianza di Aezio citata sopra.
1 Epicuro qui distingue (come
osserva giustamente il Brieger) due sorta di
complessi atomici, la prima (a cui appartengono i corpi solidi) comjosta di atomi
avxv xv jiaXfxv "loxouolv xx.
Il

mio integramento poi

si

fra loro direttamente intrecciati: l'altra (a cui

appartengono

fluidi)

composta

atomi non intrecciati e che, per rimanere uniti, debbono essere circondati da
altri atomi intrecciati fra loro: cos p. es. l'anima, che un fluido, contenuta
dal corpo che fa da contenente (x oxeyd^ovxa), v. s. 6.
V. LucR., II, 80 sgg.
Cic, De fin., I, 6, 17.
di

44

45

EPICURO

80

damento l'adeguato schema riassuntivo di quanto si deve pensare della natura delle cose esstenti ^
Ed ancora, i mondi sono infiniti, sia quelli simili al nostro,
sia quelli dal nostro dissimili ^. Perch gli atomi, che abbiamo
test dimostrato essere infiniti, percorrono anche i pi lontani
spazi. Ed in verit quelli opportuni a dare origine ad un
mondo od a costituirlo, non possono essere esauriti n da
un solo mondo, n da un numero finito di mondi, n da
quanti mondi sono simili, n da quanti sono ad essi diversi.
Nulla dunque s'apporr a che i mondi siano infiniti.

Ili

Dei simulacri e della vista.

46

Vi sono poi delle immagini che hanno la medesima figura


dei corpi solidi; ma che per loro sottigliezza superano di
gran lunga le cose che vediamo ^. Infatti non punto impossibile che si formino, nell'ambiente a noi esterno, tali
emanazioni e complessi opportuni a riprodurre le parti cave
o piane, e similmente efflussi che conservino la disposizione

Leggo: Tv txavv xvnov

JtoP^A.si Tr\q (codd.: (xaXq jieqI) xr\q TJs.) xtv vrcov

(pvOEtoq jtivoiag (f: 8n;ivoiais codd.): cfr. infatti

35: xv xvnov

Tfjs oXtjs

nQay]ia-

retag: per (jno^k'Kei v. Ep. a Pitocle, % 90.

Dimostrato che tutto quello che esiste vuoto e materia, e che ambedue
infiniti, ne trae un corollario, che infiniti debbano essere i mondi: cfr. sotto
73: Ep. a Pitocle, 89: Lucr., II, 1052 sgg., e le testimonianze raccolte dall' Usenbr, p. 214, 13 sgg.
3 Per Epicuro, la percezione visiva avviene per mezzo di immagini (xijjroi) o
come trad-uee Lucrezio il termine tecnico, slcoXa, di Episimulacri {simulacra
curo), che giungono al nostro occhio dipartendosi dall'oggetto percepito. Essi sono
uno strato sottilissimo e superficiale di atomi dell'oggetto stesso, che si stacca
dal corpo, per i continui urti che questo riceve dagli atomi esterni in perenne
moto. Tale strato atomico, conserva le particolarit che aveva nel corpo, cio ne
riproduce sia il rilievo, sia i moti atomici dai quali deriva la sensazione del colore. Su questa dottrina epicurea, v. le testimonianze, p. 220, 13 sg. Usener: Lucrezio, IV, 29 sgg.; V. anche R. Schone, Damianos Schrift ber Optik, mit Auszgen aus Geminos, Berlin, 1897, p. 24: cfr. Cenert, Eh. Mus., 1907, p. 128.
2

sono

EPISTOLA AD ERODOTO

81

e la successione che gli atomi avevano nei corpi solidi. Queste


immagini chiamiamo simulacri (eiScoa).
Si badi poi che il movimento il quale avvenga attraverso al vuoto senza alcun ostacolo di urti, compie ogni
percorso immaginabile con impensabile velocit: infatti sono

gl'intoppi o l'assenza di essi che


di velocit o di lentezza.

ci si

rivelano sotto la specie

E veramente non
*

in alcun

modo

4?

anche il complesso corporeo in moto che vediamo giungere a noi, percorra nei tempi solo concepibili
mentalmente le molteplici traiettorie [che percorrono i suoi
possibile che

ma

atomi] (questo infatti non solo inconcepibile,

in tal caso

mentre viene tutt' insieme in un tempo sensibile


da un punto qualsiasi dello spazio, dovrebbe essersi mosso
da un punto diverso da quello da cui percepiamo la direzione
del suo moto) per ci che la velocit del suo moto sar adeguata agli intoppi incontrati, anche se fin a questo punto
non ne abbiamo tenuto conto. Ed un principio questo che
giova veramente tenere a memoria.
Ci posto, siccome nessuno dei fenomeni che cadono sotto
i sensi, s'oppone a che i simulacri possano essere d'insuperabile sottigliezza: ne consegue che essi debbano avere anche
insuperabile velocit ^, poich il loro corso si compie sempre
in linea retta, e per di pi, quando se ne consideri un numero
limitato ^, nessuno o pochi ostacoli trovano nel loro corso,
mentre una moltitudine di atomi susseguentisi in infinito numero tosto trova qualche ostacolo. Oltre a ci [nulla s'oppone
nei fenomeni che cadono sotto i sensi a che i simulacri si
tale corpo,

la

questo uno dei passi pi ardui e pi discussi delle operette epicuree: per
del testo e per la dottrina v. l'Appendice.

mia lezione
'-

col.

Sulla sottigliezza dei simulacri, v. Lucr., IV, 110 sgg.; Epic,

1,

5 Bgg., in Voli.

Herc,

coli. pr. II, (2), ed.

Rosini

col. 9,

Jt.

(fvo..,

II,

sgg., ibid., p. 21.

che l'edizione del Rosini anteriore alla scoperta dell'altra copia di


questo libro nei pai)iri ercolancsi vedi dunque, per la col. 9, pap. 1010, col. 15;
cfr. Scott, Fratjmenla Hi'rcuianensia, p. 54 sgg. Appunto per la loro sott};liezza
i simulacri sono velocissimi, perch pochissimo o nuU'affatto sottoitosti agli urti
Si noti per

esterni e a quelli interni i)rodotti dai cozzi intestini dei loro atomi, cozzi

rallentano
3

il

Leggo

moto degli

altri

Jty^ T( (tc

\i\)

:;teiQ(o

avxcv

per tale

mia lezione

e per la teoria

vedi l'Appendice.

Epicuro.

che

complessi atomici.

48

EPICURO

82

formino con velocit pari a quella del pensiero ^ Infatti dalla


superficie dei corpi si dipartono continui efflussi ^, che per
non si manifestano con la diminuzione del corpo stesso, perch questo riceve continuo risarcimento di materia^; e tale
efflusso conserva durante lungo tempo la disposizione e l'ordine che gli atomi avevano nel corpo solido, sebbene qualche
volta avviene che si scomponga ^. Per di pi neirambiente
esterno a noi, si formano concrezioni che avvengono rapidamente ^, perch per esse sufficiente un accozzamento su-

Perch

un oggetto

la visione di

possa avere per mezzo di simulacri,

si

stacchino continuamente dagli oggetti e si succedano con velocit massima; in tal modo noi non percepiremo singoli simulacri
necessario che

tali

simulacri

si

separati (che produrrebbero una visione intermittente)

ma

una continua succes-

sione di essi, cos veloce da rendere possibile la continuit dell'impressione visiva.

A ci

si

solo tale velocissima successione pu

aggiunga che

deformazioni che
esterno, e tale

compenso

compensare certe

simulacri possono ricevere da ostacoli dell'ambiente

singoli

il processo di accomodamento di cui si


medesimo oggetto pu essere veduto contempora-

ottiene per

si

parla pi sotto. Finalmente

il

neamente da diversi spettatori, donde tanto pi necessaria tale continua e velocissima formazione di simulacri. Per questa dottrina v. Lucr., IV, 143 sgg.
2 Epicuro riprende la dottrina empedoclea sugli efflussi continui che si dipartono dalle cose; v. Emp.,
DiOG. DI Enoanda, fr. IV,

fr.

89, e

mia nota

col. 2, 6 sg.

ivi.

Luca.,

Per

II, 69:

la dottrina di

Epicuro vedi

Plut., Adv. Col.,

16,

1116 C.

Giussani che intende vxavanX-^QCoGiq come il risarcimento degli idoli stessi, deformati dall'ambiente esterno (v. sotto 50; 50); e
giustamente il Tescari lo corresse (Boll, di Filol. classica., 1906, n. 3 sg.) citando
Pr.UT., Adv. Col., 16, 1116 C, donde appare che si tratta del risarcimento dei corpi
da cui si dipartono gli efflussi; ma non han ragione n Plutarco n il Tescari, che
considerano tale risarcimento come prodotto dell'afflusso di altri simulacri esterni
3

vxava7i'kr]Q(oaiq: erra

il

da atomi acconci di qualsiasi orisempre turbinano nell'ambiente circostante, derivanti sia dall'attrito dei
sia dai simulacri, sia da ogni altro afflusso.

al corpo; infatti questo risarcimento prodotto

gine, che
corpi,
4

Come

s' detto sopra,

nell'ambiente esterno;

ma

simulacri possono scomporsi per urti che incontrano


compensata dall'accorrere di nuovi

tale scomposizione

che ne risarciscono le fratture. Per questo compenso talvolta insufficiente,


l'idolo venga troppo d lontano ed abbia sopportati troppi urti esterni,
cos Epicuro spiega certi apparenti errori visivi, come il fatto che una torre veduta da lontano possa apparirci rotonda invece che quadrata, per il logoramento
degli spigoli dei simulacri che ne giungono a noi: v. Seit. Emp., Adv. dogm.., 1,
208 sgg.: cfr. Lucr., IV, 351 sgg., e il papiro epicureo pubblicato dal Crnert
in Rh. Mus., 1907, p. 124.
^ Tali concrezioni (oucrdoEig), simili ai simulacri, sono p. es. le apparenze moidoli

quando

struose delle nubi, v. Lucr., IV, 129, e cos pare spiegasse Epicuro anche certi
di miraggio, v. Diod. Sic, III, 50, 4: vedi pure su queste avaxasig Epic,

fenomeni
jt.

(fva., Voli.

Herc,

coli, alt.,

VI,

f.

86 sg.

Sono anche concrezioni

artificiali quei

EPISTOLA AD ERODOTO

ed infine vi sono molti

perficiale:

nomeni possono prodursi.

altri

83

modi

in cui tali

fe-

quanto si detto
in contrasto con la testimonianza dei sensi, purch si pong*a
mente, in certo modo, alla evidenza effettiva dei fenomeni,
a cui si dovr riferire anche la costante continuit delle propriet sensibili dagli oggetti esterni sino a noi ^
Occorre pure ritenere che per mezzo di afflussi esterni
non solo noi vediamo le forme delle cose ma anche pensiamo -. Infatti non potrebbero le cose esterne imprimere la loro
particolare forma e colore per mezzo dell'aria intercedente
fra esse e noi ^, e neppure per mezzo dei raggi o di efflussi

simulacri, per cui pensiamo, o


p. es.

Infatti nulla di

vediamo nei sogni,

centauri, chimere, ecc. Tali simulacri

di diversi simulacri; p. es,

simulacro

di cavallo

un simulacro

di

altri)

che segue poco dopo, quando

741 sgg.:

\ir\

si

queste concre-

Epicuro (male interpretata da


parla della facilit di questi accozzamenti

riferisce in particolare l'osservazione

si

come

formano per unione superficiale


centauro si forma dall'unione di un

e di uno d'uomo: v. Luce,, IV, 732 sgg.

zioni

superficiali (6i x

esseri inesistenti in natura,

si

di

6etv y,ax pd-O-og x aviinK^QOiia ytveO'O-ai): vedi Lucr., IV,

verum uhi equi atque hominis casu convenit imago Haerescit


naturam et tenvia texta.

facile ex-

tempio, quod diximus ante, Propter subtilem

Ritengo tva dei codici, corretto dall' Usener in xtva, considerando Iva come
come fa pure il Kochalsky. Epicuro, secondo la sua dottrina canonica,
raccomanda anche qui di tener conto delle testimonianze dei sensi, cio dell'eu/denza, vdQyeia: ma aggiunge che non si deve solo badare al puro fatto evidente
della percezione visiva, bens anche al fatto della continuit delle qualit sensibili
(ou(i,rcd'(heia) dall'oggetto percepito sino a noi. L'ultima frase del periodo Iva xal
x; Gv\i7t'&\.a^ djt xcv ^ccO^ev JtQq Tifig voioei, fu male intesa anche dagli ultimi interpreti; a conferma della traduzione che ho dato, v. 50 e nota ivi, p. 84
n. 3 cfr. anche 52 sg. e n. ivi. Si noti che Epicuro qui ha in vista la dottrina
di coloro che ammettevano l'azione di un inedio tra il senso e l'oggetto sensibile,
come l'aria (v, s. n. 3), che, secondo lui, avrebbe nociuto a tale conservazione
1

avverbio,

delle qualit sensibili.


2

Epicuro

si

ma

serve della dottrina dei simulacri, per spiegare non solo

feno-

fenomeni della conosccn/.a: i quali pure si producono per


opera di simulacri pi sottili clic non affettano l'occhio, ma l'anima: v. Lucr.,
IV, 720 sgg. e le testimonianze raccolte dall' Uskner, p. 219, 30 sgg.; cfr. Cic,

meni

visivi,

anche

Kp. ad. fam., XV, 1(5, 1.


Epicuro, senza nominarli, polem77.a con

gli altri filosofi che proposero altre


Usener, Epicuro accennando all'aziono
dell'aria intermedia fra noi e l'oggetto, alluderebbe alla dottrina di Aristotele
(De an., II, 7, p. 418 sg. De sensu, 2, p. 438 b 3, 3; 439 a 21) bench egli stesso
noti si quidem dQa pinguius dicere videlur quod ille x iaq^avs . Credo in'

soluzioni del

fenomeno

visivo.

Secondo

l'

vece che qui Epicuro combatta la dottrina di Democrito (A i:i5, .')0 xv Qa xv


^.exalx xfjq tpecog xal xov Qconvou xvjiO'Oa'O^ai [cfr. Epic. vajtooq)QaYtoaiTo] vsi

49

EPICURO

84
di qualsiasi

natura

cos facilmente

che

si

come per

dipartano da noi verso di esse

afflusso, dalle cose

esterne a noi,

ad esse in colore e forma, i quali


grandezza S penetrano negli
la
rispettiva
simulacri, secondo
occhi o nella mente, ed hanno celere moto e perci producono l'impressione di un tutto unico e continuo ^; per di pi
essi conservano dall'oggetto percepito la costante continuit
delle propriet sensibili, per la loro immediata e simmetrica
contiguit da quell'oggetto a noi, prodotta dall'interna vibrazione degli atomi nel corpo solido donde le immagini si
di certi simulacri, uguali

60

dipartono

^.

quella percezione che riceviamo, della forma o delle

contingenze [dell'oggetto percepito], per mezzo dell'intuizione


mezzo degli organi dei sensi, la forma

intellettiva o per

dell'oggetto solido [da cui

Toi) QOfivov
si

si

partono

simulacri], risultante

xal xov Q&vxoq). Quanto alla dottrina seguente, cio quella dei raggi,

ad Empedocle, (v, A 90, nel mio voi., p. 381 e n. ivi),


Parmenide (A 48) e poi di Archita (v, A 25) simile pure la
Platone e di altri; non v' dunque ragione per credere con il Crnert

noti che era attribuita

certo fu opinione di

dottrina di

che Epicuro

si

riferisca a Senocrate. Tali raggi sono gli effluvi ignei che si di-

si incontrerebbero con gli effluvi degli oggetti veduti.


Credo prudente leggere con i codici x&v xxCvcov invece di xivcov T., come l'Usener, perch tale teoria dei raggi era ben nota.
1 nax x vaQuTTov [lye'&oq: questa distinzione (male interpretata anche dal
GiussANi, V. Ili, p. 285) fa Epicuro, perch i simulacri percepiti dagli occhi sono
pi grossolani, quelli percepiti dall'anima sono invece pi sottili: v. Lucr., IV,
728 sgg. 748: e per ci Epicuro dice poi: negli occhi o nella mente (cio nelanimus) onde a torto altri traducono negli
l'anima: V. l'uso lucreziano mens

partirebbero dall'occhio e

occhi e nella mente. Tale dottrina dell'adattamento del senziente e del sensibile era gi in Empedocle, A 86, 15, che usa anche il termine tecnico Q\ixxeiv,

passato poi agli atomisti e ad Epicuro.


2 V. sopra p. 82, n. 1.
3 I simulacri ci danno un' immagine fedele dell'oggetto percepito
1) perch essi
susseguono immediatamente l'un l'altro simmetricamente (v. 47 extr., e p. 83,
n. 1) in modo che i guasti dell'uno possono essere facilmente riparati dall'affluire
di un altro simulacro (con cufAfAexQov cfr. Epic, tc. cpva., II, in papiro 1010, col. 10,
avinixQcog
di cui non abbiamo ancora un'edizione, nal xalq x&v 8l8a)X,cov cpvoeaiv
xovGaig): 2) perch gli atomi nei simulacri conservano non solo la stessa disposizione che avevano nei corpi da cui si dipartono, ma anche gli stessi moti atomici che ricevevano dagli atomi interni del corpo. Da tale ordine e moto degli
atomi derivano appunto la sensazione del colore e le altre qualit che si percepiscono con la vista: v. Lucr., Il, 760 sgg. Per la o^ji^a-d^eia v. s. p. 83, n. 1.
:

si

EPISTOLA AD ERODOTO

85

dalla compiuta integrit deir idolo o da un residuo di esso ^


L'inganno e Terrore invece sempre in ci che la nostra
opinione aggiunge (*) (a quello che attende) conferma, o nessuna attestazione contraria, ed invece non sia confermato,
(o riceva attestazione contraria)

^.

Glossa] secondo un certo moto psichico, che avviene in noi stessi, conma che da essa si pu distinguere 3, moto psichico che causa dell'inganno [cfr, sotto 51].
(*)

giunto alla percezione intuitiva,

^ yy,axXeiinia xov elkov: Questo passo credo sia


Giussani a torto stima si parli di successione di simulacri,

jtax x ^fig nvnvaiia

stato frainteso.

oppure

di

Anche

il

un simulacro

isolato:

tale interpretazione

elScXoD che non pu significare successione di sim.ulacri


elbdiXov deve significare

residuo, parte di simulacro.

esclusa dal

singolare

per di pi yy.ax(ikeiinia

Ed

il

passo

si

spiega se

pensiamo che le nostre percezioni visive o intellettive possono provenire sia


da un simulacro esattamente conservato, eia da un simulacro guasto e lacero
(come, per la sensazione visiva, il simulacro della torre quadrata vista di lontano
(v. sopra p. 82, n. 4) che ci giunge con gli spigoli consunti e perci ci appare rotonda) e pi specialmente questo avviene nei sogni, quando, ad esempio, sogniamo
un uomo senza capo. Tali fenomeni infatti accadono per un residuo di simulacro
che giunge a noi. Cos pure il simulacro di un centauro composto di due residui
(v. sopra p. 82, n. 5).
Per Epicuro i sensi non c'ingannano mai, perch essi in realt ci testimoniano solo certe combinazioni o moti atomici dell'oggetto percepito: si pu ingannare invece il nostro giudizio che dalla testimonianza dei sensi trae illazioni
che diremo vere o no, secondo che saranno o no confermate dall'esperienza. Per
esempio, quando la torre vista da lontano ci appare rotonda, mentre quadrata,
il senso non c'inganna, perch il simulacro a noi giunto infatti deformato dall'urto contro gli strati d'aria intercedenti fra noi e la torre, ed a noi giunge perci
con spigoli smussati. Abbiamo per torto se ne desumiamo l'illazione che la
torre sia realmente rotonda, senza accertarcene. Su questa dottrina v. sopra Massima capitale, XXIIII sg. Vita di Epicuro, 31 sgg. cfr. Skxt. Emp., Adv. dogm.,

di

simulacri unitisi insieme


2

I,

203 sgg.: Luca., IV, 353 sgg.; 462 sgg.


3 6Ld>.T\|)iv

6 xovaav. Gl'i.iterpreti (qui e nella frase corrispondente del

= opinione,

51)

traducono opinatione praeditam, oppure, come


il Kochalsky: che contiene un elemento subiettivo >*. Ma ci falso, per parecchie
ragioni: 1) perch questa attivit, o moto psichico, appunto essa stessa l'opinamento, e non gi contiene opinamento; 2) perch Epicuro stesso in 58 usa
LdX.iTipis e 5LaX,TiT|)E0T>aL col senso di distinguere; 3) perch nei passi paralleli in
cui enunziata questa stessa teoria {Mass, cap., XXIV, 6iaiQT]oeig: Ep. a Pitocle,
S 88, SLaiQexov), Epicuro parla appunto della distinzione e separazione, che si
pu e deve fare fra il contenuto effettivo della sensazione e l'opinamento che vi
si aggiunge; 4) perch questa avvertenza, che l'opinamento separabile dalla
sensazione, era necessaria, giacch se questa attivit psichica, che Epicuro dice
congiunta alla percezione, non se ne potesse separare, noi non potremmo mai
intendono

6idX,iii|Jiv

EPICURO

86

Ed

51

non

infatti se

vi fossero queste

emanazioni della na-

tura da noi determinata, non sarebbe possibile quella somi-

glianza che hanno le cose reali e che

si

dicono vere, con

una riproduzione

percezioni, che ci recano quasi

le

plastica di

esse S ricevute, sia nei sogni, sia per certe altre intuizioni
dell'intelletto o dei rimanenti criteri. Per di pi non si

52

avrebbe errore se non si producesse in noi stessi anche un


altro speciale moto psichico, congiunto bens (alla percezione
intuitiva), ma che da essa si pu distinguere ^. Per tale moto
psichico (*), se non riceve conferma, ovvero se ha attestazione
contraria, nasce Terrore; se invece riceve conferma o nessuna attestazione contraria si ha il vero ^. E questa dottrina
bisogna tenere bene a mente, perch non sia distrutta la
fede nei criteri della verit che riguardano l'evidenza effet*
si

Glossa] cio

il

moto psichico unito

alla percezione intuitiva,

ma

che da essa

pu distinguere.

sfuggire l'errore. Perci ho tradotto biXr]\^iq con distinzione.

messa

Usener in calce come glossa,

L,^

ntersi fra,ae poi,

evidentemente desunta da ci che segue. Si noti per che nei codici queste parole sono inserite dopo cum jtip-aQxveoulivov (nella mia trad.
non sar confermato) ma siccome esse si riferiscono
a v T( :tQoo5o^a^o|i,vcp (in ci che la nostra opinione aggiunge), ho senz'altro
trasferito il richiamo a quest'ultime parole, per comodit del lettore.
1 Leggo: olovsl v elvcvi Xafi|3avo|xvcov, con i codici. Non hanno compreso il
senso di questa frase l' Usener (che legge olov n), e gl'interpreti che accettarono
senz'altro tale mutamento. Epicuro infatti, secondo ci che ha raccomandato
in 48 (v, sopra p. 83), dice che la veracit dei nostri sensi, anche nei sogni o
nelle altre visioni intellettive, si pu provare osservando che vi corrispondenza
dall'

fra le realt esterne e le nostre percezioni. Infatti, p. es., nei sogni, spesso ab-

biamo percezioni che se confrontiamo poi con le realt corrispondenti ci appariscono come riproduzioni plastiche fedeli degli oggetti percepiti, questo, secondo
Epicuro, solo possibile se si ammette l'esistenza dei simulacri che sono in effetto riproduzioni esatte

degli oggetti. Altrettanto dicasi di quelle percezioni o

rappresentazioni visive che possono aver conferma dal tatto. Che tale debba essere
la lezione e l'interpretazione del testo, credo si dimostri anche col confronto di
passi epicurei: v. p. es. Plut., Quaest. conv., Vili, p. 734 f (=Us., p.

altri

2L 4,

ove delle visioni dei sogni si dice: l/o'^'ca noQcpoei8sIs xcO ciiaxog xps\iay\i.va<; [ioixr\Taq; e Comm. Lucani, VII, 8, p. 221, 1: atomos intuere animis
nostris in imaginibus corporum: cfr. anche Lucb., IV, 749 sgg. Per la dottrina
23 sg.),

cfr.

anche Vita

di Ep., 31 sgg.: Luce., IV, 723 sgg.

V.

V. Vita di Ep.,

s.

n. 2, p. 85.
34.

EPISTOLA AD ERODOTO
tiva dei fenomeni, e perch

non

si

cada nel dubbio e nella

confusione, attribuendosi ugual valore a ci che vero ed

a ci che erroneo ^

IV
L'udito e l'olfatto.

Ed anche

l'udito proviene da un efflusso che si diparte


che emette voce o suono o rumore, o che in qualsiasi
modo d un'impressione uditiva. E tale efflusso si diffonde in
particelle similari ^, che conservano non solo un certo reciproco accordo di qualit sensibili, ma anche una certa particolare unit, che si riconnette a ci che le emette ^, e che

da

ci

Epicuro censura

IV, 507 sgg.


1121 a sgg.

gli

scettici:

cfr.

Massime

capitali,

e le testimonianze di Cic, Acad. prior.,


28,

(ioio|XEQ8l5

1123

7, 19;

XXIV; XXIII;
Plut

Lucr.,

cantra Col.,

25,

b.

ynov^: non molecole,

come intende

il

Giussani

(I,

80)

attribuendo

un concetto moderno. Vedi infatti Akt., IV, 19, 2, ove ad


Y>toi si sostituisce Qavciiaxa (ed ove si deve intendere si parli di atomi per le
forme di essi che si enumerano) e particolarmente Gellio, N. A., V, 15, 8: Domocritus ac deinde Epicurus ex individuis corporibus {= atomi) vocem constare
dicunt: cfr. Lucr., IV, 503, ed Epic, 53, che usa yxoi, trattando dell'odore, ove
Lucr. (IV, 69) usa, principia
ntom (cfr. II, dU primordio). Si tratta dunque di
forme atomiche, tutte eguali, le quali, se levigate, danno sensazione d'un suono
piacevole, se a spigoli acuti d'un suono aspro.
3 Come nella teoria dei simulacri, cosi anche in questa della percezione uditiva, gli efflussi, per recare l'impressione esatta del suono, debbono costituire
una unit ininterrotta (quando ininterrotto il suono) e conservare lo stesso ordine atomico e gli stessi moti, nel tragitto che compiono dall'oggetto sonoro a
noi. Naturalmente per anche qui possono venire delle deformazioni, per la distanza
per ostacoli, cosicch il suono pu essere pi o meno perspicuo. In ci
che segue, a torto l'Usener mut la lezione dei codici, leggendo jtoiovvxag e ;iat)aojtevd"i;ovTag, invece di jroioijaav e na.<^aGY.zvX,ovoav e loprattutto un vero arbitrio
l'avere trasportato in glossa le parole cbg x jtoX,X,d, mutandole poi ancora in t.;
senz'altro ad Epicuro

I due participi giusto siano accordati con vTT]Ta ISixyo.Tov, perch appunto questa continuit doH'efllusso e tale accordo delle qualit sensibili,
che produce in noi la percezione cosciente e ci rivela i caratteri del fenomeno
che percepiamo. Infatti, perche sentendo un suono noi i)ossiamo distinguere che
un canto o un rumore ecc., necessario che il flusso sonoro non si deformi totalmente, ma conservi
caratteri atomici che aveva (luando fu emesso: senza di
ci l'afflusso delle stesse particelle, che avessero perduto la disposizione ed i moli

T OTfia!

EPICURO

88

53

produce in noi, per lo pi, Tappercezione di esso o, se no, almeno ce ne rivela il carattere esterno. Infatti se non si conservasse e continuasse sino a noi questo accordo continuato
di propriet sensibili, tale appercezione non si potrebbe produrre. Non bisogna dunque credere che l'aria stessa si impronti di particolare forma, per causa della voce emessa o
perch non sarebbe in alcun
degli altri suoni congeneri ^,
modo probabile che l'aria possa riceverne tale impronta
ma piuttosto che quando emettiamo la voce, l'urto che cos

in noi avviene, generi tosto siffatto


atte a produrre un determinato
questo moto risulti l'impressione

movimento

effluvio fluido

di particelle
^,

e che da

uditiva.

Similmente bisogna esser persuasi che l'odore, non meno


il suono, non potrebbe recarci alcuna percezione sensibile, se non vi fossero certe particelle emesse dall'oggetto
sensibile, conformate in modo da poter produrre impressione
che

sull'organo senziente, e che, a seconda delle loro propriet,


possono recarvi perturbamento e un'affezione spiacevole,
oppure non nuocergli e produrvi un'impressione piacevole^.

primitivi, non ci potrebbero dare un'Idea adeguata del suono e di ci donde


emesso. Vedi anche ci che Epicuro dice nel principio del 53, onde si prova
esatta la costruzione corrispondente alla lezione manoscritta. Quanto ad &g x
jtoXXd, che parve cosi sibillino, esso n va corretto n posto in glossa; infatti non
sempre percepiamo chiaramente il suono e quale ne sia l'origine, perch talvolta
il suono ci giunge confuso per gli ostacoli che hanno alquanto deformato l'elBusso
sonoro (v. appunto Lucr., IV, 555 sgg.); possiamo per in tal caso distinguere
almeno certi caratteri esterni, cio se sia un suono aspro o no, cupo od acuto ecc.
Per la dottrina epicurea cfr. anche At. cit. sopra n. prec; Lucr., II, 410 sg.
:

IV, 524 sgg.


1 qjcovfis r\ >tal x&v ^oyevcov: ad ovviare interpretazioni sbagliate che si diedero di queste parole, basta confrontare s. 52: xov cpmvovvxoq 'q fixoi3vTos f\
ijjocpoxivTog. Per iioysvi\<; cfr. Mass. cap., XVIII. Si noti che qui si combatte una

teoria analoga a quella censurata sopra sul

fenomeno visivo

(v,

Democr.

128).

lezione di questo passo assai controversa: leggo xoiaij-cTv .y'/.Xiaiv oy-tov


Tivg (cos il codice borbonico, il pi antico di Diogene Laerzio) eiinaTOi; jtveu[laxovq KoxeXeaxiKSv (codd.: xoTeX-TiOTtxfiv Usen), mantenendomi fedele alia
2

La

miglior tradizione manoscritta, da cui si ricava anche il senso migliore. Infatti


la qualit delle particelle gi determinata da noxeXeaxi-Kiv Hx, e non ha bisogno dell'ulteriore determinazione data da xivcv degli altri codici; deve essere

determinata invece la qualit dell'efflusso fluido, perch non tutti gli efflussi fluidi
recano percezione uditiva.
II, 414 sgg. In quest'api3 Per la teoria dell'odorato, v. Lucr., IV, 673 sgg.
:

EPISTOLA AD ERODOTO

89

V
Gli atomi, loro propriet, parti e moti.

Ed anche

atomi non ritengono alcun' altra qualit degli oggetti sensibili, fuorch
forma, peso e grandezza, e tutto ci che naturalmente consi

deve essere persuasi che

gli

genito alla formai Infatti ogni qualit mutevole, mentre


assolutamente immutabili sono gli atomi, poich bisogna pure

che nella dissoluzione dei complessi permanga qualcosa di


onde il mutarsi delle cose non sia annullamento
creazione dal nulla, ma avvenga per trasposisolido e indissolubile,

zione di determinate parti, od anche per loro aggiunta o

detrazione

stola

non

^.

si tratta

necessario perci che appunto queste parti

degli altri sensi, del gusto cio (su cui v. Lucb., IV, 6i5 sgg.,

IV, 230 sgg.), perch essendo questo un compendio, riservato a^li epicurei gi progrediti, facile era per
essi ricavarne la dottrina per analogia o dagli scritti pi ampi di Epicuro (v. 83).
1 Per questa dottrina epicurea
v. s. 42: Lucr., II, 333 sgg.: Ili, 185 sgg.:
I, 358 sgg.
II, 730 sgg. Si badi che alla forma naturalmente congenito l'avere
Il,

398 sgg.) e del tatto (su cui vedi Luca., II, 434 sgg.

parti (v. sotto p. 90, n.

2).

Vedi su questo passo e la dottrina qui esposta il mio studio citato sopra a
p. 77, n. 3. Il testo credo vada costituito in modo diverso da come lo costituisce
l'Usener. Egli infatti mette in calce, come una varia lezione non genuina, le parole v 3ioXA.oX5' xivcv 6 xal jcQooovg xal cpSotJS, che gli editori precedenti e
poi il Giussani e il Tescari, conservano nel testo leggendo |xv noXXiv, xivtv 6
5tal TtQ. M. . Ora certo che le parole v jtoA,A.os (se. vxiyQtfoiq) in molti manoscritti , sono il lemma di una varia Icctio, (a torto perci il Kochalsky, che
mantiene la frase in glossa, le muta in v xjioig), e basta a persuadercene il
confronto con le analoghe espressioni del testo ercolanese papiraceo che reca
altre varie lezioni delle opere epicuree, pubblicato dal Crnkrt in Kolotes und
Menedemus, 1906, p. 116. Perci v noXXolq va senz'altro tolto dal testo. Resta
invece a vedere se la varia lezione che segue corrisponda o no ad una tradizione
2

lemma,

in molti manoscritti), e se perci


questa aggiunta sia qui opportuna
ed anzi richiesta, provato da Lucr., I, 675 sgg. ((/norum abitu atque aditu mutatoque ordine mutant Naturam rcs...). Ed in verit ciiiaro che a mutare lo qualit delle cose, non basta sempre la sola mutazione nell'ordine degli atomi, ma

migliore (certo trovavasi, cone dice

si

debba inserire nel

testo.

Ora che

il

di fatto

anche pu concorrervi l'aggiunta o detrazione di essi (p. e., aggiunta di elementi si ha nelle amalgame e nelle leglie di metalli; detrazione invece nei corpi
che si disseccano e si induriscono e nella formazione del ghiaccio, v. Kp. a Pitocle,
109). Errata poi e la lezione nv nokXv, perch non sempre concorrono i due

54

EPICURO

90

che

traspongono siano

si

indistruttibili

ed abbiano natura

diversa da ci che trasmutabile, pur possedendo anch'esse

55

proprie parti e forme ^ Perch anche questo [loro carattere]


pur necessario che permanga ^. Infatti anche nelle cose

che mutano forma per detrazione di materia, la


percepiamo come insita per essenza in esse; le
qualit invece non le percepiamo insite per essenza nella
cosa che si muta, sin quando questa perdura, ma [invece le
percepiamo] come tali che periscono da tutto il corpo ^.
visibili

forma

la

processi di mutazione e di ag-giunta o detrazione, e sopratntto perch, a seconda


dei casi, pochi possono essere gli elementi che mutano disposizione, e molti quelli

che si aggiungono o detraggono (v. Lucr., I, 680 sgg., 684 sgg.)- Piuttosto mi pare
opportuno leggere %ax jiexa-Q-oeig (tlvcov), tivcv 6 >tal Kx. Tivov cadde per
un caso frequentissimo di aplografla: cfr., infatti, un luogo aifatto parallelo in
Ep. a Pitocle,
1

Che

106 (p. 49, 1 sg. Us.)-

gli atomi,

secondo Epicuro, abbiano parti,

ma

per inscindibili da essi,

ci che si dimostra piii sotto.


2

Leggo con i codici tovto yq Jtal voystaiov vnoiiveiv


come il Kochalsky, ma intendo diversamente; infatti

(eodd.

JtoTi^vaL

Kochalsky, pone
tra parentesi toto yq al vayxaXov, con costruzione implicata, e senso non persuasivo (dass sie als kleine Krperchen und spezielle Formationen zugrunde
liegen bleiben ). Ora a me pare certo che qui Epicuro voglia dire invece che gli
atomi permangono immutabili e indistruttibili, bench abbiano parti e forme
loro, e che necessario che si lasci ad essi la propriet d'aver parti (yoi, vedi
69) e forme specifiche (v. 42). Infatti Platone aveva sostenuto che
54 sgg.
tutto ci che ha parti distruttibile e trasmutabile; e che la materia primordiale
sia assolutamente indeterminata e priva di forma era pure dottrina di Platone
che poi pass ad Aristotele e ad altre scuole: per di pi Democrito considerava
inconciliabile il concetto dell'indivisibilit atomica con la propriet di avere
parti (v. Democr., ap. Diels, II^, p. 5, n. 13). Si aggiunga anche che x iinoXeinH8va, che segue pi sotto, oltrea comprovare l'esattezza di reofivEiv, indica appunto le qualit che permangono all'atomo (cfr. il principio del 54). E del resto
che Epicuro debba dire che gli atomi devono avere parti, risulta anche da ci
che scrive sopra: 54 xal ca | vdYnrig Gxr\[iaxi Gvii(pvf\ axi. Dunque, con le
parole discusse, Epicuro distingue il suo concetto di atomo da quello de]VijXr\
platonica e dagli atomi democritei: towo poi si riferisce a x xeiv yxovs xal
ox'nfiaxtojio'g ISiovs (come indica il valore stesso di ibiovg che nell'interpretazione
del Kochalsky svisato) e non necessario correggerlo in xa^Cxa, come alcuno po-

Usener),

il

trebbe esser tentato di fare: cfr. infatti s. 55 (Usen., p. 12, 15) xoijxou jtQoovxoq.
Si noti che xeivo si riferisce a xw fj,8xa|3d?i^ovxi, che l'ultimo nominato, cfr. 59
(p.

17, 12

Usen.).

di Epicuro ingegnosa ed pi largamente esposta da


quale osserva che se sfiliamo un pezzo di panno purpureo, anche i
pi minuti fili hanno una forma; ma il colore s'attenua sempre pi nei frustuli,
quanto pi sono minuti (Lucr., II, 826 sgg.); donde, egli dice, si ricava, che quando
si giunge agli atomi il colore deve essersi tutto disperso.
3

L'argomentazione

Lucrezio,

il

EPISTOLA AD ERODOTO

91

Queste propriet che rimangono come fondamento, sono dunsufficienti a produrre le differenze dei complessi corporei,

que

poich necessario che qualcosa appunto rimanga come fondamento, e che (nulla) si distrugga nel nulla ^
Non bisogna neppur credere che gli atomi possano avere
qualsiasi grandezza; perch non vi si opponga l'attestazione
dei fenomeni. Qualche differenza di grandezza si deve per
credere che abbiano: poich se avranno anche questa propriet, si potr dar meglio ragione di ci che riguarda le
nostre sensazioni esterne ed interne ^. Che invece essi possano avere qualsiasi grandezza, non solo non necessario
per spiegare le differenti qualit [dei complessi], ma per di
pi gli atomi, in tal caso, dovrebbero divenir visibili, ci che
non si vede avvenire, n si pu comprendere in qual modo
potrebbe aversi un atomo visibile ^.
Oltre a ci non bisogna credere che in un corpo limitato
vi sia un numero illimitato di parti, e neppure parti di qualsivoglia grandezza. Perci non solo si deve escludere la divisione all'infinito in parti sempre minori^, per non togliere
ad ogni cosa la forza di resistenza^ e perch nella concezione dei complessi corporei ^ non siamo costretti a ridurre

Le?rgo: xal (codd.: Usener

ow)

<|XTi6v> elg

jat]

6v

cp'O'eiQeo'dai

v. 8. S8

sg. e note ivi.


2

Cio,

si

possono meglio spiegare

cepite dai sensi nei complessi atomici

atomica

cfr.

Lucr.,

I,

599 sgg.

II,

variazioni per-

le differenti qualit, e le loro


(v. s. p. 77, n. 4).

Sulla teoria della grandezza

480 sgg.; IV, 111 sgg.

Mantengo

"^

Sulla polemica contro la divisibilit all'infinito, vedi

nel testo le parole Qaxr\ xoiioc, che l'Usener pone in glossa.

atomistici citati da

me

nel

commento ad

testi

Emi-., fr. 12: cfr. Lucr.,

I,

empcdoclei e
551 sgg.

Probabilmente queste parole corrispondono all'argomento svolto da Lucrezio


in I, 565 sgg.: ove dice che ammettendo gli atomi indivisibili si pu spiegare come
si abbiano corpi solidi durissimi (che si compongono di atomi fra loro uncinati),
mentre se essi fossero divisibili all'infinito ogni cosa sarebbe priva di ogni solidit. Non va escluso per che si alluda anche all'argomento, che precedo in Lucrezio, sulla impossibilit che le cose possano ricomporsi e crescere in un determinato tempo fsso, se le particelle, nell'infinito tempo trascorso, fossero state
ridotte ad infinita piccolezza dalle forzo disgregatrici.
6 xv xaig :teQLX,ij\peoi twv -Ogcov
a torto il Cohkt, il (iussam, il Thscari ed
altri intendono jieQCA.r]ij^i(; come composizione; vedi infatti l'uso di jieci>.i.T:Tixc^ e
simili in quest'epistola, 40; 42; che indicano l'atto mentale di concepire qualcosa
^

se

92

EPICURO

esistenti, rlducendone progressivamente la


grandezza; ma anche nel passaggio da parte a parte, non si
deve pensare si possa, quando si tratti di grandezze limitate,

al nulla le cose

seguitare air infinito, neppure procedendo a parti sempre mi57

quando alcuno dica che in un tutto limitato vi


un numero infinito di parti, o parti di qualsivoglia grandezza ^, non si pu comprendere come ci avvenga; e del
resto, come potrebbe esser ancora limitata la grandezza del
tutto? Poich chiaro che queste parti infinite debbono pure
avere una grandezza, e qualsivoglia sar questa grandezza,
nori ^ Infatti

dovrebbe risultare di necessit la grandezza del tutto.


un corpo limitato ha un'estremit percepibile, se anche non visibile per se stessa isolata, non si pu
pensare che non sia simile ad essa anche ci che le sussegue
infinita

Inoltre, poich

come un tutto in s o diviso nelle sue parti: per di pi non si comprende come,
componendo un tutto, dobbiamo o possiamo sminuzzarlo. Il Kochalsky, traduce
con concetto, e credo a ragione. Intendo dunque che nel concepire i complessi
come composti di parti, non dobbiamo sminuzzare queste, considerandole come
frazioni infinitamente piccole regressivamente all'infinito. Si noti che x vxa
(le cose che sotto), son propriamente gli atomi, in confronto con i complessi corporei, perch quelli permangono immutabili, questi divengono sempre. Il concetto era democriteo e venne dalla polemica con gli eleatici. Per di pi nota
che la divisibilit all'infinito, pu considerarsi in due sensi, o come reale e
meccanica, o come ideale; Epicuro nega la possibilit dell'una e dell'altra; e
contro la seconda combatte particolarmente in ci che segue, negando la possibilit del passaggio ideale regressivo da parte a parte (fAerpaois irl x 8X,aTTov).
Sul concetto del minimo di divisibilit epicureo,
Usener.
1

jtl

v. le

testimonianze a p. 197,

9 sg.,

L' Usener ed altri non badano che la [lex^aoig pu avvenire in tre modi:

T loov,

curo intende

jtl

x fiel^ov ed

ammesso

jil

x e^axxov, e non solo secondo i due ultimi. Epiuna grandezza limitata non si possano

senz'altro che in

concepire i due primi modi di [lEx^aoiq; procede invece a dimostrare che non
ammissibile nemmeno il terzo. Cosi si spiega il iir\bs che sembr ostico a molti.
Giussani, I, p. 67. A combattere la dotti-ina della diEpicuro era mosso anche dal bisogno di confutare la
tesi eleatica dell'impossibilit del moto, v. Appendice.
2 Leggo con i codici
(TJs. et) JtTiXixoi cuv: giustamente il Giussani (I, p. 66)
restitu in questo punto la lezione manoscritta; ma in ci che precede non credo
accettabile la sua proposta, che non tien conto dell' jicog che in tutti i codici
eccetto che in uno. Sulla dottrina delle parti minime oltre che lo studio del Giussani, vedi anche Pascal, Studi sul poema di Lucrezio, p. 48 sgg., che in alcuni
punti corregge e completa lo studio del Giussani.

V. anche sotto

p. 93, n. 3, e

A'isibilit ideale all'infinito,

r\

EPISTOLA AD ERODOTO

93

immediatamente, e che chi cos proceda ^ sempre

di seguito

Per
deve pensare

in tal processo ideale, possa proseguire sino all'infinito.

di piti,

il

minimo

percepibile con

il

senso,

si

che non sia n tale quaF ci che ammette il successivo


passaggio da parte a parte ^, n assolutamente ed in ogni

modo

diverso da esso:

finit

con

le

ma

invece come avente qualche

cose che ammettono

successivi

af-

passaggi da

parte a parte, non avendo per esso parti distinguibili.

Quando

per, per l'analogia di [tale] somiglianza [con le cose che

am-

mettono i passaggi da parte a parte], crediamo di distinguere in questo minimo sensibile una parte di qua ed un'altra
di l, vuol dire che ci che colpisce il nostro senso un
simile minimo; e noi scorgiamo successivamente questi minimi, incominciando dal primo, e non gi come parti di un
medesimo minimo e neppure come contigui ad altre parti
con le parti loro; ma solamente come unit, che nella loro
natura individua, determinano la diversa misura delle grandezze, maggiori o minori secondo il loro numero ^. Tale analogia bisogna credere si debba applicare anche alla parte
Vedi su questo periodo Giussani, L cit., che ha chiarita la teoria. Il Giusxw oppure oCto), (codd. cOtco o tovto (BF^) ), ma probabilmente anche la lezione to-to possibile, intendi ovx eori tojto (cio qixesto
processo ideale) elg neiQov ujtdQxeiv. Il Kochalsky anche qui abbonda di mutazioni non necessarie e non intende rettamente la teoria. Epicuro dice, come ne
riassume nitidamente la dottrina il Pascal, l. e, p. 50: ciascun corpo visibile
la somma di minimi punti percettibili, i quali, appunto perch sono di grandezza
finita, sono finiti anche di numero; ma questi minimi punti percettibili, non sono,
nel corpo, visibili per se stessi, perch noi, quando guardiamo un corpo, non vediamo tanti minimi punti percettibili messi l'uno accanto all'altro. Questo nel
mondo del sensibile: lo stesso deve accadere dunque nel mondo dell'invisibile; e
cio: l'atomo risulta a sua volta di parti minime, ma non infinite, e queste parti,
nell'atomo, non sussistono separatamente.
- Tale la serie
delle quantit matematiche che procede all'infinito in pi
ed in meno secondo la serie dei numeri interi, o quella delle frazioni, o quella
delle potenze. Si badi infatti che qui non si parla solo della [lex^aaiq jtl xcOXaTTov: credo perci che a torto il Tescari ed altri introducano anche qui ni
xoijXaxxov che nel testo non c', n credo ci voglia (v. s. p. 92, n. 1): nota anche
1

sani propone di leggere ov

il

plurale jieTapdoeig.

' Si deve notare che questa osservazione volta contro coloro


quali, come
Anassagora (fr. 6: 3), credevano che nel massimamente grande e nel massimamente piccolo vi fosse ugual numero di parti, perch, data la divisione all'infinito,
in ambedue vi sarebbe un numero infinito di parti.
i

EPICURO

94
59

minima dell'atomo.

Infatti

essa differisce da quel

evidente che per piccolezza

minimo che possiamo percepire con

comporta analogamente. Ed infatti, secondo


abbiamo dichiarato che l'atomo
ha grandezza, non facendo altro che protrarre lontano un
determinato grado di piccolezza ^ Per di pi le parti minime
ed individue [dell'atomo] bisogna considerarle, con quella spe-

sensi, per si

l'analogia delle cose visibili,

culazione intellettiva che necessaria per

come

le

cose invisibili,

gli estremi termini di estensione, che di per se stessi

offrono l'unit di misura alle estensioni [fra loro rispettivamente] maggiori e minori ^. Infatti la somiglianza che tali
parti minime hanno rispetto a tutto ci che ha natura omoge-

nea e continua [cio agl'indivisibili di qualsiasi natura] sufche s' detto sin ora: non
possibile invece che si abbia un accozzamento di questi mi-

fcente a render possibile quello

nimi atomici, come

si

ha

di

quanto suscettibile

di

moto

'^

come vi un minimo visibile che ha una grandezza finita,


un minimo dell'invisibile che abbia anch'esso una grandezza
finita, ed oltre a cui non si pu procedere nella divisione: questi minimi atomici,
cio le parti minime dell'atomo, sono per assai pi piccoli dei minimi sensibili.
1

Cio

(v.

s.

p. 93)

cos deve esservi

2 Leggo 7tQ(xov (BFGrf) con il Tescari perch jtqctov nella migliore tradizione manoscritta. Nel resto a ragione il Giussani (I, p. 70) ed il Tescari tolgono
la lacuna che l'Usener ha segnata dopo jtaQaOHEud^ovxa, ma a torto levano la vir-

gola dopo (itiHcv, facendo dipendere il participio aQaoxevd^ovxa da vo(xC^eiv,


costruzione di cui il Giussani stesso vede la difficolt. Conservo dunque la virgola
dopo fXTjxv e ne pongo un'altra dopo iKaQaGy.evt,ovxa.
3 Leggo .[iBxd^oXa con i codici; la correzione jAsraPaxa dell'Usener, seguita
critici posteriori, falsa: cfr., infatti, Sest. Emp., adv. mat., I, 118,
ove iiex^o'koc, usato per indicare un tutto unico ed omogeneo (fiovoeirig xal
avv&exog al [iex^oXoq) cfr., sopra 59, l'espressione x fAiy'vi. Si noti poi
che Epicuro non ammette solo minimi indivisibili ed omogenei di grandezza (cio
le partes minimae) ma anche simili minimi di moto e di tem'po (v. Appendice),
il non aver badato a ci fece s che non si interpretasse bene questo periodo. Si
deve intendere dunque che tutti i minimi hanno comune l'indivisibilit, ma i
minimi di estensione non son partecipi di moto. A torto poi a'xols fu riferito dal
Giussani e dal Tescari ad xnoig, che non v' in ci che precede, mentre invece

anche dai

va

riferito

ad

k'kaxicxoic, (le

parti minime degli atomi), di cui

precedenti. Per di pi la frase Inavri x (xxQi

come

l'interpretano

il

Giussani ed

il

xowo

si

parla nelle linee

ovvxeXcai non va interpretata

Tescari: e ci

li

rende

atti alla

creazione

mentre evidente che deve avere


il senso che risulta dalla mia traduzione. Epicuro vuol dire: come una durata
qualsiasi di tempo composta da minime indivisibili unit di tempo, e una estendelle cose sino al punto

a cui

le

vediamo

(!)

EPISTOLA AD ERODOTO

Ed ancora

^:

come

delT infinito, non

si

95

deve affermare

l'alto, o

Testremo
veramente se da qualsiasi punto ove ci troviamo, si proceda alFinfinito sopra il nostro capo, manioppure che
festo che questo limite non lo troveremo mai
la direzione in basso dal punto immaginato sino all'infinito
possa essere, ad un tempo, in alto ed in basso rispetto al medesimo punto: infatti questo inconcepibile. Perci si pu
considerare come una sola la direzione ideale procedente all'infinito in alto, ed una sola quella in basso; anche se per
un numero infinito di volte la direzione sopra il nostro capo
incontrasse i piedi di coloro che stanno sopra di noi, o il capo
il

basso,

o in alto

limite assoluto in basso

se fossero

di

quelli

che stanno sotto di noi quella che

di sotto dei nostri piedi. Infatti

ugualmente

si

estende al

infinita si conce-

pisce la direzione nei due sensi opposti.

sione di movimento qualsiasi di minime unit di moto, cos, come si detto precedentemente, ogni grandezza corporea composta di minime unit di estensione.
E che tale sia il senso voluto, appare anche da ci che segue, in cui si parla del
movimento e, come vedremo, si precisa la differenza fra le parti minime di estensione (cio le parti minime atomiche) e le parti minime di moto. Che le parti minime degli atomi non siano suscettibili di moto risulta da Lucrezio (I, 628 sgg.) come
vide gi il Giussani; (cfr. le acute osservazioni del Pascal, l. cit., p. 53 sg.).
Perci il testo di Epicuro, quale si legge nei manoscritti: cijficpQTioiv 6 >t tovtcov
xiviioiv ^vrcov ovx oiv xe yevo'O'ai, deve essere corrotto, onde il Brieger, seguito
dal Pascal e dal Tescari, legge: jiCvtioiv (ovk) ex. Ma neppure il Brieger contento della sua correzione; perch trova ci vorrebbe cte x. cx .: correggo dunque
Toij<Tcov d)g>Tcv y.. ., che preferibile paleograticamente e conviene con la teoria
esposta; i minimi di estensione differiscono infatti in ci dai minimi di moto, in
quanto i primi non sono suscettibili di moto. Per il costrutto xcivg Jtgg xi, vedi
AnthoL, XI, 141. Non da approvarsi n la lezione M-exaPaxd del Kochalsky, n
l'interpretazione della dottrina che ne consegue.
1
Per comprendere questo passo, bisogna ricordare l'obiezione fatta gi da
Aristotele ai filosofi precedenti {Phys., 205 b 30: cfr. 215 a 8), e poi successivamente
da altri ad Epicuro (v. p, e., Cic, De fin., I, 6, 17; Plut., Ade. Col., 8, p. 1111 b:
Sioic. rep., 44, 1054 b), contro la possibilit di un moto dall'alto in basso nell'infinito, per cui bisognerebbe ammettere nell'infinito un alto e basso assoluto. Epicuro cerca parare l'obiezione, negando s che nell'infinito vi sia un alto e basso
assoluto, ma ammettendo per due designazioni convenzionali per indicare le due
npjtoste direzioni del moto di caduta nell'infinito spazio. Acutamente si occupa
della dottrina esposta in questo passo il Giussani, I, p. 1G8 sgg. Quanto alla lezione del testo, non accetto la lacuna posta dall'Usener dopo xaxqvoQev invece
di yeiv v dei codici, che l'Uscner muta in xelvov, leggo yEiv(\'oovai. b\K)ov, o
:

pongo

fra parentesi le parole elg nvxoi

'mtv.

eo

EPICURO

96

Per di pi:

61

necessario

che

g^li

atomi siano equiveloci,

quando procedano attraverso al vuoto senza cozzare contro


nulla ^: perch il pesante non si muover pi veloce del
piccolo e leg-gero, quando per non trovi ostacolo, n il piccolo
del grande ^, avendo il suo corso sempre in una sola direzione,
quando nulla neppure contro esso s'opponga; n pi veloce
sar il moto in alto n quello laterale per effetto degli urti,
n quello in basso per causa del proprio peso.

Infatti fino

quando perduri Tuna o l'altra specie di questi due moti, il


movimento perdurer veloce come il pensiero, fino a che
qualche intoppo non vi si opponga, o dall'esterno, o dal
proprio peso
62

il

^,

contro l'impulso ricevuto da ci che produsse

rimbalzo. Orbene^ [come gli atomi, quando sono liberi, sono

solo equiveloci

quando

pur

si

sin

che non ricevono intoppi,

trovano nei complessi corporei,

essendo equiveloci,

gli

atomi che

nel muoversi in una sola direzione

si

si

anche

cos]

potr dire che

trovano nei corpi,

e [se in essa

si

muo-

vano] nei minimi tempi successivi [del loro moto]


essi sono
pi o meno veloci, se non [si muovono] in una sola direzione nei tempi veloci come il pensiero, ma rimbalzano continuamente, finch la continuit del moto ^ giunga ad essenso. Infatti l'illazione che

sere percepita dal

Per

si

volesse

le moltiplici questioni sulla lezione del testo, sull'interpretazione di

e sulle teorie esposte, in questo paragrafo ed in tutto

il

successivo

(62), v.

esso
l'Ap-

pendice.
2

<PQa5'UT8Qov> inserito dall' TJsener, va tolto, v. Appendice.

Le parole

poste dall' Usener in glossa, vanno ricollocate nel testo. Leggo:

Appendice.
Questo periodo fu tormentato variamente dai critici con molteplici emendamenti, ed anche l'interpretazione vari da filologo a filologo. Per conto mio credo
si debba e si possa ritornare alla lezione manoscritta, purch si comprenda la dottrina qui esposta da Epicuro. Di ci si tratter ampiamente in Appendice. Giover avvertire quanto al testo, che tolgo (cu) inserito dall'Usener prima di -Q^ttcov,
pongo una virgola prima di looxaxrv, e tolgo quella posta dall'Usener dopo
ovccv, leggo con i codici >tat [espunto dall'Usener] xax xv A,dxiOTov e. %qvov,
e metto una virgola dopo questa parola; pure con i codici leggo: si [Usener fj] jxt)
cp' va, dopo di che restituisco nel testo le parole %a-z xQvoug che l' Usener
espunge come glossa, e colloco una virgola dopo xQvovg.
<H> xov n/.r)|avTog, v.
4

Cio nelle singole traiettorie fra urto e urto; v. s. p. 81.


Cio del moto del complesso, che la risultante delle singole traiettorie, in

diversi sensi, degli atomi.

EPISTOLA AD ERODOTO

97

ricavare intorno all'invisibile [moto atomico], cio che anche


i moti
[atomici] che avvengono veloci come il pensiero dovranno necessariamente compiersi in una sola direzione, non

vera in

siffatti

testato dalla

casi

vista,

^ :

poich vero tanto ci che

come

ci at-

ricaviamo dair intuizione

ci che

mentale.

VI
Dell'anima e della sua natura.

Ed

ora, riferendoci ai sensi esterni

s'avr la pi salda persuasione

^,

ed interni, perch cos

occorre considerare che

l'anima una sostanza corporea composta di


diffusa per tutto l'organismo, affatto simile

sottili particelle,

ad un

toso con alcuna mescolanza di calore e in certo


affine all'uno, in certo

che, in

sottigliezza

modo

dei

all'altro.

fluido ven-

modo

assai

vi poi quella parte

suoi atomi, molto differisce anche

dall'uno e dall'altro, onde pi atta a consentire pur con


il

rimanente organismo.

tutto ci manifesto

Cio, nel caso di complessi atomici che

dagli urti

IV,

muovano con

dalle att-

velocit rallentata

(v. s, 83).

V. 8. 38.

4, 6;

si

IV,

Per la dottrina epicurea sull'anima

3, 11

sgg. Cfr. Giussani,

I, p.

Art,,

183 8gg.; Hkinze, T. Lucr. Carus,

Buch

v. Lucr., Ili, 161 sgg.

Leipzig 1897, p. 34 sgg.


3 Conservo, come il Giussani, la lezione dei codici 'oxi 8 t ngog, arbitrariamente corretta dall'Usener in :il 6 tov p-Qovg Questa parte dell'anima sembra
evidentemente sia quella che Epicuro chiama priva di nome (xaxavnaoxov, vedi
Akt., IV, 3, 11: cfr. Lucr., Ili, 238 sgg.), pi sottile di ogni altra sostanza nota.
Se non che, siccome in Lucrezio e nelle altre testimonianze epicuree sono distinte
quattro parti dell'anima (cio l'elemento igneo, l'elemento ventoso [;7ivetijiaxixv],
l'elemento aereo [eQa)5ei;], ed il quarto privo di nome) si tentarono molte correzioni per introdurre tutti e quattro questi elementi anche in questo passo. Ma
probabilmente, o Epicuro ebbe successivamente su questo punto due diverse dottrine, oppure in questo breve riassunto, con l'espressione jiQooejAqpeQoxaxov
jtveijuaxi &eQfio xiva xQoiv ^xovxt, volle indicare il fluido aeriforme e ventoso
nisto ai calore. Nel dubbio pericoloso toccare il testo manoscritto.
Leggo 5tA,o^ol (codd. 5fiA.ov) con il Gassendi, invece della correzione 5i"iyov
deirUsener, da non approvarsi nej)pur per il senso. Epicuro infatti ha detto sopra
che fonda la sua teoria sull'attestazione dei sensi esterni ed interni. E questi
III,

Epicuro.

63

EPICURO

98

vita deiranima, dai sentimenti interni, dalla facilit di suoi

moti, dalle intellezioni, e da tutto ci di cui privati moriamo.

Bisogna pur ritenere che nell'anima consiste

64

ma non

cipale della sensazione;

la

causa prin-

l'assumerebbe, se essa non

modo, dal rimanente organismo:


avendo conferito all'anima tale causa di sentire ^,
partecipa pur esso, per mezzo suo, di tale contingenza; non

fosse contenuta, in qualche


e questo,

per di tutte quelle che l'anima possiede ^. Perci [il corpo]


la sensibilit, quando l'anima se ne staccata,

non ha pi

perch tale potenza non possedeva di per s in se medesimo,


ma la conferiva a ci che insieme con lui era nato ^, [all'anima, cio] che, alla sua volta, con la potenzialit

65

mezzo

effet-

producendo per s primieramente la contingenza della sensazione, ne faceva partecipe


anche il corpo, per il contatto ed il consentimento, come gi
ho detto. Per tal ragione, finch l'anima resta [nel rimanente
organismo], non perde la facolt di sentire, anche se un'altra
tuatasi in essa per

del moto,

che l'anima corporea, poich consenziente con il corpo e con esso


2) che deve essere composta di atomi sottilissimi, perch rapidissimi sono i moti psichici (ibid.. Ili, 180 sgg.); 3) per di pi che
quando moriamo il corpo pare inalterato, venendone meno solo il calore vitale;
(ibid., 215); 4) che la vita cessa con l'ultimo respiro e col gelo della morte; dunque
l'anima deve comporsi di sottilissime particelle, onde uscendo dal corpo non
ne alteri n il peso n l'aspetto; ed esse debbono essere specialmente di natura
ignea ed aeriforme. 5) Il senso interno ed esterno dimostra anche che essa diffusa per tutto il corpo, perch tutte le parti del corpo sono sensibili, come pure
prova che vi deve essere una parte dell'anima pi sottile di ogni sostanza conoattestano:
si

l)

ammala

(Luce., Ili, 463 sgg.);

il pensiero pi veloce di ogni altra cosa esistente (ibid., 239 sg.).


In quanto l'anima pu solo essere senziente, se contenuta nel corpo organico,
fuori di esso invece si dissipa nell'ambiente esterno e perde la possibilit di muo-

sciuta, perch
1

versi con moti sensiferi.

La sensazione ha luogo per partecipazione del corpo, per mezzo dei suoi
organi; infatti Epicuro sostiene la dottrina della sensazione in loco: v. Lucr., Ili,
359 sgg. Ma i fenomeni intellettivi e affettivi sono di pura pertinenza dell'anima
e di quel nucleo che nel petto; v. infra p. 100, cfr. At., IV, 4, 6.
'^

Brieger la lezione dei codici xsQft) (xQco codd.) fifia "vYYSYsvnil corpo d all'anima le condizioni necessarie al sentire, cio la possibilit di non disperdersi e di vibrare nei moti suoi proprii; in
questi moti poi si produce nell'anima il fenomeno sensitivo, di cui l'anima fa partecipe il corpo per mezzo del contatto e della simpatia o consentimento di queste
3

ixvcp

Tengo con
(

vo)

il

codd.). Infatti

due parti dell'intero organismo.


oscurandosi la dottrina epicurea.

Non

essendosi badato a ci

si

corresse

il

testo,

EPISTOLA AD ERODOTO
parte

[di esso]

perisca con

il

se

99

ne stacca: anzi qualsiasi parte deiranima

corpo, sciogliendosi, tutto o in parte, ci che

deiranima che perdura] possa rimantiene la facolt di sentire. Invece il


rimanente organismo, anche se permane in tutto o in parte,
perde la facolt di sentire, quando se ne stacchi quel numero qualsiasi di atomi che necessario ^ a costituire la natura dell'anima. Ed ancora, se l'organismo si dissolve tutto
in modo assoluto ^, si dissipa l'anima e non mantiene pi
le medesime facolt, n pi si muove*; e perci non pos-

la contiene

maner

*,

se [la parte

[nel corpo]

xov OT8Y(i^ovToq Xv&vxoq

el'O''

Xov

el

han data molta difficolt ai critici (v. p.


che interpretarono x OTeY<4^ov oXov come

xe al fiQovg xivg.

es.

Giussani,

I,

p. 214;

Queste parole
Heinze, p. 38),

corpo umano; ed in verit,


senso di questo passo sarebbe

l'intero

se cos dovesse interpretarsi x axEy.'t,ov kov,

il

assai strano; perch, secondo Epicuro, quando l'intero corpo

umano

si scioglie,

l'anima perisce, non potendo pi esservi contenuta: v. infatti l'ultimo periodo


di questo , ove detto in modo esplicito: xal \iv xal 5iaXvonvov (cos F.
B Svofivov: cett. e Usener Xvofxvou) xov bkov '^goCofiaros f) ipvx'H 5iaojteiQ8xai...
N varrebbe sottilizzare, come lo Heinze, dicendo che nel passo discusso si considera un caso che Epicuro stesso riteneva impossibile; perch allora sarebbe
assai strano che Epicuro ne facesse parola, esponendosi ad una contradizione almeno apparente. E neppur giova'arzigogolare, con il Giussani, sulla differenza fra
Xvd'vxog e 5La^\)0[ivov, perch nel primo passo X,v#vT05 richiesto, dovendosi
riferire sia ad dXov sia a jAQouq xivg, n il verbo composto s'attagliava ad ambedue, mentre poi la differenza tra i due verbi diviene quasi impercettibile quando
n Xv-vxoq si aggiunga 6Xov. Vero invece che a torto si intese x SA.ov oxevd^ov
come equivalente all'intero corpo umano (in questo senso Epicuro qui usa
x ft'O'QOLafxa ed il plurale x oxevd^ovxa): infatti ogni difficolt ovviata se, come
ho fatto, si intende x oxey^ov ( t7 contenente) come quell'involucro cor:

poreo che

contiene la

parte dell'anima che perisce con

lui.

per vero,

mentre quando tutto il corpo si scioglie l'anima perisce, pu invece una parte
dell'anima permanere quando si dissolva in tutto o in parte qualche singolo
organo del corpo che pure uno oxeYd^ov per la parte d'anima contenutavi. E naturalmente un organo pu essere solo ferito e lacero, od essere troncato interaincancrenirsi e dissolversi per il male (cio A.u'd^f|vai, in tutto o in parte,
mente
come detto nel passo discasso) senza che ne consegua la morte dell'uomo.
Costruisco T xcv xfiov

ouvxelvov

vedi
per anche possibile intendere
ouvxeXvov nel significato concreto, cio ci che mantiene unita l'anima [nella
2

infatti l'uso di ouvxeiveiv 80 e

jtX.f|#oq

mia nota a

79.

elg xi^v X7]q ilivxfig q^voiv:

sua natura specifica]. Per costruire come il Giussani ed il Tescari, credo dovrebbe esservi x O'uvxetvov x xcov xficov Ji^fj-O^oi;.
3 Seguo con il Giussani la lezione del codice laurenziano (F) 6iaXvo|xvov.
Ilo tradotto secondo la lezione dei codici, ma non la credo esatta; infatti
l'anima pur escita dal corpo xivelxai, perch in perpetuo moto sono sempre gli atomi
(V. 43). Piuttosto deve osservarsi che
moti degli atomi che la costituiscono non

EPICURO

100
66

siede pi la facolt di sentire.

Non

infatti possibile con-

non m questo complesso


organico, ne che possegga questi medesimi moti [sensitivi],
quando ci che lo contiene e racchiude, non sia pi quale
cepire senziente quest'organo

^,

se

quello in cui ora trovandosi [Fanima] questi moti possiede.

Oltre a ci

67

poreo

si

(*),

bisogna badare bene che la parola incor-

applica, secondo l'accezione generale, a ci che

si

possa pensare [esistente] di per se stesso ^. Orbene noi non


possiamo pensare di per se stesso [esistente] nulla di incor-

non suscettibile di
il vuoto; per il vuoto
n di passivit alcuna, ma solamente d modo ai
muoversi attraverso se stesso ^. Perci, quelli che

poreo, se non
attivit

corpi di

(*) Scolio] Questo dice pure Epicuro altrove, ed aggiunge clie l'anima consiste
atomi assai levigati e rotondi, notevolmente differenti per da quelli del fuoco*.
Ed aggiunge che una parte di essa non partecipe di ragione, e questa diffusa per tutto il rimanente organismo; la parte razionale invece nel petto, come
appare dai sentimenti di timore e di gioia. Il sonno prodotto da quelle particelle
dell'anima che son diffuse per tutto l'organismo, che si riuniscono, o si dissipano
e poi si abbattono l'una sull'altra per gli urti^ Dice pure che il seme genitale

di

proviene da tutte

le parti

dell'organismo.

accenna ripetutamente in seguito con l'espressione


ovuxi /ei xg
si debba correggere cos il testo
mvqaeiq, (invece di codd. xiveirai) cio non conserva pi le

saranno pi sensiferi; a ci

si

xat HLvfioeig xaijxai. Perci credo

avxq vv\ieiq

o\b

stesse facolt, n [gli stessi] moti.


1 Seguo, con il Giussani, la lezione dei codici avr (se. x ipu/iMv (xQOs) alo'd^av|xevov: simili passaggi al neutro, concordato con

un soggetto logico sottinteso,

dal genere del soggetto grammaticale sono anche in Lucrezio.


2 Leggo oxi T ocji-aTov ^yeTai (codd., ^^yei yQ) xax xtiv JtXeiaxr\v \iiXiav
xov vjxaxog xx., introducendo nel testo le parole che l'Usener pone in glossa.
infatti si richiami al significato fondamentale e usuale della parola
conforme all'uso suo ed alla sua dottrina, vedi sotto 70; cfr. 37, e
n. ivi. Perci, se si volesse proprio credere corretto Xyet yq e ritenere che le
parole ^yet YQ '^'^^i siano una glossa, credo si debba leggere oxi x oojAaxov
(^ye-taL) nl xov xx. Egli, secondo l'uso corrente, precisa il senso della parola incorporeo, in conformit di ci che dice dopo, 69, che cio non si possono con-

Che Epicuro
affatto

siderare come entit incorporee


non esistono per s.
3

V. LucR.,

gli accidenti

della sostanza e del vuoto,

quali

I, 435 sgg.
questo un indizio che Epicuro, nel luogo a cui si riferisce lo scoliasta,
polemizzava contro Democrito, il quale faceva consistere l'anima solo di atomi

ignei.

pi ampiamente Luce., IV, 907 sgg.

Sul fenomeno del sonno

Cfr. LucR., IV, 1042; At., V,

v.

3,

5.

EPISTOLA AD ERODOTO

101

ranima incorporea, non sanno che si dicano,


perch se fosse incorporea, come affermano, non potrebbe
essere n attiva n passiva; mentre chiaro che l'anima la
concepisci fornita di queste contingenze ^
Se alcuno dunque tutte le dottrine che abbiamo esposte
intorno all'anima, le riferir ai sensi esterni ed interni, riafifrmano che

cordandosi di ci che abbiamo detto in principio, potr adeguatamente considerarle, abbracciandole nelle loro linee generali, e cos da esse giunger senza errori alla conoscenza
precisa dei particolari.

VII
Di ci che esiste per s e delle sue contingenze.

Ed

ancora: le forme, i colori, le dimensioni, i pesi, e tutto


che attributo dei corpi, (in quanto siano propriet
sempre concomitanti ^ di tutti i corpi, o dei visibili e conoci

V. LucR., Ili, 161 8gg.

PaCvei)

cum

;7ieQl

Leggo

5iaXofipdvei<5> (codd. 5iaXop,pvew

Us.

csv[l-

avxriv x avii.Jix(b\xaza: v. infatti Lucr., Ili, 168 praeterea pariter fungi

corpore...

animum

cernisi ed infra 09 (ove si dice che dei singoli accidenti

73, aviinxmyia jreQl xavra vvoovvxeg: cfr. anche


Sext. Emp., Math. X, 220 jteQlxolg xa'0''a\jx uqjeoxcoi O^ecoQelxai... x av\i^'x\^ev.xa.

^bbiamo particolari

SiaXfirpeig)

Secondo Epicuro oltre alla materia ed il vuoto nulla esiste per se; negando
non sia il vuoto, e perci ogni entit spirituale.
Tutto ci che noi possiamo pensare o conosciamo oltre la materia ed il vuoto
non se non contingenza o accidente della materia e del vuoto. Su ci non c'
dubbio: piuttosto poich Lucrezio, I, 445 sgg., usa due vocaboli coniuncta, per
2

egli ogni natura incorporea che

indicare le contingenze necessarie ed inscindibili, e eventa, per indicare quelle


contingenze che non sono n necessarie n inscindibili; e poich qui in Epicuro
appariscono le due parole ov[i^r\^e-nxa e ou^ijixcnaxa, si volle vedere anche tale
differenza designata con due diversi vocaboli. Questo per non vero, come osservarono gi il MiJNRO, Comm. on Lucr. ad. l., e il Pascaf,, l. cit., p. 16 sgg. Se per
Epicuro non usa due termini tecnici distinti, determina tuttavia chiaramente la
differenza fra i due concetti, nel considerare prima ( 68) le qualit inscindibili
e poi ( 70) le qualit non inscindibili. Questo non parrebbe evidente dal testo di
Epicuro, quale fu costituito, e per ci gli si fece accusa di ambiguit, ma a torto,
perch la distinzione fu obliterata dalla lezione corrotta dei codici: g v elg avx
PePr)xxa, che credo debba correggersi in w; v del oun(3e|3Tixxa, invece che semplicemente (oavel ovfip secondo la congettura, da tutti accettata, del Galesio:
vedi infatti 69, cpvotv iiov: S 70, ovx iiov jtaQaxoXovOel 71, iiov ovfi.(ie(3r|xxwv: Skxt. Emi'., X, 1321 sgg. Pi sotto poi a torto, non essendosi bene compresa
,

EPICURO

102

per mezzo della sensazione di queste qualit) non si


infatti questo
deve credere siano cose esistenti per s
assoluto inesimodo
in
siano
che
neppure
e
inconcepibile
stenti: n si debbono considerare come altri incorporei che
scibili

69

appartengano ad esso corporeo, e neppure come parti di esso


ma bisogna considerarli invece come tali che dal loro com;

plesso

corpo, nella sua interezza, possiede la propria nanon gi per che sia costituito dalla loro unione

il

tura eterna,

come
parti

per esempio quando si costituisce dalle sue proprie


un complesso maggiore, siano esse le prime unit di

grandezza ^, o quelle grandezze che sono frazioni del tutto


ma tale solamente che, come dico, dall' insieme di tutte queste
[qualit concomitanti] riceve la propria natura eterna. Ed esse
hanno proprie intuizioni'^ e distinte percezioni, sempre per
in connessione con il tutto e giammai separate da esso anzi
solamente sono predicabili secondo T intera nozione del corpo.
;

70

Ma i corpi hanno spesso propriet contingenti e non


perpetuamente ad essi concomitanti, le quali ^ certo non
la lezione manoscritta: nax xr[v aicdrioiv avrcv
Usener: o|xaTog yvwGx). Atixv si deve ritenere e va riferito ai ODixpePrxxa, ed giusto clie Epicuro dica che tutto quello che visibile e
sensibile conosciuto da noi per mezzo della sensazione delle qualit inscindibili, infatti noi non conosciamo la materia, se non per le sue propriet inscindibili, peso, durezza, forma..... Fatta astrazione delle propriet della materia,
non ne possiamo avere alcun concetto. E ci dice appunto Epicuro, presso Sext.
Emp., Adv. dogm., IV {Maih., X) 240; 245; V, 226, che cio il concetto del corpo
la teoria, si

mut variamente

(P2) yvcoCToIg (p. es.

la sintesi delle sue propriet, grandezza, forma, impenetrabilit, peso: vedi


anche sotto 70 wv veu G>\ia ov vvaxv vosXo^ai, e 71 extr. Si noti poi che per

Epicuro, i corpi o sono visibili, o sensibili ma non visibili (p. es. vento, caldo,
freddo, suono v. le test, raccolte dell'Usener, p. 222, 7 sgg.; Lucr., I, 300 sgg., ecc.),
oppure ne visibili n sensibili, come gli atomi {r]Xa).
1 Si deve leggere \iBye'>v con i codici: cfr. 58 extr.
59; cfr. Arist., Phys.,
le parti minime^
T, 3, p. 187 a, Top,a iizy'&r\. Le prime unit di grandezza sono
;

V. s. p. 94.

Per esempio,

Per

l'

indivisibilit che propriet inscindibile dal concetto di atomo.

le percezioni sensibili v.
3

s.

p. 101, n. 2.

Tolgo la lacuna dell'Usener e leggo jtaQaHoXouS-eX, & y'ovx':

codici

hanno

xaQaKoXovf^elv (reaQa>to>.ou^eX B) ed il N lievissima correzione per AU, tanto


Tali
pi dato il legamento frequente delle due lettere nella scrittura dei papiri.
propriet, non inscindibili, dei corpi sono, p. e., moto, quiete, (v. Sext. Emp., X, 222)
condizioni fisiche o morali transitorie (Lucr,, I, 445 sgg.; Epic, Mass. cap., XXXIII
8lv>at
e n. ivi). Subito dopo leggo v xoXs oQdxoig (al vaiodfixoig olaaxov
oxe: cfr.

68 extr.

EPISTOLA AD ERODOTO

dovran porre

si

fra

gF invisibili ed

103

comune, dichiariamo che


la

le

n saranno

(insensibili),

incorporee. Cosicch, appunto usando tal

nome secondo

l'uso

contingenze, non solo non hanno

natura del tutto che noi chiamiamo corpo considerandolo

ma

nella sua integrit sostanziale;

neppure hanno

delle propriet inseparabili dal corpo, senza di cui

non

si

pu pensare

^.

E secondo

natura

la

un corpo

determinate intuizioni,

ma

in

pu dichiararsi ciascuna di queste


propriet, sempre che per si veda effettivamente presentarsi
ciascuna di esse ^, giacch le contingenze non sono eternamente concomitanti. E non bisogna abolire da ci che esiste
realmente tale evidenza, che cio esse non posseggono la natura del tutto (*) di cui sono propriet concomitanti, e neppure
connessione con

la

il

tutto,

natura particolare di ci che propriet inscindibile del


che d'altra parte non si debbono considerare per s

tutto, e

infatti

esistenti

neppur questo

si

pu pensare n

di queste

contingenze, n delle propriet eternamente concomitanti.

Ma, come

manifesto,

tingenze concernenti

bisogna considerarle tutte quali con-

corpi

non

inscindibili

porsi fra le cose esistenti per se stesse;

(*)

ma

da

son

essi,

n da
che

siffatte*

Glossa] che appunto diciamo anche corpo.

V.

n. p. 101, n. 2.

s.

Tolgo

la lacuna posta dall' Uscner e leggo coi codici XX' dxe (Us. Stco, tanto
pi arbitrai-iamente, in quanto prima pone una lacuna) bf\noTe: a torto si mut
2

variamente questo luogo. Basta infatti comprendere la dottrina. Epicuro dice:


anche prima che vediamo un corpo possiamo gi predicarne qualit da esso
inscindibili, cio che esso debba avere un peso qualsiasi, una qualsiasi forma e
grandezza. Ma se si tratta di qualit non inscindibili, bisogna accertarsi che realmente si presentino, perch un corpo pu essere in quiete o in moto, un uomo
pu essere ricco o povero, senza che l'essere corpo o uomo includa la necessaria
presenza di queste singole propriet.
^ Leggo avii7tx(h\iaxa 3idv(Ta >ca)T x otfiara; cfr. Skxt. Emp., X, 224; Aiir.,
Ili, 6: e qui sotto 73.

Se una correzione fosse necessaria leggerei X.X,'<tov) 6v tqjiov xx per l'atcfr. Thuc, vii, G7; Xkn., Dee, 3, 5: Madvig, Syiitaxe de la langue gyecqut\
p. 121, 2: ma forse l'anacoluto deve conservarsi: un simile anacoluto probabilmente in Luca., Ili, 84, ove, se si mantiene la lezione dei codici, v' un egnal
paesaggio dalla costruzione con l'infinito a quella con il verbo finito. Per la d(t*

trazione

trina v.

s.

68 e n. ivi.

EPICURO

104
ci

appariscono sotto specie di propriet individuali determi-

nate dalla sensazione.


Si

72

deve pure

rifletter

bene che

il

tempo non bisogna conun sog-

siderarlo quale le rimanenti cose che consideriamo in


getto, riferendoci alle prenozioni

ma

Invece

secondo

che troviamo in noi stessi^;

quella evidenza che risulta dalle nostre

stesse espressioni, quando diciamo molto tempo >, o poco


bisogna per analogia determinarne la natura, tetempo
nendo presenti i caratteri specifici determinati da questi
modi di dire. E non si debbono adottare altre denominazioni
come pi convenienti, ma dobbiamo servirci per designarlo
delle espressioni comuni. E neppure si deve predicare qualco-

tempo, come avente la stessa natura essenziale di


- (perch ancor questo si usa fare
da alcuni) basta invece considerare che cosa sia ci a cui annettiamo tale particolare propriet e con cui ne determiniamo
la misura. Ed infatti non abbiamo bisogno di speciale dichias'altro del

questa particolare propriet


;

73

razione,

ma

ai giorni

ed

sufficiente riflettere che siamo usi a connetterlo


alle notti

^,

ed

alle parti loro, e

similmente

alle

1 Cio, il tempo non una propriet d un soggetto esistente per s, che troviam congiunta di necessit o per accidente alla, prenozione (ossia al concetto) che
abbiamo di questo, come p. es., al concetto di corpo congiunta necessariamente la propriet del peso e per accidente quella d'essere in moto o in quiete. Infatti, come si osserva subito dopo, quando io dico tempo lungo, tempo breve, nel
mio pensiero non si presenta alcun' idea d'un tale soggetto a cui sia da riferirsi una
particolare qualit. Piuttosto il tempo una propriet accidentale di propriet
accidentali; e per vero il tempo si determina per mezzo di propriet fisiche transitorie come il moto o la quiete d'un corpo, che possono essere pi o meno duraturi,
o per mezzo di stati d'animo che possono essi pure durare pi o meno: cfr. Sext.

Emp., Hypoth.,

Ili, 137;

Adv. dogm., IV, 219; At.,

I, 22,

papiro ercolanese 1413 pubblicato dal Crnert, Kolotes

5; Lucr.,

und Men.,

I,

459 sgg.

p. 104: v.

il

anche

Skxt, Emp., Adv. dogm., X, 181 sgg.: 219 sgg. Nel fine di questo periodo mcp-

Q0VT8S va riferito a xw xQvco, e non ad un xots jcQaYM-coiv sottinteso,

come

fa

il

Tescari.
2

Sulle diverse definizioni del tempo, tentate dai filosofi greci, contro cui com-

batte Epicuro, V. particolarmente Sext. Emp.,

loc. cit.,

X, 169 sgg.

torto alcuni

intendono ibiania
modo di dire; v. infatti l5iov nella linea di sotto.
^ Si noti che (come spiega Sesto Empirico, l. e, 224, esponendo la dottrina
epicurea del tempo) i giorni e le notti sono condizioni accidentali dell'ambiente
esterno, cio condizioni di oscurit o di luce determinate dal sole nel nostro ambiente esterno (l'aria); perci anche in questo senso il tempo qualit accidentale di qualit accidentali,

come abbiamo

detto sopra, v. n.

1.

EPISTOLA AD ERODOTO

105

in quanto si consideri la presenza od assenza di affezioni intime


ed al moto ed alla
quiete; e che in quanto nominiamo la parola tempo lo ri-

nostre condizioni psichiche

pensiamo

come una

speciale contingenza riguardante queste

[qualit accidentali]

(*).

Vili
MONDI.

Oltre a ci che

nano dair infinito

detto, bisogna ritenere che

si

mondi

origi-

si

ed ogni complesso atomico limitato congenere alle cose che assiduamente vediamo, e
che tutti se ne sceverarono originandosi da propri agglomeramenti, maggiori o minori, e che di nuovo tutti si dissolvono, quale pi rapidamente, quale pi lentamente, per diverse cause (**). Ed ancora si deve esser persuasi, che non
solo non necessario che i mondi abbiano un'unica for-

(*)

nel

Scolio] Questo dice anche nel secondo libro dell'opera Della natura e

Grande compendio.
(**) Scolio] Afferma dunque senza dubbio che

i mondi sono anche distruttibili,


perch le loro parti sono soggette a mutazione ^ Altrove dice che la terra sostenuta dall'aria.

Con l'Arndt

il

Kochalsky, conservo

(Us. :tdvTa). Infatti

il

tempo

sensibile o di

una propriet

di

propriet accidentali, e la parola

chiama a
2

J*er la

luoghi
^

ci. Sulle

xavxa nkiv

la lezione dei codici jibq

una prenozione, un concetto, non di un soggetto


esso (v. 72), ma di una propriet accidentale di

prenozioni ed

tempo,
i

ogni volta che la pronunziamo, ci riv. s. 37 e luoghi citati ivi.


s. 15 ed Kp. a Pitocle, 8'.) sgg., e 1

vocaboli

dottrina epicurea dei mondi v.

ivi citati.

V. Luca., V, 235 sgg. Le parti del mondo, sono

Epicuro sono complessi atomici

come

quattro elementi, che per

tali dissolvibili.

Per ci che

bito dopo, della terra sorretta dall'aria, v. Luca., V, 534 sgg.: e


fpOoecos {V. fli, II, cfr.

Gomi'EKZ, Zeilschr.

f.

d. sterr.

Gymn,,

si

dice su1.

XI, n.

1867, p. 207

sgg.).

fr.

del

74

EPICURO

106

ma ^.. (*). Non sarebbe infatti neppur possibile dimostrare


che In un determinato mondo possano anche non esser contenuti siffatti semi, da cui risultano gli animali e le piante
e tutte le altre cose a noi note, ed in un altro d'altra natura questo non sia possibile (**).

IX
Svolgimento della civilt

75

formazione del linguaggio.

deve ancora ammettere che anche

natura dalle cirad esse^


perfezione
a
ridusse
raziocinio
il
poi
fu costretta; in seguito
ci che era indicato dalla natura ^ e vi aggiunse nuove
scoperte, in certe circostanze prima, in altre pi tardi ed in
Si

la

costanze stesse molte cose e diversissime apprese e

tempi (maggiori mezzi trov per liberarci dai


timori che ci sovrastano dall'infinito che ci circonda) in
altri invece minori ^. Perci neppure l'origine del linguaggio

certi periodi e

Scolio] Nel libro deeimosecondo dell'opera Della natura, dice pure che

(*)

essi sono differenti fra loro, ed alcuni sferici, altri ovoidali, altri d'altre forme;
per non possono avere qualsiasi forma; e dice pure che non sono esseri animati

sceveratisi dall'infinito.
(**)

Glossa]

cos pure esservi nudriti e crescervi.

Lo

stesso dicasi anche

rispetto alla terra.

1 Per le diverse forme


di mondi v. Ep. a Pitocle, 1. e. Giustamente l'Usener
vide che a queste parole segue una lacuna, prodotta dall'intrusione dello scolio. Nelle parole perdute, come si vede da ci che segue, Epicuro si opponeva
a coloro che come Democrito (A 40) ammettevano esservi mondi privi di vegetali

ed animati:

cfr.

anche Lucr.,

II,

1067 sgg.

Sull'origine e lo sviluppo della civilt e del linguaggio v. Us., p. 225 sg. ;


Lucr., V, 925 sgg.: V. H.^, VII, 26, col. 37, 38; Diogene di Enoanda, fr. IX sgg.
2

William: cfr. il mio Empedocle, p. 623 sgg.; Giussani, I, 267 sgg.


3 Questo passo sin ora ha travagliato invano i critici e gli editori. I codici
leggono: xal v fiv xiol 3teQL5oig stai xQvoig n xcv jt xov neiQOV v 6
TLOi Max' [giustamente corretto dall' Usener in xat] Xxxovg. L'Usener vide con
ragione che prima di v 6 xioi deve supporsi una lacuna: di ci non pu dubitarsi.

Per egli volle spingere la sua ingegnosit troppo

oltre,

ed impensierito

EPISTOLA AD ERODOTO
deriv da convenzione \
a seconda delle singole

ricevendo speciali

ma

uomini stessi naturalmente,


provando proprie affezioni e
percezioni, emettevano l'aria in diverso
gli

stirpi,

modo conformata per l'impulso

delle singole affezioni e per-

anche contribuiva quella diver-

cezioni, ed a tal differenza


sit delle stirpi eh'

107

prodotta dai varii luoghi abitati da esse.

Pi tardi poi, di comune accordo, le singole genti determinarono per convenzione le espressioni proprie, per potersi
fare intendere con minore ambiguit e pi concisamente.
E quando alcuno che n'era esperto introduceva la nozione di
cose non note, dava loro determinati nomi, o secondo l'istinto
naturale che li faceva pronunziare ^, oppure a ragion veduta,
scegliendoli secondo il fondamento pi comune di esprimersi
in tal

modo

^.

le espunse come glossa, correggendole per


procedimento tanto pi arbitrario (usato dall' Usener anche altrove: v. p. 50; 103; Ep. a PUocIe, 92; 105); in quanto egli stesso
non sa spiegarsi a che cosa possa riferirsi tale glossa, che costretto ad immaginare come un frammento di uno scolio pi ampio. Ed strano che l'arbitrariet del testo costituito dall' Usener non siasi rilevata, per quanto io sappia, sin
ora. Ad ogni modo, che tali parole debbano essere conservate nel testo, credo
parr evidente a tutti, e si vedr anche quale senso dovessero avere, quando si
confronti con questo periodo la Massima capitale XIII, ove appunto si parla dei
timori i quali ci sovrastano da ci che si trova v xw neiQw, timori onde la scienza
deve liberarci. La strettissima affinit dei due passi evidente, perch anche nel
nostro luogo dell'epistola ad Erodoto si tratta dei ritrovati dell'intelletto umano,
fra i quali senza dubbio di massima importanza sono i mezzi di liberarci dai timori
e pericoli che minacciano l'uomo dall'infinito che lo circonda. Il testo di Epicuro
dunque devesi costituire ed integrare presso a poco cosi: jt xcv ;n; xov jiei-

delle parole jt xtov

n xov nelQov,

di pi in jtoTonfiv jt toj djtetQov;

Q0u<cp|3a)v ixei^ovg TiaQaay.ev'C.eaiyai Xvaeig) (v. x. 5. XII) v 6s tiol xal XatTOv^.

Naturalmente non debbono turbarci


bastanza frequente
1

(v.

Kuiinkr^,

due

jt susseguentisi

perch tale uso ab-

Contro la dottrina professata particolarmente da Eraclito, Democrito ed Ari-

stotele: cfr. Dioo." DI En'oanda, X,


-

449 A).

Leggo con

Kax

il

3,

9 sgg.

Giussani xivg cfdyyov^., xovg

(m-v) vayv.aO'&vxag.

come crede
rUsener. Epicuro intende che coloro i quali imposero nome alle cose che ancora
non ne avevano uno, quando lo scelsero non abbandonandosi all'istinto, che
offre espressioni onomatopeiche, lo scelsero secondo l'analogia, componendo la
parola in modo. che essa esprimesse il carattere della cosa. Le parole composte,
di cui i greci hanno gran copia, sono di tal natura; lo stesso dicasi per ogni
altra lingua. Chi, p. es., disse per primo attaccapanni, scelse il nome secondo
il fondamento o la causa pi generale che si pu avere di esprimersi in tal modo.
Intendo poi le ultime parole in modo diverso dagli altri critici e dal Giussani,
3

xrjv nXEaxr\v alxiav oOxcog Q(iT|VEDoaL

alxia non corrotto,

76

EPICURO

108

X
Dei fenomeni celesti.

77

Senza dubbio poi i moti celesti e le rivoluzioni e l'eclissarsi


ed il sorgere e tramontare degli astri, e tutti i simili fenomeni, non si deve credere siano prodotti per apposito ministerio di alcuno che dia loro o debba dare regola e misura,
e pur tuttavia possegga l'assoluta beatitudine e l'immortalit.
Infatti occupazioni e cure ed ire e benevolenze, non s'accordano con lo stato di perfetta beatitudine; ma vengono da
debolezza e timore e necessit d'assistenza da parte dei vicini ^
Neppure poi si deve credere che pur essendo
tali corpi celesti un po' di conglobato fuoco ^, godano vita
beata ed, a voler loro, assumano deliberatamente tali moti.
Occorre invece conservare intero il significato augusto in tutte
le parole che si riferiscono a tali concetti, affinch le opinioni
nostre non risultino ad esso discordi ^. Altrimenti questa

facendo reggere da alxCa

l'

infinito Q^TivejcJai

(= xov

Q|XTiveoai)

vedi per tale

Kuhner-Gerth, IP, p. 12, n. 10. Che si debba


risulta anche dal parallelismo con vayv.aa'&vxa:;

costrutto con aiTiog, alrCa e simili

supporre tale costrutto anche qui,


vacpcovfioai che precede.
1 Per la polemica epicurea contro la credenza che la divinit agisca nel mondo
e nei suoi fenomeni, v. Massima capitale, l, XIII; Ep. a Pitocle, 115; Epistola a
Meneceo, 123 sgg. Lucr., I, 146 sgg.; V, 78 sgg., ecc.
2 Ritengo con l'Arndt la lezione manoscritta jtiQ afia vxa avveaxQainivov.
3 La lezione di questo periodo assai dubbia: certo non da accettarsi l;i
;

correzione cpsQjxevov (Usen.), invece di cpeQ|XEva (codd. e vulg.) che ritengo con
il Tescari e con il Kochalsky: nel resto seguo la lezione dell' TJsener. Il senso

mi pare ad ogni modo debba essere questo: quando ad alcun essere


divino od immortale o beato, gli

si

applichino

dovrebbero conservare con piena


coerenza tali caratteri, cio non ammettere nessun altro attributo che disconvenga al loro augusto significato. Perci gli di potranno essere considerati come
immortali e beati, solo se si sia persuasi che sono esenti da crucci ed occupazioni
a cagion degli uomini, e tali secondo Epicuro sono e debbono essere. Mentre invece
se agli astri attribuiamo l'epiteto e il concetto di divinit, beatitudine ecc., vediamo subito che non possiamo conservare loro coerentemente tale attributo, perch, come s' detto poco sopra, disdice alla loro natura, cio agli altri predicati
che ad essi siamo costretti ad applicare. Se a ci non badiamo, dagli epiteti stessi
gli attributi

si

EPISTOLA AD ERODOTO

109

animi nostri il maggior


perturbamento. Bisogna dunque ritenere che, per il modo
onde questi agglomeramenti si trovarono compresi sin da
Stessa discordanza produrr negli

principio neir origine

mondo,

del

costitu

si

tale

regolare

successione dei loro moti ^

si

deve pure ritenere che

ufficio della

scienza della na-

tura darci preciso conto della causa dei fenomeni pi impor-

che in questo risiede la felicit (*), e nel conoscere


natura dei corpi che contempliamo nei cieli 2, ed in tutte
le conoscenze congeneri rispetto al raggiungimento della perfetta scienza che renda la vita felice ^. Si badi anche che
tanti, e
la

in siffatte dottrine

non

applicabile

il

metodo

possibilit e delle diverse possibili spiegazioni

come

ritenere

delle varie

ma

si

non comporta nulla che possa essere motivo

struttibili

deve

certo che la natura degli esseri beati e indi-

timo dissidio o perturbamento.


(*)

^,

Glossa] nella conoscenza delle cose

di in-

che questo sia assolutamente


celesti.

conducono ad incoerenza e superstizione.


% 123. Si noti che Epicuro fonda
il suo concetto degli di sulla prenozione che ne abbiamo; e sappiamo che per
Epicuro i vocaboli esprimono le nostre prenozioni (v. s. p. 73, n. 1). Egli dunque ci
richiama spesso ai nomi pi comuni con cui sono universalmente dssignati gli di,
nascono false associazioni di idee che

Quanto agli

ci

di in particolare, v. Ep. a

Menec,

gli immortali (ol -Q-avaToi) i beati (et jidjtaQeg), e ci avverte che il nostro
concetto degli di deve corrispondere alle prenozioni corrispondenti a questi vo-

come

caboli (cfr.

Massima

capitale, I).

sgg.; 113; Luca., V, 156 sgg.

V. Ep. a Pitocle,

Per Epicuro hanno solo valore assoluto quelle dottrine che intendono allo

scopo pratico

90

di assicurare la tranquillit dello spirito, cio la felicit (v. Ep. a Pi-

ivi). Fra tali dottrine sono certamente quelle che riguarche determinano la natura dei fenomeni celesti. Queste dottrine, come dice Epicuro subito dopo, debbono essere dogmatiche e non ammettono
pluralit di spiegazioni (v. infra p. 110 sg.) Invece le dottrine che riguardano le
cause precse dei fenomeni celesti ed il preciso accertamento del come si producano, non sono indispensabili per la felicit (per essa infatti basta sapere che non
dipendono da azione divina), e sono possibili su questi punti diverse spiegazioni,
purch in accordo coi fenomeni.
^ Leggo con i codici xal 6oa avyyeyf\ (Usener ovvxeUei) jiQg tt]v elg tov-co -

tocle, 85 sgg., e

dano

XQtpeiav

(v.

infra 79, p. 29, 8 Us.

cfr.

Ep. a Menec.

122, jidQcoQog jtQg t... v'{\..\o\

copula con Soog, cfr. s. 83 extr.


anche la frase precedente, elg tovto va riferito a x jiaxdQiov, v. 79; 80.
* Ritengo con il Tescari v6exo|Ava)s dei codici (Usener vSexnevov).

Kp. a Pitocle,
cfr.

mie note

gli di, e quelle

116,

ixoyevfi): per l'ellissi della

ts

110

79

EPICURO

vero ce ne persuade la ragione. Quanto invece concerne l'indagine del tramontare, del sorgere, del rotare, e dell'eclissarsi

degli

astri e di

tutti

fenomeni a questi congeneri,

non contribuisce per nulla alla felicit [che lo scopo] della


scienza *, ma anche coloro che queste cose hanno conosciute,
ignorando per quale sia la natura di questi corpi e quali
siano le cause supreme, sono soggetti ai medesimi timori come
^. E fors' anche pi
quando la meraviglia che da tale
particolare conoscenza deriva non ottenga adeguata soluzione
n possa comprendere Tordine delle leggi supreme [dell'uni-

se

non

si

fossero occupati di tale indagine

grandi sono

loro timori,

verso] Perci se ritroveremo di fatto che vi sono molteplici


.

cause delle rivoluzioni degli astri e del loro sorgere e tramontare ed eclissarsi e dei fenomeni simili, come avremo
veduto accadere anche nei casi singoli da noi considerati ^,
80

non bisogner credere che intorno a questo argomento non

si

raggiunta quella compiuta conoscenza, che necessaria

sia

per

la nostra tranquillit e felicit

*.

vato in quanti modi un simile fatto

Onde dopo avere

osser-

produca nei fenomeni


terrestri ^, bisogna procedere per analogia nel determinar le
cause dei fenomeni celesti e di tutti quelli che non cadono
sotto i sensi, spregiando coloro che ignorano tanto ci che
ha un sol modo di esistenza e di origine, quanto la possibilit di varii modi di origine di quei fenomeni che non pos-

Leggo con

Tfjg yvcoecos in

si

i codici jtQg x \iay.Qiov Tfjs yvcascoi;: a torto l'Usener, mutando


xq yvcsiq, oblitera uno degli usi stilistici pi cari ad Epicuro:

yvasog genitivo soggettivo. Per tale uso del neutro v. luoghi

cit. nell'AppenSentenza vaticana^ 27.


2 V, Ep. a Pitocle, 113: 93. Epicuro in questo periodo ed in quello che segue combatte particolarmente gli astrologi e quei filosofi che credono alla necessit dell'intervento divino nel mondo, per spiegare la meravigliosa armonia dei
fenomeni celesti: cfr. Lucr., II, 167 sgg.
3 Per la dottrina v. n. 5.

Tf]s

dice.

Cfr., infra 80,

V.

Ep. a Pitocle,

Ep. a Pitocle,

85:

fr.

60; 105, e

87.

Secondo Epicuro bisogna, nell'indagine delle cause dei fenomeni celesti, procedere dall'analogia dei fenomeni terrestri, e quando si veda che un simile fenomeno terrestre pu avere pi cause, concludere che anche il fenomeno celeste pu
averne parecchie, e determinarle secondo tale analogia: v. p. e., Ep. a Pitocle,
5

95: 103.

EPISTOLA AD ERODOTO

siamo vedere da vicino

^,

111

che per di pi non sanno quali

siano le condizioni necessarie alla tranquillit dello spirito.

Se dunque crediamo che un siffatto fenomeno possa prodursi e comportarsi 2 probabilmente anche presso a poco
quando si tratti di fenomeni
in questo determinato modo
la cui conoscenza sia indifferente per il raggiung-imento della

rendendoci per ben conto che pu

tranquillit dello spirito

prodursi in modi differenti, vivremo ugualmente tranquilli,

come

se

realmente sapessimo che avviene

presso a poco

in questa determinata maniera.

Oltre a tutto ci bisogna che ognuno sia ben persuaso che


supremo perturbamento sorge negli animi degli uomini,
primieramente ove si creda che tali nature siano beate ed
immortali, e che pur abbiano volont ed opere e cause che
contradicano a questi attributi loro in secondo luogo quando
si stia sempre in sospettoso timore di qualche eterna sventura,
per la fede prestata alle favole della mitologia, ed anche per
la paura di quella stessa insensibilit che nella morte, come
fosse per noi un male ^ e finalmente anche perch in questi
argomenti [gli uomini] non si fondano su proprie persuasioni, ma sono soggetti ad uno stato irragionevole di spirito.
il

Leggo T

jtA.EOvaxcs ov(A|3aLvov (rel xcav) xy\v (ttjv

jtoOTTindTcov cpavxaoCav jtagaiSvxcov (codd.

codd. ttiv
:

x'

Us.) ex xiv

jtaQiSvxcov Us.). Infatti 8wlle diverse

deve dare un'unica spiegazione o che comportano


109. Quanto alle cause dei fenomeni celesti, si
noti che l'impossibilit di determinarne una sola deriva dal non poterne avere
noi una conoscenza precisa, per la distanza che ci separa da essi: v. F^p. a Pitocle,
88 ext(.: 94. Per la mia correzione del testo, v. s. 78 x nXsoyaxCoq v xouxois:

categorie di fenomeni di cui

diverse spiegazioni

Ep. a Pilocle^

si

v. s. n, 2, p.

86 ojteq (se.

codici hanno:

x p,ovaxw5 ex^v)
xal cJC

jil

xtv ixexEcQcov ovx

vzzq'/js.^-

ve/^evov ux y^veo^hat nal


cp'oloig jAoicog [|ioico; otlv G IIJ xaQaxxrjCai. L'Usener espunge il secondo xat,
ma credo a torto; che il testo debba essere ^ivzo'^ai xal (txeiv', credo risulti dal
confronto con il periodo precedente: x fiovaxwg xov f| ytvnevov, ed Ep. a Pi2

fi.v

oxiv olcnstha

Jico;

8tj
jtA,eovaxTiv exei xal xf)? yEvacaq alxiav xal xiig ovaiaq. Naturalmente
non importa che nell'ultima frase si abbia solo ytvExai; perch anche poco sopra
a jiXEOvaxwg xov fi yi-vhevov, segue semplicemente x jtXEovaxw^ ov|x|3alvov.
i2 Cfr. PoLYSTR. Ei'ic. 31. Xyov Kaxaq)Qov>'ioecos col. Ili, G sgg. Wilke:
e sopra

locle,

77.
'

Si allude

al

timore delle pone eterne dell'Ade, e della vita d'oltre tomba,

come pure a quello


8;)4

della stessa insensibilit dopo la morte: v. Lucr., Ili, 976 sgg.,

sgg., 1071 sgg.; Ep. a

Menec,

124

Sgg.; Massi,ne capitali,

II,

XI, XIII,

XX.

si

112

EPICURO

cosicch,

non rendendosi ben conto

di quali sono i limiti dei


sono esposti a perturbamenti uguali od anche
pi terribili di quelli di chi in questi argomenti segua a caso
vane opinioni ^. Non v' invece tranquillit di spirito, se non
nell'essere sgombri da tutti questi errori e nel ricordarci assiduamente delle dottrine generali e fondamentali.
Perci occorre badar sempre all'attestazione immediata dei

mali temibili

82

^,

sensi interni e delle sensazioni generali o individuali, a se-

conda dei casi rispettivamente generali o individuali ^, e dobbiamo pure attenerci sempre all'evidenza immediata rispetto
a ciascuno dei criteri. Infatti se cos ci comporteremo, nell'indagine dei fenomeni celesti o di ogni altro che cotidianamente
ci si presenti, ritroveremo esattamente la causa da cui il turbamento ed il timore deriva ed il modo di liberarci da tutte
quelle inquietudini che

massimamente

atterriscono gli altri.

Eccoti dunque, o Erodoto, riassunte per


83

le dottrine sulla natura.

E chiunque

sommi

principi!,

trarr profitto da questa

esposizione ricordandola esattamente, credo ne ricaver sicurezza incomparabile, in confronto con gli altri uomini, anche
se

non proceder ad uno studio pi minuto ed

le dottrine

esatto di tutte

render infatti chiaro di per se


stesso molte particolari dottrine da me minutamente svolte
particolari. Si

mali temibili sono determinati, secondo Epicuro, dal retto intenche basta alla natura umana e dei limiti del dolore stesso (v. Massime capitali, III, IV, XVIII), dalla persuasione che gli di non si occupano delle
cose umane e che la morte non nulla per noi, che non ci sono riserbate dopo
la morte eterne pene {Mass. cap., I, II, XI, XIII), e che d'altra parte non pu essa
diminuire la nostra felicit (ibid., XX, XL).
2 Epicuro deride i cosi detti spiriti forti, che mentre credono di poter fare a
1

I limiti dei

dimento

di ci

meno

della filosofia, cadono poi facilmente in perturbamenti d'animo pari o superiori a quelli del volgo: vedi Lucrezio, III, 41 sgg.l: Polystrat. Epic, op. cit.,
col. II, 6 sg.

Intendi che

si deve badare all'accordo delle sensazioni che sono comuni a


uomini, quando si tratti di casi di esperienza comune (v. s. n. a 39,
si debba giudicare su cose in cui la nostra sensazione individuale pu
p. 75),
ingannarci per lo stato patologico del nostro organismo, mentre invece si deve
3

tutti gli

badare alla nostra sensazione individuale, quando si tratta di casi in cui possiamo
essere giudici noi soli. Vedi per una simile distinzione. Massima capitale XXXVI.
Per le norme di giudizio espresse in questo periodo v. 37 sgg., e note ivi.

EPISTOLA AD ERODOTO

113

mia

teoria, e questi stessi precetti, se li avr bene


saranno di continuo aiuto. Perch essi son di
tal natura che anche coloro i quali sulle particolari dottrine
hanno sufficiente o compiuta conoscenza, riferendosi a queste
nozioni potranno compiere le pi importanti indagini intorno
all'intera natura. Quelli poi che non possono del tutto con-

nell'intera

a mente,

gli

siderarsi fra i perfettamente edotti della mia dottrina, possono


da questi precetti, per quanto concesso senza insegnamento
orale ^ compire mentalmente l'esame complessivo delle dottrine pi importanti per il conseguimento di una vita serena.

Questo luogo ha travagliato molto i critici seuza proftto. Leggi: goti r] f|


f|
Usener ly,avr]v) xax tv vev cfyyov XQJtov, Tr]v (iyia vof[\iaii
jiBQtoSov Tcv xvQLCOTdxcov TiQq y^^TV-Ofiv jtotoiJvTai. La corruzione avvenne per
il consueto errore del iotacismo, donde le lettere
2IAI vennero poi lette SIN.
Per l'omissione della copula, cfr. la frase precedente; cfr. anche 80 init.
1

(codd. elOLv

Epicuro.

EPISTOLA A PITOCLE
INTRODUZIONE
Argomento della lettera. Qual metodo debba seguirsi
NELLO studio DEI FENOMENI CELESTI.

Epicuro a Pitocle, salute


Cleone mi consegn una tua lettera, in cui non solo

mostravi

il

di-

84

tuo assiduo afletto verso di noi, degno della sol-

lecitudine che per te abbiamo,

ma

anche opportunamente

memoria quei ragionamenti che


In essa poi mi pregavi d'inviarti un

cercavi di richiamarti alla

son guida a vita felice.


breve scritto intorno ai fenomeni

celesti, che ne riassumesse


onde potessi facilmente tenerlo a memoria. Osservavi infatti che quanto ne esposi altrove difficile a ricordarsi, sebbene tu, come dici, abbia assiduamente alle mani
le dottrine,

scritti ^
Questa tua domanda volentieri abbiamo accolta e con
buona speranza. Perci, recati a termine tutti gli altri miei
scritti, voglio ora soddisfare al tuo desiderio, pensando che

tali

quest'esposizione sar utile a molti altri ancora, e particolar-

Lepgo paoT^eig con

credo necessarie

il

Casaubono (codd.

^acczl^eiv

Usen. PaoTct^ovxi).

le correzioni assai pi ardite del Criinert e del

KochaUky.

Non

85

EPICURO

116

da poco han preso gusto alla sincera dotod a cui resti troppo poco tempo libero
dalle occupazioni della vita comune. Accoglila dunque di buon
animo, e tenendola a memoria, esaminala in ogni suo punto,
con intenta cura, non meno delle altre dottrine contenute
nel Piccolo compendio ad Erodoto^ che gi ti inviai ^
Anzitutto bisogna esser persuasi che dalla ^ conoscenza
dei fenomeni celesti, in qualsiasi modo se ne tratti, o unitamente ad altre dottrine o separatamente, non pu derivare

mente a

quelli che

trina sulla natura,

altro scopo se
86

non

la tranquillit e la sicurezza dell'anima, ci

che del resto pure lo scopo d'ogni altra ricerca ^. Bisogna


ritenere pure che non devesi cercare di raggiungere, ad
ogni costo, conoscenze irraggiungibili e (senza risultati pratici)^, e che [su questi argomenti] non si deve seguire la

Pare

si

alluda all'epistola ad Erodoto tradotta sopra. Per nella Vita di Epi-

si cita come appartenente al Piccompendio un passo che nell'epistola ad Erodoto non v'.
2 jfon prudente correggere it in elitg, come fa il Kochalsky, per ovviare
airelissi del verbo finito da cui sia retto l'infinito vouC^elv: vedi infatti tale uso
pi volte in quest'epistola (cfr. n. a 87; 92; 101; 106; ili), similmente nelle Sentenze vaticane (v. Sent., 48: cfr. anche Philod., jteQl xax., X, 12, 30; 13, 8, 30 ecc.).
Va sottinteso Set o vvaxv o vbxexai, a seconda dei casi. Il non avere osservato
tale uso produsse molte arbitrarie atetesi e mutazioni in questi passi.
Il carattere principale della filosofia greca dopo Aristotele, la preminenza
che viene assumendo il problema morale sopra ogni altro, e l'essere ad esso subordinati tutti gli altri. Questo anche pi manifesto in Epicuro, che definisce
la filosofia come l'attivit intesa alla conquista della vita felice (v. Sext. Emp.,
Adv. math., XI, 169), e che dichiara vacuo ogni ragionamento filosofico che non sia
rivolto alla salute dell'anima: v. fr. 60, cfr. Plut., Adv. Col., 19, 1117; cfr. Sent.
che segue v. s. Ep. ad Erod., 78 sgg.
vat., 54. Per ci
4 I codici hanno [i-qxe x Tjvaxov al (BH^ Q, nai om. cett.) oiaQoPidteo'd'ai. Il
Crnert propone di espungere il xai: mi par meglio legger al (fijtQaHTov). Per
comprendere bene quello che segue, si noti che l'uomo, secondo Epicuro, deve
rendersi conto dei fenomeni e delle loro cause, per non essere soggetto a superstizioni ed avere fiducia che le cose sono realmente quali appariscono alla nostra
esperienza, onde possa debellare il dubbio scettico (v. s. 96, p. 127: Mass. cap.,
XXIII sgg.). Perci egli ritiene che debbano avere una soluzione unica tutti quei
problemi che non possono avere che una sola soluzione in accordo con i dati dell'esperienza, siano essi problemi morali o fisici. Rispetto alle cause dei fenomeni
celesti il metodo deve essere differente. Siccome essi non possono essere esaminati da noi con suflScente esattezza, e poich si pu concepire che veramente, nei
diversi casi, varie possano esserne le cause, basta determinarne le eause possibili, purch esse siano in accordo con l'esperienza dei fenomeni terrestri analoghi

curo, % 135 (se la lezione corretta, v. n. ivi)


colo

'^

EPISTOLA A PITOCLE

117

medesima via dMnda^ine che si seg^ue nelle dottrine morali,


od in quelle che si propongono la soluzione degli altri problemi fisici, come ad esempio questi: che l'universo consiste
dei corpi e della natura intattile [cio, del vuoto] * ', oppure,
che gli elementi di cui si compongono le cose sono indivisibili [atomi] ^', e tutte le questioni simili insomma^ che
ammettono una sola soluzione in accordo con i fenomeni.
Eispetto ai fenomeni celesti, questo non possibile: per essi
infatti si danno molteplici modi d'origine ed, in accordo con
l'attestazione dei sensi, si possono recare diverse spiegazioni
del loro modo di essere. L'indagine sulla natura non si deve
infatti compiere secondo vani enunciati e legife razioni, ma secondo i dati offerti dai fenomeni stessi. Poich la vita nostra
non ha bisogno ormai di irragionevolezza o di vuote congetture, ma di tranquillit e di fiducia. E senza dubbio si
ottiene l'assoluta tranquillit spirituale su tutti * quei problemi che si risolvono secondo il metodo delle spiegazioni
molteplici, in accordo con i fenomeni, quando rispetto ad
essi si mantengano, secondo giusto, quelle spiegazioni che
'

'

ad essi

(v. sotto p. 118, 3). Ci sar sufficente ad impedire che si attribuiscano ad


intervento divino (vedendosi che possono spiegarsi con cause materiali e meccaniche) e si eviteranno cos inutili discussioni sulla verit assoluta di una sola
spiegazione, mentre molte sono possibili e forse egualmente si avverano nei di-

versi casi particolari; tanto pi che, dice Epicuro,

non abbiamo modo

di accer-

avverino realmente o no.


1 Vedi l'enunziazone di questo principio, e la dimostrazione relativa, in Epistola ad Erodoto, 39 sg.
tare quali di esse

2
^

Vedi s. Ep. nd Erod., 40 sg.


Leggo T Toiara <6>ri (codd.

i]), invece di espungere fi


il A cadde per la
precedente. Cfr. Puilod., Voli. Rhett., Suppl., p. 47, 10 Sud.
lezione dei codici : jidvTa |xv ovv Y^'vexai oetOTcog xax jtdvToov xax

somiglianza con
*

si

La

jiXeovaxv tqjtov xxa'd^aiQonvcov

Gv\i:f<)V(oq xoic,

sola aggiunta di un (xwv) dopo JtdvTcov.

jtX. xq.,

delle

lezione che non

spiegazioni molteplici,

meno
come

(paivonvoig, che correggo colla

L'Usener invece legge xal

Jtdvxcov ho-

errata d quella dei codici; infatti

da

il

metodo

che precede e dai passi citati


sopra delV Epistola ad Erodoto, non ammesso conio legittimo da Epicuro per
tutti i problemi scientifici e filosofici, ma solo per quelli che trattano delle cause
risulta

ci

dei fenomeni celesti, sempre che per non vi si opponga l'esperienza. Quanto a
xax Jtdvxcov, si sarebbe tentati di correggerlo in xjtl rcdvxcov, ma pu conservarsi, perch qui xaxd con il genitivo viene ad avere i senso fondamentale di
topra. Per il concetto qui esposto v. anche Epist. ad Er., 79 extr., 80 in.

s?

EPICURO

118

son probabili. Se invece se ne accetta qualcuna, e se ne riche sia egualmente in accordo con i
fenomeni, chiaro che si esce dai giusti limiti della scienza

getta qualche altra,

della natura e si cade nel mito. Bisogna poi recare come


mezzi d'induzione persuasivi* dei fenomeni che avvengono
nel cielo, determinati fenomeni che accadono nell'ordine delle
cose di cui abbiamo prossima esperienza, le quali noi possiamo
vedere nella loro essenza reale, e non come vediamo i feno-

meni celesti ^. Questi infatti possono prodursi in vario modo.


Naturalmente poi bisogna scrutare la percezione che ne abbiamo, e rispetto a tutto ci che ad essa concomitante,
bisogna determinare esattamente quello che, pur senza urtare
contro la testimonianza dei fenomeni di cui abbiamo diretta
esperienza, possa prodursi in varii

Leggo

La vera

modi

^.

hanno 6 ti o 6 riva).
lezione di questo passo credo sia stata ristabilita dal Crnert,

5 jti<'5'a>v (le due famiglie di codici

Rh. Mus. , G, 130 che, seguendo gl'indizi dati dal codice laurenziano (F),
legge ovx &g x {ovxa>g F) v xoXs (AETetQoig cpaivfieva. Per la dottrina, v. s. pagina 111, n. 1.
3 Conservo la lezione dei codici jil x avvanxiieva xo'Oxq), intendendo 3tl
quod attinet ad (cfr. p. es. Demostene, 44, 59). A torto si intese 8iaiQexov ^rl x

ovvajtx|xeva dividere in quello che concomitante

, che qui sarebbe senza


neppure necessaria la correzione dell'Usener exi invece di ni. L'intero periodo fu compreso male Per ben comprendere e tradurre bisogna togliere
la virgola avanti d, ed intender la dottrina relativa a questo punto. Ed anzitutto,
quanto a x ouvarexonsva, bisogna confrontare questo passo con Ep. ad Erod,,
50 sgg., e Mass. cap., XXIV. Si vedr allora che Epicuro distingue il contenuto
effettivo della sensazione, che sempre vero, da quell'opinamento che vi si
accompagna, ma pu distinguersi da essa: opinamento che ha bisogno di ricevere
attestazione favorevole che lo provi vero, o almeno nessuna attestazione contraria.
Cos, anche per i fenomeni celesti, bisogna distinguere il contenuto effettivo della
sensazione dai diversi opinamenti che vi aggiungiamo, i quali possono o esser tali
che uno solo di essi sia vero e gli altri falsi, oppure ugualmente possibili tutti.
Per esempio, rispetto alla dottrina del mondo, che esposta subito dopo, la sensazione mi attesta che il mondo una porzione di spazio celeste che contiene
terra ed astri. Si aggiunge l'opinamento che questo mondo debba avere un limite
estremo che lo contenga, e questo opinamento vero, anche se non possiamo
vedere questo limite estremo, perch, se non vi fosse, tali corpi non vi potrebbero essere contenuti e difesi dagli urti esterni (v. s. p V22, 2), n potrebbero
formare un unico tutto con proprio periodo di origine, sviluppo e decadenza. Cosi
pure vero, in modo assoluto, che i mondi sono infiniti, come si dimostra in epistola ad Erod., 45. Gli altri opinamenti, sulla forma di questo limite estremo
(rotondo, o triangolare od ovoidale), sono possibili, perch non vi contradice

senso.

Ma

EPISTOLA A PIT0CLE3

119

Mondi

Cosa sia un mondo


qual forma abbia, dove e come si costituisca.

Un mondo

una determinata porzione

circoscritta d cielo

*,

cose sensibili, che ha netta


sua parte estrema pu essere
in moto rotatorio o in quiete, ed avere perimetro o ritondo

contenente astri e terra e tutte


separazione dall'infinito

le

e la

(*),

(*) Aggiunta] e termina in un limite poroso o


durr la runa di tutto ci che contiene 2.

l'analogia dei fenomeni di cui

fitto,

abbiamo esperienza,

ma

e la cui dissoluzione pro-

non abbiam modo

di ac-

fitto. Si badi poi


questo limite pu anche essere poroso
che queste diverse possibilit possono avverarsi nei diversi mondi, che sono

certarne nessuno.

che un mondo non si pu formare in uno


perch vi mancherebbe la materia necessaria.
Ed ancora certo che non basta (v. 90) vi sia un nucleo di atomi e si formi un
vortice, perch si generi un mondo; ma bisogna che si avverino le circostanze che
Epicuro ha osservate (v. s. n. 2, p. 121). Quest'opinamento dunque non confermato dai fenomeni di cui abbiamo esperienza. Finalmente certo che il mondo
non un essere cosciente divino, come crede Platone, per le ragioni esposte dall'epicureo Velleio in Cic, De nat. Deor., I, cap. 10.
1 IIeqloxti xiq oQO.'vov
3TOTO|xriv %ovaa jt xov jtetgov: le parole jioxo|XTiv Kx, sono una reminiscenza di Leucippo (v. Diog. Lakrt., IX, 31; Diki.s,
Fr. d. Vors,, 11^, p. i; cfr. p. 7): sulla teoria epicurea dei mondi v. Ep. ad Er.,
cfr. At., I, 4,
73 sg., e le testimonianze raccolte dall' Usener a p. 211 sgg.
p. 289 Diels (se pure quest'ultima testimonianza conforme alla dottrina epicurea, V. s. n. 1, p. 122): Luca., V, 416 sgg. ed il comm. del Giussani ivi: Pascal,
Sludi sul poema di Lucrezio, 1903, p. 1(52 sgg.
2 Giustamente l' Usener pone in calce queste parole, come aggiunta posteriore; infatti esse sono evidentemente interpolate, come appare dalla costruzione
del periodo nel testo greco. Per non so con qual diritto ritenga la prima parte
(sino a poroso
fitto) come un'aggiunta alle parole jtoTojitiv xx, ed il riinfiniti (v.

Appendice). Invece

spazio assolutamente vuoto

certo

(v. 89),

manente consideri come frammento di una delini/ione (di Epicuro stesso) sul
mondo, trascritta dal glossatore come additamcnto alle prime linee di questo paragrafo, e lo ponga poi senz'altro tra
frammenti di Epicuro (p. 213, 3 sg.)- Questo
procedimento mi pare estremamente ardito. Ci la cui dissoluzione produce la ruina
di quanto in esso contenuto, sono
moenia mundi di Lucrezio (v. Lucr., I, 1102
i

Sgg.;

II,

1144 sgg.), cio precisamente quel limite di cui

si

parla nella prima parte

delle parole poste in calce. Perci quanto al senso ed SilVou<jetlo


le

due parti

di

di

cui trattano

quest'aggiunta sono intimamente connesse. possibile per che

120

EPICURO

o triangolare o di qualsiasi

forma ^ Molteplici infatti sono


poich non v' a ci attestazione contraria, da nessuno dei fenomeni del nostro mondo,
di cui non si pu conoscere confine estremo. E che poi siffatti mondi siano infiniti di numero, si pu determinare con
r intelletto; come pure si pu determinare che un simile
mondo pu prodursi o in un mondo o in un intermundio ^
(cos chiamiamo T intervallo fra mondi); in uno spazio in cui
sia molto vuoto, ma non per in un grande spazio assolutamente privo di materia e vuoto, come vogliono alcuni ^ E si
le possibilit rispetto

89

a questo

formalmente l'aggiunta marginale consista di due parti distinte, sempre per rientrambe ai moenia mundi, perch il xat ha tutta l'aria di un rappezzo,
quantunque poco sia da richiedere per correzione stilistica da una glossa marginale, messa gi in fretta nel corso di una lettura; ma, anche se si ammetta che
siano due parti distinte, possono essere benissimo due aggiunte successive dello
stesso glossatore, che, confrontando l'opera maggiore di Epicuro, o ricordandola,
volle recare sui moenia mundi determinazioni omesse in quest'epistola. N vi
ragione di ritenere citazione diretta di un testo epicureo la seconda parte pi
della prima. Ci che ad ogni modo importa provare che ambedue corrispondono
alla dottrina di Epicuro. Che vi corrisponda la prima ci attestato dal confronto
con il passo di Lucrezio citato sopra; quanto alla seconda credo si possa provare
epicurea col confronto di un testo di Epicuro stesso: v. Epic, jt. cpva., 1. XI, p. 1,
ferentisi

Voli. Herc. coli, pr., voi. II, p. 33

vTTixa

[jc8]Qi^Tiq)'d'e(,T

6i ttiv [t]ov Jteei[]x[o]vTog

jiu[m]-

QaLTTi[T]a &Gx'.nohibva.\....

cfr.

Sul moto
la quiete del limite estremo dei mondi, v. infra 92 sg., p. 125:
LucR., V, 510, 517. Quanto alla sua forma, si noti che oltre alla teoria della

sua

sfericit,

p. 6, 39),
V.

Plut.,

che era la pi comune (v. per Leucippo e Democrito, Diels, 1. e,


il pitagoreo Petrone aveva ammessi mondi di forma triangolare,
def. orac, 22, p. 422 B. Che il mondo avesse forma ovoidale era opi-

anche

De

nione orfica e forse anche empedoclea (v. il mio Empedocle, p. 342 sg.). Quali siano
le ragioni per cui Epicuro consideri come ammettenti una sola soluzione alcuni
di questi problemi cosmologici, mentre per altri ne ammetta parecchie come

egualmente

possbili, v. s. n. 3 p. 118.

Brieger trova strana questa affermazione che un mondo si possa produrre


in un mondo; ma essa si spiega se si pensa al caso in cui un mondo si dissolva,
e da esso se ne formi uno nuovo o pi altri.
3 Credo sia da conservare la lezione dei codici: v noXvnva xjrco al o'x v
neydXco eUiHQivel (se, xtk) jtal xevw (che lo Zeller, il Brieger ed il Diels mutano
in \ieyX( Jtal elX,ixQiveL k8vw). Infatti, usando Epicuro come sinonimi xevv,
TJtos, x>Q (v. Ep. ad Er., 49), ne accadeva che, siccome xjtog spazio , pu
indicare lo spazio effettivamente vuoto o lo spazio potenzialmente vuoto (ma
in realt occupato temporaneamente da corpi) fosse utile determinarne meglio,
nei singoli casi il valore, come si fa qui, ove puro spazio vuol dire spazio non
occupato. Anche Lucrezio (I, 334) usa una espressione ridondante affatto simile:
locus intactus inane vacanaque. Del resto il xat, non di rado, vuol dire e cio,
2

II

EPISTOLA A PIT0CLB5

121

produce, quando determinati acconci atomi vi affluiscono da

mondi od intermundii. Tali atomi, a poco a poco,


aggiungono, si connettono fra loro, od anche si trasferiscono da un luogo ad un altro, a seconda dei casi, e successivamente vi affluiscono da nuclei di materia acconcia,
fino a che si raggiunga il compimento e l'arresto del suo crescere ^, per quanto le basi sottoposte permettono aggiunta di
materia. Non basta infatti che avvenga solo un accozzo di
atomi ed un moto vorticoso, in quel vuoto in cui, secondo
si crede, possibile che un mondo si generi per necessit meccanica, e che esso mondo cresca fino a che s'urti ad un altro,
come afferma alcuno di quelli che son chiamati fisici. Perch
un

solo o pi

vi

si

questo in contrasto con

fenomeni

^.

cfr. p. es. DoxoGR., p. 500, 4; 525, 1, Si noti poi che qui vi certamente (come
gi osserv l'Usener) un'allusione polemica a Leucippo il quale diceva che il
mondo si forma in un gran vuoto: v. Dico. Laert., IX, 31. Per anche altri, come

credevano che il mondo si formasse e stesse in mezzo all'inDoxoGR., p. 459, 23.


1 Non
necessario leggere con l'Usener SiafAovfiv, invece della lezione dei
codici 6ia(iovfj5 (v. anche Giuss., IV, p. 49, e Crnert, Rh. Mus. , 61, 130). Che la
p. es.

Zenone

stoico,

finito vuoto, V.

lezione dei codici sia esatta, credo

quale osserva che

mondo, dopo

si

provi con

momento

il

confronto di Lucr.,

II,

1116 sgg.,

sua origine, continua


a ricevere materia esterna, a lui acconcia: donique ad extreynam crescendi pertica
finem (cfr. qui gcog TeXeioacecog). Omnia perduxit rerum natura creatrix... Omnibus
his (codd. hic Munro) aetas debet consistere rebus (cfr. Lanovqg). Hic natura suis
refrenat viribus auctum. 11 mondo, come tutti gli esseri passa dunque per tre fasi,
la prima di formazione e di crescita, la seconda di equilibrio e di stasi, la terza
di decrescenza e dissoluzione. Tale dissoluzione, come appare poi da ci che dice
in seguito Lucrezio, avviene quando il mondo coniincia a perdere pi materia di
quanta ne riceva, e quando gli urti esterni abbattono i moenia mundi.
2 Si affronta qui direttamente la polemica contro Leucippo e Democrito, a cui
si era gi accennato prima di scorcio (v. sopra 89). Essa si fonda su questi
punti: 1) non basta un ammasso d'atomi, ma questi atomi devono essere di
forma acconcia; 2) Epicuro non crede sufficente il moto vorticoso, perch egli
ammette, sia il moto per caduta sia quello per declinazione spontanea degli atomi
(UsKNKR, p. 254, 24 sgg., ove va aggiunto Diogene di Enoanda, fr. XXXIII, col. 3
W., che obietta contro Democrito): in tal modo tolto il dominio assoluto della
necessit democritea, contro cui Epicuro combatte anche in Kp. a Men., 133,
V. s. p. 50 sg.
3) il mondo ha un suo corso di vita come tutti gli esseri, diviso
nei periodi di cui abbiamo detto sopra, e non vero che duri fino a che intervenga un cozzo di mondi (v, Dkmocr., A 40; 84), ma pu dissolversi anche senza
questo urto cosmico. Epicuro poi si richiama all'accordo con i fenomeni, perch le modilcazioni che introduce gli sono suggerite dall'osservazione tlcl n>odo
in cui si formano e dissolvono gli altri complessi organici (v. Luca., II, 1112 sgg.).
il

il

il

iniziale della

90

EPICURO

122

II

Gli astri
Origine degli astri,
loro grandezze e moti e fenomeni relativi.

Il sole e la luna ed i rimanenti astri, (non) ^ si formarono separatamente e poi furono compresi nel suo ambito
dal mondo e da quelle parti di esso che servono appunto a
sua difesa^; ma tosto si costituirono e successivamente crebbero (*), per aggregamenti e vortici di determinate sostanze,

(*)

Glossa] e similmente anche la terra ed

La

il

mare

3.

negazione, agg:iunta dall'Aldobrandino, necessaria per l'avversativa


poi. A torto si volle vedere una contradizione fra questo passo

XX che segue

dell'epistola, cos ristabilito nella lezione, con la testimonianza a p. 216, 4 sgg.,


Us. Infatti questo testo dossografeo, di seconda mano (e che non certo neppure
se sia di contenuto epicureo, v. Diels, Fr. der Vors., II^, p. 7), non dice che gli
astri si siano formati separatamente dal mondo, ma solo che sono stati messi
in rotazione dall'aria che li attrasse nel suo vortice; e questo nell'epistola non

nega: ed

pu benissimo esser avvenuto nell'ambito del mondo, quando


erano costituiti. Si noti poi che il testo dossografeo, se epicureo,
probabilmente impreciso; infatti Epicuro non poteva dare come assolutamente
certa questa spiegazione, perch egli ammetteva possibili, come vedemmo (vedi
sopra p. 119, cfr. p. 125), ambedue le ipotesi, sia quella del moto vorticoso dell'aria
che trae gli astri seco, sia l'altra che il limite estremo del cielo stesse fermo e
si

infatti

gli astri gi

movessero per diverse cagioni possibili, enumerate in seguito, di


il vortice aereo come causa del moto degli astri. Per di pi
quello che l'epistola dice dell'origine degli astri s'accorda con Lucrezio, V, 459 sgg.
Epicuro si oppone a Democrito, v. Plut., Strom., 7 =Democr., A 39, e forse anche
ad Empedocle, v. Emp,, A 30 e ci che detto ivi della luna.
2 Le ultime parole (e da quelle parti... cio, nel testo, xal oca ye bi]
ow^ei)
furono relegate in calce dall' Usener come glossa. Ma non credo a ragione, come
non mi consta se ne sia veduto il significato vero. Esse infatti indicano i moenia
mundi, i quali servono a difendere il mondo, formandone l'estremo baluardo. Ci
appare da Lucrezio, II, 1148 sgg., ove, parlando della rovina del mondo, si osserva: magni circum moenia mundi expugnata dabunt labem, cfr. I, 1101 sgg.
Cfr. sopra, p. 119 {Aggiunta). Arbitrario poi correggere: xal oca ye ov,r\ XXa
(X,X,' codd.) ev'&vgb lenXxxexo, non solo per la mutazione del testo manoscritto, ma
anche perch si verrebbe a dire che tutte le altre parti del mondo che ne formano
l'organismo, si costituirono di elementi sottili, gazosi od ignei, ci che sarebbe falso.
3 Che queste parole siano una glossa pare anche a me affatto verosimile,
gli astri soli si

cui qualcuna esclude

EPISTOLA A PITOCLB

123

costituite di sottili particelle, o gazose, o ignee, o partecipi

deiruna

natura.

dell'altra

Ed anche

questo suggerito

dai sensi.

Quanto alla grandezza del sole * e dei rimanenti astri, per


quanto pu importare a noi, altrettanta quale si vede (*);
considerata in s per pu essere un poco maggiore o un
(*) Scolio] Questo [Epicuro] dice anche nel libro decimoprimo dell'opera Della
natura, ove scrive: Se infatti per la distanza avesse perduto di grandezza, molto
pi avrebbe perduto di colore e di splendore. Infatti non vi alcun'altra distanza

che sia pi adatta

[di

quella del sole] a far perdere

il

colore e lo splendore-.

perch la terra e il mare non sono composti d atomi sottili, gazosi (jtveunaTixd)
od ignei. La glossa marginale si riferiva solo all'essersi formati sin dal principio
e gradualmente anche la terra ed il mare, come gli astri; ma inserita nel testo,
al posto dove nei codici, dovrebbe significare che anche la terra ed il mare risultarono dagli stessi elementi di cui risultarono gli astri, ci che sarebbe assurdo.
1 Tale era pure l'opinione di Eraclito, A 1, p. 68, 3 sg. Per la dottrina d'EpiFilod., jt. ay\\i., col. 10, 35: Demetr. Lag. (?) pap.
curo, V. Luca., V, 564 sgg.
ercolanese 1013, fr. 12 (v. Crnert, Kol. und. Men., p. 115, n. 516). Essa fu causa
di acerbe censure degli antichi: v. p. es. Cic, De fin., I, 6, 26. Pare poi strano
che Epicuro faccia qui distinzione della grandezza del sole xax x jtQq i]\iq e
jtax x Ka-O-'aux. Diverse spiegazioni furono tentate, combattute, a ragione, dal
Giussani (n. a Lucr., V, 564 sgg.). Ma neppure la sua spiegazione, assai sottile
e intricata, mi pare regga. Secondo me, nQg fiixag ha lo stesso valore che nella
Massima cap., II, cio indica per quanto pu importare a noi, v. infatti Epist. ad
Er., 80, ove si osserva quale quel limite di precisione, in queste dottrine sui
fenomeni celesti, che pu avere valore per noi e per la nostra felicit (cfr. s.
85 sg.). Epicuro fonda la sua induzione sopra i fuochi terrestri; ma egli avr
osservato che a seconda del differente grado di umidit o secchezza dell'aria, si
pu avere o no irradiazione, e perci il sole pu essere anche un poco pi piccolo
di quello che appare; mentre poi non neppure certo che non possa essere un
poco pi grande; perch non sappiamo precisare in modo assoluto se anche i
fuochi terrestri, veduti di lontano, non perdano un poco della loro grandezza,
prima di perdere il loro splendore e i loro contorni netti. E ci appunto indica,
a quanto credo, nel periodo che segue, ove c'Oxco, nel senso complessivo, va congiunto con nax xt^v alo^O-TOiv. V. anche Filod., Jt. ar\ii., 1. cit. Cfr. anche il papiro epicureo pubblicato dal Crnkkt, Rhein. Mus., 1907, p. 124 sgj*'.
2 L'ultima parte di questo scolio fu molto torturata nell'interpretazione e nella
lezione; ma io credo che si debba mantenere la lezione dei codici e non sia neppure da accettarsi la correzione 'KV ov yQ dell' Usener. Il testo manoscritto si
comprende, purch, come feci io, si riferisca xovxco a xw jio|5X.Xeiv xijv xQav,
che il concetto espresso nelle parole immediatamente precedenti. Epicuro dice:
se il sole dovesse perdere tanto di grandezza per la distanza da cui lo vediamo,
perch non dovrebbe perdere anche assai pi di splendore? Infatti i fuochi veduti
di lontano, quando si vedono evidentemente pi piccoli ci appariscono anche pi
confusi; e proprio la distanza del sole, maggiore di quella di ogni altro fuoco
:

91

EPICURO

124

poco minore o uguale. In tal modo infatti anche 1 fuochi


terrestri che vediamo a distanza, si vedono corrispondere
[quanto alla grandezza] alla sensazione [che ne abbiamo].
Ogni obiezione poi che su questo punto si presenti, facilmente
si pu risolvere, se alcuno prester attenzione all'evidenza
effettiva, come abbiamo mostrato nei libri dell'opera Sulla
natura.
98

II sorgere ed il tramontare del sole e della luna e dei


rimanenti astri ^ pu prodursi ^ per accensione e spegnimento, poich le condizioni relative, anche rispetto a ciascuno dei due luoghi ^, sono tali che si possono produrre i

possiamo avere esperienza, sarebbe la pi adatta a fargli perdere lo splennon l'ha perduto, vuol dire che non ancora tale che esso debba avere

di cui

dore. Se

perduto, in

modo

sensibile, di

grandezza.

Sul sorgere e tramontare degli astri, secondo Epicuro, v. Lucr., V, 650 sgg.,
e le testimonianze raccolte dall' Usener a p. 230, 8 e 354, 1. Epicuro, secondo il
metodo delle diverse spiegazioni possibili, prende in esame queste cause pi proba1

sorgere e il tramontare del sole e della luna avverrebbe perch s'accenspengono, volta per volta; opinione gi di Senofane (A 33, 38), di Eraclito
(fr. 6 Diels) e di Metrodoro di Chio, (A 4). 2) Per apparizione, sopra la terra, e
per occultazione. Tale occultazione Anassimene (A 7, p. 23, 24 sg. Diels) pensava
potesse accadere per causa delle parti elevate della terra stessa, cosicch il sole
non scenderebbe sotto terra, ma le girerebbe intorno (cfr. A 14). L'opinione pi
comune era invece che il sole realmente passasse sotto la terra quando tramonta.
2 La lezione dei codici, 6TJvao'8-ai, deve conservarsi; sottintendi vxerai, vedi
bili: 1) l\

dono

sopra

e si

n. 2, p. 116.

Kal AO^'tv.ax.Qovc, xovq xjtovg, cos i codici: ma xjtovg fu mutato gi dal


Meibon in xQ:7roDs, lezione accolta dagli editori successivi ed anche dall' Usener
il quale, pone per di pi queste parole in glossa. Credo invece apparir certo che
tali parole debbano lasciarsi nel testo con la lezione dei codici, quando se ne
3

vero significato in rapporto alla polemica degli avversari. L'allusione


due luoghi, infatti necessaria; perch gli avversari osservavano che si poteva magari trovare meno strano che il sole si spegnesse scendendo ad occidente nel mare, ma non si poteva comprendere come ad
oriente, uscendo dal mare, si accendesse; vedi infatti la polemica conservata da
Cleomede, li, 1, p. 107 sgg., che appunto conchiude: ait (iv xov va-coA-iKov

scorga

il

alle condizioni specifiche dei

<58aTog ldrTtxeO'&ai, vjt Se xov jtQg

xr\

bvoti opvvua-Q-ai. xavxa.

fi

lega 'Ejiihoijqo'u

Lucrezio non si dilunga a provare che il sole pu spegnersi ad occidente, ma quando propone l'ipotesi che si accenda ad oriente, si
sente obbligato a recare un esempio (V, 663), cio lo spettacolo che si narrava si
vedesse al sorgere del sole, dal monte Ida. Anche Epicuro doveva servirsi, nei
libri Jt. cpijoecos, di tale esempio, che riferito altres da Diodoro Siculo, XVII,

oocpia ^eJQev.

Ed anche

7, 4. Donde si vede la necessit che, nel riassunto di quest'epistola, si alludesse


a particolari condizioni dei due luoghi, rimandandosi, come sempre, per spiegazioni pi ampie, all'opera ii. cpvoecos.

EPISTOLA A PITOCLB

125

non vi alcuna attestazione concui abbiamo esperienza. Per i pre-

predetti fenomeni: infatti


traria dai fenomeni di

fenomeni possono pure avvenire per apparizione sopra


la terra e successiva occultazione; perch neppure in questo
caso osta contraria attestazione dei fenomeni.
Quanto ai loro moti non impossibile che siano causati
da] moto vorticoso di tutto il cielo \ oppure anche possibile che il cielo stia fermo, e che essi rotino secondo la
necessit prodottasi nella genesi del mondo per la sua origine ^ (oppure possibile che l'astro muova per il cielo in
cerca dell'ardore a lui) pi acconcio ^, e proceda, quasi pascendosi del fuoco, successivamente di luogo in luogo.
I movimenti tropici del sole e della luna possono prodursi
per obliquazione del cielo, che a ci sia costretto col tempo ^,
oppure anche per contraria spinta dell'aria o perch condetti

Vedi Anassimene (A

cielo (efr. Emp.,

16)

54; Farm.,

le stelle fossero infisse come chiodi nel


Empedocle poi pensava che il sole reale

che credeva
fr.

10, 7).

e che d luce alla terra, fosse l'emisfero


(V.

30 ed

A 56).

Cfr. Lucr., V, 510 sgg.

igneo celeste che gira intorno a noi


cfr. s. p. 119.

Democr., a 89; cfr. s. n. 2, p. 126; cfr. 93.


L'Usener scorse giustamente la lacuna del testo, il quale, come nei manoscritti, non d senso, e la lacuna pu colmarsi, quanto al senso, col confronto di
Lucr., V, 519-525. Per invece di oq>o6Qo>TT'r che la parola con cui crede l'Usener
terminasse la lacuna, credo debba leggersi :rLT'ri6>8i<o)TdxTi (ei e' nei codd.) usato
appunto poco dopo in questo , come pure s. 89: cfr. 112. Intendo perci, nei
particolari, in modo diverso anche dal Kochalsky che segue la lezione dell' Usener.
Con la mia integrazione e il senso della frase che suppongo caduta, v. Lucr., V,
523 sg. sive ipsi serpere possunt. Quo cuiusque cibus vocat atque invitat euntes,
Flammea per cailum pascentes corpora passim: prima di ti) ejtLTTi5)ei-<o>xTii (deQHaoC(j) credo sia caduto ^ xov oxQog jcofjivou o qualcosa di simile. La dottrina qui esposta era assai diffusa nell'antichit, v. Antifonte sofista, fr. 26;
Eraclito (A 11) e le dottrine stoiche riferite dal Gilbkrt, Die meteor. Theor. des
Griech. Alteri., 1907, p. 473. Si noti che, non ammettendo Epicuro alcuna mutazione qualitativa della materia primordiale, gli astri per lui debbono assorbire
atomi ignei contenuti nel cielo, xov nvQq va dunque riferito a .xLvfXTiOLv e non
ad lvTOs: cfr. Lucr., 1. cit. pascentes flammea corpora,
* Per la dottrina epicurea sui movimenti
tropici del sole e della luna, vedi
Lucr., 614 sgg.; Dioo. di En., fr. Vili, col. I, 7i sg. W. La ragione che qui si d
per prima, era in Empedocle (A 58, mia trad. p. 347) ovo si jarla anche della
causa dell'inclinazione del mondo, avvenuta dopo la prima origine di esso. Cfr.
2

Cfr.

Platone, Pitagora e Aristotele presso

Anassimenk,
Apollonia, A 9.
&

DI

Cfr.

Ai^ix., II,

15; Anassag.,

23, 6.

42 (p. 385, 12 sg. Diels),

72;

Diogenk

93

EPICURO

126

accenda materia sempre acconcia, e poi venga


od anche perch tali astri siano coinvolti, sin
dal principio [dell'origine del mondo], in un tal vortice che
li faccia
muovere con movimento di carattere elicoidale ^.
Infatti tutte queste possibilit, e quelle affini ad esse, non
contrastano a nulla che sia attestato dall'evidenza effettiva dei
fenomeni; purch in tali argomenti, badando sempre al cri-

tinuamente
a mancare

si

terio della possibilit, si sappia ricondurre ciascuna di queste

spiegazioni all'accordo
artifizi degli
9i

II

con

fenomeni, senza paura degli

astronomi, degni solamente di gente servile

calare ed

il

^.

crescere della luna* potrebbe avvenire per

conversione di questo astro ^, o parimenti per diversa conformazione dell'aria^, od anche per occultazione'^, o final-

mente in

tutte le

maniere suggerite dai fenomeni

modo per

spiegazione del

cui

terrestri a

essa riceva diverso aspetto;

purch, per eccessiva simpatia verso una sola spiegazione,

non

si

Cfr.

spregino insensatamente tutte

Anassimandro,

V. la notizia di At.,
2

Cfr.

Democr.,

Per

le cautele

27 (p, 20, 26 sg.) e

II, 23, 5

le altre,

Diogene

senza badare a

di Apollonia, ibid. (cfr.

9).

sugli stoici.

89.

che

si

suggeriscono v.
Ep. ad Er.,

gli astrologi v. sotto 113; cfr.

s.

Per la derisione contro


Epicuro reputa vano e servile

n. 2, p. 121.

79, 80.

ogni studio che non tenda alla salute dell'anima, v. s. p. 116 n. 3.


* Sulle fasi della luna, secondo Epicuro, v. anche Lucr., V, 703 sgg., che
assai pi preciso che non il compilatore di quest'epistola.

A 1, p. 69, 25 sg. Diels; il quale crea forma di scafo, e che la sua luce variasse a seconda
delle sue conversioni; Lucrezio per pi esplicito e minuto e pare si riferisca
5

Una

deva che

simile spiegazione dava Eraclito,


la luna fosse

alla dottrina (v. 725 sg.), di Beroso,

Doxogr.,

v.

Vitruv., IX,

2,

1;

cfr. 1, 16;

cfr.

Diels,

p. 200.

6 difficile identificare questa opinione esposta in modo cosi sommario; per,


siccome Senofane (A 43) diceva che le fasi della luna avvengono per accensione
e spegnimento, probabile che facesse derivare tale spegnimento dell'astro dalla
mutevole conformazione dell'aria che le offrirebbe materia combustibile. La luna
poi, per Senofane, era simile ad una nube condensata.
^
Tale occultazione poteva avvenire per opera di altri corpi invisibili che si
aggirano nel cielo (cfr. s. p. 127, 4). Gi Anassimene pensava infatti che insieme
con gli astri si aggirassero altri corpi di natura terrena (Anassim., A 7, p. 23,
23 sg. D.); cfr. A 14; v. anche Anassagora, A 77; cfr. A 42, p. 385, 4 sg. Diels).
Altri, come Crisippo (v. At., II, 29, 8), credevano che tale occultazione si effettuasse per opera della terra.

EPISTOLA A PITOCLE

127

uomini possono scorgere o no S e bramando cos


che non si pu.
Ed ancora, la luna pu avere luce propria o riceverla dal
sole 2. Infatti nei fenomeni terrestri si vedono molte cose che
hanno luce propria e molte altre che la ricevono: e non vi
nulla nei fenomeni celesti che a ci si opponga, purch
sempre ci si ricordi del metodo delle diverse spiegazioni possibili, e contemporaneamente si badi alle ipotesi e cause conci che gli

di scorgere ci

comitanti, invece di

tener conto di circostanze non conco-

mitanti, per esagerarle stoltamente, lasciandosi trarre, in

modo o nell'altro, ad unicit


Anche l'aspetto d'un volto
variet

delle

sue

parti

luna, pu prodursi per

nella

^,

un

di spiegazione.

per

sovrapposizione

[d'altro

modi che si veggano


bisogna mai abbandoi
Perch
non
accordarsi con
fenomeni.
^
via
nello
studio
di qualsiasi fenomeno
nare tale
di indagine
celeste. Infatti se alcuno si porr in contrasto con l'evidenza
effettiva, non potr mai raggiungere sincera tranquillit di
corpo]

*,

o secondo tutti quegli

altri

spirito.

L'eclissi del sole e della luna

come vediamo accadere

zione,

V. Ep. ad Er.,

80, s. p.

Ili n.

pu avvenire

sia per estinfenomeni terrestri ^, od

nei

1.

V, 705 sgg. Che la luna avesse


Xenoph., A 43 Diels;; Antifonte Sofista (fr. 27), ecc. Che fosse illuminata dal sole, era opinione di Talete,
Pitagora, Parmenide, Empedocle, Anassagora, Metrodoro di Chio (v. Parm., A 42
Diels, cfr. fr. 21; Emp., A 60; Anass
A 47; Metk,, A 60) ecc.
^ Che la luna fosse composta di materia ignea frammista a materia tenebrosa,
pensava gi Parm., fr. 21 (ove falsa l'illazione che ipEvoqjavfj sia parola tolta
dal testo di Parmenide, autentica per la dottrina). Questa ragione invocava pure
Anassagora a spiegare il fenomeno delle macchie della luna: v. anche Plut., De
fac. in orbe lun., 21, p. 935. Cfr. un'analoga spiegazione che Dante toglie da Aver2

Quanto

all'orij^ine della luce lunare, v. Lucr.,

luce propria, credevano Anassimandro, Senofane

(v.

rois,
*

sopra

Conv.,

II,

14; Farad., II, 59 sgg.

opinione affine a quella citata sopra, per spiegare

le fasi della

luna; vedi

p. 126, 7.

^ Mantengo la lezione dei codici, ttiv ToiaijTTiv (se. 6v)


naq x ttiv vavxtav (xivelO'O^ai) cfr. Seni, vut., 48.

Ixve-ueiv, cfr. s. 114,

Per

la dottrina eiiicurea degli eclissi, v. Us., p. 230, 14 sgg.

Lucr., V, 751 sgg.

La prima

spiegazione affine a quella data sopra, per il sorgere e il tramontare


degli astri (v. 8. i)2). dubbio se per Senofane ammettesse anche per gli eclissi
questa medesima spiegazione che invocava per

il

sorgere e tramontare del sole.

128

EPICURO

anche semplicemente per interposizione


della terra o di altro corpo invisibile

di altri corpi, cio

^ a

ci adatto.

cos

bisogna considerare gli altri modi rispettivamente convenienti


a spiegare ciascuno di questi fenomeni, e devesi ritenere che

non

impossibile

si

di determinati fatti
97

Per

producano contemporanee coincidenze

(*).

fenomeni celesti, deve


fenomeni che accadono
sulla terra ^. Non si assuma invece mai come causa di essi
la natura divina, ma la si conservi libera da ogni ministerio
ed in illibata beatitudine ^. Se cos non si far, ogni nostra
indagine sulle cause dei fenomeni celesti sar vana. Questo
accadde ad altri che non si attennero al criterio della possibilit, e caddero in vane argomentazioni, perch credevano
che a tali fenomeni non potesse applicarsi che una sola spiegazione e perci ne rigettavano ogni altra possibile. In tal modo
si ridussero a sragionare, e non seppero tener conto complessivamente di tutti gV indizi che si debbono assumere dai fatti
di nostra esperienza per indurre le cause di tali fenomeni.
di pi l'ordinata successione dei

spiegarsi

(*)

coll'analogia di consueti

Scolio]

ag'giunge che

Lo

il

stesso dice nel libro decimosecondo dell'opera /SwWaiVa^itra, ed

sole si ecclissa o perch la luna l'ottenebri, e la luna per l'ombra

della terra, od anche perch la luna stessa si ritiri. Questo dice pure

Diogene

l'epicureo nel libro primo delle Scelte*,

V.

41 e n. ivi, Diels; cfr.

A 41,

ove

si

dice che quando

si

eclissano,

il

sole e la

luna, cadono in qualche anfrattuosita della terra, in luoghi inabitati. Pi esplicita la testimonianza su
1

La

Metrodoro

di Chio,

4, p. 141, 23 sg.,

Diels.

lezione giustamente ristabilita dall'UsENER, in Pr-aef., p. xviii,

Fj

o-

qxov xivq. Cfr. Anassimene, cit. s. p. 126, 7; Anax., A 77; Emped., A 59.
2 Cio, anche sulla terra vediamo successione armonica e mirabile di fenomeni,
dei quali possiam scorgere le cause meccaniche successive, e che perci non
possiamo attribuire all'azione degli di. Cos dobbiam pensare accada anche dei
fenomeni celesti. Lucrezio, per questa medesima argomentazione, si serve di una
mirabile descrizione poetica (V, 733 sgg), il cui valore logico per estremamente dubbio, perch, descrivendo egli una figurazione plastica del succedersi
delle stagioni (forse una danza simbolica), ci porge proprio un esempio di fatti
ove opera l'ingegno o la volont umana, onde si potrebbe pensare ad un simile
intelligente intervento divino nei fenomeni celesti.
3 V. Epist. ad Erod., 76 sg.
* Diogene di Tarso, epicureo, nelle (Lezioni^ scelte: v. sotto Vita di Epicuro, 26.

EPISTOLA A PITOCLE

129

Della varia lunghezza delle notti e dei giorni

causa

sia

compiersi

il

il

pu esser

passaggio del sole sopra la terra,

ora in poco ora in molto tempo, a seconda della varia lunghezza degli spazi ^ (che deve percorrere sia il ritardo o
Tacceleramento del suo corso, perch attraverso a certi strati
dell'aria) ed a certi luoghi passi pi veloce o pi lento. E
questo conforme a ci che vediamo accadere nei fenomeni
terrestri, ai quali debbono accordarsi le spiegazioni che diamo
dei fenomeni celesti. Coloro invece che accettano un solo
modo di spiegazione, non solamente si pongono in contrasto
con i fenomeni, ma anche perdono di vista il limite imposto
:

alla possibilit della

umana

conoscenza.

V. LucR., V, 680 agg.

comporta in modo alquanto arbitrario nella costituzione del


a ragione segna una lacuna, perch manca il complemento della
frase iniziale; a torto poi, nonostante ammetta la lacuna, trasporta in calce le
parole seguenti (jiaQ x [ii\yir\
PQaTjxeQov), che egli crede siano una glossa,
Pi
e per di pi le muta ancora in due luoghi, leggendo jtaQa^A,(TTeLv invece di ^tagaA,Xxxovxa, e jreQaioijv invece di jteeaiovxa. Procedimento certamente troppo ardito, perch, ammessa una lacuna, pericoloso escludere, come non autentico,
ci che segue e mutarne violentemente la lezione, mentre piuttosto dobbiamo
vedere di restituire il senso colmando la lacuna. Del resto, che le parole poste
dall' Usener in glossa siano da lasciarsi nel testo, e che il testo stesso si possa
ricostituire in modo soddisfacente, credo poter provare con l'esame della dottrina.
Penso dunque convenga porre la lacuna prima di xal xjtovq, invece che dopo
JtQ Yf\q, ove la pone l' Usener, e colmarla presso a poco nel modo che indicher,
rispettando la lezione dei codici in tutto, fuor che una possibile correzione Jiegiovg, invece di xiv'ioeis che potrebbe essere una glossa. Ecco come mi pare si
debba leggere: Mr\Kr\ vvhxcv xal -finegiv jiaQaXXdxxovxa xal :taQ x xaxetaq
^iXCov xivfjoeig [o neQibovq'??] yiveO'&ni xal JidXiv (3Qa6etag OjtQ yf\q, naq x ii,i]v.r\

^L'Usener

si

testo. Infatti, se

xjrwv JtaQttXXrdxxovxa (neQaiovv, vxexai tcrtdQxeiv, xal jiaQ x xd^iov

X8QOV jcLveiO'O-aL, TtaQBKxaeiq dgog)


f[ ^QavxBQov, tbc; xal jiaQ'rjpiIv xiva

(v. 113)

fi

(3Qa6aj-

xal xJiovg xivg :jteQaiovvxa xdxiov

O'ecoQelxai. Tutte le spiegazioni date, non solo


sono possibili, ma eftettivamente epicuree; vedi infatti per la prin)a Lucr., V,
680-686; per la seconda Lucr., V, 694 sgg., che osserva come in certi luoghi l'aria
sotto la terra pu essere pi densa e perci presentare maggior ostacolo al corso
del sole. probabile che Epicuro aggiungesse nel n. qivoecog che in alcuni luoghi

sole deve trovare deficiente materia di cui nutrirsi; v. infatti sotto 113 e ci
che detto sopra dei moti tropici del sole, 9:5 e le note ivi. Epicuro poi si richiama ai fenomeni terrestri, perch facile vedere una fiamma propagarsi pi
lentamente, o quando impedita da vento contrario, o quando trovi materia meno
infiammabile.
il

Epicuro.

EPICURO

130

99

I pronostici del tempo ^ possono prodursi, sia per fortuita


coincidenza di circostanze, come accade per gli animali a
noi noti sulla terra, oppure per mutazione e trasformazione

dell'aria. Infatti

nessuna

di queste

con

Ad

modo

fenomeni.

ogni

questa o quella, non

si

due ragioni

in contrasto

poi in quali casi

si

avveri

pu determinare

III

Nubi, pioggia, tuoni, fulmini.

Le nubi possono prodursi ed adunarsi, o per vario condensamento dell'aria causato dalla continua spinta dei venti ^;
o per

vario intessersi di atomi, insieme connessi

il

"^

e con-

venienti a costituire le nubi; od anche per accolta di efflussi

aquei dalla terra o dall'acqua.

Non

per impossibile che

addensamenti si producano in pi altri modi. Ci posto


le piogge possono provenire, sia per compressione delle nubi,
sia per la loro trasformazione ^. Possono prodursi pure per
tali

100

Sui pronostici del tempo, vedi sotto 115.

La

ripetizione prova

come que-

st'epistola sia compilata in fretta e con poco discernimento. Sulle jtiOTifxaoiai di

Democrito, v. fr. 14, 7 D.


2 Probabilmente a ragione, il Kochalsky legge
tcTO... YLVsxai: v. per l'anastrofe Sudhaus, Philod.,
3

Leggo

Epicuro, V. At.,

si

porge,

Ili, 4, 5;

Anassimexe,

rega toto

f|

Voli. Rhel.^ Il, 370.

itag' 3Ti?tf|OeL5 Qo;(&i,) jiv8U|xdTcov ouvcoscog.

di

V.

^biq b jiotoiq

Per la teoria relativa

Lucr., VI, 451 sgg. Per la prima spiegazione, che qui


5; 7; 17; Anjassag., A 85. Per la seconda, si noti che

l'accolta di atomi opportuni era necessaria per l'origine dei fulmini, come mostra il confronto di ci che segue e Democr., A 93. Per la terza, cfr. Senofane,
fr.

30;
4

'

46;

Metrodoro

di Chio,

kX'kr^kov'/itv tfAcov,

Lucr., VI,

17.

che a torto

v. 451 sgg.); cfr.

Lucr, VI,

il

Giussani traduce di ogni specie (nota a

451 sgg.: corpora... asperiora...

sint indupedita... inter se compressa (cos

quae pos-

codd., giustamente, cfr. Eric.

jnX,fi-

oeig!) teneri.

Non si deve intendere come mutazioni degli atomi che comperch nella teoria epicurea questo sarebbe impossibile (v. Epistola ad Erodoto, 54), ma non v' neppure bisogno di mettere in dubbio n la
lezione n l'uso appropriato di questa parola (il Giussani la segna con un punto
interrogativo, ibid p. 227). S'intenda perci quale mutazione dei complessi atomici, che da solidi (v. 100) o fluidi, si rendono liquidi. Cfr. Lucr., VI, 5i0 sg.,
5

METaPaX,?^,vTcov.

pongono

le nubi,

EPISTOLA A PITOCLE

131

emanazioni acquose agitate [dai venti] attraverso all'aria,


mentre le trasportano dai luoghi ove si adunarono ^, s che gli
acquazzoni pi violenti provengono da certe accolte d'emanazioni aquee adatte a somministrare tale abbondanza di
pioggia.
I

tuoni

nella

possono originarsi o per vento roteante racchiuso

cavit delle nubi,

anche per
dal vento

il
^,

come accade

nei nostri

vasi

^,

od

fragore prodotto nella nube da fuoco gonfiato

o per lacerazioni e violente rotture^ delle nubi;

oppure anche perch pi nubi compatte come cristalli sfregandosi fra loro si infrangono
Del resto l'esperienza dei
fenomeni terrestri indica che diverse possono essere le cause
anche di questi fenomeni dei quali qui ci occupiamo.
In pi modi si originano pure i lampi
Il lampo pu
*'\

''.

che esamina

compressione delle nubi, 2) nubi strutte dal sole e liLa prima spieg^azione era gi in Anassimene(A 17),
clr. Senokanb (A4'i): per tale mutazione, cfr. anche Arist., Melereol.,1, 11, 347 b, 18.
1 La lezione dell' Usener non d senso soddisfacente; credo perci si debba
correggere jivev[iaxa in ^M'0''^'i>v (cfr. 5iJ ove i codici hanno jtvstjpiaTog invece
eiJ^aTog) e nel resto mantenere la lezione dei codici, cio: eri te ^evfxdxcov xax
quefatte,

due

casi, 1)

come cera

jtoqjoQv ji

al fuoco.

k,jtn:r\bei(ov xTzcav

6i'sQog xivoujivcov, [o fors'anche: eri xe (^ev^id-

EJ

comprovare la mia correzione credo


considerano le nubi come ^eviiaxa, e
Lucrezio, VI, 519 sgg., atque tenere diu pluviae... Consuerunt, ubi multa cifnlur
semina aquarum Atque aliis aliae nubes nimbique rigantes... omni... de parte feruntur.
2 Sulla teoria epicurea del tuono, v. Lucr., VI, 96 sgg. Per la prima delle
soluzioni proposte, v. [Arist. J, De mundo, 4, H95 a. Il cfr. Capklle, Hermes , 40,
20 sgg.; Sen., Quaest. nat., II, 27, 2; II, 51: per la seconda cfr. Arist., Meteor., II,
9, p. 369 a, 29 Sgg.: per la terza, v, Anassimandro, A 23; Metrod. di Chio, A 15
per la quarta cfr. Zenone di Cizico, ap. Diog. L., VI, 153.
3 Intendo, nei vasi d'uso comune, a collo stretto, in cui, se si soffia, si ha un
rombo. Il Kochalsky traduce: in itns^rpn Unterh'ibsgi'fssen: ma dubito che Epi
curo abbia voluto servirai di questo paragone a cui era ricorso Aristofane (Nubes,
385 sgg.) per porre in ridicolo la presunta dottrina di Socrate. Lucrezio, VI, 196
sgg., usa la similitudine del vento che rimbomba nelle caverne. E forse yyEa
qui indica qualunque cavit ove possa ingolfarsi il vento.
* jiag jiuQg jt8JtvevfiaxQ)(i,vo\j
ignis in spiriium solutus, e
1' Usener intende
cos il Kochal ky: ma a torto: v. Luca., VI, 276. Heque (ventus) cum eo commiscuit
igni: lo stesso valga per jivevfxaxco'0'vxog del 103.
6 Conservo la lezione dei codici iaoxdoeK;.
* Leggo v.a.x.\z\.q con l'edizione principe ed il Kochalsky.
V. Lucr., VI, 160 sgg.
Tcov ol) jivev[iaxa

valga ci che

si

xax nocp.

>tx.].

dice prima, quando

g,

si

''

loi

EPICURO

132

quando per lo sfregamento e per l'urto


ne sfugga quella combinazione di atomi che
oppure perch i venti faccian sprizatta a produrre il fuoco
zar fuori dalle nubi, attizzandole, tali corpi che producon
questo balenio ^; od anche perch esso ne esca quando le nubi
siano schiacciate le une contro le altre, per loro peso o per
spinta dei venti ^ od anche quando il fuoco che le nubi assorbirono dalla luce degli astri, rimanga compresso per il moto
oppure
delle nubi e dei venti e sfugga attraverso le nubi
infatti formarsi, sia

di pi nubi,

* :

"^

per la filtrazione delle particelle sottilissime della luce attraverso le nubi, donde essendosi esse incendiate si produca
il

tuono

per l'impetuoso propagarsi del fuoco

^.

Oppure per

Cfr. Democe., a 93; v. anche Zenone, cit. 8., p. 131, n. 2.


V. Anassimandro e Metrod. di Chic, cit. s., ibid.
3 V. Anassag., a 84.
4 V. Aristot., Meteor., II, 9, p. 3G9 b, 14; Emp., A 63.
s Anche qui il testo deve ancora essere ristorato in modo conveniente. L'Usenet pone in glossa le parole f| jt xov jidqs vqjTj avvecpXx'd'o.i xal xg PQovxs
jtoxeXela'Q'ai. Che per questa frase si debba conservare nel testo credo poter
provare con vari argomenti. Anzitutto i due infiniti non debbono essere punto sospetti, perch altri dipendenti da un vvaxv o v^exai sottinteso ricorrono frequentemente in questa epistola (v. s. n. 2, p 116); in secondo luogo tali parole si
riconnettono perfettamente con ci che precede, purch si legga j invece difi,ed
appunto secondo questa mia lezione ho tradotto. L'osservazione una parentesi che
aggiunge anche un dato ulteriore a quello direttamente richiesto, trattando anche
del tuono, fenomeno di cui si parlato gi prima; ed affatto simile l'aggiunta al
fine del 107, in cui si ritorna per incidenza a trattare della grandine, e quella
in fine del 103, ove, precisamente come in questo caso, si ritorna a discorrere
dei tuoni. Per di pi, naturale che Epicuro avesse osservato che talora un'intera nube sembra infiammarsi, ed giusto che ne abbia data una spiegazione,
come appunto questa; v. infatti Lucrezio, VI, 207 sgg. Quanto alla filtrazione
di luce attraverso alle nubi, di cui qui si parla, v. Democr., A 93. Si noti anche
che se si tolgono le parole che ho introdotte nel testo, ricollegandovele con la ma
correzione, questa spiegazione sarebbe tautologica rispetto a ci che precede.
1

V. anche nota sg. extr.


6 Leggo xal xg
PQovxs

TtoxeXela'Q'ai

nax

X7\v (codd. xal

nax

Tr|v

Usen.

xal Tf|v) ToiJTov xlvTjoiv. Tanto con la lezione dei codici, come quella dell' Usener
queste parole non hanno senso che soddisfi, mentre naturale invece che si dia
la ragione per cui si

produce

il

tuono.

La mia

teoria esposta da Lucrezio per spieprare

il

lezione corrisponde del resto alla

tuono, VI, 150 sgg. Aridior porro

si

nubes accipit ignem TJritur ingenti sonitu succensa repente Lauricomos ut s


per montis fiamma vagetur (cfr. xtvrioiv) Turbine ventorum comburens impeto magno: cf. Arist., Meteor., II, 9, 369 a, 32 sgg. [Ora per, mentre correggo le bozze,
mi persuado che anche il secondo xat dei codici debba conservarsi, e sia l'indizio

EPISTOLA A PITOCLB

133

Taccensione del vento prodotta dall'intensit di tal moto e


dalla forte rotazione ^ Od anche perch le nubi si lacerano
sotto l'impeto dei venti, e ne precipitano gli atomi ignei, atti
a produrre la fulgurazione ^. Del resto facile comprendere
che si possono produrre in vari altri modi, sempre attenendoci per ai fenomeni, e sapendo tener conto delle analogie

fenomeni che avvengono nelle nubi,

il

lampo

tuono, sia perch nel medesimo tempo che

il

vento

rispettive. In tali

precede

il

102

urta contro la nube, ne scacciata la combinazione atomica

che produce

il

lampo, mentre

il

fragore prodotto

pii

tardi

nube stessa: oppure anche perch,


pur avvenendo contemporaneamente il lampo ed il tuono, il
lampo giunge a noi pi veloce, mentre il tuono impiega pi
tempo, come vediamo accadere in altri fenomeni che scorgiamo di lontano, in cui si abbia un urto ^.
Quanto ai fulmini, essi possono anche accadere per varie
unioni di venti [entro ad una nube] tratti in rapido moto
rotatorio ed infiammantisi, s che una parte erompe ^ e predal vento che ruota nella

cause del tuono qui addotte siano due^ di cui la prima si perdette per una
E di fatti son due anche nel luogo citato di Lucrezio (VI, 145 sgg.); cio:
1) il crepitio del fuoco al contatto con gli elementi umidi della nube; 2) l'impetuoso propagarsi dell'incendio, quando la nube sia composta di elementi assai
aridi. Per di pi anche in Aristotele, loc. cit., Empedocle, A 63 e Diogene di
Apollonia, A 16 (cfr. Eracl., A 14) si tratta dello stridore del fuoco in contatto
con la nube, come causa del tuono. Leggo perci xal xax t<tiv cXltv xal xax
T>riv xoTOu y.ivr\aiv {sia per lo stridore [del fuoco in contatto con gli elementi

che

le

lacuna.

umidi]) sia per l'impetuoso propagarsi del fuoco. Per o|li; v. Arist., loc. cit.
Quanto poi al doversi conservare nel testo le parole poste dall'Usener in glossa,

credo apparir anche pi certo a chi consideri che anche Lucrezio parla di queste
due cause del tuono, come conseguenti al fulmine (v. V, 145) dunque naturale
che stiano qui in questo luogo ove si parla dei lampi. A ci si aggiunga che se
non si ritenessero, verrebbero precisamente a mancare due delle pi importanti
spiegazioni che Lucrezio trov in Epicuro.]
1 V.
LucR., VI, 175 sgg. 300 sgg., il quale reca l'esempio della ghianda di
piombo, lanciata dalla fionda, che col moto rotatorio diviene incandescente: cfr.
Metrod. di Cuio, a 15; Chrysipp., ap. At., Ili, 3, 13.
2 V. Demock., cit. s., p. 132, n. 5; cfr. Lucb., VI, 214 sgg.
3 V. Arist., Meteor, II, 0, 309 b, 8 sgg.; Lucr., VI, 164 sgg
che reca l'esempio
ben noto del taglialegna, di cui di lontano vediamo prima il colpo della scure,
mentre solo pi tardi ci giunge il fragore dell'urto.
* Leggo Jtal jtaxdQQTjliv, come vide bene 1' Usenkr, Praef., p. xx.
:

103

EPICURO

134
cipita violentemente

abbasso ^ La causa poi di tale rottura

l'essere tutt' intorno la pressione eccessiva, per la densit


delle nubi.

Od anche possono

il

fuoco stesso roteato

ed

fuoco

sia troppo ingrossato e sia troppo gonfio di

si

in tal

modo

si

produce anche

il

tuono

se

il

vento

^,

nube che, per la continua pressione (*) [delle


non gli d modo di espandersi. Per i fulmini
possono prodursi anche in vari altri modi: non si abbia per
onde spezza

104

avvenire quando

precipita

la

nubi] fra loro,

fede ai miti, ci che avverr se, attenendoci giustamente ai fenomeni, ne trarremo induzioni per ci che non cade sotto i sensi.

IV
trombe marine, terremoti, venti, grandine,
neve, rugiada, brina, ghiaccio, arcobaleno, alone.

Cicloni, turbini,

cicloni

possono prodursi sia quando una nube cade


forma di colonna da un continuo vento, s
violenza del vento * la trasporta, un altro vento

in basso, spinta a

che mentre

la

Pu anche essere cauun vento turbinoso, onde una porzione dell'aria sia

esterno ad essa la percota di traverso.


sata da

(*)

aggiunta] per lo pi su qualche alto monte, dove specialmente cadono

fulmini

5.

V. Aristot., ap. Ar. Didym., p, 452, 30 sgg. Diels.

Lucr., VI, 276 sgg.

281 sgg.
2

V.

s.

n. 4, p. 131.

il nome jtQTioxifiQ dato spesso a fenomeni differenti; per come


nota giustamente Seneca (Qw. Nat., V, 13, 3) esso equivale ad igneus turbo. Il fenomeno che Epicuro descrive invece piuttosto il xDcpcv che il nQ'r\ax'Y]Q (cfr. Gilbert,
op. cit., p. 632 n.). Lo stesso dicasi della descrizione di Lucrezio, VI, 423 sgg. Per
la dottrina seguita da Epicuro, v. Aristot., Meter., Ili, p. 370 b, 18 sgg.
* jiveiinaTos jioXXoi) con i codici: l'Usener corresse nwXco invece di jio^A-ov,
ma la correzione non agevole paleograficamente, e per di pi se il vento gi
spinge la nube in moto rotatorio non vi sarebbe pi bisogno del vento trasversale.
5 Queste parole sono messe in calce dall' Usener come glossa, e veramente

3 otQTiaxfjQag

sembrano

tali.

EPISTOLA A PITOCLE

135

sospinta continuamente dall'alto in basso; oppure per un


gran flusso di venti che non possa erompere lateralmente per
la

compressione deiraria

tutt' intorno.

Quando

il

ciclone s'ab-

105

batte sulla terra si hanno i turbini ^ a seconda anche del


vario modo con cui si producono per l'impeto del vento. Se

scende sul mare

si

hanno

le

colonne marine.

possono avvenire, sia quando un vento si


trovi racchiuso nella terra, s che piccole parti di essa siano
accostate e poste in continuo movimento, ci che produce lo
scuotersi della terra. E questo vento, o vi entra dal di fuori ^,
oppure si produce per la caduta di fondi di caverne nei sottostanti luoghi, cosicch la caduta nell'aria contenutavi proI

terremoti

duce vento

'*.

Oppure per

propagazione del movimento

la

causato dalla caduta di molti fondi di caverne, e per la


percussione di questo, quando venga ad urtare contro
pili ftte e solide della terra

avvenire in diversi
I

venti

altri

^.

Per

moti possono

anche

modi.

poi possono prodursi, di

''

tali

ri-

le parti

tempo

in tempo,

quando

>tal r\ Koyvvriaiq v,ax tt]v xtvTiOiv tov jtveTj|xaTog


che l'Usener, seg-uito dal Kochaisky, pone in calce come scolio
a 61V01 (colonne marine) che segue, correggendo &q v xal in 005 voy^aicog, xCvtiOLv in CvTOiv e Yi^vT]Tai in y^vETat. Il procedimento dell' Usenet veramente arbitrario, non fosse altro perch l'unica parola che giustificherebbe il carattere
di glossa di queste parole appunto Sivrioiv che... correzione dell' Usener, al
posto di xivTjOiv punto sospetto. Si aggiunga poi che g v xal e il congiuntivo
del verbo si confermano a vicenda, ci che rende arbitraria la correzione di entrambi. L'espressione g av xaL.. y^vriTai sta benissimo; cfr. a., 75 extr., e
Demost., De cor., 192, r Jigag, wg v SaCncov |3ovA.t'0'i, Jtdvxcov y^veTai: Thuc,
I, 22 ecc. Mi pare chiaro dunque che questa frase debba conservarsi nel testo;
per prima di tali parole sar forse da porre una lacuna, in cui ibsse qualcosa che
meglio le congiunga a ci che "precede: p. e., Yv<ovTai, licog 6 xal vojid^)ovTai,
(bg v xal Hx
cio <e possono avere anche varii nomi) a seconda del vario
modo ecc. . Infatti di tali specie di venti si distinguevano varie categorie, che
avevano diversi nomi, p. e. xveqiiag, Tvqpcv ecc.
2 Per la teoria epicurea dei terremoti v. Lucr., VI, 535 sgg.
Epic, fr. 64.
3 V. Anassimandro, A 28; Anassag., A 42, p. 38.5, 21 sgg.; A 89: Archel., A 16 a.
Per la lezione delle parole che seguono v, Us., Praef., p. xx.
* Cfr. Anassimkne, A 21; Mp:trod. di Cmo, A 21.
6 Cfr. Democr., a 98.
^

Nei codici segue &q v

YtvT|Tai, parole

Anche qui

yivea-^ai dipende da un vxexai sottinteso, v. s. n.


Sulla dottrina epicurea dei venti, v. Luca., VI, 685: I, 271-294.

2, p. 116.

loe

EPICURO

136

continuatamente, ma poca per volta, determinata materia


estranea s'insinua [nell'aria], od anche per un'abbondante
accolta d'acqua ^ Del resto ^ si producono venti anche se
poca materia cada in abbondanti cavit, perch l'azione loro
si

propaga.
La grandine

per cui

si

si

forma, sia per una pi forte condensazione,

una

costituisca d'ogni parte

solida unione di de-

terminati elementi aeriformi, susseguendone poi la rottura^:

od anche per una minore condensazione

di

certi

elementi

aquei, e la vicinanza (di certi elementi aeriformi)* che ne

producono tanto l'unione che la frattura, perch la condensi forma ad un tempo per singole parti e complessivamente. Quanto alla sua forma arrotondata non impossibile
che risulti per liquefazione degli spigoli ^, od anche, nella
concrezione complessiva, come si detto, per mezzo di un
regolare agglomeramento degli elementi aquei od aeriformi
sazione

107

nelle singole parti

^.

La neve pu formarsi

sia

quando

sottile

pioggia

si

riversi

dalle nubi, per la simmetria dei pori e per forte e continua

''

1 L'ipotesi deriva dall'osservazione che venti e pioggia sono spesso concomitanti; V. Arist., Meteor., 360 b, 27 sg.
2 I codici hanno:
x 6 Xom nvev\iaxa y^verai, xal Xiyov Jteovxcov slg x

le parole x Xowt Jtveujiaxa


MOi^tfiara, iaCECos totjtcov y^'voM'vTjg
rimanenti venti >>, non darebbero senso possibile, donde il Kochalsky le considera una glossa a cui appartenga anche Y^vexai che vien dopo. Ma chi badi che
queste linee sono una tacita confutazione (cfr. p. e. s. p. 51, 3) della dottrina di
Democrito, A 93 a: cum in angusto inani multa sint corpuscula..., sequi ventum.
At contra quietum et placidum aeris statum esse, cum in multo inani panca sint
corpuscula: si persuader credo si debba leggere x 6 komv {del resto). Naturalmente anche x 5 Xom potrebbe forse mantenersi, purch inteso come del
resto, invece che nell'altro senso che finora gli diedero gl'interpreti. Ma pare
veramente strano che lo scrittore avesse lasciato correre un'ambiguit cosi grave.
3 La medesima teoria riappare in Orisippo, ap. Stob
I, 31, p. 245 W.
cfr.

nokk

DioG. L., VII, 153; Sen., N. Q., IV,


* Cfr. Antifonte Sofista, fr. 29.

3.

Meteor I, 12, p. 348 o, 34; Seneca, Q. N.j IV, 3, 5.


Epic, ap At., III. 4, 5. Seguo con il Kochalsky la lezione
tiSaxoeLcv (v. s. 105) che trovasi in tutti i codici, fuor che in F.
^ Correggo el (xal codd., v. l' identica corruzione in Ep. ad Er., % 81, e qui sopra
102) -Ulto jTveufAxcov acpobqq, invece di espungere il ai con l'Usener. Che la
neve provenga da acqua, contenuta nelle nubi, spremutane fuori, era naturai5

Cfr. Aristot.,

Cfr. Sen., ibid.;

EPISTOLA A PITOCLB

137

compressione che i venti esercitino, su determinate nubi


che abbiano qualit opportune a produrre questo fenomeno,
e questa pioggia poi si condensi nella caduta, per il forte
freddo che v' nei luoghi sottostanti alle nubi. Pu per
anche essere formata per congelamento, avvenuto in nubi che
abbiano una regolare porosit, ed esserne espulsa, quando
siano premuti gli elementi aquei con quelli adiacenti ^ E se
essi poi in qualche modo insieme si addensano e compenetrano, producono la gragnuola, ci che particolarmente avviene in primavera. Cos pure quando si sofifreghino fra loro
delle nubi condensate, possono esserne sbalzati via questi
nuclei che costituiscono la neve. Del resto la neve pu prodursi anche in diversi altri modi.
La rugiada si forma, sia per la reciproca unione di elementi dell'aria atti a produrre tale umidore; od anche quando

los

luoghi appunto ove

produce la rugiada
sollevino tali ema-

dai luoghi umidi o dove siano acque

massimamente
nazioni che poi

si

si

"^

si

uniscono insieme e formano (una pi densa)

com^ vediamo anche nei


fenomeni terrestri avvenire simili casi.^';
(La brina) si forma (in modo analogo) alla rugiada, quando
tali opportune particelle si condensino adeguatamente, per la
freddura delFaria ^.
umidit, e quindi cadono al basso,

'

mente, opinione diffusa (v. gi Ajcassimen,, A. 7 17: Anaxag., A 85): per nessuno, che io sappia, accenna, come Epicuro, alla simmetria dei pori. Per dei cfr.
;

103 extr.

Anassimene, A 17 x^-va 6 (vCveo^ai) Sxav ovp.jteQiXriqp'O-ri ti x (j'{q&


Epicuro pare invece si serva di quest'unione per spiegare la differenza fra la neve e la grandine.
2 Leggo Hax' <va>q)OQdv (codici xax cpoQdv): a torto il Kochalsky traduce
cpoQdv, Herabfallens, perch si tratta evidentemente del sollevarsi delle esalazioni umide dai luoghi aquosi. Pi sotto, mi pare opportuno, se anche non assolutamente necessario, leggere (jtaxvtQa?) vYQctoLag, {pi densa) umidit, perch tali emanazioni non possono non essere gi per s umide, venendo da luoghi
aquosi. Con l'intero passo cfr. Strato ap. Heron., Pneum., 12, 4 sgg. Schm., al
Qaoi, ovY, XX(^ vacpQovxai
Xenxvvo\ivov xov v xf) ytl ^'601x05 vji xf\q
vtt'd'vjiidoecog... tc5v otiv qocov x ^lv A.ejcxxeQa elg (iga |j,exo|3X,A.8i, x 5
jta/TJxeQa... jtX,iv elg x Hdxco cpQexai: cfr. Arist., Meleor.,1, 10, 347 a 13 sgg.:
1

Cfr.

jiveTj(AaTLxv.

ri

Zeno
3

Stoic. ap. Diog. L., VII, 153.

V.

I.

cit.

8.

n.

precedente.

109

EPICURO

138

si produce sia perch dall'acqua, per la presspremuti fuori tutti gli elementi rotondi, e si
uniscano invece quelli angolosi ed a spigoli acuti, che son
Il

ghiaccio

sione, siano

contenuti nell'acqua stessa^; oppure perch

aggiungano dal

siffatti

elementi

ed essi, conciliatisi insieme, facciano consolidare l'acqua, scacciando via un certo numero
di elementi rotondi.
L'arcobaleno avviene per i raggi del sole che si proiet-

si

di fuori,

tano contro l'aria umida ^; od anche per una speciale intima unione ^ dell'aria e della luce, atta a produrre le particolari gradazioni di colori, o tutte insieme o separatamente
ciascuna.

Donde

poi, rifrangendosi la luce, gli strati

dell'aria possono

no perch essa

si

ricevere quella

proietta contro

le

vicini

colorazione che vediamo,


singole parti dell'aria. In

quanto alla forma circolare che percepiamo nell'arcobaleno,


essa proviene perch dall'occhio la distanza percepita eguale
da ogni parte; oppure perch gli atomi dell'aria, o quelli
che le nubi ricevono dal sole, subiscono una pressione tale,
che il loro complesso s'inarca in forma circolare.
L'alone che cinge la luna si forma, o per l'accorrere dell'aria d'ogni parte, intorno alla luna, o

perch

l'aria stessa

respinge equabilmente da ogni parte le emanazioni che si


dipartono dalla luna, in guisa che le rende tutt' intorno com-

assumano quel particolare aspetto di nube


assolutamente contigua^; od anche perch [l'aria che accorre

patte e fa che esse

La spiegazione ha

4 sgg-., ove si dice clie

il

carattere democriteo, v. infatti Democrito,

135, p. 45,

caldo deriva dalle forme rotonde degli atomi. Sull'azione

moto e delle forme elementari della materia nei fenomeni di gasifcazione,


liquefazione e solidificazione, v. anche Plat., Tim., p. 58 D sgg.
2 Sull'arcobaleno, v. Lucr., VI, 524 sgg. Per la prima spiegazione, v. Anassi-

del

MENE,
3

A
La

18 e ScHOL. Arat., p. 515, 27

lezione dei codici

senza dubbio corrotta;

ma

M.

gog cpvaiv ibiav xov xs cpojTg Jtal tov Qog


la correzione dell' Usener xax jtQoiv liav troppo si

Jtax'

distacca dalla lezione manoscritta: correggo perci xax cv\i(pvoiv liav. Per
o-ujicpuoig nella dottrina ottica, vedi il testo democriteo, Dbmocr., A 135, p 47, 30:
cfr.

PosiDON. ap. Diels, Boxogr.,

p. 403, 10; cfr, p. 853 b.

Per la dottrina, v. Metrod. di Chio, A


varietatem mixtura nubium, aeris igniumque fieri.
cviicpvKia.

17

V. anche qui sotto

Plin,, li,

150

115

colorumque

* Cfr. Arist., Meteor., Ili, 372 b, 15; (cfr. 371 b, 18 sgg.). Le spiegazioni che
Epicuro d dell'alone assomigliano a quella che dava Senofane del fenomeno
analogo dell'arcobaleno, fr. 32 D.

EPISTOLA A PITOCLE
alla luna], respinge

simmetricamente

139

tutt'

intorno quella con-

modo da addensarla
forma compatta e circolare. E questo

tigua d'ogni parte alla luna stessa, in

intorno a quest'astro in

avviene perch, in determinate parti, o si produce la pressione di un qualche afflusso dal di fuori,- oppure il calore
chiude pori convenienti, in modo che possa effettuarsi questo

fenomeno ^

Comete, moti delle stelle, stelle cadenti,


pronostici del tempo.

Le comete

si

producono o quando

si

forma in

certi spazi

durante determinati tempi, un agglomeramento di


fuoco ^, che trova [nel cieloj materia acconcia al suo sviluppo; oppure perch il cielo tiene sopra la terra, in certi
periodi di tempo, un tale corso onde appariscano tali astrici
oppure anche perch essi in certi tempi, per qualche racelesti,

"*

1 Le due ultime spiegazioni credo debbano intendersi nel senso che, o si produce una spinta esterna, che fa confluire con forza l'aria alla luna, o il calore
chiude i pori dell'aria ed allora le emanazioni della luna non potendo disperdersi,
attraverso ad essi, veng-ono risospinte indietro e addensate intorno alla luna.
2 Cfr. Senofane, A 44, che considerava le comete come nubi, infiammate
EraCLiDE PoNTico ap. Ai3T., III, 2, 5: Epigene ap. AicT., Ili, 2, 6 (jiveiJuaToq vacpogv
nenvQU)\ivov) Senec, iV. Q., VII, 4 sgg. Posidonio ap. Diog. L., VII, 152.
^ V. Ippocrate di Chio ed Escuilo, A 5, p. 299, 27 sgg. Diels.: cfr. At., Ili,
2, l: ScHOL. Arat., 1091 M. Tale opinione, che considerava le comete come veri
astri i quali appariscano solo in determinati tempi, da Epicuro distinta in due
ipotesi separate r una che questa apparizione intermittente avvenga per spein
ciale moto del cielo, l'altra che accada per speciale moto di questi astri
conformit alla sua dottrina generale del moto degli astri, in cui si ammette la
possibilit di entrambe queste ipotesi (v, s. p 1:^5; 140, n. 1).
* Ci che segue, tino al fine di questo paragrafo, posto dall' Usener, seguito
anche dal Kochalsky, fra parentesi quadre, come un'interpolazione, per la struttura del periodo, nel testo greco, col verbo all'infinito senza un verbo finito reggente. Vedi per altri simili casi di tale costruzione in quest'epistola (v. s. n. 2,
:

dunque arbitrario considerare come interpolato questo periodo. Quanto


una ripetizione di ci che precede (cio della prima spiegazione recata sopra), l' Usener stesso vide che era una sua svista. Le possibilit
infatti 8on fondamentalmente due: 1) le comete non sono veri astri ma aggiop. IIG).

poi all'essere questa parte

in

EPICURO

140

gione, prendano a muoversi e vengano nelle regioni nostre

divenendo cos
per

visibili.

La

loro disparizione poi

si

produce

cause rispettivamente contrarie a quelle per cui ne

le

avviene l'apparizione.
112

sempre nello stesso luogo S pu


stia ferma quella parte
del mondo intorno a cui roti il rimanente cielo, come dicono
alcuni; ma anche supponendo che attorno ad essa si aggiri

Che

astri

certi

rotino

avvenire non solo ammettendo che

un

vortice che impedisca loro di seguir la stessa rotazione

Oppure questo pu anche avvenire, perch


manchi materia a loro acconcia, mentre ve
nel luogo in cui le vediamo. Per questo fenomeno pu

delle altre stelle

^.

negli spazi vicini

ne sia

prodursi pure per diverse altre cause, purch, nelle nostre


induzioni,

sappia badare a ci che

si

accorda con

si

fe-

nomeni.
113

Che poi certi astri vadano erranti, se tale il loro moto,


altri no ^, pu avvenire, sia perch essi, sin dall'origine,
tratti in moto rotatorio, furono costretti gli uni a muoversi
in un medesimo moto vorticoso regolare, gli altri in qualche
altro vortice avente determinate anomalie di moto ^. possibile anche che, nei luoghi in cui si muovono, si trovino,
ed

meramenti temporanei; 2) le comete sono astri che appariscono in determinati


periodi. La seconda per soggetta ad una duplice suddivisione: a) la loro apparizione avviene per il moto particolare del cielo b) oppure per il loro proprio
;

moto.
1

Si tratta delle costellazioni polari

che non tramontano mai sul nostro

oriz-

zonte; cio di quelle stelle la cui distanza dal polo minore dell'altezza del polo
sull'orizzonte:

cfr.

anche l'epicureo Diogene

di

9 sgg. W. Le
moto generale
fermo e gli astri si muo-

Enoanda, Vili,

ipotesi che si considerano sono analoghe a quelle proposte per

1,

il

degli astri, considerando la possibilit che il cielo stia


vano, oppure che gli astri rotino, sia per moto loro proprio, sia per spinta dell'aria, sia

per ricerca di alimento acconcio

(v. s. p.

125).

Lo

stesso dicasi per

il

seguente.
2

Tale spiegazione probabilmente risaliva a Democrito

Leggo Tiv

\ir\

(se. jcX.avo'd-ai)

(v.

s.

p. 125, n. 2).

togliendo xiveodai, dovuto ad una erronea

glossa introdotta nel testo.


*

Leggo x

s nax tlv' XXr\v xiaiv (codd. xar ttiv

\ia.

xiolv) vcofia>.taig

L'errore della lezione manoscritta, provenne da corruzione per iotacismo (xfiv per Ttv') e per compendio male interpretato [AM
aA,X(T)v)]. Cfr. per
l'errore dei codici le prime parole della glossa a 50 dell' Ep. ad Erod. (p. 12,

XQa)}i,vT]v.

19 Us.).

EPISTOLA A PITOCLE
punti, delle

in certi

correnti regolari d'aria che le sospin-

gano regolarmente innanzi


altri

141

e regolarmente le

ducano

variazioni

le

di questi

fatti

una

di

accendano;

modo che

punti invece esse siano irregolari, in

si

in

pro-

movimento che vediamo. Dare poi


mentre 1 fenomeni ne
da folle ed riprovevole usanza di

sola spiegazione,

consigliano parecchie,

coloro che seguono le stolte dottrine astrologiche e che a


vuoto danno ragione di ogni fenomeno * perch essi non
liberano mai la natura divina dal sopraintendere a tale mi;

nisterio

Che

^.

certi astri

loro corso

pu

^,

si

scorgano restare indietro ad

altri

nel lu

perch, compiendo la mede-

spiegarsi, sia

sima orbita, si muovono per con moto pi lento '^; sia perch muovono in direzione opposta, trascinati in senso contrario da un siffatto vortice; od anche perch, pur seguendo
il medesimo moto vorticoso, gli uni percorrono orbite maggiori, gli altri orbite minori ^. Volere poi recare un'unica
soluzione degno di coloro che vogliono darla ad intendere
ai pi

Le

^.

stelle cos dette cadenti, possono,

prodursi nei singoli

in seguito all'attrito degli astri

casi, sia

'',

sia

perch delle

parti se ne stacchino e cadano, ove avviene quella

combina-

zione di fuoco e di aria di cui abbiamo parlato trattando

Oppure per T unione

dei lampi.

Correggo

V.

'^

*
6

6
^

S.

p.

Jtdvxcov,

atomi

a produrre

atti

il iis

invece di tivcv dei codici (toxQcov Usener),

108 8g.

Cfr. l'epicureo

Diogene

di

Enoanda,

V. l'opinione di Democrito in Lucr.,


V. DioG. DI En., fr. vili, 1, Il sgg.
V. DiOG. DI En., fr. Vili, 3, 7 W.
Leggo ot Xeyfxevoi axQeq ^nninreiv

naq

di

fr.
1.

Vili,

1,

3 sgg. VV.

Lucr. V, 624 sgg.

cit.

>tal

itaQ \iQoq xar jtaQTQiTjJiv [Use-

[mia correa, per avxjv codd. veqjcv Usener]


6x)vaxai avvxeXia-O^ai xal jioq [codd. nvQq Usener] 'xjixcootv, oli v f\ xjivevudxcooiq Y^'^T'^"''-"
probabile che la correzione oxQcov fosse in margine, in fatti
sotto, in 1. 4, F ha axqcv per oxQajicv. Confronta pure la polemica degli Stoici
presso Seneca, a proposito di questa dottrina sulle stelle cadenti: JV. Q., I, 1, 9.
Illud enim ineptissimum existimare aut decidere stellas aut transilire aut aliquid
illis auferri [x;7rxcoaiv] et abradi (naQ.-zQi\\>iv). Accettando la lezione dell' Usener
questa spiegazione parrebbe tautologica rispetto all'ultima recata pi sotto.
ner

xal

TQirpiv codd.] oxQcov

''^

EPICURO

142

fuoco,

quando

si

formi queir intima unione che necessaria

a tale scopo S seguendone poi il moto in quella direzione


in cui gi erano diretti sin da principio per il modo in cui si

form la loro unione. Od anche possono prodursi per una


unione di sostanze aeriformi, in determinati nuclei nebulosi,
che poi si incendiano per il moto rotatorio a cui sono sottoposti; donde avviene in seguito la difrazione delle parti periferiche, e la caduta in quella direzione verso cui l'impeto
stesso le trae. Del resto vi sono altri modi, atti a produrre
questi fenomeni, scevri di finzioni mitiche ^.
I pronostici del tempo che si manifestano in alcuni animali, avvengono per qualche coincidenza fortuita ^. Infatti
gli animali non possono in nessun modo influire sul prodursi le procelle, e neppure v' alcun'essere divino che abbia
l'ufficio di osservare l'uscita di questi animali, per poi effet116

*
il compimento di tali pronostici. Infatti tale stoltezza
non potrebbe venire in mente neppure ad un qualsiasi essere vivente, purch solo mostri un poco pi di accortezza, e

tuare

tanto

meno

poi ne suscettibile Tessere vivente che possiede

perfetta beatitudine.

Ricordati

dunque accuratamente,

ho detto,

e potrai cos in

o Pitocle, tutto ci che

molte occasioni evitare gli errori


dei miti, e comprendere pure le dottrine a queste affini.

ti

In particolar

modo

poi

datti a

considerare

E opinione analoga a quella esposta sopra

I codici

hanno xal

?^?-oi

(p.

le

139) sulle

dottrine che

comete.

6 tqjlOl elg tcto TeXoai iiv''^xoi sloiv. L'Use-

jATj-a-ixci, certo a torto perch l'idea che le nostre


fenomeni celesti debbano fondarsi sulla cp^aio^oyCa, e tenersi
quanto mai lontane da influssi religiosi e mitici, ripetuta frequentemente in
questa epistola (v. 87, 104, 116). Perci il Lorzing e lo Heidel propongono di
leggere c^itj'&oi. Ma forse non sarebbe, credo, impossibile conservare |x^30"rlTOl
nel senso di ap-v'O-oL, infatti questa parola trovasi interpretata in tal senso nei
glossari, e gli epicurei erano censurati per poca propriet di linguaggio. Non
escluso per che si possa intendere nv-d^iiToi nel suo senso consueto, innumerabili
,(come vuole il Crnert, Rh. 3Ius., 61, p. 417), bench sarebbe un'espressione
esagerata, mentre l'allusione polemica contro i miti assai probabile, tanto pi
trattandosi di un fenomeno cos spesso interpretato come un segno della potenza

ner legge vvGi[ioi invece di


spiegazioni

dei

divina.
3

V.

Cio di assumersi una tale briga:

s.

98.

v. s. p. 108 sg.

EPISTOLA A PITOCLE

143

trattano dei primi principii, e dell'infinito e dei problemi a

questi
affetti

affini, cosi

pure quelle sui

criteri del

vero e sopra

e sul fine a cui si rivolge ogni nostro ragionare

gli
^.

senza dubbio, se considererai, come meglio puoi, contemporaneamente tutte queste dottrine, esse ti renderanno agevole
scorgere le cause dei fenomeni sngoli: mentre coloro che
non abbiano posto in questo studio la massima cura, non

rendano conto esattamente n che raggiunche a tale studio proposto.

possibile se ne

gano

il

fine

jca'O^cv: il

Kochalsky

ritiene corrotto questo luogo, perch

n'&T]

sono essi

perci non potrebbero essere qui agf?iunti ai criteri come qualcosa di diverso da essi. L'obiezione a prima vista persuasiva; ma non credo
stessi

criteri,

per re}?gH, se si considera, che i jid'^Ti, oltre essere criteri del vero nella canonica epicurea, sono anche ogf?etto dell'etica come affetti e fines. honorum et malorum, cio come piacn-i e dolori. Perci lo scrittore epicureo con essi qui accenna
alle dottrine sugli affetti (e fra essi anche i desiderii v. Mass. cap., XVIII, e nota
ivi
XXVI sgg ) come elementi della dottrina morale, ci che risulta anche da
;

quello che segue.


2

V.

s.

n. 3, p. 116.

TESTAMENTO DI EPICURO
X,

(DiOG. Laert.,

Con questo testamento


maco,

16-21).

lascio tutti

demo

miei beni ad Amino-

is

ed a Timocrate
figlio di Demetrio del demo Potamo, secondo la donazione
fatta ad ambedue, trascritta nel Metroo ^, a condizione che n
Torto e le sue dipendenze ^ lo assegnino ad Ermarco ^ figlio
di Agemorto mitilenese ed a coloro che s'occupino di filosofia

V. C.

Filocrate, del

di

figlio

Sul testamento di Epicuro e su quelli a noi giunti degli altri filosofi greci,
G. Bruns, IJie Testamente der griech. Philosophen, in Zeitschr. der Savigny-

Sliflung,

roman. Abth.,

I (1880), p. 1 sgg.

Philos. Aufs. Zeller geiv., 231 sg.

Teubner, 1914:

tilie,

Bate,

{= KL

Schr., II, 192

sgg); H. Diels,
und rm. An-

B. Laum, Stiftungen in der griech.

v. I, cap. 3; II, cap. 1.

Per

altri

testamenti di epicurei, in

cui si provvede alla successione del giardino e della scuola secondo

aveva pre-

papiro ercol. pubblicato dal Crnert in Kololes und


Menedemus, 1096, p. 82 sgg.: cfr. p. 181. Vedi anche il principio del testamento
dell'epicureo Diogene di Enoanda, conservatoci nell'iscrizione di Enoanda (framscritto

Epicuro

(v. 17), V.

mento LXVI W.), che prende

il

colorito dall'epistola di Epicuro riferita in Vita

di Epic, 22. Il testamento di Epicuro, confrontato con quelli

a noi noti degli


generale assai pi preciso ed esatto sotto l'aspetto giuridico.
11 Metroo era l'archivio di stato di Atene.
Cfr. il testamento di Teofrasto presso Dioo. Lakrt., V, 52, a cui sembra siasi

altri filosofi, in
2

'

ispirato Epicuro.
*

Su Ermarco,

il

cfr. Ei'ic, fr. 25, 36.

successore di Epicuro, v. infra. Vita di Epicuro,

Resta di

lui

un busto,

v.

Comi-aretti e

De

24 sg.:

Petra, La

villa

ercolanese, p. 263.

Epicuro.

10

EPICURO

146

ed a quelli che Ennarco lasci successori nella

di-

rezione della scuola, affinch ivi diano opera a filosofare.

Ed

con

lui,

in continuasuccessione, a quoUi che seguano la

mia scuola,
assegno la dimora nel giardino, affinch, insieme con Aminomaco e Timocrate, secondo il loro potere, la mantengano,
ed a coloro che succederanno ad essi come eredi, secondo

il

modo

pi sicuro di trasmissione, perch conservino

il

giar-

come quelli a cui l'abbiano a lasciare i discepoli della mia scuola.


La casa in Melite, Aminomaco e Timocrate rassegneranno
ad abitazione ad Ermarco ed ai suoi discepoli, finch Ermarco

dino essi pure,

viva.
18

I redditi delle sostanze da me lasciate ad Aminomaco ed


a Timocrate, dovranno compartirli nei limiti del possibile,

con consiglio di Ermarco, per le inferie in onore di mio padre


mia madre e dei miei fratelli ^, ed a celebrare, secondo
il consueto, il mio giorno genetliaco
ogni anno nel decimo
giorno del mese di Gamelione, e cos pure per la consueta
adunanza dei miei discepoli, nel vigesimo giorno d'ogni mese,
stabilita in (memoria) mia e di Metrodoro ^. Ancora celebrino
il giorno consacrato alla memoria dei miei fratelli, nel mese
e di

Sui fratelli di Epicuro v. infra, Vita di Epicuro, 3 e n. ivi.


Queste prescrizioni furono causa di acri censure ad Epicuro: v. Cicero, De
fin., II, 31, 101: quaero autem quid sit quod... tara accurate tamque diligenter caveat
et sanciat ut Amynomachus et Timocrates heredes sui de Hermarchi sententia
dent quod satis sit ad diem agendum natalem suum quotannis mense gamelione
itemque omnibus m.fnsibus vicnsimo die lunae dent ad eorum epulas qui una secum
philosophali sint, ut et sui et MHrodori memoria coltur... (102) idque testamento
cavehit is qui nobis quasi oraculum ediderit nihil ad nos pertinere post mortem
[cfr. Mass. cap., II, v. p. 55]: cfr, una nuova testimonianza su questa censura
deg^li avversari di Epicuro, nel mio studio Sopra un frammento del comico Damosseno in Rendic. Istit. Lomb. di Se. e Lett., 1917, p. 286 sgg. La continuit di questi
biinchetti epicurei nel giorno stabilito da Epicuro, provata da un epigramma
di FrLODEMO, Anth. Pai., XI, 44: cfr. anche Plin., N. H., 35, 5. E Iv-deg {Le vigesime)
era intitolata una satira di Menippo contro gli epicurei, v. Diog, L., VI, 101; ed
Ateneo chiama per dileggio gli epicurei slnaSiOTaC (i vigesimalisti). Il passo di
Cicerone, sopra riferito, serv all'Aldobrandino a correggere il testo di Diogene
Laerzio, inserendo {iiv]\ir\v) c-iduto nei codici: non credo per necessario mutare
anche aTacetaYM'SVTiv in y.ax (x> TexayfJisva, coin fa l' Usenet.
1

TESTAMENTO DI EPICURO
di Posdone e quello di Polieno
io solevo

nel

mese

di Metagitione,

147

come

^.

Abbiano cura, Aminomaco e Timocrate, di Epicuro figlio


Metrodoro ^, e del figlio di Polieno, purch vivano con
Ermarco e con lui s'applichino agli studi filosofici. Similmente abbian cura della figlia di Metrodoro ^, e quando
abbia raggiunta l'et, di nozze, la diano sposa a quello che
Ermarco scelga dei suoi discepoli, purch essa si comporti
bene ed obbedisca ad Ermarco, Per il loro mantenimento,
Aminomaco e Timocrate, ogni anno, assegneranno dai miei
redditi, quanto ad essi, consigliandosi con Ermarco, sembri
opportuno.
Diano ad Ermarco condiritto sui redditi, affinch ogni
disposizione si prenda con partecipazione di lui, che meco
invecchi negli studi filosofici e che io ho lasciato duce dei
miei discepoli. E la dote alla fanciulla, quando giunga ad
et da marito, compartiscano Anjinomaco e Timocrate, desumendo dalle sostanze presenti quanto sia opportuno, in
accordo con Ermarco.
Abbian cura anche di Nicnore, secondo io feci, affinch
tutti quelli che meco filosofarono, e sovvenendo ai miei bisogni con le loro sostanze ^ e dandoci ogni prova di affetto,
vollero con noi incanutire negli studi filosofici, non abbiano a
patir bisogno alcuno, per quanto il nostro potere lo comporti.
Tutti i libri che io posseggo diansi ad Ermarco. Se caso
umano ^, incolga ad Ermarco prima che i figlioletti di Metrodoro giungano a maggior et, provvedano Aminomaco e
Timocrate, secondo il possibile, ai bisogni loro, se bene si
conterranno, dalle sostanze da me lasciate in eredit.

it

di

3
*

Su Polieno y. infra Vita, 24 e n. ivi.


Su quest'uso di Epicuro v. papiro 176, e. 22; Gompkrz, Hermes^Y, p. 388.
Su iMetrodoro v. infra Vita di Epicuro, a2 e n. ivi.
Forse Danae, v. Athbn XIII, 593 e; Droysen, Hellen.^ III^, 1, p. 377, figlia
,

Metrodoro e dell'etera Leonzio.


6 Su questi sussidi dati ad Epicuro, v. fr. 27.
'Ev 08 TI vd-Qcjjrivov
la solita formula eufemistica usata dai Greci, per
non nominar la morte, ci che pareva di cattivo augurio.

di

20

21

EPICURO

148

Provvedano ancora a
da noi stabilito, affinch

secondo fu
adempiute, per quanto

tutte le rimanenti cose,


tutte siano

sia possibile.

Dei miei schiavi lascio libero Mis S Nicla, Licone. Fedrio


pure lascio libera.

V. infra Vita di Epicuro,

3.

FRAMMENTI
SENTENZE VATICANE
Allocuzione epicurea
I-II

111

= Massime

= Mass.

capitali, I-II.

cap., IV.

* IV. Facilmente contemptibile ogni dolore

massimo spasimo ha minimo tempo,


ha blanda pena ^.

V = Mass.
Yl

= Mass.

perch se ha
perdura

se nella carne

cap.y V.

cap.,

XXXV.

Che r ingiusto non sia scoperto difficile; che


mente confidi di non esser scoperto, impossibile ^.
VII.

VIII

= Mass.

cap.,

XV.

IX. Brutta cosa necessit,

non

necessit

sicura-

necessario

ma

vivere sotto T imperio della

^.

1 'EjtixotjQO'u Qoocpvnoig.
Su queste massime, mancanti quasi tutte agli Epicurea deirUsener, perch scoperte pi tardi, vedi sopra p. 35 sgg. Segnai con
asterisco quelle che non si trovano negli Epicurea, tra parentesi quadre rac-

non son d'Epicuro, ma di qualche suo discepolo.


Tusc, II, 19 44; 178, 38; Mass. cap., IV e n. ivi: Plut., de aud.

chiusi quelle che


2

V. Cic,

poet., 14, 36 b.
3

Cfr. Mass. cap.,

Epic. beat

6,

p.

XXXV.

1090 e, e

nuovo testo ci era in parte noto da Plut., Adv.


da Skneca, Ep., 97, 13 che cita il detto epicureo:

Il

potest noccnli conlingere ut lateat, latendi fides


*

non

potest.

Questa sentenza s'aveva prima nella versione

di Seneca, >., 12, 10,

ma-

150

EPICURO

[X

(==

Metrod.,

mortale ed a

finito

fr.

37 Krte

tempo

*).

Ricordati che nato a sorte

di vita, per l'indag-ine della na-

tura assurgesti all'infinito ed all'eterno, e contemplasti:


'quello eh' ora e sar e fa nel tempo trascorso

2],

* XI. Nella maggior parte degli uomini quiete accidia,


attivit insania.

Xn-Xlll = Mass. Cap., XVII; XXVII.


XIV. Una sol volta si nasce, n pi si rivivr,

e dovremo
non signore del tuo dimani,
procrastini il godere
cos la vita nell' indugio vanamente si
strugge, ed ognuno di noi senza concedersi mai requie si
muore ^.

non esser pi

in eterno; tu per,
:

lum

est in necessitate vivere, sed

in necessitate vivere necessitas nulla est. Per neintendi l'imperio della fortuna e delle circostanze avverse, che
del resto poco potere hanno sul saggio (v. Mass. cap., XVI: Seni, vat., 44), e da

cessit (vdYHTj)

quando non

modo alcuno di vivere felice e libero, pu sempre


Seneca aggiunge subito dopo: patent undique ad libertatem
viae multae breves, faciles : agamus deo gratias, quod nemo in vita teneri potest,
calcare ipsas necessitates licet. Come si vede questa massima dimostra falso ci
che da qualche dotto storico fu scritto, e da altri pappagallescamente ripetuto,
che cio la dottrina di Epicuro condannasse il suicidio. Vedi del resto Cic, De fin.,
I, 19, 62: Sent. Vat., 38 e n. ivi. Epicuro restringe di molto le cagioni ragionevoli
(v. Sent. Vat., 38) di darsi la morte, ma non nega punto che ve ne possano essere.
1 Questa bella sentenza ci era gi nota come di Metrodoro, da Clemente Alessandrino {Slrom., V, 138, p. 732 P), con qualche differenza di lezione: preferibile
per quella del nostro gnomologio. Solo utile l'aggiunta, presso Clemente Aless.,
del vocativo o Menestrato , dopo la prima parola, aggiunta che certamente
genuina, e che ci fa congetturare questa massima fosse tolta da un'epistola.
2 Omero, II., I, 70. Con l'accento ispirato di questa sentenza, e l'entusiasmo
onde qui si parla della scienza, cfr. Lucr., Ili, 16 sg. Nam simul ac ratio tua
coepit vociferari Naturam rerum divina mente coorta Diffugiunt animi terrores,
moenia mundi Discedunt, totum video per inane geri res... JVec teilus obstat quin
omnia dispiciantur Sub pedibus quaecumque infra per inane geruntur: His ibi me
rebus quaedam divina voluptas, Percipit atque horror, quod sic natura tua vi Tarn
manifesta patens ex omni parte reteclast.; I, 74, omne immensum peragravit mente
animoque (Epicurus),
3 Anche questa sentenza c'era nota, con qualche variet di lezione, dallo Stobeo
e da Plutarco. Cfr. la Sent. 30. Come in quest'ultima, anche qui riecheggia probabilmente il ricordo di ntifonte (fr. 50: 53 D). Alle ultime parole allude forse
Seneca, De brev. vitae, 7, 3; 20; 3 adeone iuvat occupatum mori: v. anche l'oraziano carpe diem quam minimum credula postero.
cui egli,

vi sia pi

sottrarsi con la morte.

FRAMMENTI

151

* XV. Le nostre abitudini, come cosa a noi propria, le pregiamo, siano esse eccellenti ed invidiateci dagli altri o no
;

cos

dobbiam

fare di

quelle dei nostri vicini, se siano in

dulgenti ^
* XVI. Nessuno che scorga

come

scatone,

ne preso ^.
* XVII. Non

ma

il

male

il

un bene

lo presceglie,

rispetto a

giovane devesi stimar


fiore

^,

ma

ade-

maggior male,

felice e invidiabile,

vecchio che visse una vita bella; perch

il

culmine del suo

al
il

fosse

se

il

giovane,

volubile ludibrio della fortuna;

vecchio invece alla vecchiezza come a securo porto approd,

e quei beni che

prima ansioso

e dubitosaraente

ha

ora tiene a s avvinti in saldo riconoscente ricordo

sperati,
*.

il commento di questa sentenza v. V Appendice.


questa massima dato dall'editore con lezione inaccettabile,
per correzioni inopportune: legjyi oveli; pXjrcov (pX,TCTcov cod., corr. Wotke) x
xaxv alQeLTat avr, kX eXeao'&eiq cbg ya'&w jtQg x p-et^ov a'xov xaxv '&T]Qexyr\. A costituire cosi la lezione, nel modo pi fedele a quella del codice, contribu
massimamente il Crnert, Rh. Mas., 61, p. 420. Quanto a me non credo neppur
1

Per

II

il

testo e

testo

di

necessario mutare x p-s^ov in xl

\ielt,ov,

come

e;i^Ii

vuole: giustamente poi

il

Crnert vide che deve intendersi zXeaa-Q^slq xc xaxw wg ya'O'w (o\JYHQivop,vq)) jcQg
T Hx [cfr. fr. 48]. Nel senso generale per non mi pare i critici abbiano visto il
giusto. Perch secondo l'interpretazione dell' Usener, si crede che in questa massima si parli del sag{?io, il quale pronto a scegliere anche il dolore, quando ne
consegua un maggior bene (cf. fr. 7l). Interpretazione che per resa impossibile
sia da eXeaa'&elq come da 'OtiQsv'O'T] infatti anche la traduzione che il Crnert
ne d (nemo sanus per se eligit malum quod videt, sed comparato maiore quo:

dam malo lanquam bonum

amplectilur) infedele al testo.

Deve

intendersi

dunque

ma

dell'uomo del volgo, che anche quando fa il male non lo fa


perch proprio cerchi il male per s, ma per ignoranza del vero bene, e per evitare un male che a lui sembri maggiore. questo il concetto comune a Socrate
e ad altri filosofi, cio che nessuno per deliberato proposito faccia il male, ma
che malvagit sia ignoranza (v. Plat., Pifoiag., 345DE: 358D: Arist., IWi. Nic,
Magna mor., I, 9, 1187 a 7 sg.) per Epicuro cfr. Cic, De fin.,
III, 7, 1114 a 31 sg.

non

del saggio,

I,

10, 33:

Mass. cap.,

XXV;

e particolarmente

fr.

39.

codice ha vog x^fj che probabilmente pu mantenersi; al pi, se mai,


correggerci ve^xTjxo)? xixii ( per l'esuberante fiore della giovinezza ). Xon mi
i*

Il

soddisfano

le

correzioni vxg xp-iig Usener, vog xp,riv Crnert:

xfxfj richiesto,

non solo, come vide bene il Tlionias, per il contropposto che segue (xw YQ<;i), ma
anche perch nel culmine della giovinezza le passioni sono pi vigorose e temibili.
* Leggo con
codici a(faXei naxa/.XeLaag x'^Q'-''''' * torto mutato dall'editore
in x<Qa''> guastando il bel concetto: vedi infatti Ep. a Menec, 122 e mia nota ivi:
v. anche
cfr. le mie osservazioni in Atene e Roma. A. XI, e. 313 n. e Crnert, 1. e.
i

Sent., 19, 75, 55.

EPICURO

152

* XVIII. Togli la vista,

conversare,

il

il

contatto assiduo,

e svanisce la passione d'amore.


* XIX. Immemore del bene goduto, nel giorno che fugge

gi vecchio

*.

XX = Mass.

cap,,

*XXI. Non
remo saziando

XXIX.

violentare la natura,

ma

obbedirvi: v'obbedi-

desideri necessari, e quelli naturali se

nuociano, quelli dannosi refutando aspramente


Mass. cap., XIX.
X^ll

non

^.

XXIII. Ogni amicizia per se medesima desiderabile,

*
s*

inizi dall'utile

XXIV. Non hanno

ma

^.
i

sogni natura divina, n virt divi-

ma vengono da afflusso di simulacri'^.


XXV. Povert commisurata al fine naturale,

natrice,

chezza grande: ricchezza ove non

sia

ric-

misura, gran po-

vert ^.
* XXVI. Sappi che a lungo e breve discorso proposta una
sola

meta

^.

*XXV1I.

In ogni altra occupazione nostra a mala pena

dopo compiuta giunge

frutto

il

ma

nella filosofia al conoscere

1 A torto si dubit delle parole yQcov T'ri}x8Qov''YY8VTiTai, ed il Gomperz propose di correggere ysgcov x']\x, cpqvtiolv. Non si vide infatti che questa sentenza
un'eco indiretta dalla massima popolare che troviamo in Teocrito, XII, 2: ol

8 Tio'&evvxeq v

r\\iaxi

yeQay.ovaiv

ricordo dei beni goduti, sempre

II

saggio, che sa conservare riconoscente

il

sempre si serba giovane (v. Ep aMenec,


122), chi invece oblia il bene goduto e va in cerca continuamente di un nuovo
piacere, perde questa giovent dello spirito e sempre ha il rimpianto, proprio del
vecchio, di ci che non pu pi avere. Del resto chi non seppe godere del bene
che ha avuto, non ne arra mai di pi, eadem suni omnia semper, y. Lucr., Ili,
li

rivive e

940 sgg.: 1003 sgg.

Mass. cap.,

cfr.

V. Vita di Epic,

XXVI; XXIX

120 e le

sg.

mie osservazioni

in Riv. di FiloL, 1909, p. 76 sg.

Mass. cap., XXVII: Sent. vat., 78.


* Su queS'i simulacri (ei5coA,a) che producono i
sogni, v. mie note ad Ep. ad
Erod., 46, i9 sgg.; Luca., I, 102, sg Contro l'arte divinatoria v. anche Vita di
Epic, 135.

cfr.

5 Allude a questa sentenza Seneca, Ep., 4, 10: magnae divitiae sunt lege naturae composita paupertas.: cfr. anche fr. 49. V. anche Mass. cap., XV, fr. 48.
6 Cio, lungo e breve discorso debbon solo mirare alla chiarezza ed al convincimento: v. Vita di Epic, 13: cfr. infra Sent., 82.

FRAMMENTI

153

s'accompagna la gioia; non infatti piacere dopo l'apprendere,


ma apprendere e insieme gioire K
*XXVni. Verso l'amicizia non si pregino n i faciloni
n i restii, poich per l'amicizia devesi pur affrontare il bel
pericolo.

* XXIX. Con ardita voce, anche se nessuno mi dovesse


comprendere, preferirei, indagando la natura, proclamarne i
responsi a tutti salutari ^, anzich adagiato ai pregiudizi,
godermi la lode che fitta mi profondano le turbe.
[XXX (= Metrod., fr. 53 Krte). V' chi nella vita intera
s'accumula di che vivere, non considerando che, per tutti
noi, mortale fu propinato il filtro della nascita^].
XXXI. Contro ogni altra cosa pu apprestarsi sicurt,
ma per la morte abitiamo tutti una citt senza baluardi *.

Per la dottrina

cfr.

Diogene

Exoanda,

di

tenza dal Krte attribuita a Metrodoro

(fr.

fr.

XXVI Williams. Questa senma proprio senza alcuna

47 K),

ragione.
2 V. Luca., V, 110 sg. Qua prius adgrediar quam de re fundere fata Sanctius
multo certa ratione maj^is quam Pythia quae tripode a Phoebi lauroque profatur: vedi l'allusione ironica in Cic, De nat. deor., I, 66 Haec ego nune physi-

et

corum Gracula fundo.


Questa sentenza

come

Metrodoro in una forma pi ampia dallo


le parole s'accumula di
che vivere, segue: come se dovesse vivere ancora dopo questa che chiamasi
vita. Tali parole, che l'Usener crede genuine, sono rifiutate come spurie dal
Gomperz. Che per siano veramente genuine e contengano una allusione ironica
contro gli orfici, per cui la vera vita non il vivere ma la morte, credo mostri il
confronto con Emp., fr. 15 e mio comm. ivi; infatti un'allusione ai culti mistici
vedremo essere anche nel fine di questa sentenza. Alla forma pi ampia fa pensare anche il confronto con il frammento 53 a di Antifonte che lo scrittore di
questa massima doveva ricordare: V' chi la vita presente non vive, ma con
gran cura molto si appresta come se un'altra vita dovesse vivere, non questa presente. Frattanto il tempo negletto se ne fugge. Quanto alle ultime parole della
nostra sentenza g nroiv i\\,\ davdoi(iov kyixvxai x xfjg y&viazaz (pciQuaxov,
non parmi siano state intese bene: il Gomperz infatti, che solo se ne cur, traduce:
un processo di avvelenamento che prese inizio con la nascita. Credo invece si
alluda ironicamente alla bevanda leta che, secondo gli iniziati, l'anima rinascente beveva prima di ritornare nel mondo. Si noti poi che le ultime parole sono
riferite non a Metrodoro, ma ad Ei)icuro dal gnomologio palatino, 129, f. 23, 1. IO.
Tuttavia che a Metrodoro e non ad Epicuro debba attribuirsi questa sentenza, mi
fa pensare il colorito poetico che proprio di altre massime di Metrodoro: vedi
^

Stobeo, Fior., XVI,

p. e. Seni.,
*

20.

riferita

di

Nella lezione dello Stobeo, dopo

10; 47.

Ad Epicuro

attribuita questa

citato sopra, e l'Usener la pose fra

massima anche dal gnomologio palatino


framnseuti epicurei

(p. 228),

bench poi

si

EPICURO

154

XXXII. La venerata

(parola)

del saggio gran bene di

chi la venera.

*XXXII1. Grida
non

sete,

carne: non soffrir farne, non

la

con (Giove) pu contendere in

XXXIV. Non

soffrir

freddo; questo chi ha e speri avere, anche

soffrir

felicit^.

tanto ci occorre aiuto dagli amici, quanto

confidare del loro aiuto

^.

*XXXV. Non
di quello

che

ti

corrompere il bene presente col desiderio


manca, ma considera che anche questo che

ora possiedi era nei tuoi voti

[XXXVI. La

^.

vita di Epicuro posta al paragone dell'altre,

per gentilezza ed intima sicurt^, si stimerebbe leggenda].


* XXXVII. Debole la natura verso il male, non verso il

bene
*

perch dai piaceri ha salute, dai dolori ruina ^.


Pusillo
affatto, cui sono molte cagioni ra-

XXXVIII.

''

gionevoli d'uscir di vita!

a Metrodoro,

quale assegnata
di Metrodoro per
la stessa ragione per cui credo di Metrodoro la sentenza precedente.
' Il codice ha: xov aocpov ae^aaxq ya'&wv
[lex xwv oe(3o|x8vcov axi. Quanto
ad ya'O'tv fu gi corretto con ragione dall' TJsener in ja-&v, cosi pure \iexa. in
[i,sya: xcv os|3o|xva)v preferisco conservarlo anzich correggere x ae^o\iv( con
l'Usener. Rispetto poi a oe^aaxg, cos solo come nel testo non ha senso, e
rUsener lo corregge in ae^aa\iq {venerazione), ma il confronto con il fr., 32 che
si riferisce alla medesima dottrina, c oePonvco yQ ^ol x tts uq)'fi(xcv Xeysia mostrato pi favorevole all'attribuzione

dallo Stobeo, Fior., 118, 33.

al

Quanto a me propendo a crederla

credo ci conduca a leggere, come ho fatto, ... oePaoxg (^yog).


Elementi dispersi di questa sentenza si avevano in fr. 46; il; cfr. anche
testimonianze recate dall' Usener a p. 39, 16 sg. Con la prima parte cfr. Lucr.,

ixeva,
2

le
II,

16 sg. cit. s. p. 47 n. 5; col ^no. cfr. Epiat. a


3

Cfr. Sent., 39;

Menec,

135.

XXVII sg.: XL.


fr. 92. Un ricordo

Mass. cap.,

* Cfr. Ep. a Menec, 127,


di questa massima forse, per
quinto credo, nel principio della Satira VI del 1. II di Orazio, v. p. 1 sgg. Hoc
erat in votis... Bene est nil amplius oro... veneror stultus nil horum: osi angulus
ille Proximus accedat, qui nunc denormat agellus!
5 avxaQKELag: la parola greca polcroma e mal si potrebbe rendere in italiano, essa indica la virt di chi basta a se stesso, e se pu indicare anche continenza, sobriet, tradotta in tal modo il valore ne sarebbe sminuito. Quanto alla
sentenza non pare possa essere di Epicuro, ma d'un discepolo; l'Usener l'attribuisce ad Ermarco, che a lui sopravvisse: v. Vita di Epic, % 24 sg.
Cfr. la confutazione di Plutarco in Adv. Epic. beat., p. 1088 B; cfr, i miei
:

Studi Plularchei in Riv. di Filol., 1916, p. 267.


7 II cod. ha (XLHQq, che non bene l'Usener e l'ed. correggono in oIxtqs {degno
di compassione), togliendo forza al pensiero espresso: se mai, leg-gi
cfr. fr. 97

(f)

xaneivi]

ipvxfi).

Per

la dottrina v.

jALj<Q<'i|iJxo)g;

Vita di Epic, 119: Sent. Vat.

9.

FRAMMENTI

155

* XXXIX. Amico non chi sempre cerca Futile, n chi mai


congiunge all'amicizia; perch l'uno traffica il ricambio al
benefizio, l'altro recide la fiduciosa speranza per l'avvenire ^
* XL. Chi dice che tutto avviene secondo necessit, nulla ha
da riprendere a chi nega che tutto avvenga secondo necessit;
perch anche questo afferma che avviene secondo necessit ^.
*XLI. Sappiasi ridere^ e filosofare ed attendere alle cose
domestiche ed esercitar ogni altra facolt nostra, e non cessar
mai di proclamare i responsi della retta filosofia
lo

'*.

V. Sem., 28, 23.


L'editore pubblica cos

aiux y^e xox cprioi v.ax^ .vyvn\w


l' ultima parte:
che svisa il senso dell'argomentazione, arbitraria
mutazione ed aggiunta dell' Usener, il quale appiccic a questa sentenza y^Xv
che nel codice la prima parola della seguente, correggendolo per di pi in
YA,a)v. Che tale lezione sia da rigettarsi apparir anche dalle testimonianze che
riferiremo alla sentenza seguente. Epicuro dice: Chi afferma che tutto avvenga
secondo necessit, non pu riprendere l'afFermazione opposta de! suo contradittore, perch essa, per la stessa dottrina della fatalit universale, un'affermazione necessaria. Per comprendere meglio il pensiero di Epicuro occorre riferirci
ai frammenti del n. ^vaewc, sul libero arbitrio pubblicati dal Gomperz in Wiener
Studien, 1879, p. 28 sgg. (che strano non siano stati usufruiti a questo proposito neppure dal Gomperz stesso), ove si dice che la possibilit di persuadere
altri dell'errore, v' solo ove vi sia libert di determinazione, perch se tutto
avviene di necessit, non si pu aver fede che a noi sia sempre intervenuta la
causa necessaria di ragionar giusto ed a un altro quella di ragionar falso (vedi
1. cit., p. 30, 85 8g.). Come si vede dunque il testo v.a conservato quale nel codice.
Non si bad poi che, per un singolare ricorso, questa sentenza ed il passo citato
del 3t. q)ijaeco^ hanno strettissima attinenza con l'argomentazione del Lequier,
adottata dal Renouvier in difesa del libero arbitrio (v. JRexouvier, Psychologie rationelle, H, e. XVIII, p. 320 sgg., 419: Dilemmes de la metapfiysique pure, verso
il fine): cio che, o si deve ritener vera la necessit o la libert: nel primo caso,
sia che io anunetta la libert, sia che ammetta la necessit, la mia opinione sar
necessaria. Cos se affermo la necessit non potr mai garantire che sia reale,
perch ugualmente necessaria l'affermazione opposta. L'argonientazione procede
nell'esame delle altre alternative, che non importa a noi ora considerare.
3 Leggo con il codice (v. n. prec.) yeXv fina Selv xx. Che yeXv sia affatto
legittimo e non vada tolto risulta dal Filodkmo, jc. 'E:ii,x fr. IX, pubblicato prima
da D. Bassi in Misceli. Ceriani e poi con acute nuove letture del Vogliano e con
integrazioni del Vogliano e mie in Rii\ di Filai. 1915, j). 538 sg., frammento in
cui, come ho notato ivi, si dice appunto il medesimo che si afferma in questa sentenza: perdi pi un'allusione malevola a questa affermazione epicurea credo sia
in Plut., De defectu orac, 19, p. 420 (p. 1:60 Us.) el 6 XQH Y^^&v v cpiXoooq)t(j, a
cui segue una confutazione epicurea. Cfr. Mktrod., fr. 32 K.
* qjcovg... cpivxas: cfr. Luca., V, 52 sg. Multa ac divinitus... dare dieta suerit
3

YlYvecd^ai y'Kiv.

Ma

y^cov,

(EpicuruB).

EPICURO

156

Ad un sol punto sorge e si gode il massimo bene *.


*XLIII. Amor del danaro contro giustizia empio; secondo giustizia brutto: perch fa vergogna sordido risparmio, anche in uomo giusto.
*LXIV. Venuto al paragone rispetto alle necessit della
vita, il saggio sa pi largire che ricevere, tanto tesoro d'intima sicurt e indipendenza dai desideri in s possiede ^.
* XLV. Non artefici di vanti o di ciance, n ostentatori di
ambita dottrina presso il volgo, produce T indagine della na* XLII.

tura;

ma

sdegnosi spiriti^, in s securi, orgogliosi dei lor

propri beni, non di quelli della sorte.

*XLVI. Le

quasi uomini malvagi


nocquero, lungi da noi discacciamole.
[XLVII (=Metrod., fr. 49 Krte). Ti prevenni, o Fortuna,
e da ogni tua insidia mi premunii: e non a te, non ad altro
cattive consuetudini,

che lungo tempo

ci

frangente m'arrender:

ma quando

sia necessit dipartirci,

assai sputacchiando la vita^ e quelli che ad essa stoltamente

appiccicano ^, con bel peana


che ben per noi s' vissuto^.]
si

ci

dipartiremo, proclamando

1 Non credo che questa sentenza sia stata giustamente interpretata riferendola alla dottrina espressa da Epicuro nel fr. 93 (conservatoci da Seneca) moleslum est semper vitam tnchoare', mentre diverso ne il contenuto. Il massimo bene
il piacere (v. Ep. a Menec, 129), ora, come si vede dalla Mass. cap., Ili, Epi-

il piacere sia una v^veoig e non una


contemporanea presenza di piacere e di dolore,
donde risulterebbero i piaceri misti, detti falsi piaceri da Platone.
2 Per 1' a-xdQxeia del saggio v. Ep. a Menec, 130.
3 Leggo con il codice ooPaQovg, che dall'editore e dai critici fu mutato variamente (oo(3aQou5, cppovs, 'O-oQvjSous) credo per a torto cfr. Dante, /n/'., Vili,
44 sg. alma sdegnosa. Benedetta colei che in te s'incinse!
4 Gli epicurei amano questo modo energico di esprimere il disprezzo: v. Epic,
fr. 38: Metrod,, fr. 62 K.
Philod., jt. "Ejttx., fr. IV integrato da me in Riv. di

curo neg'a (contro l'opinione platonica che

cuoia), che possa esservi quella

Filol., 1915, p. 531 sg,


5 Leggo con il codice jiegutA-aTTOfivoig (l'ed. jtsQiJt^exofxvois). Si noti
che il
verbo bene indica la tenacia con cui gli stolti si appiccicano alla vita, come i
molluschi si appiccicano agli scogli; v. Arist., Hist. An., IX, 37: cfr. OLI, I,
97, 12 immodice ne quis vitae scopulis haereat.
6 Questa massima era gi in parte nota come di Metrodoro (fr. 49 K)
Alle
testimonianze del Krte aggiungi pap. ercol., 1670, fr. Oxf. 1424 (edito dal Bassi

in Riv. di Filol., 1916, p. 59; v. le


p. 253).

Con

la fine cfr. Diog. di

mie interrogazioni e oss. in Riv.


Enoanda, fr. II, col. 10 sg.

di Filol., 1917,

FRAMMENTI

*XLVIII. Sforzarci

157

render rultimo cammino migliore


giunti al termine, con
avanza

di

del precedente, finch la via

misura

allietarci.

XUX-L =

Mass. cap., XII; Vili.


* LI. Apprendo che, per lo stimolo carnale
proclive ai piaceri di Venere. Ebbene, se
i

buoni costumi, e non offendi

il

non

^,

sei

troppo

violi le leggi ed

tuo prossimo, e non emaci

non profondi le sostanze, datti, a tuo arbitrio,


Bada per che non possibile non esser ridotto in alcuna di queste necessit perch piacere di Venere
non giova mai pur molto se non nuoce ^.
la carne, e

al tuo talento.

*LII. L'amicizia* tutta intorno trascorre la terra, lanciando a noi tutti l'appello di destarci all'encomio della
felicit.

codice legge ttjv vaxqav xr\q jtQoxQag, mutato dall'edit. in x'nv voxeMa la lezione del codice va benissimo, come osserva giustamente il Cro-

II

Qaiav...

nert, data l'elissi comunissima di q [cfr, infatti Ep. a Pitocle, 96 e mia n. ivi].
Errata invece certamente la lezione del codice v o 6c5, ma anzich v 6w,
che d l'editore, credo debbasi correggere v (jcc)o6cp: il concetto espresso da
jtQoSog infatti suggerito da ci che segue (neiv 6'jrl jigag lA.'O^cojiev) lo
spirito aspro e l'accento, sarebbero la correz. soprascritta mal letta. In principio
della sentenza ho conservato, come nel testo, l'infinito con l'elissi di 6e o 8ov
(cfr. Ep. a Pitocle, 85 e n. ivi). Cfr. il medesimo uso in Marco Aurelio, XI, 10;
:

vili, 13; 30 ecc.


2

TTjv

Kax odQKa

y.ivr\aiv

cfr.

Plut., Adv.

OoL,

27, 1122

E; Contr. Epic,

2,

108 B.

ner,

Per la

'H
f|

fine, v.

(piA,ta,

cos

il fr. 8,

il

codice

cpiX-ooocpCa Ilartel,

del Simposio di Epicuro: cfr. Cic, Tusc. disp., V, 33, 94.


:

ma

Weil.

variamente 'HXiov ocpoga Usesi sia badato all'allegoria


che esprime una figurazione affatto

critici corressero

strano per che non

di Venere nel proemio di Lucrezio, v. s. p. 39,


analoga e giustifica la lezione del codice. Ho tradotto amicizia, ma l'espressione pi precisa sarebbe, mutuo affetto, perch q3iX,Ca ha un senso pi vasto che
amicizia. Quanto valore Epicuro desse all'amicizia appare dalla Sent., 78. Nel
fine, il Weil crede si debba correggere ini xv [iaxdQiov (3iov, invece di :tl xv
p.axaQiO|iv, come legge il codice; perch, dice, ci che qui importa, l'essere felice,
non g proclamarsi tale. Non credo per penetri sottilmente nello spirito epicureo
per gli epicurei infatti la lode della felicit che il saggio pu raggiungere un
elemento essenziale della loro predicazione morale; ed essi prediligono questo orgoglioso vanto (V. Ep. a Menec, 135 e mia n. ivi), perch quasi uno splendore
divino diffuso sulla vita umana, essendo pari la felicit del saggio a quella
degli di. E tale lode non solo incita a saggezza, ma un mutuo omaggio
che
saggi si dcibbono l'un l'altro (v. Plut., Adv. Col., 17, p. 1117 B: Contr. Ep.
:

beat.^ 7, p. 1091

B, e Puilod.,

jt.

'Ejcix., fr.

IX,

lin. 17

sgg. quali le pubblicai in

EPICURO

158

*LIII. Niuno s'invidii: i buoni ne sono indegni, i malvagi,


quanto pi sono avventurati, tanto pi da s medesimi si
danneggiano.
LIV. Non per finta filosofare, ma filosofar davvero necessario: perch non di sembrar sani, ma di vera salute abbiamo bisogno ^
* LV. Medica le sventure con riconoscente memoria del
bene perduto, e considerando che non si pu fare che non
sia ci che avvenne ^.
* LVI-LVII. Non pi soffre il saggio posto alla tortura,
che se vi sia posto Tamico, (e per lui pronto a morire; perch se tradir) Tamico, tutta la sua vita per T inquietudine
sar sconvolta e sovvertita

^.

Riv. di FiloL, 1915, p. 578 8^,)- Siccome poi, secondo Epicuro, veri amici sono i
saergi perch soli sanno godere dell'atarassia (v. Mass. cap., XL) naturale che
inviti a proclamare il loro comune pregio. [Che la lezione del codice
mi accerta ora il confronto con Dionys. episc. n. cpvaecog ap. Eus. Praep.
XIV, 27, 8, p. 782 e, che evidentemente ebbe sott'occhio questo testo od uno

l'amicizia

li

sia esatta,
ev.

consimile: ovtco mdvxag


vovg xeCvoig xog -deoig

Questa sentenza

Per

atl T'r\y

xov

(xa>taQiO|j,o'0

:iiaQaMaA,8t (se.

ci

era gi riferita

la dottrina cfr. l'inizio delV Epistola a


2

Con l'ultima parte

citx'

di

tovtov iiexovaiav

|onoiO)'d"iioo|x-

Epicurus)].

questa sentenza

come

di

Epicuro da

altri

gnomologi.

Meneceo.
cfr.

Simon.,

fr.

52: x

yQ vevevirinvov

QEHxov Eoxai.

3 L'editore divise in due sentenze diverse l'unica massima data, con lezione
lacunosa, dal codice, che legge: X-yet nv oocpg co |xaXX.ov oxQepX.ovp.evog xv
q)tX,ov |3ios a-xo jtfis 5i' jtiotCag avyxv''x\o&T:a.\, v.aX vaxexaixiofivog eoxai L' Use-

ner, che l'editore segue,

acutamente integr oxQspXoufxevog

pXo'unevov) xv (fVkov. Per pi tardi la prima parte

si

(a'xg

f|

qcv oxq8-

trov completa nel gno-

mologio del cod. palai, gr. 129 di Heidelberg (v. Wiener stud., 1890, p. 209) in
questa forma: Xyel (a. . o. o fi. oxQ8|3Xoijp-svog fj axQ^Xov\ivov xo^O cptXov, e
quantunque l'Usener creda che questa redazione provenga da correzione dotta,
non vedo perch non si debba considerarla genuina. Quanto al rimanente della
sentenza ( ptog xx.) l'Usener e l'editore lo considerano come una sentenza lacunosa che debba stare a s. Ma credo abbia ragione il Thomas di attenersi fedelmente all'attestazione del codice che la unisce alla precedente e di pensare si
abbia in queste parole la seconda parte del pensiero espresso nelle precedenti.
N deve stupirci che nel gnomologio palatino manchi la seconda parte, perch
anche la sentenza 30 ivi riferita monca. Non posso per accordarmi con lui
nell'integrazione. Leggo dunque f| ozQE^Xov\ivov xov cplkov, (xal -JiQ O'xoij xed^vri^exat el yQ 3tQof]aexat> xv q)tA,ov pCog avxc xx Per la dottrina v. Mass.
cap., XXVIII e mia n. ivi: Vita di Epic, 120 (e n. ivi); 121; Plut., Adv. Col. 8,
1111 B. E noto come la tortura fosse adoperata come mezzo per ottenere delazioni.

FRAMMENTI

159

*LVIII. Sciogliamoci dal carcere degli

affari e della po-

liticai

* LIX.
*

Non

LX. Dalla

giunto

il

ventre insaziabile, come dice

il

volgo,

ma

opinione che insaziabile sia l'avidit del ventre^.

la falsa

vita

ognuno

si

come appena che

diparte

v'

^.

* LXI. Bellissima cosa anche

vederci vicini

nostri

ove prossima parentela produca consentimento e ne dia


(sempre per l'avvenire) gran fiducia ^.

cari,

V. Ep. a Pitocle, 85: Mss. cap., VII: Vita di Epic,

V. Ep. a Menec,

130 sg. e scolio

a Mass.

cap.,

% 119.

XXIX.

Questa sentenza ci era gi nota dalla versione che ne reca Seneca, Epist.,
(=UsBN., p. 30S, 1) nemo non ita exit e vita, tamquam modo intraverit (iltesto greco n&q (aneq Hqxi yeTOV'i'S ex xov ptov jtQxexai): varia pu per esserne l'interpetrazione. Seneca (che forse non lesse neppur lui la sentenza nel
contesto, ma la trov in un florilegio) l'intende detta in cominiseiazione degli
uomini, che non si migliorano mai, pur invecchiando, ed anzi rincara la dose:
falsum est: peiores morimur quam nascimur, L' Usener invece l'interpreta altrimenti; e confronta Cic, De fin I, 15, 49 e Lucr., Ili, 972, i quali osservano non
doversi temere la morte perch la condizione dei morti pari a quella in cui ci
trovammo prima della nascita, cio l'insensibilit. Per mi pare veramente difficile trarre a tale significazione le precise parole del testo. Ma neppure l'interpetrazione di Seneca mi presuade, perch impressa di quel pessimismo un poco
retorico che gli proprio. Epicuro, credo, avrebbe distinto i saggi dal volgo. Mi
pare assai pi probabile invece che in questa massima Epicuro volesse dire che
l'uomo morendo deve staccarsi da ogni bene della sorte, e trovarsi cos povero
come quando nasce, vano dunque accumulare ricchezze che dovremo abbando3

22, 13

nare. Cfr. infatti: Propert., Ili,

5, 13 8g.

Haud

ullas portabis opes Acheruntis

ad undas, Nudus ab inferna, stulte, vehere rate: SiL. Ital., V, 267 modo quem
Fortuna fovendo Congestis opibus donisque refersii opimis, IS'udum Tartarea portabit navita cymba; Palladas, Anlh. Gr., X, 58 J^udi in terra veniamo, ignudi andremo sotterra; Affaticarmi perch, se il fine veggo ignudo? Minuc. Fkl., Nemo tam,
pauper polest esse quam natus est.
*

Leggo con

cod. e l'edit. KaXXioxri xal

il

}]

( tov

tcv jiXtjoiov

cod.) Tpiq: si

mutare variamente; ma non credo a ragione, se si pensa che questa sentenza deve essere tratta da un contesto pi ampio, ove probabilmente si trattava
prima del mutuo amore e della confidenza che saggi epicurei, pur non stretti da
vincoli di parentela, godono fra loro (v. Mass. cap., XL); e si stabiliva che non
tanto da parentela quanto da comune vincolo di saggezza e dalla fiducia reciproca
viene la vera intimit (cfr. infatti Mass. cap., XL e Dkmocr fr. 107 amici non
Bono tutti
parenti, ma quelli che consentono nel medesimo concetto intorno all'utile) In tal modo questa sentenza doveva seguire, nel testo com|)iuto, come
una conseguenza di ci che precedeva: Infatti bellissima cosa anche.... Chi

pens

di

trasse la sentenza dal testo dimentic di togliere


6

II

infatti

tolga

codice ha

il

xaC.

giustamente lo Hartel legge noi invece di ti, ed


nella scrittura unciale tt ed r\ si confondono; ma non credo a ragione

l'elg.

i]

q 7io'k'kr\v.

Leggo dunque

xelg <el> noXXfjv.

EPICURO

160

*LXII. Se giusto sdegno abbiano i genitori verso i figli,


sopramodo repugnarvi e non supplicare perdono: se
poi non sia giusto ma sproporzionato, proprio ridicolo atstolto

tizzarne l'irragionevole passione, contrastandovi violenti, e

demolcerne in altro modo l'ira con mitezza ^


frugalit ha limite, e chi non vi bada non
molto differisce da chi trabocca per dismisura ^.
* LXIV. Spontaneo deve seguirne l'encomio dagli altri; ma

non cercare
* LXIII.

di

Anche

noi occuparci della sanit del nostro spirito.

*LXV.

Folle supplicare dagli di quello che alcuno a se

medesimo basti a procurare ^.


* LXVI. Saggia meditazione, non funebre lamento, sia degno compianto per gli amici *.
* LXVII. Libera vita non pu acquistarsi ricchezze abbondevoli, perch non cosa agevole senza servilit ai volghi od
ai potenti:

ma

tutto [che le necessario], con assidua copia,

se pure la fortuna offra molta ricchezza,


anche questa facilmente sa commisurare alla benevolenza di
chi vive con noi.
* LXVIII. Nulla basta a cui poco il bastevole ^.
* LXIX. Ingrata avidit dell'animo fa trascendere a smo-

acquista

si

^.

'^

dato desiderio di vitto squisito.

Una

lezione preferibile a quella seguita dall'editore fu ritrovata dai critici

successivi.

Leggo dunque yeXdiov nvv (Weil: nv

3tQs eHHA,Ti<JLV cod.) TT)v

Xoylav

cod.) x jtQoosKxaieiv (Weil:

&Tj[i,o>taToxo'DvTa (Crnert: &v\ioi)v.axoxovvxa cod.).

vedi i nuovi testi addotti dal Crnert, Rh. Mus., 61, p. 421.
HoRAT., Sat., I, 1, 102 sgg. pergis pugnantia secum Frontibus adversis
componere: non ego avarum Cum veto te fieri vappam iubeo ac nebulonem... Est
modus in rebus, sunt certi denique fines, Quos ultra citraque nequit consistere rectum.
3 Cfr. Senofonte, Memor., I, 1, 9.
* Che si tratti del dolore per gli amici defunti, pensa giustamente l'Usener
{Wiener Studien, 1888, p. 185 n.). Cfr. Mass. cap., XL e i versi di Lucrezio citati

Per

d^ufAG^aTcxo)

Cfr.

Germ 27.
XIV; Sent., 44: con

ivi: cfr. Tao,, Agr., 46;


6

Cfr. Mass. cap.,

l'intera sentenza, cfr. Philod.,

Jt.

olx.,

XVIII, 37 sgg. lensen. Vita di Epic, 121. Nella sentenza di Epicuro credo
sarebbe forse conveniente integrare: jcv(Ta x ov(i,q3Qov)xa y.%xr\xai: y. Pvi'lod..
1. e. Se no si pu facilmente supplire tale concetto mentalmente.
col.,

Cfr.

fr.

79 sg.

xr\q i^vxf\q

xdQioxov X,txvov

certamente da questo luogo epicureo viene


I, 2,^8 ingrata stringat raalus ingluvie

l'energica espressione di Orazio, Sat.,

FRAMMENTI
*

LXX.

Nulla da

te si

161

compia nella tua

vita che

ti

rechi

timore se conosciuto dai vicini K


* LXXL Usa verso ogni desiderio questa interrogazione:
che mi avverr se si compia ci che vuole il mio desiderio? e

che cosa se non


*

si

= lfas5.

LXXII

compia?
cap., XIII.

LXXIII. Anche Tesserci accaduti

certi dolori corporei,

giova a guardarci dai congeneri ^.


*LXXIV. In discussione fra chi ami il ragionare, pi ricava chi soccombe, per quanto ne impara.
* LXXV. Ingrato verso i beni passati quel detto che amGuarda il fine di lunga vita ^.
monisce
:

'

'

* LXXVI. Tale procedi invecchiando quale io ammonisco


ed hai bene appreso che cosa filosofare per se medesimo e
cosa per l'Eliade; con te, per te, ne godo! ^.
* LXXVIT. Deir intima sicurt e indipendenza dai desideri
:

massimo bene spirito liberale ^.


* LXXVIII. Animo nobile massimamente si concede a saggezza ed amicizia: bene mortale Tuna, Taltra immortale ^\

rem, Omnia conductis coemens obsonia nummis, bench non mi consti che i
commentatori se ne siano accorti. Cfr. anche Lucr., Ili, 1003 sg. deinde ingratam
animi naiuram pascere semper Atque explere bonis rebus satiareque nunquam...
1 Cfr. Sent., 7; Mass. cap
XXXIV-XXXV.
,

V. Ep. a Menec,

129 Sff.

Giustamente l'editore rimanda all'aneddoto erodoteo (Herod., I, 30 sgg.)


data da Solone a Creso che si stupiva non lo stimasse
il pi felice degli uomini (cfr. Plut., V. Sol., 27); le ultime parole xkoq oQa naxQo ^iov, che formano la chiusa di un trimetro giambico, sono attribuite, come
3

ove

riferita la risposta

osserva l'editore, a Solone in Schol. ad. Dion. Chrys., Or., 72, 13 ap. Boissonade,
Ad Marin., p. 99 e in Schol. Lucian., t., IV, p. 137 lac.
< Cfr. Metrod., fr. 41 Krte (Plut., Adv
Col., 31, p. 1125 e: Cantra Epic. beat.,
16, 1098 e): Non pi debbonsi salvare gli Elleni e coglier da loro corone, in gara
di saggezza, ma mangiare e ber vino, o Timocrate, senza che la carne ne soffra
e con piena gioia. Il confronto con questo frammento ed il fatto che Epicuro
sia invece lodato per
10)

mi

suoi sentimenti patriottici verso l'Eliade

(v.

Vita di Epic,

fa pensare che questa sentenza sia da attribuirsi a Metrodoro, che del

resto pi brutale di Epicuro nelle sue atermazioni edonistiche. Vedi invece

il

tono con cui un altro Epicureo, Diogene di Enoanda, proclama le verit del maestro per tutti gli Elleni (Dioc; Oen., fr. XXV, 2, il sg. W.); cfr. anche la Sent., 29.
5

Cfr. Sent., 44, 67.

"

Cfr.

Cic,

Epicuro.

De

fin., II, 25,

80 praccepta quae didicisti

..

funditus evertunt ami-

11

EPICURO

162
*

LXXIX.

Qh sereno, non turba se

medesimo n

gli

altri

*LXXX.

Il

miglior mezzo di salute, invigilare sulla

nostra giovinezza e difenderci da tutto che ci perverta per


assillanti desideri.

* LXXXI. Non scioglie il turbamento dell'anima, n produce gioia che valga, massima ricchezza n onore e considerazione presso le turbe, n altro che corrisponda a cause
non commisurate [al fine naturale] ^.

LXXXII.

Ripudiisi fanciullesca ricerca di euritmia nello

stile, che invaghita di minuzie perde di vista le cose serie ^.


* LXXXIII. Gli adulatori son valletti di prospera fortuna.

citiam,

quamvis eam Epicurus, ut

detta l'amicizia

gode

il

saggio:

come

cfr.

in Ep. a

Democr.,

fr.

facit,

in caelum efferat laudibus. Immortale bene


135 sono detti immortali i beni di cui

Menec,

189; 37.

Mass. cap., XVII: XL.


2 Questa sentenza parafrasata da Porfirio, De abst., I, 51: cfr. Lucr., II,
37 sgg. Quapropter quoniam nil nostro in corpore gazae Proficiunt neque nobilitas nec gloria regni, Quod superest animo quoque nil prodesse putandum. Con
le ultime parole x3v Jiag xg ioQtoxo'us alxiag, cfr. fr. 105. Sid'&eOLs \i>vxr\q t
ax cpvGiv Qi^ovGa: Mass. cap., XV: III.
3 Questa e la massima seguente non sono nel gnomologio vaticano, donde
furono tratte le altre; ma col nome di Epicuro sono riferite nel gnomologio del
cod. palatino gr. 129 di Heidelberg (pubblicato in Wiener Studien, 1890, p. 209),
insieme alle sentenze 30, 31, 56, 68 del gnomologio vaticano (v. s. n. 3, p. 158).
1

Cfr.

FRAMMENTI
CITATI COL TITOLO DELL'OPERA A CUI

APPARTENGONO

Delle elezioni e delle avversioni.


1.

La

tranquillit (xagalia) e l'assenza di dolore corporeo

sono piaceri

(diJtovia),

stabili

(xaTaaTr]|iaTixal riSovai);

gioia (xagd) e l'esultanza {ev(^Qoov\7\),


ceri in

moto per

l'attivit loro

invece la

veggono essere

si

pia-

Casi dubbi.
2.

Far

il

saggio qualcosa che

le leggi divietano,

sappia che possa rimanere occulto?


sposta recisa

Non

facile dare

quando
una ri-

^.

frammento (Usen., p. 91, 9 sg.) citato da Diogene Laerzio, X, 136. V. per


il commento, Vita di Epicuro, % 136. L'opera da cui tratto questo
frammento era una delle pi importanti dell'etica di Epicuro, v. ibid., 27. Sulla
dottrina del piacere in Epicuro, vedi anche le osservazioni del Brochard, Journ.
1

il

II

contesto ed

des Savants, 1904.


2

II

p. 1127

frammento (Usener, p. 97, 19


D; cfr. Cic, De fin., II, 9, 28. Si

sg.)

trovasi in Plutarco, Adv.

tratta,

l'opera (AiajcoQCai), di uno di quei sottili casi di

come

Col.,

34,

vede dal ttolo stesso delcoscienza che meritavano un esame


si

La soluzione doveva considerare diverse possibilit, come indicano


ultime parole del frammento. Quale fosse per non sappiamo. Tuttavia Plu-

circospetto.
le

dopo avere riferito il passo, aggiunge: ci vuol dire, lo far, ma non voglio
ammetterlo . Ora, se si osserva che Plutarco scrive questo in un'opera di acerbissima polemica contro gli Epicurei, e che egli, per censurare Epicuro, non pot

tarco,

EPICURO

164

Piccolo compendio.

Non

3.

esiste

alcun

modo

e se pure alcuno vi fosse,


agli

avvenimenti

di

non

si

(in confronto di

preveggenza del futuro,


deve dare nessun valore
ci che) dipende dal nostro

volere ^

Contro Teofrasto.

4.

...

Ma

anche indipendentemente da questo, non veggo


dire che abbiano colore queste cose che sono

come convenga
nella tenebra

^.

trovare ar-^romenti nella trattazione particolareggiata di questo caso di coscienza

ma solo nella premessa che una risposta recisa non fosse


che ci che seguiva in Epicuro, non doveva essere punto contrario al comune senso morale. Perci si deve andar cauti nel credere alla maligna
insinuazione di Cicerone, nel luogo cil., il quale, senza riferirsi per esplicitamente
a questo passo, dice che Epicuro in magnis interdum versatur angustiis, ut hominum conscientia remota nihil tam turpe sit, quod voluptatis causa non videatur
esse facturus . Del resto, dai fr. 101 e 102, appare che Epicuro riteneva il saggio
dovesse operar giustamente, anche senza la costrizione delie leggi, per pura sua
coscienza. Certo per Epicuro doveva considerare anche il caso, esemplato dalla
Massima cnp., XXXVII, che si tratti di prescrizioni di legge il cui contenuto non
corrisponda pi o non abbia corrisposto mai al carattere fondamentale del giusto
(cio all'utilit comune) donde il bisogno di fare delle riserve. V. su questo framnell'opera di Epicuro,
facile, chiaro,

mento anche

le

acute osservazioni del Philippson, Archiv. fur Gesch. der Philos.,

1910, p. 302.
1

II

frammento (Usen.,

la lezione del testo e per


2

II

p.

frammento (Usen.,

100, 1 sg.) citato

da Diogene Laerzio, X,

135.

Per

con,imento, v. Vita di Epic, 135.

il

102, li

sg.)

tolto

da Plut., Adv.

Col., 7, p. 1110 C,

quale, dopo aver detto che Epicuro, nel secondo libro di quest'opera, affermava
che i colori non sono connaturati con i corpi, ma s'originano dall'ordine e dalla
il

(v. s. Ep. ad Erod., 54 sg.), riferisce le parole di Epitrovavano pi sopra. Anche Lucrezio si serve di questa
argomentazione per provare che gli atomi non hanno colore (v. Lucr., II, 746 sg.
Denique nos ipsi caecis quaeciimque tenebris Tangimus, haud ullo senlimus tincta
colore): cfr. Philod., jt. ar]\i., p. i;3 Gomp. At., I, 15, 9, p. 314, 11 Diels. Contro
Teofrasto avrebbe anche scritto Leonzio (su cui v. Vita di Epicuro, 4) v. Cic,
De no.t. deor., I, 33, 93; Plin., Nat. hist., praef., 29. N vi forse ragione di credere che a lei fosse attribuita quest'opera di Epicuro.

disposizione degli atomi


curo, dicendo che

si

165

FliAMMENl'l

Simposio.
5.

PoLiExo. Neghi
vino? K

Epicuro, che esistano

tu, o

gli

ardori pro-

dotti dal

[] Ma ^ [Epicuro] dice che non incondizionatamente


vino capace di produrre ardore...

il

... infatti manifesto che il vino non incondizionatamente


produce ardore, ma piuttosto opportuno dire, che ad un
determinato temperamento, una certa quantit di vino pu
produrre riscaldamento.

Perci non

deve incondizionatamente affermare che


ma invece che ad un
determinato temperamento e disposto in determinato modo,
una data quantit di vino pu produrre ardore, mentre per
un altro temperamento una data quantit di vino pu pro6.

il

si

vino sia capace di produrre ardore;

durre refrigeramento. Infatti nella struttura del vino vi sono


anche certe forme atomiche ^ da cai pu derivare il freddo,

quando appunto unite ad

Si tratta di

chiarire questo e

Bgg.;

V.

altre in

modo conveniente

^,

pos-

un problema fisico discusso in questo dialogo da Epicuro.


i
frammenti seguenti (citati da Plut., Adv. Col, 6, p. 1109

UsEN., p. 115 sg.) giova

A
E

riassunto della discussione riferito altrove da

il

Plutarco {Quaest. conv., Ili, 5, 1, p. 052 A: Plut., Op. mor., IV, p. 114 Bernard.),
cio che il vino non caldo in senso assoluto {a.vxox&XG)c,) ma contiene certi atomi
capaci di produrre ardore e certi altri capaci di produrre refrigeramento, e che
esso vino, quando viene nel corpo, abbandona certi atomi e certi altri riceve dal

corpo stesso, a seconda delle affinit che hanno essi e le mescolanze loro in raple sostanze del nostro corpo. Da ci deriva che dei bevitori alcuni si
riscaldino, altri provino refrigeramento.
porto con
2

Non mi

par sicura la lezione

lieno ed Epicuro solamente,


'6'Xou "d^eQixavTtKv

dell'

mentre dal

jtoqjaiveo'd'aL

Usener,

il

quale pone

il

dialogo fra Po-

testo di Plutarco {viiXa^t xig ov x xa-

xv olvov elvai) parrebbe che, dopo

le

parole di

quale rettifichi la non giusta


interpretazione data da Polieno alle parole del maestro. Ed infatti gl'interlocutori di questo dialogo ed
presenti erano molti, come si ricava dalle altre testiPolieno, sottentri a parlare qualcuno dei presenti,

il

monianze La parole che seguono ( ... infatti manifesto... ) secondo dice Plutarco, venivano poco dopo.
^ Nota che gi per Democrito (fr. 1>J8D) il termine cpvoig inlicava gli atomi.
* La lezioni; dell' Usener fj al y^ (codd. el 6ov ye) xQaig jtaQa^VYeloai
r|)\)XQ""
otag fpvotv jroxeXoeiav, non credo sia accettubile neppure per il senso. Infatti

EPICURO

166

sano costituire quella struttura da cui risulta il freddo. Ingannati da ci dicono gli uni che il vino incondizionatamente
capace di produrre refrigeramento, altri invece che incondizionatamente capace di produrre ardore.
7. Spesse volte poi il vino neppure venne nel corpo recando potenza calorifica o refrigerante: ma quando il suo
volume sia agitato e si scomponga l'ordine degli atomi che
lo costituivano, ne accade che, a volte, gli atomi capaci di
produrre ardore, si adunino insieme e producano, per il
loro numero, calore e infiammazione al corpo; a volte invece recedano e ne avvenga perci refrigeramento ^

8.

nuoce

Amplesso venereo non giov mai, gi molto

se

non

* 9. veramente degno di meraviglia che tu non abbia


avuto alcun impedimento dalla tua [giovane] et, a molto sovrastare,

come

tu stesso potresti dire, nell'arte retorica, tu

le condizioni, qui considerate, perch il vino produca refrigeramento, sono due:


Tana, le forme atomiche del vino stesso, l'altra, le combinazioni che tali atomi
formano con gli atomi del nostro corpo (vedi anche ci che precede in Plutarco
e mia n. p. 165 n. 1). Ci spiega perch Epicuro prima parli degli effetti diversi
che il vino produce, a seconda dei temperamenti e della loro disposizione. Perci
leggo el <els> 6ov ye. Nota che in questo frammento, come assai spesso altrove,

Epicuro non evita


1

il

iato (cfr. xoiovxco -d-Qoio^axi).

Cfr. la spiegazione del

modo onde

si

forma

il

ghiaccio in Epist. a Pitocle,

109.
2

Questo passo (Usen.,

p. 118, 19 sg.) tolto

Vita di Epic, 118) che per riferisce questa

da Diogene Laerzio, X, 118

(cfr.

massima come comune pensiero

degli epicurei e senza indicare di averla tolta dal Simposio di Epicuro. Certo per
tale affermazione v'era nel Simposio, v. Plut., Quaest. conv., Ili, 6, 1, p. 653 D.
Una massima identica in fine della Se7tt. vat., 51, che si credette fin ora tolta da
lettera, ma poich Plutarco dice che Epicuro, conversando nel Simposio con
alcuni giovani, fa tale considerazione, non si pu credere che la Sentenza vaticana
sia tolta appunto da questo luogo del Simposio? La sua forma potrebbe convenire ugualmente bene ad una lettera quanto ad un dialogo. N importa che la

una

prima parola del testo di Diogene sia avvovaiT], mentre nella massima vaticana
qjQoCoia, perch Diogene riferisce un precetto generico degli epicurei e non
testualmente un frammento del maestro. Per di pi Galen., In Hipp. epidem.,
Ili comm., I, 4, e Art. med., 24 riporta col nome i Epicuro questo precetto, usando
la parola qjQoSioia (Usen

p.

118, 27 sgg.).

FRAMMENTI
g-iovane, a tutti del

tempo

tuo,

167

uomini attempati

e famosi...

meraviglioso, dico, che tu non abbia avuto impedimento


alcuno per la tua et, al primeggiare nell'arte retorica, cosa

che pare richiegga pratica molta ed abitudine, mentre Tet


giovanile pu essere d'ostacolo al rendersi conto della realt,
qual sia veramente, ci che potrebbe credersi derivi piuttosto
dalla scienza che dalla pratica e dall'abitudine

Del
10.

Quanto a me, non

ne detraggo

fine.

so farmi

un concetto

del bene, se

piaceri del gusto, ne detraggo quelli di Venere,

e quelli dell'udito, ed

vista

soavi moti che dalle forme riceve la

^.

10*.

so

veramente qual concetto mi debba formare


se ne detraggo quei piaceri che

quel decantato bene,

di

Questo frammento, che manca negli Epicurea dell' Usener, tratto da Phijc. 'H'^oQv vjto|xv., II, col. X; v. Sudhaus, Suppl., p. 50, 5 sg. (cfr. Voli. Rhett.,
I, 102 sgg. Sudhaus). Che si tratti di una citazione letterale veramente assai
probabile, quantunque nelle parole che precedono ed intercedono vi sia incertezza
nella lezione, e qualche incertezza vi possa anche essere sulla costituzione stessa
del testo del frammento, come mostra il confronto del testo stabilito dal Sudhaus
nei due luoghi. Queste parole son pronunziate da Idomeneo (una delle persone di
questo dialogo) che deride un giovane sofista. Anche lo stile (nelle parole da q
1

LOD.,

ad v5|(ov) rifa il verso all'artifizioso modo di scrivere dei sodisdegno di Epicuro contro la retorica sofistica, vedi le sue parole su Nausifane, fr. 17. Cfr. Vita di Epic, 7 n. Un altro nuovo frammento di
Epicuro (appartenente all'opera Sulla retorica) pare veramente sia in questi stessi
fiv

a'Tg

fisti.

q)if]aai,g

Quanto

al

VvH. Rkelt. di Filodemo

(v. voi. I,

pp. 32, 25 -34, 34; cfr. II, pp. 256-259).

Ma

Filo-

due testi differenti, l'uno pi sommario, l'altro pi ampio assai,


donde il dubbio quale sia il genuino; per di pi nei particolari l'integrazione
incerta. Non credo prudente perci tradurlo, come neppure ho tradotto qualche
altro brano di lezione incerta.
2 Questo frammento citato da Ateneo, XII, p. 546 E; cfr. VII, p 280 A
278 F.
Il passo identico a quello riferito da Diogene Laerzio (v. Vita di Kpic, 6) che
per d una lezione abbreviata in fine. Pare pi attendibile quella di Ateneo, per
il confronto con il testo che segue, riferito da Cicerone. L'opera jieqI xXovi;, da
cui tolto questo frammento, era l'opera capitale dell'etica epicurea (v. Cic, Tusc
disp., Ili, 18, 41) V. del resto Vita di Epic, '27; 30.

demo

ci ottre

EPICURO

168

percepisce

gusto, ne detraggo quelli^** e quelli che pro-

il

vengon

dall'udito

che

occhi ricevono dalle forme, o qualsiasi altra gioia

gli

che in tutta

senso.

umana

persona

la

pu dire che

si

basi porre fra

l'anima,

dai canti, ed

la

speranza di

dell'animo dcb-

quei beni che ho detto,

tutti

cio che sia concesso alla natura

da dolore

produca per qualunque

sola letizia

beni: perch io so che di questo s'allieta

nella

si

ancora quei soavi moti

umana

di goderne, libera

^.

11. La stabile condizione di benessere della carne e la fida


speranza che perduri, in s racchiude, per chi sappia rettamente ragionare, la somma e pi salda gioia ^.

Spesso domandai a quelli che

12.

avessero da annoverare tra


ceri [che dissi]

ma

senso:

di

si

chiamavano saggi, che

beni, se ne detraessero quei pia-

purch non volessero profonder parole vuote

nulla potei apprendere da loro.

vorranno far spumeggiare


null'altro esporranno, se

le

se perci

virt e le cose belle e sagge,

non quella via per cui s'ottengano

quei piaceri che dissi or ora*.

1 Questo passo riferito tradotto da Cicerone,


Tusc. disp., Ili, 18, 41. Come
vede caduta, per colpa degli amanuensi, la frase in cui si toccava dei piaceri
di Venere, cfr. ibid., 20, 46. La prima parte affatto simile al frammento che precede. Pi sotto non accetto la correzione del Sorof, adottata anche dall' Usener,

si

e cantibus,
2

Per

per

et

cantibus codd,

Per

la dottrina, v. fr. sg.

l'anima, V. Plut., Contr. Epic,

4, p.

rapporti fra

piaceri corporei e quelli del-

10S8 E, 1096 C, 1080 D, 1078

B; Cic, De

fin., II,

30, 98: 33, 107.

frammento

Usen

da Plutarco, Contr. Epic,


mia correzione in Eiv.
di Filol. , A. 1916, p. 279. Cfr. ibid., 0, p. 1090 D. Le prime tre parole sono anche
nel capitulum al v. 14 del libro II nei codici di Lucrezio, che va aggiunto ai testimonia dell' Usener Si noti poi che il piacere, secondo Epicuro, non solamente
negativo, come pura assenza di dolore, -ci che Epicuro esprime anche con l'osservazione v alo#ri08i xa'Q'eOTcTsg, di fr. 69. Vedi su ci le belle osservazioni del
GUYAU, op. cit., e. I.
3

4, p.

II

42

(v.

p. 121, 34 sg.) riferito

1089 D. Vedi, per le parole precedenti in Plutarco, la

(v.

138,

Il

frammento
p. 122,

conservato nella traduzione di Cic, Tusc.

ci

24 sg.

Ep. a Menec,

Us.).

132.

Per

la dottrina v. fr.

sg

cfr. fr. 68:

disp., III, 18,

Vita di Epic,

FRAMMENTI
S'onori

13.

ed ogni altra cosa simile,

bello e le virt,

il

169

se recano piacere, se no, salutatemeli tanto ^

Della natura.
MERO
14.

La natura

15.

La natura

dell'universo, consta dei corpi e del vuoto

di tutto

che

corpi e spazio

esiste,

^.

^.

16. Se infatti per la distanza [il sole] avesse perduto di


grandezza, molto pi avrebbe perduto di colore e di splendore. Infatti non vi alcun 'altra distanza pi adatta [di

quella del sole] a far perdere

colore e lo splendore

il

^.

SENZA INDICAZIONE DEL NUMERO DEL LIBRO.

16*.

L'atomo

corpo solido ove non sono interstizi vuoti.

Il vuoto la natura in tattile

La facciano

17.

come

^.

finita; certo infatti

che egli [Nausifane],

molti altri animi servili, fu travagliato dai premiti di

quella loquace iattanza che la sofistica

II

frammento

dottrina v.
2

stola

n.

citato

p.

546

(Uskn., p. 123,

9).

Per

la

preced. Cfr. anche Mass. cap., V.

Sext. Emp., Adv. dogm., Ili, 333 (Usen.,


ad Erod., 39; cfr. Plut., Adv. Col., 13,

in 37 libri, e costituiva la
il

da Athen., XII,

^.

Somma

p. 125, 4).

Per

la dottrina cfr.

Epi-

A. L'opera jteqI cpoeo); era


della filosofia di Epicuro. Questo frammento ed

seguente dovevano essere in principio del

p. 1114

libro (v. Scolio

ad Ep. ad Erodoto,

% 39).
3

Plut., Adv. Col.,

Il

tocle,
6

11, p.

1112

(Uskn., p.

11).

(Usen., p. 129, 24 sg.). Cf. Epist. ad Er.,


6

12.5,

frammento (Uskn., p. 126, 28 sg-}?.) citato nello scolio ad Pepisi, a Pi 91. Per la mia lezione ed interpretazione del testo vedi n. ivi.
Tali definizioni son riferite dallo Schol ad Dionys. Thr., p. 660, 25 IJekk.
II

mento

frammento (Usev.,
v.

Vita di Epic,

p.

7.

40 e n. ivi.

130, 3) e citato

da Dioo. Lakrt., X,

7; per

il

com-

EPICURO

170

FRAMMENTI DELLE EPISTOLE


18.

Se questo considerino, son vittoriosi sui mali dell'indi-

genza e della povert ^


19.

...

e se

pure vi

sia

guerra pu non recarci alcun male,

se gli di sian propizi...


... col favore degli di aver vissuto e poter vivere ancora
puramente, insieme con Matrne^.

LETTERE SPURIE
20. Polino, sai tu

qual cosa ne giunga feconda di

gioia...

Questo frammento (Usen., p. 132, 14 sg.) recato da Filodemo, De divitiis,


III, 85. Per il testo in gran parte ricostruito per congettura.
2 Anche questi due frammenti (Usen., p. 132, 20 sg.) ci sono riferiti da Filodemo, De piet., p. 125 Gomp. Il testo qui pure ricostruito congetturalmente e
mal certo. Li riferii tuttavia per la formula religiosa (-d-ecv et^scov ovtcov) che
sicura. Su Matrne v. infra fr. 36. Il frammento che segue troppo audacemente
integrato, come riconosce anche I'Usener, perch valga la pena di tradurlo.
Questo frammento, che I'Usener (p. 135, 10), per le riserve fatte dalla fonte
che lo riferisce, pone fra le epistole spurie, citato da Theo, Progymn., 2, t. I,
169 Walz, il quale riprende Epicuro per la non retta disposizione dei vocaboli.
E di fatto qui le parole sono disposte secondo un ritmo anapestico, che ho cercato
di conservare nella traduzione. Per il testo seguo (nelle parole oto'd'' fineQ fmlv) la
lezione del Crnert, Rh. Mus. (1906), LXI, p. 422: leggo dunque Xye 6fi noi
noX'uaiv(s), oIO'd-'ajtEQ fmv \ieydkr\ xQ yvr\xai. Su Polieno v. Vita di Epic, 24.
1

VH2,

'^

FRAMMENTI

FRAMMENTI

171

LETTERE

DI

INVIATE A PI PERSONE.

Lettera
21.

Questo

ai filosofi in Mitilene.

lo trasse cos

chiamarmi per dileggio

fuor di senno da farmi ingiuria e

Maestro

Se non erro dunque, questi sciagurati crederanno che


pur discepolo del Mollusco ^ e che abbia ascoltate le
sue lezioni con certi giovinastri avvinazzati
Era infatti un pover uomo che si occup di cose donde
22.

io

sia

non

possibile giungere a saggezza.

FRAMMENTI

DI

LETTERE

INVIATE A SINGOLE PERSONE.

Ad Anassarco.
23. Io

invece invito ad assidui piaceri e non a vacue e


ch'abbiano inquiete speranze di buoni frutti ^.

stolte virt

1 Vedi su questo frammento


(p. 136, 14, Us.) la Vita di Epic, 8, ove citato;
per la lezione del testo e per il commento vedi la n. ivi.
2 II Mollusco,
Nausifane, di cui si parla anche nel frammento precedente
(v. n. a Vita di Epic, 1. cit., n. prec). Questo passo riferito da Sksto Empirico, Adv. Math., I, 3. Per la polemica fra Nausifane ed Epicuro, v. n. a Vita di
Epic, 1, cit.

3 II

frammento

(y.

Usen,, p. 137, 14 sg.) citato, col

tolto, in Plut., Adv. Col., 17, p. 1117 A. Cfr.

a.

fr.

nome

12 Sffg.

dello scritto

da cui

EPICURO

172

Ad Apelle.
24. Felice te, o Apelle,
[di dottrina]

perch incontaminato da ogni labe

volgesti alla filosofia.

ti

Ad Ermaroo.
25. Epicuro ad Ermarco, salute: Volgeva per me il supremo giorno e pur felice della mia vita, quando questo ti

scrivevo. Cos acuti erano

i miei mali della vescica e dei viche pi oltre non poteva procederne la violenza. Pure
ad essi tutti s'adeguava la gioia dell'animo, nel ricordare le
nostre dottrine e le verit da noi scoperte. Ora tu, come si
<jonviene alla buona disposizione che fin dalla prima adolescenza mostrasti verso me e la filosofia, abbi cura dei figli

sceri,

di Metrodoro

-.

A
26.

Son ben

in tre balzi

cfr.

II

fin

frammento

Temista.

tale io, se voi non venite da me, da tirarmi


dove voi e Temista mi chiamiate ^.

(v.

Usen., p,

Plut., Contr. Epic,

12, p.

137, 21 sg.) citato

da Ateneo, XIII,

p. 588

A:

1094 D. L'ultima parola alriag nei codici, l'Use-

ner accetta la correzione jtaiSsiag, e quanto al senso generale va bene, poich


le fonti riferiscono che Epicuro ad Apelle dava lode, perch non era stato contaminato da quella varia cultura che egli riprova (v. fr. 34), credo per che la vera
correzione sia aljtiag. Epicuro ama nelle lettere il linguaggio figurato ed una certa

veemenza
2

nell'esprimersi.

Questa lettera che

ci

resta tradotta in Cicerone,

De

fin., II, 30,

96 (.Usener,

a quella ad Idomeneo riferitaci da Diogene Laerzio


(v. Vita di Epic, 22 e n. ivi: cfr. fr. 31), scritta anch'essa da Epicuro in punto
di morte. Le differenze di particolari non possono esser tenute in conto, perch
di quella abbiamo il testo greco, di questa la traduzione latina. Diversa invece
la persona a cui sono inviate. Probabilmente, come pensa l'Usener, Epicuro fece
diversi esemplari della medesima lettera e li invi a diversi amici: cfr. anche
p. 139, 5 sg) affatto simile

fr. 37.
y

Su Ermarco

Per la fonte

5 e n. ivi.

v.

di

Vita di Epic,

24.

questo frammento (Usener,

p. 140, 21 sg.) v.

Vita di Epic,

FRAMMENTI

17S

Ad Idomeneo.
27.

Mandaci dunque qualche devota

sacro corpo, per parte tua e dei


scriverti

Cos m'accade di

^
tu che tutti

28.

vinetto...

29.

offerta a ristoro del

figlioli.

Se

miei moti soavi stimasti sin da gio-

^.

ti

seduce la gloria, pi famoso ti renderanno le mie


che onori, e donde ti onorano"^.

lettere, di tutte queste cose

Se vuoi far ricco Pitocle, non accrescerne


sfrondane i desideri *.

30.

ma

si

30*. Facciam gran conto della


debba stare a regime semplice

frugalit,

e parco,

gli averi,.

non perch sempre

ma

per essere senza

preoccupazioni rispetto a queste cose ^


31.

mia
1

Volgeva per me il giorno supremo e pur


quando questo ti scrivevo. Tali erano

vita,

Plut., Adv. Col.,

tarie contribuzioni

alle sue strettezze, cfr.


-

La fonte

18, p.

a cui

1117

(Usen., p. 141,

assogettavano

miei mali

sg.). Si tratta delle

volon-

discepoli del maestro, per sovvenire

Su Idomeneo v. Vita di Epic, 25.


anche questo frammento citato per la difettosa
secondo un ritmo conveniente alla poesia, non alla prosa.

fr.

42.

la stessa del fr. 20:

collocazione delle parole,


a

si

felice della
i

Skneca, Epist.,

Seneca, citato il passo di Epiest? Quis Idomenea nosset, nisi Epicu-

21, 3 [Usen., p. 141, 23 sg-.]:

Numquid ergo mentitus


litteris suis incidisset? Omnes

curo, prosegue:

illos megistanas et satrapas et regem


ipsum, ex quo Idomenei titulus petebatur, oblivio alta subpressit.
4 Stob., Fior., XVII, 24; cfr. Senec, Ep., 21, 7 (Uskn., p. 142, 2'j). Cfr. fr. 79 sg.
Su Pitocle V. Vita di Epic, 5; 6.
& Questo frammento attribuito ad Epicuro dall'Usener (v. Spie, (rag., p. 345,.
30 sgg.), che lo tolse da Sion., Fior., XVII, 14, ove va sotto il lemma 'AjtoX^cviog
El6o|xvi;i: ma la sentenza similissima ad Ep. a Menec.,% 1.10 e di colorito prettamente epicureo Quanto al nome El5o(xvii, pare ovvia corruzione per 'ISonevel,
ed il nome 'AjtoXA.a)vioq, secondo 1' Usener, pu essere venuto dall'ecloga segueiite,^
'K7co'k'k6yioc,xolc,yy(iQ^i\iovq,. Lo Ilense (Stob., voi. Ili, p. 492), ora riconosce giusta
l'attribuzione ad Epicuro: ma pensa che il passo sia tolto da un testo di Apollonia
dello Pseudo Apollonio, ove fosse questa citazione di Epicuro.

rus illum

EPICURO

174

dei visceri e della

vescica, che

di violenza. Pure ad essi tutti

si

non comportavano eccesso


adeguava sempre la gioia

dell'animo, nel ricordo dei nostri passati ragionamenti

Ora

come

filo-

conviene alla tua buona disposizione,


sin da giovinetto, verso me e la filosofa, abbi cura dei figli
di Metrodoro ^.
sofici.

tu,

si

A
32.

Come

dicevo,

preso da venerazione per quello che io allora

brama innaturale

colse

ti

COLOTE.

di abbracciar le

mie

gi-

nocchia, e recarmi ogni atto d'omaggio usato da chi veneri


e supplichi. Ci costringesti cos a porgere a te pure onore e

Incedi dunque per

venerazione divina

me

considera immortale

pure

A
33.

Per

il

me

Leonzio.

come

ti

tuo biglietto

^.

a vele spiegate, ogni genere di cultura

'^.

divino Apollo salvatore, cara Leonziuccia,

abbiam freneticamente applaudita, leggendo

A
34.

35.

gresso

Fuggi, o

felice,

M'accomoder

il

PlTOCLE.

e attender

tuo amabile e divino in-

il

^.

DiOG. Laert., X, 22 (UsEN., p.ll43, 16 sgg.):

fr.

immortale, e

^.

v. Vita di

Epic,

22; cfr.

sopra

25 e nota ivi.

Plut,, Adv. Col.,

17, p. 1117

(Usen., p. 145, 1 sgg.). Per la divinizzazione


Menec, extr.: Lucb., V, 8, sgg. deus

dei saggi nella filosofia di Epicuro, v. Ep. a


ille

fuit,

deus, inclyte

eam quae Nunc

in Rivista di filoL, a.

conflu pure
3

4
6

il

Memmi, Qui

[se.

Epic.] princeps vitae rationem invenit

appellatur sapienta. V. anche

XXXIV,

p. 242

le

acute osservazioni del Pascal,

sgg. Si deve notare che al culto dei saggi

positivismo del Comte. Su Colote v. Vita di Epic,

Diogene Laerzio, X,
Diogene Laerzio, X,
Diogene Laerzio, X,

5 (Usener, p. 146, 13
6 (Usen., p. 150, 10):
5 (Usen., p. 150, 28):

25.

sg): V. Vita di Epic, 5.


V. Vita di Epic, 6: cfr. fr.
V. Vita di Epic, 5.

24.

FRAMMENTI

175

Lettera ad un fanciullo o ad una fanciulla.


Siam giunti a Lampsaco sani e salvi, io e Pitocle ed Erabbiam trovati in buona salute Temista
e g-li altri amici. Ben fai tu pure se stai bene, e cos la tua
mamma, e se in tutto dai retta al babbo ed a Matrne, come
per il passato. Ricordati bene che la cagione onde io e tutti gli
altri molto ti amiamo, che tu obbedisca ad essi in tutto... ^
36.

marco

e Ctesippo, e vi

Epistola dei giorni supremi.


37. Nel settimo giorno, quando queste cose ti scrivevo, non
mi dava requie alcuna la lituria, e comprendevo dallo strazio
esser vicina l'ultima mia giornata. Ta dunque, se male mi ac-

cada, prendi cura dei

figli di

Metrodoro, per quattro o cinque


anno spendi per me 2.

anni, senza spender pi di quanto ogni

FRAMMENTI

DI

LETTERE

DELLE QUALI NON CONSTA A CHI FOSSERO INDIRIZZATE.


38.

Tutto trabocca

il

mio corpo

di dolcezza,

quando vivo

a pane ed acqua, e sputo sui piaceri di vita sontuosa, non

per lor medesimi,

pagnano

ma

per

g'

incomodi che

vi

si

accom-

^.

Questa lettera tratta dal papiro ercolan. 176, col. 18: v. Usener, p. 154,
GoMPERz, Hermes, V, p. 386 sgg. Quanto agli amici qui ricordati, v. per
Ermarco n. a fr. 25, per Pitocle fr. 34 sg., per Ctesippo fr. 42; per Temista fr. 26;
per Matrone fr. 19. Questo frammento una prova della gentilezza d'animo di
Epicuro. Vedi anche il suo interesse per i figli di Metrodoro nel testamento e
nelle lettere scritte poco prima di morire.
2 PniLODEM., jiQayiiax. V. H^, I, 128 (Usener, p. 154, 20 sg.): cfr. Crnert, Rh.
1

11 sg.

Mus,, 1906,
^

p. 424: v. fr. 30 a.

Stob., Fior., XVII, 34 (Usen,, p. 156, 4 Sgg.): cfr. Vita di Epic, 11: e

Ep. a Menec,

130.

fr.

30 a:

KPiCUKO

176

* 39. Come ti raccomandai quando partivi, prenditi cura


anche del fratello Apollodoro. Infatti, pur non essendo cattivo, mi d pensiero quando fa qualcosa [di male] senza

volerlo

*.

40. Mandami un po' di cacio conservato, perch possa


quando voglia scialarmela ^.

41. Divinamente e magnificamente vi prendeste cura di


provvedere al mio vitto, porgendo eccelse prove della vostra
benevolenza verso me ^.

42. Anche a voi stabilisco che contribuiate con quella


somma, di cui per me determinai l'invio pure se fossero tra
gli Iperborei. Solo centoventi dramme voglio dunque ricevere
da ognuno di voi due ogni anno...
Ctesippo mi port la contribuzione annuale che m'invia-

sti

nome

tuo e di tuo padre

*.

non mi proposi mai; perch quello


non so; quello che io so, il volgo ben
lungi dairapprovare
43. Di piacere al volgo

che a

lui

piace

io

'".

II

frammento, che manca alla raccolta

dell'

Usener, fu tratto dal Cronert

dal papiro ercol. 176, col. 8: v. Rhein. Mus., 1906, p. 426.

Dico Laert., X, 11 (Usener, p. 156, 22 sg.): v. Vita di Epic, 11; cfr. fr. sg.
Plut., Contr. Epic, 15, 1097 C (Usen., p. 156, 22 sg.): si tratta anche qui di
quelle contribuzioni che Epicuro riceveva dai suoi fidi: v. fr. 27: cfr. Testamento
2

di Epicuro, 20.

Questo frammento desunto da Philod,, orgaynaT., V. H^, I, 127 (Usener,


Per la lezione delle prime parole v. le letture del Cronert in Riein.
Mus., 61, p. 424, che rivide il papiro dopo l'edizione dell' Usener. Se giusta
la lezione del Cronert ^HQa[xA,8i,6ri 6, questa raccomandazione sarebbe fatta ad
Eraclide, noto anche per altre fonti come amico di Epicuro (v. Crn., Rh. Mus.,
LVI, 622). Quanto poi alle contribuzioni delle quali si parla, v. s. fr. prec.
& Il testo greco c' conservato in varii gnomologi (v. Usener., Epic, p. 157,
20 sg.), ed tradotto da Seneca, Ep., 29, 10. Quanto alla poca simpatia che Epicuro dimostra per la folla, v Sent. vat., 29: 31ass. cap., XIV; fr. 52 sg.; 105; 106.
*

157, 5 sg.).

Philod., Voli. Rhet.,


f.

II, p. 12, col.

XIX;

Gesch. der Philos., 1910, p. 327 sg..

28, col.

XXXIII;

29, e

Philippson, Arch.

FRAMMENTI

177

44. Fra s grandi beni, non diede a me ed a Metrodoro


alcun fastidio che l'illustre Grecia, non solo non ci abbia
conosciuti, ma quasi neppure abbia sentito parlar di noi ^

45.

46.

carne

Vuoi

Non
il

sia

ti

concessa vera libert? Servi alla filosofia^.

sembri punto innaturale che

ti

al

grido

d<*lla

grido deiranima risponda. Grida la carne: non aver

fame: non aver sete: non aver freddo. E questo l'anima difpu reprimere; ed poi pericoloso che essa, per
l'indipendenza dai desideri che sempre le congenita, non
presti orecchio all'appello che a lei lancia la natura ^.
ficilmente

secondo natura non sarai mai povero, se se-

47. Se vivi

condo

le

opinioni volgari non sarai ricco mai

^.

prende norma da natura e non dalle vane opicircostanza basta a se medesimo; perch ri-

48. Chi

nioni, in ogni

spetto a quello

che a natura sufficiente, ogni possesso

ricchezza; rispetto a quanto ambiscono

anche

la

maggior ricchezza

desiderii illimitati,

non (ricchezza

ma

povert)

-".

Queste parole son tolte da Seneca, Ep., 79, 15 (Usen., p. 158, 12 sg.). Secondo
Seneca (che reca il frammento in costruzione indiretta) questo
avrebbe detto Epicuro in una lettera scritta dopo molti anni, quando f?i Metrodoro era uorto, dopo avere in essa ricordato con commosse parole l'amicizia sua
e di Metrodoro.
Sknkca, Ep., 8, 7 (UsKNER, p. 160, 25): cfr. fr. 9.
^ Questo frammento (come altri, che indicheremo volta per volta) tratto da
Porfirio, Ad Marceli., 30, p. 293 N^. (Usen., p. 161, 7 sg.), ove non citato come
d Epicuro
di altri; per, qui ed altrove, in questo scritto di Porfirio, abbiamo
un mosaico di sentenze desunte da varii scrittori e particolarmente da Epicuro.
E certo in questa massima v' una parte epicurea; v. infatti Sent. vat., 33. Dubbio per se anche il rimanente sia di Epicuro o rafifazzonamento di Porfirio.
Con tale cautela dunque bisogna accogliere anche gli altri frammenti che l' Usener tolse da Porfirio, quando non siano confermati da altra fonte. Epicureo il
vocabolo rpuoioXYT|Tov con cui incomincia il frammento, cfr. fr. 32.
1

ci che riferisce

'^

cui
il

Seneca, Ep.,

PoRPiiYR

si

Ad

16, 7

(Usen., p. 161, 19 sg.): cfr. Mass. cap.,

XV

e n. ivi.

Marceli., 27, p. 291 N^. (Usen., p. 161, 24 sg.). Per la riserva con

debba accogliere questo frammento,

v. s. n.

fr. 46:

Ciuanto alla lezione,

codice ha in fine xal \iyiaxoq nlovxq oxiv. ov ojtdviov xx (segue

EiMcuuo.

fr.

78)

12

EPICURO

178

49. Se ti trovi in angustie, t'accade perch oblioso della


natura: infatti tu stesso a te medesimo imponi infiniti timori

e desiderii ^
50. Credi a me: pi augusto sembrer il tuo discorso fra
cenci e da vile giaciglio; perch le tue parole non saranno solo
dette,

ma

comprovate

^.

Meglio per te giacere impavido sovr' umile giaciglio di


che vivere inquieto, padrone d'aureo letto e di mensa
sontuosa ^.
51.

foglie,

52.

te,

non a

molti, dico questo: perch

siamo abbastanza vasto teatro


53. Allora

specialmente

ritirati in te

costretto a stare fra la turba

54.

Dobbiamo

prediligere

dinanzi agli occhi, per

come

fare ogni cosa

L'Usener corregge

se

Tuno

all'altro

'^.

medesimo, quando

sei

^.

una bell'anima, e sempre porcela


come se ci contemplasse, e

vivere

ne fosse spettatrice

ji^ojtc axi jtevia,

ma

il

^.

confronto con Sentenza

vat., 25

consiglia a correggere oxiv (ov nkovroq XK 3tevia>. co ojtdviov ax

mi

a
Per la dottrina cfr. anche Mass. cap., XVIII e n. ivi.
1 PoRPHYR., Ad Marc, 29, p. 293 W: Usen., p. 161, 29 sgg. Per le cautele con
cui devesi tener conto dei passi desunti da Porfirio, v. n. a fr. 46. Per la dottrina
cfr. fr. 48. Il fr. sg., nell'ediz. dell' Usener, uguale a Sent. vat., 14.
2 Seneca, Ep., 20, 9 (Usen., p. 162, 25 sgg.). Seneca prosegue: Ego certe aliter
audio quae dicit Demetrius noster, cum illum vidi nudum.... incubantem: non
praeceptor veri sed testis est.
3 Stob., Fior., V, 28: Porph., Ad Marc, 29, p. 293 N^. (Usener, p. 163, 4 sg.;
cfr. LX): cfr, Lucr., II, 35 sgg. Nec calidae citius decedunt corpore febres Textilibus si in picturis ostroque rubenti lacteris, quam si in plebeia veste cubandum.
4 Seneca, Ep., 7, 11 (Usen., p. 163, 7 sgg.) cfr. fr. 43; 44.
(v.

n.

fr. 78).

&

Seneca, Ep.,

abire; in te

25,

ipsum

redi,

cfr. S. Agostino: Noli foras


homine habitat veritas; M. Aurel., IV,

(Usen., p. 163, 13 sgg.):


in interiore

4, 26. Per questo carattere dell'epicureismo e delle dotmio studio in Atene e Roma, anno XI, p. 308 sgg. Fedele a
questo precetto epicureo si mostra Orazio in Sat., I, 4, 133 sgg.: Neque enim cum...
me Porticus except, desura mihi: ' Rectius hoc est, Hoc faciens vivam meiius... '.
6 Seneca, Ep., il, 8 (Usen., p. 163, 18 sg.): cfr. fr. sg. e il detto di Zenone

26; 3: Epict., Diss., IV,

trine aflSni, vedi

il

Cizico {Frg. Stole Vet., voi.

I,

p. 69, n. 319

Arnim.).

FRAMMENTI
55.

Opera sempre come

se

ti

179

guardasse Epicuro ^

56. ...recando la tua lettera e ci che scrivesti intorno


a coloro che non solo non sapevano tener giusto conto dell'analogia tra i fenomeni e quello che non cade sotto i sensi,
ma neppure dell'accordo tra le sensazioni e quello che non

pu essere percepito dai sensi, od invece dell'attestazione contraria [che dai fenomeni pu venire alle nostre supposizioni] '.

il

57.

Dolce cosa, memoria di caro defunto

58.

Non

evitare di far piccoli favori, perch sembrer che

medesimo

faresti

anche per

grandi

'^.

un nemico non
come un cane ^.

59. Alla preghiera di

guardia, perch

^.

Seneca, Ep.,

25, 5: cfr.

il

detto di Cleante (Fr.

rifiutarti,

St.

Vet., voi.

ma

I,

p.

sta in

136, n.

612 Arnim).
2 II frammento tolto da Philod., TtQayiiax., V. H^, I, 126 (Usen., p. 163, 29 i\^.\.
Traduco per secondo il testo dato dal Crnkrt, Rh. Mus., 1906, p. 425, che rivide il papiro. Per ci di cui si parla v. Ep. ad Erod., 59; 50 sgg. 47: Ep. a
;

a p. 118.
3 Plut., Contr. Epic, 28, p, 1105 D (Usen., p. 164, 6). Altrove Plutarco, ibid.,
p. 1097 E, riferisce che Epicuro, ricordando le ultime parole del fratello morente,
scriveva di essersi sentito invadere da uno stru<?gimento di ^ioia che solo le lacrime possono donare. E Metrodoro diceva, circa il ricordo dei cari defunti: v'
una particolare gioia, affine alla mestizia, che in tali circostanze bisogna ricercare, V. Sen., Ep., 99, 25. Su questa petrarchesca voluptcs dolendi, gi cara agli
Epicurei, v. il mio studio ricordato sopra in n. a fr. 53.
* Questo ed il frammento seguente, sono conservati da parecchi gnomolo^ri.
Pitocle, 87 sgg. e n. 3

v.

Usen.,
''>

p. 164, 26 sg.

Per la fonte

v.

n.

preced, Per la dottrina

cfr.

Mass. cap., XXXIX.

EPICURO

180

FRAMMENTI
D'INCERTA SEDE
Frammenti sulla teoria della conoscenza.

Vano

non medichi qualche


medica a nulla giova se non
ci libera dalle malattie corporee, cosi neppur la filosofia, se
non ci libera dai mali dello spirito60.

umana

* 61.

discorso di filosofo che

passione: e

come

l'arte

nomi son pi perspicui

delle definizioni loro; e

certo sarebbe pur risibile, se alcuno in luogo di dire: Salve,

Socrate, dicesse: Salve, animale loico, mortale^.

Frammenti sulla
62.
finito

Fisica.

Nulla di nuovo avviene nell'universo,


tempo gi trascorso -^

PORPHYR.,

Ad

rispetto all'in-

Marceli., 31, p. 394, 7 sg. N^., Stob., Fior., 82, 6 (Usen., p 169,

frammento che precede nell'ediz, dell' Usener la Seni. Vat., 54), Porfirio
introduce come proprio questo passo in quel suo mosaico di varie sentenze di cui
abbiamo detto sopra (n. a fr. 46), lo Stobeo lo riferisce con il lemma II'u'&^aYQou.
14 8g. Il

Per assai probabile sia di Epicuro; infattile parole: Gri.ia la carne ecc. che
appariscono nel fr. 46 in Porfirio e che sono date come di Pitagora dallo Stob,,
Fior., 101, 13, sappiamo ora essere di Epicuro dalla Sent. Vai., 33. La medesima
confusione avvenne anche altrove. Per la dottrina v, Sent. Vat., 51: Ep. a Pitocle, 85 sg.
2

al

Questo frammento, che manca

all'

Usener, l'ho tratto dal commento anonimo

Teeteto pubblicato in Beri. Klassihertexte, II, 1905 (v, ivi col, 22, 39

riferito in costruzione indiretta.

Per

la dottrina v, Epist.

ad

Gloss. Hippocr. praef., p. 34, lO^Klein. Sulla canonica epicurea, v,


jt.

cpva.,

XXVIII

ed. Cosattini,

Hermes,

sj?,)

ove

Er., 38; Erotian.,

anche Epic,

1894, p. 9, col 6

3 Plut., Strom., fr. 8, Dox., p, 581, 19 Diels (Usen., p. 191, 1 sg.)- Se proprio
queste sieno le parole precise di Epicuro, come crede l' Usener, dubbio certo sua
la dottrina: v. Hieron., Comm. in Eccles., e, 1, t. III, p. 391 D Vali. Asserii (Epi;

eadem et eisdem in locis et per eosdem fieri .


De resurrect., e. 6: cfr. Lucr,, III, 856 sgg. Si tratta, cos per gli uomini come per il mondo, di un ciclo sempre ricorrente, quale quello in cui erecurus) per innumerabiles periodos

lusTiNUs,

FRAMMENTI

181

63. Ci che finito ha un estremo, e ci che ha un estremo


scorge da un'altra cosa esterna; ma l'universo non si scorge
da altra cosa esterna, perci, non avendo alcun estremo,

si

necessario sia infinito ^

64.

Pu l'acqua produrre

lo

scotimento della terra, se ne

dissolve e corrode certe parti che, cos stremate,

non possono

pi sostenere ci che sorreggevano prima. E pu anche essere


scossa la terra dall'impeto del vento. Poich il suo moto deriva forse dal

sommovimento

dell'aria [che sia dentro la terra]

quando un vento esterno vi penetri e l'agiti: o forse anche


[quest'aria interna] scossa dall'impeto di qualche frana suforse ancora qualche parte della terra sostenuta
bitanea.
quasi da colonne o pilastri, onde se viziati crollano, trema la
forse ancora una corrente di vento caldo
mole impostavi.
conflagra a

modo di fulmine, e mena strage di ogni cosa che


Od anche possibile che acque torpide e pa-

vi s'opponga.

da qualche vento; donde, o l'urto scuote


moto sempre pi
medesimo incitandosi, si propaga continua-

lustri siano agitate

la terra, o l'impeto del vento, per lo stesso

crescendo e da se

mente dal basso

in alto

^.

devano gli orfici ed i pitagorici iv. il mio Empedocle, p. 208, n. 3). 11 passo di
Lucrezio ed i testi citati da me nel mio Empedocle mostrano che nel luogo di
Cels. ap. Origen., IV, 67, 254 Hoesch., chel'Usener cita (p. 191 n.), a torto egli
corregge la lezione volgata jtsQioog in jtQoSoq (fAota ji'Qxr]? slg x^oc; oxlv
Tcv d^vTTcv :n;eQoog, xal xax xg xexayixvai; vav-DKA-i'ioeig vciY^Ti x a'x
if|

el al Y^vovvai xal elvat xal oeO'0-ai.


1

II

testo ci giunto nella traduzione ciceroniana (Cic,

De

div., II, 50, 103;

Per la dottrina v. EpisL ad Erod., 41 e n. ivi.


2 II frammento ci conservato nella traduzione di Sjcneca, Nat. Quaest., VI,
20 (UsEN., p. 231, 6 sg.), il quale, dopo aver riferita la dottrina democritea sul
terremoto (v. Democr., A 98 D.), dice che Epicuro ammette come possibili tutte
le cause ammesse da Democrito ed altre ancora e riprende coloro che non credono possibile se non una sola causa, percli dice che arduo dare una spiegazione
sicura di ci che solo congetturabile. Ora, come sappiaino, v. Kp. a Pilocle pasfenomeni
sim, Epicuro in ci fedele alla sua dottrina fondamentale sopra
metereologici. Sulle cause dei terremoti, v. anche Ep. a Pit., % 105. Aiir., Ili, 15,
11, p. 381 D. Seneca, dopo il franimento citato, soggiunge: JShtllam tamen ili
[se. Epic] p.'acet cnKsam motus esse maiorem qnain spirilnm. Si noti poi che Epicuro stima che le diverse cause esposte dei fcnouieni nieteroologi, possano tutto
UsEN.,

p. 211, 22 Sgg.)-

avvcrarai secondo

diversi casi.

EPICURO

182

non pi beati ed indistruttibili potremo pensare


pensiamo che siano senza favella e non discorrano
simili appunto agli uomini muti K

65. Certo
[gli di], se

fra loro,

66. Sacrifichiamo

piamente

bellamente, ove sia dove-

roso, ed ogni altra cosa facciam

conforme

alle leggi,

senza

perturbarci per nulla delle opinioni volgari sulle dottrine


intorno agli esseri perfetti e massimamente venerabili. Per

pi comportiamoci secondo giustizia per l'opinione che

di

esposi...

^.

67. Se il dio dovesse esaudire i voti umani, pi tosto morrebbe ogn'uomo, poich assiduamente fra loro si augurano

molti mali^.

Frammenti sull'Etica.
68. Principio e radice d'ogni
tre.

Ed anche ogni cosa saggia

rimento

bene

il

piacere del ven-

e squisita ad esso ha rife-

^.

1 II
frammento ci conservato da Filodemo, itegl -O^ecv SLaycoy. v. Scott,
Fragm. Hercul., Oxford., 1885. p. 174 (efr. Usen., p. 2J9, 14 sg.). Che secondo Epicuro gli di potessero parlare, appare anche da Sext. Emp Adv. dogm., IX, 178.
In ci che segue in Filodemo, si vede che l'argomentazione d'Epicuro era tratta
dall'analogia con il saggio, che l'essere pi simile agli di (v. Epist. a Menec, 124)
onde si argomentava che gli di dovevano parlare in greco o in una lingua affine,
:

perch solo fra

oiSanev y^Y^'^Tag

greci

si

ebbero veri saggi,

v,

Scott, p. 17G, 12 sg. (xal |xvov

o[oq)]oijg 'EA,Xt}vl6i yXcTXTi xQm\ivovq).

frammento tolto da Filodemo, jt. s-uoep,, p, li6 Gomp. (Usknkr, p. 258,


Anche altrove in quest'opera (p. 128; 128 Gomp.) si proclama l'osservanza
delle norme religiose riconosciuta da Epicuro, quando non inveivano la credenza
che gli di intervengano nelle cose umane (cfr. Ep. a Menec, % 124 e n. ivi). Qui
pure il testo qua e l integrato, ma nelle linee generali par sicuro. Gli esseri
perfetti e massimamente venerabili , sono gli di.
^ Il frammento riferito da diversi gnomologi: v. Uskn., p. 259, 1 sg.
4 Athrn
XII, p. 546F: VII, 280 A (Uskner, p. 278, 10 sg.). Lo stesso pensiero,
2 II

19 sg.)-

che fece grande scandalo, ripetuto da Metrodoro, fr. 39 sgg. Korte. Come Epicuro per procedesse nella classiflc>izione dei piaceri per il loro valore, v. nel
mio studio Sopra un frammento del comico Damosseno, Rendiconti del R. Istit.
liombardo 1917, p. 299; cfr. Mass. cop.^ IX e n. ivi.

FRAMMENTI
69. Allora

abbiamo necessit

183

del piacere,

quando soffriamo

della sua assenza. Quando questo non ci accada, e pur siamo


in condizione di sentire, allora del piacere non abbiam ne-

cessit alcuna.

ma

l'impulso naturale,
70.

non

certo la causa dei nostri trascorsi


lo

stimolo delle vane opinioni ^

Ci eh' la causa d'insuperabile gioia, la semplice


un grande dolore. Tale l'essenza del bene,

liberazione da

se ce ne formiamo un giusto concetto, e ad esso ci


niamo saldamente, invece d'andare in giro cianciando
tamente intorno al bene ^.

71.

meglio

attestol-

sopportare questi particolari dolori, per go-

dere maggiori gioie.

Giova astenerci da questi particolari


gravi dolori

frire pi

Stob., Fior.,

1-

Nel

128.

fine

17, 35

(Usen., p. 283, 3 sgg

codici leggono: ov yq

f\

XX'i] jteQ xc, xevg %ac, Qs'^iq.

-O-ev,

piaceri, per

non

sof-

^.

).

Per

la dottrina v. Epist. a

xr\q cpijoecos fi8ovT} xr\v

L'Usener corregge

Sixiav

Menec,

jroiet fco-

fiovri in gvSeia, certo

lontano dalla lezione manoscritta. Il Crnert, 1. e, vorrebbe leggere cpcavr), che


per male si contrapporrebbe ad Qe|i? che segue. Quanto a me correggo ojtT),
cfr. infatti ci che dice l'epicureo Velleio in Cic, De fin., I, 16, 52 praesertim cum
sit causa peccandi : quae enim cupiditates a natura proficiscuntur,
explentur sine ulla iniuria, quae autem inanes sunt iis parendum non est.

ornnino nulla
facil;

V. anche Arist., Eth. Nic, X, 1, 1. Forse sarebbe possibile conservare


intendendolo come il fine naturale, a cui siamo spinti da natura, ci che
per il senso tornerebbe lo stesso: ma il contrapposto con Qe%ig credo proprio
consigli di considerarlo derivato da corruzione di ^ony\. K noto infatti quanto
Epicuro si compiaccia di queste contrapposizioni.
- Plut., Contr.
Epic, 7, p. 1091 A (Usen., p, 283, 9 sg.). Nella prima frase
leargo: t yQ 3toioi)v vvnQ^kr\xov v'H'^o? "^^ y,a.x' avx (codd. jtaQ'avx: Usener

Per

ojifi

flovfi,

ndqavxa,

ma

vedi le mie oss. in Riv. di Filol.

TTiv xya'd^ov (piioiv ^ avTfig xf\q cf)vyr\q

jtaxv.

Per

la dottrina cfr.

Mass. cap.,

, 1916, p. 28-'

sg.

cfr.

Plut., ibid.,

xov

xajtoO... yevvd.a-d^ai) 7tecfvy[ivov

III.

Nelle ultime parole non

si

jiya

pu ren-

dere in italiano l'allusione ironica ai Peripatetici, risultante da un gioco di parole


xal \ii] jieQi:rtaTfi neQ ya^ov O'QuXiv) che ho indicata nello studio cit. s.

(oxa-O^f)
i

lisi

del piacere,
^

3,

Peripatetici infatti seguivano

p.

.su

ner) se nel

metodo aristotelico-platonico

da Arstocl. ap. Euseb., P-aep. ex-ang. XIV, 21,


Non certo per, (come riconosce anche l' Useabbia una citazione letterale, od una parafrasi. Per la
tolto

(UsKN., p. 289, 9 sg).

frammento si
Menec,

dottrina v. Ep. a

delle sottili ana-

cui vedi in n. a Mass. cap., III.

Questo frammento
7C9

il

129

e n. ivi.

EPICURO

184
72.

Non dobbiamo accusare

la

carne quale causa di grandi

mali, ed incolpar le circostanze per

nostri crucci ^

i
78.

grandi dolori celermente traggo

rano non sono grandi


74.

Dolore che trasmodi

75.

Amor

desiderio

76.

di

vera

stessa

ogni molesto e inquieto

filosofia dissolve

Natura opima ricchezza porge

il

Non

che

alla beata Natura,

77. Sia grazia

78.

uccider^.

ti

'*.

La

agevole,

di vita: se perdu-

;i

^.

disagevole non necessario


raro

trovi

si

il

al saggio

'.

necessario rese

^.

un uomo (povero) rispetto al fine


umane. Non v'

naturale, e ricco rispetto a le false opinioni

che sia pago a ci che ha, ma piuttosto si crucpoich essi fanno come i
febbricitanti, cui il maligno male d sete sempre, e sempre

infatti stolto

ciano per ci che non hanno;

desiderano

le

cose pi contrarie. Cos dei malati dell'anima,

PoRPHYR. Ad Marceli., 29, p. 292, 22 sg. N^.: Usener, p. 291, 9 sg. Per le
si deve accogliere anche questo frammento, v. s. n. a fr. 46. In ci
che segue presso Porfirio, si dice che le cause di questi mali sono da cercarsi
nell'anima. E forse anche in ci Porfirio parafrasa un testo epicureo, v. infatti
Diogene di Enoanda, fr. I sg. W. cfr. Democr,, fr. 159 Diels, ove un simile
1

cautele con cui

corpo e l'anima.
Plut., Be aud. poet., 14, p. 36

dibattito fra
2

Sent. vat.,
3

il

(Usen., p. 292, 4 Sg.): cfr. Mass. cap., IV:

(Usen.. p. 292, 16): cfr. n. prec.

3.

Plut., Contr. Epic, 23,


PoRPHYR., Ad Marceli.,

p. 1103

31, p. 294, 5

N^.

(v,

sopra

n.

fr.

46):

Usen.,

p. 296,

13. Cfr. fr. 45.


= Cic, Be
'Age' inquies

fin.,

II,

28,

90

(Usen., p. 300,

21).

Il

passo di Cicerone questo:

'lata parva sunt. Sapientem locupletai ipsa Natura, cuius divitias

Non certo dunque se le parole che l' Usener ne


Epicuro, siano proprio una citazione letterale. La dottrina per
sicuramente epicurea (v. Mass. cap., XV e n. ivi).
6 II
frammento riferito dallo Stobeo, Fior., 17, 23, e da altri gnomologi

Epicurus parabilis esse docuit'.


toglie

come

di

(Usen., p. 300, 2o sg.).

zione della Natura.

Anche

in Lucrezio, III, 931 sg.,

abbiamo una personifica-

- 185

FRAMMENTI
sentono sempre privi
a multiformi desideri ^

di tutto, e la loro avidit

si

Cui poco non basta, nulla basta

79.

Cui non sembra vastissimo

80.

gnore

di tutto

mondo

il

Onesta cosa

81.

83.

Timore

84.

ma

lieta

povert

stimola

^.

suo possesso, anche

ancor misero

si-

^.

'^.

massima ricchezza

82. Frugalit

timore

il

li

^.

vita frugale induce molti a vita piena di

di

^.

di

maggiori guai

85. Selvaggia attivit

sera vita

non termine

molti l'essersi arricchiti

permuta

di miserie,

^.

accumula ricchezze,

ma

si

crea mi-

^.

PoRPH., Ad. Marc, 27, p. 291, 24 N^. (ove a ragione non accettata la lezione
Usener onviov per o' ojtdviov): Usen., p. 301, 11: intendi, gli stolti numcano di atarassia eh' la vera ricchezza: v. fr. 80; 82: Sent. vat., 59; 69. Per
1

dell'

l'attendibilit della fonte vedi sopra n. a


2

Aelian., Var.

Seneca, Epist.,
Seneca, Epist.,

est paupertas,
Cfr.

s.

fr.

si

fr. 46.

9,

IV, 13: Usen., p. 302, 24: cfr. Sent. vat., 68.


20: Usen., p. 302, 29 sg.

2,

5:

hist.,

Usener,

laeta est.

Non

qui

p. 303, 5 sg.

Seneca aggiunge:

parum habet, sed

illa vero

non

qui plus cupit pauper est

30.

3 Clem. Alexandr., Strom., VI,


2, p. 266, 38, che cita il frammento col nome
Epicuro (Usener, p. 303, 12 sg.). Anche questa sentenza d'Epicuro posta tacitamente da Porfirio nel suo mosaico {Ad. Marc, 28), v. s. n. a fr. 46: cfr. la Sent.
vat., 25, che avevamo in parte gi nella traduzione di Seneca, Ep., 14, 10 (=U8en.,

di

p. 303, 24).

PoRPH., Ad. Marc, 28, p. 292, 12 sg. N^. Usen., 304, 15 sg. Per la circospesi deve accogliere questo frammento v. s. n. 44. Probabilmente esso
non che una parafrasi di Seni, vat., 63.
7 PoRPH., Ad.
Marc, 28, p. 292 N'^. Uskn., p. 304, 19 sg. Anche qui Porfirio
6

zione con cui

non dice che questa sentenza sia

di Epicuro, lo

sappiamo per da Seneca,

Kp.,

17, 11.
8

fr.

PoRpii., Ad.

Marc,

29, p. 293, 11

46: cfr. Sent. vat., 30.

N^: Usen.,

p. 304, 25 sg.

Per

la fonte v. n.

EPICURO

186

immodica, madre

86. Ira

d' insania

timore o desiderio intemperante e stolto:

87. L'infelicit

ponvi freno ed avrai beata saggezza

Greve non

88.

ma

volgo],

del volgo

90.

privi

di

[beni

questi

cari

al

^.

fiacca

si

l'esser

^.

piuttosto sopportar l'inutile gravezza degli errori

Anima

89.

ture

ad un giorno sereno

pusilla

s'esalta, nelle sven-

*.

C'insegna

Natura] a far minor conto di ci che

[la

viene da fortuna, e buona ventura a riconoscere disavven-

poco pregio

tura, e nelle disgrazie dar

accogliere

turbarci

beni della sorte,

quelli che

ardire contro

stimansi

alle fortune, e

senza

movendo con franco

suoi

mali. Perch

effi-

mero ogni bene o male volgare, e saggezza e fortuna non


hanno mai nulla
91.

meno

Chi

pi gioia

in

comune

desidera

il

^.

domani,

domani s'avvia con

al

^.

92. Vita stolta ingrata e trepida:

l'avvenire

tutta

protende

si

al-

^.

Per la dottrina vedi Filodemo, Be ira,


gli epicurei ammettono anche nel
saggio un modico sdegno (v. 1. cit. XLI-XLII), non l'ira violenta, perch il saggio non sottosta a passioni intense: v. Mass. cap., XXX.
2 PoRPH., Ad. Marc, 29, p. 293, 4 sg. N^. :U8EN., p, 305, 33 sgg. Per la fonte
Seneca, Ep.,

18, 14

XLIV. lensen.

col.

(Usener,

a fr. 46.
PoRPH., Ad. Marc,

V. n.
'^

II

frammento

col.

(cfr.

p. 305, 25).

XVI). Nota che

31, p. 294, 4 sg.

citato

come

di

W.: Usen.,

p. 306, 4 sg.

Epicuro da diversi gnomologi:

V. n. preced.
v.

Usen.,

p. 306,

18 sg.: cfr. Sent. vat., 38.

PoRPH., Ad. Marc,

n.

fr. 46.

cap.,
6

Per

XVI. In
Plut.,

127.

fine

De

30, p. 293

N^: Usen.,

la dottrina v. Ep. a

espungo

il

5tal

Menec,

p. 306, 23

sgg. Per la fonte v. sopra

134 sg.:

Vita di Epic, 120: Mass.

avanti ad wq come Usen.,

p.

LXXVIII.

Menec,
supremum Grata

tranq. an., 16, p. 474 C: Usen., p. 307, 9 sg. Cfr. Epist. a

HoRAT., Epist.,

I,

14, 13

omnem

crede diem

tibi

diluxisse

superveniet quae non sperabitur hora.


7 Seneca,
Ep., 15, 10: Usen., p. 307, 19 sg. Vita ingrata detta quella dello

perch non riconoscente ai beni passati:


a Menec, 122.

stolto,

v. Sent. vat., 35; 75; 19

ed Epistola

FRAMMENTI

sempre ricominciar

93. Molesta cosa

94.

Fra

anche questo male ha

gli altri,

ricomincia a vivere

genere
alla morte ^.
96.

Son

97.
ti

cos stolti, anzi

99.

dementi

gli

uomini, che alcuni per

il

''.

che appetir la morte perper timore della morte ^?

risibile

sia resa infelice la vita

bello e coloro che

quando non dia alcun piacere

Massimo

sempre

la stoltezza:

morte per tedio della vita, quando


che tu debb?. correre
s

Vi pu esser cosa pi

98. Sputacchio

rano,

vita abbi fatto

di

timor della morte son sospinti a morire

ch

la vita

^.

95. Ridicolo correre a

col tuo

187

vanamente

lo

ammi-

^.

frutto di giustizia, serenit di spirito

~.

precedente ed il sg.
Seneca aggiunge: considera quid
vox ista significet... et intelleges, quam foeda sit hominum levitas cotidie uova
vitae fundamenta ponentium, novas spes etiam in exitu incohantium .
1

Seneca, Ep.,
Seneca, Ep.^

23, 9:

Seneca, Ep.,

24, 22:

13,

Seneca, p.^

23:

24,

vata da Philod., n.

Usen,, 308,

13.

V.

il

fr.

16: Usen., p."308, 19 sg.,

Usen., p. 309, 26 sg. V. n. sg.


Usen., p. 310, 1 sg. La citazione di Seneca compro-

'EjtiJt., col.

XIII

a, 9 sg.

v. infiitti le

mie ricerche

e integra-

zioni in Rivista di FiloL, 1915, p. 535. Per la sottile dottrina epicurea clic appare in
ivi; cfr. s. Introd., p. 18. Secondo Epicuro iu
nasconde l'istintivo amore della vita el il timore della
morte, e poich a molti la vita non sembra possibile senza saziare quelle passioni
(come l'amore del potere e della ricchezza), che in origine (v. Mass. cop., VII)
derivarono dal bisogno di rendere la vita sicura, essi preferiscono la morte alla
cotidiana agonia delle loro speranze ed ambizioni. Similmente lo Schopenhauer,

questo franuiiento vedili mio studio

ogni nostro desiderio

Die Welt as Wille

si

und

Vorst., IV, 89 (p. 510 ed. Griseb.), cfr. voi. II, 280 sg. ecc.

Gi Democrito aveva detto

(fr.

203 D.):

Uomini che fuggon

la

morte

le

corron

dietro.
6

Seneca, Kp,^
Athen., XII,

Usen., 315,
1

24, 23:
p. 547

Usen.,

A: Plut

17 sg., cfr. fr. 12

p. 310, 9 sg. Cfr. fr. prec.


,

Adv.

Col., 30, p. 1124

E; De

occ. rii\, 4, p. 1129

B:

sgg.

Clkm. Alex., Strom., VI,

2,

p. 266, 39:

Usen

p. 317, 19. Cfr. Mos.'<. cap.,

XVII.

EPICURO

188

100. Inizio di salvezza la

101.

Le

conoscenza dell'errore ^

leggi sono promulgate per

facciano ingiustizia,
102. Colui

ma

non perch non

saggi,

perch non sia loro

che ha conseguito

fatta

sommo bene

il

'\

connaturato

all'uomo, anche quando non vi sia alcun testimone, sar egual-

mente onesto

^.

108. Chi incute timore

non pu non temere K

104. Guardati d'attorno per vedere con chi possa mangiare e bere, prima che per vedere ci che tu possa bere
e mangiare: poich mensa senza amico vita da leone e

da lupo
105.

^.

Non fanno

fortuna o

copiose ricchezze, o di-

felicit,

ma

gnit cospicua, o cariche ambite, o potenza;


soffrire

ed avere

affetti miti

sappia tenersi nei limiti imposti da natura

va,t.,

tium
2

Seneca, Ep.,
80, eOTL

28, 9:

jigcTT]

Usen.,

p. 3l8, 12.

Per

ocoTTQias (xoiQa xx. Cfr,

fug-ere et sapientia

prima

il

principio della sentenza

Horat., Ep.,

che

^.

I,

1,

4]

v. Sent.

Virtus est vi-

Stultitia caruisse.

Stob., Fior., 43, 139 (Usen,, p 320, 27) che cita la sentenza

Anche questa

invece non

abito dello spirito

tale

Ad Marc,

come

di Epicuro.

pone tacitamente le parole di Epicuro,


un poco mutate, nel suo mosaico di massime. Per la dottrina, cfr. fr. sg. e n. ivi.
3 L'Usener (p. 322, 16 sg.) toglie questo frammento da uno scritto epicureo
d'incerto autore (VH^, VII, 21, col. 28), in un passo ove si annoverano altre sentenze di Epicuro, e perci probabilmente anche queste sono parole del maestro.
Per la dottrina v. fr. prec, cfr. fr. 2 e n. ivi. Per le parole KS'Kxr\\i.voq x xcv
Yvou5 xKoq, cfr. Philod., Voti. Rhet., II, 7, 15 Sudhaus, ove questo fine prescritto
dalla natura (x avyysywv xKoq), cio V atarassia, opposto ai valori che derivano dalle opinioni volgari. Cfr. anche il problema studiato da Antifonte sofista in
Papiri di Ossirinco, V. XI, p. 92 sg. Democr., fr. ISl D.
4 11 frammento riferito come di Epicuro
da parecchi florilegi, v. U.sen.,
p. 32,}, 22. Cfr. Lucu., V, 1118 sgg. Per la dottrina vedi anche Massima cup., VI,
volta Porfirio,

27,

ivi.

n.
5

Seneca, Ep., 19, 10: Usener, p.


Plut., De aud. poel.. 14, p. 37 A

324, 25 sg. Cfr.


:

Usener,

Mass. cap., XXVII.

p. 325, 30 sg. Cfr. fr. 109.

FRAMMENTI

18&

106. Vivi ignorato ^

107. Devesi dire in qual

modo l'uomo

mancome nessuno,

possa meglio

tenersi fedele al fine prescritto dalla natura, e

inizialmente, di sua spontanea volont acceda alle cariche pub-

bliche

^.

come

* 108. Nulla pi fecondo di serenit spirituale,

il

non darci molto d'attorno, non sobbarcarci ad imprese ardue e


fastidiose e non sforzarci oltre il nostro potere poich queste
cose tutte producono turbamenti alla natura umana ^.
;

* 109. L'essenziale per la felicit la nostra condizione

intima di cui siamo padroni noi. Grave cosa la milizia e


soggetta

al

comando

altrui: vita di oratore

tudine e trepidazione se

ci

piena di inquie-

riesca di persuader la turba. Per-

ch dunque ambiremo ansiosamente ci che in arbitrio


altrui? ^

Se bene

il

famosissimo motto epicureo, contro cui Plutarco scrisse

ai

prescriva la massima 'vivi ignorato^: cfr. Ovid., TWsi., Ili,

il

suo opuscolo:
25: crede

4,

bene qui latuit bene vixit: Hora.t., Epist., I, 17, 10: nec vixit male qui natus
moriensque fefellit.
2 Plut., Adv. Colot., 31, }). 1125 C: Uskner, p. 328, 13 Sf?. Veramente Plutarco
non riferisce queste parole come di Epicuro, ma come citazione dag-li epicurei.
Sef?ue poi un altro frammento di Metrodoro, questo invece l'Usener crede sia
di Epicuro. Il 'fine prescritto dalla natura" (t Tfjs cpvoecog xi'koq,) Vatarnssio,
cfr. Mass. cap., XXV: Ep. a Menec, 133. Quanto ad | QX'HS? si noti che ini'
zialmente gli onori ed il potere non sono desiderati per se stessi, ma per la sicurezza che l'uomo crede in tal modo potersi procurare (v. Mass. cap., VII), per^
milii,

pi tardi gli uomini, trascinati dall'esempio e dall'abitudine, finiscono col desiderare onore e potenza per se medesimi.

Questo frammento ed i seguenti, che non sono negli Epicurea dell' Usener,
vennero ritrovati pi tardi nell'iscrizione di Diogene Enoanda, fra altre massime di Epicuro (fr. LVI sgg. William). Cfr. Democr., fr. 3 Diels proderit nobis
illud salutare praeceptum quo monstratur tranquillitas, si ncque privatim ncque
publice multa aut malora viribus nostris egerimus . Cfr. Sent. vai., 21: Epist. a
'

Pitoclc, 86.
*

che

Per
si

la

fr. LVII) v. n. precedente.


William confronta Pr.ur., De

fonte (Diog. Oen.,

dice della milizia,

il

Quanto all'arte oratoria, v. Vita di Epic, 118, e Philod.,


cfr. anche ci che Epicuro dice di Nausifane, fr. 22,

Cfr. fr.
occ.

Voli.

IO.t.

vjv.,

Rhett

p.
,

Por ci
ll-.-SF.

passim:

EPICURO

190

*110. Dei dolori gli estremi non posson durare: perch


o rapidamente, ponendo fine alla vita, pongono fine a se
medesimi, o digradano dall'estremo spasimo *.

Non

la

Natura, unica per

nobili

od

ignobili,

*111.

uomini

spirituali

ma

tutti gli esseri,

~.

* 112. Sii persuaso [che agli uomini


oltre]

limiti prefissi

fece gli

le azioni loro e le disposizioni

non pi giova ricchezza

da natura, che l'acqua

al

vaso ricolmo

che sta per traboccare.


Possiamo senza invidia guardare le ricchezze altrui, e godere gioie pi schiette ch'essi non godano; perch [siamo
liberi dai loro crucci]

* 113. Gridare

ahim

cui ci costringe la natura;

essendo
di

dolendoci per

ma

gli altri sani e felici [noi

uomo

saggio]

lo

spasimo, cosa

continuare a lamentarci, perch

siamo ammalati, indegno

^.

1 Per
la fonte (Diog. Oen., fr. LVIII), v. s. n. a fr. 109. Per la dottrina v.
Mass. cap., IV; Sent. vai., 4; fr. 73.
2 Diog. Oen., fr. LIX: per la fonte v. s. n. a fr. 109. Cfr. Alcidamante ap.
ScHOL., Ad Arist. Rhet., I, 13, p. 1373 B, 18: LicofrOxNE in Arist,, Poi, I, 3, 1253 B,
18: Antifonte Sofista, 1. e, fr. 2, col. 2.
3 Diog. Oen., fr. LX: per la fonte v. sopra fr. 109. Quanto al paragone con
il vaso V. LucR., Ili, 936, 1003 sg.
VI, 16; Plut., Contr. Epic, 1088 E; 1089 D.
:

Nel

testo

mi scosto un poco dalla

cu [laXKov oujAcpQELV xv Tcaq

lezione del William leggendo

ttiv]

cptioiv

[xal |X8XovTi] nsQLQelv |co#ev [vnoX'r\]nxo'v .

jcXo'Oto[v

?\

[xcig vO-Qw^toig

va>Q y]ye(,( rivi

Per la seconda parte

jtA,r)Q8L

cfr. fr. 30 e n.

Mass. cap., XII; XXI.

ivi:
*

Diog. Oen.,

Epicuro,

118:

fr.

LXI

cfr. ci

per la fonte v. s. fr. 109. Per la dottrina


che dice dei Cirenaici Diog. L., II, 91.
:

v.

Vita di

VITA DI EPICURO

VITA DI EPICURO
SCRITTA DA DlOGENE LAERZIO

Neocle e di Ciierestrata, fu ateniese del


come dice Metrodoro
nell'opera Della nobilt di stirpe^. Eraclide ^, neir Epitome
dell'opera di Sozione, ed altri, riferiscono che, avendo gli Atee
niesi mandato coloni a Samo, Epicuro fu ivi allevato
che a diciotto anni venne ad Atene, allorch Senocrate aveva
Epicuro,

demo

figlio di

Gargettio, della stirpe dei Filaidi,

"*,

scuola neir Accademia, ed Aristotele in Calcide. Morto per


il
Macedone, e scacciati gli ateniesi da PerEpicuro si rifugi a Colofone presso il padre. Qui
dimor qualche tempo e vi raccolse discepoli; poscia, sotto
Tarcontato di Anasicrate, ritorn ad Atene ^; e per qualche

Alessandro
dicca

^,

II testo di questa Vita recato dall'Usenet a p. 359-373, ed a p. xxvn-xxxii:


alcune frasi per che immediatamente precedono e seguono le Epistole e le Massime,
si trovano nei rispettivi testimonia.
1

'^

V. Metrod., fr. 4 Krte.


Eraclide Lembo (v. fr. 9

6icc6oxii

xwv

cpiXoocpcov di

FHG,

III,

70),

che scrisse un'epitome dell'opera

Sezione di Alessandria.
638; Cic, De nat. d., I, 26, 72

* Cfr. Strabo, XIV, p.


(v. infra testim., 2); per la
data dell'invio dei coloni [propriamente clerucfii], a. 352-1, v. Dionys., De Din., 13,
p. (565, 1. Epicuro nacque a Samo sul fine dell'a. 312 o nel principio del 341 a. Cr.;

14, cfr. 18. Venne ad Atene, come detto sotto, a 18 anni, nel 323.
Nell'anno 322, cfr. Diod., XVIII, 18, 9, quando i coloni ateniesi vinti da Perdicca furono scacciati da Samo.

T.

sotto
^

Nel

307-6 (ol. 118, 2):

prima aveva avuto scuola a Lampsaco ed a Mitilene,

V. 8. 15: cfr. Strab., XIII, p. 589 (v. infra testim., 8).

Epicuro.

13

194

EPICURO

tempo
prese

insieme con

filosof

segnare

la

gli

altri,

poi incominci ad in-

propria dottrina, avendo costituita la scuola che

nome da

occuparsi di

lui.

Sappiamo da

lui stesso

che incominci ad

a quattordici anni ^ Apollodoro l'epicureo, nel primo libro Della vita di Epicuro, dice che egli
filosofia

diede a filosofare venutigli in spregio

si

grammatici, perch

non avevano saputo spiegargli le questioni riguardanti i versi


di Esiodo sul Caos ^. Ermippo ^ per afferma che egli fu da
maestro di scuola,

principio

ma

poi, venutigli

fra

bramosamente agli studi


che perci anche Timone cos scrisse di lui ^

libri di

Democrito,

si

volse

mano

filosofici;

r infimo

pedagogo

il

pi svergognato dei

di

bimbi

Filosofarono con
Neocle,

lui,

5,

di tutti

venne da Samo

fisici,

viventi

il

pi ciuco.

a sua istanza, anche

Cheredemo ed Aristobulo

suoi tre fratelli,

come

dice Tepicureo
Filodemo nel decimo libro della Rassegna dei filosofi
ed
anche il suo schiavo, di nome Mis, secondo narra Mironiano
^

nei Simili capitoli storici

^.

Dietimo, lo stoico, che gli voleva male, lo calunni odiosissimamente, mettendo in giro cinquanta lettere vergogno-

NeU'a. 327: Per, secondo Aristone

(?) (v. s. 14)

Suida

(v.

infra

testini., 10)

12 anni.
2

V. S.EST. Emp., Adv. m. X,

Fr. 40,

TiM.,

FHG,

fr.

18, sg. (v.

sotto testim.,

7).

III, p. 45.

51 Diels.

a somiglianza di altri, usati


particolarmente dai comici (v. p. es. Arist., Ach., 596 sgg.), senza valore patronimico. Se invece s intende come una forma di patronimico, come credono l'Usener
e lo Hirzel {Unters. zu. Cic. Schr., I, p. 110) dovrebbe tradursi d'un maestruccio figliuolo; ma sarebbe assai meno acerba derisione. Del resto si vede che
Ermippo intendeva la parola nel senso che Epicuro stesso fosse stato maestro
di scuola (cfr. anche sotto 4), e simile era il dileggio di Epicuro contro Protagora, V. sotto 8: cfr. Demostene contro Eschine {Or. de cor., 258 sg.).
6 Sui fratelli di Epicuro v. Plut., Cantra Epic,
5, p. 1089 E; 16, 1097 E; 18,
1100 A; De frat. am., 16, p. 487 D.
5

yQaii\iabibao'KaXi,b'r\q; interpreto l'epiteto in-CSrig

FHG, IV, p. 455. Il titolo dell'opera di Mironiano doveva derivare


che egli aveva raccolto sotto speciali rubriche notizie storiche che avessero reciproche analogie.
^

da

Fr. 6

ci,

VITA DI EPICURO
sissime, da lui attribuite ad Epicuro, e
colui

195

non meno

che raccolse, attribuendole ad Epicuro,

lo

calunni

le letterucce

come pure Posiche andavano sotto il nome di Crisippo


donio lo stoico ed i suoi seguaci ^ e Nicolao e Sozione nel
decimo secondo dell'opera intitolata: Le argomentazioni Dioclee
(opera che si compone di ventiquattro libri) ^ e Dionigi di
Alicarnasso. Dicono essi che Epicuro, con la madre, andava
e che inin giro per le casucce a leggervi carmi lustrali
per mimaestro
di
scuola,
aveva
fatto
il
sieme con il padre
fratelli,
ebbe
condei
ed
mercede;
che
prostitu
uno
sera
*

"*,

cubina Leonzio l'etera'^; e che diede come proprie le dottrine di Democrito sugli "atomi e di Aristippo sul piacere.
Affermano che non fu cittadino legittimo, come dice Timocrate ed Erodoto nel libro Sulla giovinezza di Epicuro ^
:

1 Cfr. Athen., XIII, fili b, che parla di un Teotimo autore di scritti caluntiiosi
contro Epicuro, smascherato da Zenone epicureo. K incerto per se sia una sola
persona col Diotimo di cui parla D. L., come pure incerta la lezione del testo

di Ateneo: cfr. Zeller, III,


2

et neQ IIooeiScvLov

13,

374,

Crnert,

l.

cit.,

p. 22.

in generale s'intende senz'altro Posidonio, designato in

modo secondo una perifrasi in uso nella tarda grecit, e cosi intende anche
Kochalsky. Ma tale perifrasi in Diogene Laerzio (cfr. II, 77, &q tpaoiv ci jtsQ
Tv Bicova v xatg AiaTQiPag e altrove: v. Crnert, Kootes und Menedemus, 1006,
p. 144) pare designi talvolta l'autore da cui tolta la notizia e le fonti intermedie. Qui potrebbe indicare Posidonio e i suoi discepoli, oppure Posidonio
le fonti che cita o che riferiscono la notizia.
tal

il

'^

La

lezione dei codici corrotta: v Toig ScSena (ScoSenarco

reo coSexdTco

Gassendi) xcv jtLYQacpofxvcov iouXeiov ^yxcov, d. (sic) oxi tzeq Tog -n. L' Usener legge v xolg StSexa... d. oxi neQ rf\c, ely..boq, seguendo il Nietzsche. Ma
non pare lezione accettabile, perch non si pu credere, osserva giustamente il

Kochalschy, che un'opera, almeno di dodici libri, trattasse tutta della Vige.sima
mensile celebrata dagli epicurei in onore del maestro
cfr. il mio studio Sopra un frammento del co<v. testamento di Epic, 16 sg.
mico Damnsseno Rendic. dell' Ist. Lomb. di scienze e lettere, 1917, p. 288 sg.).
Si noti poi che siccome il pi antico codice di Laerzio, il borbonico, ha 5co6exaxco,
sembra logica la lezione v xw coexxco del Gassendi, preferibile anche per il
senso: in quanto a ci che segue, leggo v xw ScoSeHdxcp... i oxi 6 jiQg xols x
(cfr., per la forma del numerale, sotto 14, 15, ecc.).
* Lo stesso diceva Demostene di Eschine (Dkm., De corona, 258 sg.).
" Vedi l'eco
di questo pettegolezzo in Alcifronk, II, 2: cfr. Epic, fr. 33:
Plot., Contr. Epic, 4, 1089 C. Leonzio fu sposa non legittima di Metrodoro, vedi
sotto 23; donna dotta, che secondo alcuni (Cic, De nat. d,, I, 33, 93; Pi. in.. A', h.
praef., 29) avrebbe scritto contro Teofrasto: cfr. Plin. N. h., XXXV, 144.

(elxdg), cio della solennit

V. sotto

p. sg.

11.

2.

EIMCURO

196

aggiungono che vergognosamente adul Mitre ^ procuratore


di Lisimaco, chiamandolo^ nelle lettere Peane [= Salvatore],
e mio Signore: e che pure Idomeneo ed Erodoto e Timocrate,
che avevano svelati i suoi segreti, egli in ugual modo li magnificava ed adulava^; e nelle lettere a Leonzio scrisse:
Pei' il divino Apollo salvatore, cara Leonziuccia, come ti abbiamo frenetica7nente applaudita leggendo il tuo biglietto ^
ed a Temista, la moglie di Leonto: Son ben tale io, se
voi non venite da me, da tirarmi in tre balzi fin dove voi e
;

Temista

attender)

il

a Pitocle, bel giovane:

tuo amabile

quando scrive a Temista,

altrove,

Ed

chiamiate^.

ini

accomoder

si

divino ingresso

pensa giacersi con

Sui rapporti di lui con Epicuro, v. Gompkrz, Hermes, V, p. 394

Mi
Ed

^.

lei

per le

let-

tere di Epicuro a Mitre, v. Usen., p. 134, 2; 148; cfr. Plut., Adv. Col, 33, 1156

Contr. Epic.

15, 1097

B;

cfr.

Crnert, Rh. Mus.,66,61'. Epicuro

gli

'',

E:

dedic un'opera,

V. sotto 28.

Per Idomeneo v. Strabone, XIII, 589 (infra testim., 8) v, sotto 23: per le letda Epicuro v. fr. 27 sgg.: egli sovvenne Epicuro nelle sue strettezze, V. fr. 27, cfr. Gomperz, Hermes, V, p. 392, cfr. Testamento di Epicuro 20:
un'eco dell'accusa contro Epicuro in Athen., VII, 279 F, che parla di adulazione di Epicuro verso Idomeneo e Metrodoro. Ma la stessa menzione di Idomeneo nel testamento di Epicuro ( 20), sgombra il pettegolezzo qui ricordato contro
idomeneo. Quanto ad Erodoto esso il discepolo a cui diretta l'epistola di
Epicuro sulla fsica; v. ricordata l'opera sua su Epicuro sopra 4. Pu esser
dubbio se in quest'opera negasse esplicitamente che Epicuro fosse legittimo cittadino ateniese, o solo ricordasse questa asserzione di altri. Su Timocrate (fratello di Metrodoro) che disert la scuola di Epicuro, v. s. 23, 6-8. Contro lui
scrisse Epicuro, v. Cic, De nat. deor., I, 33, 93. V. anche l'opera di Epicuro ricordata da Diogene Laerzio, in 28, neQ jta'd'cv 6^ai jtqs TL^iougaTriv.
2

tere a lui scritte

V.

V.

fr.
fr.

33.
26.

Temista era moglie

di

25; Strab., XIII, p. 589 (v. infra testim

lei

si

riferiscono le allusioni di Cicerone,

Leonteo di Lampsaco; su cui v. sotto


Clem. Alex., Strom., IV, 19, p. 224, 15.

8):

era dedicata un'opera di Epicuro {Neocle, a Temista) v. sotto 28, a cui forse
De fin., II, 21, 67 sg.; in Pis., 26, 62 sg.

L'Usener per, p. lOi, suppone anche un'opera speciale di Epicuro intitolata


Temista. Ebbe un figlio di nome Epicuro, v. sotto 27. Di un viaggio di Epicuro
a Lampsaco e dell'incontro ivi con Temista, ricordo nell'epistola ad un fanad una fanciulla, v. fr. 36.
ciullo
5 V. fr. 35: Alcifrone, Ep., II, 2, 3, deride Epicuro che considerava Pitocle
come il suo Alcibiade. A Pitocle indirizzata l'epistola sui fenomeni celesti (vedi
sopra p. 116 sgg.). Grande ammirazione aveva Epicuro per lui giovanissimo, v.
Plut., Adv. Col.,
*

La

lezione

29, p. 1124 C.

dei

codici

(ventasi

avTfi

jtaQaiveXv

si

pensa di ammonirla

VITA DI EPICURO

come

197

dice Teodoro nel quarto libro dell'opera Contro Epi-

curo. Dicono pure che scrisse

mamente

ad

altre

molte etere, e massi-

a Leonzio, di cui anche Metrodoro fu innamorato:

e che nell'opera Del fine dice:

farmi un concetto del bene,

se

Quanto a me

ne detraggo

infatti,

non

so

piaceri del gusto,

ne detraggo quelli di Venere, e quelli dell'udito e quelli della


Fuggi, o felice, a vele
vista *
e nella lettera a Pitocle
spiegate, ogni genere di cultura^. Epitteto lo accusa di tur:

piloquio,
intitolati

lo

ingiuria^ quanto

Cose allegre, Timocrate

discepolo di Epicuro

pu.
^

pure,

Cos

fratello

di

nei

libi'i

Metrodoro

dopo

averne disertata la scuola, dice


che Epicuro soleva vomitare due volte al giorno, per Tamoi"'

(a'Tfi)

\ pare veramente corrotta; donde emendamenti molteplici

xatgav, Us., p. 140

n.

v.

avTTjv 'AQi.yv7]v id, p. 361 n.

(voiit,ei avxijv

vo^t^ei avyr\v jtaQt-

Ma pi probabile invece la lezione dell'ediz, principe (Frofche del resto ha valore di manoscritto, avTr\v :rteQatveiv (veramente
l'ediz. ha TteQaivelv), recentemente appoggiata dal Crnkrt, Rh. Mus., 61, p. 423.
il qiuile cita Artemidoro, I, 78, p. 73, 8 Herch., el xig y'^'^a^'- ^v ov-/t olev ujroXd^oi :teQaCveiv, cfr. IV, 20, 212, 15. Questa lezione parr anche pi verosimile se
velvai Kochalsky).

beniana),

osserva che anche in Plut., Quaesl. conv., Vili, 8, 1, p. 728 E, occorso un


analogo errore nella tradizione manoscritta, ove Jiegaiveiv invece di jcagaiveuv.
giustamente corretto dal Wittenhach (cfr. il mio Empedocle, p. 61, n. 4). Il testo
dell'edizione principe penso non sia stato accolto sinora, perch non si vide il
senso appropriato: non a credere infatti che Epicuro escisse in tale sconcin
proposito verso la moglie di un amico, e non forse neppur probabile gli foss<attribuito in una lettera apocrifa. A parer mio, l'interpretazione deve essere
questa: nella lettera Epicuro usava espressioni esagerate e sdolcinate verso Temista, come spesso fa nelle sue epistole, e probabilmente lodava il piacere fondamentale con quelle frasi e parole che fecero tanto scandalo presso gli antichi, come gli teQ vaxQavydoixaxa xal yaQya'kia[iov(; ocp-aTog Jtal Xr]y.i]iiaTa che
Cleomrdk, II, 1, p. 112 Bak. (v. Us., p. 89, 18 sg. 281, 1 sgg.), chiama degne di
lupanare, ed infatti queste sacre vociferazioni della carne possono far pensare
a quelle di cui parla Ovidio, Ars. am., II, 689, usate dagli amanti nell'amplesso
d'amore (cfr. appunto l'epicureo Filodemo, Anth. Pai., V, 132, G), donde la Jiialigna
interpretazione degli avversari. Una simile interpretazione maligna , p. es., in
Carneadti (ap. Plut., Contr. Epic, 4, p. 1089 C), che deridendo il culto per il ricordo della felicit passata nella dottrina di Epicuro, diceva che egli teneva nota
nel suo giornale intimo di quante volte si era giaciuto con Edia o Leonzio, o
aveva bevuto del buon vino di Taso.
^ V.
fr. 10. Le parole xg (fiovg) 6i' /tgoajAdxcov xal xg 6i ixoQqiTig, 80i;o
intese dal Kochalsky come i piaun-i della musica e delle arti l'igurative: per
Epic'iro non dice (juesto, ma intende di tutti
piaceri della vista e dell'udito.
si

Fr.

34.

Su Timocrate,

v.

s.,

5,

n. 2.

198

EPicuiiO

eccessivo dei piaceri della mensa, e che egli stesso, Tiiuocrate,


solo a stento

aveva potuto fuggire quella notturna

filosofia

e quella confraternita di iniziati. Scrive che molta era l'igno-

ranza di Epicuro in filosofia e pi ancora nelle cose della


vita; che aveva pessima salute S cosicch per molti anni non
pot alzarsi dal suo sedile portatile: che spendeva una mina
al giorno per la mensa, come Epicuro stesso scrive nella lettera a Leonzio, ed in quella ai ^filosofi di Mitilene-; che convissero con lui e con Metrodoro anche altre etere. Mammario
ed Eda ed Erozio e Nicidio. Aggiunge che nei suoi trentasette libri Della natura^

polemizza, fra

gli altri,

continuamente

scrive queste precise parole


fatti che egli,

si

come molti

<-<

La

altri

facciano finita:

animi

servili,

dai premiti di quella loquace iattanza che

ripete, e in

essi

massimamente contro Nausifane ^

certo

in-

fu travagliato
la sofistica^

Sulle malattie di Epicuro, v. anche Eliano fr. 39 Herch., che certamente rida fonte avversaria, come vedesi dalla palese esagerazione. Dice es^li che

ferisce

Epicuro da giovane non poteva alzarsi da solo; che aveva mal d'occhi e non poteva resistere, non solo alla luce del sole ma neppure al fulgore del fuoco; che
gli esciva il sangue dai pori, ed era cos malandato da non poter sopportare neppure il contatto dei paimi. Che sia stato infermo di idropisia attesta Plutarco,
Cantra Epic. beat., 16, p. 1097 E, il quale dice che Epicuro si vantava di aver
raccolto amici alcuna volta a banchetto, pur malato di idropisia {ay.ixt]\
2 Secondo il Crnert {Kololes und
Menedemus, p, 20 sg.) quest'epistola sarebbe la medesima che citata anche con il titolo jtiOToA,Ti jteQl jtLTTj6et)|xTa>v
(V. Athen., vili, p. 354 B sg., Uskner, p, 152 sg.), in cui erano contenute simili ingiuriose allusioni a filosofi famosi (v. sotto 8), e ritiene sia da porsi fra le epistole
spurie. Pare sia da accogliersi la lezione t? del Menage, invece di xag codd.,
cfr.

UsEN.,
3

p.

1.36,

Ritengo

araig

11 e qui sotto 136.

codici x nl-Elaxa xaix. kyeiv tal vxiyQoicpeiv v


xe xal NavoicpctviJi x nXslaxa, senza introdurre con l'Usener (xe)

la lezione dei

aA,>.oig

(che neppure il Kochalsky accetta) prima di lysiv e senza espungere il secondo


x jtXetoxa (cfr. Dxsls, Vors.'^, II, p. 156): non bisogna dimenticare infatti, quanto
poco stilisticamente accurata sia questa compilazione di Diogene. Il Crxert,

KoL

u.

Men

di copiare,

p. 17,

ma

intende vxiyQdcpeiv non nel senso di polemizzare,

non credo a ragione

dell'accusa, indicano cho

si

infatti

tratta di

stato maestro di Epicuro (v. sotto

Egli teneva

14),

ma

in quello

passi che Diogene cita subito a prova


polemica. Nausifane di Teo, .sarebbe

una
bench Epicuro

lo

negasse

(v.

sotto 13).

pregio la retorica, disprezzata da Epicuro; v. Sext., Adr. Math.,


I, 2. Per gli echi di questa polemica contro Nausifane in Filodenio, vedi i testi
raccolti dal Diels, l. cit., p. 1.57: cfr. anche le acute indagini del Phuj.tson', l. cit.
(Archiv. 1910), p. 139 sgg.
*

Fr. 17.

in

"

VITA DI EPICURO

199

Eiferisce ancora che Epicuro, nelle lettere, scrive


sifane:

Questo

lo

trasse cos fuor di

di

Nau-

senno, da farmi in-

e da chiamarmi per dileggio Maestro ^ Ed Epicuro


chiamava mollusco ^, e ignorante, e imbroglione, e mere-

giuria,
lo

Platone diceva: adulatori di Dioniso-^


Vaureo^; Aristotele: dissoluto, e diceva
che avendo divorato il patrimonio famigliare s'era fatto
soldato e spacciator di farmachi ^ Protagora chiamava facchino e scrivano di Democrito, e diceva che era stato maestro
trice:

discepoli

di

Platone stesso:

di scuola nei villaggi. Eraclito


nario''".

soprannominava

il

Democrito, Lerocrito^; Antidoro, Sanndoro

confusio-

\=

Piag-

Fr. 21; le ultime parole nov.aXtlv 6i5dOKaXov, son considerate corrotte

alcuni,

rUsener legge

dole

senso che

da

invece di 6i5doxaXov, il Kochalsky


invece vuol correggere jt. iba.ov.ak\ {\iov avrv), ed il Diels, senza correggere, intende, s da chiamarsi mio maestro, ci che parmi difificile, se si conserva il testo dei codici. Credo prudente non mutare la lezione manoscritta danil

le

va-Ao'kov (p. 13G,

15)

ho dato nella traduzione. Infatti anche pi sotto Platone

detto aureo, per dileggio, volgendosi a cattivo senso un vocabolo che potrebbe

essere un elogio; cos qui, poich ?i.oi6oQ8todaL indica chiaramente che l'inten-

zione era ingiuriosa ed jtoxaXelv per lo pi usato in cattivo senso, la parola

Maesiro prende senso ironico; si comprende infatti come Nausifane, che pretendeva d'essergli stato maestro, chiamasse ironicamente Maesiro Epicuro che si
dichiarava autodidatta (v. sotto 13). Anche da noi, di chi altezzoso per quello
che sa e non vuole apprendere da altri, s'usa dire: gi egli Maestro.
2

7iXev[iova, si tratta del

Plat., Phil., 21

e,

dove

il

pulmo mariniis; per

c^vevuovog pCos opposto

il

significato della parola cfr.

all' vO-Qcjiivog Piog,

come

vita

Che anche Epicuro usasse il vocabolo in tal senso (altri


interpreta polmone gran vociatore) appare da Sesto, Adv. math., I, 3, ove
riferito il fr. 22; e si aggiunge v\)v jrXeupiova xaXcv xv NavoicpdvT)v cbg vato^T)xov: del resto, anche qui segue YQdn(i-aTov.
d'esseri privi di ragione.

^ Il

primo epiteto ingiurioso

si

riferisce

certamente alle relazioni che Pla-

tone ebbe alla corte di Siracusa. Quanto al secondo (xQvooCiv), credo vada inteso
nel senso di ingenuo, bamboccione, con riferimento agli uomini dell'et dell'oro,

Lue, De lapsu

in sal.,1: Theocr., XII, 16. Particolarmente tale ironia si riquanto credo, all'abitudine di Platone di narrare miti, ed alla sua credenza neir immortalit dell'anima.
* Vedi pi ampiamente Athen., Vili, 354 b.
^ v.vn7]xi\v: Eraclito deriso per il suo stile oscuro (donde il nome onoxeivg)
anche da Lucaiczio, I, 639, clarus ob oscuram li)iyiam; non dunque giusta l'interpretazione del Kochalsky: Umwerter alle Werte.
Letteralmente: giudice di chiacchere. Per lungamente Epicuro us chiamarsi democriteo e scrisse di Democrito con molta lode; v. Plut., Adi\ Col., 3,
1108 E.
cfr.

ferisce, a

200

epici: 110

gladoni^];

Cinici, nemici della Grecia',

dialettici

rompi-

ignorante e zotico.

coTbelli; Pirrone,

Per costoro farneticano. Bastano infatti, a testimoniare


T insuperabile bont d'animo verso tutti,
la patria, che l'onor di statue di bronzo, e gli amici,
cos numerosi che non ne adeguerebbero il numero cittadinanze d'intere citt; e tutti i discepoli, cui tennero avvinti
le sirene delle sue immutabili dottrine,
ove s'eccettui Metrodoro, figlio di Stratonico ^, che pass alla scuola di Carneade, forse perch gli gravava l'insuperabile onest di Epicuro
ed infine la sua scuola, che mentre quasi tutte le
altre scuole filosofiche vennero meno, essa sempre si manin favor suo, circa

tiene salda in

innumere successione

successivamente dai discepoli

tratti

verso

sua riconoscenza
fratelli,

genitori

la cortesia verso

^,

di maestri

della setta,

Aggiungi ancora

^.

la

tra
come

servi

la

beneficenza verso
quali

il

pi insigne

appare dal suo tefu Mis di cui gi si detto,


stamento e dall'essere stati suoi discepoli in filosofia; e insomma la sua benevolenza verso tutti ^. N si pu dire
ed amante
quanto fosse d'animo reverente verso gli di
della patria. Certo infatti per eccessiva modestia neppur volle
^',

accedere alla vita politica.

E quantunque

volgessero allora

1 Sulla forma di questo nome, v. Crnert, op. cit., p. 25 sg. Contro Antidoro
Epicuro scrisse un'opera v. infra 28, cfr. Plut., Adv. Col., 32, 1126 A.
2 Da non confondersi con Metrodoro di Lampsaco (v. s. p. 22) amicissimo di
Epicuro. Questo Metrodoro che disert la scuola epicurea fu discepolo di Apol-

lodoro
3

(v. 8. 25) cfr.

Philod., Ind. Ac. col.,

XXIV, XXVI.

Sulla continuit della scuola epicurea e sulla fedelt dei discepoli alla dot-

trina del maestro, sino ai pi tardi tempi dell'et classica, v. Aristocl. ap. Eus.,

Praep.

Num.

XIV,

ev.,

p. 8, 9 sgg..
4

21,

1,

p.

769 a;

Numen.,

phil. Plat., p. 29) cfr. Philod.,

Voli.

ib.,

XIV,

Rhett.,

5,

3,

p. 728

Jtojxviifi,., I,

a (Thedinga, Be
Sudhaus, SuppL,

Sul dogmatismo raccomandato da Epicuro v. infra 121.


Epicuro verso la madre Cherestrata, si rolle vedere una prova in

Dell'affetto di

di lettera conservato nell'iscrizione di Enoanda (fr. LXIII, sg. W.),


che dai primi editori fu attribuito ad Epicuro. Ma contro tale attribuzione muove
serii argomenti il William nella sua edizione di Diogkne di En., p. XX sgg conchiudendo che l'autore lo stesso Diogene di Enoanda.
5 V. Sent.
Vat., 36.

un frammento

V.

fr.

86, 13; cfr.

Gomperz:
mia nota ivi.

68: Philod., n. et., p. 128, 5 sg.

Epic, Ep. ad Men.,

124, e

cfr.

Philod.,

ib., p.

145;

VITA DI EPICURO

tempi

difficilissimi

due o

tre volte fece

amici

^.

201

per la Grecia, persistette a vivervi

^;

qualche corsa nella Ionia a vedervi

questi da

dovunque

parte loro,

solo
gli

abitassero, veni-

e convivevano con lui nel


anche ApoUodoro (*), in vita frugalissima e semplicissima. Infatti dice che si accontentavano
di un cetile^ di vinello; in generale bevevano acqua. Ed
aggiunge che Epicuro non stimava si dovessero porre in

vano d'ogni luogo a

giardino

comune

^,

come

visitarlo,

riferisce

gli averi,

contro l'opinione di Pitagora che

ii

comune

debba essere ogni cosa fra gli amici. Infatti Epicuro osservava
che questo costume di gente che diffidi, e dove non v' fiducia non v' amicizia. Egli stesso poi dice nelle lettere^, che
gli bastava sola acqua e un po' di pane; ed aggiunge:
Mandami un po' di cacto conservato, perch possa quando voglia
scialarmela^' . Tale era egli che proclamava il piacere scopo
della vita. Ed Ateneo cos lo esalta con questo epigramma:
<^

Uomini, cruccio vi date di cose vilissime, e il lucro


da contese e da lotte mai non vi lascia posar.
Pur la Natura ricchezza vuol picciola, in stretto confine,
solo il giudizio fallace certa misura non ha ~.
Questo il saggissimo figlio di Neccie, o dalle Muse
o dal tripode santo del dio di Pito ascolt.

sapremo anche meglio

lo

in

seguito dalle sue dottrine e

dai suoi detti.

Massimamente, secondo attesta Diocle,


consentiva con Anassagora bench

sofi

(*)

Il

giardino

sua Scorsa

[tra

lo

in

alcuni punti lo

compr per ottanta mine. Lo dice Diocle


[Aggiunta marginale di Diogene L.:

filosofi]-

nel terzo libro della


v. Useni-:r, p. xxvi].

Sull'assistenza^di Epicuro ai suoi concittadini nelle calamit pubbliche di

quei tempi,
2

.fra gli antichi filo-

V.

fr.

v.

Plut., Vita Demetr

34 (v. infra testim.,

36: e Plut,, Contr. Epic,

6, p.

1090

6).

(per la lezione del testo di ((uesto

passo di Plutarco, ve:li le mie osservazioni in Riv di FiloL, a 1916, p. 280 sg.).
3 Sull'orto di Epicuro, v, Ses., /?p.,2l, 10: cfr. Pmn., XIX, 51 (v. infra, tesii>n., li.
Circa 1/4 *li litro (I. 0,5:70).
6

Fr. 38.

Fr. 39.

V. Epic,

S''nt. co.p.,

XV

(e

ivi):

cfr.

Skn.,

Kp

IG, 9.

il

202

EPICURO

con

Archelao il maestro di Socrate. Addeancora secondo attesta Diocle, a tenere


anche a mente i suoi scritti ^
Che e^li abbia avuto insegnamento orale da Nausifane e
da Prassifane, scrisse Apollodoro nelle Cronache ^. Epicuro
per questo contesta, ed afferma che solo maestro ebbe s
contradica
strava

discepoli,

ad Euriloco ^. Ed egli ed Ermarco contestano pure l'esistenza del filosofo Leucippo ^ che Apollodoro
r epicureo ed altri dicono esser stato maestro di Democrito.
stesso, nella lettera

Demetrio di Magnesia afferma che Epicuro fu anche discepolo


Senocrate ^.

di

Usa per designare le cose propriet di vocaboli, che il grammatico Aristofane censura, come troppo personale. Per fu cos
perspicuo, che anche nell'opera Della retorica, non pretende
altro che perspicuit.

nelle lettere usa le formule

Sii fe-

Vivi nobilmente, invece dell'usata: Salute.


Aristone il (peripatetico) ^ dice, nella Vita di Epicuro,
che egli trascrisse il suo Canone dal Tripode di Nausifane, di
cui, egli aggiunge, fu discepolo, come pure di Panfilo platonico'^, in Samo; e che cominci a filosofare a dodici anni,
e divenne caposcuola a trentadue ^.
Nacque, secondo dice Apollodoro nelle Cronache, nel terzo
anno dell'olimpiade centesimanona, sotto l'arcontato di Sosilice

Cfr., p. e,, Ep. ad Erod., 36; 83.


Per Nausifane v. s. n. a 7 quanto a Prassifane lo Zeller, p. 364, n. 2, osS'^rva con rag'one, che fu coetaneo o forse anche pi giovane di Epicuro, donde
par difficile potesse essere suo maestro. Il luogo di Apollodoro riferito da Diogene, il fr. 75 Jacoby.
Cfr. EuSEB., Praep. ei\. XIV, 20, 14, p. 768 C.
1

-'

'i

V. DiKLS, Fr. d. Vors., II 3,

"

V.

I codici

8.

1: cfr. testini., 2 e

hanno "Aqiotov

2,

11 sgg.

Euseb.,

l.

cit.

ivi.

Perci evidentemente troppo ardita la lezione


'AvtCyovos dell' Usener: meglio il Cobet che legge 'AqCotcov. Resta per da spiegarsi et dei codici, per cui proporrei ::t(eQi:naTr]TLKg), v. D. L
VII, 164 fe'xeQoq
ol.

'AqCotcov 'AX.eav8Qeg

7izQiKaxr\x\.v.c,;

infatti

assai probabile che questo Ari-

stone non fosse epicureo, giacch accus di plagio Epicuro; siccome poi Aristone di Alessandria discepolo di Antioco (v. Susemihl, II, p 308) scrisse di filosofia e di storia, possibile che scrivesse
7

anche una vita

V. sotto la Vita di Suida e Cic, De nat. deor.,


Su queste date vedi per 2 e n. ivi.

I,

di

Epicuro.

26, 72.

VITA DI EPICURO

203

gene nel settimo giorno del mese di Gamelione, sette anni


dopo la morte di Platone. Trentaduenne inizi la sua scuola,
prima a Mitilene ed a Larapsaco, per cinque anni, poi la
trasfer ad Atene, e mor nel secondo anno della centoven^

tisettesima olimpiade,

sotto

tantesimo secondo anno di

15

Tarcontato di Pitarato, nel setsua vita ^. Gli succedette nella

Agemorto, di Mitilene
Mor di un calcolo alla vescica che g' imped d'urinare, secondo dice anche Ermarco nelle epistole, dopo quatche prima di
tordici giorni di malattia. Riferisce Ermippo
morire s'immerse in un bacino di bronzo pieno d'acqua calda,
e chiesta una coppa di vino puro lo bevve d'un fiato: quindi,
ammoniti gli amici che non obliassero le sue dottrine, spir.
Su di lui abbiamo scritto quest'epigramma:
direzione della scuola Ermarco,

figlio di

^.

"^

Salve,
disse,

memori

siate di

estreme parole,

le

mia dottrina Epicuro


quando mori.
;

ai cari

Disse e in caldo lavacro discese; di vin generoso


l'alacre vampa, il gelo, poscia, dell'Ade lib.

Tale

la

sua vita: tale la morte sua.


il Testamento^ v. s.

testamento... [Segue

cos dispose per

p.

145 sgg.].

punto di morte scrive ad Idomeneo questa lettera:


Volgeva per me il giorno supremo e pur felice della mia vita,
quando questo ti scrivevo. Tali erano i miei mali dei visceri e
della vescica, che non comportavano eccesso di violenza. Pure
ad essi tutti s' adeguava sempre la gioia delVanimo, nel ricordo dei nostri passati ragionamenti filosofici. Ora tu, come
si conviene alla tua buona disposizione, sin da giovinetto, verso
me e la filosofia, abbi cura dei figli di Metrodoro ^ E cosi
dispose per testamento.
sul

Cio l'anno 342-1

A. 270

Ji.

a. Cr.

Cr.

3 V. su Ermarco, s. '24 sg., ed il testamento di Epicuro 17; 20, fr. 2,1, ?>6:
Srnkca, ,'/)., 52, 3, che reca il giudizio di P^picuro 8uirint!;e{?no di Eimnrco, poco
ori;?inale ed alquanto restio: Phii.od., jt. 0-av., col. 9: sulla sua dottrina v. Porphyr.,

De

absl., I, 7-12 e
*

Fr. 40,

Fr. 31.

FHG,

particolarmente Philipfbon,
III, 45.

/.

cit., p.

315 sgj?.

22

EPICURO

204

ma insigni massimamente,
Ateneo o di Timocrate e di Sande,
qaale, dopo che conobbe Epicuro, non se ne

Di discepoli ne ebbe molti,

Metrodoro \

figlio

lanipsaceno;

il

non per

dipart, se
1J3

torn da

lui.

fu

di

sei mesi,

[per recarsi] in patria, poi

valentuomo

in tutto,

ri-

come anche Epicuro

nei proemii ^ e nel terzo libro del suo Timocrate.


Tale fu egli che diede la figlia Batide sposa ad Idomeneo,
ed ebbe sposa non legittima Tetera ateniese Leonzio. Fu inattcsta

morte, come attesta Epicuro

trepido verso gli affanni e la

nel primo libro del suo Metrodoro. Dicono morisse sette anni

prima

di Epicuro, nel cinquantesimoterzo anno di sua vita.


che premorisse a lui appare anche dal testamento di Epicuro, che provvede alla tutela dei figli di Metrodoro. Epicuro
ebbe anche discepolo il predetto fratello di Metrodoro, Timocrate, uomo volgare ed avventato ^. Questi sono i libri di
Metrodoro: 1. Contro i medici, Libri tre; 2. Delle sensazioni',
3. Contro Timocrate-, 4. Della magnanimit'^ 5. Della malat-

di Epicuro', 6.

tia
libri

Contro

dialettici',

7.

Contro

9.

Della mutazione;

nove; 8. Del cam,mino alla sapienza;

sofisti^

Della ricchezza; 11. Contro Democrito; 12. Della nobilt

10.

di ilascita.

Fu suo discepolo anche Polieno, figlio di Antenodoro,


lampsaceno ^, modesto ed amabile, come dicono Filodemo
d i suoi '\
Suo discepolo fu pure Ermarco ^, che gli succedette duce
della scuola, figlio di Agemorto, di Mitilene; il cui padre fu

Sulla vita di Metrodoro!;(nato nel 330 o nel 329, morto nel 277) v. Dubning,

De Melrod.

Epic. vita

et scriptis,

Lips., 1870:

recentemente e meglio dal Krte (Lipsia,


Metrodoro in Sen., Ep., 52, 3.
2
il

frammenti furono ripubblicati pi


Vedi il giudizio di Epicuro su

S'intende nei proemii delle sue opere: a Metrodoro,


del :7t. cpvaemq di Epicuro, Voti. Herc. coli,

XXVIII

i.

1890).

p. es.,
alt.,

pare fosse dedicato

VI,

fr.

45 sgg.

cfr.

-GoMPERZ, Silz. Ak. W., 83, 92.


Questo periodo forse si deve porre in calce, come aggiunta posteriore; infatti intruso, v. Usen., p. xxvi.
* Su Polieno v. Cic, Acad. prior., 33, 108: De fin., I, 6, 20: Skv., Ep., 18, 9:
^

Epic, Testamento,

18.

ol 3t8Ql OiXSrifxov V. g. 4,

V.

s.

nota

2.

15 e n. ivi.

VITA DI EPICURO

uomo

205

povero stato, ed egli da principio si occup di retoconoscono di lui questi libri bellissimi: 1. Ventidue
dissertazioni su Empedocle, in forma di lettere^ 2. Delle scienze',
3. Contro Platone-, 4^. Contro Aristotele. Fu uomo valente:
mori di paralisi.
Furono ancora suoi discepoli Leonto lampsaceno e similmente la moj^lie di lui Temista^; alla quale pure scrisse
Epicuro: Colote ^ e Idomeneo
essi pure di Lampsaco. Pur
questi furono suoi discepoli insigni: e tali fnrono pure Polistrato che succedette ad Ermarco ^
ed a Polistrato successe
Dionisio, a Dionisio Basilide. Fu pure insigne ApoUodoro [soprannominato] Re del giardino ^, che compose oltre quattrocento libri, e i due Tolomei alessandrini, il nero ed il bianco:
Zenone Sidonio ^, discepolo di ApoUodoro, che molto scrisse:
Demetrio soprannominato Lacone": Diogene di Tarso ch<^
scrisse le Lezioni scelte^: Orione, ed altri che gli epicurei
genuini chiamano sofisti.
Vi furono anche altri tre Epicuri: il figlio di Leonto e
Temista: un altro Epicuro di Magnesia, ed un quarto maestro
rica.

di

Si

25

'^,

d'armi.

V.

e n. ivi.

8. 5

Discepolo e amico di Epicuro, grande ammiratore del maetro (v. fr. 32,u
compose un'opera per dimostrare che seguendo le dottrine degli altri filosofi non
possibile neppur vivere; contro lui scrisse Plutarco l'operetta Cantra Coloten.
Per altri scritti contro Platone e su ci che ne rimane nei papiri ercolanesi, vedi
Crnert, op. cit., p. 4 sgg.
V. H. Sauppe, Idomeneus Rhein. Mus., 1843, p. 450 sgg.; v. s. 5 e n.
-

'*

ivi: cfr.

di

Epic,

fr.

29 sgg.

Polistrato pot ancora conoscere

lui

un'opera, tra

Wilke, Lipsia, 1905


frammenti di un n.

(cfr. il bello

(piXoaocplaq, cfr.

510 8g.).

v.

Cr.nkrt, op.

'

*'

KT:aoTveavvo5

Contemporaneo

Liti., II, p. 20
"

51.

V. su lui

ai]\i.

97

cit.,

V..

maestro: successe ad Ermarco. Ci resta

studio del Philippson, N. Jahrb., 1909, p. 487 sgg.;

ed.

p.

il

papiri ercolanesi, intitolata jteqI Xyov xaxatpQovt'ioscog,

v. 8. 2, 10, 13.
p. 87

di

sg

cfr.

Gomperz, Hermes,

Su Dionisio

v.

Lue,

1876, p. 399 sgg.;

Bis. acc.y 21.

1877,

Su Basilide

Beri. Sitz., 1900, 958.

Cicerone, maestro di Filodemo,

v.

Susemihl, Gesch.

d. Al.

sgg.; Crnert, p. 175 sgg.

SusKMiHL,

oy\\i.

II,

p. 2G0 sg.;

Philippson, De Philodend libro qui

etc. Diss. Beri., 1881, p. 4 sg.

V. su lui Strah., XIV,

1)75;

Crnkrt, op.

cit.,

pi volte citato in (luesto libro di

118. Il titolo dell'opera jit^enxoi c^okaL.

p.

100

est

sgg.

Diogene

L.,

26

EPICURO

206

Epicuro scrisse moltissimo e

tutti

super per

dei suoi libri: sono infatti circa trecento volumi.


in

essi

citazioni altrui, nulla vi che

non

tenza di Epicuro. Nella molteplicit degli


sippo,
27

come

dice

Cameade, che

lo

il

Non

numero
vi sono

sia propria sen-

scritti

l'emul Cri-

chiama parassita dei

libri

d'Epicuro: perch, qualunque cosa avesse scritto Epicuro,


Crisippo si faceva un punto d'onore di scrivere altrettanto:
si ripet spesso e scrisse alla brava ci che gli veniva
mente, e lasci scorrette, per la fretta, le opere sue. Tanto
poi abus di citazioni che d'esse solamente sono infarciti
suoi volumi, ci che si pu notare anche nei libri di Zenone

perci
in

e di Aristotele.

Di tanto pregio e s numerosi sono gli scritti di Epicuro


i pi insigni:
1. Della natura, libri trentasette; 2. Degli atomi e del vuoto;
DelVamore; 4. Compendio dei libri contro i fisici; 5. Contilo
;

questi sono

3.
i

Megarici;

6.

Casi dubbi;

delle avversioni;

9.

11. Che7'edemo; 12. Degli


28

natte;

15.

17. Neocle,

Delle

vite,

7.

Del

Massime
fine;

Dei;

libri

10.

13.

capitali; 8. Delle elezioni

Del

criterio

Canone;

Della religione; 14. Egesia-

quattro;

16.

Del

retto

operare;

a Temista; 18. Simposio; 19. Euriloco, a Metro-

doro; 20. Della vista; 21. Dell'angolo nell'atomo; 22. Del tatto;

Del destino; 24. Dei sensi interni, massim^e a Timocrate ^;


Dei simulacri^; 28. Della
percezione; 29. Aristobulo; 30. Della musica; 31. Della giustizia e delle altre virt; 32. Dei doni e della riconoscenza;
33. Polimede; 34. Timocrate, libri tre; 35. Metrodoro, libri
23.

25. Prognostico; 26. Protrettico; 27.

cinque; 36. Aniidoro, libri due; 37. Delle malattie, massime

a Mitre^; 38. Callistola; 39. Della potest regale; 40. Anassimene; 41. Lettere.

Su Timocrate

v. s. 5.

jtEQl elSc^cov

sugli eiScoXa, cfr. Ep. ad Er.^

I codici

hanno

jteQl

46 sgg. e n. ivi.

vtcov S^ai {Sui venti del mezzogiorno, massime

{\))

stampa l'Usener, seguito anche dal Kochalsky; ma gi il Gassendi emend


vocov, e l'emendamento confermato dal papiro 1012 col. 38, in Crnert, Kol. u.
Men., 116, 38: da cui apparisce anche il titolo pi ampio n. vocov al xov #avdcos

xov: Delle malattie e della morte.

VITA DI EPICURO

Quali siano

le

che in

dottrine

esporre, riferendo tre sue

207

essi svolge

epistole, in

cui

procurer di
riassunta per

capi tutta la sua filosofia. E porgeremo pure le sue


Massime capitali ed una scelta di quei suoi detti che ci parr
pi degna di citazione, perch tu possa interamente conoscerlo
ed all'uopo giudicarlo. La prima epistola la scrisse ad Ero-

sommi

29

doto, (e tratta della fisica; la seconda a Pitocle), e tratta dei

fenomeni

celesti.

La

terza rivolta a Meneceo, ed in essa

si

contiene la dottrina morale d'Epicuro. Incominceremo dalla

prima, premesse poche cose intorno alla partizione della


sofia

filo-

secondo Epicuro.

Si divide

dunque

in tre parti: la canonica, [dottrina della

Velica. La canonica forma l'introduzione


ed contenuta in un solo scritto, intitolato Caione.
contiene tutta la dottrina della natura, e ne trattano

conoscenza]; la

fisica-,

30

al sistema,

La
i

fisica

sommi

trentasette libri Della natura, e, per

capi

^,

le epistole.

L'etica contiene la dottrina delle elezioni e delle avversioni

esposta nei libri Delle vite, nelle epistole e nell'opera Del


fine. Gli

epicurei son

soliti

ad unire

canonica con

la

la fisica:

e chiamano la canonica la scienza del criterio, del principio

fondamentale, e la disciplina dei primi elementi:


dicon

la

la

la

fisica

scienza dell'origine e della dissoluzione delle

cose, e la dottrina della natura:

elezioni e delle avversioni,

l'etica la disciplina delle

della condotta della vita e del

fine morale.

Ripudiano la dialettica, come superflua. Dicono


che basta ai fisici tener dietro alle voci delle cose 2.
Canone appunto dice Epicuro, essere criteri del vero:
sazioni, le prenozioni

Kax
u.

nel

le

sen-

sensi interni. Gli epicurei aggiun-

axoixeov. Credo si intendano le epistole ad Erodoto ed a Pitocle e le

altre affini, in cui

KoL

^,

infatti

Men.,

appunto

p. 20, n.

tali

dottrine erano trattate per

11 e p. 17,

sommi

d'opinione invece che

si

capi.

Il

Crnkrt,

alluda ad una

i)ar-

ticolare raccolta di lettere disposte v.o.x OToixelov.


2

xcoQelv

xax

931

sgg. Denique

Erod.,
3

37 e

nota

Mass. Cap., XXXVII Sent.


x :iQdYfiaxa xxX,: LucR., Ili,
vocem rerum natura repente mittat...). Cfr. anche Ep. ad

to^; t3v Ji<^a.y\ia.x(v tpi^YYOug

Val., 33 e n. ivi (cfr.


si

Tkles, p.

3, 15 el

ivi: 82; 73 e n.

V. Ep. ad. Er.,

cfr.

Xd(3oi (pcovriv

ibid., cfr. qui sotto 33.

-01

EPICURO

208
sero anche

per sia
tali^.

le

percezioni

intuitive

dell'intelletto.

Lo

dice

neW Epitome ad

Erodoto sia nelle Massime capiInfatti egli dice che ogni sensazione irrazionale e

non partecipa

di

memoria

^,

e certamente

non ha

attivit di

per s stessa, n mossa da un oggetto pu nulla aggiungervi


32

o togliergli. E neppure v' nulla che possa confutarle: infatti


non pu una sensazione omogenea confutare una sensazione
omogenea, perch pari il loro valore: n una eterogenea
una sensazione eterogenea, perch diverso l'oggetto di cui
sono criteri; n d'altra parte pu la ragione, perch ogni ragionamento dipende dai sensi: e neppure una sensazione pu
confutarne un'altra, perch a tutte ci atteniamo ^. Pur la
realt delle appercezioni sensibili attesta la veracit dei sensi,

ed cosa reale che noi vediamo ed udiamo, come che noi


soffriamo ^. Anche per ci che non cade sotto i sensi, conviene dunque procedere per induzione dai fenomeni ^. E certo
anche ogni nozione intellettiva (jtivoia) procede dalle sensazioni, secondo l'incidenza, l'analogia, la somiglianza e la
composizione, contribuendovi in qualche misura anche il
raziocinio. E son vere anche, sia le visioni dei dementi sia le

producono un movimento psichico,


che non esiste non pu produrre moto alcuno ^.
prenozione {KQ6'k'Y]\^ ig)] essi designano come apprendiretta opinione, o concetto, o nozione universale insita
cio memoria di ci che spesso ci apparso dall'esterno:
per esempio, l'essere l'Uomo ci che ha certe deter-

visioni dei sogni; infatti

mentre
33

La
mento
in noi,

come,

ci

1 V. Ep. ad Erod., 38, 51; e Mass. cap., XXIV (v. s. p. 63). Questo periodo
pu essere una correzione marginale di Diogene Laerzio, che si accorse di avere
data una falsa notizia nel compilare dalla sua fonte; infatti particolarmente nella
Mass. cap.., XXIV la cpavxaOTiHTi reiPoXr] xr\q iavoiaq messa alla pari con gli
altri criteri (i sensi interni ed esterni). possibile che Epicuro non trattasse di
questo criterio nel Canone, ma l'aggiungesse agli altri in opere posteriori,

V.

s.

p. 28

sgg.

V. Mass. cap., XXIIl sg.


* Cfr. fr. Sext. Emp., Adv. dogm., VITI, 9. Giustamente il Philippson, Diss.
cit., p. 24, richiama il noto principio epicureo che nulla si genera dal nulla, e le
ultime parole di questo paragrafo sulle visioni dei dementi.
5 V., p. es., come dai fenomeni Epicuro induca l'esistenza del vuoto: Ep. "d
Erod., 40; cfr. Sext. Emp., VITI, 314.
6 V. Sext. Emp,, ibid., VIII, 63 sg
3

VITA DI EPICURO

minate qualit:

infatti

per prenozione,

subito,

proprio, secondo

209

appena pronunziamo la parola Uomo,


si pensa la sua forma e carattere

dati precedenti dei sensi.

Adunque

il

signi-

fondamentale di ogni nome d'evidenza immediata


(vaQY?) ^ E non potremmo compiere le nostre indagini, se
questo prima non conoscessimo; p. es., [data .la domanda]:
Quello che laggi cavallo o bue? ; per rispondervi conviene, per mezzo della, pi^enoz ione, conoscere gi la forma del
bue e quella del cavallo. E non potremmo neppur nominare
alcuna cosa, se prima per prenozione non conoscessimo i
suoi caratteri generali. Le prenozioni sono dunque di evidenza immediata.
Ed anche Vopinamento (x So^aaiv) dipende da una anteriore evidenza effettiva, riferendoci alla quale poniamo i
ficato

come p. es., questo: Donde sappiamo se


uomo? ^. 1j' opinione {h\a) chiamano anche

diversi problemi,

questo un

pu essere vera o falsa ^.


Se infatti confermata da testimonianza o non riceve attestazione contraria, vera se invece non confermata o ha

presunzione

{yKh\\[n:;)

e dicono che

attestazione contraria, falsa.

sione

Donde

ci che attende (t jtQoajxvov)

fu introdotta Tespres-

[conferma o non contra-

ria attestazione]: p. es., l'attendere e avvicinarsi alla torre

appare da vicino ^.
I sensi interni (jia^-n), dicono, sono due: il piacere ed il
dolore: che si manifestano in ogni essere animato; e Tuno,
[il piacere], propizio alla natura di esso, l'altro,
[il dolore],
vi contrario ^. Il piacere ed il dolore sono i criteri delle

e accertarsi quale

V.

La

g.

p. 73 e n. ivi.

risposta naturalmente questa: sappiamo che un

uomo perch ha

questi caratteri. Allora interviene l'accertamento se realmente l'oggetto su cui

avevamo

tale

Kp. ad. Er.,


*

opinamcnto ha
50 sg.

caratteri indicati. V. &u\V op inamento (6o|aaxv),

Mass. cap., XXIV.

V. Ep. a Men., 124.


V. Ep. ad Ero., 50 sgg.;

cap.., XXIV
Nell'esempio che qui si
che di lontano appare rotonda, veramente
rotonda, o invece quadrata ed appare rotonda per la distanza. Era questo un
sempio tipico nelle .scuole: ci". Lucr., IV, 353 sgg. 501 sgg.
*

cfr.

Mass.

cita, s'intende accertarci se la torre,

V. sotto

Epicuro.

137.

14

210

EPICURO

elezioni

indagini

le

parole

~.

avversioni ^ Aggiungono anche che delle


une han per oggetto le cose reali, le altre pure

delle

Questo, per

sommi

capi, intorno alla partizione [della

e sul criterio del vero.

filosofa]

tempo

ora di rifarci all'epistola sopradetta. [Segue l'Epi-

ad Erodoto, v. s. p. 71 sgg.]
Questa l'epistola che scrisse sulla fisica. Quest'altra invece tratta dei fenomeni celesti. [Segue l'Epistola a FUocle,
stola

(83)

V.

s.

115 sgg.]

p.

Queste sono le sue dottrine sui fenomeni celesti.


Per ci che si riferisce alla vita morale ed alle norme che

(116)
117

dobbiamo seguire nel


altre, tratta nel

scegliere certe cose e nell'evitare certe

modo che vedremo. Prima

opinioni sue e dei suoi discepoli sul saggio.

sono ricevere dagli uomini dice egli

per esporremo

le

danni che si posche provengono o da


I

da invidia, o da disprezzo, a cui il saggio si fa supeAppena uno ha acquistato la saggezza,


non pu pi accogliere disposizione ad essa contraria, n simularla volontariamente. A (certi) affetti maggiormente soggetto^; ma non possono essergli ostacolo alla saggezza. Osodio,

riore con la ragione.

V. Ep. a Men., 129.


V. Ep. ad. Erod., 37 extr.

luogo fu variamente tentato, v. p. es. Usen., p. XXVIII in n. e p. 331,


p. 74; per nessuna delle correzioni sinora proposte soddisfa. La sentenza che qui si reca certo contro gli Stoici che credevano dovere essere il
saggio impassibile. Ma non mi pare punto giusto correggere con il Kochalsky
(i(t)v (bg> XXov, invece di [lXXov. Epicuro non pu infatti avere detto che il sapienfe soggiace a passioni come ogni altro, perch sentenza epicurea che il
3 II

KocHALSKY,

saggio non soggetto a passioni intense

(v.

Philod.,

jt.

Qyr\q, 44, 9; 41, 33) e


(v.

Mass. cap.,

Sent.

Vat., 78 s.

del resto egli deve essere libero dalle passioni proprie degli stolti

XXX). Per
p. 161),

ed

vero che vi sono certi affetti


il

dolore per amici defunti

(v.

come

l'amicizia

(v.

Plut., Conlr. Ep. beat.,

20, p. 1101

A,

Athenaeum, 1915, p. 57), che Epicuro non solo ammette,


ma crede che il saggio debba provare pi degli altri. Per di pi anche il piacere
un n'd'oq, v. s. 34, e certo Epicuro ammetteva che i saggi godono pi degli
altri: sopratutto poi pi che gli altri debbon godere dei piaceri intellettivi ed
1106

A;

cfr. le

mie

oss. in

estetici, V. s. 120 {\id.XXov re evcpQav'O'rioec&ai xcv &XX(v v xaig 'Q'ecoQiaK;)

Per-

non deve correggersi: piuttosto credo si debba leggere


jc'd'sai (tiol): l'omissione venne assai probabilmente perch it'EGi nell'archetipo
era scritto jt-& con compendio (vedi come scritto in P) onde l'unione con ci
ci \xXXov sta

che seguiva.

bene

VITA DI EPICURO

211

si pu divenire saggi con qualsiasi costin in qualsiasi popolo. Anche se posto alla ir
tortura il saggio felice ^ Egli solo sa essere riconoscente ^,
ed in egual modo si adopera per gli amici presenti ed assenti,
con parole e (con atti). Quando per torturato, geme e si lamenta ^. A donna a cui vietano le leggi d'unirsi, non s'unir
il sapiente, come dice Diogene nel Compendio delle dottrine
morali di Epicuro ^. N dar pene corporali ai servi, li compatir piuttosto e perdoner a quelli che siano di buona indole. Non crede che il saggio debba innamorarsi; n si dar
pensiero della sua sepoltura. Non crede che Tamore avvenga
per azione divina^, come (dice) Diogene nel...; neppure parler bellamente a modo dei retori ^. Dicono che l'amplesso
venereo non giova mai; gi molto se non nuoce
Epicuro in
giudica che il saggio possa sposarsi e aver figli, come dice
nei Casi dubbi e nei libri Della Natura; ma sullo sposarsi

serva pure che non

tuzione

fisica,

'^.

si

regoler secondo

si

turber di vergogna alla presenza di alcuni

durer

nell'ebbrezza

neppure parteciper

il

circostanze speciali della sua vita.

le

'^,

come

dice

alla vita politica,

^.

Non

per-

Epicuro nel Simposio:


come scrive nel primo

paradosso comune sia agli stoici che agli epicurei,

v. le

testimonianze

raccolte dall' Usener, p. 338; cfr. per sotto 118: e fr. 112.
2 V. Sent. Vat.,Gl. Per la lezione della frase che segue v. l'integrazione del

r Usener,

p. 335

6id re Xyov (xal t

;n:Qd^eco5 levai),

dove per preferirei elvai o

YLveo'dai invece di levai.


^

V. DiOGENK DI En., fr. LXIW. (=Eric.,


Diogene di Tarso, v. s. 26 e n. ivi.
V. Luca., V, 1278 sgg.

mancando

il

numero

fr.

112);

cfr.

fr.

II, Col.,

VI,

sg.

nelle parole seguenti la lezione dei codici lacunosa,

del libro; la versione latina dell'Aldobrandino d per un

nel decimo secondo libro; manon si sa con qual fondamento.


Per l'avversione di Epicuro alla retorica v. s. 120 e fr. M.

testo compiuto:
'

V. Sent. Vat., 51.

S'intende dell'onesta vergogna (che

si

deve avere alla presenza

insigne) da cui deriva ravvedimento ed emulazione; cfr.

apud KRTK, Mftrod. Fragm.,


^ I codici hanno ov6 \xi]v

col VII, 2;

in tale costrutto, nel senso di

perdurare

XIX,

fr,

di

persona

54 sgg.: Script, epic.

3.

ma ttiqev non si trova altrove,


qualche cosa. La pi agevole congettura sarebbe Xr^Qi^oeiv {sragioier) di C. F. Hermann, che pu avere conferma da
Phil., De plant. Noe, 3.'), p. 350 Mang., il quale osserva che alcuni filosofi concedono al saggio di inebriarsi, ma non per che egli operi e parli fuor di senno
(XriQeiv) nell'ebbrezza.

XTQ'ioeiv

in

[x-i],

KPICUHO

212

Delle vite. Neppure occuper la tirannide;


n vivr a modo dei cinici, come dice nel secondo libro dell'opera Delle vite', n mendicher. Anche orbato della vista
parteciper alla vita \ come dice in quel medesimo libro.
Per anche il saggio soffrir -, come riferisce Diogene nel
libro dell'opera

120

quinto delle Scelte:

libro

lascer

potr intentare processi;

non terr per discorsi d'apparato per pubbliche solenAvr cura delle sostanze e sar previdente per l'avve-

scritti;

nit

(121)

Amer

campagna-'. Sapr fronteggiare la fortuna;


Tanto avr cura della buona
gli amici
riputazione, quanto necessario a non cadere in spregio degli
uomini
Pi degli altri godr degli spettacoli,^. Innalzer
nire

^.

la

non tradir mai

'^.

''.

||

1 I codici hanno nex^ei (B p,ST|8, i. e. ixsx^eiv corr. H, |xs-5^|eiv f, |jisTd|ei, PQF)


aTv xov ptov: perci la lezione pi prudente mi pareZquella dell'ed. principe,
^s'&letv a\3xv (Usen. \iBxa.'t,ioX avxv). Il senso ad ogni modo certo, v. Cic,
Tusc. disp., V, 38, 110 sg., ove detto che secondo Epicuro il saggio, anche
accecato, pu non solo vivere, ma essere felice. A torto ^dunque il Kochalschy
corregge |X8t' (ragaliag) |^sL avxv y,x: Serenamente si dar la morte.

jt.

V.

s.

V.

s.

118

117 e n. ivi.

'Ejcix., fr. 9,
*

e n. ivi; cfr. Phil., Voli. Rhet., ed. Sudhans, II, p. 290 e Philod.,
12 sg.

V. Sent. vat., 41

s.

cfr. il

p. J55 e

mio studio
1.

ivi eit.

in Riv. di FU., 1915, p. 538 sgg.

Contro

Cirenaici che ponevano

il

sommo

bene nel piacere dell'istante: cfr. s. p, 47, n. 2, e sotto 137, n. 1.


5 Vedi le mie osservazioni in Atene e Roma, A. XI, 319 sgg.
6 I codici hanno cpi,\ov
(BPQH tpC^cov F f) xe csva (BHP2 ovbkv Pi QF f
xTfjoec&ai: l'Usener legge cpiXr[v y^Q ovbva nxqGsa'Q-ai, allontanandosi troppo dal
lesto manoscritto. Credo debba leggersi cpiX,ov xs ovbva jcQoriosO'O-ai v. 118;
:

XXVIII, e n. ivi; XL. L'errore pot venire per la forma abbreviata della yreposiaione. Per ci che precede v. Mass. cap., XVI e nota ivi: fr. 90,
3Iass. cap.,

121;

Seni, vai., 47.


7

V. Mass. cap., VII.

v xaXg #8coQiais.

Che

si tratti di

pubblici spettacoli (anche religiosi) risulta

chiaro da Plut., Contr. Epic. beat., 13, 1095 C, dove detto che secondo Epicuro
il saggio pi di ogni altro gode delle audizioni e delle rappresentazioni dionisiache; cfr. anche Philod., Jt. svo., 76, 1: Usener, p. 258. Il Kochalsky invece intende v 'Q-ecoQiais an Avissenschaftlicher Betrachtung: ci che, trattandosi del
Dopo queste parole deve
saggio, sarebbe proprio una verit troppo evidente.
essere avvenuto uno spostamento nel testo, di cui vi sono prove indubbie. Infatti fin qui si parlava della dottrina d Epicuro sul saggio; invece in ci che
segue nei codici (v. s. p. 214, 1. 3 sgg.) sino alle parole: veniamo ora all'epistola, si

espongono dottrine etiche di carattere generale. Per di pi dopo le parole veniamo


ora all'epistola, dovrebbe seguire l'epistola a Meneceo; invece si aggiunge un'altra serie di opinioni di Epicuro sul saggio. I due brani sul saggio debbono dunque congiuugersi. E che ci si debba fare anche una prova evidente nelle

VITA DI EPICURO

213

statue dedicatorie; se ne possa avere o no egli, gli


sere indifferente ^ Solo

il

pu ben

es-

saggio sapr rettamente conversare

ma pu

anche effettivamente non scridi saggezza, da saggio a


saggio ^. Cercher pure il guadagno, ma solo quando manchi
di mezzi di vita, e solamente con l'esercizio della filosofia.
Prester pure dovuto riguardo a un principe, quando si convenga. Potr dimostrare gioia del male d'altri, ma solo perch si corregga. Ed anche si far una scuola, ma non in
modo vistoso e volgare per attirarsi gran turba potr tenere
di

musica e

di poesia;

vere poesie.

Non v' superamento

letture in pubblico,

ma

solo per altrui volont.

parole che ho messo in calce a p. sg.


chiaro infatti che

AoxsL S'a-uToIg).

chiamo

Avr opinioni

Vedi ci che segue. Credono poi (T


le

l^f\q.

parole: Vedi ci che segue, sono un

ri-

perch agg'iuns'esse un brano in margine o in calce, cio precisamente il passo che tratta delle dottrine etiche di carattere generale. E per
verit le parole Credono essi si attaccano benissimo al passo intruso fra i precetti
sul saggio (v. p. sg.,c/)(? vi siano colpe di differente gravit). D'altra parte, messo
a posto il brano intruso, le parole Veniamo ora all'epistola risultano a loro posto,
precedendo esse immediatamente l'epistola a Meneceo. L'errore pu essere avvenuto nel copiare l'autografo stesso di Diogene Laerzio, dove quest'aggiunta era
posta dall'autore in margine, o in una copia successiva, per un'omissione che il
al copista

L'Usener (p, xxxiii sg.) s'accorse di una trasposizione, ma


non credo ne abbia argomentato giustamente, perch riferendo egli il richiamo
Soxet ' a-uTo^g, alle parole che seguono all'epistola a Pitocle (s. 117) jcegl xov
PicoTixcv, costretto ad ammettere una lacuna, in cui sia caduta una gran parte
del riassunto delle dottrine etiche, che si estenderebbe sino ad |LiaQTr)naTa vioa
elvai (v. s. n. p. sg.), mentre invece quest'ultime parole si attaccano benissimo
con il richiamo oxel 'avTotg, senza altra aggiunta e senza supporre alcuna lacuna, purch si riconosca lo spostamento che ho introdotto nel testo.
1 I
codici hanno: elxvag xe va^i'iosLv el exoi. SiaqjQCog cxv oj^odig, ove il
Kiihn giustamente corresse G%oi,-r\q, in a^olr]. curioso per che non si sia visto
correttore rettific.

a quale dottrina queste parole

si

riferivano, e che perci

esse siano considerate

corrotte o lacunose. Fra gli altri l'Usener pone lacuna prima di

si, ove egli supplirebbe (THva) o(:7t^o'Tov>, mentre il Kochalsky invece integra oIxtjoiv. Ma in verit
non manca nulla, basta porre virgola dopo va'd'f|oeLv, e ricordarsi che Epicuro
pone il piacere delle statue in proprio onore fra i piaceri non naturali n necessari (v. scolio, alla Massiina cap. XXiX, 8. p. 65), indiflferenti perci per il saggio,
e causa di granii mali a chi se ne faccia un bisogno (v. Lucr., Ili, 7S, Eimc,
Mass. cap., VII: cfr. Sent. vat., 61). f" naturale invece che il sapiente (per quella
venerazione e quel culto quasi divino dei saggi che Epicuro raccomanda, v. fr. 32)
innalzi statue a coloro che per virt ammira.
^ Dato il concetto assolutamente pratico che Epicuro ha della saggezza e della
filosofa (V. mia n. ad PJp. a PitocL, 8.5), e poich la scienza della felicit ormai assicurata dalla doltrina del maestro (v. Lucr., V, 8 sgg.), preclusa ogni

via di progresso.

EPICURO

214

dogmatiche e non far professione di dubbio. Si manterr


consentaneo a s anche nel sonno ^ In certe circostanze sosterr di morire per il bene dell'amico (*).
Credono poi [gli epicurei] che vi siano colpe di diversa
gravit ^: che la salute per alcuni un bene, per altri
indifferente: il coraggio non viene da natura, ma da considerazione dell'utile^. L'amicizia ha per causa l'utilit: infatti
conviene provvedere alle condizioni iniziali, ed anche la terra
dobbiamo seminarla [perch dia frutto] si forma per e si
||

(ij.)

mantiene per comunanza

di vita

che hanno rag-

fra coloro

giunto la pienezza della vita felice*. Duplice l'idea che


ci facciamo della felicit, secondo che si considera quella

(*)

Vedi

il

Credono poi [Indicazione all'amanuense,

seguiio.

V. Ep. a Menec, extr.


Per la trasposizione da

me

introdotta, v.

s.

p. 212, n.

8.

v. s. n, 8, p. 212].

Il testo

resta cos

c^aQxrmaxa avioa eivai: il Cobet legge <x> fi.aQTfi|xaTa,


e rUsener crede si debba aggiungere anche (x jtaTOQ-d-wixaxa ital %) |xaQx.
Ma non credo sia necessario od utile n l'articolo n altra aggiunta. Che infatti
non sia necessario x jiaxoQ'&cfxaxa, puoi vedere col confronto di Diog. L., VII,
120; Cic, Pro Mur., 29, 61; Horat., Sat., I, 3, 95 sg. (cfr. Appendice) ove si parla
solo degli iiaqx-qiiaxa. Del resto era questo il punto che faceva pi scandalo;
mentre chi pensi che anche Epicuro non ammetteva superamento di saggezza da
saggio a saggio, comprender che egli non doveva poi vedere tanto di malocchio
costituito: cxei ' avxolc,

la dottrina stoica sull'eguaglianza dei xaxoQ'&tfxaxa. Rispetto all'articolo innanzi

che non necessario, poich, secondo Epicuro e gli avfalli di diversa ed altri di pari gravit. Sulla dottrina
degli stoici che uguali siano tutti i falli, sia quelli che comunemente si giudicano
leggeri, sia quelli che son giudicati gravissimi: v. Stoic. Vet. Fr., Ili, p. 140 sgg.

ad

jxaQxrifAaxa, chiaro

versari degli stoici, vi son

V. Orio., Cantra Cels., V,

p. 988
4

B sgg.;

Cfr.

fr.

cfr.

Cic, De

104: Sent.

fin.,

47,
II,

p. 270

Hoersch.

Plut., Bruta ratione uti,

19, 61.

Fa<., 23, 28, 34.

Vedi anche le mie osservazioni in Riv. di


i codici hanno cvviaxaa'&ai 6 avxTiv xax

Filai., 1909, p. 78 sgg. Il testo corrotto:

HOivcovCav v xolq xalg


Qcov

PiQ

MJtXTQcv

(BP^Q:

v xaig

FP2Hf)

-fiovaXq %ne7tXr]Q(v

mg. H: om. FPSHf). L'Usener non

(B HnenXt]-

solo corregge l'ultima

parola che certamente corrotta (scrivendo yinen'kr\Q(o(\xvr[v)) ma anche v xclg


xalg in iieyiaxaig, senza che io vegga di ci la necessit. Leggo dunque v xoig
xaig f|5ovaLg 'H7cen'kr]Q(\i(voig) (cfr. Metr., fr, 52 K., xog va'd'oXg otj|XJt8Jt7,fiQcoxai:
Ep. ad Erad., % 36 xexelsGiovQyTqiivov e 83 TcoxeXov\ivov). Infatti Epicuro ha
detto pi sopra che solo i saggi possono essere veramente amici: cfr, Mass. cap.,
XL, XXVII: ove anche spiegato perch solo chi ha raggiunta la sicurezza che
data dalla perfetta felicit pu conservarsi perfettamente amico v. anche par:

ticolarmente

fr.

102:

Mass.

cap., X.

Per l'uso

di xjtXriQa) cfr.

Eur., Orest.,

.54,

VITA DI EPICURO

215

quale la divina, che non pu essere pi


che (ammette) aggiunta e detrazione di
piaceri ^ Veniamo ora all'epistola. [Segue V Epistola a Meneceo, v. s. p. 43 sgg.].
In altri suoi scritti poi nega ogni possibilit di preveg-

somma

intensa,

felicit,

o quella

genza del futuro, come dichiara anche nel Piccolo (?) compeidio; e dice: Non esiste alcun modo di preveggenza del futuro,
e se pure alcuno vi fosse, bisogna esser persuasi che gli avvenimenti non hanno alcun valore, {in confronto di ci che)
dipende dal nostro libero arbitro^. Questo basti intorno alle
dottrine che si riferiscono alla vita morale. E pi ampiamente ne ha trattato altrove.

1 L'interpretazione pi ovvia e comune che qui si opponga la felicit divina


all'umana (che sarebbe passibile di accrescimento e detrazione): per il confronto
con altri luoghi {Ep. a Menec, 135 [ove si dice che il sagg^io vive pari agli di
fra beni immortali]; cfr, Maas. cap., XX, XL; Seni, vat., 78), potrebbe far pensare che qui si paragoni la felicit divina, che propria anche del saggio epicureo, a quella che corrisponde al concetto volgare che ne hanno gli uomini:
anche gli stoici infatti consideravano la felicit umana uguale alla divina (v. Plut.,
Comm. noi., 33, p. 1076 B; Cic, N. Deor., II, 153).
2 Sulla
polemica epicurea contro la divinazione del futuro, ammessa dagli
L'argomentazione di
stoici, V. il nuo articolo in Riv. di Filol., 1917, p. 273, 275.
Epicuro in questo passo deve essere questa: la divinazione impossibile, perch
urta contro le leggi della fsica; ma se anche fosse possibile, non avrebbe valore,
perch la felicit del saggio non dipende dalle vicende della fortuna il cui influsso,
pur avendo qualche valore, non pu prevalere contro la sua saggezza e la sua
preveggenza (v. Mass. cap., XVI: PJp. a Menec, 133 sgg. e n. ivi). Credo per
sia da correggersi la lezione dei codici nell'ultima parte (el xal xjjiaQXTTi, o^fiv
jta'^' Tlfxag fiyriTa x y\.\[iE\a.) che non mi pare dia senso conveniente; vedi infatti il valore di -taQ' f)fx,ag nel luogo citato Ae.\V Epistola a 3Ienec., ed in quelli
ivi riferiti nel commento; e bada anche che Epicuro non nega ogni valore agli
avvenimenti fortuiti, ma solo lo considera assolutamente minimo in confronto dei
veri valori psichici e morali. Vedi, oltre i luoghi citati, Piiilod., V. H^, VII, 17"
T 8 HTT&v elvai irag \iya xcv ^co-O^ev... xal x ixvQtco jxeC^ova x ojjvxix xwv
cfr. Epic, fr. 106: Philod., De ira, col. 42, 7; 47, 38; 48, 15 sgg.
XXtV -ujrdQxei-v
Wilke. Leggo dunque: ov6v jraQ< x jioq') fifiag iFiYTixa x y'-vM-eva. Quanto
al Piccolo compendio (MtxQ jttxoixt'i) parrebbe debba essere l'Epistola ad Erodoto
conservataci da Diogene Laerzio (v. infatti Ep. a Pitocl.., 85); ma nell'epistola
ad Erodoto il passo che qui si cita non v'. incerto dunque se debbasi pensare
ad una lacuna in quell'epistola, o ritenere vi fossero due Piccoli compendi, o che
il compilatore abbia commessa una svista, o fnahr.ente che si debba correggere
con il (lasscndi \iiy.Q in \iay,Qd, e considerare il passo come tolto dal Grande compendio, pi volte citato negli siolii di questo libro di Diogene.

125

216

EPICUIIO
Differisce dai Cirenaici rispetto alla dottrina del piacere.

136

non tengono conto

Essi infatti

del piacere stabile,

ma

solo di

quello in moto S egli invece tiene conto di ambedue (questi


generi di piaceri) ^, sia spirituali sia corporei, come dice
nell'opera Delle elezioni e delle avversioni, ed in quella Del
e nel

fine,

primo

libro dell'opera Delle vite, e nella

agli amici di Mitilene.

Lettera

dicono Diogene nel libro


decimosettirao delle sue Scelte e Metrodoro nel Timocrate^.
E poich il piacere pu intendersi sotto la forma di piacere
in moto e di piacere stabile, Epicuro nell'opera Delle elezioni
[e

delle avversioni], dice:

lo stesso

La

tranquillit (tapa^ia) e l'assenza

di dolore corporeo (aerovia) sono piaceri


invece

V esultanza

(ei&cpoaijv'n) *

moto, per l'attivit loro

si

stabili-, la

gioia

[ijiq)

veggono essere piaceri in

Su questa polemica contro

i Cirenaici, v. il mio studio in Riv. di Filol., 1D15,


sgg. Epicuro distingueva due sorta di piaceri, quelli in moto (sv xiviiosi
che sono le variazioni del piacere stabile (cfr. Mass. cap., XVIII) e quelli stabili
1

p. 535

(catastematici) che consistono nella pura detrazione del dolore (v. fr 1). I Cirenaici
invece non tenevano conto che del piacere in moto; lo stato di calma od assenza
di dolore lo consideravano come insensibilit, quale quella di un morto, cfr. Clkm.
Alex., Strom., II, 21, p. 36.
2

(x

La

lezione dei codici fjcpxsoa pare corrotta o lacunosa: integro fifpxsQa

Y'V''1>5

V. infatti

Cic, De

fin., II, 3, 9,

che con alio genere distingue

il

piacere

in moto da quello stabile.


y

Fr. 29 Korte.

* 8i&(pQoaijvTi

ho tradotto esultanza, per rendere il senso di gioia fsica in


moto, che Epicuro d qui a questa parola. Pu parere tuttavia strano che egli
abbia scelto proprio questo vocabolo scpQooiJVTi per significare tale condizione
di

violenta gioia fisica:

Odiss., IX, 5 8gg.

ma

credo

che Epicuro

si

riferisse

ai

versi

d'O.MERo,

ov yg Eycoy xi cp7]\x,i xXoq xciQioxeQov elvai


ox' av S'cpQoaiJVT] |xv e^n xdxa Stimov dtjiavxa,
6aixv(xvEs 6'v Scfxax'xov^covxai oi6oi3
f\

f]|XEvoi ^eCrig, Jtag 5 re^fi'Q-cooi Tgaite^ai

OtXOU Hai XQ81CV...

dove ecpQoouvTi usato per la gioia dei banchetti. Per simili citazioni di poeti
in Epicuro v. l'epistola a Meneceo ^ 126) e s. 137. In questa opinione mi conferma il fatto che Epicuro spesso accusato d'aver tolto da questi versi e da
altri di Omero la sua dottrina del piacere: v. Lue, Da pai-asito, 10; Senec, E}).,
88, 5; cfr. Schol. Od., IX, 28; Heracl., AH. Hom., 75: Atiien., XII, p. 5:5; Sexp.,
Adv. Math., I, 273 sgg. 283.
:

VITA DI EPICURO

217

Ed ancora s'oppone ai Cirenaici fin questo] essi infatti


stimano pi gravi i dolori del corpo di quelli dell'anima;
infatti osservano che ai colpevoli si assegnano pene corporali.
Egli invece crede pi gravi i dolori dell'anima: perch la
carne sente solo l'agitazione presente; l'anima invece si perturba, non solo per quello che presente ma per il passato
:

e per l'avvenire

rispettivamente stima maggiori

137

pia-

ceri dell'anima [che quelli del corpo].

Dimostra poi che il piacere il fine, che ci dobbiamo proche gli esseri animati, appena nascono,
trovano benessere nel piacere, e dal dolore invece rifuggono,
naturalmente e per istinto. Questo indica che spontaneamente
fuggiamo il dolore ^: per cui persino Eracle, quando la
tunica avvelenata lo strazia, emette alti lamenti:
porre, osservando

i montani scogli
delPEubea le balze

fra pianti e strida, ed

gemon

di Locri, e

'^.

Dichiara poi che anche


i

le virt si

debbono ricercare per

non per

come

piaceri che ne derivano, e

s stesse,

si

cerca

medica in vista della salute


secondo dice Diogene
nel ventesimo libro delle Scelte, il quale chiama V educazione,
direzione ^. Epicuro dice anche che solo la virt inseparabile dal piacere: le altre cose invece se ne possono sepal'arte

rare,

'',

come beni mortali

'^.

1 Sul valore che Epicuro d all'elemento del tempo nella dottrina del piacere
Ep. a Menec, 122; Mass. cap., IX e mia n. ivi). I Cirenaici invece tenevan
conto solo della (xovxQovog fi5ovi, del piacere dell'istante.
2 Cfr. Cic, De fin., I, 9, 30; II, 10,|31; Sext. Emp., Hypot., Ili, 194.
3 SoPH., Trach., 787 sg. I codici di Laerzio offrono un testo alquanto diverso
da quello dei manoscritti di Sofocle, che certo serbano la lezione corretta. Si
vede che Diogene cita a memoria. La prima parola del v. 1, nei codici di Sofocle, pocv che qui non potrebbe^stare, perch sopra v' Po: e di fatto 1 codici di

(v.

Laerzio hanno Sdxvcov invece

di

Pocv.

Per dHvcov mordendo o con mo'si

onde, se non una sciocchezza che Laerzio regal a Sofocle, e


questo pare diflScile, deve correggersi. Le correzioni furono varie; SaxQvcov del

non d senso

Casaubono
*

Cfr.

Del resto il senso chiaro.


Mass. cap. V; Cic, De fin., I, 13, 42; Dioc

forse la migliore.
23;

98;

Oen.,

fr.

XXV,

col. Ili VV.


^

Educazione YCovVi direzione biaywy],


Per la dottrina v. lp. a Menec, 132; cfr.
;

xMass. cap.

V. L'ultima parola del

vai

EPICURO

218

Ed

ora poniamo

il

coronamento, a dir

cos,

dell'opera

intera, e della vita di questo filosofo, riferendo le sue

Mas-

sime capitali, per conchiudere con esse T opera mia, in modo


che il termine suo possa essere il principio della felicit. [Se-

guono

le

Massime

capitali, v.

s.

p.

testo recata dai codici con varia lezione: |3Q0Td

55 sgg.].

cose mortali (che la lezione


prima mano del Borbonico, e quella del Laurenziano (F), i due pi autorevoli
rappresentanti delle due famiglie di codici laerziani), e PQcoxd negli altri manoscritti. Perci a torto fu accolta anche dall' Usener la lezione PQcord (cibi), sia
perch l'altra pi autorevole, anzi la sola veramente autorevole, sia perch
(SQcoxd, da solo, non da senso soddisfacente. Infatti l' Usener costretto a supporre sia caduto Tivd dopo PQcoxd (cio determinati cibi). Ma PQoxd, che per la
tradizione manoscritta preferibile e che non ha bisogno di alcuna aggiunta, va
benissimo: vedi infatti la distinzione che Epicuro fa tra beni mortali ed immortali in Ep. a Menec, 135; Seni, vat., 78; cfr. Democr., fr. 9 Diels (cfr. A 69);
37
129. Si noti che Epicuro ama, nelle lettere familiari e nelle massime pi solenni, parole di colorito poetico; per (SQoxd usato anche dai prosatori, v. p. es.
Plat., Rep., 566 D.
di

ALTRE TESTIMONIANZE
SULLA VITA DI EPICURO

1.

Aelianus

(fr.

p. 418, 12 Bernh.
tin di vita,

ed

39, p. 201, 1) ap. Suid., sub v. 'Ejtixouqo?,

Epicuro

fu cos schiavo del piacere che, in

nel testamento, stabil che a suo padre ed alla

madre

similmente agli amici suoi, Metrodoro e Polieno,

ai fratelli, e

facessero offerte votive una volta all'anno; ma a lui invece


due volte ogni anno anche qui egli, il saggio, per intemperanza si tribuiva la maggior parte. E comand pure, questo
ingordo pregustatore S che gli fossero fatte delle mense lapidee e come offerte votive fossero poste nel suo sepolcro ^.
s

2.

Cicero,

attestano

De

nat. deor.,

suoi scritti, di

Pot frequentare

la

jcQOTvO-Tig

Kttl

26, 72.

Epicuro

si

gloria,

come
^...

scuola di Senocrate... ed alcuni credono

che ne fosse discepolo

I,

non avere avuto maestro alcuno

^;

egli diniega: a chi credere di

tpocpYog ourog:

Su

jtQOTvO^Tig, v.

pi?

Athrn., IV, 171 C, donde


le carni preparate

pare che i jtgo'&v'O-ai fossero sacerdoti, incaricati di pregustare


per le feste sacre. Qui naturalmente detto per derisione.

Di queste sacre mense da costruirsi nel sepolcreto, come osserva l'Usener


tace il testamento. Se non un'invenzione tardiva, pot essere tra
quelle disposizioni orali a cui si accenna in fine del testamento.
3 V.
Vita di Epic, 13: cfr. Euskh
Praep. ev.. XIV, 20, 14, p. 7C8 C.
* Che fosse discepolo di Senocrate dice Demetrio di Magnesia presso Diogene
Laerzio (v. Vita di Epic, 13), cfr. anche Euskb., Praep. ev., XIV, '20, 14, p. 768 C.
2

(p. 1G8 n.),

220

EPICURO

Dice di avere udite


di Platone,

in

un

le lezioni di

Samo

qui

infatti

certo Panfilo

*,

discepolo

abitava nell'adolescenza

con il padre ed i fratelli, perch il padre suo Neocle vi era


venuto colono in cerca di terre da coltivare, ma il campicello, a quanto credo, non bastandogli a campare, si fece
maestro di scuola
ebbene questo filosofo platonico, Epicuro singolarmente spregia, a tal punto teme si creda che
egli abbia mai appreso qualcosa. Ch'abbia avuto maestro
il democriteo Nausifane, cosa dimostrata; n egli diniega
di averne udite le lezioni, ma ne fa strazio tuttavia con
ogni contumelia ^.

3.

Pap. Herc, 176,

22

e.

[Usen., p.

rante la sua vita, soleva onorare

166].

Epicuro du-

giorno a lui [cio a Polieno]


dedicato nel mese di Metagitnione, sia che in tal giorno fosse
il

morto, come verosimile, sia che fosse

il

suo genetliaco

^.

Ormai con nome di giarposseggono luoghi di delizie,


campagne, ville. Primo inizi ad Atene quest'abitudine Epicuro, maestro di vita ombratile e contemplativa: innanzi a
lui non si sapeva in citt abitare in campagna ^.
4.

Plin., Nat. hist.,

dini (horti) in

5.

Plin., N. hist.,

immagini
immagini
lizio

Roma

XIX,

stessa

51.

si

XXXV,

5.

d'atleti le loro palestre,


di

Epicuro e

le

Gli

stessi

hanno

portano seco. Nel giorno suo nata-

fan sacrifici, ed ogni mese, alla vigesima luna, solen-

le ferie che chiamano Vigesime


neppur vivi vogliono esser notati ^

nizzano

che ornano con

nelle stanze da letto

Su Panfilo ed Epicuro, cfr. Vita


Su Nausifane v. Vita di Epic,

di

Epic,

14, e

proprio

essi

Suida, v.

222.

s.

p.

che

7.

Testamento di Epicuro, 18.


il giardino (Hfjjrog) d'Epicuro, v. Vita di Epic, 10; Testam., 17 sg'.
Sen., Ep., 21, 10. Sopra le sue vicende nell'et di Cicerone, v. la corrispondenza
di Cicerone a Memmio: Cic, Adfam., XIII, 1: cfr. Ad Att., V, 11, 6. Sul monito di
3

Cfr.

Circa

Epicuro che
5

Circa

il

le

sagj^o

debba amare

ultime parole, vedi

alle solennit a cui qui

si

il

allude, v.

campagna, v. Vita di Epic, 120 e n. ivi.


motto epicureo X'&s Picoag (fr. 106). Quanto

la

il

testamento di Epicuro. Sui ritratti di Epi-

ALTRE TESTIMONIANZE

221

Plutarch., Vita Demetr., 34. Narrano che allora il


Epicuro abbia alimentati i suoi famigliari, distribuendo
^

6.

filosofo

a ciascuno un certo

numero

di fave.

Sext. Emp., Adv. dogm., X, 18 sg. Chi dice:

7.

Sorse

il

Caos da prima

quindi la Terra, dal largo

petto, sede inconcussa di tutti in eterno...

si d la zappa sui piedi; perch se qualcuno gli domandasse


donde deriv il Caos, non saprebbe che rispondere. E questa
dicono alcuni sia stata la cagione che mosse Epicuro agli

studi filosofici. Infatti ancor giovinetto,

domand

maestro

al

Sorse il
leggeva [l'emistichio esiodeo]
Caos da prima ', donde fosse sorto il Caos, poich era sorto
per primo: il maestro gli rispose che non era afi'ar suo insedi scuola

gnare

che

gli

ma

tali cose,

filosofi.

'

spettava a coloro che avevan nome di


a loro debbo volgermi, se son

Ed Epicuro: Dunque

che conoscono quali sono

essi

Fu

le

cose veramente^.

Lampsaco, Metrodoro il discepolo di Epicuro, ed in certo modo anche Epicuro fu lampsaceno; perch dimor alcun tempo a Lampsaco, ed ebbe
amiche le persone pi insigni di questa citt, Idomeneo e
8.

Strab., XIII, 589.

di

Leonto.

Strab., XIV, p. 638. Gli Ateniesi, inviati a Samo Pericle e il poeta Sofocle, assediando i Samii ribelli, li posero a
mal partito. Pi tardi vi mandarono due mila coloni {cleruchi)
9.

dei propri cittadini, fra cui era anche Neocle

Epicuro), maestro di scuola, a quanto dicono.

(il

padre di

E narrano che

curo vedi anche Cic, De /in., V, I, 3, il quale dice che gli epicurei avevano il
Epicuro persino sulle coppe e su gli anelli. Per quelli conservati, v.
CoMi'ARKTTi K Dk Pkira, La Villa ercolatiese, tav. XII, 5-7.
1 Nel 294;
quando }?li ateniesi furono assediati da Demetrio e patiron grave-

ritratto di

mente

la

fame.

Esiodo, Teog.^

Cfr.

v.

116 sgg.

Apollodoro epicureo presso Dio(;knk Laerzio, Vita di Epic,

2.

222

EPICURO

Epicuro fu allevato l ed a Teo, e che raggiunse l'et virile


ad Atene, e che fu suo coetaneo il comico Menandro ^
10.

SuiDA,

fratelli:

s.

V, 'Eni'KovQoq.

Epicuro,

ateniese, del

demo

Neocle e di Cherestrata. Furono suoi


Neocle, Cheredemo, Aristobulo o Aristodemo. Princi-

Gargettio,

figlio

di

pi a filosofare a partire dai dodici anni


trina propria,

dapprima

in

~, ed espose una dotSamo, ove dimor con i genitori,

poi caposcuola in Mitilene a trentadue anni, pi tardi in Lampsaco e parimenti in Atene nel suo giardino. Furono suoi

maestri

il

democriteo Nausifane e Panfilo platonico. Nacque

nella centesimonona olimpiade, sette anni

Platone e la sua vita

si

dopo

la

morte di

protrasse durante la signoria dei Dia-

^. La sua scuola perdur sino al


primo Cesare, per dugento ventisette anni, durante i quali i
capiscuola che succedettero ad Epicuro furono quattordici.

dochi e di Antigono Gonata

Moltissimi sono

2
3

suoi scritti.

Per i fatti dei quali qui si parla, v. Vita di Epicuro, 1 sgg.


Vedi per s. Vita di Epic, 2.
N. circa 319 (a. Cr.), ebbe il titolo di re nel 283, mor nel 240-239.

APPENDICE

Sommario:

I.

Alcuni problemi della cinetica epicurea ed

l'Epistola ad Erodoto.

II.

La

61

sg.

struttura dell' Epistola ad Erodoto.

40 sgg. del-

III. L'imad Erodoto.


IV. Alcune
importanti testimonianze epicuree mancanti agli Epicurea dell' Usener.

mutabilit dell'universo ed

V. Orazio e

le

il

39 dell'Epistola

Sentenze Vaticane di Epicuro.

Fra

le

dottrine epicuree

una

delle pi discusse e

meno

conosciute con certezza nei particolari, quella che riguarda


i

moti atomici e segnatamente Tequivelocit degli atomi. Di


i paragrafi 61 sg. della Lettera ad Ero-

quest'ultima trattano
doto,

ancora pieni di

difficolt, in particolar

modo

l'ultimo,

per la lezione e l'interpretazione del testo, quantunque parecchi studiosi ne abbiano fatto oggetto d'acute indagini, che
per, su vari punti,

non riescirono a

risultati soddisfacenti

poich trattasi di questioni intricate che non potevano risolversi nell'ambito d'una nota, mi parve necessario farne oggetto di apposita Appendice.
il

Eiprendiamo dunque

in

esame

testo e la dottrina:

Ep. ad. Er.,


elvai,

61, xal p]v xal laoTa^Eii; dvayxaov xg T\iOvq

orav 8i xov xevoi) e0(pQcovTai f^iOevg dvTixJTTOVTog.

Per

1 Vedi
in particolar modo, fra gli ultimi studiosi, Briegkr, Epihur's l.eme
von der Seele, Halle, 1893, p. 5 sgg.: Giussani, Studi Lticreziani, 1896, p. 100 sgg.
Tkscari, Nota epicurea: vxiv.o-jti]., in Boll, di Filol. class., luglio 1907, p. 1 sgg.
dell'estr.'itto: il testo e le note del Kocualsky, l. e. al passo corrispondente dell'epistola: Hans von Arnim, Epikurs Lchre von Minimum, Wien, 1907, p. 13 sgg.
:

Epicuro.

15

EPICURO

226

di pi necessario che gli atomi siano equi veloci, quando


procedano attraverso il vuoto, senza cozzare contro nulla.
La traduzione non presenterebbe difficolt, se non che le

parole

jxri^evg

dvxLxjtTovTo?

furono interpretate dal Giussani

non gi nel senso ovvio, che abbiamo dato ad esse, ma cos:


non essendo soggetti ad alcuna (interna) vTixojcri; e quepreconcetto che

sto

dvTixjrteiv

voglia qui significare la vi-

brazione delle parti di un complesso che ne rallenti il moto,


vizia tutta T interpretazione che il Giussani d di ci che se-

gue ^ E evidente invece, come gi osserv giustamente

il

Tescari, che parlando qui Epicuro di atomi, e non avendo


questi parti staccate vibranti, non pu trattarsi di cozzi delle

diverse parti,

ma

degli urti e degli impedimenti che possono

trovare nel loro percorso.

di fatto, osservo io, nel periodo

che segue, le parole orav jiT^-O-v jxT]8 xeivoig vtixjtTT), spiegano chiaramente che non si tratta di vibrazione interna,
perch del resto Epicuro avrebbe detto v xeivoig: confronta
del resto anche ivi nayxd a-uToig.

come certo che Epicuro parli degli urti


atomi ricevono dall'esterno, sorge un'altra difficolt;
se gli atomi sono solo equiveloci quando si muovono nel vuoto
senza urtare contro alcun ostacolo, si dovr dunque conchiudere che gli urti diminuiscano la velocit iniziale degli
atomi, nel senso che essi, dopo un urto, riprendano il loro
percorso con velocit diminuita? Questa -appunto la questione preliminare da risolvere, da cui dipende in massima
Per, stabilito

che

gli

parte l'interpretazione dei periodi seguenti e della dottrina

Orbene, per quanto sembri che questo consegua di


quando per vxi%o7ir\ si intenda rvtixo:jtT esterna, tuttavia credo che da quanto Epicuro dice, in questi paragrafi ed altrove, risulti che la velocit degli atomi dopo ogni urto permane quale era prima.
Ed in vero che il moto effettivo degli atomi non subisca mai
diminuzione di velocit, parrebbe richiesto dal principio che

stessa.

necessit dalle parole di Epicuro,

Ci non toglie che

come sempre,

il

Giussani abbia in queste pagine acute osservazioni

nei particolari.

APPENDICE
nulla

si

crea n

227

distrugge e dal postulato epicureo che

si

il

perpetuo \ ma meglio anche risulter, credo,


dall'esame di ci che segue in questo stesso paragrafo.
Epicuro infatti continua:
oute Y(? '^ PaQa 'O-trov oio^aetai tcv fxixQiv xat xoijfpcov,

moto atomico

orav ye

8r)

sia

ojtavx^

firiv

avxoXc,'

ovxe

jrdvxa jtQOv ovii[iexQO\ Exovxa, oxav fxrjOv


ov'&'

avco ovd^'

7]

xdxco

fila xc5v

tic,

f|

tfiicov

jxixQ

|XT]8

x jtdyiov 8i xc5v

twv

jxeyaXov,

xeivoig vxixjcxr).

XQOiJcrecov

qpoQct,

ov^'

f|

PaQtv.

^ non si muover pii veloce del picquando per questo non trovi ostacolo, n
il piccolo del grande, compiendo tutto il
suo corso sempre
in una sola direzione ^, quando nulla neppure contro esso si
opponga. N pm veloce ^ sar il moto in alto, n quello laterale per opera degli urti, n il moto in basso per azione del

Perch

pesante

il

colo e leggero,

proprio peso

torto

prascritto

si
si

creduto, dai pi, che nel

trattasse solo del

moto

gione rUsener inser arbitrariamente


chiaro

poich

si

nega

primo periodo

so-

di caduta, e per tale ra-

la possibilit

dei corpi pi leggeri sia pi veloce

mentre
il moto
che Epicuro intende

pQaSijxeQov,

che nel vuoto

parlare sia del moto di caduta in basso,

come

di quello di

rimbalzo in alto o lateralmente; ci che confermato dal periodo seguente.

Ma

si

deve osservare che

di qui risulta

una

ad Erodoto, 43.
come gi vide il Giussani, la lezione dell' Usener (PQaS-uTeQov)
TCV \ieyX(v, (pi lentamente) del grande, perch essa si fonda su di una
falsa illazione che Epicuro parli solo del moto di caduta, mentre Epicuro nelle
parole precedenti non fa alcuna eccezione, ed in quelle che seguono dice chiaramente che intende parlare di ogni moto, anche laterale o in alto.
3 Epicuro usa il neutro x paga, mentre prima ha xo\ioi femminile; perci
prudente intendere di ogni corpo grave in genere, come legge generale della
materia, v. infatti sotto p. 2a8; 239. Si noti poi che probabile l' integrazione
dell' Usener x ([leyXa) xal PaQa, (il grande) o pesante >>, perch poi segue x
1

V.

IxixQfx

p:p.

errata,

xal Kovcpa,

Per la frase ;itdvxa jiqov aij|xjxexQ0v exovxa, v. s. p. 237.


^ L' Usener annota oO'O'fi xxA,. Licentius adnexa, quasi O^dxxtov fj PcaftuxQa
oxat dictum fuerit . Ma poich prima (3ca6vxeQov non c', e fu solo ad arbitrio
introdotto dall' Usener, bisogna intendere o5xe zxfov.
*

EPICURO

228

prima conseguenza importantissima, che cio, per Epicuro, la


il moto atomico nel vuoto
sia in basso che in alto. E ci confermato da Simplicio,
Phys.y p. 679, 16 sg. Diels, ove si dice espressamente che secondo Epicuro, sulla velocit degli atomi nel vuoto, non ha
influenza alcuna la gravit ^ E questo risulta anche, come vedremo, da ci che segue in questa epistola di Epicuro. Per di
piti, dalle parole tradotte, se si esaminano attentamente, appare
vero ci che abbiamo affermato sopra, cio che gli urti noi ralgravit non accelera ne rallenta

lentano

il

'noto

degli atomi nel rinhalzo successivo, perch, se

moto

di caduta che avvenga senz'urto precedente,


sarebbe pi veloce di quello di rimbalzo per opera d'un urto.
E di fatti Epicuro prosegue qp' Jtaov yg v xatiaxii xd-

cos fosse,

il

TEQOV,
TlXlpY),

8Jtl
t)

ToaoJTov \ia YorifxaTi xr\v cpopv c/r^asi, eco? (av ti) dve|c0)8V

lavxoc, bvva\iiy.

f]

ex TOli lioV ^OLQOVg

TtQC,

Infatti finch perduri l'uno

T]y

(ex)

TOIJ

JlTj-

o l'altro genere

moto [quello di rimbalzo o quello di caduta], il moto


si manterr veloce come il pensiero, finch qualche intoppo
non s'opponga, o dall'esterno o dalla propria gravit, contro l'impulso ricevuto da ci che produsse il rimbalzo .
di

Ho

riposte nel testo, con

Suva^iiv,

TT)v

ma

il

Giussani, le ultime parole

jtq?

arbitrariamente relegate in calce dall' Usener,

ho inserito

che mi par utile, perch non si tratta


da ultimo ha urtato, come traduce
oiV impulso ricevuto dall'atomo contro cui

(ex),

della forza dell'atomo che


il

Giussani,

avvenne

Ma

ma

l'urto.

hanno gli urti, e perch Epicuro


movimento nel vuoto che avvenga senz'urti

allora quale influsso

fa distinzione fra

e quello in cui si abbiano urti? Per risolvere questa difficolt


bisogna esaminare la dottrina del moto atomico pi sottilmente che non si sia fatto sin ora. S' gi osservato che
Epicuro in questo punto, come in altri del suo sistema, si

trov dinanzi alla polemica svolta gi dagli Eleati contro


le

prime dottrine

fisiche greche,

polemica che ebbe grande

ovbv yq avraig [se. xalg tj-iois v xw nevc] x


x xd^og av[L^a.XXexai.

o;(fifAa jtQg

iiye'Qoq

f)

x pdQog

f\

APPENDICE

229

importanza nella formazione storica dell'atomismo, e che fu


rinnovata dai filosofi Megarici e pi tardi ancora dai Pirroniani. Orbene Epicuro, per evitare le aporie sul moto e
sullo spazio, ammise minimi, non solo di dimensione \ cio
le partes minimae ^, ma anche minimi di tempo e di moto ^.
Per Epicuro dunque un minimo indivisibile di dimensione, in
un'unit indivisibile di tempo, percorre un'unit indivisibile
di spazio. Cio ogni percorso atomico si compone di minime
unit indivisibili di moto, compiute in unit indivisibili di
tempo. Questo le nostre fonti antiche esprimono dicendo che
il minimo di dimensione, in ogni minimo tempo, non si muove
(rappresentando il presente -/avetai un'azione continuata, e
perci divisibile in parti) ma si mosso (xexivT]Tai) ^, perch
il suo moto un atto indivisibile che non ammette successione e perci nell'attimo stesso gi compito. Ora, se consi-

deriamo questa testimonianza e la mettiamo in rapporto con


la questione dei cozzi fra atomi ed atomi, vediamo che nel-

Sul minimo d'estensione epicureo, v. la particolare il Giussani, il Brieger


rascal, citati gi da me nelle note ai 57 sgg. deWEpistnla ad Erodoto, cfr.
anche le mie osservazioni nel commento (particol. p. 94, 3). Buone ricerche sul
minimo di movimento, sono nello studio dell'Arnim, con cui per non m'accordo
su qualche punto, n credo abbia veduto tutte le conseguenze che si debbono ricavare dai testi relativi. Sopratutto in pi luoghi dissento sopra la costituzione
1

ed

il

primo a negare la diviquale, anche in questo,


fu un precursore di Epicuro. Su altri rapporti fra la dottrina di Epicuro e quella
di Antifonte Sofista, vedi il mio studio: Antifonte Sofista ed il problema della sofistica nella storia del pensiero greco (in proposito del recente papiro antifonteo di
da

lui

proposta dei

testi

epicurei. Si badi

poi che

il

sibilit all'infinito fu Antifonte Sofista (v. fr. 13 D.),

Ossirinco) Estratto dalla

Nuova

40 sgg. dell'Estratto. Sui

minimi

Rivista Storica, A.
di

tempo

I,

il

(1917) fase

III, p. 29 sgg.,

in Epicuro, v. qui sotto p. 256 sg. e la

nuova testimonianza ivi recata. [Quanto alla lezione manoscritta jiexdpoXa in


Ep. ad Erod., 59, da me difesa a p. 94, 3, ed alle osservazioni da me fatte ivi
sull'omogeneit degli indivisibili, sempre pi mi confermano nella mia opinione
i

testi

recati ora dal

Philu'p.son in Hertnes,

Epicuro e

1918, p. 375-878,

sulle tyx-(\xec, ex

acute osservazioni in proposito,


osservazioni che alla loro volta ricevono conferma da ci che ho detto ivi e dalla
mia restituzione del testo manoscritto. Per il concetto di tali vTtiTeg bisogiier

Tc5v avxcv nella dottrina di

le

sue

riferirlo a tutti gl'indivisibili].


2

V. Ep. ad Erodoto,

V.

SiMPMC,

57

sgg. e n.

ivi.

Phys., p. 938, 18 sgg. Diels.; Sext. Emp., Adv. dogn., X, 120 sgg.;

142 sgg.
4

V. TnKMtsT., In Arisi.

l'Inji.,

p. 183, 9 sgg.

Wall.

230

EPICURO

runit indivisibile di tempo in cui due atomi urtandosi sono


in contatto, non si pu avere un'unit di moto, perch in

pu essere moto ma solo


non vi ha moto per un'unit
di tempo, e perci, se si confronta il moto d'un atomo che
subisca un urto, e d'un altro che non lo subisca, si vedr
che il primo perde un'unit di tempo, pur riprendendo, dopo
l'urto, la primitiva velocit. dunque esatto quello che abbiamo ricavato dal testo di Epicuro nei paragrafi ora esaminati dell'epistola ad Erodoto, che cio la velocit degli atomi,
tra rimbalzo e rimbalzo, sempre eguale; ma anche vero
che ad ogni urto si perde un'unit di moto. E se consideriamo
il tempo che un atomo impiega a percorrere una lunghezza
qualsiasi senza ricevere alcun urto, e quello che un altro
atomo impiega a percorrere le singole traiettorie parziali (prodotte da urti successivi) la cui somma sia eguale alla traiettoria percorsa dall'altro atomo, vedremo che quest'atomo vi
impiegher il tempo impiegato dal primo, pii tante unit
indivisibili di tempo quanti sono stati gli urti, bench abbia
compiuto i singoli percorsi con velocit eguale a quella del
primo; perch, come dice Epicuro nei passi tradotti, la velocit atomica sempre uguale in quei percorsi che si compiono in una sola direzione e per un unico impulso. La
perdita di velocit nel moto atomico si ha solamente nell'attimo in cui muta la direzione per l'intoppo esterno, od interno per opera della gravit (poich Epicuro equipara l'un
caso all'altro), che impedisce all'atomo di proseguire nella
quell'attimo
contatto;

indivisibile

dunque

propria via.

Ma

non

vi

in ogni urto

tra rimbalzo e rimbalzo, la velocit

permane

inalterata e pari a quella del pensiero.

E
il

di fatto

Epicuro anche altrove afferma ( 46 sgg.) che


(ei8coa) che si compia tutto in una

moto dei simulacri

come il pensiero. Ora siccompongono di atomi che prima di staccarsi dal corpo hanno subito gi infiniti contraccolpi e ritorni
alla primitiva direzione, tali urti non debbono averne dimisola direzione nel vuoto, veloce

come

simulacri

si

nuita la velocit nei percorsi successivi; del resto non po-

trebbero muoversi con velocit pari a quella del pensiero.

APPENDICE

231

che la dottrina di Epicuro fosse veramente tale quale


interpretata, risulta anche dalle intime necessit

Tabbiamo

teoretiche del suo sistema filosofico. Epicuro, noi sappiamo,

negava

la divisibilit air infinito, cos

meccanica che ideale

^,

per sfag-gire alle obiezioni rivolte dagli Eleati e dai Megarici,


contro la possibilit del moto
resse

il

Orbene se un atomo a percorx con una velocit doppia


sarebbe necessario che nel medesimo

minimo spazio

^.

indivisibile

di quella di un altro ?>,


tempo in cui Tatomo a percorre lo spazio ce, l'atomo 6, dotato
di una velocit inferiore della met, percorresse la met dello
spazio x\ questo dunque non sarebbe pi indivisibile, conti'o
l'ipotesi fondamentale. Dunque gli atomi debbono essere dotati di moto equiveloce, e la ragione onde un atomo percorre
una traiettoria pi lunga nel medesimo tempo in cui un altro
ne percorre una pi breve, non pu essere la sua eft'ettiva

velocit nei diversi periodi del suo moto,

ma

il

ritardo cagio-

nato da urti e da mutamenti di direzione. Stabiliti dunque


questi principii, che gli atomi, fra rimbalzo e rimbalzo,

muovono sempre con

velocit

si

uguale, e pari a quella del

pensiero, e che n la gravit n gli urti rallentano il loro


moto, fra percorso e percorso, potremo passare allo studio
del periodo seguente, in cui si parla del moto degli atomi nei

complessi atomici, periodo ove T interpretazione e


varia da critico a critico, senza che

soluzione soddisfacente.

che sia coerente

alla

si sia

la lezione

trovata sinora una

tale sar solo quella interpretazione

dottrina di Epicuro, e che abbia per

fondamento un testo, quanto possibile fedele alla lezione dei


codici, e non tale da esserne un radicale rimaneggiamento,

come furono
l'

quelli adottati dai critici, ed in particolare dal-

Usener, dal Brieger e dal Kochalsky.

per avere una prova della esattezza delle nostre consi-

derazioni e deir interpretazione che

chiamo prima
di Epicuro, in

di stabilire quale

daremo

del passo,

dovrebbe essere

cer-

dottrina

la

corrispondenza dei principii sopra esposti, senza

Epi'it. ad Erod., 50 sg-g., e n. ivi.


V. infatti la dottrina di Epicuro esposta dn Simpl., P/njs., 938,

V.

17

ag-.

Diele.

232

EPICURO

tener conto di quello che egli dica nel periodo che dovremo
poi esaminare; e

vedremo poi

se ci che dice in questo pequanto pi possibile fedeli alla lezione


dei codici, vi corrisponda. Se vi corrisponder, avremo la
conferma che erano giuste le nostre argomentazioni e che
veramente il testo si deve mantenere quale nella lezione

riodo, serbandoci

manoscritta e non rabberciare a nostro arbitrio.


Epicuro dunque si pone questo problema: quale sia il movimento degli atomi nei complessi atomici in moto. Ora, nei
complessi, gli atomi sono in moto sempre, anche quando il

complesso permane nello stesso luogo, perch eternamente


vibrano per opera della continua pioggia di atomi, che dalTesterno percuotono i corpi (e ne staccano quelle emanazioni
superficiali che compongono i simulacri). Il corpo stesso per
si muove fin che vi equilibrio fra gli urti che gli
atomi ricevono dalle diverse parti, onde questi oscillano continuamente nei loro intrecci, senza che l'intero corpo sia

non

una direzione qualsiasi. Naturalmente poi, siccome


atomi sono invisibili, noi non vediamo questa contnua
oscillazione, che si compie entro limiti di spazio impercettibili e con velocit pari a quella del pensiero ^ Tutto questo
spinto in

gli

noto, ed noto altres che quando un corpo si muove, i suoi


atomi non cessano mai dalle loro vibrazioni, e perci l'intera
traiettoria che il corpo compie nel moto complessivo, la ri-

sultante di tante traiettorie parziali quante son quelle delle

singole vibrazioni dei suoi atomi. Ora se ci riferiamo a quello

che abbiam ricavato sopra, ognuna di queste vibrazioni si


compir con moto equiveloce sempre e pari a quello del pensiero; ma siccome gli atomi in queste vibrazioni cambiano
continuamente di direzione, il moto complessivo dei corpi
sar tanto pi lento quanto maggiore il numero di vibrazioni, da cui risulta la traiettoria che essi percorrono; ed anzi
siccome in tutti i corpi visibili e che si muovono nella nostra
atmosfera^ gli urti donde

si

atomi son continui e continue


V. LucR,,

II,

308 sgg.

producono
le

le

vibrazioni degli

loro vibrazioni,

ne

risulta

APPENDICE
che mentre

come
quelli,

moti degli atomi

pensiero,

il

si

il

moto

si

233

compiono

tempi veloci

in

dei complessi, che la risultante di

compie invece con velocit

essere visibile e percepibile col senso.

di tanto rallentata

da

sar tanto pi lento

quanto maggiori sono le vibrazioni degli atomi per gli urti


ricevuti. Naturalmente degli atomi stessi si potr dire che il
loro moto nei complessi, pur essendo equiveloce fra rimbalzo
e 7'imhalzo, pi o meno veloce^ considerato nel suo insieme, a
seconda che m,inore o maggiore fa il numero di quei rimbalzi ^.
Tale, dico, dovrebbe risultare la dottrina di Epicuro dalle premesse che abbiamo ricavato. E questo infatti vedremo esser
detto nel periodo che ora prenderemo ad esaminare. Solo occorre fare ancora un'osservazione assai importante, perch il
non aver badato ad essa contribu massimamente a trarre i
critici su falsa strada, ed a far mutare il testo l dove era
sano e corrispondente alla dottrina di Epicuro. Proprio in
tutti

complessi e in tutte

le

condizioni esterne avvengono

quei fittissimi urti che fanno di tanto ritardare

complessi niedesimi e producono

atomi? Non
1

esito

tali

a rispondere,

simulacri non incontrano, per

il

moto dei

continue vibrazioni degli

no:
la

perch,

per esempio,

struttura sottilis-

loro

sima, che pochi o punti ostacoli nel loro moto, anche nella

nostra atmosfera ^ donde la loro velocit pari a quella


del pensiero, cio pari o simile a quella atomica fra rimbalzo e rimbalzo. Per di pi vedremo pi oltre che sono
possibili moti

di. altri

complessi pi

bienti tali, in cui realmente


Tixo:7tTi,

onde

il

loro

Cfr. LucR., II, 150 Sffg.

si

sottili

ancora, ed in am-

possa considerare nulla Tav-

moto avvenga veramente con velocit

vapor is quem sol mittit lunienque screnum


non per inane meat -vacuiini; quo tardius ire
C0{?itur acrias quasi dum diverberet undas;
nec sinf?il!atini eorpuscula quaeque vaporis
sed eoniplexa meant inter se conque globata;
quapropter simul inter se retrahuntur ci exlra
olficiuilnr, uti eogantur tardius ire.
at

V.

I<:p.

ad Erod.,

47 8 s.

p. 237:

LucR., IV,

5i04-210.

EPICURO

234

atomica. Per questi casi dunque non

si deve fare distinzione,


quanto alla loro velocit, fra atomi che si muovono liberi
nel vuoto ed atomi entro complessi. chiaro pertanto che Epicuro dovrebbe tener conto di questa restrizione, nel periodo
che esamineremo; e vedremo infatti che ne tiene conto.
Ci premesso, ecco il testo di Epicuro:

^AXX

[.iT]V

xal

xat

iyr\aexai x(y tficov,

T<;

cvyyiQiGeiq

laoraj^av oiLiacv

'^

xq 8V Tolg ddQOiajiaaiv tpioug xal


et ^

XQvov,

\ii]

q)'

Qdxxov

xr

cp'

va

tpa xgaq
tjtov

xat xv Xxioxov

va xar xovq ycp

'^ecoQiTOijg

Qr\-

cpQsaO^ai

XQvovq

ovve^f)
^,

XX

TLVKVv vTixJTtovaiv, scog dv vti tt]V aiaO-rioiv t avveig xf\q qogq

x yg JtQoa8o|at,^8vov

yiyr\xai.

old Xyov

'&scoQT]tol

xov doQdxou, wg ga xal ol

jteqI

XQvoi x ovve^kq

xf\g

cpOQq e^ODOiv, oiix

d?iri'&8(;

1 II jtat fu tolto dal Brieger e dal Tescari (il quale, come l'Usener, il Breger,
Giussani ed il Kochalsky, espunge anche il xai innanzi a y,ax xv X.xicxov
ows^TJ XQvov, e dopo legge slra [xr] cp' va con il Giussani). Quanto alle altre lezioni del Breger e del Kochalsky, sono troppo disformi dalla lezione dei codici
per tenerne conto.
2 L'Usener ed il Giussani leggono cuyxQioeig (oi).
^ Corretto dall' Usener invece di -O-TTov dei codici: forse per la lezione dei
codici si potrebbe tenere, sottindendo cpsQec'O-ai che vien dopo.
^ In verit fui tentato di leggere <v> tw, e la caduta di v sarebbe paleogra-

il

ficamente di agevolissima spiegazione, perch precede cov. Se si ritiene x( bisogna spiegarlo come un dativo di rapporto e tradurre riguardo al muoversi . Ma
il miglior testo, a quanto credo, si nasconde nella lezione del codice F (con B il
pi autorevole dei codici laerziani) che legge xal x invece di xw, ora il xat mi
pare veramente genuino, per il parallelismo con xal xax xv Xdxtcxov nx. che
segue, onde proporrei di seguire gli indizi forniti da F, e leggere xal x o xv x^,

oppure xal <xax> x. Si noti che lo scambi di o ed co consueto nei codici


cov, e sotto xmv
qov, '&Txov per
vedi anche poco prima xaxQcov per
^axCaxcov per xv Xcxxioxov (av\e%r\ xQvov). Ad ogni modo questi particolari non

mutano

el

il

V.

Cos

in

T|;

lafirziani,

significato essenziale del testo.


n. 1 e 4.

s.
i

codici.

L'Usener seguito da altri, come p. e. l'Arnim, muta questo


\ir]
f\
cp' Uva, pone una lacuna contenente queste parole:

l'Arnim dopo

\ir\ *cJuv8%f). Il Giussani ed il Tescari leggono eixa


merito di avere giustamente posto in luce certe inconseguenze del Giussani, ma adottandone poi la lezione, fu tratto fuori strada
suoi rapporti con la dottrina relativa.
onde non vide il vero senso del passo ed
Per di pi si noti che la congettura slxa non giusta neppure sintatticamente,
perch, con elxa, invece di vxLxJtxouoiv, ci vorrebbe vxixjtxsiv.
7 L'Usener
xQvovg, che non solo non
toglie dal testo le parole xax xog

xal oxav cuvE^fj eccoci xlvi^oiv

invece di

el.

Il

Tescari ha

rj

il

sovrabbondano,

ma

sono necessarie alla esposizione della dottrina.

APPENDICE
80tlV

235

TCOV TOLOUTCOV 87181 t Y^ 'OsCOQOlJfXeVOV

jcl

A,a|xPav|X8vov

71U.V

f]

Xttx' 8:i:iPo?.T)V

8iavoia ak^Hc, axiv.

Tfj

gli atomi, quando sono liberi, sono equinon subiscono intoppi, cos] anche quando
pur
si trovano nei complessi corporei, si potr dire che
essendo equiveloci, nel muoversi in una sola direzione, gli
atomi che si trovano nei corpi \ e nel minimo tempo continuato del loro moto
essi sono pii o meno veloci, se ~ non
[si muovono] in una sola direzione, nei tempi rapidi come il

Orbene [come

veloci solo sinch

ma

rimbalzano continuamente, finch la continuit


complesso, che la risultante delle traiettorie
degli atomi per opera di tali rimbalzi], giunga ad essere
percepita dal senso. Infatti T illazione che si volesse ricavare
intorno air invisibile [moto atomico], che cio anche i moti
[atomici] percepibili solo mentalmente dovranno necessariapensiero,

moto

del

[del

mente compiersi
casi

in

una

sola direzione,

poich vero tanto ci che

[cio la continuit del

moto

dei singoli corpi in moto]

non

vera in siffatti

ci attestato dalla vista

del corpo e la diversa velocit

come

ci

che ricaviamo

dall' intui-

zione mentale [cio Tequivelocit degli atomi nei singoli tragitti e

il

quando trovino

loro continuo rimbalzare,

ostacoli] >.

Chi confronti questa traduzione, corrispondente alla


zione del testo manoscritto, con quello che

le-

avevamo ricavato

prima dalle premesse della dottrina di Epicuro, vedr che ad


esso corrisponde esattamente; onde ha conferma sia la nostra

Queste parole rag v xoXq -Qoia[iaaiv x\iovg, potrebbero essere una glossa;
chiunque conosca bene lo stile di Epicuro e degli epicurei, sa come essi talora
usano riempitivi, mentre tal altra sono troppo succinti: del resto la frase deve
essere stata introdotta, dall'autore o da altri, perch non si credesse che il sog1

ma

getto di cpgeo-Oat fosse ovyy.Qi.ceiz.


2

Che Tel

del testo

non debba mutarsi per ragioni formali,

deri quanto sposso in greco, e sopratutto nelle frasi con

verbale ricavata dal verbo precedente


Philoct

(cfr. p. e.

el, si

Hkrod., VII, 21;

1204: cfr. Tiiuc, VI, 79; Vili, 14; Xkn., Cyr., IV,

Syni., 599,

2)

e del resto

mutano. Quanto

al

un simile

chiaro a chi consi-

sottintenda una forma

4,

18; v.

Sopii., Ai., 886:

KChnkr Gkrth,
-

debbono supporre anche quelli che lo


dottrina, la necessit di mantenerlo s'

elissi

senso poi ed alla

vista sopra p. 233 sg. cfr. qui sotto p. 237 sg.


^

Si allude ai casi dei complessi atomici

dagli urti. Quanto a^li altri casi, vedi

che

si

muovono con moto

luoghi citati in fne della

n.

rallentato

preced.

EPICURO

236

indagine, sia la tradizione manoscritta, sinora tanto mutata

per dire ci che ad ogni critico pareva opportuno ^ Occorre


per soggiungere alcune osservazioni per evitare malintesi.
Anzitutto Epicuro in questi periodi, sia nel modo con cui
il

primo d'essi congiunto con i precedenti, sia nella brecon cui tocca di dottrine assai sottili, si comporta come

vit

in pi altri luoghi di questa epistola (particolarmente nei


46 e sgg. che esamineremo pi oltre), in cui, dovendo parlare a discepoli gi progrediti ^, nelle questioni che richiederebbero una lunga trattazione, dice solo alla brava quel
tanto che pu servire a richiamare alla mente dei lettori una
dottrina gi loro nota nei particolari. Sta a noi ricavare quale
fosse nell'integrit, dagli scarsi elementi che ci porge, ser-

vendoci delle altre attestazioni giunteci altrimenti.


Da ci che abbiam detto sopra, non vi pi dubbio che
gli atomi nei complessi sono sempre equiveloci durante i singoli rimbalzi, mentre la velocit complessiva varia secondo
osservare che il
il numero dei rimbalzi. E si deve anche
^ai innanzi a xat tv Xdxiaxov ouvex'n xQvov, deve conservarsi,

pu spiegarsi

in

due modi.

traducendo, come ho tradotto a

vano

in

una

p.

Infatti

sola direzione e [in essa

si

pu ritenere

si muomuovano] nei mi-

in quanto

96:

si

nimi tempi successivi del loro moto ed intendendo che


atomi possono muoversi in una sola direzione, sia nel
medesimo tragitto fra urto ed urto, ed in questo senso sono
,

gli

equiveloci, sia ritornando alla primitiva direzione dopo


o pi urti,

ma

in questo caso

il

loro corso

ha subito

uno

l'influsso

Oppure si pu ritenere, con una spiegazione pi


che mi sembrata pi conveniente, quando gi
era stampata la traduzione di questi paragrafi. Cio, si deve
ricordare che ogni minimo spazio indivisibile percorso in
un tempo indivisibile, e che perci tutti i minimi di moto
dell' vTLxojtT.

sottile

1 Nataralmente anch' io dovetti accettare qualche lievissima, ovvia correzione,


gi fatta dai primi editori, v. s. p. 234 n. 5, ma si tratta di quel continuo scambio
di lettere (o per co; (o per cu) che avviene sempre nei codici di Laerz-io, sono
dunque pure varianti grafiche, non violente mutazioni.

V.

il

proemio della

lettera.

APPENDICE

237

percorsi dagli atomi sono eg-uali, perch corrispondono tutti

^ Dunque

gli

equiveloci fra rimbalzo e rimbalzo,

ma

ad un'unit

indivisibile

atomi non sono solo

anche

(e

perci

il

xai)

nei minimi tempi successivi del loro moto. In questo senso


xal anche pi utile, anzi necessario, e la distinzione
prettamente epicurea.
Resta ora da spiegare Tel che fu oggetto di tante mutazioni da parte dei critici. Dopo ci che abbiamo osservato
sopra (p. 233 sg.), la spiegazione agevole: poich non in
il

tutti i complessi e non in tutte le condizioni esterne, gli


atomi subiscono continui contraccolpi per ostacoli che impediscano loro di muoversi sempre in una sola direzione e faccian s che il complesso non si muova con velocit atomica,
ma con moto ritardato dai continui rimbalzi degli atomi. Infatti anzitutto i simulacri^ come abbiamo visto, anche nella
nostra atmosfera, si muovono con velocit pari a quella del
pensiero (v. 47) ed i loro atomi non subiscono nessun ostacolo
pochissimi ostacoli che ne devino il moto ^. E similmente i
fulmini (v. Lucr., IV, 323 sgg.), sono anch'essi mirabilmente
regione
celeri, perch: quae sunt illius semina cumque
(cfr. l'espressione di Epic. :a;Qog g\)\i\iexqo<;) locum quasi in
unum (cp' sva tjtov) cuncta feruntur. Lo stesso dicasi della
luce del sole, pur essa meravigliosamente celere, anche attraverso la nostra atmosfera ^, in cui persino i corpi pi sottili
possono essere soggetti ad urti, sia pur minimi (tanto che
Epicuro, nel caso p. e. dei simulacri, dice nessuno o pochi
urti) e perci i loro atomi possono subire rimbalzi che ne
ritardino i moti. Ma naturale che altri complessi ancor
pi sottili, come p. e. i simulacri degli di, che sono percettibili solo dalla mente, per la loro estrema sottigliezza ^, e

Vedi SiMPL., Phys.j

looxaxci; Jtdvxa i

fAEQg v x)
2

Cfr.,

x&v

xv 'EjttxovQOV Qoxet
poco sopra, x yQ xo\iov xal x

938, 21 Diels., 5i, al rolg neqi

\iEQ(v xiveiO'dai: e

avxw %qv(o xal x Oaxxov

ig^S'Ctti

xal x PgaiJxeQov.

LucH., IV, 195 sgg.

passo di Lucrezio cit. a p. 233.


I, 7, 34, p. 30(5 D. 'EjctxovQog vO-QCOjtoeteig xovg fxv O^eovs, Xyw 6
jrdvxag -OecoGTixois 6i xtiv XejrxoixQeiav X7\q xtv elSXcov cpvoeaiv. Cfr.
i*

V.

V. iiT.,

s.

il

EPICURO

238
clie

vengono dagli intermundla^ non trovino negli spazi

ci

intermondani, urti di sorta (dato che


gli

altri

simulacri

loro atomi

nella

pochi ne incontrano

nostra atmosfera)

che perci

debbano muoversi, almeno per lunghissimi

tratti,

E che a ci pensasse
vede anche dal periodo seguente ove si dice che
l'illazione intorno ai moti invisibili degli atomi, che cio
essi, anche nei tempi solo percettibili mentalmente, debbano
muoversi in una sola direzione, non giusta in siffatti casi,
cio in quei casi in cui vi sia vrinonr], mentre altri ve ne
sono in cui tale dvTixoatri non si ha. Ed alla possibilit di
questi casi alludono appunto, come vedemmo, l'et e Tavversativa che segue. Restano cos ristabiliti il testo genuino e la
in

una

sola direzione senza rimbalzi.

Epicuro

si

vera dottrina di Epicuro.


*
* *

Possiamo ora procedere

allo studio di un'altra dottrina

con

questa connessa, quella cio della velocit dei simulacri, di

non meno
non meno discussi per l'inaltre difficolt v' anche il

cui Epicuro tratta nei 46 sgg. di quest'epistola,


di quelli ora studiati e

difficili

terpretazione del testo. Era le

modo

assai brusco e strano con cui questi periodi

si

riattac-

scolio a Massima cap., I e mia note ivi. [Dello scolio a questa sentenza tratta
R. Philippson in due articoli {Zur Epikureischen Gtterlehre, Hermes , 1916,
p. 568 sgg.: e Nachtrgliches zur Epikur. Gtterlehre, ibid. , 1918, p. 358 sgg.)

solo ora, e degni della maggiore considerazione. Il Phioi)g


accorda con me (p. 579; 360 sg.) nel ritenere impossibile oi)s nv
gli altri., come s'intese fin ora; perch anch'egli
5 nel senso ovvio, g^Zi uni
osserva che non abbiam notizia alcuna che Epicuro ammettesse due categorie di
di, n si vede in qual modo potesse ammetterli. Ed egli conviene pure che questo
testo debba consuonare con quello di Cicerone: come me conserva jtoTeTe^eojAvcov. Propone invece un ingegnoso modo di serbare l'espressione ovq |xv

giunti a

lippson

ma conoscenza

si

ovq 6, riferendola non al soggetto ma al predicato, (v. Hermes, 1918, p. 360,


ove cfr. IsocR., Helena, I, 1) e cio come indicante i due modi di conoscenza che
noi possiamo avere dei numi, e spiega: Epikur nejjnt die Gtter durch Vernunft

gemass der Gleichartigkeit usw.


maniera diversa dallo Scott, cio ritiene sia
ExacTov. Notevolissimi anche sono i contributi che egli porge alla ricostitu-

erkennbar

Anche
>ta#'

teils als Jtax' qi'&iiv existirend, teils

nax' eL-O^ftv intende in

zione di parecchi testi di Filodemo].

APPENDICE

239

ai precedenti, onde il Giussani crede siano avvenuti


spostamenti nella trascrizione dell'epistola, e che questi passi

cano
ed

siano stati trascritti fuori posto. Dir subito che son

altri

persuaso

Giussani abbia torto; ma, per non intralciare

il

mi occuper dopo

trattazione,

di questi presunti

la

spostamenti;

per ora esaminer solo la dottrina come appare nei sngoli


punti e nel complesso, per stabilire quale debba essere T interpretazione e la lezione di questi periodi.

Epicuro, dopo aver affermato resistenza dei simulacri

(ei-

ed avere brevemente indicato


che nulla osta nei fenomeni di cui abbiamo esperienza a che
possano dai corpi staccarsi delle emanazioni sottilissime, atte
8coa),

loro sottigliezza,

la

a riprodurre

gli

accidenti della loro superficie ed a conser-

vare Tordine e la disposizione che


corpi solidi da cui
xal

\iy\y

xa

8i xov nevov

f|

Tc5v vTixoaljdvTcov

gli

atomi avevano nei

staccano, continua:

si

cpop

Jtdv jifjxog

yivo\ivr\,

xat

|j,Ti8e[iiav

ojtdvtriaLV

mQiXr]Kxv v djieQ ivoTJTcp

XQvcp avvxelE. ^Qaovq yg xa xd%ovq dvTixojtr] xal ov-k dvTixoJtr]


fioicofxa Xafxpdvei.

attraverso

il

Si badi poi

che

il

moto

il

quale avvenga

vuoto, senza alcun ostacolo di urti, compie ogni

percorso immaginabile con inconcepibile velocitc\; infatti sono

gr intoppi

o rassenza di essi che ci

si

rivelano sotto la specie

di lentezza o di velocit.

La dottrina qui esposta ormai in gran parte chiara da


abbiam ricavato nelFesame dei 61 sgg. Ed
una conferma a ci che abbiamo detto sopra, risulta anche
quello che gi
dalle parole

stesse

di

Epicuro in questo passo: egli

parla del moto nel vuoto che avvenga senza

dvTixojtri,

infatti

non spe-

moto atomico e di atomi non in complessi,


perch abbiamo visto che vi possono essere appunto certi comcificando che sia

atomi non subipu equiparare affatto a


secondo periodo ormai

plessi atomici, in certe condizioni, in cui gli

scono

dvTixojtri,

onde

il

loro

moto

quello degli atomi liberi. Cosi pure

si
il

chiaro: noi non possiamo vedere gli urti atomici, n

Cos

codici,

rUscner le^ge

vxixoapvxcov.

loro

EPICURO

240

ma

rimbalzi,

per

essi

rivelano indirettamente sotto la

si

specie di lentezza o celerit del moto, che la conseguenza

numero maggiore

del

o minore di rimbalzi o dell'assenza as-

soluta di essi. Epicuro dice qui la stessa cosa che nel 62,
quando accenna a quei rimbalzi degli atomi che avvengono

tempi veloci come

pensiero, e fanno

s che la traietcomplesso corporeo ne sia ritardata e si compia non gi con il moto atomico di insuperabile
rapidit, ma con velocit percepibile con il senso.
Pi difficile invece ci che segue, sia per la lezione sia
per r interpretazione del testo. Ecco dunque come credo

in

il

toria totale e continua del

debba leggersi
xovt;

e interpretare

il

passo:

oi

\ii\y

o'Satif

ol Xyov ^ecoQritoiJ? xqvovc, xat Tdjcoq)eQ}xevov

xovq nXsiovq xnovq cpixveTai


qpixvoijpievov

o^ dv

v alo'&'qt)

Jt8Qi?idPcofxev

xr[V

yg jxoiov eatai, xdv

XQvcd o'&ev Si^jro^ev xov

acJ5}xa

y.ax
jtl

towo ovvamiQov ottx ^

dqpiatdfievov) dvTixojtfj

xoaovxov x xd^oc,

xojTTov xaTaA,ijtco^ev. xQr\ai\ioy

(d8iavr)Tov yg, al

qpOQdv xnov eaxai

iiiQi

xf^c;

cpoQdg

\ir[

yxi-

xal tojto 'Kaxaay^Elv x axoi%lov.

i]

E veramente non in alcun modo possibile che anche il


complesso corporeo in moto che vediamo giungere a noi,
percorra nei tempi solo concepibili mentalmente le molteplici
traiettorie [che

compiono

suoi atomi]

Cos leggo invece della lezione dei codici: cu

(questo infatti non

^,

\i]v

ovb' aiia: l'Usener, seguito

perch non
segue poi un altro oiire, onde essi sono costretti ad inserirvelo. Il Kochalsky
congettura ov [ir[v ovx (i\io..
2 Cosi correggo la falsa lezione dei codici xar x cpsQ|xevov: l'Usener, seguito
anche qui dal Giussani e dal Tescari, corregge xal x cpsg.: il Kochalsky xal ;iiocpsQfxsvov, ma l'articolo lo credo necessario, perch non si tratta di qualsiasi corpo
(ed infatti anche l'atomo un corpo) ma del complesso corporeo, che si muove
con i suoi atomi e che giunge a noi con velocit sensibile, in contraposizioue
con gli atomi stessi.
3 Pongo tra parentesi
cpiOTjAevov, i
tutto quello che segue, biavr\xov
tojto. V. s.
critici e gli editori invece pongono fra parentesi solo biayY[xov
dal Giussani e dal Teseari, legge, ov

[ir[v

ou-O-'

^ixa, lezione arbitraria,

p. 241 n.
4

1.

Cos

riscono un

codici, invece l'Usener,


oijTe,

leggendo

vov (Giussani).
6 Per simili casi
talmente dal lettore,

il

il

Tescari e

od

il

Kochalsky, inse-

<o<jTe> cuvaqjLHvovjjis-

con JtoXvs, 3tA,eico ecc., da compiersi menKuhner-Gerth., op. cit., II, p. 636.

di elissi, in frasi
v.

Giussani,

(o'UT'>cpi>tvoi3fX8vov (Usener),

APPENDICE
solo inconcepibile,

viene

tutt'

ma

in tal caso

^^g
^

questo corpo, mentre

insieme in un tempo sensibile da un punto qual-

siasi dello spazio, dovrebbe essersi mosso da un punto diverso


da quello da cui percepiamo la direzione del suo moto), per
ci che ^ la velocit del moto sar adeguata agli intoppi incontrati, anche se fin a questo punto non ne abbiamo tenuto
conto. Ed senza dubbio utile tenere a mente anche questo

principio

Anche

passo non subito

perch
esprime in
modo non perspicuo per chi non sia iniziato alla sua dottrina, come erano i lettori a cui dedica questa epistola. Vetradotto,

Epicuro, qui

come

diamo dunque

di

il

intelligibile,

altrove in questa lettera,

sgrovigliare l'intrico.

Ed

si

anzitutto,

non

tenendo conto della parentesi, Epicuro vuol dire questo: se


osserviamo un complesso corporeo in moto, evidente che
esso non percorre ad una ad una tutte le traiettorie dei suoi
atomi, che si muovono con velocit pari a quella del pensiero,
appunto perch il suo moto la risultante di quelli dei suoi
atomi e si compie con velocit sensibile, che, come si visto,
Teffetto degli urti e la specie sotto cui tali urti invisibili

rivelano a noi. Che

si tratti di un complesso corporeo, rianche dalle parole messe fra parentesi, ove si parla di
velocit sensibile; infatti gli atomi si muovono con velocit
pari a quella del pensiero, e non gi con velocit sensibile.
Resta ora da interpretare la parte posta fra parentesi, la
cui spiegazione anche pii difficile. Infatti neppure il Giussi

sulta

Mettere fra parentesi solo

(s. n., p. 240, n. 3) non


ad Epicuro anche questo assurdo, mentre
prima non s' rilevata nessun'altra assurdit a eui vada riferito Vancfw. Invece
si deve notare che qui Epicuro fa uso di una struttura da lui usata pure altrove,
quando, dopo avere indicato che un'ipotesi inaccettabile o assurda, riferisce con
una proposizione copulativa, un argomento per dimostrarne l'iupossibilit: v. in1

le

parole StavriTov xal tojto

giusto, perch si farebbe dire

fatti 57 oijxe

yq

oTtcog... 'oxi

vofioai, Jtwg

x'&v etl toto JtejreQaofivov eh] t

\i-

YeOog; cfr. 56 nav \iye'd^oi ujtdQXEi-v oijxs y^Q\aL[iv axi... (flx-&ai xe it|.i'5ei
xal jtQg f][idiq Qaxi; xiiovq. Quanto all'uso del futuro (eaxai) dove in italiano

possiamo usare anche

il

condizionale, cfr,

53 i^o^wXtiv

yQ tvsiav

'%ei

tojto nday^iiv

Ojt' xeLVT^s.
-

p. e.

Il

yq qui potrebbe anche avere

Kp. ad AV.,

Epicuro.

72 (p. 24, 13

il

sif^nificalo di e cioi\

come

spesso, cfr.

Usen.).

16

EPICURO

242

che pi acutamente di ogni altro si occupato di questo


riescito a dare una spiegazione di queste parole,
mentre le sue osservazioni sono veramente utili per delucidare
ci che precede ^ Egli per non solo procede da una lezione
sani,

passo,

p, 240 n. 4) e che fa violenza al testo maanche ne ricava un senso che non pu in alcun modo ammettersi. Secondo lui infatti (e con lui si accorda il Tescari) Epicuro vorrebbe dire, che il corpo non pu
seguir tutti i moti dei suoi atomi, perch essendo essi venuti
da ogni parte dello spazio, prima di far parte del corpo e di
trovarsi ivi nei moti atomici propri del corpo, anche il corpo
avrebbe dovuto venire tutt' intero d'ogni parte dello spazio.
Ma sarebbe il colmo dell'assurdit, se si pensasse che un corpo
possa avere preso parte ai moti dei suoi atomi anteriori alla
sua formazione. E poich tale significato deriva dai mutamenti
introdotti nella lezione manoscritta anche pi condannabile,
ed prova che a torto si mut il testo dei codici.
E veramente il testo manoscritto pu dare un senso migliore, sinora non veduto, Epicuro, dunque, nelle parole poste fra parentesi, osserva che l'ipotesi presunta, non solo
per s impensabile, ma in contradizione con l'esperienza se

arbitraria (v.

noscritto,

s.

ma

infatti
il

il

corpo dovesse seguire

le traiettorie dei suoi

atomi,

suo moto sensibile, che possiamo seguire con l'occhio in

ciascun momento, sarebbe non gi continuo,


discontinuo

perci in ogni singolo

da un punto diverso da quello da cui

ma

vibrante e

momento dovrebbe
lo

partire

vediamo partire

^.

V. Studi Lucreziani, p. 115 sg. Anche per rispetto alla parte precedente
passo mi scosto da lui, non solo per la lezione, ma altres per l'in-

di questo

terpretazione, in quanto egli, non riconnettendo direttamente


il

secondo yQ, crede che Epicuro

si

il primo periodo con


fermi solo a confutare un'ipotesi assurda,

mentre in verit egli si serve di un argomentazione ad absurdum per provare


che velocit ed vriv-onr] sono concetti correlativi.
2 Non dobbiamo stupirci che Epicuro si fermi a combattere un'obiezione cos
capziosa, n che essa gli sia stata rivolta. Tali erano infatti non di rado le polemiche filosofiche del tempo; basta ricordare l'esempio di Lucr., I, 464 sgg.:
l'argomentazione contro gli avversari che s'intravede nei frammenti del 1. II
del
cpx)08Q)5 di Epicuro, circa la dottrina degli elbuXa, e le polemiche sul moto
riferite da Sesto Empirico.
:jt.

APPENDICE

243

Cio (per spiegarci meglio con un esempio), supposto un

corpo poliedrico di

una

cui,

faccia triangolare

per semplicit grafica, considereremo


il cui vertice sia B e la base

ABC,

C, e supponendo che esso si muova con moto


una linea A C D E..., che sia un prolungamento

sensibile lungo
della base

A C,

se esso dovesse seguire le diverse traiettorie dei suoi atomi,

compiono con velocit pari a quella del pensiero, ne


verrebbe p. e. che, in un dato momento in cui il corpo sia
giunto al punto D (sulla linea A E), se uno dei suoi atomi
in quel momento, da un punto X qualsiasi interno, sia giunto
rimbalzando ad un altro Y, noi dovremmo vedere la traiettoria del corpo in moto partire da Y, e non seguire esso quella
che

si

che eftettivamente segue, come

traiettoria

lungo

la linea

ci attesta l'occhio,

A CE.

Epicuro ha dunque affermata cos la correlazione necessafra dvtLxojiri e velocit, ed avverte che tale principio bisogna tenerlo bene a mente, appunto perch dovr servirsene

ria

come vedemmo,

poi,

nel 61 sg.

Dell'importanza di quest'ultima frase per la critica del


testo ci occuperemo pi tardi S quando tratteremo della struttura di quest'epistola. Vediamo ora ci che segue. Epicuro,
il principio che velocit ed intoppi
sono concetti correlativi, riprende a trattare del moto dei

dopo avere determinato

Anche qui

simulacri.

la lezione

dei codici

da correggersi
L'Use-

e dalla costituzione del testo dipende l'interpretazione.

ner legge:

eW oTi

8i8coA,a talq

'kzKTxr[Gi\ yvTceQ^X{]Toig xxQixai,

dvTLjiaQTUQel tcv tpaivofxvcov

o'O^ev

jZqov aviiiiBXQOW 'xovxa ngt;

xal Ta^ri vuJiQPiixa

x^ (^^)

djteiQO)

avxcav

xjixeiv

i\

Xiya vxixjtxeiv, noXkalq %a jieiQoiq

xjtxeiv

xt.

La prima

difficolt

Ci

sotto

V.

ad wnQ^h^xa

oOv
Jtdvxa

piOv dvxi-

eyei,

ev^vc,

vxt-

non

offre

posto,
sensi

s.

parte, sino

'xei,

p. 217

si

siccome nessuno dei fenomeni che cadono


oppone a che i simulacri possano essere di

EPICURO

244

insuperabile sottigliezza, ne consegue che essi debbano anche avere insuperabile velocit....
Le difficolt incominciano in ci che segue. Anzitutto come

deve interpretarsi

avf^pietQov,

come deve correggersi

la le-

certamente corrotta perch manca T articolo richiesto dair infinito che segue? Gi
anticamente, sin dalla versione Ambrosiana, e di recente
dal Tescari e dal Kochalsky, si suppl :tQ? (t) tw, intendendo
oiJ|i^eTQov nel senso di adeguato. Ma lo studio di altri testi
epicurei, credo dimostri che au^i^ieTQov debba intendersi in
zione dei manoscritti

JtQ? tc dTceiQcp,

cio come simmetrico^ tutto in una direzione.


abbiamo veduto che V insuperabile velocit atomica

altro senso,
Infatti

da Epicuro
tutto in

quando

fatta

dipendere dall'avere

gli

atomi

il

loro corso

una

direzione (v. 62), e lo stesso dice Lucrezio


parla della luce (II, 160 sgg.) e del fulmine (VI,

344 sgg.). Per di

Epicuro stesso, nei frammenti del libro


col. II, 10 sgg., d come ragione della
velocit dei simulacri il muoversi essi con un flusso continuo

secondo del
e

non

Jt.

interrotto

pii

(piJaEcog,

da

ostacoli

(Tcoiev

o jraQxeiv avvEyr\ tv qojv)

ed anche nel passo del n. qDiiaeoog, recato da me a p. 84, n. 3,


ricorre per tali eflussi la frase aufx^tQcog kyovaaic,. Anche i
testi latini che si riferiscono al moto dei simulacri epicurei
accennano essi pure a questa circostanza (v. Us., fr. 319,
p. 221, 12; fr. 320, p. 221, 1. 25 iugi fluore), come vi accenna
una nuova testimonianza, probabilmente derivata da Posidonio, pubblicata recentemente dal Cronert {Eh. Mus., 1907,
p. 128 [xat atd'&^iTv]). Si vede dunque che oijf^iixeTQog ngog si
deve intendere dei corso simynetrico, senza deviazioni, su di
una sola linea, cio ^ax oxd'\l^^f. E ci concorda con la dottrina da noi gi studiata sulla velocit degli atomi. Si noti

ancora che tale corso in una sola direzione, si pu avere sia


per cause interne, quando gli atomi di un complesso non
urtino fra loro per moti intestini e non rimbalzino in di-

ci che nei simulacri


sia per cause esterne,

avviene per essere


non ricevendo urti
dall'ambiente esterno che ne trasformino il moto di continuo
in vibratorio. A questa duplice ragione si allude dunque

verse direzioni

essi sottilissimi

245

APPENDICE

leggendo

tw (tw) col Meibon. Resta ora a vedere la leJtp? (xw) tw ^teigco

Ttgq

zione di ci che segue. L'Usener legge


a-Tv

ci

3toAA,ag

dvTixJtteiv...

piTi^v

Tcxeiv Ti:

impossibile, non

solo

comprende come possa

perch

significare

anche perch, subito dopo,


laiq,

xal djteiQoig

eii'fHjg

vtix-

e intende djreiQO) nel senso di infinita sottigliezza:

Tzsigoig

ajteiQOi;

da

solo

ii finitamente

come

usato

sottile,

affine

ma

non

si

ma

a noX-

perci proprio in senso contrario a quello che egli gli

attribuisce

nella

frase

precedente.

Perci

il

Tescari ed

il

Kochalsky, non vedendo altro modo di sfuggire a questa


difficolt, pongono dopo neigc una lacuna d'incerta ampiezza, che essi non riescono a colmare. Ma chi osservi che
Epicuro ama l'uso del neutro sostantivato con un genitivo
seguente, particolarmente caro anche a Tucidide ^ (v. Ep.
ad Erod., 79 t (xaxpiov tfjg Yvcaecog, v. mia n. ivi; Ep. a

Menec, 124

xr\q

X,^r\q -(WriTv:

126 t

xf\c,

^cofjg

oTiaoTv:

persuader che
cfr. 3Iass. cap., XXXIX
aitTcv.
Infatti anche i
djteiQcp
(tc5
[li])
jtQg
tw
debba leggersi
pochi
o nessuno
ma
(v.
simulacri incontrano ostacoli
48),
x pi ^aggovv),

si

ne incontrano ciascuno singolarmente, mentre, quando si consideri l'infinita successione di simulacri che affluiscono da
un oggetto, gli ostacoli sono molti, ma sono ripartiti fra i

non solo non rallentano il corso


ma, come osserva Epicuro stesso 50,

singoli simulacri e perci,


di

ciascuno di

essi,

v' tosto compenso dal successivo accorrere dei nuovi, affatto

atomi dei quali sostituiscono quelli deviati e mancanti nel simulacro precedente. In
tal modo l'immagine, quando non giunga troppo di lontano,
viene a noi non deformata ^, perch, osserva giustamente Lucrezio, noi non vediamo i singoli simulacri, che sono impersimili al precedente deformato, gli

cettibili e la cui

impressione sui nostri sensi dura un tempo


ma la continua successione di essi che ci

infinitamente breve,

d un' immagine complessiva e continuata:

Cfr. p. es.,

Thuc,

T,

28.

\ii]

incirca come,

iivQweq avx&v, e passim.

Naturalmente si intende sempre p;irlare


uno schermo non permeabile noi loro corso.
-

all'

di

simulacri che non incontrino

EPICURO

246

diremmo
singole

noi, nel

cinematografo non percepiamo staccate

immagini fotografiche,

ma abbiamo

plessiva del continuo succedersi di esse.

la visione

E che

le

com-

simulacri

debbano incontrare qualche ostacolo nel loro continuo succedersi, risulta anche dalla circostanza che noi, secondo
Epicuro, percepiamo la distanza per mezzo dell'aria che i
simulacri spingono contro l'organo visivo ^ Giustamente perci Epicuro, secondo la semplicissima correzione da me introdotta, osserva che si pu dire i simulacri non incontrino
nessun ostacolo o pochi ne incontrino, purch non si consideri un numero illimitato di essi. E probabilmente in ci che
segue potrebbe leggersi
dvtix:n;t8iv

Ev'&vc,

molti, ed in

Ma

ostacolo.

ti,

jro,,og

cio:

infinita

poich

(codd. Tco^ag) 8 xal daeiQoig

mentre quando

codici

hanno

per prudenza tale lezione, dando a


T|.ioig,

In

tal

simulacri sono

incontrano qualche

successione, tosto

jtoA-aig,

TtoXXalc,

si

pu ritenere

come

sostantivo

che del resto Epicuro sottintende anche altre volte.

modo

il

significato

dell'ultimo

membro

diviene

pii

ma

egualmente esatto; perch una grande moltitudine ed infinita successione d'atomi, sia componenti simu-

generale,

lacri sia altri corpi, nel passare attraverso all'aria incontra

sempre
Il

x^T)

ostacoli.

passo ora studiato deve dunque leggersi cos:

djteiQcp

[XT])

o-O^ev

xal

vv7iQ^'k'Y]xa e/ei, Jtdvxa jrQov au|x|X8TQ0v ej^ovra jcqc, tcd (to)


^

a'UTcv

piri'd''v

dvxixTUTeiv

f]

A,LYa

dvTixjtteiv, noXkalq

ne consegue che essi


debbano avere anche insuperabile velocit, perch il loro
corso sempre in linea retta, e per di pi, quando si consideri un numero non illimitato di essi, nessuno o pochi ostacoli
trovano nel loro corso, mentre molti atomi ed in infinita
successione tosto incontrano qualche ostacolo

'/al djieiQoig BV'dvq

dvTixjtteiv

ti.

Cio:

Cfr. LucR., IV, 241 sgg.

leg'gersi <tm |,t|> jteiQco (^&} avxvv


passo citato del Jt. cpijoecog, e g'Ii altri frammenti di quel libro, ove
ricorre spesso qovc, come parola tecnica, per indicare il flusso dei simulacri); ma tale
aggiunta non necessaria, e l'uso epicureo mi conferma la lezione data sopra.
2

Precedentemente m'era parso dovesse

(v. s. p. 244,

il

APPENDICE

247

II

E opportuno

ora aggiungere qualche osservazione sopra

la struttura di quest'epistola

essa trattate.

Non

del disordine,
scritta

fossero

e sull'ordine delle dottrine in

pochi furono coloro che trovarono in essa

onde dubitarono che nella tradizione manoavvenuti degli spostamenti; opinione che

Giussani riprese con ingegnosa dialettica ed ampia

il

inda-

proponendo un rimaneggiamento generale che importerebbe molteplici trasposizioni, e un rimpasto di tutta la


gine,

materia esposta in questo breve compendio epicureo.

Non

mia intenzione confutare ad uno ad uno gli argomenti


esposti, cosa che mi porterebbe troppo in lungo in questa Appendice mi baster mostrare che precisamente per la prima

. accaduto
presso a poco quel che
accadde per le Massime capitali, cio non si scorto il criterio che guid Epicuro nella disposizione delle diverse dottrine, cosicch, mentre queste sono disposte con ordine prestabilito e conveniente, il preteso ordine che altri vi volesse
introdurre sarebbe disordine ed inconseguenza. E ci non
dico a biasimo del Giussani, di cui tante sono le benemerenze verso Lucrezio ed Epicuro, e che ha il merito anche
qui di aver posto un quesito che deve essere risolto, ma per

parte di questa epistola

consigliare cautela nel sostituire criteri nostri a quelli degli


autori classici,
tere esoterico

massime quando si
come questi, in cui

tratti di

scritti

di

carat-

la tradizione di scuola e

l'insegnamento orale dovevano compire molte lacune, lumegdi scorcio, e dar ragione di
certi ordinamenti, scelti a ragion veduta, ma dei quali il criterio informatore era palese solo a chi fosse gi esperto del-

giare molti punti trattati solo

l'

intero sistema.

Che questa

lettera

fosse

destinata

a lettori gi esperti

dell'epicureismo, detto nei primi periodi introduttivi, che

gi abbiamo pi volte richiamati. Orbene, per

Epicuro vuol dare prima uno schizzo

(xjiog)

tali

lettori

generalissimo

EPICURO

248

della dottrina fsica, e poi esporre alcune teorie pii ampia-

mente, senza badare proprio a quell'ordine che sarebbe utile


seguire per i principianti, appunto perch ad essi non era
indirizzata questa epistola, ma il Grande compendio. Ed
probabile, per quanto credo, che Epicuro abbia voluto in qualche punto fare di questo suo scritto un complemento a quel
compendio pi ampio, insistendo magari maggiormente su
qualche dottrina pi astrusa, trattata l pi brevemente, come

minlmae. Ripeter dunque


che noi dobbiamo accettare l'ordine prescelto da Epicuro, e
cercare di comprenderne le ragioni, anche se in qualche luogo
la causa di una disposizione alquanto saltuaria dovesse essere
forse, per es., quella delle partes

non teoretica

ma

psicologica, cio la fretta con cui questo

perch evidente che esso non fu curato


ad esempio VEpistola a Meneceo, ed
naturale anche che il filosofo che fra tutti quelli dell'antiscritto fu compilato;

dall'autore

come

compose

altri,

maggior numero di opere (come ci attesta


e che non era certamente uno scrittore di
di rado aver concesso molto alla rapidit,
a scapito della chiarezza e dell'esposizione nitida ed impeccabile. Ma tali ragioni psicologiche non punto necessario
invocare per quei paragrafi della prima parte di questa epistola ( 42 sgg.). da cui il Giussani vuole iniziare le sue

chit

il

Diogene Laerzio)
razza, debba non

molteplici trasposizioni.

Egli infatti, analizzando

i primi paragrafi, osserva giustabreve introduzione e i pochi periodi


intorno alla dottrina della conoscenza (cio la canonica epicurea) comincia l'esposizione della fisica; ma a torto crede
che questa parte generalissima, che tratta dei primi principi
fondamentali, proceda ordinata solo sino a mezzo il 42,
dopo di che comincerebbe il disordine. E l'errore del Giussani proviene dal non essersi reso conto che dopo l'esposizione della dottrina che nulla si genera dal nulla e che nulla
perisce nel nulla ^ (donde deriva il corollario dell'immutabilit dell'universo), e dopo Tenunziazione dell'esistenza della

mente che dopo

la

38 sj?g., p. 7i sgg. della

mia traduzione.

APPENDICE
materia, del vaoto e

deg-li

249

atomi, che

compongono

complessi

e che sono indistruttibili ed immutabili, incomincia

una

se-

enuncia un punto essenziale dell'atomismo, cio rjieiQia^, che Cicerone chiama anche vis infntatis. Infatti, in ci che segue ( 41-45), si espone che infiniti
sono i mondi, infinito il vuoto, infinito il numero degli atomi di ciascuna forma atomica (mentre le forme stesse
sono non gi infinite ma di numero inconcepibile), infinito

zione nuova, ove

si

moto ed infinito

il

atomi ed

gli

il

il

tempo e

ci che in esso esiste, cio

vuoto. Queste sono le premesse fondamentali

della vis infinitatis,

da cui derivano parecchi

corollari im-

portantissimi, componenti la dottrina dell' loovoixia

e fra essi

appunto quello dell' iifnit dei mondi (45). Perch essa


la naturale conseguenza dell'infinit dello spazio, della materia,

del vuoto, e degli atomi di ciascuna delle forme ato-

miche,

quali, osserva Epicuro,

n da un

sol

non possono essere


finito di mondi

esauriti

mondo n da un numero

'\

onde

mondi debbono necessariamente essere infiniti. Come si


vede dunque, quando si sia trovato il criterio informatore

ne risulta perfetto, ed
formano un tutto indisGiussani, che non vide questo principio

di questa parte dell'epistola, l'ordine


i

paragrafi 41 (seconda met)

solubile

^.

Orbene

al

45

Cic, De fin., I, 6, 21: cfr. De nat. deor., I, 19, 50: cfr. anche Ep. a Pitocle,
nota che ivi la dottrina dell' jteiQta posta non solo fra le pi importanti,
ma subito dopo quella delle Qxo-l, che anche qui precede.
Circa i'ioovofxta epicurea non s' badato al precedente di Alcmeone: vedi
Alcm., fr. 4 Diels. Ottime osservazioni suU'loovonCa d'Epicuro sono negli articoli
1

llG, e

'^

citati del Philippson.

questa dottrina della vis infnitatis, si richiama Alexander Aphrod.,


199, 20 Speng., Sri 6 jc>,etco x tjteiQa Hax xovq neiQOv:; xq
Q^q Xyovxaq, xal ex toijtcov YVfQifiov. X^ovai \iv yQ xovq xojiovg :x(.gov;.
3

Qtiaesl., Ili, 12, p.

xal 'xaOTO? avTcv ^

TOUTOv

el (lv

neiQa x

TieiQo: vyKr\ Eivai.

Una nota

speciale merita

il

:rtetQa)v

Qxiv axi avyHE\ievoq, AiTreiQxi;

principio del 45. Ivi

((Vocabolo e fu riferito ad atomo che precede.

Ma

qjtovf)

si

interpret

non credo a ragione.

come

*(ovYi nel

senso di enunciato, termine tecnico epicureo, v. Schol., in Clem. Alex. Paedag.,


II, 10 (UsENKR, p. 342, 12): Diog. Lakrt., X, 2: Eric, Sent. Vat., 41 (cfr. Luck.,
V, 53, 8g.): e questo il significato qui richiesto. Piuttosto pu essere dubbio
C!itro quali

cui

qui

si

limiti

debba

ritenersi contenuto questo eiiunziato

(i]

xooavxTi

cpcovi'))

allude, cio se solo all'ultima frase precedente od a tutta la sezione

che tratta, come vedemmo, della

vis infnitatis.

250

EPICURO

informatore (n so del resto che altri l'abbia sinora scorto)


questa parte sembr disordinata e frammentaria, ondo pro-

pone una disposizion sua che, ad esaminarla dopo le osservazioni fatte sinora, appare chiaramente uno scompiglio di
quanto Epicuro aveva appositamente ordinato. Dice infatti il
Giussani

Fa

vatr

poi

difficolt; il

41,

42

brano 'AXX

)^.

Non

piT]v

xal x nv ajteiQv

come da
nell'infinito un alto
capisce

si

sgiunto il 60 ( non esserci


un basso assoluto ), e 45 'AA,A, fxr)v jtal xofioi
La connessione di 60 con
41 42 appare da

fermata da Lucrezio, che


strato l'infinito,

alla

fine

del libro

tratta la stessa questione

I,

oti...

esso sia diassoluto ed


djieiQoi

ecc.

s ed con-

dopo dimobench

di 60,

non esserci un centro nell'infinito;


vicinanza poi di 45 con 41 42 indicata da Epic.
stesso (ciQTi): ed anche della connessione di 60 con 45 c'
un indizio nell'accenno in 60, dei piedi di quelli sopra di

sotto altro aspetto, cio:


la stretta

noi e delle teste dei sottostanti. Sono

41.42 (prima met), 45 (meno

Ma dopo

quello che

le

dunque da accostare

prime

linee) e 60^.

detto evidente che

il 45, che
Giussani pare spostato, sta benissimo dove e deve essere
li appunto e non altrove, essendo un corollario che presuppone non solo la dimostrazione dell'infinit della materia

si

al

ma anche l'infinit degli atomi di ciascuna forma


seconda met del 42) e l'infinit del moto ( 43-44); cio
presuppone appunto quei passi che il Giussani crede siano
qui introdotti per errore dagli amanuensi e che vorrebbe
trasportare altrove. Il confronto con Lucrezio naturalmente
qui non vale, non solo perch diversi possono essere i criteri di ordinamento da espositore ad espositore, ma anche
perch Lucrezio scriveva il suo poema per i neofiti, e la
e del vuoto,
(v.

Sludi Lucr.,

p. 12 sg.

Ho

un ovvio errore

di stampa (nelle linee citate si legge "(42,


43)': vedi infatti ci che precede e ci che segue nella citazione.
^ Secondo il Giussani si dovrebbe cos riordinare il testo
42 (v. p. 14) (a mezzo)
45-f 60-f il resto di 42 -)- ultima parte di 55 ecc. Il 43 (che come vedemmo
qui strettissimamente connesso) verrebbe assai dopo.
2

corretto

APPENDICE

251

agli esperti. Quanto poi air agri


un richiamo naturalissimo a ci
che si dimostrato pochi periodi innanzi, mentre sarebbe
meno naturale ed inutile se si riferisse, come nell'ordine proposto dal Giussani, alle parole immediatamente precedenti.

lettera invece destinata

(steste*) del 45, esso

*
* *

Consideriamo ora 1 paragrafi seguenti (46 sg.) che particolarmente c'interessano, perch del moto dei simulacri, di
cui qui si tratta, ci siam dovuti occupare poco sopra. Il Giussani osserva (p. 4): il testo epicureo... quale lo abbiamo,
mostra il pii bel disordine che immaginar si possa. La teoria
atomica v' distratta in cinque brani staccati ( 41 fino a cpvoeiq; poi 42 [da jiQq -.h toiJToig]
47
44, 46 [da xal \ir\v]
[fino a xaxaiJTcofiev]
54-59; 61-62). Ora verissimo che la
dottrina atomica distratta in pi parti: ma questo vera-

mente disordine prodotto da

trasposizioni,

non piuttosto

disposizione preordinata secondo certi criteri particolari che

Epicuro

si

prefisse?

Orbene l'opinione del Giussani, che

il

di-

sordine siasi introdotto nella tradizione manoscritta per spostamenti, urta subito contro un'obiezione gravissima, che,
cio,

come appare da quanto abbiamo

esposto sopra, era neces-

ad Epicuro spezzettare l'esposizione della dottrina atomica, se egli voleva nella prima parte esporne solo quel tanto
che fosse utile ad un sommario brevissimo della fisica, con
particolare riferimento alla djieiQta. Se infatti, come abbiamo
provato, dopo il 42 deve venire proprio ci che segue nel
testo dei nostri codici, Epicuro doveva necessariamente tratsario

tare degli altri punti particolari di questa dottrina in seguito,

separando ci che sotto un certo rispetto poteva parere congiunto. E questo fece con tanto minor scrupolo, in quanto che
scriveva per lettori capaci di ricollegare le fila interrotte e
supplire mentalmente ci che per il momento egli omettesse.
Dunque non dobbiamo attenderci un ordine elementare di
esposizione, ma, come s' detto, dopo quel primo schizzo
brevissimo della fisica, dobbiamo considerare ci che segue^

EPICURO

252

quasi
fosse
Il

come

singoli excursus su dottrine particolari.

Che questo

proposito di Epicuro apparir considerando

i 46 sgg.
Giussani anche qui osserva giustamente che la dottrina

il

sui moti atomici spezzata in pii brani e particolarmente

nei periodi che

vanno dal mezzo

To xevov cpoQd) sino alla seconda

di 46, (xal

met del 47

f.irv

xal

f)

8i

(cio sino a

tojto xaxaaxetv x atoixEov ^), pi 61-62. Non giustamente


per egli propone di ricollegare queste parti. Infatti, anzi

%(jX

quando poi viene all'attuazione pratica (v. 1. e p. 118)


avvede che non possibile ricollegarle in modo che il
testo corra, ed costretto ad ammettere che nel nostro testo
oltre agli spostamenti vi siano anche lacune considerevoli,
moltiplicandosi cos le difficolt. Ma il quesito fondamentale
questo: si propose Epicuro di trattar tutto di seguito dei
moti atomici? Se questo Epicuro non si propose, la separazione corrisponde ad un suo criterio che dobbiamo rispettare.
E cos appunto. Epicuro come primo di quei suoi excursus^
tatto

si

ci

volle parlare dei simulacri (sicoa).

Ma

questa dottrina,

presupponeva alcune nozioni particolari sul


moto atomico, che non potevano essere premesse nel primo
schizzo. Egli perci le richiam senz'altro ove gli parve opportuno, e precisamente a mezzo il 46. N questa una
mia gratuita supposizione. Che Epicuro infatti in questi periodi introduca una digressione, si scorge dalla frase con cui
questa digressione ha termine ( Ed un principio anche
questo che bisogna tener bene a memoria-). Egli dunque enuncia qui una dottrina di cui dovr servirsi poi piti oltre, cio
nel 61 sg. Questo inciso perci non solo indica che questo
non va unito al 62 (anche il Giussani s' accorto che questa
frase intermedia in tal caso sarebbe di troppo) ma conferma
che fra la prima met del 46 e la seconda del 47, Epicuro
ha sentito il bisogno di introdurre una parentesi, perch questa frase non pu neppure stare fra le parole: Queste immagini chiamiamo simulacri ( 46), e le altre: Ci posto, siccome nessuno dei fenomeni... > ( 47), a meno che interceda,
in certi punti,

Nella mia traduzione,

p. ^1,

periodi contenuti fra lineette.

APPENDICE

253

infatti intercede, un ragionamento introdotto come premessa ad una conclusione ulteriore.


Se dunque il Giussani a torto volle introdurre spostamenti
non necessari, anzi dannosi, pur vero ch'egli ha posta in
luce una difficolt che richiedeva una soluzione. Poich gli
editori ed i critici non si sono occupati di indicare e spiegare questo brusco passaggio, che veramente ad un lettore
non perfettamente esperto del sistema, pare singolarissimo, e
che anche in una edizione deve essere lumeggiato con segni
diacritici, segnando i due capoversi che ho indicati nella traduzione, invece di tirare innanzi sino al 49, e magari indicando, come ho fatto, per mezzo di lineette, la digressione
circa il moto atomico. Altrimenti ogni lettore immagina, a
torto, che si continui a parlare sempre dei simulacri e non
comprende pi nulla.

come

Ili

Un esame

pi ampio di quello che sarebbe


commento, richiede anche il passo seguente
^q\V Epistola ad Erodoto, che ha del resto stretta relazione
particolare,

stato concesso nel

con la dottrina
poco sopra:
39 Kal

dell' jteiQia,

xal

\ii\v

del ToioijTov 80tai.


jrv

oii-Ov

oxiv,

oi)#.v

6 dv

elq

yq

6 ^lexa^aXel

f\

axiv

jtoiriaaL

questo un luogo assai

anche nella lezione;


vorrebbe correggere,

cui

ci

nv el Toiotov

elae^fO-v

(codd. ed ora Arndt:

di

elg

eig
aiiix

dovemmo occupare
fjv

olov

xt]v

no.Q.

|^exa(3oX]v

inftitti

xal

yQ x

jioi'iaaixo

Usen.j.

difficile di quest'epistola, e

xoioixov

koxi,

viJv

\izTa^Q.%zl.

Giussani, voi.
eaxai. nag yQ x

il

II,

discusso

p.

197 n.,

Jtv otiOv oxiv

6 dv elae'Ov xx.. rifacendo troppo

libera-

mente il testo. Il Brieger invece (Epikurs Lehre vom Raum


vom Leeren und vom Ali und die Lukrezlsclien Beweise filr die
Unendlichkelt des Alles, des

Raumes und

des Stoffes;

P/ie-

lologusy> 1901, p. 520) legge oOv yQ eaxiv o (senza elg) ^lexapja?.e,

ma

mutazione

non necessaria. Occorre dunque esa-

254

EPICURO

rainare bene

il valore di questo luogo. Anzitutto certo che


Epicuro qui riassume una dottrina assai in breve, e che di
questa dottrina aveva trattato assai pi ampiamente nel jteqI

cfijaEcog

e persino forse nella

^levaA,!]

a ci che segue). Infatti Lucrezio

dimostrazione

(v.

II,

294 sgg.,

nixo[ir\

(v. infatti lo scolio

estende di pi su questa
V, 350 sgg. i), seguendo

si

cfr.

Topera maggiore di Epicuro, come credo si possa provare,


considerando che Lucr., II, 297 sgg. riproduce un testo epicureo riassunto dallo Pseudoplutarco, Strom., 8 (=Diels,
Dox.,

p. 581,

17 sgg.), ove TA., dopo aver riferito

stesso che qui nell'Epistola

ad Erodoto

(t

il

nv dsl

principio
toiojtov f)v

xal sarai toiojtov), prosegue: ovbiv |vov v t^ Jiavil jtoTe^telTai,


naq xv T]5rj YeYEviii.ivov xQvov ajteiQov, parole che posson corrispondere ai versi citati di Lucrezio, e subito dopo afferma
che il tutto corpo e vuoto ((t) nv axi acpia(ta xal xevv)),

come

nel passo seguente dell'Epistola. Si

vede dunque che,

Pseudoplutarco, come Lucrezio, seguono un testo epicureo pi ampio. Per n Lucrezio ne lo Pseudoplutarco ci

sia lo

danno compiutamente conto di questa dottrina. Infatti vien


subito naturale pensare che, trasformandosi, le cose che noi
vediamo, ogni giorno per opera dei propri moti, questa trasformazione possa mutare la condizion dell'universo da quale
fu in passato, anche senza che intervenga un elemento nuovo
a produrvi mutamento. Bisogna per considerare che per Epicuro le forme atomiche non sono infinite, ma solo illimitate,
mentre essendo infinito l'universo, le possibit delle loro com-

II,

297 sgg.

quapropter quo nunc in motu principiorura


corpora sunt, in eodem ante acta aetate fuere
et post haec semper simili ratione ferentur;
et quae consuerint gigni gigiientur eadem
condicione et erunt et erescent vique valebunt,
quantum cuique datumst per foedera naturai,
nec rerum summam commutare ulla potest vis:
nam neque quo possit genus ullum materiai
etifugere ex omni quicquam est (extra) neque in omne
unde coorta queat nova vis inrumpere et omnem

naturam rerum mutare

et vertere

motus.

i
1

APPENDICE

255

binazioni e dei loro moti vi debbono esser tutte effettuate,


cosicch, se localmente le cose mutano, nell'universo infinito

mondi

e negli infiniti

rappresentate.

di Epicuro, per

meni

tutte le possibilit sono

questo corrisponde
il

quale tutte

al

sempre

tutte

principio astronomico

le possibili

spiegazioni dei feno-

non urtino contro l'analogia dei fenomeni a


noi noti) possono essere vere, quando non ci si riferisca solo al
nostro mondo, ma ai mondi infiniti. Ci posto possiamo comcelesti (che

prendere meglio ci che dice Epicuro in questa dimostrazione dell'immutabilit del tutto. Infatti non essendo possibile una mutazione dell'universo finch i suoi componenti
permangono quali sono, perch esso mutasse occorrebbe che
mutassero i suoi componenti. Ora i componenti dell'universo
sono il vuoto e la materia. Ma da s non possono mutare,
perch, come dice pi volte Lucrezio, mutazione, quando non
si tratti di trasposizioni o aggiunte o detrazioni di parti,
sarebbe una creazione dal nulla e questa stata dimostrata
impossibile e se trasposizioni dei componenti si hanno continuamente nei singoli corpi, per la legge di equilibrio gi
osservata esse non aggiungono altre possibilit di combinazioni che sono tutte esaurite. Eimane dunque il caso di
aggiunte o di detrazioni dei componenti dell'universo; ma
queste pure sono impossibili, perch oltre l'universo non vi
nuU'altro ove la materia possa trasferirsi, n altro che vi
possa entrare e produrre modificazione, rompendo l'equilibrio a cui abbiamo accennato. Cos la dimostrazione vera:

mente persuasiva.

Ed

chiaro ormai perch Epicuro dica:

^non

v' nulla

in cui si possa mutare appunto perch non vi sono altre


combinazioni atomiche che nell'universo si possano produrre,
,

oltre quelle che gi vi sono. La correzione 6, invece di eg o,


appare dunque inopportuna, appena si comprenda adeguatamente la dottrina. Tanto meno poi da approvarsi la correzione del Giussani che trasforma addirittura il testo di
Epicuro, senza che si comprenda come sarebbe avvenuta la
corruzione. E vero per che delle due cause possibili di
mutazione, enumerate anche da Lucrezio (cit. s.) e da Plut.,

EPICURO

256

Adv.

1114 A, cio detrazione e accessione di

Col., e. 13, p.

elementi, Epicuro qui ricorderebbe solo la seconda. Perci mi

debba supporre

pare assai probabile

si

onde leggerei:

yg ativ

ov^v oTiv,

|i8Tapo^v

ov'O^v

(jtoi

av

jcoir'iaaLTo:

ti

elg o

lX-d^oi,

o)

f\

non vi
non vi

cio:

la

caduta di qualcosa,

[izxa^aXeX- Jiap y.Q x

dv

elaeX'Qy

eig

avr

nulla in cui possa

:7T;v

tt)V

mu-

nulla (dove qualche parte


deiruniverso possa sfuggire, o) che penetrandovi possa produrvi la mutazione E veramente che due fossero le cause
indicate da Epicuro, si induce pure dalla tradizione filosofica
che egli seguiva, poich, come ho osservato nel mio Empetarsi. Infatti oltre il tutto

docle

408, cfr. p. 623

(p.

27 sgg.; cfr.

fr.

13,

sgg.),

gi Empedocle

(fr.

17, v.

espone entrambe.

14), le

IV
In proposito di quanto

si

detto sopra circa la teoria del mi-

una testimonianza di singomancante negli Epicurea dell' Usener. Che Epicuro


ammettesse, oltre che minimi di moto e di estensione, anche minimi di tempo, detto in un'attestazione riferita dalF Usener
ma se da altri passi epicurei sappiamo perch Epicuro ammettesse minimi indivisibili di moto e di estensione, non abbiamo
invece negli Epicurea dell' Usener, alcun testo che ci esponga
la ragione onde Epicuro fu costretto ad ammettere minime
frazioni indivisibili di tempo. Eppure questa ragione riferita
da Temistio, in un passo che V Usener non reca e di cui non mi
nimo

in Epicuro, credo utile recare

lare valore,

'^

consta sia stato osservato

Ecco

il

il

valore per la dottrina di Epicuro.

luogo di Temistio

{li

Phys. ed. Wallies, p. 184,

^8 sgg.):
Ti

xal Tv xQvov vaYxalv ativ l taiQTCov GvyijEXa^nx.,

x ^iye'&og l fxeQwv

el ycxQ

xig

[lye^og

jiv

dfxeQg

ei

x):7toxLdoito,

1 P. 198, 16 sg., la lezione di questo passo (Simpl., In phys., p. 934, 25 sg. Diels)
deve modificarsi con un lieve spostamento, secondo l'edizione critica del Diels:
|xeQc5v Y'^-Q "^^^ "^ nys-O-og v.aX xqv Y.ivr[Giy xal tv xqvov elvai XyovTeg (ol

JT8qI 'Ejtt'/tOUQOV).

APPENDI e 15
6

tiT]>tTi

xQvov TLv

\iEQf\,

o^Tog jrd^iv ;tQori08Tai xal

n\ x

Qxt

yg

Gxr\\ia.

xoiwv xal

et

xax dfxeQoOg xal


piQog

xt

xoi5

xoO \ieyedovc, \iQeiav

\io}<.oyeixai

dxxovi XQvo) e?^axxov xivelxai 8id-

xQvo?

eiT)

iaipexg, v

cp

xiveixai xi

8?iaxioxou, 8fi^ov q v xc ^lpei xoi5 xQvo\j xouxou

A,axiaxoD

vKoxi'&eo'ai xch
vTtoxidiiEvog

oi5xo;

U^ Ttdvxa SiaiQEoOai Suvdjxevov,

xr\v

laoxa/^i; v xc5

267

SiTj^ei.

auvxi'O^vxi

XQvoug

vyyii]
p.ye'&og

8ia(p'&8tQei

xolvdv xal xQvovg dfi8Q8q


"^O

fi8Qc5v.

II

x dxxov xal

Se

^i8Q85

PQa8iJX8QOV, Jigay-

|iaxa v (p^a?c|i,olg vxa xal jcai YvcQijxa... ei y xtva xiv ;ioc5v


eTtavgoio, xt 8i^:xox8 xax^jxepov yexai xfj^ f>id|T]g x dQ\ia, djtoxQi-

voixo dv ov 88ri'0^Elq xf\g


cQa

\iiq.

'^kikovqov oocpiaq,

otabiovg dv iX^oi XQidxovxa,

oxi x ^v dp^ia

d[xa|av 8 v xQiclv

xriv

f)

xxpaaiv Spaiq xovg aiJxovg dvvaai axaSiovg xxX.

Che con questa argomentazione TA. combatta la dottrina


non solo dalle parole ov EiT&elg xf[q 'EmTiovQov oocpiag, ma anche dal seguire essa immediatamente ad
una confutazione epicurea (v. la testim. 278 dell' Usener). Per
di Epicuro, risulta

di pili Sesto Empirico, trattando delle obiezioni che si possono fare alla teoria del minimo epicurea, argomenta cos:
(Adv. dogm.y X, 148) et 8 xal ol xjtoi [x8Qiaxol xal x oc.uaxa
oi5x

dfxeQfi,

dvdyxT

xal xv xQvov

ov yQ v

iO(p

xal x

d^iepoiig xjtoi;

xoi

xjtov, v axLCfxco

{.ir)

elvai

XQvo) iQxsxai xv d[X8Qfi


n-pog,

d^ieQf]

xjiov

XX' v d^?icp

fiv

xa)

8A.dxicTxov

x d^iepg

xv oA,ov

0(x)\ia

dfieQfj

8 x xotjxou ^lpog.

dunque che Epicuro ammise minimi indivisibili


di tempo, per coerenza con la sua dottrina sui minimi di spazio e di moto, poich, come dice Temistio nel passo riferito
sopra, se fosse divisibile il tempo in cui un corpo indivisibile percorre un minimo spazio, dovrebbe quel mobile in
una frazione di quel tempo percorrere una frazione di quello
chiaro

che sarebbe contro l'ipotesi che quello spazio fosse


Del resto, come negli altri punti particolari di
questa dottrina del minimo, anche in questo Epicuro procedeva sulla via segnata da Aristotele, che aveva ben mostrato
a quali conseguenze logiche dovesse giungere chi ammettesse dei minimi di dimensione. Vedi infatti sui minimi di
spazio,

il

indivisibile.

tempo Arist., Phys.^ VI,


Epicuro.

1,

p.

232

a,

19 sgg.
17

EPICURO

258

***
Un'altra testimonianza, mancante agli Epicurea dell'Use
ner e che credo debba esservi ag-giunta, questa di Ee>ifanio,
Adv. haeres., I, 7, 8, p 589 Diels:
'EjtLxoDQog xate^fig ^Et xovToug jtQovoiiaLav tcd xapicp eiOTiYi)0aTO'

x|.ia)v

xal ^

j^coQetv

dei yzvycoo]c,

auveatavai x jrdvTa

xf\q

cpvaeco; t]8'

jtdiv jTiyi'VO^ivrig,

}xt]8jt;ox

:JtvEj|xa

jt8Qiaq)LYY'''V

ooxeQcp

av JtdXiv

xie xr)V

acpiy^ai

Jtdoav

xr]v

eie,

jti;toA,dcrai

avca,

'uA,r]v

ei'x'

6 Piaa^c xivi

x 8

6A,a

nXov xal

xoij

xal |

atixfiq

ovv

cpucriv

xcv

j"

r\

^(vriv

xaiQcp tczqio-

iTidvxcov,

o-uxco

^irjv

yaQ

xojt' ati

xo-Ocpa xal ejcxxEQa xr\q noif]^


cpg

xal ai-Opa xal x Xei^x-

x b ^aQiJxaxa xal oxvPaA-cYj xdxco vevevx-

jtviJ|xaxo?,

cp'

ato^a

x bvo fi^ioqpaiQia xal Xoijrv ex xoijxou

xoijx'eoxi ytjv, tceq ecttI x Ieqv xal

"vai,

elq

'uqpecrxdvai

vKaQyr\q cov 8ixr]v x ou^jtav,

eE,

qpucriv. '0^A,ficTav

x dxo^a SiaxexQLOdai. x
xaxov xov

Sajtavco^ivrg

SQaxovuoei)? jteQi x v wg axq)avov

ixdaai ^v x ovxa

qpjoecog

av ndXiv

S Tiyoarig dqp' auxfig q^vo^xvqg xal

elg auTT^v auvxoij3oixvTi(;. elvai S

x S

f)6'

Xa xal lv xafxov

elvai x

ai)rojLiaTia|.ioi)

avxcov

xivEcr'O^ai

xcv daxQcov,

wg

fj

vyg

xal 8i* auxcov

xcov 'uSdxcov ovaia,

xf)

jtEQi8ivr|ai

djt xo-O 8QaxovxoEi8oi5i; exi

ijtdvxa

EauvEO'O'ai nveviiaxoq.

Come si vede, questa testimonianza riguarda l'origine del


mondo secondo Epicuro, e sarebbe veramente importante perch

dati che

abbiamo

in proposito sono assai scarsi. Infatti

che vi si riferisce (V, 416


numerosi dubbi su punti particolari, e l'attestazione di Aezio (p. 289 Diels) che 1' Usener pone negli Epicurea (p. 215, 14 sg.) non consta che riguardi la dottrina
la

parte del libro

508)

di Lucrezio

ci lascia

d'Epicuro, ed infatti
5 sgg.) la

il

pone appunto

Diels nei Vorsokratiker (ed. Ili, p.

7,

tra le testimonianze della dottrina di

Leucippo, considerandola tolta dal MYag iyioo\ioq. Resta a


vedere quale fede meriti l'attestazione di Epifanio. Orbene, io
credo che vi siano indizi per concludere che essa viene da
buona fonte. Anzitutto, si considerino le parole che il Diels

segna coll'obelo come corrotte: ^E^aav

Piaajxtp xivi xaiQco

APPBNDIC E
neQiaaoxsQC ocpiy^ai

x]v

ma non

jtaav

{)1t]v.

259

Che

xaiQcp sia impossibile

o{, come
emendamento assai pi lieve;
basta cio leggere xal qw, ci che non neppure una vera
correzione, perch nell'archetipo le parole non erano divise.

cosa certa,

propone

Ma

il

credo debba correggersi xa

basta un

Diels;

che interessante che Qovg termine proprio episi vede dai frammenti del libro II del JteQl cpuoecoq (editi dal Rosini, Voli. Herc. ^, II) di Epicuro, ove ricorre
pi volte, cfr. qui sopra p. 244. Altre singolari coincidenze
di espressione possiamo ritrovare con Lucrezio. Vedi infatti
le parole x 8 paQircata xai OTiv^aXi] xaxo) vEveuxvai, che
consuonano affatto con la vigorosa immagine lucreziana:
ci

come

cureo,

V, 495 sgg.

Sic igitur terrae concreto pondere corpus


constitit atque

omnis mundi quasi limus

in

imum

confluxit gravis et subsedit funditus ut faex.

Cosi pure confronta

LucR.,

II,

le

parole

x\\q

qpuoecog...

con

arcavcofivng

1126 dispendi faclant, in un passo che

si

riferi-

medesimo fenomeno. Ed ancora in una frase che il


si annida forse un equivalente d'una

sce al

Diels crede corrotta,

espressione prettamente epicurea


acpiyyeiv ttv cpuaiv,
qiyyeiv

toutou

ove

si

tratta delle parole

tt]v

cpvoiv.

debba correggere,

vi sia

Ma

io

credo che, nel caso che

un emendamento

pi conveniente: basta infatti leggere


(pijcriv,

Jiepi-

Diels propone di correggere: mQii\

il

e xvaiv sarebbe appunto

xi\y

si

assai pi lieve e
xvaiv invece jdi

un equivalente

di

ttiv

dOpoia^v

che

il termine tecnico epicureo, usato per questa congeatomi nel primo processo della formazione del mondo
(v. Ep. a Pitocie, 90). Che la testimonianza di Epifanio sia
poi attendibile nei particolari teoretici, credo si possa mostrare esaminandola parte a parte. Che il mondo secondo Epicuro siasi formato xat' rtQovoTioiav, ben noto, ed anche Lu-

rie di

crezio dice che esso

non

si

costitu Consilio (V, 419).

derivi dagli atomi e tutto negli atomi

si

Che

tutto

risolva principio

fondamentale epicureo, su cui v. Ep. ad Erod., 39 e n.


le parole che seguono poi in Epifanio e che trattano

Con

ivi.

del-

EPICURO

260

l'eterna vicenda di vita e di morte nella natura, oltre


citato sopra, v. Lucr., II, 569 sgg.; cfr.

Pu sembrar
cio

eivai

8^

anche

tuttavia singolare ci che

vnaQxr\q

ov

ix'qv

afxjiav.

si

II,

il

luogo

1115 sg.

dice in seguito,

oijpijtav

na-

turalmente qui l'intera massa del mondo, cio haec rerum


summa, come dice Lucrezio, e forse nel testo originario vi
era tojto t oviiTzav. Ma che questo paragone con Fuovo?
Che secondo Epicuro vi siano mondi di forma ovoidale certo
(v. ScoL., ad ep. ad Erod., 74). Ma non credo che qui si
parli della forma del mondo, bens piuttosto che il paragone
riguardi il fatto che anche il mondo, come l'uovo, avrebbe
quasi un guscio o corteccia esterna, cio i moenia mundi ^,
e una parte interna meno densa. E veramente secondo questo
criterio il paragone riferito dal fr. orfico 53, p. 173 Abel,
che citai nel commento alla testimonianza 50 di Empedocle *.
Ora, oltre che, come vedemmo, il paragone pu adattarsi

perfettamente alla condizione del


di Epicuro,

non dobbiamo punto

mondo secondo

la dottrina

stupirci di trovare qui

un

parallelo con gli orfici, perch la cosmologia orfica serv di

fondamento a tutte le dottrine fsiche posteriori, come mostrai


nel mio Empedocle. Epifanio parla poi di un vento vorticoso
che porrebbe in moto l'universo, ed anche nella Epstola a
Pitocle si accenna pi volte a questo originario turbine del
mondo (v. 92; 113) e Lucrezio parla appunto di un turbine
di vento che trae in perenne moto gli astri. Affatto epicureo
poi ci che segue sullo sceverarsi degli elementi pi leggeri
dai pi pesanti (v. Lucr., V, 449 sgg.).
Non v' dunque ragione di non accogliere questa attestazione di Epifanio, in cui certo vi pi di epicureo di quanto
poteva sembrare a prima vista. E dovr studiarsi con sottile discernimento, tanto pi che i versi di Lucrezio lasciano
ancora aperto l'adito a molti dubbi. Vedi del resto il mio
mio commento ai citati ^iVEpistola a Pitocle.
mio Empedocle, p. 342 n. Il Diels (Boxogr., 175) trovava appunto sospetta la testimonianza di Epifanio per presunti influssi orfici, ma, come si vede,
vi ragione di credere che gi in Epicuro dovesse essere quello che detto da
1

Vedi

V.

il

Epifanio.

il

APPENDICE

261

Empedocle, p. 345, ove ho mostrato che a torto non si tenne


conto della testimonianza di Epifanio sulla dottrina empedoclea. Epifanio reca pure un'altra utile testimonianza epicurea che non trovo nell'Usener, cio Doxog?-., p. 588 init.:
'lEiKiyiovQEioi

axojxa xa djAeQfi aojfiaxa jioiofxeQfj. 'OjxoLOjxeQi~i con-

fermato da Epic, Ep. ad Erod., 52, e da At., I, 7, 34,


p. 306 D, ove a torto furono dall'Usener (v. p. 239 n.), dal
Giussani, dallo Scott e da altri considerate spurie le parole

come mostrai

aiJTat 8 ?>.YovTai fioioLipeiat xal oToixea,

Bollettino di

filol.

classica,

di aver notati questi

due

XVII, 1910,

p.

135,

gi in

anche prima

altri passi.

*
* *

Agli Epicurea dell' Usener

manca anche un

altro

dossografico, che pu avere singolare interesse per

il

testo

con-

fronto con Lucrezio:


AfT.,

V,

19, 2 (430 D.) ol tueqI 'E:n;ixovQOv (xa^'

[se. xajxog]), ex

\izxa^o'kr\c,

xy\c,

.\'kr{kov

fxeyLcrTT]

yevTiT?

yzyyG^ai x ^wa*

yp eivai to xafxou tata, g xal 'AvalayQag


(Fata

ohe,

fisQT]

xal EvqijiiSt^-

xal Aig AI-Ot^q,

xal

ixv vOpo^rcov

f|

8''UYQo|3A,OD(; ataYva<;

{>ec5v

ysveTojQ,

votiag

jtaQaSe^afxvT] tixtel -OrTiToiig,

Che

mondo

risuUa dalle linee precedenti (v. qui s.).


che il Diels conserva, ma credo a torto.
Anzitutto il xofxoq non .yy'x\xoq per Epicuro, per di pi, dato che prima, come
principio generale, si dice xa'O'' oi)g jiv y^vriTg xofiog y^vrx x ^wa xal
cp'O'aQTd eIoiv, ne consegue che, dicendosi poi essere ^^vryx. x. ^ta secondo Epicuro, la dottrina di Ei)icuro anche debba porsi fra quelle secondo cui il mondo
Y8YT]Ts. Correggo dunque ys.vr\xq invece di vviTog. Certo un lettore, che
credette di scorgere una contraposizionc con il |xv precedente (senza badare che
non v' alcun 6) corresse y^vriTg in .-^.\r\xo<;. Giova per porre fra parentesi
la frase, come ho fatto.
2 V. DiKLS, Forso/f)-.^, I, p. 3<JS n. 112; nel testo dei Vorsokratikev giustamente
il Diels pone una virgola invece che un punto prinia di cg xaC. In Aezio seguono
solo gli ultimi tre versi, ma opportuno citare tutto il frammento (839 N/'^) per
il confronto che faremo.
1

Per

si

tratti

la lezione

dei

del

codici

(xa|xog)

-^y-tycoc,

EPICURO

262

Tixxei 6 |3oQv cpvk re

'O^tqcv,

o^ev ovK ixioq


jtdvTcov veviiiatai.

\iY\T:r[Q

XC0Q81 8' Jtioco

piv

8'

8X yaiaq

qpiSvT' el?

yo^^oiv,

n' al^egiov |3A,aoTvxa

elq oiQdviov
'6A''^cyx8i

8'

ndXiv

r\Xiye

Yovfji;

jtov)

ovkv xcv Yiyvoixvcov,

8iaxQiv|i8vov 8' aXko JtQg aA.o'u


jxoQcpriv

xoav Tc8Ei^8v.

Ora singolare appunto che presso Lucrezio, non solo


ma anche sia persino tradotto il
frammento di Euripide. Vedi Lucr., II, 991 sg-g.

apparisca tale dottrina,

Denique caelesti sumus omnes semine oriundi


omnibus ille idem pater est, unde alma liquentis
umoris guttas mater cum terra recepit,
feta parit nitldas fruges arbustaque laeta

genus humanum, parit omnia saecla ferarum,


pabula cum praebet quibus omnes corpora pascunt
et dulcem ducunt vitam prolemque propagant.
Quapropter merito maternum nomen adeptast.
Cedit item retro, de terra quod fuit ante,
in terras, et quod missumst ex aetheris oris,
id rursum caeli rellatum tempia receptant.
et

sic interemit mors res ut materiai


corpora confciat, sed coetum dissupat olUs,
inde aliis aliud coniungit et efficit omnis
res ut convertant formas mutentque colores
et capiant sensus et puncto tempore reddant.

Nec

Come
fetto

si

e se

vede,

il

parallelo

passo di Aezio

il

non potrebbe essere pi perpone fra le testimonianze di

si

Anassagora (per cui non possiam avere che il pallidissimo


confronto con il fr. 17, citato appunto dal Diels, ove si dice
che in modo non retto gli Elleni si servon delle espressioni
nascere e perire', perch nulla nasce e perisce, ma tutto
in assidua vicenda di unione e di dissoluzione), con ben
maggior diritto deve porsi fra quelle di Epicuro, ora che
'

'

APPENDICE
si

visto

quanto adeguatamente

crezio abbia

263

vi si riferisca

^.

Che poi Lu-

potuto trovare in qualche scritto di Epicuro

questi versi di Euripide, con

il

relativo riaccostamento alla

Epicuro non disdegna di


due versi di Teognide citati in
Epist. a Menec. 126: ed in quell'epistola probabihnente
si allude altrove ad un passo di Epicarmo (v. 125). Dalla
compilazione di Diogene Laerzio, Vita di Epic, 137, vediamo che in uno scritto epicureo (probabilmente nel negi
dottrina,

non

citare poeti,

xoDc,

V.

punto

vedi infatti

Usener,

p.

difficile.
i

119, 22

sgg.) erano citati versi

delle

Trachime di Sofocle, come d'altra parte da Sesto Empirico,


Adv. dogm., VI, 27, appare che in un altro scritto epicureo
era citato il frammento 184 di Euripide ^. Di una probabile
citazione omerica trattammo sopra, p. 216 n. 4. Citazioni poetiche sono frequenti
evae^eiac,;

in

Filodemo, particolarmente nel

per Demetrio Lacone v.

Koi. u. Mrn., p.

luoghi

riferiti

Tieoi

dal Crnert,

120.

Rispetto ad Anassagora bene notare che, secondo DioVita di Epic, 12), egli era il filosofo antico pi
caro ad Epicuro, e di fatti si possono trovare diversi altri

cle (v.

luoghi paralleli fra lui ed Epicuro

^.

Una nota particolare merita la Sentenza Vaticana, 15, anche per un confronto con Orazio, che non credo sia stato scorto
ancora. Occorre anzitutto trascrivere il testo, perch quello

Naturahnento non

fa diflicolt l'essere l'espressione iniziale ol jieqI 'Ejtixou-

Qov, invece di 'Ejilhovqoc, perch questa espressione consueta nella {grecit


posteriore, per indicare le dottrine di un caposcuola (cfr.

s. p.

195 n.

2).

Ed

infatti

ad ogni tratto l' Usener reca testiuionian/e in cui ricorre tale formula.
2 V. UsENKK, Epic, p. 173 n.
3 V. le mie note a.V Epistole a Pilocle. Sa alcune altro testimonianze, mancanti all' Usener, v. il mio studio, Sopra un frammento del comico Damosseno (Atti
dell' Jst. Lomb. di scienze e lettere A. 1917), ed una mia Nota recente ncj^li Atti della
R. Acc. di Torino, A. 1919.

264

EPICURO

che d l'edizione del Wotke ormai da correggersi, dopo le


posteriori ^ che riconobbero
non convenienti certe correzioni, dove il codice ha la lezione
giusta, ed altrimenti corressero ove reca una lezione errata:
giuste osservazioni dei critici

ri'Qri

xai vn

av xe

wa3TEQ

fificov

i8ia ti[xc5|Xv, av

avx(bv

\ir],

outco XQ'I {'^)

(Weil)

te

xQr[ax e^cofAsv

(Wilamowitz: cod.

Tcv vdQc.TCOV ^T]?tcfiE9a

^r?ioiJ[X8'd'a)

av TneixEg woiv.

xcv nXac,,

singolare che i critici si siano fatta grande difficolt


per queir i\^, che vedremo essere affatto opportuno. Scrive
Weil: Le texte dit que de mme que nous faisons cas
de quelques choses que nous possedons en propre, qu'elles
soient excellentes... ou qu'elles ne le soient pas, il faut aussi
faire cas de ces choses dans les autres, pourvu qu'ils soient d'honntes gens. Quelles sont ces choses? Les traits de
il

On peut penser
mais je ne sais quel mot on
pourrait mettre la place de r\^r\ . La stessa difficolt si
presenta al Leopold che vuol togliere t^t], perch: bonis
moribus non invideri sed delectari solet.
Per ogni dubbio scompare, se si confronta questa sentenza
con la satira III del libro I di Orazio, che ne un ottimo
commento ~. L'argomento, come ognuno sa, il bisogno
charactre

r\{hf]?

aux origines de

Cela n'est pas admissibile.


la

famille,

dell'indulgenza reciproca.

Anche qui

V. Wilamowitz, Comment. gramm., 13

si

nota come ognuno

dal Crnert,

1. e. s.): Weil., Journ.


H, Leopold, Menemos., 1910, p. 67.
2 V. 19 sgg
Nunc alquis dicat mihi quid tu? Nullane habes vitia? . Immo
alia, et fortasse minora. Maenius absentem Novium cum carperei, heus tu. Quidam ait ignoras te, an ut ignotum dare nobis Verba putas ? . Egomet mi ignosco Maenius inquit. Stultus et improbus hic amor est dignusque notari. Cum tua
pervideas oculis mala lippus inunctia, Cur in amicorum vitiis tam cernis acutum,
Quam aut aquila aut serpens Epidaurius? At tibi contra Evenit, inquirant vitia
1

d. sav., 1888, 663:

Crnert, Rh. Mus.,

ut tua rursus et

illi

(cit.

61, p. 419:

V, 41 sgg. Vellem in amicitia sic erraremus, et

isti

Errori

nomen

virtus posuis

honestum
V. 68 sgg
vitiis nemo sine nascitur optimus ille est, Qui minimis urgetur.
Amicus dulcis, ut aequumst, Cum mea compenset vitiis bona; pluribus bisce. Si
modo plura mihi bona sunt, inclinet, amari. Si volet: hac lege in trutina poneset

tur eadem..

..

sgg

mihi dulces Ignoscent, siquid peccare stultus, amici Inque


vicem illorum patiar delieta libenter, Privatusque magis vivam te rege beatus.
V.

140

APPENDICE
tenga

ci

proprio carattere e sia indulgente verso

al

Ma non

pri difetti, piccoli o grandi.


far

medesimo verso

il

265

altrui:

difetti

deir amicizia deve essere l'indulgenza scambievole.

vede

^-Qt]

fine,

intendere

Come

va benissimo e per di pi mi par opportuno,


III,

si

in

come

feci

40, 3) invece

che

nel senso di indulgenti,

8n;ieixer5

mia traduzione (v. p. e. Thuc,


probi, come comunemente s'intese.
nella

pro-

siamo disposti a
mentre giusta legge

tutti

che poi particolarmente singolare, che questa

ci

satira risulta cos tutta contesta di motivi epicurei. Epicureo

tema fondamentale dell'indulgenza verso

il

vedemmo: ed epicureo

il

come

gli amici,

bel motivo che segue sulla cecit

veggono bellezze nell'amata, anche dove


confronta infatti con Orazio, vv. 38 sgg., i bellissimi versi lucreziani, IV, 1160 sgg. Epicureo il concetto
degli amanti, che

sono

difetti;

(avversato fieramente dagli Stoici) che certe passioni non si


possono interamente sradicare ed hanno un fondamento in
natura. Vedi infatti Orazio, v. 76 sgg.: Quatenus excidi penitus vitium irae, Cetera item nequeunt stultis haerentia...,

Lucrezio,

cfr.

310

III,

sg.:

Nec

putandumst Quin prolivius hic


Philod.,

naturale

De
^

ira, col 41,

24 sgg. W., ove

a cui soggiace anche

Ed anche
dopo

radicitus evelli

iras decurrat

il

falli

mala posse
acris, e vedi

parla di quell'ira

saggio.

epicurea l'argomentazione che segue subito

in Orazio, contro gli Stoici che

valore

si

ad

minimi

cetto che l'utile

XXXI,

il

massimi

^.

giudicavano di eguale

Da Epicuro

tolto

principio informatore del giusto

(v.

il

con-

Mass.

ancora dalla dotquadro dell'origine prima degli animali, e degli uomini nati della terra ed
incivilitisi nel lungo e penoso cammino deiresperienza (vedi
Lucr., V, 782 sgg.: Diog. di En., fr. IX, sgg. con le mie osservazioni ed integrazioni in Empedocle, p. 628 sg.). Abbiani
dunque una novella prova di quanto Orazio abbia tratto dal
saggio maestro degli orti.
cap.,

cfr.

Orazio, v. 98 sg.), ed

trina di Epicuro ricava Orazio quel vivace

Cfr. del resto qui sopra p.

I8fi

Orazio,

Vila di Epic, 120 e n. ivi.

ibid.,

78 s^j?.; cfr.

n.

1.

EPICURO

266

Che Orazio conoscesse queste


come raccolta (se essa esisteva

sentenze, o partitamente o
gi, in

qualsiasi forma, al

Orazio) S potrebbe argomentarsi da altri raffronti


segnati da me nel commento a queste sentenze (v. comra. a

tempo

di

Seni, vai., 35; 63; 69) ed in particolar

modo

dal confronto

fra l'espressione t xQiatov U^vov della Sent., 69, e ingrata

ingluvie di Oraz., Sat.,

Come

I, 2, 8,

che mi pare certa imitazione

^.

gi osservarono gli editori di queste massime, questa raccolta od una


famosa gi al tempo in cui fu scritto il Dialoga

simile, dovette esistere ed esser

degli oratori tacitiano (v. Dialog.,

e.

31).

Vedi per altri rapporti fra Epicuro ed Orazio, il bello ed acuto studio del
[Colgo l'occaPhilippson, Horaz' Verhltnis zur Pliilosophie, Magdeburg, 1911.
sione di questa Appendice per aggiungere alcune note suppletive alla parte gi
stampata.
P. 35: l'autenticit dell'Epistola a Pitocle fu energicamente difesa
dail'Arnim in Encycl. Pauly-Wissowa, s. v. Epihuros, p. 138. Non tutti gli argomenti sono ora egualmente validi, dopo la revisione del papiro, cit. da me
a p. 35 n. 1, fatta dal Crnert; ma altri son sempre degni di molta considerazione. P. 73 n. 4: per le jii|3oXat, vedi ora anche Philod,, :7reQL ^aviag (pubbL
2

xg xcv [vojtQltxoov (mio suppl.)


nota che Galeno scrisse un'opera jieqI xrj;
P. 73
KaT"EjcLxouQov fxaugoi) fjovfig: v. De libris suis, e. 17, t. XIX, p. 48 K.
n. 3: pi probabile paleograficamente mi sembi-a ora la lezione del Kochalsky
P. "%, 2; la lezione erronea dei
6sL jtax jtdvxa: il senso per il medesimo.
odici oxav, forse si spiega ancor meglio supponendo come testo primitivo wov,
Bassi,

Riv. di Filol. A. 1917) col. IV, 13 sg.

flSovcv jti|3oXd;:

quanto a

Stjohqtcov,

che in tale costrutto si trova gi nell'et di Senofonte e si fa poi sempre pi coP. 85 n. 3: osserva, quanto alla mia
(v. Madvig, Synt., tr. fr., p. 228 n.).
interpretazione di idXTjiiJiv 8 Exoojoav, che in Ep. ad Erod. 69 ricorre la frase
Exovxa I5ias 5iaAriipeis in senso atfatto analogo a quello da me sostenuto, cio
anche i aDfx|3|3T]Kxa possono essere conosciuti distintamente, bench in conP. 86 n. 1: ottima connessione con il tutto. Cfr. anche la mia n. 1 a p. 101.
ferma di ci che qui dico e della mia difesa del testo manoscritto, Lucr., IV,
230 sgg.
P. 100 n. 2: Xysxai fu proposto pure dal Hkidel, Amer. Journ. of Philol.y
P. 118 n. 3: un simile uso di jtt anche nel Testamento di Epic, 20
1902.
(UsBN., p. 168, 2), dove a torto l'Usener legge jtaQd invece di iri dei codd.
P. 132 n. 5: naturalmente rimane impregiudicato se debba leggersi cvyec^'kiyi^a.iy
P. 134 n. 5:
come propone l'Usener, o ovujtecpA.x'Oai come sarebbe pi regolare.
ora per son persuaso che l'Usener ha torto di porre queste parole in glossa,
e che si debbono conservar nel testo con la semplice aggiunta di un 5: xco
Tcv'kr\Giv Y^'^'^^^"'') "^ fAsv JtoA,) irgg gog xi qsTj^v, v w ndioxa jcegauvol :ri;n;xovOLv,
sl () (Cobet ?) jtQs 'kXxx'ka. Infatti l'Usener obbligato a supporre non solo
l'inserzione di una glossa, ma anche che sia spostata, dovendo riferirsi (v. n.
Usen., p. 47, 1. 19) alla fine del periodo precedente, cosa non probabile; per di
pi sarebbe singolare che l'autore di quest'epistola si fosse lasciata sfuggire
l'occasione di spiegar perch i fulmini cadano per lo pi sui monti. Vedi del
resto anche Lucf., VI, 191 sgg. 274 sgg. In tal caso la traduzione, secondo il

mune

APPENDICE
testo cos costituito, sar:

onde spezza

la

267

nube che non gli d modo di espanun qualche alto monte, ove

dersi, per la pressione, che si forma, per lo pi, contro

pigiarsi delle nubi stesse


abbia la pressione contro
Ad
un monte, essa deve essere integrata da quella laterale delle nubi fra loro.
Epicuro anche attribuito il seguente apoftegma in Cod. Val. gr., 952, f. 91
V., num. 10, trovato dal Heylbut ed edito dall' Uskner in Wien. Stud., 1890, p. 4
(cfr. Karl Prchter in PhiloL, V. 5G, pagina 551 sg.). Il filosofo Epicuro, vedendo
un tale dilacerato da uccelli e da belve selvagge e sanguinarie, disse: "Costui

massimamente cadono

fulmini, <e> in ogni caso, per

ovvio

l'una contro l'altra.

poi che anche

quando

il

si

non avr sepolcro

Gnom.
di

ove nacque, ma il ventre di uccelli e di belve ,, . Cfr. nel


Sternbacb, Wien. Stud., 1888 num. 303, un simile apoftegma

la terra

vat., edito dallo

Zenone, e Lucr., V,

988].

INDICE
Avvertenza

pag.

Correzioni

Introduzione

vii

pa.

43

55

OPERE DI EPICURO.
Lettera a Mbnecbo
Massime capitali
Epistola ad Erodoto.
Introduzione. Argomento dell'epistola
Norme da seguirsi in ogni indagine
I.
II.

Principii fondamentali

71
.

73

della dottrina fisica.

Dell'universo e di ci di cui

si

compone

74

III.

Dei simulacri e della vista

80

IV.

L'udito e l'olfatto

87

V.

Gli atomi, loro propriet, parti e moti

VI.

Dell'anima e della sua natura


Di ci che esiste per s e delle sue contingenze

VII.

vili. I

IX.

mondi

89
97
101

105

Svolgimento della societ e formazione del


lOG

Dei fenomeni
Epistola a Pitoclb.
X.

108

celesti

Introduzione. Argomento della lettera. Qual metodo

debba seguirsi nello studio

dei

fenomeni

celesti

115

EPICURO

270
I.

mondi. Cosa sia un mondo, qual forma abcome e dove si produca


Gii astri. Origine degli astri, loro grandezze,
moti e fenomeni relativi
Nubi, pioggia, tuoni, fulmini
Cicloni, turbini, trombe marine, terremoti,
I

bia,

II.

III.

IV.

pag. 119

i22

130

134

139

145

venti, grandine, neve, rugiada, brina, ghiac-

arcobaleno, alone

cio,

V.

Comete, moti delle


nostici del

Testamento

tempo

stelle, stelle cadenti, pro.

di Epicuro

FRAMMENTI.
pag. 149
Sentenze Vaticane
Frammenti citati col titolo dell'opera a cui appartengono.
163

Delle elezioni e delle avversioni

Casi dubbi

ivi

Piccolo compendio

164

Contro Teofrasto
Simposio
Del fine
Della natura

Frammenti delle Epistole


Lettere spurie
Frammenti di lettere inviate a pi persone.
Lettera ai

filosofi

in Mitilene

ivi

165

167

169
170

ivi

173

Frammenti di lettere inviate a singole persone.

Ad Anassarco
Ad Apelle
Ad Ermarco

...

A Temista
Ad Idomeneo
A Colote
A Leonzio
A Pitocle
Lettera ad

ad una fanciulla
giorni supremi

un

Epistola dei

fanciullo o

...

ivi

172

ivi

ivi

173

174

ivi

ivi

175

ivi

271

INDICE

Frammenti

di

lettere delle quali non consta a

OHI FOSSERO indirizzate

Frammenti d'incerta sede.


Frammenti sulla dottrina
Frammenti sulla Fisica
Frammenti sull'Etica

della conoscenza

...

paff.

175

180

ivi

182

VITA DI EPICURO.
Vita di Epicuro scritta da Diogene Laerzio
Altre testimonianze sulla vita di Epicuro
Appendice
Indice

pag. 193

...

219

223

269

0)

H
P
CQ
0)

EpicTiro, opere, frammenti, testimonianze

KOMiflCAL INSTITUTE

Of

MEOIAEVAL SlUDIES

59 QUEEN'S PARK CRESCENT

TORONTO-5, CANADA

17532

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