Giacomo Gubert, dottorando in sociologia dei fenomeni internazionali, del territorio e del
servizio sociale presso l'Universit degli studi di Trieste.
I
La presa di coscienza dei limiti intrinseci al progetto moderno ha dato l'occasione per i
pi vari e stravaganti ripensamenti: ad ogni possibile interpretazione della crisi
corrisponde un'attribuzione di responsabilit conseguente ed una proposta di soluzione
che, eliminando il male, renda possibile la salvezza dell'uomo e della societ. Emiliano
Bazzanella, sulle orme dell'irrazionalismo contemporaneo, in ci tra i pi radicali e
curiosi: l'essere stesso, a cominciare dalle categorie di Aristotele, ad essersi dimostrato
strumento di quella soggezione, esclusione e disuguaglianza1 che non solo hanno
caratterizzato il pensiero occidentale, ma hanno creato le condizioni per cui l'ecologia
stessa, cos come viene espressa attualmente, rischia di degenerare nel proprio contrario.
Non poteva egli formulare unipotesi meno falsificabile di questa, visto che nulla si dice n
nulla viene dal non essere. Tuttavia il modo migliore per mascherare queste attribuzioni
causali che, in quanto unilaterali, sono facilmente confutabili, quello di inserirle in uno
schema
oppositivo
temporale
(in
passato
medioevo-modernit,
ora
modernit-
al politico e allo studioso di turno riempire questo buzzword largely devoid of content2 dei
significati pi acconci: normalmente, data l'origine del lemma, essi avranno una
intonazione istituzionale riformista tecnocratica3, senza tuttavia poter escludere elementi
di stampo pi utopico, mistico o romantico, ivi rifugiatisi4. Certamente, "nel suo significato
concreto, lo sviluppo sostenibile implica che le esigenze di tutela dell'ambiente non
possano impedire l'esercizio del diritto delle persone e dei popoli allo sviluppo e che,
d'altra parte, in nome dello sviluppo non si possono continuare attivit devastanti per
l'ecosistema"5; ci non toglie il duplice fatto che, in primo luogo, spesso questo significato
concreto non si ponga, lasciando spazio al puro arbitrio, e al contempo giustificandolo, e
secondariamente, che esso sia in se stesso largamente indeterminabile e in quanto tale,
facilmente preda di tali abusi. Ma l'aspetto dell'ideale regolativo di sostenibilit sul quale
vogliamo concentrare la nostra attenzione, e per il quale esso rimane ancora all'interno del
progetto moderno, la sua concezione puramente strumentale della natura.6 certo,
"l'empiet dell'ottimismo utopico"7 stata abbandonata, non si crede pi che "gli alberi
cresceranno sino a raggiungere il cielo"8, aumentata la coscienza di un limite;
nondimeno il progetto di fondo permane quello cartesiano di gestione funzionale del
mondo, semmai intensificato proprio in ragione della minaccia del venire meno della
possibilit di vita sulla terra per noi o per le prossime generazioni.9 permane nell'idea di
sostenibilit una dimensione utopica, ben evidenziata da Robert Spaemann: "la ricchezza
del mondo il capitale che noi abbiamo da amministrare con fedelt. Ci consentito
vivere degli interessi che esso produce, ma non di distruggerlo nella sua sostanza. tipica
La societ non tollera vuoti. Scrive Daniel Esty: "Yet, for all its laudable goals and initial fanfare, sutainable
development has become a buzzword largely devoid of content. A recent Internet search generated 570,000 hits on a
term for wich there is non agreed definition. Focus groups and surveys show that the public has no idea what it means. "
in Esty, 2001.
3
Cfr. de Paiva Duarte, 2001.
4
Per una panoramica divulgativa, sintetica e critica, prevalentemente italiana, delle colorazioni del pensiero ecologista
cfr. M. Veneziani, 1990: 104-122. Una curiosa descrizione della galassia ideologica (deep) ecologista cfr. D. Gubert,
1997.
5
Sitari, 2002: 821.
6
Forse l'elemento capace di far uscire da questo quadro il concetto di irreversibilit, nella sua interpretazione non
puramente utilitarista.
7
Cfr. Spaemann, 1988. La fine dell'utopia della crescita esponenziale illimitata, che significa la separazione del
progetto emancipatorio moderno, contro il quale Spaemann si a pi riprese battuto, da quello tecnocratico, non per
questo senza significato; sembra tuttavia che proprio il concetto-ombrello di sviluppo sostenibile riesca ad occultare il
fallimento di questo ideale modernista
8
Si tratta di una espressione idiomatica tedesca, usata da Spaemann e tradotta tale e quale da Autiero.
9
Dello stesso avviso sono gli estensori delle "Sette tesi per cambiare i Verdi (e la vita)", secondo le quali l'espressione
"sviluppo sostenibile" un ossimoro. Scrivono infatti: "Tale categoria si fonda sulla analisi economica classica del
rapporto costi/benefici e sull'idea che l'espansione e l'accelerazione economica debba svolgersi a beneficio della
generazione presente senza per compromettere la possibilit delle generazioni future di attingere a questo deposito
strumentale che la natura, risorsa, non pi inesauribile ma limitata, per la soddisfazione dei bisogni umani. Una idea
apparentemente nobile che nasconde, lo sostiene Wolfgang Sachs, la preoccupazione non tanto per la durata della
Natura, ma per la durata della produzione, perch tramite la tutela della risorsa, venga data garanzia anche alle
generazioni future di continuare a perseguire, nonostante i rischi di scarsit, questo attuale modello di crescita e di
sviluppo -di malsviluppo;" in Laura Marchetti (a cura di), 2000: 25-32. Essi tuttavia credono di trovare risposta
rifugiandosi nell'utopia.
2
della hybris utopica anche l'idea che esistano pianificazioni globali che pensano anche ogni
effetto collaterale di azioni immense. Ma quanto pi grande la pianificazione, tanto pi
enormi sono gli effetti collaterali imprevedibili. Small non solo beautiful, ma sempre
pi l'unica cosa responsabile, sotto il profilo della controllabilit e della correggibilit delle
conseguenze."10 quest'ultima affermazione trova conferma negli innumerevoli casi, gi
attuati e possibili, di gestione ecoefficiente11 di sistemi limitati, quali ad esempio le
imprese.12
Constatare il permanere di questa volont di dominio sulla natura non significa
rifugiarsi in una contro utopia estatica, opponendo, per esprimersi in termini antropologici,
un male inteso homo sapiens all'homo faber. Significa invece rendere evidente, ponendo
in questo modo le basi per una difesa da essa, una corrente riduzione della realt,
un'astrazione, certo necessaria alla scienza ma ultimamente dannosa all'uomo e al suo
bene vivere associato; in breve: socialmente insostenibile. Scrive Spaemann: "una civilt,
nella quale una tale scienza rappresenta l'accesso decisivo alla realt, una civilt a
crescente contingenza, una civilt ipotetica"13 e oltre: "se il senso dei mezzi costituito
soltanto dai fini, i quali a loro volta sono di nuovo mezzi per il conseguimento di fini
ulteriori, allora il senso pu venire fondamentalmente dal futuro, e l'utopia diventa la
forma del senso dominante dell'epoca".14 mascheramento scientifico di questa utopia la
sociologia positivista che, assumendo pienamente questa riduzione della realt, "scienza
che ha la sua verit nella capacit di pre-vedere. Il futuro, nella sua radicale e costitutiva
insicurezza, viene reso disponibile ad un presente che pu essere operativo su di esso".15
il pensatore che ha concepito con grande coerenza e lucidit la societ in questi termini,
Niklas Luhmann; in questo senso egli il vero erede del fondatore della sociologia, il
Vicomte de Bonald.16 afferma Spaemann: "oggigiorno la teoria dei sistemi e la teoria
evoluzionistica hanno completato il monismo moderno17 traendone l'ultima conseguenza.
La
teoria
dei
sistemi
intende
tutte
le
prestazioni
del
sistema
come
funzioni
10
Spaemann, 1988: 20. Essere responsabili di tutto si inverte in una totale irresponsabilit. Cfr. Spaemann, 1994.
Cfr. Di Cristofaro e Trucco (a cura di), 2002.
12
Un'analisi piuttosto critica delle prospettive di questo ecocapitalismo in Madotto, 1993.
13
Spaemann, 1994: 43.
14
Ibid.: 44.
15
Morandi, 2002: 243.
16
Cfr. Spaemann, 2002.
17
Con "monismo moderno" Spaemann si riferisce al livellamento della distinzione tra vita e vita buona, da lui descritta
come una inversione della teleologia. Cfr. Spaemann e Lw, 1991.
3
11
funzionale alla conservazione."18 confrontarsi con il particolare esito dello scontro della
teoria luhmanniana con la questione ecologica significa affrontare, nelle sue conseguenze
ultime e insuperabili, quell'elemento di continuit tra progetto moderno e idea di
sostenibilit, alla ricerca delle sue condizioni di possibilit sociale.
Il sociologo di Bielefeld, attraverso la critica svolta in comunicazione ecologica,
individua una prima fondamentale condizione di sostenibilit, che si riduce, con
espressione sintetica, al divieto di dedifferenziazione funzionale sia nei sottosistemi che
nel sistema sociale stesso. Riassume Spaemann: "acuta e disincantata fu perci, alcuni
anni fa, la sua critica al movimento ecologista, nella misura che esso cerca di pensare
societ e natura come un ecosistema unitario. In un tale sistema di complessit illimitata i
problemi non riuscirebbero nemmeno a trovare formulazione. Non avrebbe alcun compito,
il suo sviluppo sarebbe esclusivamente naturale, uno varrebbe l'altro. Con altre parole: il
discorso sul "sistema" sarebbe diventato cosi generico, da diventare vuoto. Alla luce
dell'alto grado di differenziazione i problemi ecologici, come ha mostrato Luhmann,
potrebbero essere solo portati pi vicini alla loro soluzione, se tradotti rispettivamente
nella logica interna dei sottosistemi sociali: della politica, del diritto, dell'economia, della
scienza. In ci non si deve sottacere la funzione della retorica morale. Ma essa non
corrisponde alla funzione che i retorici si autoattribuiscono volentieri."19 questa condizione
di sostenibilit, per il suo carattere essenzialmente formale20, pi liberale di quanto
possa sembrare: probabile che apra un campo di possibilit di adattamento della societ
alla minaccia ecologica pi vasto di quello implicato dalla retorica dello sviluppo
sostenibile. Essendo posta in essere tuttavia da quello che Hans Jonas ha denominato "il
concetto pi vuoto di societ che sia mai stato proposto",21 questa condizione rischia di
rimanere indeterminata se non assume come "fine e criterio l'uomo in quanto uomo, quale
per natura"22. E questa pertanto la condizione fondamentale perch la condizione
luhmanniana abbia senso. E simmetricamente perch l'idea di sostenibilit non rimanga
vuota.23 di fatto il sociologo di Bielefeld rigetta espressamente questa possibilit
assumendo egli una radicale inconoscibilit della realt, ed in particolare di quella
18
umana.24 rebus sic stantibus, reinserire, anche solo come criterio ultimo, una presunta
natura umana, farebbe esplodere il sistema a causa di complessit non riducibili. Si
imbatte in un problema da lui stesso generato e in lui irrisolvibile. In ci l'approccio
funzionale alla realt messo con le spalle al muro e costretto ad una difesa celata quanto
maldestra. Luhmann esclude la possibilit di reintrodurre nel discorso sociale la riflessione
sulla natura dell'uomo in quanto uomo e la questione connessa dei fini attraverso una
temporalizzazione. Il sociologo di Bielefeld, dimostrando di condividere il solito pregiudizio
modernista,
afferma
infatti
che
questa
preoccupazione
per
l'uomo e
per
l'etica
apparterebbe al pensiero della vecchia Europa e quindi ad una societ non ancora
differenziata funzionalmente, ossia una societ in cui lilluminazione delle funzioni latenti
non ancora compiuta e in cui pertanto la latenza ha ancora una funzione.25 ma proprio
l'incapacit,
tutta
interna
al
suo
approccio,
di
considerare
questa
dimensione
dell'esistenza, che anche empiricamente non si lascia ridurre ad altro, per quanto la
societ disponga di mezzi pi sofisticati per il controllo dei sistemi psichici, mostra il
carattere immunitario di questo pregiudizio modernista. Una teoria basata sul cos ma
anche altrimenti, una sociologia senza qualit, costretta ad affermazioni quasi
deterministe sul rapporto tra semantica e forma di differenziazione sociale.26 ritorna lo
oggi non pi possibile, fondamento della modernit assiologica, di delnociana
memoria. Questa incapacit si mostra proprio a proposito della retorica morale nella
comunicazione
ecologica:
Luhmann
vede
in
essa
la
forma
pi
comune
di
dedifferenziazione, che si ripresenta, come nota ironicamente, negli anni '80 di ogni
secolo, e che noi in contesto altrettanto polemico, abbiamo denominato sostenibilit
prescrittiva e ideologia dell'ambientalmente corretto ci che la sostiene27. Si tratta
certamente di un fenomeno reale, come abbiamo avuto modo di constatare nella nostra
ricerca sulla separazione dei rifiuti, di cui riferiremo sotto, tipico di alcuni attori sociali,
anche istituzionali. Tuttavia non si pu non notare che esso sia in un certo modo
necessitato dal suo diretto antagonista: l'unico modo infatti in cui la teoria di Luhmann,
bench contenga in modo irriflesso "elementi irrinunciabili di un agire moralmente
buono"28,
pu
vedere
la
dimensione
morale
della
societ,
proprio
quello
24
Cfr. Luhmann, 1993. Ci sarebbe da domandarsi quanto i presupposti costruttivisti di Luhmann possano essere separati
dalla teoria dei sistemi, costituendone l'aspetto pi irragionevole. La distinzione realista voegeliniana tra conoscenza
prenoetica, costitutiva, e noetica della societ mi sembra andare in questa direzione; cfr. Morandi, 2000 e 2002.
25
Cfr. Spaemann, 1985: 10.
26
Non che Luhmann condivida un tale determinismo comtiano, tuttavia questo assunto talmente fondamentale nel suo
sistema che non pu essere difeso che con una tale immunizzazione, persino contraddittoria con tutto il suo stile di
pensiero. Del resto tutto ci non che individuare un possibile punto di emersione di quel necessario momento di
incondizionatezza, senza il quale il sistema funzionale annullerebbe lo stesso pensiero del sistema funzionale. Cfr. R.
Spaemann, 1998: 195.
27
Cfr. G. Gubert, 1999.
28
Golser, 1996: 169. Traduzione nostra.
5
la
tendenza
verso
tale
caduta,
proprio
rispettando
la
fondamentale
29
oggetto del nostro volere e del nostro fare, perch non disponiamo in proposito di alcun
criterio."32
Pur cercando la stessa risposta nei medesimi termini, Jonas assume verso di essa una
posizione, non disperata, ma certamente agnostica: "nel momento in cui un tale sapere
[] sull'essenza dell'uomo e tramite ci forse addirittura qualcosa dell'essenza dell'essere
[] sar di nuovo parte di noi - attualmente impossibile dire quando e se lo sar -, esso
potr fornire una base per il sapere altamente utile e molto necessario intorno ai fini. Fino
ad allora dobbiamo vivere con la nostra povert e possiamo forse consolarci con il ricordo
che gi una volta il 'so di non sapere' si rivelato come un inizio della filosofia"33. In un
altro linguaggio ritroviamo, come presupposto implicito di questa posizione di Jonas,
proprio quel pregiudizio modernista (il non essere pi possibile) che svuota di senso la
teoria sistemica luhmanniana. Esso frutto di un'istanza pi esistenziale che teorica, come
emerge con maggiore chiarezza nella riflessione jonasiana sull'uomo nella civilt
tecnologica.34 l'esito ne un'analoga "non risposta" che, a vari livelli, scientifico (l'idea di
sostenibilit), sociosistemico (Luhmann) e filosofico (Jonas), si ripresenta riguardo alla
questione ecologica.
II
Nella prima sezione di questo intervento abbiamo indicato due condizioni di
sostenibilit
della
sostenibilit,
lasciando
in
ombra
le
specificazioni
"sociale"35
"prescrittiva" indicate nel titolo e assumendo uno stile assertorio piuttosto che
argomentativo. Tutto ci accaduto per ragioni di brevit e per nostra incompetenza. Ora
vogliamo tentare, alla luce di alcune osservazioni a carattere empirico, di dare una certa
consistenza sociale e sociologica ai ragionamenti svolti. Il meno che si potr dire che
esse, rispetto agli asserti generali della prima sezione, risulteranno sbiadite e ampiamente
ambigue. Se in parte ci determinato dalla natura di ci di cui trattiamo (libere azioni
umane, principalmente), in parte indica per un bisogno di ripensamento della scienza
sociale, sia a livello teorico che metodologico, che solo agli inizi. Ho in mente, per
citarne solo due, il tentativo di Emmanuele Morandi36 di formulare una "sociologia
32
Spaemann, 1994: 188. La riscoperta della natura umana non ha solo valore negativo di limite ma anche positivo di
prima risorsa dello sviluppo. A livello macro ci si mostra nella relazione positiva tra densit di popolazione e sviluppo.
33
Jonas, 1999: 262.
34
Tuttavia ci che Jonas interpreta come una impossibilit, Spaemann riconosce come un guasto nella
autocomprensione dell'agire, a cui proprio il recupero di ci che la crisi attuale mostra essere solo pregiudizialmente
"modernamente impossibile" pu porre rimedio. Cfr. Spaemann, 1998: 185-201
35
In tutt'altro contesto, Coleman sembra avvalorare la nostra seconda condizione di sostenibilit, quando riflette sugli
effetti della nuova struttura sociale, in cui dominano gli attori corporati "funzionalmente differenziati", che sembrano
incapaci di rendersi responsabili della globalit della persona, sulle nuove generazioni e, nelle terminologia propria di
questo Autore, sulla formazione del capitale sociale. Cfr. Coleman, 1995 (II): 358-363.
36
Morandi, 2000 e 2002.
7
la
prima
azione
vi
una
tendenza
di
pubblicizzazione,
evidente
anche
demografico
hanno
sottratto
le
nascita,
collettivamente
considerate,
tutti questi elementi moraleggianti spiegano meno l'azione, secondo i correnti indici
statistici, del calcolo delle utilit, dell'habitus, delle condizioni esterne, allora abbiamo un
debole indizio della loro insostenibilit. Questa ipotesi venne sostanzialmente confermata;
ma l'apporto pi significativo alla spiegazione dell'azione dovette essere attribuito alla
specificazione di explicans e explicandum, oltre che alla variabile latente habitus. Alcune
osservazioni a questo proposito.
1) non destano meraviglia i risultati ottenuti attraverso la specificazione. Se dal punto
di vista pratico questa via non stata percorsa del tutto indarno, spingendo ad esempio
l'azienda municipalizzata a rimuovere alcuni ostacoli specifici41 all'azione di separazione
dei rifiuti organici, piuttosto che insistere con azioni di moralizzazione e informazione di
natura ideologica al fine di convincere i cittadini a produrre in casa il compost; dal punto di
vista sociologico si tratta di un vicolo cieco. Spiegare fatti molto particolari con
caratteristiche altrettanto specifiche, non molto attraente. La specificazione il tentativo
di salvare la relazione pseudocausale "disposizioni generiche motivano n comportamenti
specifici" dal suo fallimento. infatti comunemente e da tempo noto42 che vi uno scarso
legame tra disposizioni e comportamento come in generale con altre ipotetiche
determinanti delle azioni ambientali. Le meta analisi di de Haan e Kuckartz43 per l'area
tedesca, quelle di Hines, Hungerford, Tomera44 oltre a Six e Eckes45 per gli studi in lingua
inglese, confermano questo fallimento: sembra che nulla dipenda da nulla o, se si
desiderosi di costruire modelli di equazioni strutturali a 51 variabili manifeste e 17 latenti,
che tutto dipenda da tutto. Tale dato, a cui la sociologia mi sembra del tutto
assuefatta46, soprattutto indicativo dei limiti metodologici della sociologia di matrice
positivista.47 essa partecipe della lesione della seconda condizione di sostenibilit in
quanto sostituisce il riferimento ad una antropologia con un modellino di azione del tutto
oggettivante l'uomo.48 in questo modo perpetua, a livello riflesso, l'esclusione della
questione dei fini dalla costruzione del sociale.
2) pur non essendoci allora del tutto chiari questi limiti della conoscenza sociologica di
matrice positivista, sulla base di considerazioni logiche proponemmo una reinterpretazione
del modellino antropologico, quello della teoria della scelta razionale, il cui esito ci sembra
si vuole ottenere una maggiore frequenza di azioni proambientali, l'appello ai valori, alle norme, alla coscienza, alla
sensibilit sembra essere una confessione di impotenza pi che un contributo al suo raggiungimento.
41
Per l'analisi di un caso analogo cfr. Mckenzie-Mohr, 2000
42
Cfr. Gubert e Struffi, 1986.
43
de Haan e Kuckartz, 1997
44
Hines et al., 1987.
45
Six, 1992 e Eckes, 1994.
46
Si continuano a pubblicare spiegazioni causali che spiegano percentuali ridicole di varianza.
47
Cfr. Voegelin, 1968.
48
Cfr. Lindenberg. 1985 per la tripartizione RREEMM, SRSM e OSAM dei modellini antropologici pi comuni della
ricerca sociologica. Certamente il modello della scelta razionale, soprattutto se non interpretato causalmente, presenta il
vantaggio di essere pi rispettoso della libert e dignit dell'agente, guadagnando con ci anche in esplicativit,
limitatamente ad azioni e sistemi di azione relativamente semplici.
9
istruttivo. I teorici di questo approccio sottolineano ripetutamente che solo in questo modo
possibile spiegare causalmente l'azione. Una comprensione causale dell'azione tuttavia
incompatibile con il presupposto della libert dell'attore,49 di cui, almeno dialetticamente, i
teorici della scelta razionale si fanno forti contro i sistemici. In senso proprio la
spiegazione razionale dell'azione invece una comprensione per motivi ed quindi
possibile solo ex post. In questo senso si oppone a quella "semantizzazione della scienza
come previsione"50 centrale nella scienza positivista. Conoscere i motivi razionali di
un'azione potr certo essere d'aiuto nel prevedere gli esiti di azioni future ma solo
presupponendo quella natura umana che invece si esclude, con gli esiti oggettivanti gi
tratteggiati. In questo contesto si devono inoltre ridiscutere i fondamenti della inferenza
statistica nelle scienze sociali.
3) nemmeno il valore esplicativo del costrutto habitus sorprende: la separazione dei
rifiuti domestici , o pu essere predisposta in modo da diventarlo, un'azione ripetitiva
facilmente soggetta a routinizzazione. La presenza di habiti sospende sia il presunto
calcolo delle utilit sia l'esplicito riferimento ai valori: rappresenta una sgravio dell'atto di
decisione analogabile a quello dell'agire istituzionale. un indizio a favore della proficuit
di una certa stabilizzazione delle pratiche socialmente definite come sostenibili (quali e
quanti tipi di rifiuti separare, secondo quali modalit) e pertanto contro la diffusione di un
senso di allarme sociale, confidando nella euristica della paura. Esso un elemento di
quella precondizione necessaria alla vita sensata che la normalit.
Introduciamo ora il riferimento alle politiche demografiche mondiali allo scopo di
mostrare l'importanza che la seconda condizione (la questione dei fini) riveste per l'idea di
sostenibilit, proprio l dove si dispone di mezzi potenti per tradurla in azione. Non si
tratta di fantasmi, evocati da capziose analisi di principio, n di quisquilie, ma delle
concrete possibilit di vita di milioni di persone. Pochi altri fenomeni globali, come i
tentativi di imporre una sostenibilit demografica, hanno causato un pari numero di lesioni
dei diritti fondamentali, in primo luogo della vita, nel sostanziale assenso delle societ
sviluppate, preoccupate di veder compromesso dalla crescita della popolazione il proprio
livello di vita. In questa sede non ci interessa dare notizia di tali crimini51 ma comprendere
la loro relazione con l'idea regolativa di sostenibilit. Il fatto pi interessante proprio
questo assenso, rivelativo di quelle contraddizioni che noi abbiamo chiamato insostenibili.
1) per quanto riguarda i decisori collettivi52 di queste politiche (alcuni governi
nazionali, in massima parte di tipo autoritario, alcune agenzie ONU e le ONG ad esse
49
Per questa argomentazione mi sono riferito alle opere di von Kutschera, 1981, 1991, 1993. Simile ma meno radicale,
ci sembra la posizione assunta da Boudon, 1985 e 1995.
50
Morandi, 2002: 246.
51
Rimandiamo alle opere di denuncia sociale di Cascioli, 1997 e Schooyans, 2000.
52
In buona parte si tratta di decisori sottratti al voto democratico di coloro che dovrebbero rappresentare.
10
53
L'esito della totale emancipazione dell'uomo dalla natura la ricaduta nello stato di natura, nel puro dominio
dell'uomo sull'uomo.
54
Commoner, 1990: 179-206.
55
Cfr. Kligman, 1998.
56
Cfr. Maccarini, 1997: 153-182.
57
Cfr. Sen, 1995 e 1997. Mi sembra tuttavia che nelle strategie di empowerment permanga una componente utopica
emancipatoria prettamente moderna.
11
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