Anda di halaman 1dari 66

ዚས

Bonsai
& Suiseki
magazine

Giugno 2009
Anno I - n.6
Bonsai&Suiseki magazine

6

in
Bonsai & Suiseki collaborazione con
magazine ©

Giugno
2009
DIRETTO DA
6 editoriale
Antonio Ricchiari Il Bonsai non omologato
IDEATO DA Mi sono chiesto spesso: chi la pensa come me non è per un bonsai omologato…
Luca Bragazzi oppure io non sono omologato per il bonsai? Cosa significa bonsai omologato? Dobbiamo
accettare passivamente l’omologazione o infrangerla? Io credo che tutta la vita sia una con-
Antonio Ricchiari tinua omologazione e infrazione, è nella natura delle cose e quindi in letteratura, in politica,
Carlo Scafuri nella religione, nell’arte… nel bonsai.
Nel bonsai l’omologazione è dovuta a comportamenti e contenuti spesso discutibili
REDATTORE e criticabili di chi lo esercita, dimenticando la professionalità e chi si ne assume tale onere
Carlo Scafuri professando una didattica ed una diffusione volti in tal senso. E’ la medesima responsabilità
che mi assumo quando pubblico un libro o un articolo che hanno il triplice scopo, ripeto,
didattico-divulgativo-promozionale. Perché ora più che mai l’impegno è maggiore in quanto
REVISORE DI BOZZE sono emergenti i ceti affluenti dei nuovi bonsaisti.
Dario Rubertelli Si vedono sfilare in questa sorta di “vanity fair” personaggi assurti dal nulla che
Pietro Strada si omologano titoli e meriti che non hanno nessun riscontro. Se il bonsai si politicizzerà
(nell’accezione negativa del termine), saranno problemi. Problemi per tutti. Il dilemma in cui
CORRETTORE DI BOZZE incappano è la comprensione del bonsai per taluni, intuitiva e percettiva. Il godimento es-
tetico riconosce schemi artistici, ma tali schemi non possono essere troppo rigidi o troppo
Giuseppe Monteleone ristretti.
Il bonsai omologato ha portato oggi ad un uniformarsi estetico, ad un appiatti-
PROGETTAZIONE GRAFICA mento della creatività che si è manifestata qualche volta in un esercizio ripetitivo di copiato.
Salvatore De Cicco Il rischio è il venir meno l’esercizio della ginnastica della creatività.
Il bonsai omologato è quello della competizione che non è competitività, delle
passerelle e della visibilità data dai concorsi e mostre che dietro il paravento ed il pretesto
IMPAGINAZIONE
dell’arte del bonsai hanno il vuoto dell’apparire, del vincere a tutti i costi un primo premio per
Salvatore De Cicco quei cinque minuti di gloria, anzi di vanagloria che farà rodere i secondi ed i terzi classificati.
Carlo Scafuri Sono questi sani momenti di incontro per maestri ed allievi? Il dietro le quinte è fatto spesso
da invidie, calunnie, pettegolezzi e alleanze e patti non scritti.
Quale attendibilità poi ci si può aspettare in giudizi formulati da taluni elementi che
FOTO DI COPERTINA non hanno preparazione estetica e percezione artistica perché presi di peso dai loro borghi
Gian Luigi Enny contadini e portati agli onori (si fa per dire) dei palchi.
Nicola Crivelli La mia campagna di informazione e di consapevolezza (cosa si intende per con-
sapevolezza? Il consapevole è colui che consà, cioè convive con la sua radice “sap” e sa
Daniela Schifano come entrare nella realtà) che continuerà perché alcuni fanno finta di non vedere e non
sentire (perché così va bene ed è più facile!) è volta a sollecitare un contraddittorio. Il mio è
HANNO COLLABORATO un invito al dibattito nell’interesse esclusivo del bonsai, di quella passione che comprende il
Antonio Acampora commercio corretto ed il lecito guadagno, l’onestà intellettuale di chi lo fa per professione, la
Daniele Abbattista correttezza di chi esercita la didattica e se ne assume la responsabilità. Come nella musica,
Sergio Bassi il bonsai deve contenere una vocalità che possa esser atta alla rappresentazione. Se non c’è
Armando Dal Col stile vocale è inutile fare musica per il teatro, ed è inutile avere voci sulla scena. Se la dram-
maticità non è intrinseca alla musica è inutile “arredare” la scena con la musica.
Antonio Defina
Bisogna chiarire un punto: vogliamo che l’arte del bonsai sia viva o morta? Se la
Marco Tarozzo
vogliamo morta continuiamo pure con alcune cose che non vanno, se viceversa la vogliamo
Gian Luigi Enny viva accettiamo una cosa fondamentale: l’arte pone dei quesiti, non dà delle risposte, le ris-
Carlo Maria Galli poste le dà ciascuno di noi. Il problema della diffusione del bonsai in Italia è purtroppo viziato
Giovanni Genotti da una fase di crisi che nel marketing si chiama “del prodotto” ma anche da responsabilità
Andrea Meriggioli di tendenza “politica” e da alcune distorsioni individuali.
Luciana Queirolo Se si elimina ciò che la tiene sveglia - vale a dire ciò che la mette in crisi - ovvero la
Roberto Smiderle presenza dell’artista, la società non ha più senso di esistere. Gli antichi ripetevano: “È bene
Gennaro Terlizzi che i poeti restino fuori dalle porte della città”; questo per dire che la forza critica e creativa
del poeta ha sempre dato fastidio, ma un fastidio essenziale. Non possiamo dimenticare la
Tutti gli scritti, le foto, i disegni e quant’altro mate- funzione conoscitiva e didattica dell’arte, non possiamo limitarci a considerarla puro intrat-
riale pubblicato su questo sito rimane di esclusiva tenimento. Da sempre l’arte pone dei problemi, induce alla riflessione su concetti molto più
proprietà dei rispettivi Autori che ne concedono in
via provvisoria l’utilizzo esclusivo al Napoli Bonsai
ampi. L’arte serve a migliorarci e combatte l’omologazione. Rincorrere l’audience con l’arte
Club ONLUS a titolo gratuito e ne detengono il copy- è una barbarie. Purtroppo in Italia molti pensano che il pubblico sia più stupido di quello che
right © in base alle Leggi internazionali sull’editoria. effettivamente è. La memoria dell’italiano-medio è labile, credo sia onesto e corretto che la
E’ vietata la duplicazione e qualsiasi tipo di utilizzo riconoscenza morale di tutti i bonsaisti italiani vada a personalità che si chiamano Genotti,
e la diffusione con qualsiasi mezzo (meccanico o Giorgi, Oddone e pochissimi altri!
elettronico). I trasgressori saranno perseguiti e
puniti secondo gli articoli di legge previsti dal Codi- Antonio Ricchiari
ce di procedura Penale che ne regolano la materia.
Sommario
6

Dal mondo del Bonsai & Suiseki


pag. 01 “Il giardino Zen - II parte” - G. L. Enny
pag. 04 “La base fa la differenza” - S. Bassi
pag. 08 “Le terapie olistiche - II parte” - G. Terlizzi
pag. 10 “Vuto ‘ndare in Giappon?” - M. Tarozzo

Mostre ed eventi
pag. 13 “ArcoBonsai 2009” - A. Meriggioli
pag. 15 “Mostra di Primavera” - D. Abbattista
pag. 17 “Carignano Fiori & Vini” - A. Defina

Azalea
coll. Roberto Smiderle
In libreria
pag. 19 “Bonsai. L’arte di coltivare alberi in minia-
tura” - A. Ricchiari
L’essenza del mese
pag. 19 “Lo spirito dell’arte giapponese” - A. Ricchiari
pag. 43 “Azalea - II parte” - R. Smiderle
Bonsai ‘cult’
pag. 20 “Figura e ruolo del Maestro bonsai tra
Note di coltivazione oriente ed occidente” - A. Ricchiari
pag. 22 “Un giudizio sui giudici...” - G. Genotti
pag. 46 “I biostimolanti” - L. Bragazzi
La mia esperienza
Tecniche bonsai pag. 24 “Alcuni appunti sulla defogliazione” -
A. Meriggioli
pag. 47 “Il tambahoo” - A. Acampora pag. 26 “Realizzazione di un ishizuki”- C. M. Galli
pag. 29 ”Percorso evolutivo di un acero campestre” -
A. Dal Col
Vita da club
pag. 49 “Oltre il verde-BonsaiGymnasium” - A lezione di Suiseki
M. Tarozzo
pag. 32 “Suiban, doban & sabbia & acqua…” -
Il Giappone visto da vicino L. Queirolo

pag. 51 “La Katana: una delle vie orientali” - L’opinione di...


A. Ricchiari
pag. 38 “Gianfranco Giorgi” - A. Ricchiari
Che insetto è?
A scuola di estetica
pag. 55 “Patologia vegetale - VI parte” -
L. Bragazzi pag. 40 “Lo stile inclinato” - A. Ricchiari
Viste le numerose domande e richieste di collaborazione alla rivista, ricordiamo che “Bonsai &
Suiseki magazine” è aperto a tutti coloro che vogliano scrivere un articolo e dare così il proprio
contributo alla diffusione delle arti del bonsai e del suiseki e di tutto ciò che vi ruota attorno.
Per poter collaborare al magazine ed al fine di non incorrere in spiacevoli equivoci, troverete
qui di seguito una serie di semplici norme che regolamenteranno i vostro contributi alla rivista.

1. L’articolo deve essere inviato in redazione con e-mail all’indirizzo bonsaiandsuisekimagazine@gmail.com

2. Le foto devono pervenire in formato .jpg, ad una risoluzione minima di 800x600 pixel e con una definizione non
inferiore a 150 dpi.

3. I disegni in b/n al tratto devono essere inviati in formato .tiff o .jpg.

4. La redazione si riserva il diritto di revisionare e correggere il testo per quel che riguarda lo stile di scrittura o
intervenire sulla forma laddove vi siano errori, ovviamente senza stravolgere il significato o il senso del periodo.

5. L’autore non potrà fare riferimenti a marche o prodotti commercializzati e nel caso di fertilizzanti e fitofarmaci
dovrà riferirne soltanto la composizione per l’eventuale individuazione. L’articolo non dovrà in nessun caso conte-
nere toni polemici o contraddittori o di censura nei riguardi di alcuno e che comunque ne ledano la suscettibilità
e l’autore si dovrà limitare ai contenuti dell’argomento oggetto dello scritto trattato con estrema professionalità
secondo i canoni deontologici richiesti. La redazione si riserva il diritto di procedere ad adeguata censura o, se del
caso, di cestinare lo scritto stesso.

6. I tempi di pubblicazione dell’articolo sono di esclusiva valutazione e pertinenza della redazione.

7. La responsabilità circa l’autenticità e l’originalità del materiale pervenuto in redazione per la pubblicazione sul
magazine (testi, foto e disegni), in base alle leggi vigenti che regolano il copyright, ricade unicamente sull’autore che
eventualmente ne risponderà nelle Sedi competenti.

8. L’autore del materiale inviato in redazione non ha da pretendere in nessun caso e a nessun titolo alcun com-
penso economico anche nel caso di eventuale futura diffusione dell’articolo sotto qualsiasi forma.

Ricordiamo inoltre che fra tutti coloro che durante l’anno invieranno articoli per la sezione “La
mia Esperienza”, sarà premiato alla fine dell’anno l’articolo che per completezza didattica delle varie
fasi di lavorazioni di una pianta, e per il risultato estetico ottenuto, sarà ritenuto il migliore dai mode-
ratori e dagli amministratori del Napoli Bonsai Club Onlus - FORUM (http://www.napolibonsaiclub.it/
forum). Il premio messo in palio dal Napoli Bonsai Club Onlus sarà un vaso pezzo unico, fatto a mano da
Tiberio Gracco (in seguito sarà pubblicata la foto del vaso). Il nostro desiderio è che questo concorso
sia particolarmente utile a mettere in comune e a far partecipe tutti gli appassionati della propria
esperienza e della personale formazione culturale bonsaistica accumulata in anni di pratica e studio.

La presente “Nota ai collaboratori” viene sottoposta all’autore che ne prende visione e conoscenza, ne accetta tutti i punti elencati e ne concorda i termini
incondizionatamente.
Con il patrocinio di
I.B.S. e U.B.I.
1 Dal mondo del Bonsai & Suiseki
IL GIARDINO ZEN - Gian Luigi Enny

Il giardino Karesansui
- II parte

Articolo a cura di Gian Luigi Enny

Come detto nell’articolo precedente il karesansui in giapponese significa paesaggio secco. Infatti, mentre il
giardino occidentale è concepito come uno spazio aperto fruibile, utilizzabile per camminarci, per coltivare piante,
fiori, per trascorrere momenti di relax, il karesansui è invece un giardino da meditazione. Lo si osserva e contempla
all’esterno del suo perimetro, quasi sempre da un solo lato con la possibilità in alcuni casi di osservarlo da altre
angolazioni, questa contemplazione dovrebbe essere fatta svuotando la mente ed al tempo stesso raccogliendo
le sensazioni che la composizione intrinseca trasmette all’osservatore, che nella concentrazione e nel silenzio più
assoluta riesce a captare. Mentre un giardino occidentale contiene numerosi elementi di distrazione come diverse
varietà di piante alcune anche di frutta con forme e colori sgargianti, o animali domestici e bambini che giocano,
di fronte ad un karesansui si trova la pace e si partecipa alla calma totale. È il monaco che pettina la ghiaia con
uno speciale rastrello, affinché i segni che lascia possano essere interpretati in diversi modi, ad esempio possono
rappresentare le onde del mare che vanno ad infrangersi sulle rocce di un isola, oppure nuvole attorno al picco di

Fig. 2

Fig. 1

montagna. Mentre il monaco medita attivamente attraverso la costruzione e la manutenzione del karesansui, chi
lo osserva e lo contempla cercherà dii svuotare la mente dai pensieri e dai problemi quotidiani. Questo è infatti
l’obiettivo principale della meditazione buddista, creare il vuoto per ottenere lo spazio necessario all’illuminazione.
Il più famoso Karesansui in Giappone è quello del tempio di Ryoanji.
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
IL GIARDINO ZEN - Gian Luigi Enny 2

Fig. 3 - Giardino karesansui del tempio di Ryoanji

Il monaco che l’ha costruito ha immaginato che un


felino saltasse nel giardino e lo attraversasse (nella mia
immaginazione un gattone). Il monaco ha posizionato
le pietre “dove questo animale ha appoggiato le zampe”.
Con questa metafora il monaco ha voluto indicare
che le pietre non sono state posizionate seguendo un
progetto o uno schema logico studiato precedentemente,
bensì esattamente dove lo spirito del felino con le sue
impronte gli ha suggerito. Una particolarità di questo
giardino, sul quale si trovano 15 pietre disposte in più
gruppi, consiste nel fatto che, da qualsiasi punto del lato
di osservazione si guardi il karesansui, si possono sempre e
solo vedere 14 pietre. Per il monaco che ha costruito questo
Karesansui ha voluto rappresentare la verità, che ha sempre
un lato nascosto.
La ghiaia costituisce la base sulla quale vengono
posizionate le pietre, questa rappresenta l’acqua, il mare, Fig. 4

ma anche il vuoto o lo zero assoluto. Il karesansui è sempre delimitato da


una cornice, normalmente viene utilizzato un cordolo in pietra, le rocce che
si trovano all’interno sono fondamentali nella realizzazione del karesansui,
devono avere un aspetto naturale, non lavorate o tagliate dall’uomo ma solo
levigate dall’acqua.
Visto che le pietre rappresentano le montagne o le isole, nel karesansui,
devono dare la sensazione di stabilità e di essere sempre state in quella
posizione quasi si fosse costruito il giardino attorno ad esse, i colori devono
essere omogenei e possibilmente tutte della stessa natura geologica.
Fig. 5
3 Dal mondo del Bonsai & Suiseki
IL GIARDINO ZEN - Gian Luigi Enny

In quest’occasione è con piacere che vorrei mostrarvi la mia ultima (per il momento) fatica. Fatica fisica
nel vero senso della parola, visto che ho realizzato da solo questo karesansui con le sole forze delle mie braccia
aiutandomi esclusivamente con un carrello e delle leve senza l’aiuto di nessuno!
Era una sfida che avevo intrapreso con me stesso due anni fa e con grande soddisfazione sono riuscito a portarla a
termine, pensate solo che alcune pietre utilizzate per il cordolo che delimita il giardino karesansui, sono in granito
e superano abbondantemente i 50 Kg come si può vedere se ne contano parecchie. Mentre la pietra più grande
posizionata per un terzo della sua grandezza sotto la superficie della ghiaia, pesa circa 145 Kg.

Fig. 6

Fig. 7

Fig. 8

Fig. 9
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
LA BASE FA LA DIFFERENZA - Sergio Bassi 4

La base fa la differenza
la Via del Daiza

Articolo a cura di Sergio Bassi

Ricordo i miei primi tentativi di costruire i supporti per i suiseki, non conoscevo ancora le regole, li facevo
come mi venivano, usavo la fantasia non solo per il disegno, ma anche nella ricerca di metodi sbrigativi, non prestavo
attenzione al fatto di affossare la pietra nel Dai, mi andava bene anche appoggiata, se capitava che “largheggiasse”
rimediavo con lo stucco, i piedini li facevo come venivano e non conoscevo il concetto di un “supporto in armonia con
la pietra”, per il colore davo quello che avevo, era sufficiente che fosse più scura... e così via di errore in errore. Credo
di non essere stato l’unico a cominciare così, del resto ancora oggi faccio degli errori, ma non gli stessi di allora.
Ho imparato quanto è importante studiare la base che dovremo realizzare; possono esserci pietre simili, ma
mai uguali, così ogni Daiza sarà diverso da qualsiasi altro. L’errore di concetto lo concepisco meno grave, ritengo
che ognuno sia libero di interpretare la pietra a modo suo, anche attraverso la ricerca di soluzioni discutibili, ma sulle
rifiniture sono convinto che ci si debba impegnare al massimo, se la natura ha impiegato millenni a dare una forma
gradevole alla pietra che ho fra le mani, cosa saranno mai alcune ore o anche giorni che impiegherò per la rifinitura
di una base? Quando prendiamo in mano una pietra e diciamo “adesso tocca a te”, ci assumiamo inconsciamente
anche il compito di renderla più bella, completandola con un Daiza appropriato.
Ho sempre sentito dire che un Daiza deve essere: discreto, anonimo, equilibrato, non invasivo, in sintonia
con la pietra ecc. ecc. Questi termini generici non solo vanno capiti e interpretati, ma, cosa più difficile, vanno messi
in pratica. Credo di poter dire che questa è la “Via del Daiza”, perché è fuori dubbio che “la base fa la differenza”.
Intendiamoci, io “la Via” l’ho appena imboccata e di strada ne devo fare ancora tantissima, ma il fatto che
mi diverta è basilare, l’esperienza si conquista solo attraverso il lavoro. Ascolto le critiche e quando sono giuste mi
rammarico di non esserci arrivato da solo.
Il mio intento è di mostrare attraverso le immagini, la differenza fra un Daiza che io considero sbagliato ed
uno che considero più appropriato. E’ giusto sostenere che la cosa più importante è avere belle pietre, poi le basi
le possiamo rifare quante volte vogliamo; facile a dirsi meno facile a farsi. In realtà, una volta terminata una base e
scopriamo che non ci piace, ci sono due possibilità: o siamo convinti che la pietra sia “di valore” e in questo caso la
rifacciamo subito, oppure si rimanda “a data da stabilirsi”.
Se decidiamo per la seconda, ci sono ancora due possibilità: “il tempo porta consiglio”, infatti, capita di rivalutare
una pietra dopo un periodo indefinito e in quel momento decidiamo di rifarla; oppure, nonostante i buoni propositi,
l’entusiasmo per nuovi ritrovamenti e il tempo che è sempre tiranno, la base per quella pietra non sarà mai rifatta.

Esempio n. 1 Nel giugno 2001 mi fu chiesto di mandare una pietra alla quarta edizione
della World Bonsai Convention a Monaco di Baviera. Era la prima volta che
mettevo una pietra a concorso, il mio intento era solo quello di partecipare,
ma al club diciamo sempre che se partecipiamo a qualcosa, dobbiamo farlo
sempre al meglio delle nostre possibilità, soprattutto per rispetto verso gli
altri. Sinceramente non so se in quel momento fosse la più bella della mia col-
lezione, ma sicuramente è una pietra molto particolare che mi piace molto ed
ero sicuro che non avrebbe sfigurato. Questa pietra l’ho chiamata “La Crea-
zione”; la forma ad uovo (simbolo di vita) che si rompe e dal suo interno na-
sce la montagna (la terra) simboleggia in modo forte “la nascita del mondo”,
per me “la Creazione della terra”. E’ stata rinvenuta in Toscana nella zona del
Mugello nel 1999. Non avevo ancora fatto la base, e di esperienza ne avevo
5 Dal mondo del Bonsai & Suiseki
LA BASE FA LA DIFFERENZA - Sergio Bassi

molto poca.
Immaginai un Dai simile a quelli che si fanno per le pietre montagna,
ma una volta ultimato non mi piaceva (Fig. 1), sul momento il difetto mag-
giore mi pareva la dimensione.

Fig. 1 Fig. 2 Fig. 3

Decisi di rifarla, simile alla prima ma più piccola (Fig. 2). Inutile dire che non
ero ancora soddisfatto, la pietra appoggiava sulla base, non era “contenuta”
con armonia e ancora troppo vistosa. Dopo essermi consigliato con gli amici
del club, l’ho rifatta per la terza volta. Questa volta ho cambiato comple-
tamente disegno (Fig. 3). Ho incassato maggiormente la pietra nella base,
riducendola all’essenziale. I piedini avevo paura di farli troppo piccoli, questo
errore avrebbe pregiudicato la stabilità della pietra, credo che non sia suc-
cesso. Anche il colore è cambiato, ho deciso per un marrone chiaro, più in
sintonia con il colore della pietra.
Osservando tutte le foto possiamo notare quanto notevole sia la dif-
ferenza e come la terza base sia decisamente più appropriata.

Esempio n. 2 Anche la seconda pietra sulla quale ho lavorato è fra le mie preferite. La forma
può anche essere consueta, ma patina e superficie sono veramente da sballo.
E’ bellissimo accarezzarla, ho l’impressione che anche a lei piaccia questo tipo
di contatto, restituisce questo piacere come quando si coccola un gattino.
Si tratta di un’arenaria molto dura, di forte carattere, dalla porosità fine ed
elegante, calda, discreta, non vistosa.
Non pratico lo Zen, ma sono sicuro che il Wabi e il Sabi sono questi.
L’ho trovata durante un’escursione in Toscana alla fine degli anni novanta, ma
sul momento non mi ero reso conto delle sue potenzialità intrinseche. Per la
base decisi che doveva essere molto bassa (Fig. 4), con la parte esterna incli-
nata in modo da accompagnare la pietra. Svuotata la parte sottostante, creai
dei piedini piccoli ed un pò movimentati.

Fig. 4 Fig. 5 Fig. 6


Dal mondo del Bonsai & Suiseki
LA BASE FA LA DIFFERENZA - Sergio Bassi 6
Oggi non farei mai una base così, infatti, tutte le scelte di allora le reputo
sbagliate. Ho rifatto il Daiza in modo più profondo, fino ad incassare comple-
tamente la pietra, poi non l’ho vuotata sotto, così ne guadagna la stabilità; ho
fatto solo tre piedi ma più grandi.
La conformazione della pietra non mi ha consentito di stare molto
basso sul fronte perché, sul retro del sotto ho uno sperone profondo (come si
nota dalla Fig. 6), la pietra si inclina naturalmente in avanti e non volevo che
lo facesse in modo eccessivo, questa soluzione mi è sembrata la più giusta.
Il colore scuro (anche se ancora leggermente lucido nonostante una vernice
satinata) si addice di più ad una pietra di questo tipo.

Esempio n. 3 Ecco “Giulio”, una pietra rinvenuta in Liguria una quindicina d’anni fa. Da su-
bito vedevo questa pietra sopra ad un piedistallo, ne avevo fatto uno (Fig. 7)
molto semplice, forse troppo; nelle esposizioni ovviavo a questa “semplicità
eccessiva” abbinandola ad un tavolino dello stesso colore, molto basso ma
con i bordi a cornice, così appariva più solenne ed in sintonia con il personag-
gio raffigurato dalla pietra.
Ho atteso anni per avere lo spunto giusto. Finalmente ho visto su in-
ternet una base che mi ha stimolato e in poche ore di lavoro l’ho modificata.
Per dare un tono di austerità, ho usato un colore più scuro (Fig. 8).

Fig. 7 Fig. 8

Esempio n. 4 Capita che un amico mi chieda un favore, se posso lo aiuto con vero piacere.
Questo amico è il possessore della pietra che vediamo nella foto 9; aveva fat-
to questa base ma non gli piaceva. Secondo me ci sono molte cose sbaglia-
te: la forma è eccessivamente triangolare, quella punta verso l’osservatore
(quello era il fronte) non va assolutamente bene; la seconda è lo spessore
troppo elevato, nonostante i piedini a scomparsa è troppo pesante. Secondo
il mio giudizio, dobbiamo cambiare il fronte e l’inclinazione che vediamo nella
foto 10. La difficoltà maggiore che ho avuto nella costruzione del nuovo Daiza
è stata la stabilità; come possiamo vedere la parte alta è molto più pesante
di quella bassa; questo vuol dire che c’è sempre il pericolo di vederla cadere;
aggiungo che la parte che va a contatto con la base, si allarga proprio pochi
millimetri prima di finire.

Fig. 9 Fig. 10
7 Dal mondo del Bonsai & Suiseki
LA BASE FA LA DIFFERENZA - Sergio Bassi

Chi fa le basi da solo capisce molto bene che questa particolarità costringe
a togliere legno che servirebbe come appoggio per dare stabilità.Per risol-
vere il problema ho deciso di fare una base bassa (Fig. 11) ma leggermente
larga, come si nota dalla foto 12; per evitare di renderla visivamente pesante
l’ho alleggerita creando dei motivi a scalare e dei piedini sporgenti. Anche la
colorazione non è come la faccio abitualmente perché io di solito nascondo
totalmente le venature, in questo caso non l’ho fatto ritenendo che la pietra
permettesse questa “divagazione”. Ho cambiato anche l’inclinazione (Fig.
12). Con questa nuova postura è possibile cambiare il fronte, così possiamo
vedere la parte sotto allo sperone che purtroppo prima rimaneva coperta (Fig.
13)

Fig. 11 Fig. 12 Fig. 13

Esempio n. 5 Anche questa pietra è dello stesso amico di prima, anche in questo caso non
era soddisfatto del suo lavoro (Fig. 14). Io penso che lui volesse presentarla
come “pietra ponte”, credo che questo sia stato il motivo che lo ha spinto ad
elevare così tanto la parte sinistra.

Fig. 14 Fig. 15

Prima di decidere quale doveva essere la posizione finale, ho fatto numerose


prove. Fra i due lati ci sono molte differenze: la prima è l’altezza, la seconda i
modi completamente opposti di come finisce il sotto perché il sinistro pende
a destra ed il punto dove appoggia allarga, il destro pende a sinistra ed il pun-
to d’appoggio restringe. Ho preso in considerazione anche la possibilità di
“trasformarla” in pietra oggetto (animale) ma la parte sinistra sotto è piatta,
quindi ho dovuto abbandonare quest’idea. Ho provato anche a far toccare le
due parti allo stesso livello, ma appoggiavano entrambe di traverso, lascio
immaginare lo scompenso della parte superiore e che tipo di Daiza sarebbe
uscito. Ho deciso per questa inclinazione, l’apice ed il disegno della superficie
sono equilibrati, il Daiza sapevo gia che sarebbe venuto un pò pesante.
Ne è uscita una base dall’andamento tondeggiante (Fig. 15); questo
mi ha aiutato nelle rifiniture e credo si abbini bene con la pietra.

Sergio Bassi
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
LE TERAPIE OLISTICHE - Gennaro Terlizzi 8

Le terapie olistiche
- II parte

Articolo a cura di Gennaro Terlizzi

Ciao a tutti, spero che l’articolo precedente abbia destato in voi un positivo interesse. In questo nostro
secondo incontro parleremo del Dao e del Qi (Ki o soffio energetico), visti sotto l’aspetto della MTC.

Dao - al Dao è attribuito il significato di strada, sentiero, la via da seguire per compiere qualcosa, la via personale
e spirituale. E’ la strada che lo yin e lo yang percorrono nel loro rapporto di trasformazione. Secondo il concetto
taoista Wu Wei (significa non agire, lasciar scorrere le cose senza intralciarne il loro percorso) è percorrere il sentiero
della vita senza mutarlo per evitare di lederlo. E’ anche ciò che otteniamo percorrendo il sentiero della vita, essendo
così nello stesso tempo mezzo e fine.
In giapponese si pronuncia Do ed ha lo stesso significato come per i cinesi, è un termine presente in molte parole
legate al Budo (Bu significa guerriero, quindi strada del guerriero), come Aikido, Kendo, dove Do sta a indicare la
strada, la rettitudine.

Ideogramma Ideogramma
del Dao del Qi

Energia – Soffio - il soffio energetico o Qi (Ki per i giapponesi) è elemento fondamentale nella MTC. Fin dall’antichità,
i cinesi ritenevano che tutte le cose dell’universo potessero essere rappresentate con il concetto d’energia. Nella
forma antica l’ideogramma del Qi, raffigura i vapori che salgono dalla terra verso il cielo a formare le nubi. Nella
forma più moderna, nell’ideogramma è presente il riso che cuoce (materia yin) e il vapore etereo (energia yang),
dotato di forza sale verso il cielo. L’energia è globalmente una sola, ma è costituita da due polarità contrarie:
- Polarità yin, che tende verso l’immobilità assoluta, verso la materia;
- Polarità yang, che tende verso la mobilità estrema, verso l’energia più sottile, impalpabile.

In MTC, l’alternanza dei movimenti yin e yang si trova nella circolazione dell’energia a livello dei meridiani.
E’, infatti, quest’ultima ad animare l’organismo ed a permettergli di assolvere tutte le sue funzioni biologiche. Si
comprende che il Qi è legato all’espressione del dinamismo legato alla materia e che da essa può essere emanato. Sul
piano fisiologico il Qi è inteso come la manifestazione dello spirito vitale che anima il corpo. Da ciò comprendiamo
che il Qi è l’energia che sorregge tutte le trasformazioni dello yin e yang attraverso la strada del Dao.
Il soffio energetico o Qi, anima e consente il corretto funzionamento degli organi; è ciò che fa battere il
cuore, funzionare il fegato, consentire allo stomaco di svolgere tutte le sue funzioni. Un perfetto equilibrio dei soffi
da come risposta un corpo sano ed in perfetta salute. Lo shiatsu, l’agopuntura, il massaggio cinese ed altre tecniche
terapeutiche, come la riflessologia plantare agisce sui soffi energetici per riequilibrarli.
La MTC considera quattro principali forze energetiche a livello del corpo umano: energia ereditaria o Jing qi;
energia nutrice o Ying qi; energia psichica mentale o Shen qi ed infine energia difensiva o Wei qi.
L’energia ereditaria Jing qi è il soffio ereditario Xian Tian Zhi Qi (soffio del cielo anteriore), è ciò che ereditiamo
dai nostri genitori ed è legato alle qualità dei loro soffi al momento del concepimento. E’ l’energia che nasce da
due energie di polarità opposte: yin, quella della madre e yang, quella del padre. Questo capitale energetico, è
utilizzato durante il corso della nostra vita, non può essere reintegrato ma tenuto in buono stato senza dissiparlo.
9 Dal mondo del Bonsai & Suiseki
LE TERAPIE OLISTICHE - Gennaro Terlizzi

Quest’energia ha sede nel punto chiamato Mingmen, posto tra i reni (con le ghiandole surrenali e gli organi genitali
corrispondenti). Il soffio ereditario si manifesta sotto tre aspetti: Jing (essenza), Yuan Qi (soffio originario), Zong Qi
(soffio ancestrale).
Lo Jing è l’essenza raffinata, la sostanza fondamentale dell’universo. A questa essenza si associa il concetto di
seme, sperma, vitalità. Nel nostro organismo lo Jing è presente sia sotto l’aspetto congenito sia acquisito. Abbiamo
visto in precedenza che lo Jing congenito c’è trasmesso dai nostri genitori. Lo Jing acquisito è la quinta essenza
dell’aria e degli alimenti ed è tesaurizzato dai cinque organi.
Lo Yuan Qi è strettamente correlato allo Jing congenito. Questo fa si che nella pratica clinica è difficile
distinguere questi due soffi. Lo Yuan Qi può essere definito l’aspetto attivo dello Jing congenito. E’ il catalizzatore
di tutte le trasformazioni, colui che sovrintende sospinge tutti i processi metabolici. Lo Yuan Qi si manifesta a tre
livelli: consente il concepimento; nutre il feto e gestisce lo sviluppo; dopo la nascita controlla lo sviluppo, la crescita
e la riproduzione. E’ fisiologicamente attivo in tutto il corpo.
Zong Qi (soffio ancestrale) o Zhong Qi (soffio centrale) è un soffio che si produce nel torace. E’ definito
soffio ancestrale non per le sue caratteristiche, bensì per il significato dell’ideogramma che lo lega alla famiglia,
agli antenati. In realtà è prodotto grazie all’apporto dei soffi ricavati dalla digestione e dalla respirazione. Dalla
digestione si produce il “soffio dei cereali” (Gu Qi). Dal processo di respirazione si ricava il “soffio puro” (Qing Qi).
L’interazione di questi due soffi da vita al soffio ancestrale o Zong Qi. Questo soffio si diffonde nel petto ed è colui
che nutre cuore e polmone e sorveglia i ritmi cardio – respiratori. Anche se citato tra i soffi ereditari, appartenenti
quindi al “cielo anteriore”, in realtà è chiaro che tale soffio, vista la sua genesi, appartiene al “cielo posteriore”.
Energia nutrice Ying qi: ha il compito di nutrire tutti gli elementi dell’organismo; proviene dal metabolismo
delle energie alimentari, prodotte dall’attività digestiva, e respiratorie, ricavate dai polmoni. E’ la differenziazione,
sul piano fisiologico, del soffio corretto (Zheng Qi). Infatti, dal processo d’interazione tra il soffio prodotto dagli
alimenti e quello dell’aria nasce il soffio ancestrale (Zong Qi) che a sua volta, sotto l’azione catalizzatrice del soffio
originario (Yuan Qi) dà vita al soffio corretto (Zheng Qi) detto anche soffio autentico (Zhen Qi). Quest’ultimo, in base
alle funzioni ad esso deputate, si differenzierà in soffio nutritivo, soffio difensivo, soffio dei vari organi e visceri e così
via. Circola in particolare nei meridiani principali e, come avviene per quanto riguarda la fisiologia energetica della
circolazione dei meridiani, il soffio energetico segue un ritmo cronologico preciso presentando, ad esempio, nel
periodo nictemerale una concentrazione massimale per ogni successivo periodo di due ore in ciascun organo e nel
viscere corrispondente (polmone – grosso intestino – stomaco – milza - ….). Il ciclo nictemerale riguarda il giorno e
la notte. E’ l’alternanza ritmica di funzioni fisiologiche, collegata al succedersi della notte e del giorno, che continua
anche quando si sottrae l’organismo all’alternanza naturale dei giorni e delle notti. La curva della temperatura, ad
esempio, in un soggetto normale, ha sempre lo stesso decorso, ritmato dal ciclo nictemerale: temperatura min. alle
ore 05.00 temperatura max alle ore 17.00. L’allungamento del ritmo nictemerale è stato recentemente sperimentato
sull’uomo da speleologi francesi.
Energia mentale Shen qi: i cinesi non hanno mai dissociato il corpo dalle sue attività mentali. Al contrario,
vita funzionale e psichismo sono ritenuti strettamente legati. Lo psichismo e l’energia mentale sono chiamati shen.
I cinesi inoltre definiscono cinque particolarità della mente che corrispondono ai cinque psichici, che i sinologi
definiscono “ le cinque entità viscerali” o “ le cinque anime vegetative.
Energia Wei qi: è l’energia più yang, la più mobile del corpo, quella più rapida, che serve a difendere l’organismo
contro le aggressioni esterne. Essa circola soprattutto alla superficie del corpo, nella pelle e nella carne; apre e
chiude i pori; riscalda i differenti tessuti e agisce a livello della vasomotricità e della termoregolazione del corpo,
secondo il variare della temperatura esterna, e del sistema immunitario (ad esempio, nella reazione allergica).
E’ su quest’ultima energia che i praticanti di arti marziali e metidative compiono degli studi approfonditi atti
a sviluppare al meglio tale tipo di energia e di sfruttarne al massimo le sue potenzialità.

Vi saluto ed alla prossima per un nuovo argomento.

Gennaro Terlizzi
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
VUTO ‘NDARE IN GIAPPON? - Marco Tarozzo 10

Vuto ‘ndare in Giappon?


diario di una domenica “Diversa”

Articolo a cura di Marco Tarozzo

Sabato 9 maggio 2009, ore 22,15 al telefono:


Alberto: <pronto chi parla?>
Marco: <ciao Alberto, sono Marco… che dici, ti andrebbe di fare un “salto” in Giappone?>
Alberto: <si certo, si può programmare….in che anno pensavi di andarci?>
Marco: <hem….andiamo domattina, passo da te alle 8,30.>
Alberto: <ok, bello lo scherzo…senti Marco, hai bevuto?>
Marco: <no! Fidati, domani fatti trovare pronto alle 8,30, porta con te solo il cannone (n.d.r. la macchina fotografica),
che passo a prenderti; faremo due ore di viaggio e poi vedrai.>

Domenica 10 maggio 2009, ore 8,30 a casa di Alberto, busso alla porta:
Apre Elisa, la moglie.
Elisa: <Marco... voi siete matti!! Dove andate?>
Marco: <andiamo a trovare un amico, vedrai stasera quando torniamo, Alberto sarà entusiasta... fidati!>
Elisa scuote la testa, e mi dice qualcosa di “carino”... che non ricordo… Esce Alberto, ha lo sguardo che mi fulmina….
Sorrido.
Marco: <caffè?>
Alberto: <No!>
Ok, non è convinto, saliamo in auto…. tanto so che alla fine sarà entusiasta! Eccoci, silenziosi, senza caffè (sig!) in
viaggio; da Chioggia verso Gorizia. Destinazione? Casa Beltrame.
Bruno Beltrame è un amico, un “compagno di classe” alla Bonsai Creativo School nella sede di Belluno;
ritengo che la sua collezione sia unica, con pochi rivali in Italia e altrettanto pochi in Europa. Bruno è presente nel
panorama bonsaistico da una decina di anni, mentre il suo primo viaggio in Giappone risale a sei anni fa. E’ stato
folgorato (come non ricordo chi) sulla via di Damasco (ops…non pratico molto), da quella terra e quella cultura, e
negli anni, dopo il suo primo viaggio, si è recato in Giappone numerose altre volte. Ad ogni viaggio un arricchimento,
sia culturalmente che a livello di collezione. Molte volte mi è capitato, magari quando sono di passaggio in Friuli
Venezia Giulia per lavoro, di fermarmi un’oretta da lui, e ogni volta, visitando casa sua e il suo giardino, ho scoperto
qualcosa di nuovo e di magnifico nella sua collezione; collezione che non è fatta solo di piante ma anche di pietre, di
vasi, di scroll, carpe koi…..
Ecco, devo fare gasolio, Alberto accetta di bere un caffè (evvai….), fatto il pieno, si riparte.

Ore 10,30 – Gorizia, arrivati!


Parcheggio. Sulla porta Bruno ad attenderci. Ci salutiamo, presento Alberto a Bruno e a Monica, la moglie. Dio
che pazienza questa donna e quanto è ospitale, ci ha bloccati per il pranzo e sta già sistemando il vino al fresco
per l’aperitivo e la carne per la grigliata (Bruno, le devi fare un monumento!). Bruno ci dice che ci sono anche degli
altri amici: Luca (Bragazzi) e Roberto (Nogherot). Bene dico io. Che bella giornata ci si presenta davanti! Il padrone
di casa fa strada e entriamo in giardino. Mi volto e vedo Alberto sbiancare. Penso: “abbiamo fatto solo due metri
dall’ingresso e se già ora è senza fiato, come mi diventa l’Alberto al termine della visita”? Subito ci accoglie un
pentaphilla alto circa tre metri che con il ramo di “benvenuto” ci indica la via; dopo si “apre” il giardino. Mi giro e
vedo Alberto che non sa più cosa guardare, dove andare…
11 Dal mondo del Bonsai & Suiseki
VUTO ‘NDARE IN GIAPPON? - Marco Tarozzo

Vi descrivo la scena che si presenta davanti a noi (Fig. 1, 2, 3, 4): di là il laghetto con le koi, oltre lo stagno i
bancali con le conifere, a fianco il biancospino, di qua i bancali con le azalee, oltre i faggi, i carpini. A terra convallaria
nana, hosta, pietre, la Tsukubai, le lanterne, poi in fondo di fronte alla piscina, lì in fondo l’ultimo arrivato... raccolgo
da terra la lingua di Alberto, lo scuoto e lo invito (con l’autorizzazione di Bruno), a fare foto.

Fig. 2

Fig. 1

Fig. 3

Fig. 4

Si sta riprendendo e fa uscire il cannone, scatti a raffica (Fig 5, 6). Io, incredulo, mi avvicino all’ultimo arrivato; è
un’opera d’arte straordinaria, di rara bellezza e intensità! Aveva ragione Bruno a dirmi, quando me lo descriveva,
“Marco, non crederai ai tuoi occhi”. Ecco di che cosa sto parlando (Fig. 7).
Fig. 5

Fig. 6 Fig. 7
Dal mondo del Bonsai & Suiseki
VUTO ‘NDARE IN GIAPPON? - Marco Tarozzo 12
Questo master arriva direttamente dal giardino di Pius Notter e ora è qui, in Italia, a Gorizia! Roberto e Luca sorridono.
Bravi... che forza... loro hanno già assorbito il colpo, per forza sorridono!!! Chiedo a Bruno se può staccarsi da Luca,
che sta procedendo con le concimazioni (Fig. 8) e l’ultimo
rinvaso, per accompagnarci a visitare il giardino prima di
scendere in taverna a vedere la collezione di vasi e di scroll. A
ogni pianta un commento. Bruno non è solo un collezionista,
è anche un bravissimo bonsaista. Lo so per certo perché lo
vedo lavorare alle sessioni della scuola a Belluno; inoltre
ha molta esperienza. Ha lavorato con Suzuki, Liporace,
Segneri... solo per citare dei “nomi da nulla”. I suoi bonsai
hanno vinto premi all’UBI, Crespi, Arco.
Beh, arrivano le 13, lo stomaco “brontola”… Monica e
Roberto che, quando c’è da cucinare e mangiare non si fa
mai da parte (n.d.r. chiedere ai cuochi della b,b&b di Arco),
ci chiamano a tavola (Fig. 9). Arriviamo! Una bella porzione
di grigliata, un ottimo nero friulano, il dolce, il caffè il Ron
Fig. 8
Zacapa e arrivano le ore 16. Facciamo un ultimo giro del
giardino, giusto per fare le ultime foto e poi i saluti ai padroni
di casa e i ringraziamenti per l’ospitalità (Fig. 10). Uno
scambio di abbracci con quel che è rimasto di Luca e Roberto
e l’impegno di rivederci a Giugno a Belluno, alla scuola.
Saliamo in auto e commento ad Alberto: “te l’avevo detto
che il Giappone dista solo 2 ore da Chioggia, tu non mi credi
mai…”. Sorride e, grazie alla famiglia Beltrame, rientriamo
verso casa con un pezzo di Giappone nel cuore.

Marco Tarozzo

Fig. 9

Fig. 10
Sarà a Nole, Fraz. di Grange (TO)
presso la Fujisato Company che
si svolgerà l’ormai consueto
Congresso Nazionale degli
Istruttori IBS,
giunto alla XIV edizione e con una
nuova formula.

Il Congresso IBS apre le porte a tutti,


professionisti e hobbisti del Bonsai e
del Suiseki per assegnare i
riconoscimenti previsti.

Vi invito a partecipare a questo evento i cui contenuti si basano


su aspetti didattici di particolare interesse.
Saranno previste conferenze, demo, la borsa di studio IBS oltre all’assegnazione di
numerosissimi premi di prestigio.
L’esposizione prevederà settanta spazi espositivi, uno di questi potrà essere il tuo!
Il mio invito è rivolto a tutti per rendere questo evento una festa
del Bonsai, del Suiseki e della didattica.

Sandro Segneri
Presidente IBS
13 Mostre ed eventi
ARCOBONSAI 2009 - Andrea Meriggioli

ArcoBonsai 2009
Un appuntamento da non mancare
Articolo a cura di Andrea Meriggioli

Anche quest’anno si è da poco concluso uno dei più importanti


appuntamenti bonsaistici, sia per il livello delle piante esposte che per
l’affluenza di appassionati che si danno appuntamento ad Arco, in questa
stupenda località montana immersa nella natura (Fig. 1) ed in grado di
ospitare al meglio la manifestazione con un’atmosfera che rende l’evento
molto suggestivo. Un week end dunque immerso nel verde, alla scoperta
del bonsai che ha potuto regalarci delle giornate fantastiche, le quali
lasceranno una traccia nella memoria di tutti. Il grande mercatino bonsai
Fig. 1 (Fig. 2, 3, 4) ha dato prova di offrire una variegata ed interessante scelta
di materiali provenienti da molte regioni e non sono neppure mancati
rivenditori stranieri, come quelli che hanno presentato i vasi cechi.
Tutti i partecipanti hanno potuto trovare una vasta gamma di
articoli che spaziavano pure per differente qualità degli stessi, potendo così
soddisfare le esigenze di tutti gli appassionati, dai neofiti ai professionisti.
Ospite d’eccezione che la manifestazione ha potuto vantare, è
stato il maestro giapponese Takashi Iura (allievo del maestro Kawabe) che
nonostante la giovanissima età è già conosciuto in tutto il mondo per il suo
spiccato talento particolarmente mirato alla lavorazione dei ginepri.
Venerdì 1° maggio si è tenuto il workshop con il Maestro per gli
Fig. 2 istruttori, mentre alla domenica il Maestro ha tenuto una dimostrazione . Nel
mentre si sono tenute le lavorazioni a confronto tra i 20 club partecipanti.
Nella stessa giornata si è svolta una conferenza a carattere scientifico curata
dall’istruttore IBS Luca Bragazzi.

Fig. 3

Fig. 5 Fig. 6

Fig. 7
Fig. 4
14
Mostre ed eventi
ARCOBONSAI 2009 - Andrea Meriggioli

Sabato è stato dedicato all’8° trofeo Arcobonsai tenuto tra 18 istruttori


italiani e alle due conferenze, una scientifica curata dal Prof. Ferruccio Poli
ed una che riguardava la realizzazione e la progettazione delle piante dei
convegnisti curata degli istruttori IBS Adriano Bonini e Carlo Cipollini.
La mostra non era costituita unicamente dall’esposizione dei bonsai
ma bensì arricchita da una bella esposizione di suiseki, i quali hanno attirato
con il loro intrinseco fascino tutti i visitatori che li hanno potuti ammirare.
L’evento si è svolto all’insegna di un’ organizzazione perfettamente
curata: dalla cena di gala presso il Palace Hotel Città di Arco alla grande
disponibilità del personale presente. Un plauso a tutti gli organizzatori e
Fig. 8
sponsor che con i loro sforzi ed il loro impegno consentono ogni anno di
poter realizzare la manifestazione, ed un grazie in particolare al bonsai club
organizzatore, il Club Garda Trentino e al suo presidente.

Andrea Meriggioli

Fig. 9

Fig. 10

Fig. 13 Fig. 14

Fig. 11

Fig. 12 Fig. 15 Fig. 16


15 Mostre ed eventi
MOSTRA DI PRIMAVERA - Daniele Abbattista

Mostra di primavera 2009


Orto Botanico di Roma - A.C. Roma Bonsai
Articolo a cura di Daniele Abbattista

Non posso parlavi di questa Mostra senza parlare


dell’Associazione Culturale Roma Bonsai e di Enrico
Sallusti (Fig. 1). In un mondo bonsaistico ipercompetitivo
e pieno di lotte fratricide alla caccia dell’ultimo
appassionato da reclutare, alla Città dei Ragazzi, Enrico
si è ritagliato negli anni uno spazio che rispecchia in
pieno lo spirito del luogo, il genius loci, che li ospita da
tanti anni e che è una cittadella inserita in una splendida
cornice verde, che accoglie, educa e prepara al mondo
del lavoro ragazzi disadattati e/o provenienti da famiglie
in difficoltà.
Il club di amatori è nato nel 1992 e conta a tutto il 2009
cinquantadue soci, tutti iscritti, come l’Associazione del
resto, anche all’UBI. Lo stesso spazio è diviso anche da
noi ragazzi della Scuola di Sandro Segneri, che è ospite
dell’Associazione, ma molti di noi frequentano per
Fig. 1 - Enrico Sallusti insieme a sua moglie durante le premiazioni
motivi diversi sia la Scuola di Sandro (Bonsai Creativo
School) che le riunioni del Club. Da Sandro si arriva per
percorrere un certo percorso che porti un giorno al ruolo docente o comunque per apprendere tecniche avanzatissime
di coltivazione e creazione bonsai. Da Enrico in Associazione si va per passare tra amici, anzi direi in famiglia, una bella
giornata di bonsai, apprendendo i fondamentali e mantenendosi ad un livello più amatoriale che competitivo, pur non
mancando personaggi di grosso spessore bonsaistico
tra gli amici del club, uno su tutti Fabrizio Petruzzello, il
cui leccio (Fig. 2), presentato in mostra fuori concorso, è
nel catalogo UBI di quest’anno.
Ogni riunione si conclude con una fantastica
grigliata ed ognuno partecipa in qualche modo e secondo
le sue disponibilità a far sì che la vita di Associazione sia
più serena e divertente possibile. Per il nostro cuoco
ufficiale, quest’anno alla Mostra c’è stata addirittura una
premiazione ed una targa speciale (Fig. 3).
La mostra di Primavera è uno dei due eventi che
l’Associazione organizza ogni anno, insieme a quella
d’Autunno che però si svolge alla Città dei ragazzi. Sino
all’anno scorso anche la SO-SAKU BONSAI AWARD, la
prestigiosa mostra della Scuola di Sandro Segneri, si
avvaleva della meticolosa e volenterosa organizzazione
dell’Associazione. Il contesto in cui si svolge la Mostra
di Primavera, in collaborazione con il Dipartimento di
Biologia Vegetale dell’Università La Sapienza di Roma,
Fig. 2 - Leccio fuori concorso - Coll. Fabrizio Petruzzello
è decisamente invidiabile, situata com’è nel cuore di
Mostre ed eventi
MOSTRA DI PRIMAVERA - Daniele Abbattista 16
di Trastevere, nell’Orto Botanico, nel giardino Storico di Palazzo Corsini, che
è stata la residenza di Cristina di Svezia dopo la sua abdicazione (1654) e
trasferimento a Roma, fino alla morte nel 1689.
A sottolineare il carattere più associativo che competitivo, accanto
a bonsai e suiseki d’autore, il Presidente ha istituito una categoria apposita,
per ragazzi appena affacciatisi nel mondo dell’Associazione e del Bonsai
in genere. Per la prima volta nella loro giovane carriera bonsaistica, hanno
esposto i loro bonsai, sicuramente non maturi, ma promettenti, accanto ad
esemplari di diverso spessore artistico.
A corollario della manifestazione si sono svolte alcune manifestazioni:
Fig. 3 “Impostiamo insieme un bonsai” una intelligente attività di proselitismo ed
imprinting con i bambini, futuri bonsaisti di domani, e due diversi workshop
tenuti da personaggi di spicco della realtà bonsaistica romana.
Per la cronaca i premi sono stati vinti dalla sughera a doppio tronco
nella categoria assoluta (Fig. 5), la thuja (Fig. 6) in quella votata dal pubblico,
la composizione shohin (Fig. 8) in quanto unica concorrente e l’olivastro di una
delle giovani promesse. Ma come ha detto Enrico, i premi in questo genere
di manifestazione sono decisamente superflui, perché quello che conta è
passare una bella giornata tra noi e gli amici dei club nostri ospiti, insieme
alle migliaia di visitatori dell’Orto Botanico, che hanno affollato curiosi ed
estasiati la nostra mostra.

Fig. 4 Daniele Abbattista

Fig. 6

Fig. 5 Fig. 7

Fig. 9

Fig. 8 Fig. 10
17 Mostre ed eventi
FIORI & VINO 2009 - Antonio Defina

Fiori & Vino 2009


Club Bonsainsieme - Carignano
Articolo a cura di Antonio Defina

Come ormai da consuetudine, di anno in anno il club Bonsainsieme al quale sono


tesserato, ha promosso per i giorni 9 e 10 Maggio, in occasione degli eventi di
“Primavera”, una mostra amatoriale di bonsai. La mostra, sia per la parte organizzativa
che per quella economica, è a nostro carico, ma questi dettagli non ci hanno mai
spaventati, l’adrenalina e l’entusiasmo sono sempre stati ai massimi livelli. I preparativi
iniziano venerdì 8 maggio, l’indomani,
previa inaugurazione con le maestranze
comunali è prevista l’apertura al pubblico
dell’esposizione.
L’inizio è fissato per le 16.30 del giorno 8 a casa del Prof. Genotti, dove
ci sono i materiali. La lista è lunga: cavalletti, plance e piantoni, rotoli
di tessuto, tavolini, cannicciati e fondali, ehi....ma quante cose servono
oltre ai bonsai per realizzare una mostra?!? Si spolvera, si ramazza
e si rammenda, tiriamo tutto a lucido per il grande evento. Ecco....è
arrivato il camioncino! Riusciamo a stipare il tutto con grande fatica.
Il locale da adibire per la mostra è il circolo ricreativo/sportivo dell’
ANSPI,una piccola palestra polivalente di circa 400 m quadrati.
Fig. 2

Fig. 3

Fig. 1 Fig. 4
18
Mostre ed eventi
FIORI & VINO 2009 - Antonio Defina

Il materiale e le piante vengono inizialmente posti al


centro, per poi procedere all’allestimento. Il tempo
vola, è già mezzanotte... ci sembra tutto in ordine,
le piante schierate come tanti “corazzieri” fanno
bella mostra di se! Il tokonoma al fondo chiude la
trionfale parata.
La fatica è finita, la fame è molta, ci si
rilassa e spuntano i mezzi della sussistenza. Una
piccola cena goliardica è proprio meritata. Arrivano
finalmente i giorni più attesi, quelli di sabato e
domenica. L’affluenza delle persone è stata elevata,
il picco più alto nel pomeriggio di domenica. Mille
domande, tante curiosità da soddisfare......occhi
increduli e meravigliati nel vedere tali bellezze. In
controtendenza rispetto ad altri eventi, nella nostra
mostra la caducifoglia è al centro dell’attenzione.
Molte le specie esposte, circa una quarantina
di essenza tra caducifoglie, conifere e piante
Fig. 4
autoctone.
Si comincia a smontare, si pensa già al prossimo anno, alla prossima mostra. Siamo soddisfatti, ogni socio, da
quello alle prime armi al più esperto, si è potuto esprimere con la propria pianta, tutti uniti da un’unica passione......
senza competizione.

Antonio Defina

Fig. 4 Fig. 4 Fig. 4

Fig. 4 Fig. 4 Fig. 4


In libreria
19 BONSAI - Antonio Ricchiari
LO SPIRITO DELL’ARTE GIAPPONESE - Antonio Ricchiari

Titolo: Bonsai. L’arte di coltivare gli alberi in miniatura


Autore: Giovanni Genotti
Editore: De Vecchi Editore
Pagine: 174
ISBN: 8841295104
Prezzo: € 28,00

Un altro libro di Giovanni Genotti che abbiamo voluto


recensire anche se scritto dall’autore parecchi anni addietro,
perché di grande attualità per le preziose informazioni che
sono contenute. E’ emblematico, rileggendo a distanza la
premessa, il fatto che Giovanni si definisca “un hobbista-
amatore” assumendosi un ruolo che già invece lo vedeva
molto più oltre avendo raggiunto una notevole esperienza
nella coltivazione delle piante.
Il volume rivela per intero l’esperienza del Maestro
fatta tutta “sul campo”, secondo il rispetto per la fisiologia
delle piante che Giovanni ha allevato ed educato secondo un
training che se fosse applicato da tutti i bonsaisti eviterebbe
di avere molte piante “sulla coscienza”. L’esperienza
accumulata da Genotti in tutti questi anni costituisce
davvero un prezioso patrimonio di notizie e metodologie
difficilmente riscontrabile in altri bonsaisti. Gradevole dal
punto di vista didattico la prosa semplice e molto chiara che
questo grande bonsaista usa quando scrive.

Titolo: Lo spirito dell’arte giapponese


Autore: Kazuko Okakura
Editore: Luna Editrice
Pagine: 127
ISBN: 8874351321
Prezzo: € 16,00

Insieme al famosissimo Libro del Tè, quest’opera


di Kakuzo è uno fra i testi più importanti e profondi
in lingua inglese che siano stati dedicati alla civiltà
giapponese. Esso studia l’arte nazionale ponendola
costantemente in relazione con la storia della Cina e
dell’India. Mostrando come tutti gli sviluppi artistici
siano strettamente collegati, uniti dalla progressiva
diffusione del buddhismo nelle sue diverse correnti.
Una storia dell’arte giapponese, più ampiamente
orientale in cui l’Autore sottolinea costantemente il
legame con i fondamenti spirituali e metafisici, al di là
del semplice apprezzamento di carattere estetico o
storico-archeologico che così spesso limita la visione dei
critici occidentali.
Bonsai ‘cult’
FIGURA E RUOLO DEL ... - Antonio Ricchiari 20

Figura e ruolo del Maestro bonsai


tra Oriente ed Occidente*
Testo di Antonio Ricchiari

Il rapporto verticale a partire dagli ideali preposti alla formazione del gruppo
sociale, in Giappone diventa il principio attivo che crea coesione tra i membri del
gruppo. L’influenza dominante esercitata da questo orientamento verticale spinge indi-
vidui - che pure condividono lo stesso ruolo - ad esprimere una differenza fra loro. Nella
misura in cui ciò si consolida, prende forma un sistema gerarchico sorprendentemente
raffinato e complesso.
Questo senso della gerarchia così profondamente radicato si ritrova anche tra
scrittori, attori, artisti, cioè in gruppi che diremo impegnati in attività fondate sulla ca-
pacità individuale, che non dovrebbero dunque essere vincolati da alcun sistema istitu-
zionale.
Basta pensare che anni addietro fu conferito dal governo giapponese il titolo di
“Tesori viventi” a settanta grandi artisti artigiani che formano la confraternita più esclu-
siva del mondo, venerati dal popolo come garanti della sua memoria culturale. Anche
all’interno di questi artisti artigiani vi sono i senpai, coloro i quali la carriera era iniziata
prima degli altri e che avevano conseguito fama e celebrità prima degli stessi colleghi.
Per i giapponesi dunque l’ordine gerarchico stabilito è basato sull’anzianità dell’attività
lavorativa presso lo stesso gruppo e sull’età ed ha importanza preponderante nello
stabilire l’ordine sociale e nel misurare il valore sociale dell’individuo. Per gli orientali il
mondo è nettamente diviso in tre categorie:
senpai = anziano
kohai = giovane
dorryo = collega
Il rapporto verticale che abbiamo teoricamente presunto a partire dagli ideali
preposti alla formazione del gruppo sociale, in Giappone diventa il principio attivo che
crea coesione tra i membri del gruppo. L’influenza dominante esercitata da questo o-
rientamento verticale spinge individui, che pure condividono lo stesso ruolo, a esprime-
re una differenza tra di loro. Appena tutto ciò si consolida, prende forma un sistema
gerarchico sorprendentemente raffinato e complesso.
I giapponesi non sfuggono mai alla consapevolezza di dovere distinguere tra
senpai e kohai, anche nel caso di discussioni puramente accademiche; per loro è molto
difficile esprimere apertamente il proprio dissenso da un’affermazione del proprio sen-
pai.
Il potere di un leader giapponese è molto condizionato dal consenso del suo
gruppo. Ciò avviene anche nei villaggi dove la stessa organizzazione verticale informale
diventa l’organizzazione de iure del gruppo; un prototipo di questo genere di organiz-
zazione si trova nell’ambito dell’arte tradizionale - il No, l’ikebana, la cerimonia del tè, il
bonsai - in termini di iemoto-sei. Al vertice dell’organizzazione vi è il caposcuola, iemoto
(che nella tradizione significa “origine del casato”). Attraverso il rapporto maestro-di-
scepolo la funzione di iemoto dà origine ad innumerevoli legami verticali e, nel caso
delle scuole più antiche e prestigiose, la rete a forma di ^ copre quasi l’intero territorio
del Giappone.
Se vogliamo sintetizzare alcuni principi che abbiamo letto, diciamo che il sensei
è colui che:
- comunica a vari livelli con gli allievi e li arricchisce;
- consiglia e allo stesso tempo punisce;
- è un essere umano nel suo modo di controllarsi;
- merita rispetto è stato ed è sempre alla ricerca del DO;
- deve essere un buon maestro in grado di comunicare la sua conoscenza tecnica agli
allievi;
- è in grado di giudicare gli allievi e i loro problemi con imparzialità;
- è più intransigente con chi ottiene progressi e più gentile con i principianti;
- sa ascoltare, a seconda dei casi, come maestro o come amico;

La lettura di questo articolo è raccomandata a tutti e farà molto bene allo spirito e alla salute di esperti, professionisti, artisti, “direttori artistici”, “direttori semplici”, “vicedirettori”, “vicedirettori-aggiunti in prova”, docenti, non docenti, docenti-

studenti, studenti-docenti, componenti Comitati a vario titolo, direttivi etc. (scusate l’immodestia sulla presunta necessità di una lettura profonda scritta in lingua italiana corrente e che impegni in alcuni soggetti i due emisferi del cervello!).
21
Bonsai ‘cult’
FIGURA E RUOLO DEL ... - Antonio Ricchiari

- controlla gli interessi degli allievi sia all’interno che fuori dal dojo, il loro compor-
tamento con gli amici, con la famiglia, con il lavoro;
- può essere tiranno o compassionevole, ma sempre nell’interesse dei suoi al-
lievi;
- è sempre attivo;
- dona agli altri senza richiedere ricompense per sé;
- non cambia: i suoi ideali e i suoi principi rimangono sempre un punto fermo.

L’essenza del rapporto maestro-allievo viene efficacemente descritta da Giangior-


gio Pasqualotto, grande esperto di orientalismo che scrive “la differenza qualita-
tiva fra i due non risulta risiedere, come si è solitamente propensi a credere, nella mag-
gior pienezza del Maestro in confronto con la natura vuota dell’allievo, per cui si finisce
col ritenere che la trasmissione dell’insegnamento si risolva in un semplice travaso di
nozioni; al contrario, la differenza consiste nel fatto che il Maestro è tanto più “potente”
quanto più vuoto, ossia quanto più è consapevole della relatività del suo sapere, sia nei
confronti della verità, sia nei confronti dell’allievo: al pari di Socrate, il Maestro buddhis-
ta, “sa di non sapere”, per cui vive ogni momento della consapevolezza di trovarsi in una
condizione di costante “apertura”. (East & West, ed. Marsilio).
Questi modelli di comportamento dovrebbero fare riflettere su molte cose di
casa nostra, prima fra tutte la vanagloria, questo volere bruciare a tutti i costi le tappe,
questa smania di non volere essere secondi a nessuno, di pretendere spesso un posto
sul podio, di volere essere protagonisti dimenticando però che il bonsai è arte. Suzuki
afferma che dai giapponesi è più apprezzata e cara l’arte che non la morale “La mo-
rale è disciplinatrice, mentre l’arte è creativa. L’una si impone al di fuori, mentre l’altra
è un’irresistibile espressione che viene dall’intimo” (Suzuki, Zen Buddhism and its Influ-
ence, pag. 21). In qualche occasione abbiamo avuto il sospetto che da noi non si apprezzi
né l’una né l’altra.
Eraclito metteva in guardia contro le presunzioni e le illusioni coltivate
dall’erudizione sentenziando “Il sapere molte cose non insegna ad avere intelletto”. An-
che qui si dovrebbe fare una distinzione netta che qualche tempo fa faceva Socrate, da-
gli autentici “maestri” ai semplici istruttori o insegnanti che, per la sola ragione di essersi
appropriati di una qualifica, possano definirsi, presentarsi e comportarsi come Maestri.
In Italia, in particolare, le cose vanno diversamente. A prescindere dalla differenza do-
vuta a due mentalità, culture ed etnie che sono agli antipodi, malgrado il processo di
globalizzazione in pieno sviluppo, il concetto di Maestro vs. allievo, che non è più quello
inteso nelle botteghe artigiane del ‘700, presenta alcune lacune concettuali e compor-
tamentali.
Il concetto orientale di proteggere e salvaguardare il patrimonio che i “vecchi”
detengono e che trasmettono, da noi viene trascurato. Si passa dalla creazione in Giap-
pone dei Tesori Viventi al trascurare o addirittura ignorare personaggi che hanno fatto
grande e noto il Bonsai in Italia.
Volendo fare un passo indietro, vediamo quanto il ruolo del maestro sia stato declassato
a partire dalla sua origine dei secoli scorsi che, specialmente in fase rinascimentale, gli
aveva dato gloria ed onori. Non è un fatto generazionale ma credo di subcultura che
mette in forte dubbio il ruolo di chi dovrebbe insegnare verso chi dovrebbe apprendere.
E’ anche un discorso di percezione del tempo percepita in forma talmente accelerata che
pretende una sosta fuggevole nel ruolo di discente, salvo poi a tuffarsi in ruoli ben diversi
che richiedono esperienza, cultura, approfondimenti. Ma tant’è, la riconoscenza di noi
bonsaisti dovrebbe andare ai pochissimi che si assunsero il ruolo e la fatica di diffondere
il bonsai in Italia e portarlo al ruolo primario nel contesto di un panorama mondiale.
La memoria è labile, ma quando si viaggia in territori culturali assai lontani per
spazi e tempi, per concetti e caratteri, quando ci si addentra nelle zone impervie del pen-
siero orientale, tutto diventa molto più impegnativo e serio, perché il bonsai professato
in maniera professionale non è più un hobby. I ruoli vanno riconosciuti e rispettati per un
preciso dovere di onestà intellettuale. Se ciò non avviene, forse tutti stiamo perdendo
tempo prezioso.

Antonio Ricchiari
Bonsai ‘cult’
UN GIUDIZIO SUI GIUDICI - Giovanni Genotti 22

Un giudizio sui giudici...


Testo di Giovanni Genotti

Quasi tutte le essenze possono essere bonsaizzate, fanno eccezione (ma sono
molte poche) quelle che non accettano il vaso o le tecniche agli interventi bonsaistici. Il
bonsai nella sua bellezza deve essere credibile ed avere le caratteristiche di albericità in
ogni momento. E’ evidente che alcune piante sono magiche nella fioritura, nella colo-
razione delle foglie, nella fruttificazione, ma anche quando sono prive di queste pecu-
liarità i caratteri del bonsai devono essere sempre presenti. Per la maggior parte delle
piante legnose, ad alto fusto, si dovrebbe aver presente come riferimento gli alberi della
medesima essenza presenti in natura, nelle diverse zone climatiche in cui crescono.
Mentre per le cespugliose o arbustive, è possibile dare a esse una forma classica con
riferimento, quasi sempre, allo stile eretto causale, solitamente applicato al pino nero.
Non sarà utile educare a cascata un albero che in natura ha un comportamento eretto
od imporre una forma eretta ad un’essenza che cresce prostrata o a cascata. Le forme
imposte devono rispettare i canoni descritti e comuni alla natura dell’essenza.
Giudicare un bonsai richiede una conoscenza approfondita delle differenti spe-
cie, oltre alle regole estetiche (sempre però legate alla natura), regole che sugli esseri
viventi si fondono con le esigenze imposte dalla vita e che donano sempre caratteris-
tiche uniche per personalità e bellezza. Fare bonsai con le sole conifere, non solo è ridut-
tivo, ma denota una “non conoscenza”, un disinteresse ed una non considerazione della
natura che ci circonda: dominio privo di comunicazione. Sulle conifere, infatti, è pos-
sibile stravolgerne l’aspetto con posizionamenti e torsioni dei rami preesistenti, portan-
do la vegetazione dove esteticamente si giustifica più idonea, indipendentemente dal
naturale flusso linfatico presente. Non interessa indi “l’educazione del bonsai” ma il suo
aspetto estetico ferrando la vegetazione per un fine puramente estetico. Quale rispetto
c’è in questo processo per il flusso linfatico? Qual è il rapporto che il bonsai ha nel suo
“colloquio” con la natura?
Questa premessa mi serve per affrontare il difficilissimo lavoro, quello di giudi-
care un bonsai. Un giudice deve motivare per iscritto il suo giudizio, con considerazioni
che ritiene oggettive legate alle reali dimensioni dell’essenza in relazione a quelle ot-
tenute. Considerare i punti focali, l’omogeneità e concordarli tra di loro, evidenziare
eventualmente gli errori compiuti, la salute, il vaso e l’appartenenza ad una corrente
bonsastica, giapponese o cinese. Esistono molte persone elevate (o “autoelevate”) al
rango di giudici, che non distinguono un carpino da un faggio, un malebbo da un cornus
e considerano i bonsai cinesi, dagli importanti significati filosofici, come un qualcosa di
superfluo, obsoleto e poco interessante. L’essenza da cui nasce il bonsai, il suo signifi-
cato più vicino all’astratto, viene declassato, definito non soltanto come poco interes-
sante ma ignorato di fronte all’apparenza di un’estetica statica. Molti sono i giudici da
“balcone” che non avendo mai sperimentato le tecniche blaterano consigli sui bonsai,
anche sui materiali di partenza. Un giudice deve essere un botanico abbastanza esperto,
ma soprattutto deve aver sperimentato le tecniche bonsai sulle essenze da giudicare ed
aver notato le differenti reazioni. Esistono anche persone che avendo presentato, come
proprio, ad una mostra un bonsai, e per motivi diversi aver ottenuto un giudizio posi-
tivo (anche se la pianta in oggetto era un lavoro altrui) si considerano espertissimi, ma
non solo non sono a conoscenza delle diverse correnti bonsaistiche (come quelle cinesi,
poetiche e tragiche) ma addirittura considerano in primis tutte le essenze a fioritura pri-
maverile e pensano che una fitta ramificazione sia indispensabile per un glicine o per
un noce e per assecondare la loro ignoranza non considerano le caducifoglie o peggio,
consigliano la defogliazione totale ad un faggio. Ho coltivato una amamelis con cura per
molti anni, la presentai in fioritura ad una mostra e fu giudicata, da un incompetente
giudice pieno di presunzione, come insufficientemente ramificata. Non credo che abbia
mai coltivato o addirittura visto tale essenza. Il bonsai deve essere la miniaturizzazione
di un albero interessante. Le difficoltà di ramificazione devono essere tenute presenti,
difficoltà legate al carattere della pianta ed alla sue possibilità; come è naturale per le
Bonsai ‘cult’
23 UN GIUDIZIO SUI GIUDICI - Giovanni Genotti

piante da frutto, si può rinunciare alla miniaturizzazione fogliare per ot-


tenere una buona fruttificazione. Esistono dei giudici, anche dotti tecnica-
mente, ma completamente privi d’esperienza pratica. Identiche essenze
reagiscono alla bonsaizzazione diversamente a seconda del vigore, del
terreno e del clima. L’esperienza sulle diverse specie è quindi un fattore
indispensabile per poter giudicare.
Giudicare è molto difficile, ed è perciò indispensabile, ripeto, un rap-
porto scritto, nel quale oltre alle caratteristiche di albericità proprie nel
bonsai in esame, devono essere descritte le principali caratteristiche dell’essenza
e le difficoltà per la stessa nel raggiungimento a bonsai, con le diverse tecniche
applicate o meno. Questo per avere il più possibile un giudizio oggettivo e ripeti-
bile. Nel bonsai l’equilibrio linfatico o omogeneamente distribuito in tutte le sue
parti, è fondamentale. Questo equilibrio da molti giudici non viene neppure con-
siderato e non si può notare sulle piante ferrate che obbligano la vegetazione ad
occupare gli spazi esteticamente necessari. Spesso alcuni rami particolarmente
bistrattati per portarli nella posizione voluta, negli anni intristiscono mentre al-
tri presentono significative dominanze. E’ quindi assurdo che si presentino in
mostra piante educate da pochi anni o addirittura impostate nell’anno (o peggio
da ancora da meno tempo).
L’ignoranza, unita alla volontà di potere dell’uomo porta a formulare
giudizi impropri (spesso anche su ciò che non si conosce e che perciò si sottrae
ad esso) e ciò conduce in una apparente realtà di sensazioni estremamente
negative, con giudizi non ripetibili. Succede che alcune piante premiate in un
luogo, in un anno, l’anno dopo non sono neppure considerate. Alcuni che si con-
siderano giudici, fondano “scuole” in cui soltanto le conifere vengono conside-
rate, e con falsità presentano i lavori di altri come propri e come il risultato dei
loro interventi, facendo balenare l’idea che queste piante fatte bonsai, siano es-
teticamente valide basandosi unicamente su un processo in cui sono sufficienti
dei progetti fatti con semplistiche elaborazioni grafiche. Siffatto bonsai perde
completamente quel colloquio, indispensabile ed imprescindibile, tra uomo e
natura!

Giovanni Genotti
La mia esperienza
ALCUNI APPUNTI ... - Andrea Meriggioli 24

La mia esperienza
Alcuni appunti sulla defogliazione
La mia esperienza con un carpino nero
di Andrea Meriggioli

Una tecnica che rientra nelle potature è la defogliazione. Questo tipo di intervento ha come scopo quello di ridurre la superficie foglia-
re, limitare il vigore dei getti apicali equilibrando lo sviluppo dei rami, ottenere degli internodi più corti, stimolare la vegetazione secondaria e
terziaria emettendo una nuova cacciata e infine favorire la penetrazione di aria e luce nelle zone più interne favorendo così uno sviluppo corretto
ed equilibrato.
La defogliazione consiste nell’eliminazione delle foglie e può essere applicata anche parzialmente intervenendo a più riprese sulle
zone della pianta. Usando l’apposito attrezzo giapponese avremo agevolato il nostro lavoro, ottenendone uno estremamente veloce e pre-
ciso, intervenendo anche nelle zone più interne e quindi di difficile accesso. Tale operazione deve essere eseguita prima della filatura e quindi
dell’impostazione della pianta durante il periodo vegetativo; è ovvio che questo particolare intervento è indicato per le essenze che reagiscono
bene alla tecnica come, per esempio, carpini, roverelle, aceri, etc. La defogliazione va eseguita esclusivamente su soggetti con buon vigore ed
in piena salute poiché è richiesto un notevole sforzo linfatico e quindi non va assolutamente praticato su soggetti debilitati.
Come funziona? Questo meccanismo consente di attivare le gemme ascellari alle foglie creando in tal modo una abbondante vege-
tazione essenziale per la costruzione dei palchi del bonsai. Il momento più adatto è quando la vegetazione è giunta a maturazione e i nuovi rami
sono lignificati nel loro tratto iniziale. Questa tempistica è importante perché altrimenti si correrebbe il rischio che la pianta scarti i rametti e
che le gemme ascellari non siano ancora sufficientemente sviluppate per “attivarsi” in seguito all’operazione. Il momento migliore coincide con
il periodo dell’anno nel quale le giornate registrano il maggior numero di ore solari, quindi ciò avviene nel mese di giugno. Ovviamente ciò è
puramente indicativo poiché abbiamo delle variazioni a seconda le regioni e anche dalla preparazione che abbiamo dato alla pianta. Su molte
essenze, per esempio il carpino, se preparato con discreti regimi di fertilizzazione sia durante l’anno precedente che in quello in corso, sarà pos-
sibile eseguire anche due interventi di defogliazione nel medesimo anno ed allora il primo si eseguirà all’incirca verso la metà di maggio quando
la prima vegetazione è giunta a maturazione.
E’ importante durante l’operazione eseguire il taglio vicino al picciolo senza danneggiare le gemme ascellari. Terminata l’operazione la
pianta va posta in luogo soleggiato, riducendo notevolmente le annaffiature poiché la pianta blocca quasi totalmente il fenomeno della traspi-
razione sino a quando non avrà emesso la nuova vegetazione.
Ma passiamo al mio caso. Il carpino nero di cui parlo (Fig. 1) è stato raccolto a marzo del 2008 presso una ex-cava dove cresceva a ridos-
so di una rupe. Per la invasatura ho utilizzato un substrato molto areato e drenante composto dal 50% di agriperlite, 30% di pomice a granulome-
tria fine e 20% di terriccio universale. La pianta ha reagito molto bene durante la stagione confermando perciò il suo attecchimento. Un fenome-
no che si è verificato durante tale periodo è stato quello che ha visto coinvolto l’apice, che è seccato; ho dovuto procedere ad una ulteriore
capitozzatura (Fig. 2); l’alluminio che si nota nella foto è quello che ha un lato adesivo e viene usato sui tubi: questo stimola la pianta a formare il
callo cicatriziale). In un fase successiva alla raccolta ho scoperto che la pianta aveva abbandonato tutta la parte centrale del tronco preservando
soltanto due vene vive ai bordi, le quali peraltro provvedono ad alimentare tutta la pianta. Nel settembre dello stesso anno si è avuta una abbon-
dante vegetazione (Fig. 3), nonostante la
pianta avesse subito lo stress dovuto
all’espianto. In ottobre ho provveduto ad
eliminare tutte le foglie per mandare in ri-
poso vegetativo il carpino ed ottenere così
per la prossima primavera una maggiore
spinta (Fig. 4). Nel novembre ho iniziato a
lavorare il secco. Considerate le caratteri-
stiche della pianta (tronco interamente
secco dai due lati che sale fino all’apice)
ho deciso di realizzare un bonsai molto
particolare in cui il secco ed il sabamiki –
Fig. 1 Fig. 2 peraltro già definito di suo – costituiscano
25 LaALCUNI
mia esperienza
APPUNTI ... - Andrea Meriggioli

il punto focale del soggetto (Fig. 5, 6). Dopo le operazioni di fresatura, ho spennellato le parti con
una particolare catramina per innesti che permette di ottenere risultati più che soddisfacenti.
Questo prodotto, oltre che a proteggere dagli agenti atmosferici, va a fissarsi all’interno delle
venature naturali e alle screpolature formato dalla legna secca, mettendo così in maggiore
risalto il contrasto tra alti e bassi ed accentuare in tal modo il “gioco delle zone di luce ed om-
bra”, oltre che a dare un effetto più attenuato di quello che è definibile “finto bianco” ottenuto
con l’applicazione del liquido per jin (Fig. 7).
L’impostazione della ramificazione e la relativa potatura di selezione è stata riman-
data invece all’inizio della stagione primaverile perché il carpino nero tende a scartare con
una certa facilità se lavorato durante la stasi vegetativa invernale. Durante l’inverno invece ho
provveduto ad eseguire un innesto per foro passante su un ramo primario che risultava troppo
Fig. 3
cilindrico nel suo tratto iniziale (Fig. 8). Ciò è stato fatto per ottenere una migliore struttura
(cambi di direzione e di diametro). Questa prima fase di impostazione naturalmente tende ad
eliminare il più possibile i difetti della pianta che, se lasciati, diverrebbe molto problematico
eliminare.
Il mese di marzo dell’anno successivo ha visto la prima impostazione della ramifi-
cazione. Due mesi dopo, considerato che la pianta aveva portato a maturazione la sua prima
cacciata ed era sul punto di emettere la seconda, ho deciso di defogliare (Fig. 9, 10) ed ese-
guire dopo una seconda impostazione. Soltanto dopo dieci giorni dall’intervento, la pianta ha
emesso alcune gemme non soltanto dal legno vecchio dei rami primari (Fig. 11, 12), ma anche
dal tronco! Ho notato pure un allungamento di tutte le gemme ascellari, segno che la mia
tempistica era esatta ed aveva rispettato la fisiologia del carpino (Fig. 13).

Fig. 4  Andrea Meriggioli

Fig. 5 Fig. 6 Fig. 7

Fig. 8 Fig. 9 Fig. 10

Fig. 11 Fig. 12 Fig. 13


La mia esperienza
REALIZZAZIONE DI UN ISHIZUKI - C. M. Galli 26

La mia esperienza
Realizzazione di un ishizuki
I parte
di Carlo Maria Galli

Quello dell’ishizuki è lo stile più ostico e solitamente meno usa-


to per creare bonsai, anche se è per me quello che da solo costituisce un perfetto
allestimento: abbiamo il bonsai, lo scroll, il tavolino, le shitakusa; il “bonsai su
roccia” racchiude in se tutte queste caratteristiche.
Con poche parole e molte foto vi mostrerò quali sono i vari
passaggi per la composizione di un ishizuki, stile che ho imparato nel 1993
all’Università del Bonsai di Crespi, e che tuttora all’occorrenza metto in pratica.

Fig. 1 - Prima di tutto ci vuole una bella pietra

Fig. 2 - Siccome in questo caso la voglio fissare su un vassoio, inizio spianandola alla base

Fig. 3 - Cerco la posizione, la stabilità, il bilancia-


mento in conseguenza delle piante che vi inserirò

Fig. 5 - Una volta forati vas-


soio e roccia (con tasselli di
plastica che durano di più),
fisso il tutto
Fig. 4 - Segno la posizione sul vassio
per poi forarlo
27 LaREALIZZAZIONE
mia esperienza
DI UN ISHIZUKI - C. M. Galli

Fig. 7 - Pur avendo un’idea di base, studio le diverse possibilità di


posizionamento delle piante sulla roccia

Fig. 8 - Attenzione, bisogna valorizzare anche la pietra. Posizio-


nando le piante in questo modo la parte più bella sparisce
Fig. 6 - Pietra fissata

Fig. 9 - Con la mia assistente inizio


il lavoro

Fig. 10 - Una volta deciso dove mettere


le piante segno con un pennarello tutta
la zona dove inserirò le radici e il terriccio,
e buco iniziando da dove metterò il col-
letto della pianta (la punta è di 3 mm)

Fig. 11 - Poi tutta la zona segnata, più fori ci sono meglio è io mi Fig. 12 - Preparo il filo raddoppiandolo facendo attenzione di las- Fig. 13 - Preparo 2 buchi alla volta perchè essendo piccoli non si ve-
regolo a circa 10 cm, uno dall’altro ciare un asola per la grandezza del buco,il filo lo lascio lungo circa dono bene
15,20cm

Fig. 14 - Dopo aver inserito il filo con


l’asola nel buco lo blocco con delle torpille
battendole,è il metodo più veloce per avere
la presa immediata

Fig. 15 - Le torpille sono piombini affusolati


che si trovano in commercio nei negozi di
pesca,sono di diverse misure
La mia esperienza
REALIZZAZIONE DI UN ISHIZUKI - C. M. Galli 28

Fig. 17 - La Keto (terra di origine giapponese) è facilmente reperi-


bile in commercio ed è la più indicata per composizioni su roccia
e su lastra

Fig. 16 - Inizio la preparazione della terra (Ketotsuchi) va lavorata con Fig. 18 - Preparo delle palle di diverse dimensioni che mi saranno utili
le mani e bagnata un po’ alla volta sino a che non si trova la collosita nel momento della messa in opera
giusta

Fig. 18 - Ho lavato e tenuta continuamente umida la pietra, ciò aiuterà la terra ad “at-
taccarsi“ meglio

Fig. 19 - Attenzione: la pietra deve essere umida e non molto bagnata se si vuole far
attaccare bene la keto

Fig. 20 - Inizio a mettere uno strato di circa 2,3 cm di terra lungo tutto il perimetro che ho precedentemente segnato Fig. 21 - Cerco di seguire il movimento della pietra...

Alla prossima...

Carlo Maria Galli


SHODŌ
La via della scrittura
SEMINARIO PRATICO DIRETTO DAL

Maestro Norio Nagayama


dal 26 al 29
Come arrivare
Giugno 2009 IN AUTOMOBILE
Dall’Autostrada prendere l’ uscita al casello di
Ca-stellammare di Stabia e proseguire, poi, sulla
Strada Statale n.366 per Agerola, fino al bivio di
Agerola (NA) Gragnano, da qui imboccare la strada per Agerola
che sale, a risvolte, fino al paese. Superato il Tun-
nel che immette nel paese, dirigersi alla frazione
“S. Lazzaro”.

IN TRENO
Raggiunta la stazione di Napoli Centrale prendere
il Tram n. 1 direzione “Via Marina” fino alla fermata
del “Varco Immacolatella” da dove partono gli au-
tobus della Sita che collegano con Agerola; oppure
BOKUSHIN la Circumvesuviana che arriva a Castellammare di
Stabia da dove si prosegue con autobus della Sita.
SCUOLA DI IN AEREO
CALLIGRAFIA Dall’Aeroporto di Capodichino prendere l’autobus
per Piazza Garibaldi (dove c’è la stazione di Napoli

ORIENTALE Centrale). N.B.: E’ possibile istituire, in accordo con


la Pensione “Leonardo’s” un servizio navetta dalla
stazione ad Agerola, qualora più partecipanti si ac-
cordino per giungere insieme in stazione.

INFORMAZIONI ed ISCRIZIONI ALLOGGIO


Per le informazioni e le iscrizioni rivolgersi a E’ possibile alloggiare presso lo stesso Ristorante – Pensione “Leo-
Daniela Di Perna nardo’s”. www.albergoleonardos.it.
Tel.: 320 811 34 41 / 081 060 87 63 ______________
E-mail: myoei@shobogendonapoli.it In alternativa, il Campeggio – Ostello “Beata solitudo”, che si trova
molto vicino alla sala per la pratica, offre varie possibilità di pernot-
N.B.: il seminario è a numero limitato. tamento. Per informazioni Tel. 081 8025048 -
www.beatasolitudo.it
PRATICA
Il seminario sarà condotto dal Maestro AGEROLA
Norio Nagayama. La pratica si svolgerà Soprannominata “La Piccola Svizzera” per il paesaggio gradevolmente mon-
in una sala del Ristorante – Pensione tano, per le casette dai ripidi spioventi, e l’ammirevole ordine delle strade, come
“Leonardo’s” di Agerola. I partecipanti tutti gli altri paesi della Costiera Amalfitana, Agerola è meta ambita per chi cer-
dovranno portare il materiale personale ca aria pura e cibi genuini. Il clima di montagna ed il vicino mare di Amalfi for-
per la calligrafia. I principianti che non mano un connubio ideale. Ad Agerola si può godere del fresco naturale dovuto
posseggono materiale proprio, dovranno all’altitudine e dell’aria frizzante e ben ossigenata dai boschi circostanti. Si pos-
farlo presente al momento dell’iscrizione, sono trascorrere giornate nella tranquillità più assoluta senza però rinunciare
alle varie opportunità che offre il mare dei vicini paesi della Costiera.
l’occorrente per la pratica sarà fornito in
prestito. Portare della carta formato A4 e CARTIERA e MUSEO DELLA CARTA
un panno lenci di colore scuro. Si consiglia Nella vicina Amalfi si trova una
l’acquisto del libro “Shodō La via della delle più antiche cartiere d’Europa
scrittura. Kaisho lo stile fondamentale”, ed un museo dedicato alla produ-
Norio Nagayama, Stampa alternativa. zione della carta fatta a mano. Chi
Gli allievi saranno seguiti singolarmente, volesse visitarlo può prendere le
a prescindere dal livello di ciascuno. Le informazioni al sito:
lezioni avranno inizio venerdì 26 giugno www.museodellacarta.it/
alle ore 9.00 e termineranno lunedì 29
giugno alle ore 12.00.
A G I U G N O
I N L I B R E R I A
29 LaACERO
mia esperienza
CAMPESTRE - Armando Dal Col

La mia esperienza
Percorso evolutivo di un
acero campestre - IV parte
di Armando Dal Col

La storia di questo acero campestre è iniziata nel 1993, e grazie alla se-
quenza fotografica ripercorsa negli scorsi numeri del magazine abbiamo potuto
seguire tutto il suo percorso evolutivo. Per chi si fosse perso le scorse puntate,
vorrei riproporre l’immagine iniziale di questo percorso evolutivo e
l’ultima foto della terza parte di quest’articolo che ci ha “intrattenuto” in
un piacevole “viaggio” ricco di esperienza.

Armando Dal Col

Fig. 1 - L’Acero campestre visto nel 1993, e di fianco visto nel maggio del 2007

Fig. 2 - Maggio 2008, un altro anno è trascorso e l’acero si è arricchito di nuovi


rametti

Fig. 3 - Marzo 2009. L’acero campestre “in compagnia” ripreso dalla collina
Fig. 4 - Aprile 2009. L’acero visto dal suo fronte scelto
all’epoca dell’ultimo rinvaso
La mia esperienza
ACERO CAMPESTRE - Armando Dal Col 30
Fig. 5 - L’Acero campestre è l’ultimo a “svegliarsi” dal
riposo invernale rispetto alle altre specie. La corona
però ci permette di individuare la delicata ramifica-
zione pazientemente costruita anno dopo anno

Fig. 6 - l’Acero visto più da vicino nella sua completa nudità Fig. 7 - La struttura aerea dell’acero campestre non è riscontrabile con i suoi simili che vivono
spontanei in natura, poiché la sua forma caratteristica è quella di un grande arbusto

Fig. 8 - Aprile 2009. Finalmente le gemme iniziano a muoversi

Fig. 9 - Maggio 2009. La livrea primaverile si è fatta piuttosto attendere quest’anno, complice il clima bizzarro!

Fig. 10 - Primo piano del Nebari di un altro mio “mitico” acero


campestre. Quando raccolsi molti anni fa questa insignificante
piantina di una trentina di centimetri di altezza e con il tronchetto
delle dimensioni di una matita, mai avrei immaginato di riuscire a
creare un nebari di queste dimensioni coltivandola sempre in vaso
La mia esperienza
31 ACERO CAMPESTRE - Armando Dal Col

Fig. 11 - Acero campestre, l’aspetto finale. Altezza cm 80. Quest’acero come si ricorderà, infatti, in origine era alto più di quat-
tro metri, con il tronco cilindrico e spoglio per oltre la metà della sua estensione, quindi impensabile a prima vista di utilizzarlo
come un futuro Bonsai. Il bonsai possiede individualità, giacché creazione dell’uomo: il bonsai non è natura, la Natura è nutrice;
resta compito dell’uomo dare a ogni pianta peculiarità uniche, che lo distinguano dagli altri. L’individualità, da sola, non è però
sufficiente: è importante che vi sia armonia, che non è, o non è solo, bellezza di forme, ma soprattutto accordo con le leggi della
Natura.

Fig. 12 - Acero campestre, altezza 37 cm.


Raccolsi questo acero campestre sul ciglio di una strada
di campagna; all’epoca (era la primavera del 1969) il
fusticino della piantina aveva le dimensioni di una mat-
ita. Ad oggi, primavera 2009, l’acero ha raggiunto un
aspetto maestoso nella sua estrema miniaturizzazione,
così come testimoniato dal suo affascinante nebari!
A lezione di suiseki
SUIBAN, DOBAN ... - Luciana Queirolo 32

Suiban, doban & sabbia & acqua...


ma questa è l’unica formula?
Articolo a cura di Luciana Queirolo

Alla Suiseki Meihin Ten Masterpices Exhibition, vengono esposti praticamente ogni anno suiseki in suiban o doban, privi di sabbia (Fig.
1, 2, 3, 4): una soluzione non molto popolare, ma dalla tradizione antica.

Fig. 1 - Suiseki Meihin Ten Masterpices Exhibition, 1962 Fig. 2 - Suiseki Meihin Ten Masterpices Exhibition, 1964 Fig. 3 - Suiseki Meihin Ten Masterpices Exhibition, 1965

Fig. 4 - Suiseki Meihin Ten Masterpices Exhibition, 1970 Fig. 5 - Pietra a roccia costiera. il contenitore è pieno solo con l’acqua, che permette la visione del disegno (che suggerisce ninfee) sulla
superficie interna del vassoio. luogo di origine: Giappone

Anche il libro di Covello, propone alcuni esempi di questa pratica (Fig. 5, 6, 7). Personalmente, ho una particolare predilezione per l’esposizione
della nuda pietra sul bronzo del doban; naturalmente riferendomi agli attuali doban bassi ed essenziali, (tanto da poter essere confusi con
suiban in gres marrone; mentre invece sono in commercio vassoi di gres, ambiti e molto pagati, con bordi decorati alla maniera dei doban
antichi).

Fig. 6 - Pietra a cascata secca: un posizionamento più preciso della pietra


sarebbe fuori dal centro verso il lato destro del suiban. Giappone

Fig. 8 - Doban all’asta

Fig. 7 - Un suiban che esce totalmente dagli schemi, progettato da Willi Fig. 9 - Un doban di estrema semplicità ed eleganza
Benz e commissionato all’artista Peter Krebs, per esporre un palombino
ligure col tema cinese dei “Draghi giocosi” e che esclude l’uso di sabbia
od acqua.
33 ASUIBAN,
lezione di suiseki
DOBAN ... - Luciana Queirolo

E’ logico pensare che un doban o suiban profondi debbano servire soprattutto a contenere abbondante sabbia per nascondere irregolarità
rilevanti del fondo della pietra o per sostenerla se più alta che larga. Ma questo può anche essere usato come un artifizio, un inganno per pietre
che non hanno bisogno di quella profondità, se non per dare l’ illusione di una base naturale non tagliata, quando invece lo è …. le pietre tagliate
andrebbero sempre poste in un suiban profondo e non in un daiza, per dare il senso dell’integrità della pietra che continua sotto la sabbia, così
dice Morimae. Matsuura afferma che un suiban di profondità immodesta è accettabile, mentre un daiza di profondità inaspettata, no.

Fig. 10 - Pietra in vendita con kiri-bako Fig. 11

Fig. 12, 13, 14 - Prove di interpretazione con una


pietra koreana

La valenza di un Suiseki può essere notevolmente aumentato da una attenta scelta del suiban, selezionandone la forma, le misure, il bordo ed
i piedini, il colore, il tipo di smalto e la sua texture superficiale. Ideale sarebbe progettare il vassoio sulle necessità della pietra con l’aiuto e la
competenza del ceramista. Diversamente, la sola soluzione è “cercare pazientemente”, provare e riprovare. L’accordo tra “Suiban & Suiseki”
deve produrre un “tutt’uno armonico”.
Tornando all’uso di esporre con acqua solamente ….
- L’ Associazione della Nipponi Suiseki (NSA) insiste sull’ uso della sabbia nell’esposizione in suiban, e così dell’acqua usata con la sabbia. La
NSA è la corporazione eletta dal Ministero degli Affari Culturali a rappresentare l’estetica del suiseki.

- Yuji Yoshimura raccomandò di mantenere i suiseki nel giardino in contenitori (doban, solitamente) con acqua, dove lui non menziona la pre-
senza di sabbia.

- Kenji Murata (il padre di Keiji che anche fu rappresentante della Nippon Aiseki Kai) spesso pubblicò suiseki esposto in carrelli di acqua senza
sabbia.

Primavera: la stagione dei suiban smaltati….


Sull’uso di suiban smaltati ad altezza medio-bassa, con sola acqua, ho alcune riserve. Entrando nel particolare: preferisco riempire di sabbia i
suiban smaltati molto chiari oppure bianchi e tozzi (solitamente di fattura cinese, ma non solo) onde smorzare quel bagliore che toglie respiro
ed atmosfera attorno alla pietra, esasperandone il perimetro.

Fig. 16

Fig. 17 Fig. 18 - Ibigawa-ishi: il suiban alloggia il suiseki nel cosiddetto “punto morto”

Il posizionamento vicino al centro del vassoio, si rivela spesso la migliore soluzione per un suiban che non sia molto più largo della pietra. Con-
dizione essenziale è che la pietra sia equilibrata, oppure che questa pietra equilibrata non voglia essere utilizzata come una montagna fronteg-
giante una grande pianura, oppure come un’isola lontana perduta in un mare sconfinato.
Spesso è possibile osservare, anche su cataloghi giapponesi, vassoi che reputeremmo insufficienti per la dimensione del la pietra, mentre, a
volte, succede l’esatto contrario….
A lezione di suiseki
SUIBAN, DOBAN ... - Luciana Queirolo 34
Ma di proporzioni tra pietra e suiban, leggerete sotto gli ombrelloni delle
vacanze di luglio ….

Con suiban smaltati a marezzature atte a richiamare fondali marini etc….


anche qui, meglio celare almeno la metà del fondo del suiban con la sabbia,
perché quelle macchie spesso “ipnotizzano” la nostra attenzione devian-
dola via dalla pietra.
Mettere sabbia solamente sotto la pietra ed attorno ad essa è una configu-
razione classica che permette di considerare comunque il fondo vetrificato
di un suiban.
Fig. 19 - Sperimentazione di Mike Pollok con un suiban prodotto da Nick Lenz

Sabbia ed acqua

“Un suiban non è un solamente una scelta conveniente per ‘far cadere con un tonfo’ una pietra per la
quale il raccoglitore non ha un daiza. Un suiban offre, alla pratica del suiseki, allusioni di stagione calda”.
Certamente,il collezionista giapponese posiziona una pietra nel suiban solitamente in estate, aggiun-
gendo acqua alla sabbia, (ma senza che il livello dell’acqua la sommerga) ed umidificando la pietra. Un
suiban mai comunque dovrebbe essere riempito con sabbia posta ad un livello basso, che dovrebbe in- Fig. 20
vece colmare circa l’80% della profondità interna del suiban: in maniera che il bordo del vassoio rimanga libero per 3-4 mm.

Fig. 21 Fig. 22 - Un insolito suiban nero

D’inverno la sabbia deve essere imperativamente asciutta, oppure la pietra rimessa nel suo daiza. Per contro, in Korea è d’uso esporre le pietre
nel Sobane (suiban), con l’acqua, in ogni stagione.

La sabbia e l’acqua, sono il terzo elemento nella


composizione e rappresentano la base di scenari
sia di acqua, sia di pianura. La funzione primaria
della sabbia è dare stabilità alla pietra: come nel
daiza, la pietra montagna va interrata profonda-
mente: una montagna non “galleggia”; fuoriesce
dalle viscere della terra che le ha dato origine; è
profondamente “radicata” in essa.

Fig. 23 - Fujieda-ishi: dall’aspetto poroso e ricco di inclusioni di calcite. Materiale simile è reperibile anche in
Liguria. Mantenere questa pietra bagnata, la degraderebbe in un tempo relativamente breve

Fig. 24 - Una pietra dallo stato di Keistone (USA) Fig. 25 - Una pietra dallo stato di Keistone (USA)

Le Pietre oggetto (barca, figura umana, animali,....) vanno “posate sopra”; fanno eccezione, pietre-capanna e
pietre ponte. Le pietre a banco di scogli, roccia di mare, si presentano posate sopra la sabbia o nel suiban con
acqua solamente.
Le pietre astratte cercano nel substrato la stabilità.
Per Matsuura, comunque, le pietre capanna e forma umana dovrebbero essere sempre su daiza.
A lezione di suiseki
35 SUIBAN, DOBAN ... - Luciana Queirolo

Preparazione della sabbia.

La sabbia deve essere preparata setacciandola con cura, lavandola sino ad ottenere
l’acqua perfettamente limpida, liberata da materiale che disturbi l’uniformità di colo-
re. La grana deve essere preferibilmente quarzosa, non deve essere troppo fine: da
1,5 mm sino a 2,5 mm; più piccola per piccoli suiseki o per paesaggi in lontananza;
grossolana, con pietre dalle superfici accidentate e prospettive vicine.

Fig. 26 - Suiseki Meihin Ten Masterpices Exhibition, 1970

Fig. 27 - Sabbia abbastanza omogenea Fig. 28 - Qui invece si prostetta un paziente lavoro per liberarla da impurità e granellini scuri

Fig. 29 - Masterpiece giapponese

Il colore della sabbia deve armonizzare con la pietra e col


suiban, ma non deve essere una ripetizione delle stesse tonali-
tà o colore; è concesso solo un piccolo richiamo a particolari
del suiseki, non la ripetizione della nota dominante. Classico il Fig. 30 - Pietra nera proveniente da Taiwan
beige o marrone chiaro: il colore del grano maturo.

Dopo innumerevoli esperimenti, penso di poter descrivere un buon metodo per il livellamento della sabbia:
1) Disporre un primo strato utilizzando sabbia umida.
2) Batterla accuratamente per compattarla, indi spruzzarla. L’apporto diffuso di acqua appiattirà naturalmente i piccoli dislivelli.
3) posizionare la pietra, calcolando attentamente l’esatta posizione, prima di poggiarla.
4) distribuire lentamente ed uniformemente lo strato finale; battere piano con una scatolina di cartone, lisciare con un delicato pennello etc. etc.
ed infine spruzzare nuovamente, onde ulteriormente livellare ed uniformare.
Questo sistema mi ha consentito anche il trasporto di pietre già posizionate, senza danno. Ove sia richiesta una presentazione “asciutta”
basterà attendere l’evaporazione. Livellare immergendo e fare scivolar via l’acqua in eccesso mi si è rivelato solo in teoria semplice. Agitando
avanti ed indietro, la pietra scivola e la sabbia tende ad ammassarsi su di un lato. Qualora la sabbia sia troppo fine o non idonea alla bagnatura
(vedi sabbie desertiche e rappresentazioni di landscapes) il livellamento può ottenersi riempiendo il suiban e passando poi una riga a filo dei
bordi. La difficoltà sta nell’aggiustamento attorno alla pietra ed al raggiungimento di un livello omogeneo della sabbia al di sotto del bordo del
suiban di un ½ cm scarso.

“Ciao gente.
‘Sabbia’ ce n’è di molti tipi;  ci sono così tanti tipi di sabbia, fuori di qui, tu puoi trovare facilmente il modo e trovare esattamente una
bella sabbia color crema al magazzino vicino a casa, oppure sabbia per sabbiatura, sabbia che lavora molto bene ed è anche lava-
ta. Oppure tu puoi raccogliere la tua sabbia, la pulisci, la lavi, la lavi e la lavi, quindi le permetti di seccare, e a mano scegli i colori che tu
vuoi, un grano alla volta;  ottenere mezzo gallone di buona sabbia richeide circa otto ore. Quindi tu devi vagliarla e lavarla. Ancora!
Ecco perché costano più di 100 dollari per un chilogrammo!
Ricorda che tu ottieni quello che tu paghi o ottieni per quello che tu lavori. Ho visto sabbia in Giappone che costa 350,00 $ per riempire un suiban di
media dimensione. È molto strano ma pulendo e raccogliendo sabbia ti può venire piacere e disciplina, ma anche male agli occhi. Ma la ricompensa
vale lo sforzo.” - Sean Smith
A lezione di suiseki
SUIBAN, DOBAN ... - Luciana Queirolo 36
L’acqua...

La presenza dell’acqua nel suiban non è però legata esclusivamente alla stagione, bensì all’uso dell’acqua nel gioco interpretativo della scena
che si vuole evocare: un velo d’acqua, con o senza sabbia, in estate creerà senso di frescura attorno ad una .pietra isola, mentre, in primavera,
ci farà spettatori del disgelo, in fronte ad una copiosa cascata. Vedremo il riflesso della
luna nella nostra pietra lago; mentre, in tutte le stagioni, l’uso di sola sabbia potrà
proiettarci in paesaggi di grande ampiezza, immersi in lande sconfinate. Con questo
non vogliamo negare l’importanza filosofica dello stretto rapporto tra Jing e Yang: il
femminile (la fluidità, la malleabilità, l’arrendevolezza, l’umidità: visione rilassante e
ristoratrice, elemento indispensabile per la vita) contrapposto ad equilibrare e com-
pletare il maschile della pietra, arida,dura, solida e fredda. Credo che altri elementi
naturali possano dar vita alla nostra scenografia: l’aria, il vento, il sole. Tutto sommato,
Fig. 31 - Kamogawa-ishi su doban finemente intarsiato.
sono elementi che non vediamo, come l’acqua, ma che possiamo “sentire”. Questa Rappresenta una montagna al disgelo
mancanza dell’elemento che non si vede ma si sente, dovrebbe essere in sintonia con
l’astrazione orientale. In una esposizione di Desert Stones su suiban, ad esempio, gli elementi caratterizzanti sono: pietra, sabbia, SOLE.

Fig. 32 - Desert stone a strati di agata Fig. 33 - Murphy stone, collezione James Greaves

Il calore che dà vita alla freddezza della pietra, le dà una carica così intensa ed esaltante che la pietra, incapace di trattenerla, di notte, infelice,
quasi si lascia, a volte, morire, spezzandosi …
In America, un concetto base per una classificazione delle” Pietre del deserto da ammirare” prese forma nel 1989 e venne portato avanti sino
al completo riconoscimento (DESERT VIEW STONES) da Jim Greaves, l’autore del meraviglioso libro che vi raccomando nella lista delle pub-
blicazioni, sul nostro forum (http://www.napolibonsaiclub.it/forum) ...
Seguendo la classificazione giapponese, si posizionano nel suiban:
SHIMAGATA-ISHI ( pietre- isola di lago o di mare),
IWAGATHA-ISHI (pietre a roccia costiera),
ISOGATA-ISHI (pietre spiaggia),
ARAISO-ISHI ( pietre a banco di scogli) ,
MIZUTAMARI-ISHI (pietre lago o stagno),
FUNAGATA-ISHI (pietre barca),
TAKI-ISHI (pietre cascata) ,
DOBUTSU-SEKI (pietra animale),
YAGATA-ISHI (pietre capanna), Fig. 34 - Lago di montagna. Provenienza U.S.A.
HASHI-ISHI (pietre a ponte).
Ma possiamo esporre nei nostri suiban anche pietre di forma
paesaggistica diversa, come altipiani e gradoni (DAN-SEKI,
DOHA-SEKI), pietre riparo (AMAYADORI) etc., oppure pi-
etre caratterizzate da particolare struttura e colorazione,
(motivi di fiore o di corpi celesti, ad esempio) ove l’elemento
acqua è indispensabile per spruzzare la pietra, onde esaltar-
ne le peculiarità.

Fig. 35 - Suiseki esposto alla Soguten del 2004, Tokyo

Fig. 36 - Gensho-seki, pietra a fenomeni celesti

Fig. 37 - Baika-seki, pietra a motivo di fiori di susino


A lezione di suiseki
37 SUIBAN, DOBAN ... - Luciana Queirolo

Rapportandosi alla classificazione giapponese, mentre una levigata, nera pietra dell’Eel River, California, preparata nel suiban, calza alla defini-
zione di DOHA o di SHIMAGATA, una altrettanto bella estrosa o drammatica forma “creata dal vento” del deserto del Mojave, no.
Costringere una pietra del deserto entro la più vicina categoria giapponese, fa un torto alla pietra, al concetto giapponese ed a quel magnifico
paesaggio.
Un perfettamente formato, piatto, rosso desert stone, classificato e presentato come isola, ottiene come risultato una reazione negativa, men-
tre sarebbe un capolavoro indiscusso, se presentato per quello che è: una mesa del deserto. Zone desertiche, ma anche grandi pianure, steppa,
nevai, ampi spazi, sono presenti in tutto il mondo e tutti degni di rievocazione. L’acqua è elemento principe, ma l’uomo si è sempre sentito al
sicuro con la terra sotto i piedi. Ed allora ….Evviva anche per la sabbia asciutta!
Ed alla prossima puntata!

Luciana Queirolo

Fig. 38
L’opinione di...
GIANFRANCO GIORGI - Antonio Ricchiari 38

L’opinione di...
Gianfranco Giorgi

Intervista a cura di Antonio Ricchiari

Di Gianfranco Giorgi, di questo personaggio del bonsai italiano, “storico” non nel
senso anagrafico della parola, l’età è sempre quella mentale e dello spirito, ma storico per
portata ed importanza poiché gli stimoli e gli input dati da questo Maestro si sono rivelati
fondamentali per tutti noi, ho già parlato in un profilo che ho pubblicato sul Forum del
Napoli Bonsai Club. Doverosa rassegna quella che abbiamo deciso di fare in Redazione,
perché purtroppo parecchi giovani delle nuove leve sorvolano spesso con superficialità la
storia del nostro bonsai perdendosi la conoscenza di alcuni personaggi che hanno dato im-
pronta al nascente movimento italiano. E lo definisco “movimento” usando un linguaggio
da critico d’arte poiché agli inizi degli anni ’60, quando tutto era confuso, quando le infor-
mazioni e la letteratura in merito erano a dir poco inesistenti, quando non si sapeva da dove
iniziare, quando la parola bonsai era piena di mistero, poche persone furono stimolate da
una passione travolgente che li spinse a dedicarsi al bonsai devo dire anima e corpo ed a
costo di sacrifici personali furono i fautori di una più larga diffusione e popolarità che ebbe
inizio negli anni ’80.
Il bonsai visto senza analisi e conoscenza del passato e dei trascorsi che ne hanno determinato una solida base
che oggi vede l’Italia ai vertici mondiali, è deficitario e rimane debitore di una parte essenziale che è di completamen-
to per ogni bonsaista che si rispetti. Saltare alcuni passi essenziali ignorandoli addirittura determina una lacuna nella
formazione di ogni appassionato che si rispetti. Il patrimonio culturale e tecnico di quelli che chiamo senza alcuna
enfasi i Padri del bonsaismo italiano (quattro-cinque persone in tutto) deve essere un bene condiviso da tutti noi con-
sapevoli del bene che abbiamo a disposizione. Ignorare ciò è segno di presunzione ed arroganza. Parliamo tanto di
Giappone, di orientalismo ma ignoriamo la ricchezza cognitiva che ci viene trasmessa dall’esperienza di chi ha iniziato
prima di noi, quella che prima era la tradizione orale perché ostentiamo apparente sicurezza, apparente conoscenza,
mancanza assoluta di modestia. Ed i risultati si vedono giorno dopo giorno! Vorrei ricordare che in Giappone stati
d’animo come gentilezza o senso di rispetto sono inglobati nelle persone: il senso di armonia ha a che fare anche con
questo, armonia nell’uso controllato delle parole, di pensieri non espressi e di silenzi da sapere interpretare!
Tempo fa chiesi a Giorgi quale era il suo modo di interpretare una pianta. Mi rispose: “Io non uso stravolgere
le piante. Credo che fra me e la pianta debba nascere un feeling che mi permetta di modificarla. In generale dirò che mi
attengo a quello che la natura ha creato, cercando d’intervenire in termini bonsai attraverso il tempo. Adesso tendo ad
allungare i tempi, proprio il contrario di quanto spesso vedo farer. Non scopro niente di nuovo – ricordi la poesia “Il sabato
del villaggio” di Leopardi? – dicendo che spesso immaginare il cambiamento di una pianta è più appagante che attuarlo.”
. Non ho posto domande specifiche a Giorgi, gli ho chiesto soltanto in diretta una sua testimonianza. E’ un’arte che
diventa sempre più rara quella di sapere ascoltare.
Quando Giorgi parla ha tutta la forza espressiva e l’ironia dei toscani e soprattutto tutta la grande simpatia di
questa gente.
“Il Giappone è un Paese lontano da noi non solo geograficamente, tanto che il professore Maraini diceva che i
giapponesi e gli italiani sono così diversi fra loro che non riusciranno mai a capirsi. C’è di più: i giapponesi sentono e ci ten-
gono ad essere diversi. Studiare in Giappone non è facile, la selezione inizia già alle scuole elementari, anche apprendere
un lavoro non è semplice. Ricordo un maestro bonsai raccontare divertito di avere ricevuto una richiesta di un giovane che
voleva andare a lavorare da lui “a pagamento”. Un tempo l’insegnamento ed i trucchi erano trasmessi al primogenito, che
ereditava l’azienda e la posizione del padre. I fratelli potevano lavorare come operai o andarsene per altre strade.
Ho scritto “un tempo” anche se alcune fra le più note famiglie di bonsaisti giapponesi si sono comportate esat-
tamente così. Adesso proviamo ad immaginare un maestro bonsai giapponese proiettato nel nostro mondo che, in una
serata o poco più, insegna a lavorare una pianta presto e bene e svela segreti e trucchi appresi dal padre, che a sua volta
li aveva appresi dal nonno e così via in una lunga catena di generazioni … c’è qualcosa che non convince!
L’opinione di...
39 GIANFRANCO GIORGI - Antonio Ricchiari
Dopo queste premesse, che ho creduto necessarie per meglio localizzare e focalizzare il problema, lasciatemi
spiegare il mio (forse non solo mio) errore: il bonsai italiano o all’italiana. Immaginatevi l’allora capo indiscusso del bonsai
mondiale, Saburo Kato, affermare – durante una conferenza – che non dobbiamo seguire i loro schemi o finiremo solo per
fare, nel migliore dei casi, delle brutte imitazioni dei loro bonsai. Io vi ho creduto e, per anni, mi sono guardato attorno
cercando, nella nostra flora, aspetti diversi da quelli proposti dai giapponesi.
Mi sembrava logico che in un’altra cultura e in un ambiente diverso si potessero immaginare modelli differenti da
quelli nipponici. Se qualche spunto ho trovato, come la silhouette del Pinus pinea, lo sviluppo dei rami della maggioranza
delle piante italiane sovente intrecciati tra loro o i rami secondari di alcune conifere rivolti verso il basso, questo mi è parso
inconsistente per parlare di bonsai all’italiana. Ma c’è di più, queste realtà sono poco piacevoli e disarmoniche a scala
ridotta. In seguito mi sono reso conto che la flora ha, più o meno ed escludendo le poche eccezioni che caratterizzavano
alcuni paesaggi estremi, lo stesso aspetto. Le diversità più evidenti si riscontrano solo fra le piante di pianura e quelle di
montagna.
Ho scritto errori non solo miei. Poiché non credo di essere del tutto sprovveduto devo dire che, a confondermi le
idee, ha stranamente contribuito la mia conoscenza di molti Maestri stranieri. Negli Stati Uniti, per esempio, già nel 1973
si vedeva e si teorizzava di microenvironment o micro-ambienti, come di “veri bonsai americani”, non solo, molti maestri
statunitensi, senza dubbio geniali, fra cui Robinson e Banting, hanno più volte insistito che il loro modo di creare bonsai
non seguiva i canoni estetici giapponesi. Era evidente che gli statunitensi, pur ammirando le vette raggiunte in questa arte
dai giapponesi, non gradivano una dipendenza psicologica da loro.
Ad un certo punto mi sono posto una domanda: se i giapponesi dicono di non seguire le loro regole ed i loro stili
o rischiamo di fare solo delle brutte copie dei loro bonsai, loro non rischiano di imitarsi a vicenda e fare brutte copie uno
dell’altro?
Concludendo, vorrei dire che tutto questo è teoria, anche se la teoria serve a capire le tecniche prima di applicarle
e partire con le idee giuste. C’è anche da chiarire che le regole e gli stili giapponesi non sono Vangelo o matematica e,
neanche loro li applicano fedelmente. Credo inoltre che, al di là dei discorsi, praticando quest’arte da secoli, essi abbiano
ormai teorizzato tutto il possibile.
Ricercare il nostro “stile” e modellare le piante così come siamo abituati a vederle è certamente utile anche se, a
parer mio, sarebbe presuntuoso pensare che questo comporti stili e regole diversi da quelli che già conosciamo.
Ognuno potrà usare gli stili e le tecniche che crede più opportuno senza prescindere da una fondamentale: il risul-
tato deve essere piacevolmente armonioso.”

Non ho commenti da fare alle parole di Giorgi, ma soltanto profonde riflessioni.


A scuola di estetica
LO STILE INCLINATO - Antonio Ricchiari 40

Lo stile inclinato

Testo e disegni di Antonio Ricchiari

La definizione sintetica dello Stile Inclinato parla del tronco, che può
essere curvo o diritto, che pende lateralmente in modo che la proie-
zione del suo apice cada oltre il limite della base, indifferentemente a
destra o a sinistra. Tipico di questo stile è che il primo ramo in basso,
per compensare esteticamente l’equilibrio visivo, va sempre nella direzione opposta a quella in cui è inclinata la pianta. Se i rami prevalente-
mente si dirigono soltanto da un lato si chiamerà invece “stile battuto dal vento”.
Questo stile rappresenta insieme all’Eretto Formale che abbiamo già visto, il più
diffuso. Le caratteristiche peculiari sono

1. inclinazione del tronco


2. rami di compensazione
3. base del tronco (nebari) molto asimmetrica.

La verosimiglianza della struttura si ottiene ottenendo un corretto equilibrio tra


l’inclinazione e la lunghezza dei rami cosiddetti di compensazione. L’inclinazione del
tronco e la sua dimensione devono essere direttamente proporzionali alla lunghezza
dei rami principali. La regola vuole che la porzione più alta del tronco debba piegarsi per
ritornare verso il baricentro della pianta, dando in tal modo la percezione dell’inclinazione
che sarà compensata dai rami e dal nebari.
I rami che conferiscono interesse visivo allo stile sono quelli che scendono (detti
Fig. 1 - Abete rosso – Coll. Vivai Ghellere anche “in caduta”) che vanno a compensare efficacemente l’inclinazione. La peculia-
rità di un ramo che scende permette di impegnare visivamente buona parte della pianta,
quindi un solo ramo ci può risolvere i problemi derivanti da una scarsità di palchi o da una zona apicale avara di rami. L’angolo di inclinazione
di norma si regola in base all’inclinazione del tronco. I disegni chiariscono questo concetto. Il ramo curvo può essere posizionato nello stesso
lato dell’inclinazione, oppure nella parte opposta per creare compensazione. Nello stile inclinato, se ci troviamo di fronte ad un soggetto con
un tronco robusto, è necessario avere comunque un certo numero di rami. Per evitare di occultare esageratamente il tronco si possono utiliz-
zare dei rami che partono dal retro e vanno ad occupare lo spazio dei rami laterali. Un ramo che gira dietro al tronco e indirizzato verso destra
o sinistra ha la funzione di riempire lo spazio vuoto della curva: in questo caso diventa un punto di interesse.
Come è evidente, l’inclinazione del tronco, anche se azzardata, deve dare in ogni caso
quella sensazione di equilibrio che in natura possiede l’albero anche se inclinato, evitando l’aspetto
di instabilità o provvisorietà stabile. E’ chiaro che ci troviamo di fronte ad un ramo dritto, anche se
deve esistere un seppur modesto movimento del tronco, e la curva che forma la piegatura nella zona
apicale deve essere evidente per contribuire esteticamente alla compensazione dell’inclinazione
insieme ai rami. In tutto ciò, come avviene per gli altri stili, la scelta del fronte dovrà quindi essere
effettuata scegliendo quanto più possibile un lato che possiede una certa movimentazione del
tronco per evitare una linea eccessivamente rigida. Tenete sempre presente che più il tronco è
diritto e più occorreranno rami.
La lavorazione della legna secca ha anche in questo caso fondamentale importanza dal
punto di vista estetico, anche se raccomando sempre di fare interventi mirati, dosati, senza forza- Fig. 2 - Faggio - Coll. dell’autore

ture o esagerazioni come troppo spesso capita di vedere, con uno spirito creativo che deve vederne
la realizzazione nel rispetto della struttura legnosa della specie che si sta lavorando. Naturalmente dal fronte
della pianta sarà sempre necessaria la vista di una o più vene vive della corteccia.
Come si vede dalla figura 4, i jin rivestono una importanza notevole soprattutto per quanto riguarda
la loro posizione: lavorato nella parte apicale contribuisce a dare forza alla linea del tronco. Jin lavorati dalla
parte opposta all’inclinazione conferiscono un maggiore senso coerente di forza ed equilibrio. Un’altra tipolo-
gia di jin riscontrabili nell’inclinato sono i jin in direzione verticale nel lato dell’inclinazione che possono riscon-
trarsi negli alberi inclinati. Questo tipo di jin può essere lungo ma deve essere molto sottile perché contribuisce
ad accentuare l’inclinazione della pianta. La colorazione della legna secca devono essere più chiara che in altri
stili perché essendo questa struttura più esposta alla luce e con vegetazione essenziale, riceverà molta luce che
avrà un maggiore effetto sbiancante sul legno. Fig. 3 - Interpretazione dello stile inclinato
41 ALOscuola di estetica
STILE INCLINATO - Antonio Ricchiari

Fig. 4 Fig. 5 - Schizzo elaborato per un progetto di un ginepro che mostra il ramo posteriore posizionato in basso

Fig. 6 - Schematizzazione delle linee di forza opposte ed equilibranti

Fig. 7 - Il primo ramo è sempre opposto all’asse di inclinazione

Fig. 9 - Una variante azzardata può vedere il primo ramo che segue la direzione del
tronco. E’ una deroga allo Stile che viene eseguita raramente ed in questo caso è
Fig. 8 - Unica linea di forza direzionale che conferisce una eccezionale dinamica visiva giustificata dalla curva del tronco
alla pianta. Il jin serve in questo caso da effetto contrappositivo
A scuola di estetica
LO STILE INCLINATO - Antonio Ricchiari 42

Fig. 10 - Corretta indicazione dell’angolazione. Il cerchio circoscrive una zona di


interesse e di equilibrio

Fig. 11 - La fotografia mostra un altro esempio di primo ramo che segue la direzione del tronco. Malgrado la direzione che segue
l’inclinazione sembra far pesare la composizione tutta da un lato; se osservato attentamente il ramo in caduta invece rafforza
ed equilibra tutta la struttura.

La scelta del vaso La tipologia dei vasi è forse tra le più varie possibili, perché la struttura del bonsai
non ha grande compattezza, e l’effetto finale vede il vaso abbastanza isolato dalla
chioma. Sarà opportuno scegliere dei vasi di grande semplicità, senza elementi di
decoro come righe, cornici o piedi eccessivamente lavorati. I vasi rotondi ed ovali sono
generalmente i più usati, anche se bisogna prendere in considerazione vasi con bordi
rientranti da abbinare a piante molto slanciate e vasi aperti e svasati per bonsai con
vegetazioni giovani e rami abbondanti. Le dimensioni dei vasi sono maggiori rispetto
allo stile eretto informale anche perché l’altezza che è mimetizzata dall’inclinazione
risulta notevole. La profondità del vaso corrispondere al diametro del tronco.

Antonio Ricchiari
L’essenza del mese
43 AZALEA - Roberto Smiderle
Azalea satsuki - II parte
Famiglia: Ericaceae
Genere: Rhododendron
Specie: Rhododendron lateritium

In questo numero presenteremo la seconda ed ultima


parte della monografia su una delle più belle essenze dell’intero
panorama bonsaistico: l’azalea satsuki. Ricordiamo che a differ-
enza delle passate schede, quella che vi stiamo per presentare non
ha in se il carattere della “guida”, ma bensì mostarvi semplice-
mente il frutto della sola esperienza personale dell’autore, il neo
istruttore della Scuola d’Arte Bonsai, Roberto ‘Banzai’ Smiderle.

Azalea satsuki
Coll. Roberto Smiderle

Finalmente le nostre azalee sono fiorite, la soddisfazione è grande! I nostri sforzi e le nostre amorevoli cure
sono state ampiamente ripagate…ma non è il momento di fermarsi ora: affinché le nostre satsuki restino sempre in
gran forma bisogna applicare tempestivamente alcuni accorgimenti.
Le nostre azalee vanno continuamente rinnovate, e questo è un ottimo sistema per conservarle vigorose ed
in buona salute! Finito il momento della gioia della fioritura, si può iniziare una leggera concimazione, soprattutto se
le temperature non sono troppo alte, e la stagione non è troppo avanzata.
Vi ricordo sempre di usare concimi con un ridotto tenore di azoto,
il biogold, per esempio, spinge molto, quasi troppo, ed è sconsiglia-
bile su piante in via di rifinitura. Al contrario invece, l’hanagokoro o
l’aburukasu sono molto adatti, perché dotati di un’azione più tenue
ed equilibrata. E’ comunque preferibile procedere con l’applicazione
di questi ultimi concimi già in fase di fioritura, in quanto la loro azio-
ne è rallentata di almeno una ventina di giorni. La nostra Kinsai in
stile madre e figlio (sookan) è oramai sfiorita (Fig. 1), bisogna inter-
venire e togliere le parti di fiore rimanenti (Fig. 2) altrimenti i rametti
che li sostengono si seccherebbero (Fig. 3).

Fig. 2
Fig. 1
L’essenza del mese
AZALEA - Roberto Smiderle 44

Questo della foto 4 è un esempio di un rametto dell’anno scorso al


quale non sono stati tolti i semi:

Fig. 3

Il risultanto visto da vicino (Fig. 5).

Fig. 4

Allora, a questo punto abbiamo tolto tutte le parti di fiore che


restavano (Fig. 6).

Fig. 5

E’ finalmente giunto il momento di esprimersi con filo, tronchese


e forbici; l’azalea reagisce molto meglio ad una lavorazione di fine
primavera che ad una effettuata in autunno (Fig. 7).

Fig. 6

Fig. 7
L’essenza del mese
45 AZALEA - Roberto Smiderle
Un nuovo fronte, una nuova posizione nel vaso, e qualche ramo di meno… ora la ma-
dre indica sicura, al figlio, qual è la strada da percorrere. Bisogna anche procedere
con il rinvaso, perché questa satsuki era stata coltivata per alcuni anni in torba acida
(di quella che solitamente si acquista nei garden center); risultato: marciume radi-
cale, crescita stentata e generale difficoltà di coltivazione. L’albero svasato da poco,
visto dal basso (Fig. 8). All’esterno del ceppo, tutto sommato la situazione sembrava
andare benone, ma dopo aver attentamente scavato un po’ di più verso l’interno,
l’amara sorpresa (Fig. 9).
Le radici ancora inglobate
nella torba oramai in pu-
trefazione non davano una
buona impressione, e quindi Fig. 8
fu necessario un intervento
drastico per rimuovere tutto
il vecchio terriccio (Fig. 10).
Non rischiamo oltre, il
rinvaso è già molto azzarda-
to così. Se dovessero arri-
vare, entro 20-30 gg, gior-
nate molto calde, l’albero potrebbe anche non sopravvivere! Fig. 9

Fig. 10

Ecco il nostro lavoro (Fig. 11)! Rinvasi di questo tipo, così drastici,
sono consigliabili in primavera, a febbraio marzo, quando l’albero reagisce
meglio, ed ha più tempo per prepararsi all’estate, ma in questo caso ho
preferito eseguirlo ora perché la pianta stava lentamente perdendo forza
a causa della sofferenza radicale. Le cure e le attenzioni post rinvaso, in
questo caso, dovranno essere costanti e maniacali, perché il rischio di uno
stress fatale, soprattutto nel caso dell’arrivo di un’improvvisa ondata di
caldo, è reale.
Vi ricordate la satsuki rinvasata questa primavera? Ora mi sta
deliziando con una elegante fioritura… ve la ripresento (Fig. 12).

Fig. 11

A distanza di tre mesi, sembra che non abbia risentito minima-


mente dell’intervento. Lo ripeto per l’ennesima volta: ricordate,
uno dei segreti per mantenere sane e vigorose le nostre satsuki è
rinnovarle continuamente…

Buon lavoro, gentili amici bonsaisti.


Il vostro Roberto ‘Banzai’ Smiderle Fig. 12
Note di coltivazione
I BIOSTIMOLANTI - Luca Bragazzi 46

I biostimolanti nelle pratiche


agronomiche bonsai
di Luca Bragazzi

In campo bonsaistico le sostanze biostimolanti hanno fatto la loro


comparsa solo da qualche anno, non sono chiaramente prodotti specifici per
le pratiche bonsai, ma di derivazione agricola professionale, ragion per cui il
loro utilizzo, in tal senso, non è stato ancora compreso a pieno. Il bonsaista che
utilizza tali sostanze, nella maggior parte dei casi è convinto di aver trovato la
risoluzione a tutti i problemi di carattere nutrizionale e stimolante, senza sapere
che tali sostanze hanno dei forti limiti e che se non impiegati correttamente
svolgono un’azione sul vegetale tutt’altro che benefica. Innanzi tutto speci-
fichiamo che definire un prodotto con azione biostimolante non è semplice, la
definizione data a livello legislativo è: “I prodotti ad attività biostimolante sono
inseriti nell’elenco dei concimi nazionali o concimi (ovvero degli ammendanti e
correttivi), previa approvazione della competente autorità del relativo metodo
di analisi. Per tali prodotti è obbligatorio descrivere in etichetta dosi d’impiego e
modalità d’uso”. Tale definizione pone queste sostanze nella categoria concimi,
mentre la loro funzione è a livello fisiologico non nutrizionale ma di incremento
del metabolismo primario e secondario. I Biostimolanti sono sostanze organi-
che, capaci di far aumentare la crescita vegetale in modo nettamente diverso
rispetto all’aumento di crescita imputabile all’impiego di comuni fertilizzanti. La
differenza sostanziale, è quella che per poter agire nel migliore dei modi, vanno
somministrati a concentrazioni molto ridotte, gli importanti risultati che si ot-
tengono sono l’aiuto dato alle piante allorché queste si trovano in condizioni
particolarmente stressanti, quali siccità, crescita in suoli salini, colpi di secco e
non meno trascurabile, la presenza di popolazioni di patogeni. Gli esemplari che
vengono a trovarsi in condizioni ambientali svantaggiate (cambio radicale del
luogo di crescita), riducono la produzione fotosintetica con un conseguente in-
debolimento delle cellule predisposte alla fotosintesi, un tale decremento della
produzione di energia potrebbe essere letale se non opportunamente trattata.
Le sostanze ad attività biostimolante migliorano ed aumentano il metabolismo
tramite una maggiore espansione dell’apparato radicale a livello capillare, ren-
dendolo più finemente ramificato; una struttura così disposta, è, sotto il profilo
dell’assorbimento dell’acqua e dei nutrienti in essa disciolti, molto più efficiente
e di conseguenza in grado di incrementare lo sviluppo degli organi vegetativi,
in più, l’aumento dei capillari radicali è in grado di poter invadere porzioni del
substrato che altrimenti verrebbero trascurate e con esse i nutrienti presenti in
queste zone. L’utilizzo nella coltivazione bonsai è molto importante se si pensa
che piante in vaso sono molto più soggette a stress di qualsiasi tipo, ma l’utilizzo
deve essere limitato ai soli esemplari fortemente debilitati (post-rinvaso, post-
lavorazione ecc.), ed il periodo in cui bisogna maggiormente programmare un
loro utilizzo è certamente la primavera, quando, complici le favorevoli condizio-
ni climatiche, l’assorbimento del principio attivo stimolante è agevolato da una
migliore reazione da parte del vegetale. Ci sono purtroppo delle controindica-
zioni, che pongono delle restrizioni nell’utilizzo di tali prodotti; e sono l’impiego
in dosi massicce pensando erroneamente che maggiori trattamenti accelerino
la ripresa vegetale. I biostimolanti se impropriamente utilizzati inibiscono la
crescita, riducendo o annullando le probabilità di successi, va anche ricordato
che il loro effetto è diverso a seconda delle condizioni in cui la pianta cresce.

Luca Bragazzi
Tecniche bonsai
47 TANBAHOO - Antonio Acampora

Tanbahoo
Articolo a cura di Antonio Acampora

Esistono piante per Bonsai le cui foglie, molto grandi, non conferiscono
equilibrio all’insieme. Quando si pratica il mochikomi su un Bonsai in vaso,
le foglie si rimpiccoliscono gradualmente; esistono però essenze che non si com-
portano in questo modo sebbene si pratichi regolarmente la tecnica del mochikomi.
Il Pino nero appartiene a questa seconda categoria, quindi, su questo, viene applicato
il metodo del tanbahoo. In passato, per accorciare gli aghi, si concimava e bagnava
poco la pianta in primavera in modo che gli aghi non crescessero; ma oggi, con la
scoperta casuale, durante la coltivazione, del metodo tanbahoo, questa pratica è
stata abbandonata. Quando si vuole applicare questo nuovo metodo è necessario
rinforzare la pianta concimandola sufficientemente, già nell’anno precedente, nel
momento della sua maggiore crescita; si deve inoltre potare la gemma primaverile
uniformando la lunghezza degli aghi, obiettivo che si raggiunge utilizzando la gem-
ma estiva. Se non si interviene, la candela dei Pini neri generalmente cresce fino a 10,
12 cm di lunghezza.

Il metodo del Tanbahoo Anche se esistono tecniche diverse che danno gli stessi risultati, il metodo qui illus-
trato è quello più semplice da capire ed eseguire. Per ultimare questo procedimento
si impiegano due anni : il primo anno ci si limita a portare allo stesso vigore le gemme
di tutta la pianta; il secondo anno verrà dedicato alla riduzione della lunghezza degli
aghi.

Primo anno Concimare e bagnare abbondantemente in primavera al fine di rinforzare il più


possibile le candele. Per uniformare la dimensione delle stesse è necessario con-
servare tutti gli aghi vecchi su quelle piccole; per le candele vigorose si strap-
pano gli aghi lasciandone solo tre o quattro coppie in modo da indebolirle.
È inoltre importante pizzicare le candele vigorose, per portarle alla lunghezza di
quelle medie prima che queste si allunghino (Fig. 1, 2). Dopo aver pizzicato le candele
robuste, in poche settimane cresceranno, sul taglio, delle gemme nuove e quindi delle
candele che si svilupperanno molto velocemente. Se queste fossero forti, le si deve
accorciare nuovamente, rendendole della stessa lunghezza di quelle medie. In questo
modo, l’anno successivo tutte le candele saranno della stessa dimensione. Le cande-
le deboli si consolideranno mentre quelle vigorose, indebolendosi, si accorceranno.
Bisogna attuare la pulizia degli aghi vecchi all’inizio di ottobre (Fig. 3).

Fig. 1 Fig. 2
Fig. 3
Tecniche bonsai
TANBAHOO - Antonio Acampora 48

Fig. 4

Fig. 5 Fig. 6

Secondo anno La potatura dei germogli deve essere eseguita alla metà di giugno: tutte nel-
lo stesso momento, quando si sono aperti e gli aghi si sono allungati (Fig. 4, 5).
In sintesi, i punti essenziali per la riduzione degli aghi col metodo tanbahoo sono:
1) Concimare e bagnare in primavera per rafforzare le gemme. Se le cande-
le non sono uniformi in lunghezza, si cerca di portarle al pari di quelle medie.
2) Nel primo anno intorno alla fine di maggio o alla metà di giugno (in base alla zona
geografica) pinzare tutti i germogli nello stesso momento lasciandone tre o quattro
millimetri.
3) In estate si deve regolare la quantità di gemme presenti alla base dei ta-
gli effettuati, lasciando due gemme della stessa dimensione (Fig. 6).
4) Dall’inizio di ottobre, fino alla metà dello stesso mese, dopo essersi accertati che
siano maturati e consolidati gli aghi nuovi, si staccano tutti quelli vecchi (se questi ger-
mogli fossero troppo disuguali, ci si regola con gli aghi vecchi, tenendone molti sulle
candele piccole e togliendone da quelle forti), concludendo il metodo tanbahoo (Fig. 3).
Questo è il metodo per accorciare gli aghi dei Pini neri. In sintesi, durante il primo
anno ci impegniamo a rinforzare le candele deboli e a frenare quelle vigorose; in
questo modo prepariamo il tanbahoo, che verrà praticato su tutte le candele nello
stesso momento verso la metà di giugno dell’anno successivo. In caso di Bonsai di
dimensioni grandi (1 metro) anticipare di 15 giorni il tanbahoo. Nel caso di shohin, al
contrario, aspettare 15 giorni dalla data consigliata.

Antonio Acampora

Fig. 7 - Pino nero giapponese. Coll. Luca Bragazzi Fig. 8 - Pino nero giapponese
49 Vita da club
OLTRE IL VERDE-BONSAIGYMNASIUM - Marco Tarozzo

Il BonsaiGymnasium nasce dalla passione per l’arte bonsai di due amici, Federico Springolo ed il sottoscritto, Marco
Tarozzo (Fig. 1). Entrambi pratichiamo l’arte del bonsai da più di 15 anni e Federico, anche se molto giovane, è istruttore IBS dal
1997.Dopo aver frequentato i primi corsi base presso una scuola di Padova, il BonsaiGym-
nasium di Gigi Toso, scuola che oggi non esiste più, abbiamo iniziato un percorso che nel
tempo ci ha portato a fare stage e workshop con rinomati professionisti; tra questi ci piace
ricordare: Tarakawa, Suzuki, Noelander, Toso, Andolfo, Dal Col, Cettorelli, Liporace, De
Capitani e per ultimo, ma non a caso, Sandro Segneri.
Dicevamo non a caso Sandro Segneri, si perché riparte tutto da lui e più avanti ve-
dremo come e perché. Dopo la delusione dovuta alla chiusura della scuola e all’interruzione
del rapporto con Gigi Toso abbiamo perso i contatti col mondo del bonsai, ma, passato il
primo periodo di sconforto, durante il quale ci siamo dedicati al solo mantenimento in vita Fig. 1 - Marco Tarozzo e Federico Springolo
delle piante, abbiamo deciso di rincontrarci in sporadici ma intensi incontri di lavoro e “rimet-
tere mano”sul materiale di cui eravamo in possesso (Fig. 2, 3, 4, 5, 6).

Fig. 2
Fig. 6

Fig. 4

Fig. 3 Fig. 5

Con l’aumentare della nostra voglia di crescere, sia dal punto di vista dell’esperienza che della tecnica, ci rendevamo conto che ci
mancava qualcosa: il confronto con gli altri, la discussione critica dei lavori svolti. Discutevamo molto tra di noi e queste discus-
sioni ci hanno portato, nel tempo, a maturare l’idea che nei vari incontri avuti
negli anni precedenti con istruttori e dimostratori quello che più ci aveva col-
pito umanamente, tecnicamente e creativamente era stato Sandro Segneri
(Fig. 7). Decisi, ad insaputa di Federico, di contattare Sandro per vedere se si
poteva organizzare con lui un incontro didattico, un workshop…Si insomma,
riprovare a “metterci in gioco”.
Ma come mi sarei potuto proporre, cosa gli avrei potuto dire?
- “Ciao, sono Marco Tarozzo, ti ricordi? Ci siamo visti più volte da Gigi Toso. ….mi
fai entrare nella tua scuola?”. Figuriamoci, dopo anni mica ci si può ripresen-
tare così ad un personaggio del calibro di Segneri (sempre che si ricordasse
di me)?!? Tanto per farvi capire approssimativamente la mia situazione, mi
sarei trovato di fronte ad un signore che nel mondo del bonsai è ovunque:
cerchi un libro e ti propongono il suo, apri una rivista e c’è lui, vai in internet
e c’è sempre lui, ammiri un capolavoro ed è stato lavorato da lui…. suvvia, Fig. 7 - Sandro Segneri e Massimo Bandera

mica sarei potuto essere così sfrontato? Ma alla fine... pensa che ci ripensa, mi faccio coraggio e parto con la mia presentazi-
one. Al telefono…. - “Ciao, sono Marco Tarozzo ti ricordi? Ci siamo visti più volte da Gigi Toso…. mi fai entrare nella tua scuola?
Vita da club
OLTRE IL VERDE-BONSAIGYMNASIUM - Marco Tarozzo 50
E lui - “Ciao Marchii…. come va, tutto bene? Dove ti sei perso?” …penso: “caspita, sono un genio... si ricorda, e si ricorda pure i parti-
colari di qualche giornata passata insieme!” Emozione a tre mila giri…. è fatta!
Sandro stava partendo per il Giappone e mi disse che mi avrebbe ricontattato al suo rientro, qualche mese dopo. Beh,
pensai che dopo aver aspettato tanto non sarebbe stato qualche mese in più d’attesa a cambiarmi la vita. Di questo non dico nulla
a Federico, preparo la sorpresa! Al rientro Sandro mi chiama e mi comunica che c’è la possibilità di un inserimento presso la sede
della scuola a Belluno; non ci penso nemmeno su e gli rispondo che va bene! Prendo contatti con il “capoclasse”, come simpatica-
mente lo chiamiamo noi, e aspetto con ansia che arrivi il primo giorno di scuola, con la differenza che l’infanzia ed i sei anni li ho
passati da un bel pezzo, ma in quel venerdì l’emozione era la stessa di allora!
Lì a Belluno l’incontro con gli altri studenti, e la passione esplode in tutta la sua veemenza. Al rientro, vado direttamente da Fede-
rico perché ho la voglia di condividere con lui ciò che è successo. Ha nel frattempo avviato un’attività di realizzazione e cura di
giardini (la “Oltre il verde s.n.c.”) e sta mettendo su casa e famiglia. Federico passa la mano: - ”Marco ora no, ne parliamo il pros-
simo anno, sono incasinato, non riesco neppure a seguire le piante...”. Do uno sguardo al giardino e mi rendo conto che è proprio
preso: non ci penso su e carico le sue piante in auto, faccio tre giri, da casa sua a casa mia, ed alla fine la sua collezione è nel mio
giardino in attesa che il proprietario “rinsavisca”.
Passa un anno di scuola e torno da Federico, a vedere come si è sistemato: bene l’uomo c’è! E’ rinsavito, carico! Faccio di
nuovo quei famosi tre giri, però sta volta da casa mia a casa sua, e le piante sono di nuovo sui suoi bancali! Passano altri tre mesi
e il Fede è a scuola con me sotto la guida di Sandro (Fig. 8). Ora, dopo quattro anni di duro lavoro con il “capoclasse “(foto lavori a
Belluno) ad entrambi nasce la voglia di rifondare insieme altri amici il vecchio club “BONSAIGYMNASIUM”.
I tempi son cambiati, sono passati 10 anni da quando il vecchio Gymnasium ha chiuso, noi siamo cambiati, il bonsaismo è cambia-
to! Decidiamo che anche il nome deve cambiare da quello di allora, deve essere un insieme di ciò che fu e quello che c’è ora. Cosa
allora può essere più indicato “OLTRE IL VERDE (oggi) BONSAIGYMNASIUM (ieri) ?”. Detto fatto! Ecco, così è nato il nostro club.
Romantici? Sì, lo siamo. Nostalgici? Sì, lo siamo. Però noi siamo così e così lo sono anche i nostri compagni di viaggio (Fig. 9).
Ora inizia il difficile perché, oltre alla nostra crescita tecnica e creativa, sentiamo sulla pelle la responsabilità di far matu-
rare la passione per quest’arte anche ai nostri amici del club. Stiamo lavorando molto sulla didattica di base che servirà a prepara-
re il gruppo e ad intraprendere un percorso formativo più articolato e completo dentro la “Bonsai Creativo School - Accademia”.
C’è infatti anche la voglia, in un prossimo futuro, di aprire presso la nostra sede (in provincia di Padova) un distaccamento della
scuola di Sandro Segneri.
Sono passati dagli inizi 15 anni... e finalmente si inizia a camminare!!

Marco Tarozzo

Fig. 8

Fig. 9
Il Giappone visto da vicino
51 LA KATANA - Antonio Ricchiari

La Katana:
una delle vie orientali
Articolo a cura di Antonio Ricchiari

Considerando il fatto che nell’Impero del Sol Levante il predominio della classe militare durò ben settecento anni, e che
la spada, come arma e come simbolo della nazione ebbe una importanza che durò ben oltre, è naturale che l’uso della spada abbia
goduto di un’attenzione e di una considerazione grandissima.
Il budo (modo di vita caratteristico del guerriero giapponese) si è evoluto dopo il periodo di pace feudale durato quasi due
secoli e mezzo (1603-1868, periodo Tokugawa), diventando un’espressione della identità storica giapponese. La dea Amaterasu,
personificazione del sole, secondo la mitologia fece dono ai suoi discendenti di una collana, di uno specchio e di una spada (Kento),
simboli del Giappone imperiale. E’ importante considerare che per i giapponesi la spada non è stata soltanto uno strumento di
guerra. Nella cultura e nella vita dei samurai, la spada ricoprì il ruolo di un Kami, di un’entità divina preposta alla conservazione
delle vite e alla distribuzione della morte; questa possedeva poteri che andavano ben oltre l’affilatura della lama e l’abilità del
guerriero che la impugnava.
Per i samurai, la spada era il centro della loro vita: con essa combattevano servendo il loro signore, difendevano l’onore
e quello del loro clan, dimostravano la loro lealtà verso i compagni durante la battaglia. Con essa, spesso, si toglievano la vita
facendo hara-kiri o peggio ancora seppuku. Ogni samurai, vedeva la sua prima spada addirittura al momento della nascita. I padri
donavano al figlio neonato un talismano chiamato Mamori Gatana, che aveva la forma di una spada. All’età di 15 anni i giovani
allievi cominciavano ad addestrarsi con vere e proprie spade in modo da prepararsi al loro destino di samurai. La pratica del
combattimento con la spada, una disciplina chiamata Kenjutsu, richiedeva maestri molto preparati dato che solo grazie ai loro
insegnamenti i nuovi guerrieri potevano vincere contro avversari di maggiore esperienza.
Ogni samurai possedeva due spade di foggia e lunghezza diverse: la Katana, una spada lunga che i guerrieri portavano
infilata in un fodero appeso alla cintura sul fianco sinistro; e il wakizashi, un’arma corta dalla quale i guerrieri non si separavano
mai e che chiamavano “Guardiano dell’onore”, spesso usata durante il rito dell’hara-Kiri. Il Wakizashi, veniva infilato nella cintura
all’altezza dello stomaco. Questa posizione, oltre che comoda per i movimenti, aveva un significato simbolico molto importante,
infatti, il ventre, che i Giapponesi chiamano Hara, era considerato dai Samurai come il fulcro del corpo e della mente: in esso
risiedevano la volontà, le emozioni e lo spirito di ogni essere umano.
Le loro spade, mutarono spesso forma e materiali nel corso del tempo. Probabilmente soltanto all’inizio dell’VIII secolo
d.C., vennero introdotti le Katana, dotate di una lama a doppio taglio. Precedentemente, le spade erano fatte in bronzo o in ferro,
lunghe tra il mezzo metro e i 90 cm, dotate di una lama dritta e costituite da un pezzo unico tra lama e impugnatura o da due
pezzi forgiati separatamente. Successivamente, intorno al IX secolo d.C., grazie soprattutto alla maggiore specializzazione degli
artigiani giapponesi, le lame cominciarono ad incurvarsi acquistando la forma che ancora oggi conosciamo.
I fabbri che le producevano ebbero un ruolo centrale per gran parte della storia del Giappone. Essi erano molto spesso
di origini nobiliari e nel loro lavoro seguivano un rituale fatto di un abbigliamento e di una igiene personale particolari. Anche i
luoghi in cui si svolgeva la forgiatura erano preparati con cura rituale, spesso somigliavano a dei veri e propri templi arricchiti da
talismani utilizzati per attirare il favore degli dei e allontanare le influenze negative degli spiriti maligni. Gli artigiani custodivano
in gran segreto le loro tecniche per la forgiatura delle spade, ed erano disposti ad uccidere piuttosto che vederle svelate. Il loro
sapere veniva tramandato soltanto ai figli e si trasmetteva così da una generazione all’altra.
Gli elementi fondamentali per la produzione di un’arma erano quattro:
- la miscela di acciaio
- il raffreddamento
- la levigazione
- il collaudo.
Le miscele erano di due tipi: quelle in acciaio duro (detto Hagame), e quelle in acciaio morbido. Il raffreddamento era
fondamentale in quanto da esso dipendeva la durezza della lama, esso veniva prodotto da acque riscaldate fino a raggiungere
diverse temperature nelle quali le lame appena forgiate venivano immerse seguendo tempi ed intervalli molto precisi. Dalla
levigazione dipendeva l’affilatura della lama, solo gli artigiani più esperti sapevano trattare lo strato esterno delle spade appena
forgiate in modo da ricavare lame che non fossero soltanto taglientissime, ma anche il più possibile durevoli.

I disegni riprodotti nell’articolo sono tratti da: Winston L. King, Zen and the Way of the Sword arming the Samurai psyche, Oxford University Press, Inc., New York, 1993
Il Giappone visto da vicino
LA KATANA - Antonio Ricchiari 52
Il collaudo, era sicuramente la parte
più cruda e hard della produzione, non bisogna
infatti dimenticare che l’utilità di una spada, per
quanto preziosa essa potesse essere, era quella
di uccidere gli avversari. Per provarne l’efficacia,
allora, venivano spesso utilizzati dei cadaveri,
oppure, in alcuni casi particolari, con esse
venivano eseguite le sentenze dei condannati a
morte.
La Katana non è l’unica spada che i
guerrieri avevano a disposizione. Esistevano altri
tipi di lama, tra cui, ad esempio la spada Tachi
era leggermente più lunga e ricurva, oppure
la Nodachi (letteralmente “spada da campo”),
decisamente più lunga di una Katana.
Quest’ultima, infatti, ha una lama con
Fig. 1
una lunghezza che varia dai 60 ai 75cm ed una
classica ed inconfondibile lama dalla curvatura moderatamente accentuata. L’affilatura è solo da un lato, vi è un’impugnatura per
poterla afferrare con due mani. La Katana nasce per tagliare, consentendo grande velocità e armonia di movimenti.
Insieme alla katana formava quello che era chiamato aisho (letteralmente “grande e piccolo”): la Katana era la parte
lunga, il Wakizashi la parte corta. Successivamente, nel periodo Azuchi - Momoyama (dal 1573 - 1614) la spada subisce grosse
rivoluzioni sia estetiche che di fabbricazione, mentre nel successivo periodo Tokugawa (fino al 1868) le spade con lunghezza
superiore ai 60 cm furono riservate ai soli Samurai, come segno sociale distintivo. Fu con il periodo Meiji (1868-1912) che la casta
dei Samurai fu dichiarata estinta e quindi fu vietato il portare il Daisho in pubblico. Al giorno d’oggi la produzione continua a ritmi
molto bassi, soltanto per proseguire la tradizione. Sia i pezzi dei grandi maestri forgiatori del passato, sia i pezzi pregiati di oggi
raggiungono cifre impensabili.
Vediamo rapidamente la montatura della lama: abbiamo l’impugnatura (tsuka), la guardia (tsuba) e il fodero (saya).
L’impugnatura è in legno e ricoperta di pelle, rivestita di seta intrecciata. Negli spazi che rimanevano dall’intreccio trovavano
posto vari ornamenti. La guardia è di metallo finemente lavorato, una vera e propria opera d’arte che spesso riportava il simbolo
del clan di appartenenza del guerriero. Il compito della guardia era evitare lesioni alle mani derivanti dallo scivolamento delle
lame. Il fodero è in legno di magnolia laccato. Ciò che rende la Katana una spada così eccezionale, la migliore al mondo è la
lama.
Come ogni grande lavoro, anche la produzione della Katana vede coinvolti diversi maestri: abbiamo il produttore del
ferro, il fabbro che lavora il metallo grezzo, un fabbro che lo piega su se stesso più e più volte, un addetto alla lucidatura ed
uno specialista per affilarla. L’acciaio utilizzato per la Katana è solo ed esclusivamente la qualità Tamahagane, ovvero “acciaio
gioiello”. Ricavato dalla sabbia nera, viene sciolto in forni molto particolari, dal nome Tatara.
Il compito del lucidatore è quello di rendere la spada artisticamente bella da vedere. Per farlo sono necessarie diverse
settimane e diversi tipi di pietra (una delle quali ha un costo esagerato e viene usata in quantità minime. Assistiamo a due fasi: la
prima viene chiamata Shitaji togi, mentre la seconda Shiage togi. Nella Shitaji togi la prima cosa che si fa è raddrizzare la lama se,
per qualche motivo, è storta (attenzione: non si tratta di togliere la curvatura del dorso, ma raddrizzare la lama perpendicolarmente
all’impugnatura). Inoltre è qui che vengono corretti tutti i piccoli difetti, che potrebbero rendere la lama instabile o fragile in alcuni
punti. Questo viene fatto utilizzando pietre molto grosse e abrasive. Nella Shiage togi, invece, si rende la spada lucida come uno
specchio: in questo modo si esaltano le caratteristiche della lama. Non ci devono essere difetti, in nessun caso. Le pietre utilizzate
sono molto più piccole. Ovviamente è tutto rigorosamente fatto a mano. La lucidatura è fondamentale, soprattutto nella fase di
“Shitaji togi”: infatti un’abrasione errata o eccessiva potrebbe rovinare irrimediabilmente la lama, mentre un lavoro accurato e di
qualità può addirittura migliorarla. In questa fase viene anche curata l’affilatura: data la natura sottile della parte tagliente, si può
procedere alla molatura senza scendere a compromessi; difficilmente, infatti, la lama si rovinerà.
Entra ora in gioco l’ultima figura, ovvero il montatore (Sayashi). Il compito è teoricamente semplice, in realtà non lo è:
dopo una produzione così minuziosa, a partire dal ricavare il metallo dalla sabbia, non si può lasciare l’ultima fase al caso. La lama
viene infilata e fissata accuratamente nello tsuka (l’impugnatura) attraverso un pezzo di bambù e poi viene montata l’elsa, che
come abbiamo detto in precedenza è finemente ornata. Inoltre viene prodotto anche il fodero: ai tempi dei samurai era doppio
(uno di legno da esposizione ed uno sempre di legno ma molto più decorato da portare in battaglia), ora si tende ad usarne uno
solo. Il processo intero di produzione ha superato i 3 mesi. Si dice che nella spada vi sia l’anima del forgiatore: vi sembra davvero
così esagerata, come affermazione?
Come molte altre armi sviluppatesi in territorio nipponico, la Katana ed in genere tutte le tipologie di spada giapponese

Fig. 2 - Alcuni esempi di spade Fig. 3


Il Giappone visto da vicino
53 LA KATANA - Antonio Ricchiari

Fig. 4 Fig. 5

Fig. 6 Fig. 7

Fig. 8 - I componenti della Katana

furono probabilmente un’evoluzione della spada cinese.


Il Giappone, infatti, attorno all’VIII secolo d.C importò
dalla Cina le prime armi in ferro acciaioso dopo seco-
li durante i quali i soldati nipponici si erano armati
esclusivamente con strumenti in ferro e in bronzo.
La spada cinese era lunga circa 90 centimetri ed era
a doppio taglio; la katana a taglio singolo che ancora oggi
conosciamo, rappresentò quindi una mutazione sostanziale Fig. 9 - Le parti della spada

rispetto al prototipo d’importazione cinese. Il fabbro iscriveva il proprio nome in ideogrammi cinesi (kanji) sulla lama della katana,
nel tratto che sarebbe stato ricoperto dall’impugnatura, il codolo. Le lame forgiate dai fabbri rinomati (soprattutto prima del
1350) divennero oggetti molto ammirati ed apprezzati, e alcune di queste inestimabili cimeli di famiglia. La venerazione dei
giapponesi per le spade forgiate dai maestri era ed ancor’oggi è tale che fu allestita una cerimonia per l’esame delle spade.

Fig. 10 - Estrazione della katana e colpo di taglio


Il Giappone visto da vicino
LA KATANA - Antonio Ricchiari 54

Fig. 11 - Combattimento con due katane

L’uso del pezzetto di stoffa per toccare


la spada aveva lo scopo di prevenire il formarsi
della ruggine, un problema delle spade
giapponesi. Sguainare la spada in maniera
fulminea sarebbe stato rozzo ed irriverente,
sfoderarla completamente sarebbe stato un
segno di ostilità, una proibizione stilistica
equivalente alla proibizione per i samurai di
sguainare la spada alla presenza e nella casa
di un amico o del signore feudale. Il modo di
portare e sguainare la spada si modificò con
il cambiare dei sistemi di combattimento sul
campo di battaglia.
Anche il suicidio rituale dei samurai
vede la katana in primo piano. Il seppuku
procurava la morte emendatrice che toglieva
l’onta di un reato da parte del samurai. Il
seppuku fu attuato anche come mezzo di
protesta. Per la cerimonia veniva allestita una
stanza speciale oppure si utilizzava un tempio
buddhista, un giardino oppure un cortile
che veniva cosparso di sabbia bianca che in
Giappone indica il colore della morte. Oltre al
condannato erano presenti varie autorità, una
persona che leggeva l’accusa, il testimone ed il
kaishaku che eseguiva la decapitazione finale.
Quest’ultimo di solito era un samurai anziano
Fig. 12 - Rituale del seppuku
che sapeva ben usare la spada. Aveva vicino un
aiutante nel caso esitasse nel trovare la forza d’animo di eseguire la decapitazione. Il condannato si sedeva a gambe incrociate
su una piattaforma di fronte ai testimoni. Davanti a questi vi era un vassoio con un pugnale corto. Dopo la lettura dell’accusa il
condannato procedeva al suicidio che omettiamo nei dettagli per una questione di buon gusto. Il seppuku era un gesto conclusivo
di libertà ed estrema dignità, era un modo di morire scelto dalla persona e praticato per mano propria, era un modo di riscattare
la reputazione del proprio signore o della famiglia.
Ricollegandoci alla storia contemporanea, prendendo in esame l’eredità dei samurai, abbiamo registrato il risorgere dei
loro valori durante la seconda guerra mondiale, evento in cui il soldato giapponese, come il bushi pronto a morire, si gettava con
assoluta abnegazione con il proprio aereo sulle navi nemiche: erano i famosi kamikaze. I medesimi valori sono alla base della
struttura della odierna società giapponese, come lo sono negli ambienti di lavoro, nella scuole e nella famiglia.

Antonio Ricchiari
Che insetto è?
55 PATOLOGIA VEGETALE VI parte - Luca Bragazzi

Patologia vegetale - Parte VI:


I CERAMBICIDI

Vediamo in questo sesto numero del Magazine un gruppo


di insetti che sempre più sono presenti nelle collezioni bonsai, de-
stando serie preoccupazioni tra gli amatori per il danno che pro-
vocano ma soprattutto per i pochi o poco efficaci metodi di lotta
presenti. I cerambicidi, meglio conosciuti come “rodilegno”, sono
insetti molto vistosi per le loro dimensioni (5-6 cm), ma anche per
le antenne che li contraddistinguono, perché presenti in un nume-
ro fino a 50. Le forme adulte si nutrono di foglie e linfa, ma il vero
danno è provocato dalle larve. Gli adulti depongono le uova negli
anfratti della corteccia, nel terreno nei pressi del nebari, o peggio
in gallerie scavate nel fusto con relativo danno meccanico di in-
terruzione dei fasci linfatici. Tale danno viene ad essere amplifi-
cato nel momento della schiusa delle uova, quando le larve, vere
e proprie divoratrici di tessuti vegetali (fitofaghe e xilofaghe), con-
tinuano la loro azione di scavo, interrompendo repentinamente i
fasci Xilematici e Floematici, devitalizzando intere branche a volte
frutto di anni di lavoro.
L’azione delle larve è molto lunga, in quanto la durata del-
lo stato larvale è di qualche anno, per cui i danni prolungati nel
tempo sono a volte letali per l’intero esemplare colpito. La lotta
è chiaramente di tipo chimico e in questi casi, si adottano sistemi
pratici che risultano essere invasivi dal punto di vista vegetale, ma
risolutivi nei confronti del patogeno. La pratica di iniettare prodot-
ti insetticidi sistemici direttamente nelle gallerie è molto efficace,
con la ripetizione del trattamento per almeno tre-quattro volte
nell’arco della stagione primaverile. Tali insetticidi devono essere
“ovo-larvo-adulticidi”.
L’osservazione giornaliera della nostra collezione è
d’obbligo perché ci consente di intervenire repentinamente quan-
do si presenta il problema, identificato nella presenza di piccole
tracce di segatura sul terreno o sui rami della chioma, o con dissec-
camenti rameali apparentemente inspiegabili.

Luca Bragazzi
൬ས
ዚ༉
09
An

20
no

o
I -

gn
n.

iu
6

Bonsai&Suiseki
magazine

Anda mungkin juga menyukai