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Argomenti Programmazione:

Economia positiva
Economia normativa
Mercantilisti
Adam Smith economia classica, fu un teorico della macroeconomia, interessato alle
forze che determinano la crescita economica, Nel libro primo de La ricchezza delle
nazioni Adam Smith analizza le cause che migliorano il "potere produttivo del lavoro" e
il modo con il quale la ricchezza prodotta si distribuisce naturalmente fra le classi
sociali. La ricchezza di una nazione viene identificata all'insieme dei beni prodotti
suddivisi per l'intera popolazione[1], si pu quindi parlare di reddito pro-capite.
La ricchezza (accumulazione del capitale) viene prodotta attraverso il lavoro e pu
essere incrementata aumentando la produttivit del lavoro o il numero di lavoratori.
la produttivit del lavoro, Aumenta quando c divisione del lavoro
Le ragioni dell'incremento produttivo indotto dalla divisione del lavoro sono tre: (a)
aumento dell'abilit manuale di ogni lavoratore (specializzazione), (b) riduzione tempo
perso per passare da un'azione o da un'attivit all'altra, (c) diffusione, per il desiderio
di ognuno di ridurre la propria pena lavorativa
Il lavoro permette inoltre di determinare il valore di scambio di un bene: Adam Smith
sviluppa cos una teoria del valore-lavoro, in contrapposizione all'idea di una ricchezza
proveniente dalla natura sostenuta dai fisiocratici.
La teoria di una regolazione spontanea dello scambio e delle attivit produttive di
Adam Smith incentrata sulla nozione di mano invisibile secondo la quale il sistema
economico non richiede interventi esterni per regolarsi, in particolare non necessita
l'intervento di una volont collettiva razionale. Il ruolo della mano invisibile triplice.
"Processo con il quale si crea un ordine sociale" Dati l'uguaglianza di fronte al diritto,
il non intervento dello Stato e il principio di simpatia, la mano invisibile assicura il
realizzarsi di un ordine sociale che soddisfa l'interesse generale (convergenza
spontanea degli interessi personali verso l'interesse collettivo).
"Meccanismo che permette l'equilibrio dei mercati" Domanda e offerta su differenti
mercati tendono ad uguagliarsi: il libero funzionamento di un mercato concorrenziale,
oltre a far convergere il prezzo di mercato al prezzo reale, tende a fare scomparire
qualsiasi domanda o offerta eccedentaria.
"Fattore che favorisce la crescita e lo sviluppo economico" La regolazione si applica
alla popolazione attraverso il mercato del lavoro (in caso di popolazione eccessiva, il
salario scende al di sotto del minimo di sussistenza conducendo ad una riduzione della
popolazione e viceversa in caso di popolazione deficitaria); la regolazione si applica
pure al risparmio, condizione necessaria per l'accumulazione del capitale e quindi della
crescita economica attraverso una maggiore divisione del lavoro (gli individui tendono
spontaneamente a risparmiare in quanto desiderosi di migliorare la propria
condizione); infine la regolazione si applica anche alla locazione dei capitali
(investimenti indirizzati spontaneamente verso le attivit pi redditizie).
Legoismo umano avrebbe reso efficiente i mercati,
Laissez Fair Mill,

Marx, Owen

Keynes
suoi contributi alla teoria economica hanno dato origine alla cosiddetta "rivoluzione
keynesiana". In contrasto con la teoria economica neoclassica, ha sostenuto la
necessit dell'intervento pubblico statale nell'economia con misure di politica di
bilancio e monetaria, qualora una insufficiente domanda aggregata non riesca a
garantire la piena occupazione nel sistema capitalista, in particolare nella fase di crisi
del ciclo economico.
Le sue idee sono state sviluppate e formalizzate nel dopoguerra dagli economisti della
scuola keynesiana. A quest'ultima viene spesso contrapposta la scuola monetarista (o
scuola di Chicago), che si origin nel dopoguerra dalle teorie di Milton Friedman.
Keynes pone le basi per la teoria basata sul concetto di domanda aggregata,
spiegando le variazioni del livello complessivo delle attivit economiche cos come
osservate durante la Grande depressione.
Il reddito nazionale sarebbe dato dalla somma di consumi e investimenti;
Critica i neoclassici e analizza e teorizza nel fallimento del mercato e la sua incapacit
ad autoregolarsi la causa della crisi economica in particolare egli pone attenzione alla
sotto-occupazione e capacit produttiva inutilizzata,
sarebbe dunque possibile incrementare l'occupazione e il reddito aumentando la spesa
per consumi o degli investimenti.
L'ammontare complessivo di risparmio sarebbe, inoltre, determinato dal reddito
nazionale.
Ribalta la legge di Say secondo la quale e sempre verificata l'equivalenza tra
produzione e domanda
Ovvero la produzione a determinare la doanda.
In breve, la Teoria generale argomenta che il livello della domanda aggregata (in un
sistema chiuso agli scambi con l'estero, la domanda aggregata pari alla somma tra
consumo e investimento, pubblico e privato) in un'economia moderna determinato
da una serie di fattori: la propensione marginale al consumo (la percentuale di un
aumento di reddito che i cittadini scelgono di spendere per l'acquisto di beni e servizi)
e l'investimento in beni capitali (a sua volta dipendente dal tasso di interesse, che ne
influenza il costo, e dal tasso di rendimento atteso, attraverso il confronto con
l'efficienza marginale del capitale). Il livello del tasso di interesse , poi, fortemente
influenzato dalla preferenza per la liquidit.
La principale argomentazione di Keynes che in un'economia funestata da una debole
domanda aggregata (come nel caso della Grande depressione), con una sentita
difficolt a procedere verso la crescita del reddito nazionale, il governo o, pi in
generale, il settore pubblico ha la possibilit di incrementare la domanda aggregata
tramite la spesa pubblica per l'acquisto di beni e servizi, fattore esogeno e finalizzato
all'aumento di occupazione. Ci potr essere finanziato anche tramite politiche di
deficit di bilancio; l'indebitamento pubblico, sotto determinate ipotesi, non aumenter
il tasso di interesse al punto di scoraggiare l'investimento privato.

Secondo Keynes lo stato deve attuare programmi di spesa per incrementare la


domanda ed i consumi e ridurre la disoccupazione.
Lo stato poteva anche intervenire attraverso la politica monetaria influenzando il tasso
di interesse il tasso di cambio etc.

Lobbiettivo preminente sarebbe il raggiungimento della piena occupazione.


Con la crisi degli anni 70 e lincapacita di psegare i fenomeno della saglflazione
ritornarono in auge le teorie ispirate al pensiero neoclassico J.S.Mill, i monetaristi
rilevarono che il mercato avesse robuste forze per ritornare in equilibrio di piena
occupazione (tempi discutibili e costi sociali discutibili).
Sviluppo sostenibile (sociale, economico, ambientale) fornendo una definizione,
secondo la quale le tre condizioni di sostenibilit ambientale, economica e sociale
partecipano insieme alla definizione di benessere e progresso.[1] e di sviluppo umano
caratterizzato dal perseguimento di obiettivi come
Crescita economica, equilibrio sociale, istruzione salute diritti umani etc.
Ambientale: In particolare in ambito ambientale, la sostenibilit considerata una
prerogativa essenziale per garantire la stabilit di un ecosistema, [1] cio la capacit di
mantenere nel futuro i processi ecologici che avvengono all'interno di un ecosistema e
la sua biodiversit. Tale concetto di sostenibilit fu il primo ad essere definito e
analizzato.[1]
Indice
L'indice di sviluppo umano (in inglese: HDI-Human Development Index) un
indicatore di sviluppo macroeconomico realizzato nel 1990 dall'economista pakistano
Mahbub ul Haq, seguito dall'economista indiano Amartya Sen. stato utilizzato,
accanto al PIL (prodotto interno lordo), dall'Organizzazione delle Nazioni Unite a partire
dal 1993 per valutare la qualit della vita nei paesi membri.
Dal 1990 lUNDP utilizza ISU questo indicatore tiene conto del reddito pro capite della
speranza di vita alla nascita, kcal disponibili pro capite, alfabetizzazione,
scolarizzazione accesso ai servizi sanitari, accessibilit acqua potabile, grado di libert
politica.
In precedenza, veniva utilizzato soltanto il PIL, indicatore di sviluppo macroeconomico
che rappresenta il valore monetario dei beni e dei servizi prodotti in un anno su un
determinato territorio nazionale e che si basa quindi esclusivamente sulla crescita e
non tiene conto del capitale (soprattutto naturale) che viene perso nei processi di
crescita. Questi parametri misurano esclusivamente il valore economico totale o una
distribuzione media del reddito. In pratica, un cittadino molto ricco ridistribuisce la sua
ricchezza su molti poveri falsando in tal modo il livello di vita di questi ultimi.
Il concetto di sviluppo umano viene elaborato, alla fine degli anni ottanta, dal
programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo UNDP, al fine di superare ed ampliare
l'accezione tradizionale di sviluppo incentrata solo sulla crescita economica.
Lo sviluppo umano coinvolge e riguarda alcuni ambiti fondamentali dello sviluppo
economico e sociale: la promozione dei diritti umani e l'appoggio alle istituzioni locali
con particolare riguardo al diritto alla convivenza pacifica, la difesa dell'ambiente e lo
sviluppo sostenibile delle risorse territoriali, lo sviluppo dei servizi sanitari e sociali con

attenzione prioritaria ai problemi pi diffusi ed ai gruppi pi vulnerabili, il


miglioramento dell'educazione della popolazione, con particolare attenzione
all'educazione di base, lo sviluppo economico locale, l'alfabetizzazione e l'educazione
allo sviluppo, la partecipazione democratica, l'equit delle opportunit di sviluppo e
d'inserimento nella vita sociale.
Nozione di programmazione economica
Programmazione economica: insieme di interventi attuati da uno o pi attori
istituzionali al fine di favorire lo sviluppo esponendo da un lato gli andamenti
delleconomia reale dallaltro le dinamiche tendenziali e programmatiche della
finanza pubblica, ovvero miglioramento della situazione socio economica delle
aree interessate. Quindi rappresenta un metodo di analisi ed una tecnica di
attuazione delle politiche economiche di un Paese. Interessa non solo gli
orgamismi centrali ma anche le autonomie locali.
-

Sostenibilit la capacit del processo di sviluppo di sostenere nel corso del


tempo la riproduzione del capitale mondiale composto da:
1. Capitale economico
2. Capitale sociale/umano
3. Capitale naturale ambientale

Lo sviluppo umano un processo di ampliamento delle possibilit umane che consente


agli individui di godere di una vita lunga e sana istruiti e con accesso alle risorse
necessarie a un livello dignitoso.

Evoluzione storica della pe


-

Anni 30: si privilegiata lidea di una programmazione generale nazionale ma nei


fatti si attuarono soltanto progetti di attuazione di settore. Oltre tutto senza un
vero e proprio atto formale di programmazione.
Dopo guerra: programmazione volta alla ricostruzione e risoluzione dei problemi
inerenti il divario nord-sud. Piano saraceno 1949 Schema Vanoni 1955.
Anni 60: programmazione attuata per regolarizzare tutta lattivit economica
del Paese
66-70: programma economico nazionale che associa elementi di
programmazione collettivista ad aspetti di programmazione direttiva e per
obiettivi. inizio della programmazione settoriale ed intersettoriale.
Fine anni 70: disinteresse per la programmazione grandi temi di politica
economica attuati senza alcuna programmazione (aggravio sul bilancio
pubblico)
Fina anni 80: assume rilievo programmazione ambientale, passaggio da
programmazione nazionale a regionale.

Fonti normative
PROGRAMMAZIONE NAZIONALE E REGIONALE
La politica economica e la programmazione economica vanno sempre riferite al
contesto socio eco istituzionale culturale dal quale scaturiscono. Nellambito di un
progetto di integrazione economica un coordinamento delle politiche economiche si
rende sempre pi necessario pur nella peculiarit delleconomia degli stati, parimenti
assume sempre pi rilevanza lesigenza di un maggior coinvolgimento delle autonomie
locali nel processo decisionale sulle politiche che incidono sul proprio territorio. Il

coinvolgimento degli enti locali sancito dal principio di sussidiariet introdotto con
Maastricht e dal principio dellautonomia. (Sussi le decisioni dovrebbero essere
assunte a un livello pi prossimo ai cittadini)
Autonomistico: ciascun ente libero di individuare e selezionare i propri interessi e
soddisfarli anche quando non coincidono con quelli degli altri enti.
Sussidiariet orizzontale: tra pubblico e privato
Sussidiariet verticale: tra i livelli di organi di governo.
Programmazione nazionale
Occorre distinguere tra programmazione territoriale e programmazione finanziaria.
Con la prima si intende la progr che regola gli assetti territoriali con la seconda si
intende il tipo di programmazione che attribuisce maggiore valenza allaspetto
finanziario, questa di notevole importanza a causa degli impegni assunti con
Maastricht ed dipendente dalle prescrizioni della UE v. fiscal compact.
Documenti di programmazione nazionale
DPEF, BILANCIO PLURIENNALE DI PREVISIONE, LEGGE FINANZIARIA, RELAZIONE
PREVISIONALE PROGRAMMATICA.
DPF documento doveva basarsi su una valutazione puntuale e motivata degli
andamenti reali ed eventuali scostamenti rispetto agli obiettivi fissati nei precedenti
documenti di programmazione economico finanziaria; il documento doveva contenere:
parametri eco essenziali
obiettivi macroeco
sviluppo del reddito e occupazione
fabbisogno statale
articolazione interventi collegati alla manovra di finanza pubblica per il periodo
compreso nel bilancio pluriennale.
Inoltre, si dovevano indicare criteri e parametri per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale.
BPP veniva redatto dal ministero delleconomia e delle finanze avendo come
riferimenti un periodo non inferiore a 3 anni, questo documento doveva rappresentare
landamento dell entrate e delle spese e loro previsioni in relazioni agli interventi
programmati dal DPEF.
Legge Finanziaria in coerenza con gli obiettivi del DPF doveva rappresentare per ogni
anno considerato nel bilancio pluriennale il quadro finanziario di riferimento cercando
di allineare per ogni anno gli effetti finanziari agli obiettivi. Quindi gli aspetti finanziari
della manovra di bilancio.
Relazione Previsionale programmatica: da presentare entro 30 sett di ogni anno alle
Camere a cura del Mef, deve illustrare sinteticamente il bilanciodello Stato con una
dimostrazione degli eventuali scostamenti rispetto alle previsioni dellanno
precedente.
Quadro economico generale: indica gli indirizzi di politica economica e gli obiettivi
programmatici.

Organismi della programmazione


MEF responsabile per lanalisi eco monetaria e fin, elabora le linee di programmazione
eco fin,
CIPE organo collegiale del Governo, svolge funzioni di coordinamento in materia di
programm eco da livello nazionale internazionale e comunitario. Individua indirizzi e
azioni per il conseguimento degli obiettivi di politica economica.
DIPE dipartimento per la programmazione e il coordinamento della programmazione
economica, supporta il cipe e la presidenza del consiglio in materia di trasporti
infrastrutture regolazione tarrifaria servizi di pubblica utilit riparto delle risorse
nazionali e comunitarie per le aree sottosviluppate. Energia, sanit, politiche sociali
abitative ambiente e sviluppo della montagna. Cura listruttoria delle proposte
provenienti dalle amministrazioni competenti che saranno sottoposte allapprovazione
del CIPE

Fasi della programmazione economica


Illustra landamento delleco reale, le dinamiche tendenziali e programmatiche della
finanza pubblica. A seconda dellorizzonte temporale prescelto la PE pu essere a
breve medio e lungo periodo. A prescindere dalla durata prevista per i singoli piani di
intervento si ha lassunzione di una diretta responsabilit dei pubblici poteri nelle
decisioni che incidono sul processo economico.
Le caratteristiche del programma eco sono sostanzialmente due:
-

ESTENSIONE TEMPORALE
SISTEMA DI OBIETTIVI FINALI E INTERMEDI QUANTIFICATI SULLA BASE DI
TECNICHE DI PROIEZIONE STATISTICA E STRUMENTI DI INTERVENTO CHE
DEVONO RISULTARE MUTUAMENTE COMPATIBILI.

Occorre determinare la finalit globale dellintervento e degli obiettivi specifici e


verificare gli strumenti pi opportuni allevoluzione delle variabili individuate come
obiettivi intermedi. Il processo logico di eleborazione di un piano economico (Jan
Tinbergen) pu essere schematizzato:
-

MACROFASE
FASE INTERMEDIA
MICROFASE

Le tre fasi sono collegate tra loro.

Tipologie di programmazione
In ogni processo di pe una volta analizzato il quadro economico e fissati possibili
obiettivi di sviluppo si cerca di individuare la funzione obiettivo. Ovvero quella
funzione attraverso la quale raggiungere gli obiettivi per ciascuna funz obiettivo viene
definito un valore ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo. I principali obietti
della programmazione economica nelleconomie di mercato:
-

Occupazione
Crescita prodotto reale
Bassa inflazione

Equilibrio bilancia pagamenti


Riduzione diseguaglianze tra i redditi
Riduzione diseguaglianze territoriali
Equo trattamento fiscale
Miglioramento qualit della vita
Miglioramento dotazioni di servizi infrastrutture

Strumenti:
-

Politica monetaria finanziaria


Politica di bilancio
Politica valutaria
Politica redditi
Riforme strutturali
Politiche ambientali ed energetiche

Sintetizzando:
la progr eco in uneconomia di mercato ha senso se:
-

Il settore pubblico interviene nelleconomia non solo per sanare i fallimenti del
mercato e per realizzare quelle opere e servizi che garantiscono esternalit
positive, ma anche per alimentare la dinamica produttiva in una prospettiva
keynesiana del controllo del ciclo economico;
Lapplicazione di tecniche di programmazione economica pu rafforzare la
credibilit dei decisori pubblici e rendere pi efficienti i meccanismi di
assegnazione della spesa ai vari enti della PA.
La programmazione indicativa se pu contribuire a stabilizzare le aspettative
degli operatori privati, poich fornisce un quadro di politiche economica pi
credibile in relazione ad un certo arco di tempo.

Tra i Paesi industrializzati solo Norvegia Olanda e Franca hanno formalizzato e


istituzionalizzato la programmazione, intermittenti e fragili sono state le esperienze
di UK e Italia; Germania e Usa hanno generalmente rifiutato luso del termine
stesso.
Un caso a s stante costituito dal Giappone (grande influenza della PE).
TECNICHE DI PROGRAMMAZIONE
Lazione programmatoria rivolta alla riduzione dei rischi e degli imprevisti ripartendo
opportunamente le risorse disponibili. I principali compiti sono:
-

Fissare obiettivi
Anticipare il futuro
Scegliere soluzioni alternative pi convenienti
Decidere successione delle variazioni
Scegliere risorse necessarie
Prevedere tempi e costi degli interventi
Determinare gli standard
Stabilire le modalit di controllo

La programmazione ha un carattere dinamico e rappresenta un processo che si


caratterizza da una serie di atti collegati secondo una scala di priorit e fissazione
degli obiettivi cercando di evitare:
-

Sprechi e duplicazioni
che le azioni siano influenzati da sit di emergenza

di impiegare risorse inefficacemente


consente invece:
controllo attivit dei tempi di attuazione
effettuare previsioni.

Affinch si possano innescare circoli virtuosi i programmi devono essere formulati in


maniera precisa e sintetica che i programmi siano fattibili dal punto di vista tecnico
finanziario.
PRESUPPOSTI PER LA PROGRAMMAZIONE
Per attuare unefficace programmazione necessario che si verifichino determinati
presupposti:
-

stabilit politica
fermo impegno politico della maggioranza di procedere con la programmazione
disponibilit di dati statistici
organizzazione amministrativa specifica
disponibilit di elementi e dati statistici per la valutazione delle
programmazioni:
situazione eco passata e presente
potenzialit produttive del Paese
proiezioni medio lungo periodo
possibili fonti di finanziamento.

La raccolta di dati di informazioni necessaria al fine di procedere ad una


programmazione globale, regionale, locale e/o settoriale.
Programmazione globale: deve mirare a stabilizzare gli indicatori macro economici
Programmazione regionale: deve mirare attraverso opportuni strumenti a valorizzare
le potenzialit e peculiarit del territorio, ne consegue che, la programmazione possa
essere fatta a livello istituzionale dallalto o dal basso.
Programmazione locale e/o settoriale:

un programma economico deve essere razionale nel senso economico e deve avere
dei fini certi che non sono altro che gli obiettivi della politica economica. Gli elementi
strutturali di un piano o di un programma sono:
-

il soggetto
risorse disponibili
fini
tempi di attuazione
strumenti

PROGRAMMAZIONE EUROPEA
Linizio di una vera e propria attivit programmatoria da parte della Comunit Europea
si pu far risalire alladozione dei PIM ovvero piani integrati mediterranei. (perfezionati
con Maastricht) Si formalizza linizio del coinvolgimento dei vari livelli di governo nei
processi decisionali riguardanti gli interventi della comunit europea. Si delinea in
sostanza da regionalismo funzionale a regionalismo istituzionale. Da una visione
meramente geografica delle varie regioni europee si passati ad una visione
istituzionali in cui le regioni vengono considerate alla pari degli altri organi nazionali
comunitari. Un altro importante step costituito dallapprovazione dellatto unico

europeo 1987 per la prima volta viene sottolineata limportanza di uno sviluppo
territoriale equilibrato che garantisca margini di crescita stabili e diffusi. Viene
delineata la politica di coesione con la quale la comunit si preoccupa appunto di
creare uno sviluppo armonico di tutti i Paesi aderenti e di colmare i ritardi nello
sviluppo delle varie aree. Su queste basi i Paesi membri hanno iniziato un processo
volto a ridurre il rischio di aggravare il deficit di capitale nelle aree pi arretrate della
Comunit. Rischio presente in unintegrazione selvaggia tra i mercati dei Paesi Cee
che pu penalizzare i settori e le aree meno competitive.

Fondi Strutturali Europei


La politica regionale europea nasce per fronteggiare i problemi di natura strutturale
presenti in larga parte nei territori dellUnione. Gli strumenti con cui concretizzare le
politiche regionali sono i fondi strutturali, la politica di coesione trae origine dal
trattato di Roma del 1957. A partire dal 1958 viene istituito il Fondo Europeo Agricolo
di Garanzia e Orientamento - FEOGA Fondo Sociale Europeo (FSE), e nel 1975 il
Fondo Europeo per lo Sviluppo (FESR). Il Fondo Sociale stato istituito per favorire
formazione, riconversione professionale e creazione di posti di lavoro; il Fondo Europeo
di Sviluppo Regionale finalizzato alla concessione di incentivi agli investimenti
produttivi allinfrastrutturazione del territorio del tessuto locale e delle PMI.
FEOGA costituiva originariamente uno strumento per il perseguimento degli obiettivi
della politica agricola comune PAC, nel periodo di programmazione 2007-2013 il fondo
sparito ed stato sostituito da due distinti fondi: Fondo Europeo di Garanzia Agricolo
FEAGA per la parte di garanzia del precedente FEOGA; e Fondo Europeo Agricolo per lo
Sviluppo Rurale FEASR per la parte orientamento del FEOGA.
Nellatto unico europeo del 1986, stata definita una vera e propria politica di
coesione tesa a riequilibrare gli effetti del mercato unico nel sud europa e nei paesi pi
svantaggiati. La politica di coesione si basa sul cofinanziamento nazionale o regionale
si tratta di un sistema che induce gli stati membri a mantenere il loro impegno di
investimento anche in periodi di recessione. Gli interventi finanziari dellunione sono
sempre in aggiunta allordinaria spesa pubblica degli Stati secondo il principio
delladdizionalit. I fondi europei non hanno lo scopo di consentire agli Stati di
risparmiare sui bilanci rispettivi. Dopo i consigli europei di Lisbona e Gotteborg, la
politica di coesione si concentrata sui fattori di crescita e competitivit finanziando
progetti per creazioni di posti di lavoro e migliorare la qualit della vita e
dellambiente.
I principi fondamentali dei fondi strutturali.
Codificati nellambito del regolamento Ce 1260/1999 regola i principi di attuazione dei
fondi strutturali. La politica di coesione economica e sociale si fonda sul principio di
sussidiariet dellazione comunitaria. Principio volto a garantire che le decisioni
prese siano quanto pi possibili vicino al cittadino e che lazione da intraprendere a
livello comunitario sia giustificata rispetto allofferta a livello nazionale regionale e
locale. Lazione comunitaria andrebbe ricondotta al livello di governo pi basso
compatibile con la sua natura. Il principio di sussidiariet stabilisce una gradazione tra
i poteri pubblici. I livelli superiori di governo dovrebbero intervenire solo nel caso in cui
i livelli inferiori non siano in grado di agire in modo soddisfacente. Ne consegue che
spetta alle autorit nazionali competenti precisare i contenuti degli interventi
selezionare i progetti da finanziare con i fondi strutturale e di garantirne lattuazione.

Principio di paternaliato stabilisce che necessario assicurare il coinvolgimento di


tutti i soggetti istituzionali competenti e di tutte le parti economiche e sociali nella
definizione della politica di coesione, e di garantire la massima efficacia dellazione
comunitaria. Le azioni comunitarie si infondono tra una stretta concertazione tra
paternaliato commissione e stato membro. La prassi prevede che gli organismi le
autorit che intervengono sono:
-

autorit regionali e locali


autorit politiche pubbliche competenti
parti economiche e sociali
altri organismi competenti.

La previsione del paternaliato istituzionale e socio economico risponde allesigenza di


coinvolgere nel processo decisionale tutti gli organismi coinvolti (regioni, enti locali,
organi istituzionali, cittadini, imprese ) nella programmazione e pianificazione degli
interventi.
Principio di concertazione lo strumento che si pone lobiettivo di ricercare il
consenso degli attori locali e delle parti sociali sui contenuti e le modalit degli
interventi cofinanziati.
Gli interventi strutturali sono principalmente di competenza nazionale, quindi le azioni
strutturali promosse a livello comunitario devono essere concepite secondo il
principio di complementariet, tale finalit perseguita anche dal principio di
addizionalit che come detto ha lobiettivo di evitare che il contributo dei fondi
finisca col sostituirsi con le spese pubbliche nazionali, strettamente connessa alla
finalit perseguita dai principi di complementariet e addizionalit la modalit del
cofinanziamento.
Programmazione dei fondi strutturali
Gli obiettivi dei fondi vengono definiti nel quadro di una programmazione pluriennale e
di una stretta cooperazione tra la commissione e ogni stato membro. Il bilancio ue
destinato ai fondi gestito dagli stati e dalla commissione secondo quanto stabilito dal
regolamento finanziario. La programmazione pluriennale degli interventi finalizzata
ad ottenere una gestione efficace delle risorse scarse. La programmazione dei fondi
strutturali deve assicurare il coordinamento dei fondi e degli altri strumenti finanziari
esistenti, tale coordinamento assicurato tramite:
-

documenti programmatici quadri comunitari di sostegno QCS


programmi operativi PO
documenti unici di programmazione DOCUp

Da Agenda 2000 alla programmazione 2007 -2013


Nel 1999 al termine del Consiglio Europeo di Berlino si conclude laccordo politico
Agenda 2000, tale programma di azione si prefisso come obiettivo il rafforzamento
delle politiche comunitarie e di dotare lunione europea di un quadro finanziario per il
periodo 2000-2006 tenendo conto delle prospettive di ampliamento. I settori prioritari
individuati erano:
-

riforma agricola
accrescimento della competitivit
crescita efficace dei fondi strutturali e del fondo di coesione,
potenziare la strategia di preadesione degli stati candidati (ispa)

la programmazione 2007-2013

fallimento
CONCETTO DI REGIONE E TEORIE DELLO SVILUPPO
La programmazione regionale si ispira ai principi di
-

Sussidiariet, concertazione, corresponsabilit, integrazione.

La regione attua il suo intervento attraverso la realizzazione di un programma


(insieme coordinato di iniziative) progetti, insiemi di iniziative dirette alla realizzazione
degli obiettivi. Gli atti della programmazione economica regionale sono:
-

Piano regionale di sviluppo


Piano di settore
Piani intersettoriali
Programmi strutturali regionali del Ue
Programmi integrati intersettoriali
Strumenti della programmazione negoziata
Documento annuale di programmazione
Legge finanziaria regionale
Bilancio pluriennale e di previsione

Piano di sviluppo regionale


Quadri di riferimento :
-

Analisi dello scenario e del contesto strutturale contenente lanalisi degli


elementi fondamentali dello sviluppo regionale e lindividuazione degli ostacoli
allo sviluppo
Stima previsionale delle risorse
Politiche generali

Determinazione programmatica
Vedi appunti n. 3

CONCETTO DI REGIONE E TEORIE DI SVILUPPO


Il concetto di regione stato oggetto di animato dibattito. Semplificando il percorso
evolutivo del pensiero sulla questione si pu dire che si sia passati da un concetto di
regione-area a quello di regione-organismo. Lidea di regione area parte dal
presupposto che il territorio assuma aspetti differenti a seconda della configurazione
fisica, presenza umana, modalit di utilizzo delle risorse. La regione organismo parte
invece dalla relazione stabilite da un gruppo umano e il suo territorio di riferimento.
Per definire la regione come quel tratto di territorio in cui le relazioni sono organizzate
e coese da far ritenere che le due componenti umane e naturale formino una specie di
organismo:
-

Regione umanizzata
Regione sistemica
Regione sostenibile

Modelli e teorie dello sviluppo


Il modello di Harrod-Domar
Le teorie della crescita trovano fondamento del modello HD
modello di H-D venne concepito come modello di analisi del ciclo economico.
Successivamente venne adottato per spiegare' la crescita economica.Applicato al caso
dello sviluppo, il modello stabilisce che La crescita economica dipende dallammontare
di Lavoro e Kapitale; dato che i PVS hanno spesso unabbondante offerta di lavoro (L),
uninsufficienza di capitale fisico (K) che lascia indietro questi paesi.
Maggiore capitale fisico K genera una crescita economica pi alta Investimenti netti
pi alti portano ad una maggiore accumulazione di capitale, che genera maggiore
prodotto e reddito. Un pi alto reddito genera maggiore risparmio S.
Tasso di crescita del PIL
rapporto tra il saggio di

y/y = s/K

k/Y

risparmio ( ) e il rapporto tra il capitale e il prodotto (


).
La logica dellequazione (7) : per crescere, uneconomia deve risparmiare e investire
una certa porzione del PIL pi risparmia e investe, pi velocemente essa pu
crescere.
La ricetta per favorire la crescita economica e lo sviluppo di aumentare il
risparmio nazionale e gli investimenti!
Se il saggio di risparmio pi basso del livello desiderato occorre colmare questo gap
di risparmio attraverso laiuto estero e gli investimenti diretti esteri.
La principale critica che pu essere fatta a questa teoria che i risparmi e gli
investimenti sono condizione necessaria ma non sufficiente per accelerare il tasso di
crescita economica.
1Crescita economica e sviluppo economico non sono la stessa cosa e non sono
interscambiabili.
2. difficile stimolare il risparmio, sopratutto nei PVS, dove i redditi sono
particolarmente bassi.
3. Richiedere prestiti dallestero, per colmare il gap con i paesi pi industrializzati, pu
portare problemi di rimborso di questi prestiti (problema del debito nei PVS).
4. La teoria dei rendimenti decrescenti potrebbe suggerire che lincremento del
capitale pu diminuire la produttivit del capitale e quindi condurre ad un aumento del
rapporto capitale/prodotto il rapporto capitale prodotto non costante
5.Se il saggio di risparmio pi basso del livello desiderato occorre colmare il gap di
risparmio attraverso gli aiuti estero allo sviluppo e gli investimenti diretti esteri

La teoria di sviluppo equilibrato di Rosestein-Rodan


La teoria dello sviluppo equilibrato di Rosestein-Rodan (1961) anche nota come
teoria del Big Push.
Il concetto di big push, o grande spinta, nasce dalla constatazione che, nei Paesi in
via di sviluppo e nelle aree arretrate dei Paesi ad economia avanzata, risulta
particolarmente complesso spezzare i circoli viziosi della povert senza mettere in atto
un grande sforzo iniziale in investimenti, in capitale fisico e in capitale umano,
attraverso cui attivare un processo di industrializzazione in grado di auto sostenersi

Questo sforzo iniziale, che deve sostenere lo Stato, deve essere tale da
permettere di superare la soglia minima di investimento al di sotto della quale
il processo di sviluppo non in grado di innescarsi
Tra le ragioni che sostengono la necessit di un intervento pubblico, due meritano una
particolare attenzione
1) il forte impegno dello Stato nella formazione rappresenta un presupposto
indispensabile per ogni processo di sviluppo,
2) Il considerevole sforzo di industrializzazione iniziale pu avviare diverse forme di
complementarit tra imprese in grado di agevolare la crescita di ogni impresa e
della domanda globale
I sostenitori di questapproccio hanno anche individuato quantitativamente lo sforzo
iniziale che uno Stato deve sostenere per innescare un virtuoso processo di sviluppo:
sono necessari un tasso di investimento di almeno il 10% e una percentuale di
risparmio interno sul reddito di almeno il 12-15%.
Connessa alla teoria del big push la teoria dei poli di sviluppo, che pone a
proprio fondamento la necessit di una concentrazione degli investimenti industriali,
tale teoria sostiene la
opportunit di una concentrazione degli investimenti industriali non solo temporale,
ma
anche spaziale, cos da innescare effetti propulsivi di vario tipo. Concentrare gli sforzi
in aree ritenute pi idonee allavvio dello sviluppo, per la loro posizione geografica o
strategica o per la immediata disponibilit di determinate risorse, trova giustificazione
nel fatto che, se si vuole ottenere una rapida industrializzazione, si pu realizzare un
impiego pi efficiente di risorse economiche, comunque limitate,
grazie ai possibili effetti indotti dellindustrializzazione (Leffetto di spinta e di
sostegno reciproco tra industrie situate nella stessa area)
Per garantire un processo duraturo di sviluppo necessario, tuttavia, non limitare
limpiego delle risorse disponibili ai soli investimenti industriali ma anche in altri settori
(agricoltura, aeroporti turismo etc)
Il Modello di Rostow
Il modello di Rostow ripropone i contenuti della teoria dello sviluppo equilibrato inteso
come processo lineare di transizione, attraverso cinque stadi, da una condizionedi
arretratezza a una condizione di opulenza generalizzata.
Arretratezza: la fase che caratterizza la societ tradizionale dedita allagricoltura di
sussistenza
Pre take-off: la fase in cui sono poste le precondizioni per il decollo.
Lagricoltura adotta la tecnologia necessaria per sfamare la crescente popolazione; le
importazioni vengono finanziate con le esportazioni di risorse naturali, anche
primariamente trasformate. Si assiste alla formazione del capitale fisso sociale.
Emerge una nuova lite imprenditoriale e non pi aristocratica.(Classe dirigente
carente)
Take-off: la fase del vero e proprio decollo. Oltre che dal progresso tecnologico,
lorganizzazione socioeconomica scossa dagli elevati investimenti, dallo sviluppo del
comparto industriale, dalla forte infrastrutturazione e urbanizzazione, dalla
riorganizzazione delle attivit agricole e dalla loro forte
Maturit: la fase caratterizzata dallassestamento del sistema. Si osserva
unadiversificazione dellindustria in settori diversi da quelli che hanno consentito il
decollo, una riduzione degli occupati in agricoltura, unapplicazione delle conoscenze
tecnologiche a tutti i campi delleconomia crescita in termini di produttivit,
dallespansione della classe imprenditoriale e dallo sviluppo di un apparato politico,
sociale e istituzionale efficiente. Si tratta diuna fase propriamente rivoluzionaria e la
condizione perch si inneschi, secondo Rostow, che gli investimenti siano superiori al
10% del PIL nazionale

Consumo di massa: la fase di opulenza, ma anche di saturazione dei consumi.


Leconomia deve necessariamente diversificarsi in nuovi settori produttivi; se il
sistema sar in grado di individuare o recepire uninnovazione radicale, passando
attraverso una fase di instabilit, riprender una dinamica di
crescita, altrimenti tender a stabilizzarsi in una condizione di equilibrio
Evoulzione Economia Italiana.
Schematizzando, a partire dallunit dItalia ed escludendo i periodi delle due grandi
guerre, distinguiamo le seguenti fasi:
1861-1897, caratterizzata dal prevalere della concezione di uno Stato liberale;
1897-1913, caratterizzata da un forte interventismo e dallaccumulazione
pubblica di capitale;
1921-1938: caratterizzata da un forte ruolo dello Stato nella produzione, con la
creazione di diversi monopoli e oligopoli;
1951-1973, caratterizzata dalla figura dello Stato imprenditore, finanziatore e
pianificatore;
1973-1992, caratterizzata da una forte spinta allinternazionalizzazione delle
economie e dalla crisi dellazione dei singoli Stati.
Levoluzione economica dei cinque periodi individuati caratterizzata dalle seguenti
tendenze di fondo:
1) fino alla met degli anni 70, la popolazione italiana cresciuta a un ritmo
abbastanza regolare (dallo 0,6% allo 0,8% allanno), per poi registrare, negli anni
successivi, tassi di crescita assai pi ridotti (0,2%-0,3%). Inoltre, a partire dal 1972
lItalia passata dallo status di Paese di emigrazione netta a quello di
Paese di immigrazione netta di forza lavoro. Il prodotto pro capite, eccetto che nella
prima fase in cui si rivelato stagnante e nella quarta in cui stato molto elevato,
sempre cresciuto a un tasso medio annuo di circa il 2%.
Il PIL cresce mediamente del 2%.
il primo, il terzo e il quinto periodo sono contrassegnati da un pi lento sviluppo del
prodotto e degli investimenti, che invece crescono di pi nel secondo e nel quarto
periodo. Le esportazioni aumentano pi rapidamente nel secondo, nel quarto e nel
quinto periodo;
3) i salari reali crescono in tutti i periodi eccetto che nel terzo, nel quale si riducono
notevolmente, essenzialmente a causa di una politica di compressione dei salari e di
repressione dei sindacati liberi, condotta dal governo;
4) loccupazione aumenta lentamente, ma in maniera costante, in tutti i periodi tranne
che nel quarto, nel quale ha un andamento alterno;
5) lintervento pubblico nelleconomia, molto basso nella prima fase liberista, si
accresciuto nella seconda e soprattutto nella terza, quarta e quinta fase.
6) il processo di industrializzazione stato pi rapido e intenso nel primo, nel
secondo e nel quarto periodo;
7) le disuguaglianze territoriali si sono aggravate notevolmente verso la fine del
primo periodo e nei due periodi successivi;
8) dal confronto con gli altri Paesi industrializzati emerge che il grado di arretratezza
delleconomia italiana si accresciuto nel primo periodo, per poi ridursi di molto
durante let giolittiana (secondo periodo) e aumentare leggermente in epoca fascista
(terzo periodo). Il divario diminuito considerevolmente nel secondo dopoguerra, con
il boom degli anni '50 e '60, per poi rimanere invariato o diminuire di poco dopo il
1973.
Questo tipo di sviluppo ha modificato la composizione della societ italiana:
aumentata limportanza relativa delle classi medie urbane e della borghesia, mentre i
coltivatori diretti sono diminuiti in maniera molto significativa.
Vd storia economica..

Le fasi dello Svipluppo Economico gli anni 50.


Nel periodo della ricostruzione (1945-1950) vi fu complessivamente un recupero delle
tendenze liberiste in economia, in parte dovuto alla naturale reazione al clima
culturale dominante nel periodo fascista. Vengono smantellano le principali istituzioni
corporative, si legittima il diritto di sciopero e viene consentita la rinascita dei
sindacati liberi; si riducono le barriere protezionistiche nei confronti dellestero e si
decide di accedere via via a organismi internazionali quali il Fondo Monetario
Internazionale, lOrganizzazione Europea di Cooperazione Economica e lAccordo
generale sulle tariffe e sul commercio, che spingono in favore di una crescente
liberalizzazione degli scambi.
Resta tuttavia notevole lintervento dello Stato nelleconomia: permangono lIRI, lAGIP
e lIMI, e rimane relativamente ampio lo spazio delle imprese pubbliche nelleconomia.
Il grande problema che lItalia si trova ad affrontare quello relativo agli altissimi livelli
di disoccupazione, sia palese sia occulta, esistenti nelleconomia. Tuttavia, la politica
keynesiana che poteva essere di sostegno alloccupazione, non
viene realizzata. Il problema della contrastata e tardiva diffusione delle idee
keynesiane, e dei relativi suggerimenti di politica economica nel nostro Paese, stato
oggetto di numerose e approfondite indagini. Il contrasto fra posizioni in prevalenza
liberiste e quelle keynesiane, risulta evidente in numerose circostanze. Un importante
episodio, che testimonia della scarsa o nulla accoglienza del messaggio keynesiano
negli ambienti governativi, dato dalle vicende relative al Piano del lavoro.
Il piano, presentato nel 1949 dalla CGIL, ha importanti (anche se non esclusivi)
connotati keynesiani ma non viene applicato. Tuttavia Il Paese eredita, una notevole
tradizione di interventismo dello Stato nelleconomia, nonch numerose istituzioni,
quali le imprese pubbliche, atte a fungere da braccio secolare dello Stato. Lintervento
dello Stato nelleconomia si realizza principalmente attraverso la riforma agraria del
1950 e listituzione, nello stesso anno, della Cassa per il Mezzogiorno.
Come accennato, gli anni 50 sono caratterizzati soprattutto da una ricostruzionevolta
a sanare le profonde ferite inferte dal secondo conflitto mondiale, squilibri territoriali
economici strutturali, Al
dualismo industria-agricoltura si sovrappone quello Nord-Sud: una grande parte del
territorio nazionale e una cospicua porzione di italiani subiscono gli effetti della duplice
emarginazione e versano, pertanto, in condizioni di persistente arretratezza
economica. il Mezzogiorno la regione pi penalizzata e in quel periodo prendevano
forma le prime moderne ipotesi di sviluppo dellarea, allo scopo di dare una soluzione
ne definitiva al problema. Il 1950, anno della riforma fondiaria e dellistituzione della
Cassa per il Mezzogiorno, stato definito come l anno decisivo per la
riorganizzazione della dipendenza, a seguito dellimportanza avuta dalla domanda
estera nel plasmare il sistema produttivo italiano nel periodo del miracolo
economico. La scelta liberoscambista e internazionalista del nostro Paese ha per
contribuito a provocare una grave distorsione nei consumi interni: dovendo produrre
per i pi evoluti mercati esteri, anche le regioni italiane (e quelle meridionali di
conseguenza) sono state invase da beni di cui non mostrano ancora bisogno, a
scapito, evidentemente, di beni e servizi primari la cui produzione continua a
essere sottodimensionata rispetto alle esigenze della popolazione. Gli interventi sul
Mezzogiorno e la politica regionale degli anni 50, pur puntando alla attenuazione dei
divari territoriali, di fatto provvedono a organizzare la dipendenza funzionale e
produttiva del Sud dalle pi sviluppate regioni settentrionali. Gli squilibri territoriali
sarebbero stati acuiti dallo sviluppo del nord spinto a confrontarsi con i mercati
stranieri.
Latto formale di nascita della nuova politica meridionalista rappresentato dalla
legge 646 del 10 agosto 1950, mediante la quale viene istituito un organo speciale
dintervento: la Cassa per le Opere Straordinarie e di Pubblico Interesse

nell'Italia Meridionale (Cassa per il Mezzogiorno). regioni situate a sud del Lazio
e delle Marche (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e
Sardegna). I confini settentrionali attraversano il Lazio e le Marche, ma nellarea
vengono fatte rientrare anche le isole della Toscana.
La dotazione iniziale di capitale della Cassa ammonta a 1000 miliardi di lire,
dautilizzare nellarco di dieci anni.
Fin dallinizio dellelaborazione del progetto, tuttavia, le funzioni demandate alla Cassa
non comprendono strategie di sviluppo e neppure una politica di industrializzazione,
ma prevedono la sola costruzione di opere pubbliche.
il compito di formulare la strategia globale appartiene a un Comitato di Ministri per il
Mezzogiorno (promosso - e poi soppresso a Ministero per il Mezzogiorno negli anni
80), mentre alla Cassa sono demandate le funzioni di proposta e di attuazione dei
programmi.
La via Italiana
Questi tipi di intervento dello Stato nelleconomia portano a pensare a una sorta di
via italiana nella fusione fra mercato e Stato. Leconomia italiana aveva, infatti,
assunto, gi nel periodo della ricostruzione, caratteristiche assai lontane da quelle del
liberismo puro, ma altrettanto lontane dagli approcci keynesiani puri.
Una delle possibili spiegazioni sta nella visione (cattolica) del partito dominante DC
che pone al centro della societ la famiglia e la Chiesa, non lo Stato, che perci
largamente utilizzato per favorire gruppi di interesse, senza un vero interesse
collettivo.
In questo periodo sono stati fatti alcuni tentativi di programmazione ma si trattato il
pi delle volte di sole simulazioni, senza una reale strumentazione operativa, e quindi
con scarsissima incidenza sulla realt economica.
Apertura verso lestero
Se allinterno il recupero del liberismo fu assai parziale e stentato, nei confronti dei
rapporti con lestero la scelta liberista intrapresa nel periodo della ricostruzione e poi
consolidata negli anni 50 e 60, risulta nettamente vincente negli anni 80 poi lItalia
risulta essere uno dei paesi piu aperti del mondo occidentale,
linserimento dellItalia nella sfera occidentale, e quindi nellarea dinfluenza
americana.
LE FASI DELLO SVILUPPO ECONOMICO ITALIANO: I MODELLI DUALISTICI
Terminato il periodo della ricostruzione, si apre in Italia un periodo di crescita
economica eccezionalmente rapida, interrotto nel 1963-1964 da una recessione che
non ha solo un carattere ciclico, ma che segna anche lo spartiacque fra due differenti
fasi storiche. Negli anni successivi, ma in particolare nel periodo 1969-1973, si ha una
fase di fortissima conflittualit nelle fabbriche e nel Paese, e una crescita economica
pi difficile e tormentata, sebbene ancora abbastanza consistente. Il rapido sviluppo
degli anni 50 e dell'inizio degli anni 60 mette ancor pi in risalto il permanere di un
grave dualismo, sia territoriale sia salariale, nelleconomia italiana e nella struttura
produttiva. Non deve, quindi, sorprendere che vi sia stata in Italia soprattutto negli
anni 50 e 60 una fioritura di modelli dualistici.
Il dualismo economico pu essere inteso come lesistenza, nellambito dello stesso
sistema economico, di realt che seguono percorsi differenziati di sviluppo.
Il dualismo economico pu assumere una triplice configurazione: territoriale,
industriale settoriale o nella struttura produttiva e nel mercato del lavoro, In
Italia sembra che coesistano tutti e tre.

Negli anni 50 si rafforza il tentativo di trovare una soluzione alla disoccupazione


meridionale vista come lelemento centrale del mancato sviluppo.
Il modello di Vera Lutz
La tesi di fondo dellanalisi di Vera Lutz che le cause del dualismo sono da ricercarsi
nel mancato rispetto delle leggi di mercato: se si opera in un regime concorrenziale, lo
sviluppo economico avviene in regime di piena occupazione, ogni fattore produttivo ha
il medesimo rendimento in ogni settore, lo sviluppo il massimo consentito dalla
disponibilit dei fattori e dalla tecnologia.
lobiettivo dellautrice , pertanto, quello di individuare quali imperfezioni del mercato
hanno dato luogo a
questo sviluppo dualistico.
Lanalisi si basa sulle seguenti ipotesi:
una funzione di produzione a coefficienti semiflessibili
la flessibilit del rapporto capitale/lavoro, sia sostituibilit diretta sia
da una sostituibilit indiretta (importazione dei beni basso costo esportazioni beni alto
contenuto di capitali)
Un rapporto capitale/lavoro che assicuri la piena occupazione, data la
disponibilit dei due fattori ed ad un regime concorrenziale
Nel mercato del lavoro italiano, il principale ostacolo al funzionamento concorrenziale
dato dalla presenza dei sindacati e da altri elementi di disturbo come la presenza
dellintervento statale;
Inoltre La dimensione delle imprese italiane, distinte tra poche imprese di grandi
dimensioni e moltissime piccole imprese, fa s che il mercato del lavoro che ne
discende sia caratterizzato da una corrispondente dicotomia nel trattamento salariale
e dei diritti dei lavoratori impiegati rispettivamente nelle 2 tipologie di impresa.
Altro dualismo dato da una diversa sostituzione dei fattori Capitale/lavoro a seconda
della dimensione aziendale: nelle grandi imprese il rapporto di sostituzione
capitale/lavoro pi elevato, e pi di quanto giustificato da esigenze tecnologiche;
nelle piccole imprese il rapporto di sostituzione capitale/lavoro pi basso
Nel mercato del capitale, il tasso di interesse pi basso per le grandi imprese;
Il mercato dei prodotti finiti si caratterizza per lesistenza, in alcuni settori, di posizioni
monopolistiche che consentono remunerazioni dei fattori pi elevate.
Inoltre, la bassa propensione al consumo di prodotti industriali unita alle diverse
elasticit della domanda e dellofferta dei prodotti agricoli fanno s che, allaumentare
del reddito Si determina, un eccesso di
offerta di prodotti industriali e un eccesso di domanda di prodotti agricoli.
Al Sud i maggiori costi di trasporto per le esportazioni, rispetto alle imprese ubicate al
Nord, ostacolano lo sviluppo di una industria meridionale competitiva: le importazioni
di prodotti agricoli non riescono ad
essere pagate con lesportazione di prodotti industriali
Dallanalisi di questi mercati si deduce:
un impiego non ottimale dei fattori produttivi che d come risultato un minor
prodotto totale;
lelevato costo del lavoro nelle grandi imprese, che ne frena lo sviluppo;
il vantaggio di un basso livello di salario nelle piccole imprese, determinato

dalleccedenza di offerta di lavoro;


lassunzione di posizioni monopolistiche da parte delle grandi imprese;
una distribuzione distorta del reddito determinata da una retribuzione dei fattori
produttivi sulla base di meccanismi non solo economici
Dunque, la Lutz conclude che il dualismo dannoso per il sistema economico genera
distorsioni e mantiene la disoccupazione; per superarlo occorre ripristinare le
condizioni di concorrenzialit, a partire dal mercato del lavoro, dato che la
disoccupazione non ha carattere strutturale, ma dovuta al comportamento
sindacale. Le implicazioni di politica economica suggerite dalla Lutz per ridurre il
dualismo
nello sviluppo economico italiano, riguardano:
1) dal lato della domanda, la necessit di ridurre la richiesta di prodotti agricoli
attraverso una politica favorevole allemigrazione, che consente di ridurre anchela
pressione occupazionale nel settore agricolo, favorendone lincremento di produttivit
ed eventualmente di reddito;
2) dal lato dellofferta, politiche di sviluppo dellagricoltura, in modo da ridurre
limportazione di prodotti agricoli, mediante laumento dellofferta interna.
il modello di sviluppo proposto dalla Lutz ha incontra un certo favore politico, in
quanto in questi anni le regioni settentrionali sono in difficolt nel trovare manodopera
per una ulteriore espansione e lemigrazione interna rappresenta una soluzione al
problema. In pi, la Lutz ritiene che lo sviluppo del
Mezzogiorno non possa avvenire in tempi brevi.
Il processo di sviluppo concepito dalla Lutz un processo equilibrato.
Lewis
Diversa la premessa su cui costruito il modello di Lewis: il processo di sviluppo non
pu avvenire senza squilibri, anzi lo sviluppo che richiede squilibri e lo squilibrio
lessenza dello sviluppo. Tuttavia, anche in questo modello, tra laltro non concepito
direttamente per lanalisi delleconomia italiana, lattenzione posta prevalentemente
sul meccanismo di "riequilibrio" che si determina nel mercato del lavoro.
Nel modello, il sistema economico viene diviso in due settori: il settorecapitalistico
e quello di sussistenza.
Si ipotizzano, inoltre:
coefficienti produttivi flessibili;
un economia chiusa;
unofferta di lavoro illimitata;
-la capacit dei lavoratori di svolgere qualsiasi mansione
Il settore capitalistico utilizza tecniche produttive efficienti ed costituito da imprese
che perseguono la massimizzazione del profitto; i fattori produttivi, capitale e lavoro,
sono impiegati nella quantit che consente leguaglianza tra prodotto marginale e
prezzo.
Il settore di sussistenza utilizza tecniche poco efficienti e le imprese adottano criteri
anche diversi dalla massimizzazione del profitto, basati su fattori economici ed
extraeconomici. La produttivit marginale e la produttivit media del settore sono
basse e vi sovrabbondanza di manodopera: il livello di salario viene determinato
dalluguaglianza con la produttivit media (assunto da Lewis come livello di salario di
sussistenza), per cui in questo settore trovano occupazione tutti i lavoratori esclusi dal
settore capitalistico.

Poich l'essenza dello sviluppo una rapida accumulazione, l'espansione del sistema
condizionato dall'aumento dell'offerta di capitale, cio del risparmio, attraverso il
meccanismo di distribuzione del reddito, considerato che i capitalisti hanno una
maggiore propensione al risparmio rispetto ai salariati che, invece, tendono a
consumare interamente il proprio reddito. Ne deriva che il solo settore in grado di
avviare e sostenere il meccanismo di sviluppo dell'economia il settore capitalistico; il
settore di sussistenza svolger un ruolo di sostegno. Nella fase di sviluppo si avranno
livelli salariali diversi nei due settori considerati; lespansione di uno dei settori a spese
dell'altro; una distribuzione del reddito che privilegia i percettori di profitto. Affinch il
processo di sviluppo continui necessaria, innanzitutto, la presenza di un eccesso di
offerta di lavoro nel settore di sussistenza;
gradualmente il settore capitalistico assorbe manodopera dal settore di sussistenza
finch non si esaurisce la disponibilit di lavoratori e il tasso di salario nel settore di
sussistenza non comincia a salire. A questo punto il sistema economico presenta
scarsit del lavoro, con salari crescenti e profitti in riduzione, a cui
si associano riduzione degli investimenti e adozione di tecniche di produzione sempre
pi intensive di capitale: questa la fase della maturit economica.
Il modello di Lewis viene applicato al contesto italiano da Kindleberger.
La caratteristica essenziale del modello di Kindleberger una offerta di lavoro
infinitamente
elastica.Infatti secondo Kindleberger il sistema economico suddiviso in due settori:
un settore
tradizionale e uno moderno.Il settore tradizionale coincide con le attivit agricole e
terziarie tradizionali, non capitalistiche. Invece il settore moderno corrisponde
all'industria e al terziario avanzato, oltre che all'eventuale sezione capitalistica
dell'agricoltura.
Quindi finch esiste un eccesso di offerta di lavoro nel settore tradizionale, e la stessa
mantiene
elasticit, la crescente domanda di lavoro espressa dal settore moderno non fa
aumentare i
salari. I profitti delle imprese aumenteranno e, se investiti, determineranno un nuovo
incremento della
domanda di lavoro, riattivando il circuito. Essendo il saggio del salario costante, il
monte salari
aumenter in proporzione dell'aumento dei lavoratori occupati. Nel settore moderno
i continui miglioramenti delle tecniche faranno aumentare la produzione in misura
maggiore rispetto all'incremento della occupazione, per cui la quota dei profitti
aumenta rispetto alla quota dei salari. Il tasso di sviluppo economico sar
crescente e il sistema economico pu svilupparsi virtuosamente. Il processo di
crescita potrebbe iniziare per effetto di un aumento della domanda nel settore
industriale come ipotizzato nel modello di Lewis o anche per effetto di particolari
variazioni delle curve di offerta che attirano risorse produttive in una industria o le
distolgono a favore di un'altra attivit, a seconda delle elasticit della domanda e della
offerta del prodotto. Questo circolo virtuoso cessa nel momento in cui si esaurisce
l'offerta di manodopera. Ci quanto Kindleberger ritiene sia accaduto in Italia nel
1963: si semplicemente esaurita l'eccedenza di manodopera proveniente dalle
regioni meridionali. tende ad essere "instabile". Se cade l'elasticit della offerta di
lavoro, il saggio di sviluppo diminuisce e l'intero processo di
sviluppo
Dopo il 1963 questo modello diventa inapplicabile al caso italiano perch il sistema
economico
ha raggiunto la "maturit" e non potr pi svilupparsi secondo saggi di sviluppo
eccezionali.

Graziani
Il dualismo economico e territoriale e il processo di divergenza tra regioni avanzate e
regioni arretrate viene accentuato dall'apertura internazionale. Secondo Graziani una
rapida crescita delle esportazioni provoca un aumento della domanda globale, sia
perch le esportazioni sono una componente della domanda globale, sia perch si pu
assumere che l'aumento delle esportazioni provochi un aumento degli investimenti,
che a loro volta, tramite il moltiplicatore, generano un aumento pi che proporzionale
della domanda.
Se si assume che l'offerta si adegui prontamente e senza tensioni inflazionistiche alle
variazioni della domanda, si avr un aumento del prodotto in termini reali. Tale
aumento del prodotto provocher un rapido aumento della produttivit. Il rapido
aumento della produttivit potr provocare una rapida crescita delle esportazioni,
generando nuovi incrementi del prodotto e cos via.
Il modello elaborato da Graziani evidenzia come l'adozione del modello di sviluppo
trainato dalle esportazioni da un lato rappresenti un elemento di espansione delle
imprese la cui produzione rivolta al mercato estero ; dall'altro, penalizzi le
imprese che hanno una produzione rivolta al mercato interno.
Infatti le imprese orientate all'esportazione si indirizzeranno verso l'adozione di
tecniche produttive ad elevata intensit di capitale, conseguiranno economie di scala
e maggiore competitivit anche sul mercato interno. Ma se le imprese che hanno
registrato incrementi di produttivit e di efficienza sono quelle che producono beni
destinati all'esportazione, le imprese la cui produzione invece destinata al mercato
interno, sono interessate da un minor incremento della produttivit e della produzione.
Si accentua e perpetua cos il dualismo industriale. Graziani tende forse a
sottolineare eccessivamente una componente della domanda globale (le esportazioni)
a spese delle altre componenti (interne) e di altri fattori operanti dal lato dell'offerta,
del mercato del lavoro e della distribuzione dei redditi.
Conclusioni
Il concetto di dualismo sottintende lesistenza, nellambito dello stesso sistema
economico, di realt che
seguono percorsi differenziati di sviluppo, sia in termini di tassi di crescita del reddito
reale procapite, sia
in termini di trasformazioni socio-economiche, tali da lasciare inalterate nel tempo le
differenze tra le
relative specificit. Non attivandosi un processo di integrazione della realt meno
sviluppata con quella
pi avanzata, il sistema economico nel suo complesso si caratterizzer per un
processo di sviluppo
distorto e inefficiente.
La peculiarit del caso italiano si rinviene nella circostanza che le tre tipologie di
dualismo individuate
tendono a coesistere, realizzando cos una pi o meno netta separazione tra il Nord e il
Sud del Paese.
Quando il dualismo economico assume una tale conformazione, lo squilibrio tra le
aree determina ed
accentua andamenti differenziati e divergenti di sviluppo, favorendo processi virtuosi
nella regione pi
moderna ed avanzata e processi viziosi nella regione in ritardo, non spontaneamente
risolvibili e
superabili, ma che richiedono politiche economiche sostanziose e durature che
insistano sulla

trasformazione di un circolo vizioso in un processo virtuoso di sviluppo.


PIANI DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DEGLI ANNI 50 E 60
Le forme di programmazione proposte o tentate dalle autorit di politica
economicahanno sempre rispettato le caratteristiche "miste Si sono, quindi, avute
negli anni forme di programmazione che, pur privilegiando il mercato, prevedevano
anche interventi pubblici pi o meno estesi al fine di correggere
l'andamento spontaneo del sistema, cercando di indirizzarlo verso determinati obiettivi
di politica economica. Tali obiettivi erano rivolti a superare i problemi di fondo
delleconomia italiana, ovvero i problemi del divario Nord-Sud, degli alti livelli di
disoccupazione, dei divari intersettoriali di reddito.
Lo Schema Vanoni
Un vero e proprio programma pluriennale globale, cio riferito all'intera economia
italiana, invece lo Schema Vanoni, o Schema decennale di sviluppo dell'occupazione
e del reddito in Italia, nel decennio 1955-64, presentato dallallora ministro del Bilancio
Ezio Vanoni
E il primo piano di programmazione pluriennale globale per il periodo 1955 1964.
Lo Schema, ispirato dalla consapevolezza del persistere di due gravi fenomeni quali la
rilevante disoccupazione e il forte divario economico tra il Mezzogiorno e le altre
regioni italiane.
Gli obiettivi che si proponeva di raggiungere sono:
la creazione di 4 milioni di nuovi posti di lavoro nel settore extra agricolo;
l'annullamento del divario Nord-Sud;
il raggiungimento e il mantenimento dell'equilibrio nella bilancia dei pagamenti.
Secondo Vanoni, per raggiungere questi obiettivi sono necessari i seguenti interventi:
un tasso medio di crescita annua del prodotto nazionale lordo a prezzi costanti del
5%;
un aumento della propensione al risparmio della collettivit;
un mutamento nella ripartizione territoriale degli investimenti;
un mutamento nella ripartizione settoriale degli investimenti
Lo Schema indica, poi, alcuni settori delleconomia che sono considerati
particolarmente idonei a divenire settori propulsivi di una politica di sviluppo, in
quanto pi facilmente influenzabili dallazione dello Stato. Tali settori sono identificati
nei seguenti:
agricoltura;
imprese di pubblica utilit (energia elettrica, gas naturali, ferrovie, telefoni,
acquedotti);
opere pubbliche (strade, scuole, ospedali, porti, aeroporti, sistemazioni
fluviali e montane);
edilizia per abitazioni
Il settore delledilizia per abitazioni viene, poi, concepito, al di l della fascia
delledilizia popolare, come un volano per lazione congiunturale in funzione di
eventuale stimolo al processo di espansione della domanda.
Per quanto riguarda la politica industriale, lazione dello Stato viene circoscritta in
modo rigoroso. Secondo lo Schema, infatti, lo Stato pu procedere con investimenti in
via diretta, al di fuori dei settori gi considerati propulsivi, solo nel caso in cui ci sia
necessario per:
localizzare attrezzatura industriale addizionale in determinate regioni;

sostenere tutte quelle attivit industriali in grado di creare economie esterne


necessarie per facilitare gli investimenti privati;
assicurare lulteriore sviluppo dei settori industriali gi sotto il controllo dello Stato.
lo Schema Vanoni rappresenti il primo vero programma globale di programmazione
economica che sia stato presentato in Italia, esso in realt ha solo rappresentato una
dichiarazione di intenti sulla politica economica da condurre (morte Vanoni contrasti
politici).
Nonostante lo Schema non sia mai stato seriamente attuato, stato comunque
possibile evidenziare gli scostamenti tra le intenzioni rappresentate nel piano e
le tendenze verificatesi nella realt, come:
Il mancato raggiungimento dellobiettivo occupazionale;
Lannullamento del divario Nord-Sud, stato completamente fallito, dato che nel
periodo la disuguaglianza territoriale tra le due aree rimasta sostanzialmente
immutata;
Lunico obiettivo realmente raggiunto stato quello dellequilibrio della bilancia dei
pagamenti.
Nota Aggiuntiva 1962
Nel decennio 1955-64, un reale processo di programmazione non mai stato attuato:
leconomia ha seguito la sua spontanea evoluzione:
un'ulteriore apertura economica;
l'ulteriore estensione dell'industria pubblica;
trasporti e comunicazioni;
il passaggio dalla politica infrastrutturale della Cassa per il Mezzogiorno alla
politica di incentivi all'industria.
Tutto ci, se da una parte ha agevolato la rapida espansione dell'industria italiana,
allaltra ha penalizzato l'agricoltura e ha mantenuto il divario Nord-Sud e i relativi
problemi occupazionali.
Con l'avvento nel 1962 del centro-sinistra, il dibattito sulla programmazione acquista
un nuovo impulso. Viene presentata, nel 1962, la Nota aggiuntiva di Ugo La Malfa,
allora ministro del Bilancio, che riafferma la necessit di ricorrere a forme incisive di
programmazione.
La Nota aggiuntiva, pur attribuendo minor rilevanza al quadro economico
previsionale, traccia un lucido consuntivo dei caratteri salienti dello sviluppo cos come
si manifestato nel corso degli anni 50. Essa rileva come, durante quegli anni, il
Paese abbia conosciuto un considerevole sviluppo, determinato da un meccanismo di
mercato, in cui hanno agito potenti fattori di sviluppo, e da una politica economica
capace di assecondare il mercato stesso. In particolare, si mettono in evidenza
lintensificarsi, a partire dal 1950, della politica di inserimento della economia italiana
nel mercato mondiale, e il mantenimento e lespansione della spesa pubblica. A fronte
di questo riconoscimento positivo, tuttavia, la Nota evidenzia come landamento
spontaneo del mercato, solo in parte corretto da interventi discontinui e non sempre
coordinati di politica economica, abbia accentuato il carattere dualistico delleconomia
italiana, sia dal punto di vista settoriale, sia dal punto di vista territoriale.
Gli obiettivi della politica di programmazione individuati dalla nota sono:
il mantenimento di un ritmo di sviluppo elevato;
il superamento degli ormai tradizionali squilibri tra le regioni nord-occidentali ed il
resto
dItalia;
il superamento degli squilibri tra industria ed agricoltura;
un impiego pi razionale dei flussi di reddito e di consumo per conseguire un
migliore

livello di vita civile


Viene istituita Commissione nazionale per la programmazione economica:
trasformare le direttive contenute nella Nota in un vero e proprio programma di azione
politica economica, I lavori della
Commissione, presieduta dalleconomista Pasquale Saraceno, si sono protratti per
circa
due anni e si conclude con la stesura di un documento preliminare, la Bozza di
programma quinquennale per gli anni 1965- 1969, che viene presentata al
pubblico dallallora ministro del Bilancio, il socialista
Antonio Giolitti.
Il Piano di sviluppo economico per il quinquennio 1965 1969, ovvero il piano
Giolitti, mirava al miglioramento delle condizioni di vita, operando nei seguenti
settori:
il mantenimento di un ritmo di sviluppo elevato, anche in presenza di una
congiuntura internazionale meno favorevole che nel passato;
il superamento degli ormai tradizionali squilibri tra le regioni nord-occidentali
ed il resto dItalia;
il superamento degli squilibri tra industria ed agricoltura;
un impiego pi razionale dei flussi di reddito e di consumo per conseguire un
migliore livello di vita civile
Le finalit di questo piano non si discostano da quelle gi individuate dalla Nota
aggiuntiva, ma, accanto alla finalit del superamento dei diversi squilibri, viene dato
particolare rilievo al miglioramento delle condizioni di vita attraverso un ampliamento
degli impieghi sociali del reddito, da realizzarsi, in modo particolare, operando ne
seguenti settori:
abitazione e assetto urbanistico;
sicurezza sociale e sanit;
sistema dei trasporti e delle comunicazioni
Per quanto riguarda il sistema delle imprese, il piano prevede esplicitamente che il
processo di programmazione si compia in una economia mista, in cui - pur nel rispetto
della sfera di autonomia dei centri di decisione pubblici e privati - tutte le imprese
siano coinvolte nella misura in cui coordinamenti e limiti si rivelino necessari per la
realizzazione del programma.
Imprese pubbliche
conformit delle scelte imprenditoriali rispetto agli obiettivi del programma,
prefigurando un esame preventivo dei programmi specifici ed un esame consuntivo
dei risultati.
grandi imprese private,
invece, si stabilisce lobbligo di comunicazione agli organi di programmazione dei
programmi di investimento, cos da consentire laccertamento della loro conformit
agli obiettivi del programma e di assumere le necessarie determinazioni in tema di
politiche infrastrutturali, di incentivi e di credito.
si distingueva tra Mezzogiorno, aree sottosviluppate esterne al Mezzogiorno e aree
industrializzate ed urbanizzate dellItalia nord-occidentale;
si decideva di realizzare una concentrazione e qualificazione degli investimenti nelle
aree maggiormente suscettibili di sviluppo;
si indirizzava il sistema di incentivi verso la media impresa, in grado di garantire un
elevato assorbimento di manodopera e adeguati livelli tecnologici;
si stabiliva che tutte le nuove iniziative delle imprese pubbliche venissero realizzate
nellarea meridionale;

per prevenire il collasso territoriale delle aree industrializzate dellItalia


nordoccidentale
si affermava la volont di eliminare ogni forma di incentivi alla
localizzazione delle imprese in queste aree e di predisporre disincentivi;
allulteriore addensamento di nuove attivit nelle aree pi congestionate.
Il piano Giolitti
Attraverso gli interventi settoriali Giolitti fornisce una prima impostazione
programmatica per lintervento dei pubblici poteri e una sintesi delle azioni e delle
riforme necessarie per raggiungere gli obiettivi dl piano:
per la politica sanitaria il piano proponeva, per la prima volta, il progetto di un
Servizio sanitario
nazionale, articolato in unit sanitarie locali e fondato sul carattere preventivo
dellintervento.
per la politica di sicurezza sociale si delineava un sistema fondato sulla istituzione
di una pensione
base per tutti i cittadini inabili e per i superstiti, integrata da regimi professionali per i
lavoratori
dipendenti.
per la politica dellistruzione il piano poneva due obiettivi fondamentali:
listituzione di un biennio
professionale successivo alla scuola dellobbligo, rivolto alla formazione professionale
polivalente, e
listituzione di diplomi a livello universitario, per la formazione di quadri superiori.
per la politica dei trasporti il piano impostava una serie di indirizzi programmatici
volti a ridurre le
distorsioni provocate dallabnorme uso del mezzo stradale, particolarmente
antieconomico sulle lunghe
percorrenze e responsabile, nelle aree particolarmente urbanizzate, di gravi fenomeni
di congestionamento.
Inoltre, per ovviare alla cosiddetta distorsione dei consumi che ha caratterizzato lo
sviluppo economico italiano fino a quel momento, il piano si propone una serie di
interventi a livello settoriale.
Per la politica delle abitazioni, il piano Giolitti distingue fra edilizia sovvenzionata,
per la quale lo Stato provvede direttamente alla esecuzione e gestione, e edilizia
convenzionata, per la quale intervengono i privati e le cooperative nellambito di una
regolamentazione.
Piano Pierracini
Programma per il quinquennio 1965-69 e la Nota aggiuntiva per il quinquennio
1966-70,
Il piano Pieraccini poneva in evidenza la necessit di elevare il tenore di vita dei
cittadini e
di continuare a ridurre gli squilibri territoriali.
Il programma si caratterizzava per l'aumento della spesa sociale. Ci si proponeva in
sostanza di realizzare pi scuole, pi abitazioni, di elevare il grado di sicurezza sociale,
di accrescere la dotazione di infrastrutture pubbliche, di intensificare l'attivit di
ricerca scientifica.
conseguimento di questi obiettivi era subordinato a varie condizioni:
al protrarsi del processo di sviluppo;
al permanere della stabilit monetaria;
all'equilibrio dei conti con l'estero
Fondamentale assicurare un elevato tasso di crescita attraverso il progressivo
inserimento nel contesto

internazionale:
saggi di produttivit non inferiore a quelli dei paesi concorrenti;
Aumento della pressione competitiva;
Obiettivo primario del piano era il raggiungimento di un tasso di crescita del 5%
annuo: sarebbe dovuto
essere il risultato dellaumento delloccupazione.
Tra il 1964 e il 1969 il prodotto interno lordo ha continuato a crescere a ritmi superiori
a quelli
programmati. Gli investimenti produttivi, dato il forte rialzo del costo del lavoro,
venivano diretti a ridurre
l'impiego di manodopera.
L'occupazione continuava a crescere ma a ritmi contenuti.
Il nuovo contesto era per caratterizzato da una rilevante conflittualit sociale, dalla
forte espansione della spesa pubblica corrente e dalla perdita di efficacia
dell'intervento pubblico.
Per quanto riguarda gli altri obiettivi del Piano, essi sono riassumibili nei seguenti
punti:
un aumento delloccupazione extra-agricola di 1.500.000 unit, tale, cio, da portare
il livello della disoccupazione totale intorno al 2,8% e da assorbire la fuoriuscita di
forza-lavoro dal settore agricolo;
una netta riduzione degli squilibri territoriali, che si pensa di poter eliminare
completamente entro la met degli anni 80; per ottenere questo risultato, nel
Mezzogiorno si dovrebbe concentrare la creazione del 40-45% della nuova
occupazione totale;
un incremento del ritmo di sviluppo del settore agricolo e una riduzione dei
differenziali di reddito fra il settore agricolo e gli altri settori economici;
un aumento degli impieghi sociali del reddito al livello del 27% delle risorse interne
disponibili, in modo da incrementare sensibilmente la dotazione di servizi collettivi.
Si pu dire che il Piano Pieraccini abbia sostanzialmente fallito il raggiungimento di
tutti gli obiettivi socialmente pi qualificanti, come il livello di occupazione o il
recupero del ritardo del Mezzogiorno, nonostante il tasso di crescita del PIL sia stato
nettamente superiore alle previsioni
Fallimento piano:
sbagliata la previsione del tasso di crescita della produttivit del lavoro;
sbagliate sia la previsione della riduzione delloccupazione nel settore agricolo, sia
quella
relativa alla capacit dei settori extra-agricoli di creare nuovi posti di lavoro;
Mancanza di strumenti di intervento innovativi rispetto ad una Cassa per il
Mezzogiorno che aveva gi mostrato tutti i suoi limiti;
Soltanto cinque riforma applicate delle quattordici previste
Cause del fallimento:
scarsa impostazione analitica del piano;
mancata predisposizione di adeguati strumenti operativi e scarsa attenzione data
alla fase di attuazione del piano;
Mancata attuazione sia della fase intermedia, sia della fase microeconomica della
programmazione;
Assente la verifica delladeguatezza degli strumenti operativi disponibili ed di un
controllo
efficiente sulla reale utilizzazione degli strumenti a disposizione della autorit
pubblica.
I PIANI DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DEGLI ANNI 70 E 80
Progetto 80

Il Progetto 80 stato un progetto di riflessione e di programmazione promosso nel


1968 dallUfficio del programma prima e dal Segretariato della programmazione poi,
presso il Ministero del Bilancio e della Programmazione economica, sotto la direzione
di Giorgio Ruffolo.
Il punto di partenza del Progetto 80 la revisione della concezione di
programmazione economica dovrebbe servire da supporto ai piani quinquennali 197175 e 1976-80.
necessario elaborare un sistema della programmazione molto flessibile, ovvero
intendere il piano di programmazione come momento di raccordo tra decisioni del
governo e reazioni degli altri sistemi coinvolti nel processo e da costruirsi sulla base
delle tecniche di analisi macroeconomiche disponibili, utile per verificare la coerenza
delle decisioni strategiche rispetto agli obiettivi del piano.
Momento decisivo della costruzione del piano diviene lidentificazione delle azioni
programmatiche, che vengono distinte in tre grandi gruppi.
1) i progetti sociali, ovvero le azioni pubbliche da realizzare nel campo degli
impieghi sociali del reddito. Tali progetti, che sono di preminente responsabilit di
amministrazioni ed enti pubblici,
2) i programmi di promozione, ovvero azioni programmatiche da condurre nei
diversi campi produttivi (agricoltura, industria e terziario) al fine di coordinare ed
armonizzare, sempre su iniziativa pubblica, lattivit di pi centri di decisione, sia
pubblici, sia privati, per il conseguimento degli obiettivi posti dal piano
3) la programmazione di breve periodo, che riguarda le politiche generali di
controllo delleconomia (creditizie, fiscali, degli investimenti pubblici, etc.) che possono
essere impiegate allo scopo di coordinare le decisioni
Gli obiettivi del Progetto 80 sono:
la massima occupazione;
lestensione della base territoriale dellapparato produttivo e la sua
diversificazione territoriale;
un decisivo progresso nella quantit e qualit delle infrastrutture pubbliche e
degli impieghi sociali del reddito;
un maggior contributo allo sviluppo dei Paesi arretrati;
il mantenimento di una economia aperta e il proseguimento del processo di
integrazione europea
Le previsioni relative allo sviluppo economico e al tasso di crescita degli investimenti
sono molto ottimistiche. Restano nel Progetto 80, sebbene espressi in modo generico,
gli obiettivi di una riduzione dei divari territoriali e settoriali che sono poi saranno
disattesi. Un altro errore di previsione riguarda la valutazione del ritmo di riduzione
delloccupazione agricola e il ritmo di crescita della produttivit, cosa che del resto si
era gi verificata in occasione della elaborazione dei piani precedenti.
Lerrore di sopravvalutazione , tuttavia, dovuto soprattutto alla impossibilit pratica
di prevedere le due crisi energetiche che nel corso degli anni 70 sconvolgeranno
completamente il sistema economico italiano.
Nonostante lampio dibattito sul Progetto 80, la sua traduzione in un vero e proprio
piano concretamente resa impossibile dalle confuse vicende politiche di quegli anni.
Contemporaneamente si assiste al rapido scemare della fiducia nel metodo
programmatorio, man mano che si rende evidente il fallimento del piano Pieraccini e si
fanno sempre pi gravi i fenomeni di instabilit sociale ed economica.
Piano annuale per il 1972
Con la mancata approvazione, alla fine del 1972, del Piano di programmazione per il
1971-1975, viene a mancare la fiducia nei piani di programmazione globale
pluriennale e si manifesta lesigenza di intervenire nella gestione delleconomia in
maniera diversa. Infatti, di fronte al complesso dibattito e ai continui rinvii cui

sottoposto il Documento programmatico per il 1971-75, ma, soprattutto, sotto


lincalzare della
sempre maggiore instabilit del sistema economico nazionale e la conseguente di
intervenire nel pi breve tempo possibile per cercare di affrontare le questioni pi
gravi.
Diversa metodologia di intervento nella gestione delleconomia
La preoccupazione fondamentale del piano annuale risiede nel creare uno specifico
raccordo fra interventi di sostegno della domanda e azione riformatrice. In particolare,
si assegna alla spesa pubblica per investimenti la funzione di principale variabile
strategica della politica economica. Si tratta, quindi, di una strategia incompatibile con
laumento della spesa corrente e alternativa rispetto a una manovra affidata a sgravi
fiscali.
Il piano si concentrava:
1) introduzione della riforma tributaria e, in particolare, di quella dellIva;
2) impostazione del bilancio e predisposizione di previsioni di cassa;
3) adozione di misure per accrescere la flessibilit del bilancio e renderne pi spedita
lutilizzazione a fini anticiclici.
Anche il piano annuale per il 1972 non viene in concreto realizzato per la crisi di
governo verificatasi agli inizi dello stesso anno e la chiusura delle Camere in attesa
delle elezioni. Il mancato intervento previsto dal piano produce effettivamente le
conseguenze negative previste in assenza di una programmata azione espansiva:
aumento delle tensioni inflazionistiche;
perdurante stasi degli investimenti industriali;
aggravarsi della situazione occupazionale
Piano Annuale 73
Dato il perdurare di gravi fenomeni di instabilit, alla fine del 1972 gli organi della
programmazione, sempre in collaborazione con lautorit monetaria, predispongono
un nuovo Piano annuale per il 1973.
In primo luogo, il Piano mette in evidenza la negativit di specifici e importanti
aspetti di politica economica:
la crescita modesta del reddito nazionale per il 1973;
la notevole spinta inflazionistica;
il mancato incremento delloccupazione;
la crescita apparentemente sostenuta esclusivamente dalle esportazioni e dai
consumi privati, aggravando la stasi degli investimenti;
lesistenza di ampi margini di capacit produttiva inutilizzata nel settore industriale;
un notevole avanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti.
Tutti questi elementi consentivano, evidentemente, di puntare su una decisa politica di
espansione. A fronte del fallimento del precedente piano annuale, basato sulla
espansione degli investimenti pubblici, per la lentezza dei processi di decisione
governativa, il Piano annuale per il 1973 si prefigge di avviare una azione di politica
economica volta a:
a) migliorare i conti economici delle imprese, cos da stimolare gli investimenti;
b) contenere gli aumenti dei prezzi, per evitare una compressione della domanda reale
per consumi
I suggerimenti del Piano per raggiungere tali obiettivi erano:
fiscalizzare gli oneri sociali in modo rilevante per contenere il costo del lavoro nel
settore
industriale;
condizionare la concessione del suddetto beneficio alle grandi aziende allimpegno a
bloccare i prezzi per un certo periodo;
applicare interventi pi generalizzati di controllo dei prezzi da parte delle autorit.
Fallimento del piano:

il Piano annuale per il 1973 stato esaminato ed approvato dal Cipe soltanto nel
marzo
del 1973;
il pericoloso incremento delle esportazioni nette di capitali dallItalia, determinato
soprattutto dalle misure restrittive e dallaumento dei tassi di interesse dei principali
paesi
esteri, rendeva poco stabile la nostra bilancia dei pagamenti: le autorit risposero a
questa situazione con listituzione del doppio mercato dei cambi, ma, quando il dollaro
fu
svalutato, venne autorizzata la libera fluttuazione della lira per cercare di allentare il
vincolo della bilancia dei pagamenti sulla politica economica interna
La programmazione settoriale
In sostituzione dei piani globali pluriennali, viene messo in atto un altro tipo di
programmazione, quella dei cosiddetti Piani settoriali.
I piani settoriali, predisposti ciascuno per ogni specifico settore di intervento ritenuto
dagli organi di programmazione e dalle autorit di governo come pi idoneo a favorire
lo sviluppo del sistema Paese (come il settore chimico, quello elettromeccanico, quello
zootecnico etc.), sono elaborati nel corso degli anni 70 allo scopo di indirizzare e
coordinare gli interventi di politica industriale.
Tuttavia, nonostante le intenzioni chiaramente manifestate, lelaborazione di questi
piani non d risultati particolarmente positivi, poich la loro elaborazione affidata a
organi non competenti nelle problematiche affrontate e poich spesso sono stati
adattati ai piani di sviluppo forniti dalle stesse grandi imprese operanti nei settori
oggetto di intervento inoltre vi fu incapacit dimostrata da numerosi manager pubblici
e privati di effettuare corrette scelte di fondo per la strategia di investimento della
industria italiana.
Una chiara dimostrazione di questa somma di incapacit dalle scelte effettuate nei
campi della industria chimica e di quella siderurgica. Mentre, infatti, tutti gli indicatori
disponibili, gi a partire dai primi anni 70,, mostrano con evidenza il formarsi di una
grave sovrapproduzione mondiale nei campi della siderurgia e della chimica di base,
tale da provocare gi allora la crisi di tali produzioni, in Italia sono approvati e
finanziati piani per incrementare proprio tali tipi di produzione.
La programmazione settoriale raggiunge il massimo sviluppo con la approvazione
della legge 675/1977, relativa alla ristrutturazione e riconversione produttiva. Tale
legge prevede tra le proprie finalit:
la preparazione di diversi piani settoriali;
la predisposizione di un documento di sintesi annuale sullo stato dellindustria;
listituzione del CIPI, comitato dei ministri per il coordinamento industriale;
listituzione di un Fondo per la ristrutturazione e la riconversione industriale
la istituzione di una serie di incentivi fiscali per agevolare ristrutturazioni e
riconversioni industriali;
il riordino complessivo delle agevolazioni finanziarie
Piano Pandolfi
Il fallimento dei piani settoriali e annuali e l'incapacit del governo nel ridurre la forte
instabilit economica e l'inflazione rampante, oltre che nell'affrontare seriamente i
tradizionali problemi strutturali dell'economia, inducono a ritornare al metodo dei piani
pluriennali. Data l'elevata instabilit economica, si preferisce tuttavia restringere
l'orizzonte temporale al medio periodo, predisponendo dei piani triennali da rivedere
poi, eventualmente, anno per anno. Nell'agosto del 1978, il ministro Pandolfi presenta
appunto una bozza di piano a medio termine che, completata e arricchita, sfocia infine
nel gennaio del 1979, nel

Piano triennale 1979-1981 (o Piano Pandolfi). Tale piano, pur ricordando alcuni degli
obiettivi tradizionali della programmazione italiana (squilibri territoriali, occupazione
ecc.), si preoccupa soprattutto del problema che allora domina il dibattito economico,
ovvero l'inflazione: in sostanza un piano di rientro dall'inflazione.
Il Piano Pandolfi si pone due obiettivi finali: l'aumento dell'occupazione e lo sviluppo
del Mezzogiorno. La previsione di crescita assai ottimistica: si ipotizza "uno
spostamento di risorse dal consumo agli investimenti", una riduzione del tasso
d'inflazione e una riduzione dei divari territoriali nella produzione, nel reddito e
nell'occupazione.
Per raggiungere questi obiettivi, il piano triennale prevede il rispetto di tre condizioni:
far fronte alla crisi della finanza pubblica riducendo sia il fabbisogno del disavanzo
pubblico allargato in percentuale del PIL, sia il disavanzo corrente dello Stato;
una specie di blocco dei salari, auspicando incrementi dei salari monetari non
superiori all'aumento dei prezzi;
una politica del lavoro "che consenta modalit pi flessibili di utilizzo della forza
lavoro" al fine di incrementare la produttivit.
La crisi energetica, e la successiva recessione, hanno l'effetto di far fallire del tutto il
Piano Pandolfi, soprattutto nel suo obiettivo centrale di riduzione dell'inflazione.
Piano La Malfa
Dopo lo scoppio della seconda crisi energetica, il nuovo ministro del Bilancio
GiorgiovLa Malfa predispone un piano a medio termine 1981-83, seguito dal Piano
1982- 1984,vaggiornamento reso necessario dai mutamenti dellevoluzione
economica.
L'epicentro dell'attenzione si spostava dall'inflazione al vincolo estero e, per la prima
volta in un documento ufficiale, si formula nettamente l'obiettivo di ridurre la
pressione esercitata dal vincolo esterno sulle possibilit di sviluppo dell'economia.
Le linee d'intervento previste sono differenziate:
misure volte a "ridurre la dipendenza dall'estero per le fonti d'energia, per i prodotti
alimentari, e per i prodotti legnosi, e incrementare le esportazioni dimanufatti ed il
turismo";
altre misure tese a "ridurre lo sperpero di risorse nei punti di crisi (concentrati nella
siderurgia, nella chimica, nella cantieristica navale), e migliorare l'uso delle risorse
attraverso processi di ristrutturazione, e di riconversione accompagnati dal sostegno
pubblico".
In ogni caso, il piano sconta anche l'assenza quasi completa di riferimenti quantitativi
macroeconomici precisi e dettagliati su cui poggiare l'azione programmatica e
l'inadeguato impianto analitico. Rimangono, tuttavia, la corretta intuizione della
necessit di una politica d'investimenti volta a ridurre il deficit strutturale di alcune
poste della bilancia dei pagamenti e una maggiore attenzione verso la politica degli
investimenti della pubblica amministrazione.
De Michelis
Dopo il fallimento del Piano La Malfa non viene predisposto alcun programma globale
per l'economia italiana, ma solo piani settoriali. Tuttavia, nel 1984-85 il ministro del
Lavoro De Michelis elabora un piano
decennale per l'occupazione, sotto forma del rapporto in due volumi La politica
occupazionale per il prossimo decennio.
Secondo le analisi condotte dal Piano, quindi, landamento spontaneo delleconomia
condurrebbe, nel giro di un decennio, al superamento del fenomeno della elevata
disoccupazione al Centro-Nord, mentre la disoccupazione del Mezzogiorno
continuerebbe a presentarsi come un fenomeno strutturale e permanente di estrema
gravit.

Per questo si pensa a una serie coordinata di interventi, che aumentino il pi possibile
la flessibilit del sistema produttivo, con riguardo in particolar modo a:
costo del lavoro aggregato;
differenziali salariali;
orari;
organizzazione del lavoro
De Michelis prevede una serie di altri interventi tesi ad aumentare direttamente
l'occupazione, come ad esempio la creazione di nuove forme di lavoro e impegni a
favore della piccola e media impresa,
per cercare di favorire il Mezzogiorno. Nonostante lampia visione manifestata nella
elaborazione del Piano, tuttavia esso offre delle politiche di intervento che non
risultano ben collegate tra loro. Anche la strumentazione prevista risulta del tutto
inadeguata di fronte alla gravit del problema della disoccupazione nel Mezzogiorno.
In modo particolare, proprio la mancata individuazione di interventi specifici e la
carenza di proposte realmente operative per aggredire il problema della
disoccupazione meridionale sembrano rappresentare il punto debole del Piano De
Michelis.
Lo stesso Piano, infatti, concentrando la propria attenzione in maniera prevalente sui
problemi della flessibilit, finisce per porre al centro della propria indagine, e al di l
dei semplici enunciati di principio, proprio i problemi della grande impresa del CentroNord.
LA Programmazione oggi.
Le politiche di derivazione comunitaria hanno ispirato una nuova concezione
programmatoria, che si sovrapposta allesaurimento di una lunga stagione di
politiche di sostegno alle regioni in ritardo e alla crisi del vecchio sistema di
regolazione politica. La strada seguita per superare la vecchia impostazione
dellintervento statale a sostegno delle economie regionali depresse, o in crisi
funzionale, stata duplice:
- da un lato, linnovazione nei criteri e nelle procedure generali in cui inquadrare le
politiche di sviluppo;
- dallaltro, linnesco di processi locali di sviluppo economico sulla base della
valorizzazione delle capacit localizzate o, per usare una nozione oggi pi in voga,
dei beni collettivi locali. In pratica si assistito a un notevole attivismo
programmatorio nel campo della concertazione territoriale;
Nello scenario programmatorio , dunque, in atto il tentativo di costruire in modo
congiunto la cornice delle strategie di programmazione economico-finanziaria delle
politiche regionali e gli scenari di sviluppo dei sistemi territoriali delle regioni.
Allinterno del quadro descritto, trova ideale collocazione la programmazione
negoziata, cos come stata sperimentata e condotta dal partenariato istituzionale
negli
ultimi anni. Con il termine programmazione negoziata si fa riferimento a un metodo
per regolare problemi di interesse pubblico con il concorso di soggetti, pubblici e
privati, che possono far convergere le risorse a loro disposizione su obietti comuni.
Da sempre le politiche pubbliche sono oggetto di negoziazione per trovare, tra gli
interessi in gioco, un punto di mediazione e di convergenza sulle decisioni finali.
Lattivit di qualsiasi amministrazione pubblica inserita in una trama fitta di relazioni,
intessute con altre istituzioni pubbliche e con soggetti privati.
A partire dalla fine degli anni 80, questo sistema di relazioni ha assunto un carattere
di sempre maggiore trasparenza e organizzazione, ed nato un nuovo modo di gestire
le politiche per mezzo di contratti. Prendeva forma ci che da l a poco sarebbe
diventata la "Programmazione Negoziata.

LE leggi n. 142/1990 e n. 241/1990), che ebbero il merito di dotare le pubbliche


amministrazioni, abituate a muoversi in un quadro di relazioni fortemente gerarchiche
e improntate a un rigido formalismo, di regole e strumenti di lavoro pi flessibili.
Le innovazioni pi rilevanti vennero apportate dalla Conferenza dei Servizi e dagli
Accordi di Programma, che da un lato riconoscevano un ruolo anche a soggetti terzi
rispetto agli enti direttamente coinvolti nel procedimento amministrativo, dall'altro
avevano il pregio di velocizzare l'iter burocratico degli atti e di prevedere scadenze
cogenti per la chiusura dello stesso procedimento.
Uno degli obiettivi prioritari di tali innovazioni consisteva nel semplificare e velocizzare
le procedure sequenziali il metodo negoziale costruito dal basso (bottom up),
nonostante la sua complessit, si
cos sempre pi diffuso insieme all'idea che le parti in gioco, se collaborative, possono
costruire soluzioni pi rapide (e migliori) di quanto si potrebbero ottenere con processi
tradizionali, improntati al ferreo rispetto della gerarchia amministrativa (top down).
Una svolta verso laffermazione della Programmazione Negoziata si avuta nel 1992,
quando il Governo conged l'intervento straordinario nel Mezzogiorno,
Con la Legge n. 662 del 1996 e la Delibera CIPE del marzo 1997 fu
istituzionalizzata la programmazione negoziata al fine di "regolare gli interventi che
coinvolgono una molteplicit di soggetti pubblici e privati e che comportano attivit
decisionali complesse, nonch la gestione unitaria delle risorse. Venne prevista la
possibilit di attivare strumenti quali le Intese Istituzionali di Programma, gli
Accordi di Programma Quadro, i Patti Territoriali, i Contratti di Programma ed i
Contratti dArea.
Intese istituzionali di programma: vengono definite le scelte e gli interventi
infrastrutturali ritenuti prioritari a livello regionale;
Accordi di programma quadro: declinano gli impegni assunti tramite lIntesa, in
progetti condivisi su specifiche tematiche considerate di massima priorit;
Il Contratto di Programma e il Contratto dArea: sono rivolti al settore produttivo e
occupazionale. Il primo, di iniziativa privata, prevede il contributo dello Stato
allimprenditore che decide di investire in aree svantaggiate del Paese. Il secondo
stato creato per fronteggiare la crisi della Siderurgia e della Chimica negli anni 90 e
riguarda aree che a seguito di delocalizzazioni o riconversioni hanno subito forti crisi
occupazionali
Il Patto Territoriale appare lo strumento negoziale pi consolidato e nasce
dallabolizione dellintervento straordinario nel Mezzogiorno (L. 488/1992). Il Patto
persegue due obiettivi, distinti, ma interdipendenti:
rafforzare le relazioni orizzontali tra istituzioni locali, nella diffusione di forme
partecipative di democrazia;
creare programmi integrati di sviluppo, fondati su bisogni specifici, sulle priorit
del territorio e su vocazioni produttive preesistenti. Tra il 1998 e il 2001 sono stati
cofinanziati in Italia 230 Patti, di cui circa due terzi nel Sud dItalia.A partire dalla
seconda met degli anni 90, cresciuta progressivamente la quantit di politiche
pubbliche governate attraverso il metodo della programmazione
negoziata dalle opere pubbliche allo sviluppo economico.
La programmazione economica territoriale riguarda tutti gli interventi attuati da
uno o pi attori istituzionali, generalmente pubblici ma anche privati, al fine di favorire
lo sviluppo di un particolare territorio/regione Obiettivi della programmazione
territoriale possono essere:
la crescita economica;
la correzione di eventuali distorsioni nelluso delle risorse;
la diminuzione dei differenziali territoriali di crescita tra regioni;
il ri-orientamento dello sviluppo verso obiettivi di sostenibilit ambientale e sociale.
Gli obiettivi di sostenibilit e coesione divengono di gran lunga predominanti su quelli
di sviluppo e riequilibrio, mentre la forma dellintervento pubblico muta dalla forma

diretta alla forma indiretta, vale a dire di indirizzo e di incentivo per la promozione di
forme di governance del territorio che vedano la compartecipazione degli attori privati
e delle istituzioni locali, pi che dellamministrazione pubblica centrale.
Il territorio nella programmazione
Limportanza del territorio nella programmazione:
Si da tempo affermata una centralit del territorio nella progettazione di azioni,
programmi e politiche di sviluppo.
In tempi di globalizzazione la ipermobilit dei fattori e delle risorse che
circolano nelle reti globali si combina con la fissit di certe risorse locali, rendendo
strategica la mobilitazione delle capacit localizzate nei sistemi territoriali.
Il territorio il luogo di produzione e di circolazione di conoscenze localizzate e il
catalizzatore di esternalit prodotte localmente attivando nel contempo processi di
natura sovra locale.
La territorialit non dunque un oggetto ma un luogo dazione.
Lo sviluppo sempre territoriale, nel senso che le pratiche che lo connotano
hanno sempre una relazione con una specifica territori
Limportanza del territorio nella programmazione:
Lo sviluppo e gli altri processi economici non possono essere interpretati come la
mera conseguenza dellazione di un numero limitato di attori privilegiati, ma
emergono piuttosto come il risultato di reti di relazioni che legano soggetti colocalizzati.
Loggetto delle politiche territoriali non solo la gestione del territorio materiale
(dalle infrastrutture agli insediamenti, residenziali e produttivi) ma anche, e
soprattutto, la gestione del territorio immateriale, ovvero delle dimensioni
relazionali, socio-culturali e istituzionali su cui si fondano i processi competitivi e
innovativi contemporanei.
Il territorio non pi un semplice supporto su cui applicare esogenamente pacchetti
di interventi, ma occorre aggiungere un diverso punto di vista nella costruzione dei
progetti di sviluppo, in cui protagonisti siano la qualit del partenariato, le risorse
impiegate, il ruolo dei soggetti coinvolti
Conseguenze della programmazione territoriale:
Lazione politica dovr quindi tradursi in un numero selezionato di sistemi
strategici da assumere nella loro interezza. Si tratta peraltro di evitare lassunzione
secondo cui ogni luogo possa essere oggetto di politiche di sviluppo territoriale.
Sarebbe questa una concezione massimalista dello sviluppo che ha peraltro ispirato
troppo spesso lesperienza dei Patti territoriali. In realt, identificare troppi sistemi
territoriali equivale a non identificarne realmente nessuno.
E peraltro necessario aggiungere che un processo di sviluppo territorializzato non
necessariamente contenuto entro confini locali rigidi. E invece da attendersi
verosimilmente lesistenza di Sistemi produttivi territoriali (regionali, o addirittura
trans-regionali), che condividono fondamentali processi di apprendimento
Sistema: il riferimento sono elementi (imprese, Pubblica Amministrazione, Universit
e centri di ricerca, associazioni di categoria, agenzie di sviluppo locale, consorzi,
sindacati ecc.) legati tra loro da due tipi di relazioni, contingenti e organizzazionali.
Le relazioni contingenti presuppongono la condivisione di alcuni elementi strutturali
(una specializzazione, una divisione funzionale e spaziale del lavoro, una distribuzione
delle localizzazioni). Le relazioni organizzazionali presuppongono una condivisione di
un livello pi profondo di relazioni, rappresentato dalla presenza di un processo
cognitivo condiviso.
Produttivo: il riferimento la produzione di valore, ci che contribuisce a
distinguere il sistema produttivo territoriale da una nozione generica di sistema. Il
riferimento a un processo quantitativo, ma soprattutto qualitativo, alla dimensione
innovativa della produzione volta a garantire un vantaggio competitivo che si

riproduce nel tempo. Territoriale: sia le relazioni contingenti che quelle


organizzazionali dipendono dalla prossimit geografica fra gli elementi del sistema,
ovvero dalla compresenza di prossimit istituzionale e prossimit fisica.
Obiettivi:
Guidare il consolidamento della struttura policentrica regionale: si tratta di
ripensare approcci e strumenti di governo del territorio al di l delle strutture
giuridicoamministrative
della Regione, della Provincia e del Comune. In realt, le unit locali pi significative
non sono i comuni visti nel loro limite amministrativo, ma insiemi di comuni, ovvero
famiglie naturali (per storia e geografia) o, pi spesso, artificiali (per interessi
condivisi di tipo strategico) di municipalit che rappresentano spesso aree vitali e
dinamiche, in genere di livello sub-provinciale, caratterizzate da una struttura
insediativa
policentrica e diffusa.
Consolidare i meccanismi di concertazione tra i diversi livelli decisionali,
sostituendo le relazioni gerarchiche fra i livelli istituzionali dati (essenzialmente le
Regioni e le Province) con un approccio cooperativo/negoziale alla scala dei singoli
livelli territoriali e istituzionali; si tratta cio di riconoscere una dimensione dinamica e
costruttiva della regione.
Perseguire il coordinamento e lintegrazione tra le politiche regionali di
tipo settoriale. Mobilitare risorse non ancora valorizzate e costituire contesti
istituzionali e di relazioni che li valorizzino: ci consentir, da un lato, di
affrontare il nodo dellequit sociale come inclusione e non come redistribuzione e,
dallaltro, di incrementare il valore aggiunto territoriale attraverso la riproduzione del
capitale sociale.
Pervenire a una revisione di fondo delle politiche territoriali regionali, che
trascenda i criteri burocratici, regolamentativi e dirigistici di oggi e del passato.
Lobiettivo mettere a fuoco istituti e strumenti volti a favorire: la cooperazione
locale; il coordinamento intercomunale; laccordo tra i comuni di un sistema
locale e tra linsieme dei sistemi locali e la regione nel suo complesso.
Lo strumento un contratto istituzionale tra enti territoriali che sancisca la
volontaria appartenenza di ogni sistema locale a una pi vasta rete regionale di
interazioni strategiche e a un pi ampio progetto di cooperazione territoriale, il
contrario quindi della burocratizzazione e della tecnicizzazione
Programmazione e regionalismo economico
i processi di globalizzazione delle relazioni economico-finanziarie, da un lato, e la riarticolazione della decisione politico-economica in chiave multilivello, dallaltro,
hanno trasformato profondamente i contenuti e le finalit della programmazione,
finendo col ridimensionarne gli strumenti e, sotto certi
aspetti, anche il raggio dazione. Infatti, le mere programmazioni di settore in generale
sono sostituite con la sola programmazione della spesa pubblica.
Se consideriamo, infatti, pi specificamente, il livello regionale, quale cluster di una
pi ampia e complessa attivit di decisione sulle decisioni (la cui chiave di volta
costituita dalle determinazioni assunte in sede comunitaria), ci accorgiamo che, nel
nostro Paese, le vicende del regionalismo sono intrecciate profondamente da un lato
con levoluzione del cosiddetto regionalismo economico e, dallaltro, con la
trasformazione degli strumenti e delle attivit di programmazione;
Lanalisi puntuale dei contenuti e degli strumenti riconducibili alla programmazione ci
offre un contributo fondamentale per valutare il perimetro e il contenuto effettivo
delle competenze riconosciute alle Regioni, mentre il numero e il tipo di soggetti
coinvolti attivamente nella negoziazione degli obiettivi da perseguire ai differenti
livelli di decisione ci consente di individuare lintensit e la qualit del
decentramento politico-amministrativo raggiunto

Lo Sviluppo regionale:
Blakely definisce lo sviluppo economico regionale come: Un processo nel quale i
governi locali o le diverse istituzioni (organizzazioni) di una comunit locale sono
impegnati al fine di stimolare o mantenere un certo livello di attivit economica e di
occupazione. Il principale obiettivo dello sviluppo economico a
livello locale di promuovere le opportunit di occupazione in quei settori che possano
portare beneficio allintera comunit, utilizzando le risorse umane, naturali e
istituzionali esistenti a livello territoriale.
Dalla definizione fornita da Blakely si evincono elementi chiavi che definiscono il
concetto di sviluppo:
declinare lo sviluppo.: una concezione di sviluppo che non si riferisce alla sola
crescita economica complessiva,ma anche alla crescita qualitativa, e alla distribuzione
della ricchezza e del benessere tra i diversi membri della comunit;
identificare le determinanti dello sviluppo: lidentificazione di fattori della
crescita che superano i tre elementi tradizionali che entrano nella funzione di
produzione aggregata della teoria dello sviluppo neoclassica;
rivalutare la dimensione sociale e politica dello sviluppo: la sottolineatura
dellimportanza degli elementi istituzionali formali e informali (norme sociali, fiducia)
quali elementi portanti dei processi di sviluppo.
Economia Regionale
Leconomia regionale quella branca delleconomia che inserisce nello studio del
funzionamento del mercato la dimensione spazio, esplicitandola in schemi logici, leggi,
modelli che regolano e interpretano la formazione dei prezzi, della domanda, della
capacit produttiva, i livelli di produzione, di sviluppo, i tassi di crescita, la
distribuzione del reddito in condizioni di ineguale dotazione di risorse.
Teoria della localizzazione: affronta il problema dellorganizzazione delle attivit
economiche sul territorio.
Teoria della crescita: focalizza lattenzione sugli aspetti spaziali della crescita
economica e della distribuzione territoriale del reddito,
Le teorie della localizzazione affrontano il problema dellorganizzazione delle attivit
economiche sul territorio. Due grandi forze economiche agiscono in direzione opposta:
le economie di agglomerazione, che spingono a un concentrazione delle attivit
nello spazio, e i costi di trasporto, che al contrario supportano processi diffusivi delle
attivit sul territorio. Allinterno delle teorie di localizzazione, possibile individuare tre
diversi approcci:
a) teoria delle imprese e delle scelte allocative;
b) teoria della localizzazione delle attivit rispetto a un centro strategico;
c) teoria delle localit centrali.
Teoria delle imprese e delle scelte allocative
Uno dei primi modelli di localizzazione quello di Alfred Weber (1909). Egli considera
il problema dellottima localizzazione di unimpresa che deve servire un mercato
puntiforme (la domanda tutta concentrata in un punto) e deve sopportare costi per il
trasporto delle materie prime e del prodotto finito. Tale modello cerca di rispondere
alla seguente domanda: dati il prezzo e la localizzazione delle materie prime e dei
mercati di sbocco, e i costi di trasporto, dove si localizza unimpresa?
Le ipotesi di base del modello di Weber sono le seguenti:
le imprese massimizzano il profitto, ovvero minimizzano i costi;
il regime di mercato quello della concorrenza perfetta;
la funzione di produzione a coefficienti fissi;
gli input sono localizzati in punti definiti e sono disponibili in quantit illimitata, la
curva di offerta orizzontale e il prezzo costante;

la domanda fissa e concentrata in un numero di punti noti, e non dipende dal


prezzo;
il mercato delloutput competitivo, il prezzo fisso a prescindere dalla quantit
domandata;
lo spazio omogeneo in tutte le direzioni, i costi di trasporto sono gli stessi a
prescindere dalla direzione in cui ci muoviamo;
i costi di trasporto sono proporzionali alla distanza Lo spazio preso in esame da
Weber un territorio continuo, isomorfo (che ha una
forma uguale in tutte le direzioni) e isotropo (che presenta le stesse propriet - ad es.
uguale penetrabilit per i trasporti - in tutte le direzioni).
Se limpresa vuole massimizzare il profitto, dovr cercare di minimizzare i costi di
trasporto, data la localizzazione degli input e del mercato. Una volta individuata la
localizzazione a costo minimo, limpresa confronta questultima con le altre possibilit,
caratterizzate da costi di trasporto pi alti, ma anche da economie di agglomerazione
di altro tipo che possono compensarli. La scelta della localizzazione ottima dipender,
quindi, dal luogo di reperimento delle materie prime e dal luogo di mercato:
ragionevolmente, la localizzazione avverr in un punto intermedio fra queste due
localit. Il principale limite dellanalisi di Weber consiste nel fatto che considera solo i
costi di trasporto come fattore di localizzazione. Le assunzioni di omogeneit dello
spazio e della domanda non sono realistiche, ma consentono comunque di prescindere
da fattori di tipo meramente geografico e concentrarsi sui fattori economici. Il modello,
inoltre, essenzialmente statico e non prende in considerazione fattori dinamici quali,
ad esempio, linnovazione tecnologica o variazioni nella distribuzione del reddito.
Anche le ipotesi sulla domanda sono molto forti e molto restrittive.
Il quadro che il modello di Weber dipinge quello di imprese che dovrebbero essere
continuamente in movimento in risposta a piccoli mutamenti dei prezzi dei fattori nello
spazio. Nella realt questo non accade, le localizzazioni sono molto vischiose.
Il modello di Hotelling si basa, invece, sulle seguenti ipotesi fondamentali:
- esistono due soli produttori (duopolio);
- esiste un mercato lineare, sul quale distribuita omogeneamente la domanda;
- il bene prodotto a sua volta omogeneo;
- i costi di ri-localizzazione sono nulli;
- la domanda completamente anelastica al prezzo.
Nella forma pi semplice, il modello suggerisce la presenza di due imprese che
vendono
il medesimo bene, per il cui acquisto i consumatori sostengono determinate spese di
trasporto, che variano in funzione della distanza dal mercato. I beni, quindi, sono
omogenei, ma differenziati nel prezzo.
Il modello assume lipotesi di uno spazio lineare (per esempio la strada di una citt
o una spiaggia) dove si devono dislocare due produttori che offrono lo stesso bene,
allo stesso prezzo. I consumatori sono distribuiti uniformemente in tale spazio, ovvero
in ogni punto vi sar lo stesso numero di consumatori (ad esempio uno per ogni
punto).
Se i costi di trasporto non sono nulli, i consumatori preferiranno acquistare il bene dal
produttore pi vicino. Dato che i produttori non possono competere sul prezzo, essi
potranno agire solo sulla localizzazione per acquisire maggiori quote di mercato. Ad
esempio, se la prima impresa (A) si colloca a due terzi del segmento (la nostra strada
o
spiaggia), la seconda impresa (B) si collocher appena un poco pi a sinistra in modo
da catturare tutti i consumatori alla propria sinistra, pari a circa i due terzi del totale:
-----------B -----A
-----------X -----X
Se limpresa A pu modificare, a sua volta, la propria posizione si sposter appena
un poco pi a sinistra dellimpresa B, e se la seconda impresa pu cambiare ancora

posizione, risponder spostandosi appena un poco pi a sinistra della nuova posizione


dellimpresa A e cos via, fin quando le due imprese si troveranno allincirca nel mezzo
del segmento. Il risultato quello della minima differenziazione. Le due imprese si
collocheranno pressoch nello stesso punto dello spazio.
Secondo il modello, anche in presenza di costi di trasporto esiste una naturale
tendenza delle attivit produttive a concentrarsi nello spazio (agglomerazione).
Inoltre, la soluzione competitiva ottenuta dalle forze di mercato non coincide con
linteresse pubblico: una volta raggiunto dai produttori lequilibrio localizzativo, il
consumatore deve percorrere una distanza maggiore per acquistare il bene.
Teorie della localizzazione delle attivit rispetto ad un centro
strategico
Una seconda classe di modelli allinterno delle teorie di localizzazione affronta il
problema della distribuzione territoriale di produzioni/attivit alternative in base al
criterio dellaccessibilit a un centro strategico, vale a dire un centro che offre a
imprese/individui/organizzazioni alcune risorse di elevato valore.
Il primo modello formulato agli inizi del 1800 da Von Thnen: esso affronta il
problema della distribuzione territoriale di produzioni agricole differenti intorno a un
borgo medioevale, che rappresenta lunico mercato puntiforme di sbocco. Supposta
lesistenza di un certo numero di coltivatori, il problema affrontato da Von Thnen
quello di individuare la suddivisione delle terre tra i coltivatori intorno al borgo.
La logica del modello piuttosto semplice. Se a) il prezzo della terra tende a diminuire
allaumentare della distanza dal centro
della citt, e
b) lestensione dellarea occupata da ogni attivit tende in media ad aumentare
via via che ci si allontana dal centro cittadino,
allora la localizzazione nei pressi del centro della citt (o mercato) comporter minori
costi di trasporto ma, proprio per questo motivo, essa sar appetibile per tutte le
imprese. La domanda elevata, a fronte di unofferta anelastica, far aumentare il
prezzo
della terra. Le decisioni di localizzazione si baseranno, dunque, su un esame del
tradeoff
fra costi di trasporto e prezzo della terra.
In particolare, le ipotesi di base del modello sono le seguenti:
esiste un mercato localizzato in un punto (il centro della citt) nel quale i
prodotti agricoli vengono commerciati;
tutta la terra posseduta da proprietari non residenti;
tutti gli agricoltori producono beni identici, con la stessa tecnologia e con
coefficienti fissi di produzione (gli input sono due: terra e altri fattori
produttivi diversi dalla terra);
la terra qualitativamente omogenea;
c libert di entrata e di uscita dal mercato;
la terra viene data in affitto al miglior offerente ed disponibile in quantit
fissa;
la rendita per luso della terra determinata in via residuale, ovvero essa
ci che resta del ricavo, una produttivi.
La terra un fattore non riproducibile, quindi disponibile in quantit fissa. Il
proprietario
della terra ha, quindi, due possibilit:
a) dare in affitto tutta la terra di cui dispone dietro pagamento di una rendita;
b) non dare la terra in affitto ottenendo una rendita pari a zero.
evidente che al proprietario conviene sempre dare la terra in affitto a condizione che
la rendita sia maggiore di zero, il che implica che sar disposto ad accettare
qualunque
rendita i fittavoli siano disposti a pagare e che conceder la terra a quello che

disposto a pagare la rendita pi elevata Limpresa che prende in affitto la terra


sostiene costi per gli altri input, ottiene ricavi
dalla vendita del prodotto e paga una parte del profitto realizzato come rendita al
proprietario della terra per poterla utilizzare. Limpresa sar disposta a pagare la
minima
rendita possibile, ma se la rendita unitaria pagata inferiore alla differenza fra prezzo
di
vendita e costo medio totale, limpresa otterr un profitto positivo. In un mercato con
libert di entrata, questa possibilit stimoler lingresso di nuove imprese che sono
disposte a pagare una rendita poco pi alta, sottraendo la terra alla prima impresa e
ottenendo comunque profitti positivi. Lingresso di nuove imprese continuer fino a
che
permarranno profitti positivi. Lequilibrio si raggiunge quando il numero di imprese
tale per cui la rendita che viene pagata uguale ai ricavi meno i costi per gli input
diversi dalla terra, cio quella che rende i profitti nulli.
La rendita massima pu essere pagata solo in prossimit del mercato, perch
qualunque terreno situato a una certa distanza comporta costi di trasporto che
crescono
al crescere della distanza. La disponibilit a pagare delle imprese sar, quindi, uguale
ai
ricavi meno tutti i costi, compresi quelli di trasporto. Se Se ne pu dedurre, che al
crescere
della distanza e dei costi di trasporto, la disponibilit a pagare (e quindi la rendita)
tender a diminuire Il modello di Von Thnen rappresenta il primo tentativo di spiegare
la localizzazione
delle attivit produttive nello spazio in base allutilizzo della terra ed , quindi, molto
importante per capire come si distribuiscono le attivit produttive fra il centro e la
periferia delle citt: il modello si applica allanalisi delle scelte di localizzazioni sia di
attivit produttive omogenee, sia di attivit economiche diverse.
Il concetto centrale quello di rendita residuale: la rendita fondiaria viene, cos,
a essere determinata dalla distanza al borgo e non pi solo dalla produttivit/fertilit
del
suolo. Le attivit caratterizzate da una maggiore rendita residuale saranno quelle che
si
localizzeranno in prossimit del centro
Agli inizi degli anni 60 Alonso e poi Muth adattano il modello di Von Thnen a un
contesto urbano, dove:
lo spazio omogeneo (distribuzione omogenea dei fattori produttivi sul
territorio e infrastrutture che coprono in senso radiale -spazio isotropolintera
citt);
vi un unico centro, il centro degli affari, definito genericamente come
lallocazione pi appetibile per ogni attivit produttiva e residenziale In modo
analogo alla attivit agricole nel modello di Von Thnen, le diverse attivit nella citt si
disporranno sul suolo urbano a seconda della disponibilit a pagare; lattivit che a
ogni
distanza dal centro sar disposta a pagare una rendita superiore, otterr la
disponibilit
dellutilizzo del suolo.
In base al principio della distanza da un centro che determina il costo del suolo,
sono stati sviluppati, a partire dagli anni 80, i modelli di equilibrio generale che
appartengono alla cosiddetta new urban economics o economia della citt
monocentrica.
La teoria delle localit centrali
Una terza classe di modelli, nellambito delle teorie di localizzazione, nota come

teoria delle localit centrali. Tali modelli cercano di spiegare le scelte localizzative
di
pi imprese e individui tra centri urbani alternativi. I modelli alla Von Thnen
conducono allo sconcertante risultato che le citt allequilibrio tendono ad acquisire la
stessa dimensione, perch in tal modo garantita una condizione di indifferenza
localizzativa, grazie allo stesso livello di utilit e profitto raggiunto in tutte le citt.
La teoria delle localit centrali prende origine dai lavori del geografo Walter
Christaller (1933) e delleconomista August Lsch (1954).
Il modello di Christaller cerca di risolvere il seguente fondamentale quesito: le
citt o, pi in generale gli insediamenti urbani, si distribuiscono sul territorio secondo
criteri di casualit e di semplice adattamento alle specificit locali (storiche o
ambientali), oppure la loro ubicazione segue una logica o un principio razionale,
ovvero
una regola?
Lautore ipotizza una distribuzione assolutamente regolare in termini assoluti
(numero totale di citt su una determinata superficie territoriale), di relazione
quantitativa (rapporto tra citt pi importanti e citt meno improntanti) e di relazione
qualitativa (rapporto tra funzioni svolte dalle citt sul territorio). In particolare, la citt
di Christaller il luogo di produzione (o comunque il luogo di offerta) dei servizi. Chi li
vuole acquistare deve recarsi nella citt, percorrendo distanze pi o meno ampie. Ne
consegue che ogni punto di offerta di un servizio avr la propria area di mercato,
determinabile tramite i concetti di soglia e portata di un servizio. La portata larea
di
mercato massima, quella cio oltre la quale la domanda nulla a causa della crescita
dei costi di trasporto. La soglia, invece, data dallarea di mercato necessaria per
garantire allimpresa la copertura dei costi di produzione.
Un consumatore razionale domander, allaumentare del prezzo, una quantit
sempre minore del prodotto. Il prezzo del bene (per il consumatore) determinato dal
costo di localizzazione, pi il costo di produzione, pi il costo di trasporto. Supponendo
di non poter agire sui primi due costi, quello che determina la domanda sar proprio il
costo di trasporto.
Figura 13.1 Il modello di Christaller

Allaumentare della distanza dal punto di vendita, aumenteranno proporzionalmente


i costi di trasporto che il consumatore dovr sostenere (ma il discorso non cambia nel
caso in cui sia il produttore a trasportare il bene verso il consumatore), e di
conseguenza il prezzo pagato. Se questo aumenta, la domanda tender a diminuire.
Come si evince dalla figura 1, secondo Christaller, la domanda sar massima in
prossimit del luogo di produzione e via via decrescente man mano che ci si allontana,
fino ad annullarsi. Esister un punto in cui risiede il consumatore indifferente, ovvero
quel consumatore che ha un interesse limitato ad acquistare quel servizio da quel
punto
di offerta. Individuando tutti i consumatori indifferenti, possibile delimitare larea di
mercato del produttore posizionato sul vertice degli assi. Tutti i consumatori che si
trovano allinterno dellarea di mercato di un produttore acquisteranno il suo prodotto,
poich risulter il pi conveniente (per raggiungere qualsiasi altro punto vendita
dovranno percorrere distanze maggiori, sostenendo costi di trasporto superiori).
Ciascun produttore deve, inoltre, assicurarsi la vendita di una quantit critica, tale
da garantirgli la sopravvivenza, ovvero quei ricavi in grado di coprire i costi di
produzione. Nella figura 1, la domanda misurata in termini di quantit di prodotto. Se
individuiamo sullasse delle ordinate la quantit minima che il produttore dovr
vendere
e la trasliamo sullasse delle ascisse, otteniamo una circonferenza pi piccola, che
rappresenta appunto la soglia. Il produttore dovr, quindi, posizionarsi su unarea di
mercato di dimensioni superiori alla soglia e inferiori alla portata. Le aree di mercato
cos ottenute sono di forma circolare e hanno una dimensione direttamente
proporzionale allimportanza del bene/servizio offerto.
Considerando, infatti, che i beni a uso pi raro necessitano di soglie e portate di
maggiore dimensione, larea di mercato del bene pi raro presumibilmente la pi
ampia (area di primo ordine). Nelle aree di primo ordine si generano delle economie
di localizzazione che richiamano attivit di ordine inferiore (aree di mercato
inferiori).
Si forma, pertanto, una organizzazione delle aree di mercato annidata, al cui interno
nel centro di primo ordine sono localizzate tutte le n attivit, nel centro di secondo
ordine le n-1 attivit, e cos via.
Secondo Lsch, il luogo ove unimpresa industriale decide di ubicarsi non dipende
soltanto dai costi di trasporto o dalla disponibilit di alcuni fattori della produzione
particolarmente a buon mercato, ma piuttosto dalla localizzazione degli altri produttori
e
dallampiezza delle rispettive aree di mercato. A differenza di Weber, per Lsch

limprenditore, nellindividuare il punto ideale dove localizzare i nuovi impianti (o


riallocare quelli gi esistenti), punta non tanto alla minimizzazione dei costi (di
trasporto), quanto alla massimizzazione dei profitti.
Lsch, come tutti i predecessori, ipotizza uno spazio isotropo, isomorfo e continuo
e, quindi, una regione pianeggiante, uniformemente percorribile in ogni sua direzione
e
le cui risorse sono, a loro volta, equamente presenti in tutte le compagini territoriali.
Allinterno della regione non sono presenti forme di squilibrio economico, politico o
geografico. Le eventuali differenze spaziali sono, quindi, la risultante del libero gioco
delle sole forze economiche. Come nel modello di Christaller, lipotesi quella di un
mercato concorrenziale, in cui i prezzi sono essenzialmente dati e i costi derivano dalla
somma del costo di produzione e di quello di trasporto.
Lsch afferma che la dimensione dellarea di mercato di un bene funzione della
domanda dello stesso sul territorio, e la domanda, a sua volta, inversamente
proporzionale alla distanza tra luogo di vendita del bene e luogo di consumo.
I produttori devono alimentare tutto il territorio, senza lasciare spazi vuoti, ovvero
ogni consumatore necessariamente rientra nellarea di mercato di un produttore. Se ci
fosse una frazione di territorio non coperta dallofferta, immediatamente un nuovo
imprenditore si insedierebbe con il proprio prodotto: larea esagonale lunica in grado
di assicurare la copertura integrale del territorio, evitando sovrapposizioni tra
imprenditori.
Figura 13.2 Il modello di Lsch

Il territorio risulta pertanto spartito in un insieme continuo di esagoni. La dimensione


di
esagono e, contemporaneamente, la densit dei produttori sul territorio dipendono
dalla
curva di domanda; dal momento che si possono considerare n beni, evidente come
in
corrispondenza di ciascuno di essi si individui una curva di domanda con la rispettiva
area (esagonale) di mercato (esisteranno, quindi, n aree di mercato). Lo spazio
economico , cos, scandito da un complesso di reti esagonali sovrapposte, secondo
un
principio gerarchico definito dalle rispettive curve di domanda.
Lsch, senza modificare lequidistribuzione della domanda sullo spazio geografico,
introduce un importante elemento: la popolazione (e, quindi, la domanda) non vive
sparsa sul territorio, ma si concentra in punti fra loro equidistanti (le citt), che
coincidono con i centri degli esagoni. La citt offrir, pertanto, quelle quantit di
beni/servizi necessarie per soddisfare la domanda interna alla citt stessa e la
domanda
esterna, ma comunque compresa nella rispettiva area di mercato (lesagono
incentrato

sulla citt). Una citt implica generalmente elevata densit demografica e, quindi,
grande quantit di consumatori: , perci, probabile che stabilirsi allinterno di essa
permetta di raggiungere la propria soglia senza troppe difficolt gi allinterno della
citt. Ne consegue che tutti gli imprenditori cercheranno di localizzarsi allinterno della
citt, assicurandosi la propria soglia e puntando comunque alla massima area di
mercato rappresentata dalla portata.
Le teorie della crescita regionale
Accanto alle teorie della localizzazione, le teorie della crescita regionale rappresentano
il secondo importante ambito di analisi delleconomia regionale. Esse si occupano
dellanalisi dei processi di sviluppo economico di aree sub-nazionali, considerando la
capacit delle economie regionali di assicurare lo sviluppo (crescita del reddito),
lefficienza nelluso delle risorse locali, la capacit di attrarre risorse da altri ambiti
territoriali, leventuale ritardo di sviluppo rispetto a un area di riferimento pi vasta,
come ad esempio quella nazionale. Da unaltra prospettiva, le teorie della crescita
regionale analizzano la capacit di una regione di trovare e mantenere uno specifico
ruolo allinterno della divisione internazionale del lavoro.
Le teorie della crescita regionale di tipo tradizionale fanno riferimento alle
teorie dello sviluppo di matrice neoclassica e alla teorie del commercio internazionale
(o degli scambi interregionali). Ricordiamo qui tre approcci:
la teoria degli stadi di sviluppo;
la teoria della crescita basata sullanalisi della domanda (modello input-output e
moltiplicatore);
la teoria della crescita basata sullanalisi dellofferta (dotazioni fattoriali). Secondo la
teoria degli stadi di sviluppo, lo sviluppo regionale si realizza attraverso il
susseguirsi naturali di fasi, temporalmente una successiva allaltra, caratterizzate da
un rapporto capitale/lavoro progressivamente crescente. Tali fasi sono:
fase di autarchia, economia di sussistenza;
fase di specializzazione, sviluppo dei trasporti e primi scambi che portano alla
specializzazione delle produzioni agricole;
fase di trasformazione, con il passaggio da una economia agricola ad una di prima
industrializzazione;
fase di diversificazione, la crescita del reddito porta ad una diversificazione (pi
settori produttivi) dellattivit manifatturiera;
fase di terziarizzazione, con lo sviluppo del settore terziario che serve consumi
opulenti e unindustria avanzata.
La teoria degli stadi di sviluppo afferma che il sottosviluppo non pu che essere
interpretato come la permanenza forzata allinterno di una fase.
La teoria degli stadi di sviluppo Differenti cause
insufficiente accumulazione di capitale
allocazione poco accorta degli investimenti
domanda insufficiente
carenza di alcune risorse critiche
La teoria della crescita basata sullanalisi della domanda
Partendo dal prodotto (reddito) pro capite quale indicatore dello sviluppo, le teorie
della crescita basate sullanalisi della domanda, in unottica tipicamente
keynesiana, vedono nella domanda il motore dello sviluppo. La crescita di una regione
fortemente influenzata dalla domanda (esterna) di beni per lesportazione, prodotti
nella stessa regione. Il modello originale quello formulato da Hoyt, noto come
modello della base di esportazione (1939). Lidea di base che, se i sistemi economici
di grandi dimensioni possono fare affidamento sulle forze interne al sistema per il loro
sviluppo, i sistemi economici pi piccoli (aree sub-nazionali) sono invece spesso molto

specializzati e non possono affidarsi solo sulle capacit endogene di sviluppo. La


crescita economica fortemente condizionata, quindi, da elementi esterni.
La teoria della crescita basata sullanalisi dellofferta
Lidea che siano le determinanti dellofferta, pi che quelle della domanda, a incidere
sulle capacit di crescita di una regione comune alle teorie neoclassiche della
crescita e alla teoria degli scambi (commercio) interregionali (internazionale). La
crescita, resource based, sostenuta dalla interazione con i contesti economici
extraregionali. Nei modelli neoclassici, si ipotizza mobilit perfetta dei fattori
interregionali e immobilit dei beni allinterno della regione. Nei modelli di commercio
interregionale, invece, si ipotizza limmobilit interregionale dei fattori e la mobilit
interregionale dei beni.
Nella visione neoclassica, lo sviluppo dipende dal progresso tecnologico e dalla
crescita dei fattori produttivi. Ci esemplificato dalla funzione di produzione
aggregata, cha mette in relazione i fattori (capitale e lavoro) con il reddito prodotto
attraverso i coefficienti di produzione, che definiscono la produttivit dei fattori,
determinata a sua volta dal livello di progresso tecnologico.
La crescita una questione di ottima allocazione delle risorse inter e intra-regionali.
La mobilit dei fattori interregionale prevede che i fattori si spostino laddove pi
elevata la loro produttivit. Partendo da condizioni di sviluppo diverse tra diverse
regioni, si ha che nelle regioni povere la produttivit bassa e bassa anche la
dotazione di capitale. Il lavoro si sposta nelle regioni ricche, dove la produttivit pi
elevata e la dotazione di capitale maggiore. Col deflusso di lavoratori dai Paesi
poveri, in questi
Paesi aumenta la produttivit del capitale e ci richiama capitale da altre regioni. Le
interazioni dinamiche tra le diverse regioni, insieme allavanzare del progresso tecnico,
conducono allaumento del prodotto intra-regionale. Nei modelli di commercio
internazionale, dove i fattori sono immobili e i beni mobili, lo sviluppo regionale
sarebbe la conseguenza dellaumento di ricchezza dovuto agli scambi commerciali di
merci, che porterebbe a una specializzazione produttiva delle singole regioni in base
alla legge del vantaggio comparato, vale a dire ogni regione si specializza nelle
produzioni per le quali detiene un vantaggio comparato (minori costi) rispetto alle altre
regioni.
GLI STRUMENTI DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA EUROPEA
La politica di coesione economica e sociale implica la solidariet fra gli Stati membri
al fine di promuovere uno sviluppo equilibrato, armonioso e sostenibile, nonch fare
delle regioni luoghi pi attraenti, innovativi e competitivi in cui vivere e lavorare.
Sebbene lUnione europea sia una delle aree pi ricche del mondo, esistono fra le
sue regioni forti disparit di reddito e di opportunit. Con la politica regionale di
coesione l'UE trasferisce risorse dalle regioni pi ricche a quelle pi povere, allo scopo
di
modernizzare le aree meno prospere e aiutarle a raggiungere il livello di benessere
delle
altre. Gli strumenti con cui concretamente vengono sviluppate queste politiche
regionali
sono i fondi strutturali, ovvero risorse stanziate dal bilancio dellUE per finanziare,
assieme al Fondo di Coesione (in Paesi membri in cui le condizioni economiche ne
consentono lutilizzo), la politica regionale.
Tornando alla politica regionale questa viene definita come lo strumento attraverso
cui lUE traduce le sue priorit politiche in risultati concreti
1) il cofinanziamento
il carattere pluriennale della programmazione, che rende possibile la

3) leffetto governance, che implica lo sviluppo, della capacit di


iniziativa e di responsabilit di tutti i livelli di governo
4) leffetto a catena sulle altre politiche europee e cio lo stimolo alle
politiche delloccupazione, dello sviluppo rurale, delle reti transeuropee, della
societ dellinformazione, degli appalti pubblici, dello sviluppo sostenibile,
5) la semplificazione amministrativa e procedurale per la presenza del
Quadro Strategico Nazionale (QSN: ha lobiettivo di indirizzare le risorse che
la politica di coesione destiner al nostro Paese,
Quadro strategico nazionale
il documento di orientamento strategico
che gli Stati Membri sono tenuti a presentare alla Commissione Europea in attuazione
della politica di coesione comunitaria.
Nel Quadro, gli obiettivi, le priorit e le regole della politica regionale di sviluppo sono,
quindi, stabiliti in modo unitario e orientano la programmazione operativa e
lattuazione di entrambe le fonti di finanziamento della politica regionale comunitaria e
nazionale.
La nuova politica regionale unitaria, finanziata da risorse aggiuntive, comunitarie e
nazionali, provenienti, rispettivamente, dal bilancio europeo (fondi strutturali) e dal
bilancio nazionale (fondo di cofinanziamento nazionale ai fondi strutturali e fondo per
le aree sottoutilizzate), a differenza della politica ordinaria (finanziata con le risorse
ordinarie dei bilanci), specificatamente diretta a garantire che gli obiettivi di
competitivit siano raggiunti da tutti i territori regionali, anche e soprattutto da quelli
che presentano squilibri economico-sociali.
Le principali sono le seguenti:
dare centralit allobiettivo ultimo di migliorare il benessere dei cittadini, per farne il
metro ultimo del confronto politico e sociale sulla politica regionale;
fissare obiettivi di servizio, per mobilitare su di essi il processo politico di decisione;
accrescere la selettivit degli interventi;
promuovere un ruolo pi importante del mercato dei capitali;
integrare politica ordinaria e politica regionale di sviluppo, valorizzando il capitale
accumulato di competenze e buone prassi, per rafforzare e riqualificare la capacit di
programmazione delle stesse politiche ordinarie
- tutelare laggiuntivit finanziaria della politica regionale, soprattutto isolando gli
obiettivi di spesa da interventi emergenziali di finanza pubblica;
dare dimensione interregionale ed extra-nazionale alla programmazione degli
interventi.
Sulla base del quadro concettuale e degli indirizzi sopra elencati, la strategia si
declina in quattro macro obiettivi:
a) sviluppare i circuiti della conoscenza;
b) accrescere la qualit della vita, la sicurezza e linclusione sociale nei
territori;
c) potenziare le filiere produttive, i servizi e la concorrenza;
d) internazionalizzare e modernizzare leconomia, la societ e le
amministrazioni.
Il Quadro mira a rimuovere la persistente difficolt a offrire servizi collettivi in
ambiti essenziali per la qualit della vita e luguaglianza delle opportunit dei cittadini
e
per la convenienza a investire delle imprese. Per il raggiungimento di questi target si
previsto
un meccanismo di incentivazione che comprende un premio finanziario. Le
Amministrazioni che
direttamente partecipano al meccanismo di incentivazione degli obiettivi di servizio
sono le otto regioni del Mezzogiorno e il Ministero della Pubblica Istruzione
(questultimo solo

per lobiettivo elevare le competenze degli studenti e la capacit di apprendimento


della popolazione).
Lattuazione del meccanismo incentivante avviene attraverso laccantonamento di
una riserva del Fondo per le aree sottoutilizzate per il settennio 2007-2013,
indicativamente dellordine di 2,5-3 miliardi di euro, che sar assegnata alle
Amministrazioni solo al raggiungimento degli obiettivi di servizio, in proporzione alla
dotazione totale programmaticamente attribuita a ciascuna Amministrazione e ai
target
soddisfatti.
PON Sviluppo per il Mezzogiorno
L'Unione Europea, nell'assegnazione dei propri fondi per i Programmi Operativi
nazionali dei Paesi membri, ha introdotto criteri di monitoraggio e fornito indicazioni
sugli obiettivi da raggiungere per valutarne efficienza ed efficacia, stabilendo anche un
sistema di priorit in base al quale assegnare di anno in anno nuovi finanziamenti
programma Operativo Nazionale "Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno
d'Italia". Questo programma ha l'obiettivo di creare condizioni di sicurezza nel sud
Italia paragonabili al resto del Paese; maggior sicurezza significa
anche sviluppo economico, occupazione giovanile e, soprattutto, migliore qualit della
vita. La capacit di coordinamento tra le politiche locali, regionali e nazionali riveste
un
ruolo importante per il raggiungimento degli obiettivi del programma e per evitare
sovrapposizioni di interventi.
Strategie ed obiettivi del programma:
Si delineano due criteri guida prioritari. Da un lato, la necessit di attivare azioni
sistemiche e coerenti con la politica ordinaria, che promuovano iniziative a carattere
sovra regionale in grado di sviluppare le peculiari competenze e capacit tecniche
istituzionalmente rimesse al Ministero dellInterno; dallaltro, lesigenza di lavorare per
progetti e obiettivi comuni che, assicurando la condivisione e la complementariet
degli
interventi previsti, garantiscano una governance realmente integrata e trasversale nei
diversi profili di policy nazionale, regionale e locale che incidono sulla sicurezza.
Obiettivi:
-elevare gli standard di sicurezza sia per i cittadini, sia per le imprese,
- sviluppare azioni dirette a promuovere la societ dellinformazione per tutti al
fine di garantire un contesto favorevole alla produzione.
-nel contempo, la creazione e lo sviluppo di nuove imprecontrastare leconomia
sommersa con interventi volti a far emergere il lavoro nero;
-sviluppare azioni volte ad accrescere la qualit della vita,
-facilitare linnovazione e promuovere limprenditorialit e tutte le azioni dirette a
contrastare il racket delle estorsioni e lusura;
- migliorare la trasparenza nella Pubblica Amministrazione, in particolare nel
settore degli appalti pubblici, dove forte il rischio che infiltrazioni criminali
possano costituire un pesante ostacolo allo sviluppo socio-economico, laddove
non sia strutturato un attento sistema di controlli.
Piani Operativi Regionali
Il Piano Operativo Regionale (POR) il documento di programmazione per
lutilizzo dei Fondi Strutturali Europei integrati da quelli del Ministero dellEconomia e
delle Finanze. Soffermarci su questo ulteriore Piano Operativo importante soprattutto
perch dedicato alle regioni del Sud; infatti, in Italia le Regioni titolari di Programmi
Operativi Regionali nell'Obiettivo 1 sono Basilicata, Calabria, Campania, Puglia,
Sardegna e Sicilia. A queste si aggiunge il Molise in sostegno transitorio o phasing out.
Le regioni che rientrano nell'obiettivo 1 per il periodo di programmazione 20002006 sono quelle in cui il prodotto interno lordo (PIL) pro-capite inferiore al 75% della

media comunitaria
Programmazione economica e benessere sociale
Una buona programmazione economica deve prendere in considerazione gli effetti
che ne conseguono dal punto di vista del benessere sociale.
Il dibattito economico relativo al concetto di benessere ha prestato, negli ultimi
anni, sempre maggiore attenzione alla distribuzione del reddito, oltre che alla
dimensione efficientistica della crescita.
Amartya Sen e il concetto di libert
Approccio delle libert associa al benessere la capacit di perseguire fini che
alimentano una sorta di benessere omnicomprensivo.
Sen supera la tradizionale concezione di benessere inteso come soddisfazione
di preferenze individuali , ampliando la base informativa di cui dispongono gli
agenti razionali e focalizzandosi sul perseguimento di alcune realizzazioni
oggettive, i funzionamenti appunto, che Sen descrive come stati di fare e di
essere.
Tuttavia, "utilit" un termine assai controverso che in qualsiasi accezione
rimanda, secondo Sen, alla soddisfazione di interessi egoistici o al pi
altruistici, e che quindi si basa su un percorso di valutazione esclusivamente
soggettivo, che non prende in considerazione nessuna informazione al di
fuori di ci che gli individuai razionali fanno o provano.
Il concetto di utilit appena considerato comporta diverse anomalie:
alcuni individui potrebbero avere desideri molto modesti, tali da poter fare a
meno di risorse che i pi giudicano fondamentali;
altri particolarmente esigenti potrebbero ritenere primario e urgente il
soddisfacimento di desideri voluttuari. In questi casi le politiche pubbliche basate
esclusivamente sull'incremento del benessere sociale inteso in senso utilitarista,
provocherebbero distribuzioni inique delle risorse fra gli individui.
Pi in generale, Sen sostiene che tutte le teorie che si basano sul principio
dell'uguaglianza delle risorse sono fallimentari: solo l'uguaglianza delle capacit
individuali permette di raggiungere migliori risultati redistributivi, coerentemente con i
requisiti di libert per ciascun individuo di perseguire i propri progetti di vita. Sen,
partendo da un approccio di scelta sociale formalizzata "alla Arrow", ha quindi
sviluppato un percorso con forti implicazioni filosofiche basato sulle capacit
individuali
di raggiungere determinati states of being: i funzionamenti
Il reddito non una corretta misura del benessere economico e sociale
per tre motivi principali:
modalit della sua determinazione, che esclude alcune voci e ne include
erroneamente altre;
le unit di conto, che spesso non rendono i valori sottostanti;
inadeguatezza nel catturare il benessere degli individui e della societ nelle sue
varie ramificazioni.
Funzionamenti:
Sen parte dall'idea che la vita umana possa essere letta come un insieme di
funzionamenti
interrelati, consistenti nelle diverse "cose" che un individuo riesce a essere o a fare.

Essi sono distinti dai beni: questi ultimi sono oggetti che gli individui possono
utilizzare,
mentre i primi sono aspetti della vita.
Nella tradizione utilitarista, l'utilit intesa come misura della soddisfazione dettata
dalle
preferenze l'unica grandezza attraverso cui si misura il benessere degli individui,
nell'approccio di Sen essa solo una dei molti aspetti che sono rilevanti per una
valutazione complessiva del benessere stesso. Il benessere degli individui dato
pertanto
da un insieme di funzionamenti, fra i quali anche l'utilit.
La scelta del progetto di vita da portare a compimento coincide con la scelta del
vettore di
funzionamenti, e l'insieme dei possibili vettori per ogni individuo coincide con l'insieme
delle sue capacit.
Uguaglianza di possibilit
Sen privilegia il valore della libert, che nella sua visione coincide con la capacit di
raggiungere i funzionamenti desiderati, cio con ci che un individuo pu
effettivamente fare o essere. Nel valutare il well-being di un individuo occorre
concentrarsi sui suoi funzionamenti e sulle sue capacit
Sen sostiene che non esista un insieme oggettivo di pesi per i funzionamenti,
in quanto il well-being un concetto di per s intrinsecamente ambiguo, le cui
componenti possono al pi essere ordinate in modo parziale.
Sen fa riferimento principalmente alle relazioni di dominanza come mezzo
per definire ordinamenti condivisi.
Meno evidente risulta essere il processo di valutazione degli insiemi di vettori
di funzionamenti, cio le capacit: infatti l'economista indiano suggerisce che si
debba seguire un processo di valutazione elementare, vale a dire suggerisce
che il valore di un insieme sia dato dal valore di uno dei suoi elementi, il pi
importante, il migliore, quello scelto
I limiti dellapproccio seniano:
Il principale limite alla teoria seniana consiste nella "conversione" del reddito
nei funzionamenti. In realt, la comprensione delle potenzialit applicative
dell'approccio rappresenta la vera sfida degli studiosi.
Sen stesso ha condotto dei tentativi cercando di ovviare tale limite:
La prima applicazione dimostra che nonostante il Pil pro-capite di Brasile e Messico
sia pi di
sette volte il Pil pro-capite di India, Cina e Sri Lanka, gli indicatori di speranza di vita e
di
mortalit infantile sono i migliori proprio nello Sri Lanka, e sono pi elevati in Cina che
in
India, e in Messico piuttosto che in Brasile.
La seconda applicazione di Sen esamina le discriminazioni di genere in India,
giungendo alla
conclusione che le donne raggiungono livelli pi bassi degli uomini per quanto
riguarda
alcuni funzionamenti, quali i tassi di mortalit per classe di et, la morbilit e la
malnutrizione.
L'approccio degli indicatori
L'approccio alternativo, che si applica nell'esercizio di misurazione del benessere in
uno spazio multidimensionale, stato definito nel corso degli anni da Partha
Dasgupta.
L'impianto delineato da Dasgupta consente di pervenire a una dimensione ampia di

benessere economico e sociale, in grado di catturarne le diverse ramificazioni, nonch


di fornire un supporto al processo di valutazione delle politiche pubbliche. Secondo
l'autore, infatti, misurando un indice di "qualit della vita", composto da una serie di
indicatori, possibile scegliere fra differenti opzioni di policy-making, in quanto cos
facendo l'intero processo valutativo, riferito a desideri e aspettative di individui
eterogenei, in grado di sintetizzare interessi confliggenti.
In altre parole, la multidimensionalit il tratto saliente di questo percorso, in
quanto solo aggregando pi grandezze con significato, portata e unit di misura
differenti si pu approssimare la complessit del benessere.
Per misurare il benessere in accezione ampia bisogna rendere quantitativo uno
stato esperienziale.
Multidimensionalit: solo aggregando pi grandezze con
significato, portata e unit di misura differenti si pu approssimare
la complessit
Indicatori di benessere economico e sociale Orientano e valutano le politiche
pubbliche; Le teorie contrattuali dello stato leggono la societ come un
sistema cooperativo fra individui per il perseguimento
del reciproco vantaggio Il ruolo principale dello Stato quello di definire un
quadro di regole che consentano agli individui di perseguire i propri fini.
Il contratto sociale non pu farsi carico della felicit degli individui
Lapproccio degli indicatori
Esistono due vie per definire il benessere economico e sociale:
Si misurano i costituenti del benessere, cio gli output, per esempio gli indicatori di
salute e di
libert civili e politiche.
Si considerano i determinanti del benessere, cio gli input: il reddito, le spese per la
salute e le risorse impiegate per la promozione e la protezione delle libert civili e
politiche.
Lapproccio degli indicatori Studiare le componenti
Valutare i beni/servizi che determinano il benessere sociale
Si considerano i determinanti del benessere, cio gli input: il reddito, le spese per la
salute e le risorse impiegate per la promozione e la protezione delle libert civili e
politiche.
Secondo Dasgupta opportuno comunque utilizzare entrambi i metodi
contemporaneamente, impiegando una collezione eterogenea di indicatori socio
economici.
L'approccio in questione si concentra sulla valutazione del benessere economico e
sociale
individuale. In questa accezione il benessere aggregato per un dato gruppo di individui
corrisponde con il benessere medio del gruppo.
Occorre, infine, specificare i motivi dell'utilizzo di questo approccio nel successivo
esercizio
applicativo. Essi non vanno ricercati nella convinzione di una sua superiorit, n
teorica n
applicativa.
L'approccio seniano pi ricco e conduce a una visione del benessere pi articolata.
Infatti gli indicatori di Dasgupta sono sostanzialmente quality of life measures,
che

rimandano a un concetto di benessere statico. Quindi, rispetto ai funzionamenti e alle


capacit di Sen, il quale infatti concepisce il benessere specificamente come wellbeing,
manca l'aspetto dinamico, inteso come libert di scelta del progetto di vita da portare
a
compimento.
La misurazione del benessere economico e sociale secondo l'approccio degli
indicatori
Il punto focale, per una profittevole applicazione dell'approccio delineato da
Dasgupta, consiste nell'identificazione di una serie di indicatori che coprano le
dimensioni di benessere economico e sociale corrente, coerentemente al contesto
sociale, politico ed economico della realt di analisi.
Sono, tuttavia, necessarie alcune precisazioni, in quanto la scelta degli indicatori
rimane problematica, vuoi per il grado di arbitrariet intrinseco in ogni processo di
questo tipo, vuoi per le diverse visioni etiche che ne orientano la selezione.
Innanzitutto, secondo quanto suggerito da Dasgupta, il set di indicatori deve essere
minimo, in modo da trovare un equilibrio fra completezza e pesantezza
Il set di indicatori deve essere minimo, in modo da trovare un equilibrio fra
completezza e pesantezza.
Inoltre deve essere selezionato in modo da evitare sovrapposizioni :
devono cio essere evitati indicatori con elevata correlazione
Contemporaneamente, molto utile considerare il dibattito in corso a livello
europeo in tema di indicatori sociali di performance nazionale, in quanto esprime punti
di vista estremamente autorevoli in grado di indirizzare l'azione dell'Unione Europea.
Pi
specificamente, si fa riferimento al rapporto "Indicators for social inclusion in the
European Union" preparato per il Governo belga con la finalit di definire una guida
per
la costruzione di una piattaforma di indicatori sociali da impiegare per controllare e
valutare le situazioni dei paesi membri e le loro risposte alla politica sociale
dell'Unione.
In sintesi, il rapporto suggerisce che le aree su cui verificare gli indicatori di
inclusione sociale sono:
- la dimensione economica (reddito, sua distribuzione e povert),
- la (dis)occupazione,
- le differenze regionali,
- l'istruzione, le condizioni abitative, la salute e la partecipazione sociale
LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICOFINANZIARIA NEL CONTESTO DELLA
NUOVA GOVERNANCE ECONOMICA EUROPEA
Fin dagli inizi del processo di integrazione economica in Europa, emersa la necessit
di coordinare le politiche economiche degli Stati membri, con lobiettivo di individuare
un comune percorso e una coerente strategia di crescita e sviluppo dellUnione e
ovviamente una progressiva riduzione degli ambiti di manovra delle politiche
economiche nazionali,
Allo scopo di allineare gli andamenti di finanza pubblica dei Paesi dellEurozona con il
Trattato di Maastricht e con il Patto di Stabilit e Crescita, sono state definite le
logiche e le procedure per il controllo delle politiche economiche e delle principali
dimensioni macroeconomiche degli Stati membri. I fondamentali principi sottesi alle
regole europee sono quelli di una stabilit interna dei singoli Paesi e di una stabilit
complessiva dellUnione economica e monetaria La crisi finanziaria ed economica del
2007-2009, evoluta nel 2010 in una crisi del debito sovrano, ha rivelato una

fondamentale debolezza e una pericolosa insostenibilit del modello di governance


economica europea. La consapevolezza di tali limiti ha
condotto a una importante revisione delle regole e delle strategie tese a rafforzare il
coordinamento delle politiche economiche nazionali e la sorveglianza
macroeconomica, e a delineare una nuova traiettoria per lo sviluppo e la crescita
delleconomia europea.
16.2.1. Il Trattato di Maastricht
Il Trattato di Maastricht, ovvero il Trattato sullUnione Europea firmato il 7
febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1 novembre 1993, rappresenta il riferimento
costituzionale dellUnione attraverso il quale i Paesi membri hanno sottoscritto
importanti obiettivi macroeconomici. Quelli che approfondiremo in questa lezione si
riferiscono allintroduzione di vincoli alle politiche fiscali nazionali, che hanno trovato
espressione nel Patto di Stabilit e Crescita.
Nella logica del Trattato, il controllo delle politiche economiche deve realizzarsi
attraverso un sistema di vincoli ai quali le stesse devono sottostare, ovvero attraverso:
il rispetto di parametri economico-finanziari comuni a tutti i Paesi membri;
il monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica al fine di valutare il
rispetto dei suddetti parametri;
lapplicazione di meccanismi sanzionatori per gli Stati membri che non
rispettano tali parametri.
Gli elementi individuati dal Trattato, che dovrebbero rendere realizzabili la
stabilizzazione economica e lelaborazione di strategie di crescita e di sviluppo
delleconomia europea, sono sostanzialmente cinque:
la definizione di procedure riguardanti la condotta dei Paesi in relazione alle
politiche fiscali (Procedure di mutua sorveglianza e sui disavanzi
eccessivi la previsione di una clausola di no bail-out, ovvero di salvataggio
finanziario di uno Stato membro, che impedisce allUnione Europea di
acquistare direttamente il debito emesso da uno Stato membro o da altri
organismi pubblici, allo scopo di tutelare leconomia comunitaria da effetti
inflazionistici;
la previsione di un ruolo di sorveglianza della Commissione europea sui
bilanci pubblici e sullentit dellindebitamento, sulla base di due parametri
economico-finanziari: il rapporto deficit pubblico/PIL e il rapporto
debito pubblico/PIL;
la definizione dellobiettivo di un andamento sostenibile dei prezzi e di un
tasso medio di inflazione che non superi di oltre 1,5 punti percentuali
quello dei tre Stati membri pi virtuosi dellUnione in termini di stabilit dei
prezzi;
la definizione dellobiettivo di un tasso di interesse nominale a lungo
termine non eccedente di oltre 2 punti percentuali quello dei tre Stati
membri pi virtuosi in termini di stabilit dei prezzi In particolare, i valori di riferimento
per i vincoli di bilancio sono stabiliti nel
Protocollo sui disavanzi pubblici allegato al Trattato:
il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il PIL non
dovrebbe superare il 3%, a meno che tale rapporto non sia diminuito in
modo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un livello che si avvicina al
valore di riferimento o, in alternativa, il superamento del valore di riferimento
sia stato eccezionale e del tutto temporaneo;
il rapporto tra il debito pubblico complessivo e il PIL dovrebbe essere
inferiore al 60%, a meno che il predetto rapporto non sia in via di riduzione
in misura sufficiente e non si avvicini con il ritmo adeguato al valore di
riferimento.
Il compito di sorvegliare levoluzione delle politiche e dei saldi di bilancio nazionali,

al fine di valutarne la conformit con le previsioni contenute nei Trattati, affidato alla
Commissione che, nel caso rilevi uno scostamento o anche solo il rischio di uno
scostamento, agisce di concerto con il Consiglio, esercitando pressioni sullo Stato
membro affinch ponga in essere adeguate azioni correttive per riportare i
fondamentali
di bilancio in linea con i parametri europei.
Nel caso in cui lo Stato inadempiente non adotti opportune misure necessarie a far
rientrare i propri saldi di bilancio nazionale, il Consiglio su raccomandazione della
Commissione pu adottare una decisione (e dunque un atto vincolante), con la quale
intima allo Stato membro le misure da assumere entro un termine stabilito.
In caso di ulteriore persistenza dello Stato membro a non ottemperare alla
decisione del Consiglio, questo pu decidere di applicare specifiche misure
sanzionatorie
(richiesta di pubblicazione di informazioni supplementari prima dellemissione di
obbligazioni o altri titoli di stato, riconsiderazione della politica di prestiti a favore dello
Stato membro, costituzione da parte dello Stato membro di un deposito infruttifero
presso lUE, commisurazione di unammenda di entit adeguata) Dopo il Trattato di
Maastricht, il Patto di Stabilit e Crescita, firmato ad
Amsterdam nel giugno 1997, ha rappresentano un nuovo importante atto politico teso
a
rafforzare il coordinamento e lintegrazione delle politiche di bilancio dei Paesi membri.
Il Patto un quadro di norme per il coordinamento delle politiche di bilancio
nazionali nellambito dellUnione, creato a tutela della solidit delle finanze pubbliche,
quale essenziale requisito per il corretto funzionamento dellUnione economica e
monetaria. Con il Patto, gli Stati membri si impegnano a rispettare lobiettivo a medio
termine di un saldo di bilancio vicino al pareggio o attivo e a provvedere ai necessari
aggiustamenti in caso di disavanzi eccessivi, nonch a garantire adeguata trasparenza
e
pubblicit delle proprie situazioni di bilancio.
Formalmente il Patto costituito da una risoluzione e da due regolamenti del
Consiglio europeo, che hanno forza di legge per gli Stati membri e ne precisano gli
aspetti tecnici.
Il Patto si articola, infatti, in due parti: una preventiva, laltra dissuasiva. Per
quanto concerne la prima, gli Stati membri devono presentare Programmi annuali di
stabilit (o di convergenza), nei quali devono essere specificate le modalit con le
quali
si intendono conseguire o salvaguardare sane posizioni di bilancio a medio termine,
tenendo conto dellincidenza finanziaria dellinvecchiamento demografico. La
Commissione valuta i programmi nazionali e il Consiglio esprime un parere in
proposito.
La parte preventiva del Patto prevede due fondamentali strumenti che possono
essere utilizzati per evitare la formazione di disavanzi eccessivi. Il Consiglio, su
raccomandazione della Commissione, pu attivare la procedura di allarme preventivo,
rivolgendo un formale avvertimento (early warning) allo Stato membro nel quale
rischia di determinarsi un disavanzo eccessivo. La Commissione pu richiamare,
inoltre,
uno Stato membro al rispetto degli obblighi del Patto di Stabilit e Crescita formulando
apposite raccomandazioni di politica economica (early policy advice).
Gli elementi dissuasivi del Patto sono quelli previsti dalla procedura per i disavanzi
eccessivi, che scatta quando il disavanzo supera la soglia del 3% del PIL prevista dal
Trattato. Se il Consiglio ritiene che vi sia un disavanzo eccessivo, allora formula delle
raccomandazioni agli Stati membri interessati affinch adottino delle misure
correttive,
indicando un termine entro il quale deve essere riassorbito il deficit. Linosservanza
delle raccomandazioni fa scattare le successive fasi della procedura, fino alla

comminazione, per gli Stati membri dellEurozona, di sanzioni.


A causa dellinvecchiamento della popolazione, dovuto allallungamento della vita e
alla bassa natalit dei cittadini europei, gli Stati membri dellUE si trovano di fronte al
problema di garantire la sostenibilit a lungo termine delle finanze pubbliche, in
considerazione dellincidenza che tale fenomeno ha sui bilanci. Per affrontare questa
sfida, nella riforma del Patto di Stabilit e Crescita, operata nel 2005, sono state
elaborate proiezioni di bilancio comuni a lungo termine a livello di UE, in base alle
quali
la situazione relativa ai singoli Stati membri viene sottoposta a controlli e valutazioni.
Fin dalla sua adozione, il Patto di Stabilit e Crescita stato oggetto di ampie
discussione, principalmente in relazione alle limitazioni che impone alle politiche di
bilancio nazionali, con conseguenti ricadute sugli obiettivi di crescita e occupazione.
Nel 2005, si ritenuto di dover intervenire sulle disposizioni previste dal Patto di
Stabilit e Crescita, confermando la validit dei vincoli di bilancio individuati nel
Trattato, ma modificando le disposizioni relative alla sorveglianza multilaterale e alla
procedura dei disavanzi eccessivi, al fine di rendere pi flessibile lapplicazione del
Patto.
La strategia Europa 2020 e il percorso verso una nuova governance
economica europea
La recessione che ha colpito leconomia globale tra il 2008 e il 2009 ha prodotto un
forte deterioramento delle finanze pubbliche in molti Paesi dellEurozona, che hanno
dovuto operare interventi di salvataggio per le banche. A tale indebolimento delle
finanze pubbliche si sono aggiunte, nel 2010-2011, tensioni sui debiti sovrani di alcuni
Paesi (specialmente quelli dellarea mediterranea), che hanno aggravato la crisi
finanziaria, hanno arrestato il processo di ripresa economica, faticosamente avviato
dopo la grave crisi del 2007-2009, e sprofondato leconomia europea in un nuovo
scenario recessivo, determinando una forte incertezza sulla tenuta dellEurozona e
sulle
prospettive della moneta unica.
Questi eventi hanno riproposto con forza il problema del governo economico
dellEuropa. Cos, nel novembre 2009, quando la crisi era ancora in atto, la
Commissione Europea ha lanciato una consultazione pubblica per individuare una
strategia in grado di offrire alleconomia dellUnione nuove e migliori prospettive, e
opportunit di crescita. Il nuovo disegno programmatico, denominato Europa 2020,
stato presentato dalla Commissione nel marzo 2010 e approvato dai capi di Stato e di
governo dei paesi dellUE nel giugno 2010.
A partire dai risultati conseguiti con la precedente Strategia di Lisbona, Europa 2020
punta a garantire una crescita pi equilibrata nel futuro, fondata su tre fondamentali
priorit: quelle di uneconomia intelligente, sostenibile e solidale (cfr. Figura 1).
Europa 2020 deve essere incentrata su tre priorit:
- crescita intelligente: sviluppare uneconomia basata sulla conoscenza e
sullinnovazione;
- crescita sostenibile: promuovere uneconomia pi efficiente sotto il profilo delle
risorse, pi verde e pi competitiva;
- crescita inclusiva: promuovere uneconomia con un alto tasso di occupazione, che
favorisca la coesione economica, sociale e territoriale.
Queste tre priorit, che si rafforzano a vicenda, delineano un quadro dell'economia di
mercato sociale europea per il XXI secolo.
Per ottenere questi risultati, occorre impegnarsi per il raggiungimento di un limitato
numero di obiettivi fondamentali, concretamente realizzabili, concentrando gli sforzi e
monitorando i progressi. Cinque, dunque, sono i macro-obiettivi in materia di
occupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale e clima/energia, da

raggiungere entro il 2020, fissati dal Consiglio europeo, su proposta della


Commissione:
1. occupazione: il tasso di occupazione delle persone di et compresa tra
20 e 64 anni dovrebbe passare dallattuale 69% ad almeno il 75%, anche
mediante una maggiore partecipazione delle donne e dei lavoratori pi
anziani e una migliore integrazione dei migranti nella popolazione attiva;
2. R&S/innovazione: lobiettivo attuale dellUE per gli investimenti in R&S
pari al 3% del PIL. A tal fine, occorre riconsiderare lopportunit di investimenti
pubblici e privati. La Commissione propone di mantenere
lobiettivo al 3%, definendo al tempo stesso un indicatore che rilevi
lintensit in termini di R&S e innovazione;
3. cambiamenti climatici/energia: lobiettivo quello di ridurre le
emissioni di gas a effetto serra almeno del 20% rispetto ai livelli del 1990
o del 30%, se sussistono le necessarie condizioni; portare al 20% la quota
delle fonti di energia rinnovabile nel consumo finale di energia e, infine,
migliorare del 20% lefficienza energetica;
4. istruzione: lobiettivo la riduzione del fenomeno dellabbandono
scolastico dallattuale tasso del 15% a quello del 10%, contestualmente
allaumento della quota della popolazione di et compresa tra 30 e 34 anni
che abbia completato gli studi superiori, portandola dal 31% ad almeno il
40% nel 2020;
5. povert/emarginazione: su questo fronte, lobiettivo quello di ridurre
il numero di cittadini europei che vivono al di sotto delle soglie di povert
nazionali, riducendo la percentuale al 25%, salvando dalla povert pi di
20 milioni di persone.

Nellambito dei suddetti obiettivi, per ciascun settore, ogni Stato membro adotta i
propri obiettivi nazionali
Il disegno programmatico di Europa 2020 per un nuovo governo delleconomia
europea deve, in particolare, fondarsi su tre pilastri:
Unagenda economica rafforzata, con una maggiore sorveglianza da
parte dellUE. Ne fanno parte le priorit e gli obiettivi strategici concordati

nellambito della strategia Europa 2020; gli impegni aggiuntivi assunti dagli
Stati membri attraverso il Patto Euro Plus; la sorveglianza delle politiche
economiche e di bilancio nazionali attuata dalla UE attraverso il Patto di
Stabilit e Crescita, integrato da nuovi strumenti per affrontare gli squilibri
macroeconomici; un nuovo metodo di lavoro il Semestre Europeo per
discutere annualmente le priorit economiche e di bilancio.
Interventi per salvaguardare la stabilit dellarea delleuro. Nel 2010,
lUE ha reagito alla crisi del debito sovrano istituendo a favore degli Stati
membri meccanismi di sostegno temporanei, che nel 2013 saranno sostituiti
da uno strumento permanente, vale a dire il Meccanismo Europeo di Stabilit
(ESM). Il sostegno (realizzato in stretta collaborazione con lFMI) , tuttavia,
subordinato al risanamento delle finanze e a rigorosi programmi di riforma.
Misure per rimediare ai problemi del settore finanziario.
Lambizioso percorso di rilancio delleconomia europea si imbatte, nella primavera
del 2010, in una prima grande difficolt costituita dalla crisi delleconomia greca: se i
fondamentali di alcuni Paesi europei (vedi ad esempio lIrlanda) risultano fortemente
indeboliti a causa degli interventi pubblici di salvataggio di istituti di credito nazionali
in
default, la crisi ellenica essenzialmente dovuta a comportamenti fraudolenti,
connessi
a falsificazioni dei conti pubblici.
La paura del possibile contagio di altri Paesi europei, ritenuti pi a rischio dai
mercati a causa della debolezza dei conti pubblici nazionali, alimentata da una serie di
ondate speculative contro i Paesi dellarea mediterranea, ha spinto lUnione ad
approntare nuove e pi stringenti misure di emergenza, ovvero:
la creazione di un meccanismo europeo temporaneo di stabilizzazione per
affrontare le situazioni di emergenza, lo European Financial Stabilisation
Mechanism (EFSM), reso poi permanente attraverso lo European Stability
Mechanism (ESM), finalizzato a interventi di salvataggio di Paesi membri
sottoposti a tensioni, a causa di squilibri delle finanze pubbliche;
listituzione di un veicolo societario, lEuropean Financial Stability Facility
(EFSF), per raccogliere risorse sui mercati, beneficiando della garanzia dei
Paesi dellEurozona.
Il 30 giugno 2010 la Commissione propone un ulteriore approfondimento degli
strumenti di governance economica, di sorveglianza e allarme preventivo, con
lobiettivo
di estendere la sorveglianza agli squilibri macroeconomici, migliorare il funzionamento
del Patto di Stabilit e Crescita, armonizzare la programmazione di bilancio e la politica
nazionale, attraverso listituzione del cosiddetto Semestre Europeo.
Il 29 settembre 2010 la Commissione propone, quindi, un pacchetto di 6 proposte
legislative, il cosiddetto Six Pack, composto di 5 proposte di Regolamento
Semestre Europeo
Il Semestre Europeo, la cui istituzione stata approvata dal Consiglio Europeo a
luglio 2010, un periodo, di sei mesi appunto, coincidente con il primo semestre di
ogni
anno, in cui le politiche strutturali, macroeconomiche e di bilancio degli Stati membri
vengono coordinate ex ante, ovvero prima che le manovre di bilancio siano sottoposte
al vaglio dei Parlamenti nazionali, affinch gli inviti e le eventuali raccomandazioni
provenienti dal Consiglio della UE possano essere integrati nei documenti nazionali
oggetto della discussione parlamentare.
Il Semestre Europeo inizia, dunque, a gennaio con la presentazione, da parte della
Commissione, dellanalisi annuale della crescita (Annual Growth Survey), in cui sono

fissate le priorit dellUnione per lanno, finalizzate a promuovere la crescita e la


creazione di posti di lavoro (cfr. Figura 2)
Ad aprile, gli Stati membri, tenendo conto degli orientamenti espressi dal Consiglio,
predispongono nellambito dei Parlamenti nazionali e presentano alla Commissione i
propri piani per il risanamento delle finanze pubbliche (Programmi di stabilit o
convergenza), e le riforme e le misure che intendono adottare per conseguire una
crescita intelligente, sostenibile e solidale (Programmi nazionali di riforma).
Il rafforzamento del Patto di Stabilit e Crescita
Nella riunione del 24-25 marzo 2011, il Consiglio europeo ha adottato un pacchetto
globale di misure intese a:
rispondere alla crisi ormai conclamata dei debiti sovrani;
preservare la stabilit finanziaria;
porre le basi di una crescita intelligente e sostenibile, allinsegna
dellinclusione sociale e della creazione di nuova occupazione, con un
rafforzamento della governance economica e della competitivit
dellEurozona e dellUnione europea nel suo complesso.
Il nuovo patto per la competitivit, denominato Patto Euro Plus,
Laccordo resta apertoalladesione di altri Stati membri.
I 23 Paesi firmatari si sono impegnati ad adottare tutte le misure necessarie a
stimolare la competitivit e loccupazione, e a rafforzare la sostenibilit delle finanze
pubbliche e la stabilit finanziaria. Il Patto prevede impegni concreti e un controllo
politico sugli stessi, esercitato a livello di capi di Stato e di governo
Il Patto di Stabilit e Crescita rappresenta, come detto, linsieme di regole che
dovrebbero indurre gli Stati membri a mantenere sane e solide finanze pubbliche. Le
esigenze di un rafforzamento del Patto hanno riguardato, in particolare:
il legame tra debito e deficit, soprattutto nei Paesi con un elevato debito
pubblico (superiore al 60% del PIL);
laccelerazione della procedura per i disavanzi eccessivi e limposizione
semiautomatica delle sanzioni agli Stati membri;
la migliore definizione del quadro di riferimento per i bilanci nazionali,
affrontando questioni contabili e statistiche, nonch di tecnica di previsione
LA nuova governance Europea
Il 28 settembre 2011 il Parlamento Europeo ha approvato il pacchetto di misure
sulla governance economica europea (Six Pack) presentato dalla Commissione nel
settembre 2010, con lobiettivo di prevenire il ripetersi di crisi del debito sovrano,
rafforzare lesame dei conti pubblici e delle politiche economiche nazionali e, infine,
introdurre un sistema sanzionatorio pi rapido per punire eventuali infrazioni. Il
pacchetto stato definitivamente approvato il 4 ottobre 2011 dal Consiglio europeo ed
entrato in vigore il 12 dicembre 2011.
Dei sei provvedimenti, tre si focalizzano sui bilanci pubblici, due prevedono la
costituzione di un nuovo sistema di allerta e di sanzione in caso di squilibri economici,
e
uno stabilisce gli standard da seguire nella redazione dei conti pubblici nazionali:
La sorveglianza economica e di bilancio
Il Six Pack ha modificato la disciplina della parte preventiva del Patto di Stabilit e
Crescita, fondando il controllo delle finanze pubbliche sul nuovo concetto di una
politica
di bilancio prudente, la cui funzione quella di agevolare il percorso di convergenza
verso lobiettivo di medio termine (OMT).
Pur mantenendo la previsione di un percorso verso lOMT, basato sul miglioramento

del saldo strutturale (pari allo 0,5% annuo), il criterio di convergenza stato reso
operativo con lintroduzione di un ulteriore principio basato sulla evoluzione della
spesa
Per i Paesi che hanno gi raggiunto lobiettivo di medio termine, la crescita annuale
della spesa non dovrebbe essere superiore a un tasso di crescita del PIL a medio
termine definito come prudente. Per i Paesi che non hanno raggiunto lobiettivo di
medio termine, il tasso di crescita della spesa dovrebbe essere inferiore al tasso
prudente di crescita del PIL a medio termine. Tuttavia, se un Paese volesse comunque
tenere un livello di spesa superiore ai limiti coerenti con levoluzione del PIL
prudente,
leccedenza dovrebbe essere coperta da misure discrezionali sul lato delle entrate.
La verifica del rispetto degli obiettivi di medio termine si basa sui programmi di
stabilit che i Paesi membri sono tenuti a inviare alla Commissione Europea,
nellambito
delle procedure previste dal Semestre Europeo
La procedura per disavanzi eccessivi
Un altro provvedimento del Six Pack ha modificato, invece, la parte correttiva del
Patto di Stabilit e Crescita, intervenendo sulla procedura di disavanzo eccessivo. In
sostanza, si rende operativo un criterio, quello del debito, gi presente nei Trattati, ma
considerato in via marginale nellapplicazione della procedura di sorveglianza.
La nuova disciplina dispone che i Paesi che non rispettano il limite del 60% nel
rapporto debito pubblico/PIL (anche quando il deficit al di sotto della soglia del 3%
del PIL) devono adottare adeguate misure in grado di ridurre il differenziale rispetto al
limite indicato a un ritmo sufficiente, pari a un ventesimo allanno nellarco di un
triennio.
Il mancato rispetto del criterio del debito non implica lautomatica apertura di una
procedura per disavanzo eccessivo nei confronti di un Paese, poich la valutazione
finale dovr essere complessiva e dovr tener conto anche di ulteriori fattori di rischio,
quali ad esempio un tasso di crescita del PIL nazionale particolarmente basso, la
struttura del debito, il livello di indebitamento del settore privato, le passivit implicite
connesse allinvecchiamento (ovvero, la sostenibilit a lungo termine dei sistemi
previdenziali).
I meccanismi sanzionatori
Al fine di intervenire pi efficacemente sugli Stati membri dellEurozona che violino
le nuove regole, il braccio correttivo del Patto di Stabilit e Crescita stato rafforzato
attraverso un nuovo regolamento sulleffettiva applicazione della sorveglianza di
bilancio
nellEurozona. Sono state introdotte nuove sanzioni finanziarie, applicate
preventivamente e con un approccio graduale.
A partire dal 2012, il mancato rispetto del limite sul tasso di crescita della spesa (o
dellattivazione delle eventuali misure compensative dal lato delle entrate),
comporter
un avvertimento da parte della Commissione che, in caso di scostamento persistente o
particolarmente grave, implicher il coinvolgimento del Consiglio Europeo, attraverso
lemissione di una raccomandazione ad adottare misure correttive. Nel caso della
mancata implementazione di tali misure, la Commissione potr imporre un deposito
fruttifero pari allo 0,2% del PIL che scatterebbe, su proposta della Commissione, a
meno che il Consiglio entro 10 giorni non decida, con maggioranza qualificata, di
rigettare la proposta della Commissione (reverse majority). Il Consiglio potrebbe
decidere di ridurre limporto del deposito soltanto allunanimit, oppure sulla base di
una proposta della Commissione e di una richiesta motivata dello Stato membro

inadempiente. Il deposito verrebbe restituito soltanto quando il Consiglio abbia


accertato che la situazione a seguito della quale scattato lobbligo di deposito sia
stata
sanata.
Quanto alla parte correttiva, il rispetto della normativa garantito dalla previsione
dellobbligo per Paesi membri dellEurozona di effettuare un deposito infruttifero
pari allo 0,2% del PIL al momento dellapertura di una procedura di disavanzo
eccessivo. Esso verrebbe convertito in ammenda in caso di non osservanza, da parte
dello Stato interessato, della raccomandazione a correggere il disavanzo eccessivo. La
sanzione sarebbe ulteriormente inasprita in caso di persistente inosservanza.
La procedura di adozione della decisione di comminare le sanzioni nel caso di
procedura di eccessivo disavanzo analogo a quello previsto per la sorveglianza nella
parte preventiva (reverse majority). In caso di mancata restituzione, le entrate
derivanti
da queste ammende (o dagli interessi maturati sul deposito fruttifero) verrebbero
distribuite, sulla base dei rispettivi PIL, tra i Paesi membri dellarea Euro non sottoposti
a procedura di disavanzi eccessivi.
Gli squilibri economici
Il regolamento sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici ha
introdotto un nuovo sistema di monitoraggio degli squilibri, demandando alla
Commissione una valutazione periodica dei rischi derivanti dagli squilibri
macroeconomici in ciascuno Stato membro.
La valutazione periodica basata su un quadro di riferimento composto da
indicatori economici (scoreboard), tesi a rilevare lesistenza di un grave squilibrio, tale
cio da compromettere il corretto funzionamento delleconomia di uno Stato e/o
minacciare la stabilit dellUnione economica e monetaria nel suo complesso.
In tali circostanze, il Consiglio - su proposta della Commissione pu adottare
raccomandazioni con il suggerimento di misure correttive tese a sanare lo squilibrio
macroeconomico, da adottare entro un preciso termine Qualora lo Stato ometta
ripetutamente di dare seguito alle raccomandazioni del Consiglio formulate nel quadro
della procedura per gli squilibri eccessivi, a partire dal 2012, sar tenuto a pagare
unammenda annuale pari allo 0,1% del suo PIL, fino a quando il Consiglio non avr
stabilito che esso ha adottato le necessarie misure correttive.
La decisione di imporre un deposito proposta dalla Commissione e si considera
approvata dal Consiglio a meno che esso non la respinga con voto a maggioranza
qualificata degli Stati membri dellEurozona (escluso il voto dello Stato interessato). Il
Consiglio, sulla base di una proposta della Commissione, pu decidere di annullare o
ridurre lammenda. In caso di mancata correzione degli squilibri, lammenda
costituisce
unentrata che verrebbe distribuita, sulla base dei rispettivi PIL, tra i Paesi membri
dellEurozona non sottoposti a procedura.
I requisiti dei quadri di bilancio
La riforma del Patto di Stabilit e Crescita completata dalla nuova direttiva sulle
caratteristiche dei quadri di bilancio, che elenca alcuni standard che gli Stati membri
devono osservare nella redazione delle statistiche e dei conti economici, al fine di
garantire, da un lato, la piena efficacia delle procedure di sorveglianza e, dallaltro, la
qualit e la solidit delle politiche fiscali nazionali.
Lo scopo della direttiva quello di:
migliorare lattendibilit dei conti nazionali, includendo nei sistemi contabili
allineare il sistema di regole interne con il Patto di Stabilit e Crescita

aumentare la trasparenza: gli Stati membri devono garantire la trasparenza


Agli Stati che, deliberatamente o per grave negligenza, dovessero manipolare i dati
relativi al disavanzo e al debito potr essere comminata una ammenda da parte del
Consiglio su proposta della Commissione in relazione alla natura e alla gravit della
violazione, nonch alla durata della stessa, per un ammontare non superiore allo 0,2%
del PIL dello Stato in questione.
Il nuovo Trattato sulla stabilit, il coordinamento e la governance dellUnione
economica e monetaria
Il 23 novembre 2011 la Commissione europea ha presentato due ulteriori proposte di
regolamento concernenti, rispettivamente, il rafforzamento della sorveglianza
economica e di bilancio degli Stati membri
Le due proposte intendono rafforzare il pilastro economico dellUnione economica e
monetaria, completando e rendendo pi efficaci sia la procedura del Semestre
Europeo
per il coordinamento ex ante delle politiche economiche, sia la parte preventiva e
correttiva del Patto di Stabilit e Crescita
Nella riunione dellEcofin del 30 gennaio 2012 stata, quindi, definita la bozza del
Trattato sulla stabilit, il coordinamento e la governance nellUnione
economica e monetaria Il nuovo Trattato, che agisce in accordo con le
preesistenti regole europee, stato
sottoscritto da 25 Paesi: oltre al Regno Unito, anche la Repubblica Ceca, che
nel vertice
di dicembre aveva aderito alliniziativa, si sfilata dallaccordo. Il Trattato
entrer in
vigore il 1 gennaio 2013, previa ratifica di almeno 12 Paesi dellEurozona, o il
mese
successivo alla ratifica del 12 Paese contraente dellarea Euro.
La nuova disciplina di bilancio (definita Fiscal Compact) prevede che limpegno,
da parte Paesi contraenti, a mantenere un saldo dei conti pubblici
sostanzialmente in equilibrio, ovvero in pareggio o in avanzo.
Tale condizione si intende rispettata in presenza di un deficit pubblico pari, al
massimo, allo 0,5% del PIL calcolato ai prezzi di mercato (la cosiddetta golden
rule). Il rapporto pu aumentare fino a un massimo dell1%, se lo Stato in questione
ha un rapporto debito pubblico/PIL inferiore al 60%.
In caso di scostamento dal vincolo del deficit, il Paese deve adottare opportune
misure di convergenza nei tempi e secondo il programma concordati con la
Commissione, considerando i rischi specifici del Paese sul piano della sostenibilit.
possibile derogare alle regole di bilancio solo in caso di circostanze eccezionali,
come definite dal Trattato e come gi previsto dal Patto di Stabilit e Crescita.
In caso di significativi scostamenti dallobiettivo di medio-lungo termine o dal
percorso di aggiustamento concordato con la Commissione, la bozza di Trattato
prevede lattivazione automatica di un meccanismo di correzione, che dovr essere
istituito a livello nazionale.
La regola doro dovr essere prevista nella Costituzione o in leggi di pari grado
entro un anno dallentrata in vigore del Trattato: sar la Corte di giustizia a vigilare
sulla corretta trasposizione della norma. Qualora il vincolo di bilancio non sia recepito
attraverso le leggi nazionali, lUE potr comminare multe che dovranno essere versate
allESM (European Stability Mechanism). A decidere limporto delle ammende
adeguate
alle circostanze sar la Corte di giustizia della UE e la sanzione pecuniaria potr
scattare quando il Paese oggetto della procedura risulter recidivo, ovvero colpevole di
non aver rispettato una prima sentenza di condanna emessa dalla stessa Corte. In
caso

di inadempienza alle raccomandazioni fornite dalla Commissione, la Corte di giustizia


potr imporre multe fino allo 0,1% del PIL.
Per quanto concerne il vincolo sul rapporto debito pubblico/PIL, resta confermato il
valore soglia massimo del 60%. Il nuovo accordo - in linea con quanto gi previsto dal
Six Pack - prevede lobbligo di rientrare verso il tetto del 60% del PIL al ritmo
di un ventesimo lanno per la parte di debito eccedente.
In caso di applicazione della procedura per i disavanzi eccessivi, lo Stato membro si
impegna a elaborare un programma di riforme strutturali per una correzione effettiva e
durata del disavanzo eccessivo, che dovr essere sottoposto, per approvazione e
monitoraggio, alla Commissione e al Consiglio europeo. In tali circostanze, gli Stati
inadempienti si impegnano ad approvare le raccomandazioni della Commissione UE
per
il rientro da un disavanzo eccessivo; tali decisioni potranno essere bloccate solo con
un
voto a maggioranza qualificata degli Stati membri.
Il potere di denunciare ai giudici europei un Paese indisciplinato potr essere
esercitato sia dalla Commissione europea, sia da un altro Paese dellEurozona
firmatario
dellaccordo. Le decisioni della Corte di Giustizia sono vincolanti e, in caso di mancata
conformit alle stesse, la Corte pu comminare al Paese inadempiente il pagamento di
una multa non eccedente lo 0,1% del PIL. Se il Paese appartiene allEurozona, i
pagamenti saranno versati al Meccanismo Europeo di Stabilit.
Al fine di un pi efficace coordinamento delle emissioni di debito nazionale, gli Stati
membri si impegnano a comunicare ex ante i piani di emissione del debito pubblico.
Essi assicurano, altres, una discussione ex ante e, ove appropriato, un coordinamento
delle politiche economiche nazionali.
Con lobiettivo di rafforzare la governance economica, i capi di Stato o di governo
dellEurozona si incontrano nelle riunioni del Vertice euro, insieme con il presidente
della
Commissione europea. Il presidente del Vertice euro nominato a maggioranza
semplice dai capi di Stato o di governo; le riunioni sono convocate quando necessario,
e
comunque almeno due volte allanno, per discutere questioni concernenti la
governance
e le regole dellEurozona, nonch gli orientamenti strategici per la condotta delle
politiche economiche.
Come gi evidenziato, il Fiscal Compact strettamente collegato al Trattato
istitutivo dellESM, il fondo salvastati permanente, la cui entrata in funzione,
originariamente prevista per il 2013, stata anticipata a luglio 2012. Potranno fare
ricorso al fondo solo gli Stati che avranno sottoscritto il nuovo patto di bilancio.
La programmazione economico-finanziaria nazionale
Nei recenti anni, il sistema delle decisioni di bilancio e lassetto della contabilit
nazionale hanno subito ampie e radicali modificazioni La norma, che abroga (e
sostituisce) la legge 468/78, ha profondamente rivisitato il
precedente sistema di contabilit pubblica nei seguenti aspetti:
principi fondamentali del sistema;
processo di assunzione delle decisioni economico finanziarie;
forma e contenuto dei documenti di finanza pubblica.
In relazione al primo punto, la legge 196/2009 tende a realizzare un organico
sistema di assunzione delle decisioni di finanza pubblica, che renda possibile ed
efficace
il coordinamento tra i diversi livelli in cui organizzata la gestione della pubblica

amministrazione, garantendo, al contempo, la tempestivit dellattivit di controllo


sugli
andamenti di finanza pubblica. Il nuovo assetto si basa sul principio di sistematicit
della finanza pubblica, prevedendo un ambito di applicazione pi ampio del solo
Bilancio
dello Stato, in modo da coinvolgere lintero comparto delle Amministrazioni pubbliche,
secondo una logica di armonizzazione dei sistemi e degli schemi contabili. In tale
approccio, centrale il ruolo del Governo (responsabile a livello europeo del rispetto
dei
vincoli finanziari in tale sede stabiliti), ma anche del Parlamento (detentore, ai sensi
dellarticolo 81 della Costituzione, dello specifico potere di approvazione del bilancio) e
degli Enti territoriali, per i quali stata prevista una pi intensa partecipazione alla
fase
ascendente di definizione degli obiettivi economico-finanziari, ci anche al fine di tener
conto dellevoluzione dellordinamento in senso federale.
Obiettivo primario sotteso a tutto limpianto dalla legge di contabilit e finanza
rappresentato dallaumento della capacit di controllo della spesa nella Pubblica
amministrazione attraverso il miglioramento dei sistemi di misurazione contabile e
lesplicitazione dei legami di responsabilit tra decisione di spesa, struttura (o Ente)
responsabile e obiettivo conseguito. Esplicitando il legame di responsabilit
nellutilizzo
Il Documento di economia e finanza (DEF)
Il Documento di economia e finanza (DEF) subentra alla Decisione di Finanza
Pubblica prevista dalla legge n.196/2009, che a sua volta aveva sostituito il DPEF
(Documento di Programmazione Economico-Finanziaria), di cui alla legge 468/1978.
Il documento, che contiene il quadro della programmazione economico-finanziaria
su base triennale, viene presentato annualmente dal Governo alle Camere entro il 10
aprile, e alle Istituzioni comunitarie entro il 30 aprile.
Il DEF si compone di tre sezioni. La prima reca lo schema del Programma di
Stabilit, contenente gli elementi e le informazioni richieste dai regolamenti
dellUnione
europea vigenti in materia e dal Codice di condotta sullattuazione del Patto di
Stabilit
e Crescita, con specifico riferimento agli obiettivi da conseguire per accelerare la
riduzione del debito pubblico.
In particolare, la prima sezione contiene:
gli obiettivi di politica economica e il quadro tendenziale delle previsioni
economiche e di finanza pubblica, almeno per il triennio successivo;
gli obiettivi programmatici triennali per lindebitamento netto, per il saldo di
cassa, in rapporto al prodotto interno lordo, al netto e al lordo degli interessi
e delle misure una tantum, e per il debito, articolati per i sotto-settori del
conto economico delle amministrazioni pubbliche;
lindicazione dellarticolazione della manovra necessaria per il conseguimento
degli obiettivi di finanza pubblica, accompagnata anche da un'indicazione di
massima delle misure attraverso le quali si prevede di raggiungere i predetti
obiettivi;
il prodotto potenziale e gli indicatori strutturali programmatici del conto
economico delle amministrazioni pubbliche;
le previsioni di finanza pubblica di lungo periodo e gli interventi che si
intendono adottare per garantire la sostenibilit della finanza pubblica;
le diverse ipotesi di evoluzione dellindebitamento netto e del debito rispetto
a scenari di previsione alternativi riferiti al tasso di crescita del prodotto
interno lordo, della struttura dei tassi di interesse e del saldo primario.

La seconda sezione del DEF contiene:


lanalisi del conto economico e del conto di cassa delle amministrazioni
pubbliche dellanno precedente, e gli eventuali scostamenti rispetto agli
obiettivi programmatici;
le previsioni tendenziali triennali del saldo di cassa del settore statale con
lindicazione delle modalit di copertura;
le informazioni di dettaglio sui risultati e sulle previsioni dei conti dei
principali settori di spesa, nonch sul debito delle amministrazioni pubbliche
e sul relativo costo medio.
Sono, inoltre, esposte le indicazioni triennali delle previsioni a politiche invariate per
i principali aggregati del conto economico delle amministrazioni pubbliche e le regole
generali sullevoluzione della spesa delle amministrazioni pubbliche, in coerenza con
gli obiettivi programmatici definiti dallo stesso DEF. La terza sezione reca lo schema
del Programma Nazionale di Riforma (PNR) con gli elementi e le informazioni previsti
dai regolamenti dellUnione europea e dalle specifiche
linee guida. Tra questi si segnalano:
le priorit del paese e le principali riforme strutturali da attuare in un quadro di
compatibilit finanziaria con gli obiettivi di bilancio;
lanalisi degli eventuali squilibri macroeconomici;
lindicazione dei fattori che determinano la competitivit del paese e lo stato di
avanzamento delle riforme avviate;
gli effetti prevedibili delle riforme proposte con riguardo alla crescita delleconomia,
al rafforzamento della competitivit del sistema economico e allaumento
delloccupazione. Anche in questo caso, gli ulteriori elementi informativi sono
individuati con un rinvio alla normativa europea. Ad integrazione delle informazioni
contenute nel DEF, la nuova disciplina prevede, infine, alcuni allegati tra cui
lindicazione degli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica,
il programma delle infrastrutture strategiche e lo stato di avanzamento dello stesso
programma relativo allanno precedente.
A questi si aggiungono: una relazione di sintesi sugli interventi realizzati nelle aree
sottoutilizzate e sui risultati conseguiti; un documento sullo stato di attuazione degli
impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra; lesposizione, con
riferimento ai dati di consuntivo disponibili, delle risorse del bilancio dello Stato
destinate alle singole regioni e alle province autonome.
17.3. La Nota di aggiornamento del DEF
La Nota deve essere presentata alle Camere entro il 20 settembre di ogni anno. Il
documento, a differenza della previgente disciplina, obbligatorio e consente di
aggiornare le previsioni economiche e di finanza pubblica in relazione alla maggiore
stabilit e affidabilit delle informazioni disponibili sullandamento del quadro
macroeconomico (per cui sono disponibili i dati relativi ai primi due trimestri dellanno)
e di finanza pubblica, rispetto a quelle utilizzate per il DEF.
In secondo luogo, la Nota permette di aggiornare gli obiettivi programmatici, in
considerazione delle eventuali raccomandazioni approvate dal Consiglio dellUnione
europea sullAggiornamento del Patto di Stabilit, o la loro articolazione, anche sulla
base delle intese raggiunte con la Conferenza permanente per il coordinamento della
finanza pubblica.
In questi casi, come anticipato, il Governo invia alla Conferenza e alle Camere le linee
guida per la ripartizione degli obiettivi. Nellaggiornamento del documento di
programmazione sono inoltre fissati gli obiettivi di saldo netto da finanziare per il
bilancio dello Stato e di saldo di cassa del settore statale. Con lo stesso documento,
sono infine stabiliti i contenuti del Patto di stabilit interno, con le relative sanzioni da
applicare, e del Patto di convergenza. Per le stesse finalit, gli obiettivi programmatici
possono essere aggiornati anche in corso danno
La Legge di Stabilit

La Legge di Stabilit, insieme alla Legge di bilancio, costituisce la manovra di


finanza pubblica per il triennio di riferimento e rappresenta lo strumento principale di
attuazione degli obiettivi programmatici definiti con il DEF. Essa sostituisce la legge
finanziaria e rispetto a questultima prevede novit sia in ordine ai tempi di
presentazione, sia in merito ai contenuti. In coerenza con la programmazione
economico-finanziaria definita con il DEF e con lobiettivo di rafforzare ulteriormente il
ruolo della programmazione di medio periodo, la manovra di finanza pubblica dispone
le misure idonee al conseguimento degli obiettivi di bilancio in ciascun anno del
triennio di previsione. Il disegno di legge di stabilit viene presentato in Parlamento
entro il 15 ottobre. Nella prima sezione, il documento riporta: il livello massimo del
saldo netto da
finanziarie e del ricorso al mercato; la variazione delle aliquote delle imposte; limporto
dei fondi speciali; limporto complessivo destinato al rinnovo dei contratti pubblici; le
norme eventuali necessarie allattuazione del Patto di stabilit interno e alla
realizzazione del Patto di convergenza; le misure correttive delle leggi che comportano
oneri superiori a quelli previsti; altre regolazioni meramente quantitative.
La Legge di Stabilit dispone annualmente il quadro di riferimento finanziario per il
periodo compreso nel bilancio pluriennale e provvede alla regolazione annuale delle
grandezze previste dalla legislazione vigente per adeguare gli effetti finanziari agli
obiettivi. In altri termini, con la Legge di Stabilit le entrate e le spese previste sulla
base della legislazione vigente sono adeguate in funzione delle previsioni contenute
nella DEF e in considerazione del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica
definiti.
La legge di stabilit presenta un contenuto pi snello rispetto a quello della
precedente legge finanziaria. Restano escluse dal suo contenuto le norme a carattere
ordinamentale o organizzatorio, anche qualora esse si caratterizzino per un rilevante
miglioramento dei saldi; le norme di delega nonch quelle relative ad interventi di
natura localistica o micro settoriale. Gli interventi di sostegno e sviluppo dell'economia
dovranno trovare collocazione in appositi disegni di legge collegati, e pertanto al di
fuori della legge di stabilit.
La Legge di bilancio
Il bilancio dello Stato rappresenta il documento con cui il Parlamento autorizza
lamministrazione a riscuotere le entrate e a gestire le spese nel corso dellesercizio
finanziario a cui si riferisce.
In sostanza, con la Legge di Bilancio, il Governo sottopone allapprovazione del
Parlamento il bilancio preventivo dello Stato individuando le differenti tipologie di
entrata e le diverse modalit di spesa. Tale documento si forma a seguito di un
processo di approvazione articolato in pi fasi che prende avvio con la presentazione
del Governo al Parlamento del Disegno di legge di Bilancio. Nel disegno di legge sono
illustrate, sulla base della legislazione vigente (e quindi senza le disposizioni contenute
nella legge di Stabilit), le seguenti previsioni:
a) lo stato di previsione delle entrate;
b) gli stati di previsione della spesa distinti per Ministeri, con le allegate
appendici dei bilanci delle aziende ed amministrazioni autonome;
c) un quadro generale riassuntivo.
17.6. Il disegno di legge di assestamento di bilancio
Il disegno di legge di assestamento di bilancio consente un aggiornamento, a
met esercizio, degli stanziamenti del bilancio dello Stato, anche sulla scorta della
consistenza dei residui attivi e passivi accertata in sede di rendiconto dellesercizio
scaduto al 31 dicembre precedente.
Sotto questo profilo, il disegno di legge di assestamento si connette funzionalmente
con il rendiconto del bilancio relativo allesercizio precedente: lentit dei residui attivi
e passivi sussistenti allinizio dellesercizio finanziario, che al momento
dellelaborazione e approvazione del bilancio di previsione stimabile solo in misura

approssimativa, viene, infatti, definita in assestamento sulla base delle risultanze del
rendiconto.

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