Economia positiva
Economia normativa
Mercantilisti
Adam Smith economia classica, fu un teorico della macroeconomia, interessato alle
forze che determinano la crescita economica, Nel libro primo de La ricchezza delle
nazioni Adam Smith analizza le cause che migliorano il "potere produttivo del lavoro" e
il modo con il quale la ricchezza prodotta si distribuisce naturalmente fra le classi
sociali. La ricchezza di una nazione viene identificata all'insieme dei beni prodotti
suddivisi per l'intera popolazione[1], si pu quindi parlare di reddito pro-capite.
La ricchezza (accumulazione del capitale) viene prodotta attraverso il lavoro e pu
essere incrementata aumentando la produttivit del lavoro o il numero di lavoratori.
la produttivit del lavoro, Aumenta quando c divisione del lavoro
Le ragioni dell'incremento produttivo indotto dalla divisione del lavoro sono tre: (a)
aumento dell'abilit manuale di ogni lavoratore (specializzazione), (b) riduzione tempo
perso per passare da un'azione o da un'attivit all'altra, (c) diffusione, per il desiderio
di ognuno di ridurre la propria pena lavorativa
Il lavoro permette inoltre di determinare il valore di scambio di un bene: Adam Smith
sviluppa cos una teoria del valore-lavoro, in contrapposizione all'idea di una ricchezza
proveniente dalla natura sostenuta dai fisiocratici.
La teoria di una regolazione spontanea dello scambio e delle attivit produttive di
Adam Smith incentrata sulla nozione di mano invisibile secondo la quale il sistema
economico non richiede interventi esterni per regolarsi, in particolare non necessita
l'intervento di una volont collettiva razionale. Il ruolo della mano invisibile triplice.
"Processo con il quale si crea un ordine sociale" Dati l'uguaglianza di fronte al diritto,
il non intervento dello Stato e il principio di simpatia, la mano invisibile assicura il
realizzarsi di un ordine sociale che soddisfa l'interesse generale (convergenza
spontanea degli interessi personali verso l'interesse collettivo).
"Meccanismo che permette l'equilibrio dei mercati" Domanda e offerta su differenti
mercati tendono ad uguagliarsi: il libero funzionamento di un mercato concorrenziale,
oltre a far convergere il prezzo di mercato al prezzo reale, tende a fare scomparire
qualsiasi domanda o offerta eccedentaria.
"Fattore che favorisce la crescita e lo sviluppo economico" La regolazione si applica
alla popolazione attraverso il mercato del lavoro (in caso di popolazione eccessiva, il
salario scende al di sotto del minimo di sussistenza conducendo ad una riduzione della
popolazione e viceversa in caso di popolazione deficitaria); la regolazione si applica
pure al risparmio, condizione necessaria per l'accumulazione del capitale e quindi della
crescita economica attraverso una maggiore divisione del lavoro (gli individui tendono
spontaneamente a risparmiare in quanto desiderosi di migliorare la propria
condizione); infine la regolazione si applica anche alla locazione dei capitali
(investimenti indirizzati spontaneamente verso le attivit pi redditizie).
Legoismo umano avrebbe reso efficiente i mercati,
Laissez Fair Mill,
Marx, Owen
Keynes
suoi contributi alla teoria economica hanno dato origine alla cosiddetta "rivoluzione
keynesiana". In contrasto con la teoria economica neoclassica, ha sostenuto la
necessit dell'intervento pubblico statale nell'economia con misure di politica di
bilancio e monetaria, qualora una insufficiente domanda aggregata non riesca a
garantire la piena occupazione nel sistema capitalista, in particolare nella fase di crisi
del ciclo economico.
Le sue idee sono state sviluppate e formalizzate nel dopoguerra dagli economisti della
scuola keynesiana. A quest'ultima viene spesso contrapposta la scuola monetarista (o
scuola di Chicago), che si origin nel dopoguerra dalle teorie di Milton Friedman.
Keynes pone le basi per la teoria basata sul concetto di domanda aggregata,
spiegando le variazioni del livello complessivo delle attivit economiche cos come
osservate durante la Grande depressione.
Il reddito nazionale sarebbe dato dalla somma di consumi e investimenti;
Critica i neoclassici e analizza e teorizza nel fallimento del mercato e la sua incapacit
ad autoregolarsi la causa della crisi economica in particolare egli pone attenzione alla
sotto-occupazione e capacit produttiva inutilizzata,
sarebbe dunque possibile incrementare l'occupazione e il reddito aumentando la spesa
per consumi o degli investimenti.
L'ammontare complessivo di risparmio sarebbe, inoltre, determinato dal reddito
nazionale.
Ribalta la legge di Say secondo la quale e sempre verificata l'equivalenza tra
produzione e domanda
Ovvero la produzione a determinare la doanda.
In breve, la Teoria generale argomenta che il livello della domanda aggregata (in un
sistema chiuso agli scambi con l'estero, la domanda aggregata pari alla somma tra
consumo e investimento, pubblico e privato) in un'economia moderna determinato
da una serie di fattori: la propensione marginale al consumo (la percentuale di un
aumento di reddito che i cittadini scelgono di spendere per l'acquisto di beni e servizi)
e l'investimento in beni capitali (a sua volta dipendente dal tasso di interesse, che ne
influenza il costo, e dal tasso di rendimento atteso, attraverso il confronto con
l'efficienza marginale del capitale). Il livello del tasso di interesse , poi, fortemente
influenzato dalla preferenza per la liquidit.
La principale argomentazione di Keynes che in un'economia funestata da una debole
domanda aggregata (come nel caso della Grande depressione), con una sentita
difficolt a procedere verso la crescita del reddito nazionale, il governo o, pi in
generale, il settore pubblico ha la possibilit di incrementare la domanda aggregata
tramite la spesa pubblica per l'acquisto di beni e servizi, fattore esogeno e finalizzato
all'aumento di occupazione. Ci potr essere finanziato anche tramite politiche di
deficit di bilancio; l'indebitamento pubblico, sotto determinate ipotesi, non aumenter
il tasso di interesse al punto di scoraggiare l'investimento privato.
Fonti normative
PROGRAMMAZIONE NAZIONALE E REGIONALE
La politica economica e la programmazione economica vanno sempre riferite al
contesto socio eco istituzionale culturale dal quale scaturiscono. Nellambito di un
progetto di integrazione economica un coordinamento delle politiche economiche si
rende sempre pi necessario pur nella peculiarit delleconomia degli stati, parimenti
assume sempre pi rilevanza lesigenza di un maggior coinvolgimento delle autonomie
locali nel processo decisionale sulle politiche che incidono sul proprio territorio. Il
coinvolgimento degli enti locali sancito dal principio di sussidiariet introdotto con
Maastricht e dal principio dellautonomia. (Sussi le decisioni dovrebbero essere
assunte a un livello pi prossimo ai cittadini)
Autonomistico: ciascun ente libero di individuare e selezionare i propri interessi e
soddisfarli anche quando non coincidono con quelli degli altri enti.
Sussidiariet orizzontale: tra pubblico e privato
Sussidiariet verticale: tra i livelli di organi di governo.
Programmazione nazionale
Occorre distinguere tra programmazione territoriale e programmazione finanziaria.
Con la prima si intende la progr che regola gli assetti territoriali con la seconda si
intende il tipo di programmazione che attribuisce maggiore valenza allaspetto
finanziario, questa di notevole importanza a causa degli impegni assunti con
Maastricht ed dipendente dalle prescrizioni della UE v. fiscal compact.
Documenti di programmazione nazionale
DPEF, BILANCIO PLURIENNALE DI PREVISIONE, LEGGE FINANZIARIA, RELAZIONE
PREVISIONALE PROGRAMMATICA.
DPF documento doveva basarsi su una valutazione puntuale e motivata degli
andamenti reali ed eventuali scostamenti rispetto agli obiettivi fissati nei precedenti
documenti di programmazione economico finanziaria; il documento doveva contenere:
parametri eco essenziali
obiettivi macroeco
sviluppo del reddito e occupazione
fabbisogno statale
articolazione interventi collegati alla manovra di finanza pubblica per il periodo
compreso nel bilancio pluriennale.
Inoltre, si dovevano indicare criteri e parametri per la formazione del bilancio annuale
e pluriennale.
BPP veniva redatto dal ministero delleconomia e delle finanze avendo come
riferimenti un periodo non inferiore a 3 anni, questo documento doveva rappresentare
landamento dell entrate e delle spese e loro previsioni in relazioni agli interventi
programmati dal DPEF.
Legge Finanziaria in coerenza con gli obiettivi del DPF doveva rappresentare per ogni
anno considerato nel bilancio pluriennale il quadro finanziario di riferimento cercando
di allineare per ogni anno gli effetti finanziari agli obiettivi. Quindi gli aspetti finanziari
della manovra di bilancio.
Relazione Previsionale programmatica: da presentare entro 30 sett di ogni anno alle
Camere a cura del Mef, deve illustrare sinteticamente il bilanciodello Stato con una
dimostrazione degli eventuali scostamenti rispetto alle previsioni dellanno
precedente.
Quadro economico generale: indica gli indirizzi di politica economica e gli obiettivi
programmatici.
ESTENSIONE TEMPORALE
SISTEMA DI OBIETTIVI FINALI E INTERMEDI QUANTIFICATI SULLA BASE DI
TECNICHE DI PROIEZIONE STATISTICA E STRUMENTI DI INTERVENTO CHE
DEVONO RISULTARE MUTUAMENTE COMPATIBILI.
MACROFASE
FASE INTERMEDIA
MICROFASE
Tipologie di programmazione
In ogni processo di pe una volta analizzato il quadro economico e fissati possibili
obiettivi di sviluppo si cerca di individuare la funzione obiettivo. Ovvero quella
funzione attraverso la quale raggiungere gli obiettivi per ciascuna funz obiettivo viene
definito un valore ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo. I principali obietti
della programmazione economica nelleconomie di mercato:
-
Occupazione
Crescita prodotto reale
Bassa inflazione
Strumenti:
-
Sintetizzando:
la progr eco in uneconomia di mercato ha senso se:
-
Il settore pubblico interviene nelleconomia non solo per sanare i fallimenti del
mercato e per realizzare quelle opere e servizi che garantiscono esternalit
positive, ma anche per alimentare la dinamica produttiva in una prospettiva
keynesiana del controllo del ciclo economico;
Lapplicazione di tecniche di programmazione economica pu rafforzare la
credibilit dei decisori pubblici e rendere pi efficienti i meccanismi di
assegnazione della spesa ai vari enti della PA.
La programmazione indicativa se pu contribuire a stabilizzare le aspettative
degli operatori privati, poich fornisce un quadro di politiche economica pi
credibile in relazione ad un certo arco di tempo.
Fissare obiettivi
Anticipare il futuro
Scegliere soluzioni alternative pi convenienti
Decidere successione delle variazioni
Scegliere risorse necessarie
Prevedere tempi e costi degli interventi
Determinare gli standard
Stabilire le modalit di controllo
Sprechi e duplicazioni
che le azioni siano influenzati da sit di emergenza
stabilit politica
fermo impegno politico della maggioranza di procedere con la programmazione
disponibilit di dati statistici
organizzazione amministrativa specifica
disponibilit di elementi e dati statistici per la valutazione delle
programmazioni:
situazione eco passata e presente
potenzialit produttive del Paese
proiezioni medio lungo periodo
possibili fonti di finanziamento.
un programma economico deve essere razionale nel senso economico e deve avere
dei fini certi che non sono altro che gli obiettivi della politica economica. Gli elementi
strutturali di un piano o di un programma sono:
-
il soggetto
risorse disponibili
fini
tempi di attuazione
strumenti
PROGRAMMAZIONE EUROPEA
Linizio di una vera e propria attivit programmatoria da parte della Comunit Europea
si pu far risalire alladozione dei PIM ovvero piani integrati mediterranei. (perfezionati
con Maastricht) Si formalizza linizio del coinvolgimento dei vari livelli di governo nei
processi decisionali riguardanti gli interventi della comunit europea. Si delinea in
sostanza da regionalismo funzionale a regionalismo istituzionale. Da una visione
meramente geografica delle varie regioni europee si passati ad una visione
istituzionali in cui le regioni vengono considerate alla pari degli altri organi nazionali
comunitari. Un altro importante step costituito dallapprovazione dellatto unico
europeo 1987 per la prima volta viene sottolineata limportanza di uno sviluppo
territoriale equilibrato che garantisca margini di crescita stabili e diffusi. Viene
delineata la politica di coesione con la quale la comunit si preoccupa appunto di
creare uno sviluppo armonico di tutti i Paesi aderenti e di colmare i ritardi nello
sviluppo delle varie aree. Su queste basi i Paesi membri hanno iniziato un processo
volto a ridurre il rischio di aggravare il deficit di capitale nelle aree pi arretrate della
Comunit. Rischio presente in unintegrazione selvaggia tra i mercati dei Paesi Cee
che pu penalizzare i settori e le aree meno competitive.
riforma agricola
accrescimento della competitivit
crescita efficace dei fondi strutturali e del fondo di coesione,
potenziare la strategia di preadesione degli stati candidati (ispa)
la programmazione 2007-2013
fallimento
CONCETTO DI REGIONE E TEORIE DELLO SVILUPPO
La programmazione regionale si ispira ai principi di
-
Determinazione programmatica
Vedi appunti n. 3
Regione umanizzata
Regione sistemica
Regione sostenibile
y/y = s/K
k/Y
Questo sforzo iniziale, che deve sostenere lo Stato, deve essere tale da
permettere di superare la soglia minima di investimento al di sotto della quale
il processo di sviluppo non in grado di innescarsi
Tra le ragioni che sostengono la necessit di un intervento pubblico, due meritano una
particolare attenzione
1) il forte impegno dello Stato nella formazione rappresenta un presupposto
indispensabile per ogni processo di sviluppo,
2) Il considerevole sforzo di industrializzazione iniziale pu avviare diverse forme di
complementarit tra imprese in grado di agevolare la crescita di ogni impresa e
della domanda globale
I sostenitori di questapproccio hanno anche individuato quantitativamente lo sforzo
iniziale che uno Stato deve sostenere per innescare un virtuoso processo di sviluppo:
sono necessari un tasso di investimento di almeno il 10% e una percentuale di
risparmio interno sul reddito di almeno il 12-15%.
Connessa alla teoria del big push la teoria dei poli di sviluppo, che pone a
proprio fondamento la necessit di una concentrazione degli investimenti industriali,
tale teoria sostiene la
opportunit di una concentrazione degli investimenti industriali non solo temporale,
ma
anche spaziale, cos da innescare effetti propulsivi di vario tipo. Concentrare gli sforzi
in aree ritenute pi idonee allavvio dello sviluppo, per la loro posizione geografica o
strategica o per la immediata disponibilit di determinate risorse, trova giustificazione
nel fatto che, se si vuole ottenere una rapida industrializzazione, si pu realizzare un
impiego pi efficiente di risorse economiche, comunque limitate,
grazie ai possibili effetti indotti dellindustrializzazione (Leffetto di spinta e di
sostegno reciproco tra industrie situate nella stessa area)
Per garantire un processo duraturo di sviluppo necessario, tuttavia, non limitare
limpiego delle risorse disponibili ai soli investimenti industriali ma anche in altri settori
(agricoltura, aeroporti turismo etc)
Il Modello di Rostow
Il modello di Rostow ripropone i contenuti della teoria dello sviluppo equilibrato inteso
come processo lineare di transizione, attraverso cinque stadi, da una condizionedi
arretratezza a una condizione di opulenza generalizzata.
Arretratezza: la fase che caratterizza la societ tradizionale dedita allagricoltura di
sussistenza
Pre take-off: la fase in cui sono poste le precondizioni per il decollo.
Lagricoltura adotta la tecnologia necessaria per sfamare la crescente popolazione; le
importazioni vengono finanziate con le esportazioni di risorse naturali, anche
primariamente trasformate. Si assiste alla formazione del capitale fisso sociale.
Emerge una nuova lite imprenditoriale e non pi aristocratica.(Classe dirigente
carente)
Take-off: la fase del vero e proprio decollo. Oltre che dal progresso tecnologico,
lorganizzazione socioeconomica scossa dagli elevati investimenti, dallo sviluppo del
comparto industriale, dalla forte infrastrutturazione e urbanizzazione, dalla
riorganizzazione delle attivit agricole e dalla loro forte
Maturit: la fase caratterizzata dallassestamento del sistema. Si osserva
unadiversificazione dellindustria in settori diversi da quelli che hanno consentito il
decollo, una riduzione degli occupati in agricoltura, unapplicazione delle conoscenze
tecnologiche a tutti i campi delleconomia crescita in termini di produttivit,
dallespansione della classe imprenditoriale e dallo sviluppo di un apparato politico,
sociale e istituzionale efficiente. Si tratta diuna fase propriamente rivoluzionaria e la
condizione perch si inneschi, secondo Rostow, che gli investimenti siano superiori al
10% del PIL nazionale
nell'Italia Meridionale (Cassa per il Mezzogiorno). regioni situate a sud del Lazio
e delle Marche (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e
Sardegna). I confini settentrionali attraversano il Lazio e le Marche, ma nellarea
vengono fatte rientrare anche le isole della Toscana.
La dotazione iniziale di capitale della Cassa ammonta a 1000 miliardi di lire,
dautilizzare nellarco di dieci anni.
Fin dallinizio dellelaborazione del progetto, tuttavia, le funzioni demandate alla Cassa
non comprendono strategie di sviluppo e neppure una politica di industrializzazione,
ma prevedono la sola costruzione di opere pubbliche.
il compito di formulare la strategia globale appartiene a un Comitato di Ministri per il
Mezzogiorno (promosso - e poi soppresso a Ministero per il Mezzogiorno negli anni
80), mentre alla Cassa sono demandate le funzioni di proposta e di attuazione dei
programmi.
La via Italiana
Questi tipi di intervento dello Stato nelleconomia portano a pensare a una sorta di
via italiana nella fusione fra mercato e Stato. Leconomia italiana aveva, infatti,
assunto, gi nel periodo della ricostruzione, caratteristiche assai lontane da quelle del
liberismo puro, ma altrettanto lontane dagli approcci keynesiani puri.
Una delle possibili spiegazioni sta nella visione (cattolica) del partito dominante DC
che pone al centro della societ la famiglia e la Chiesa, non lo Stato, che perci
largamente utilizzato per favorire gruppi di interesse, senza un vero interesse
collettivo.
In questo periodo sono stati fatti alcuni tentativi di programmazione ma si trattato il
pi delle volte di sole simulazioni, senza una reale strumentazione operativa, e quindi
con scarsissima incidenza sulla realt economica.
Apertura verso lestero
Se allinterno il recupero del liberismo fu assai parziale e stentato, nei confronti dei
rapporti con lestero la scelta liberista intrapresa nel periodo della ricostruzione e poi
consolidata negli anni 50 e 60, risulta nettamente vincente negli anni 80 poi lItalia
risulta essere uno dei paesi piu aperti del mondo occidentale,
linserimento dellItalia nella sfera occidentale, e quindi nellarea dinfluenza
americana.
LE FASI DELLO SVILUPPO ECONOMICO ITALIANO: I MODELLI DUALISTICI
Terminato il periodo della ricostruzione, si apre in Italia un periodo di crescita
economica eccezionalmente rapida, interrotto nel 1963-1964 da una recessione che
non ha solo un carattere ciclico, ma che segna anche lo spartiacque fra due differenti
fasi storiche. Negli anni successivi, ma in particolare nel periodo 1969-1973, si ha una
fase di fortissima conflittualit nelle fabbriche e nel Paese, e una crescita economica
pi difficile e tormentata, sebbene ancora abbastanza consistente. Il rapido sviluppo
degli anni 50 e dell'inizio degli anni 60 mette ancor pi in risalto il permanere di un
grave dualismo, sia territoriale sia salariale, nelleconomia italiana e nella struttura
produttiva. Non deve, quindi, sorprendere che vi sia stata in Italia soprattutto negli
anni 50 e 60 una fioritura di modelli dualistici.
Il dualismo economico pu essere inteso come lesistenza, nellambito dello stesso
sistema economico, di realt che seguono percorsi differenziati di sviluppo.
Il dualismo economico pu assumere una triplice configurazione: territoriale,
industriale settoriale o nella struttura produttiva e nel mercato del lavoro, In
Italia sembra che coesistano tutti e tre.
Poich l'essenza dello sviluppo una rapida accumulazione, l'espansione del sistema
condizionato dall'aumento dell'offerta di capitale, cio del risparmio, attraverso il
meccanismo di distribuzione del reddito, considerato che i capitalisti hanno una
maggiore propensione al risparmio rispetto ai salariati che, invece, tendono a
consumare interamente il proprio reddito. Ne deriva che il solo settore in grado di
avviare e sostenere il meccanismo di sviluppo dell'economia il settore capitalistico; il
settore di sussistenza svolger un ruolo di sostegno. Nella fase di sviluppo si avranno
livelli salariali diversi nei due settori considerati; lespansione di uno dei settori a spese
dell'altro; una distribuzione del reddito che privilegia i percettori di profitto. Affinch il
processo di sviluppo continui necessaria, innanzitutto, la presenza di un eccesso di
offerta di lavoro nel settore di sussistenza;
gradualmente il settore capitalistico assorbe manodopera dal settore di sussistenza
finch non si esaurisce la disponibilit di lavoratori e il tasso di salario nel settore di
sussistenza non comincia a salire. A questo punto il sistema economico presenta
scarsit del lavoro, con salari crescenti e profitti in riduzione, a cui
si associano riduzione degli investimenti e adozione di tecniche di produzione sempre
pi intensive di capitale: questa la fase della maturit economica.
Il modello di Lewis viene applicato al contesto italiano da Kindleberger.
La caratteristica essenziale del modello di Kindleberger una offerta di lavoro
infinitamente
elastica.Infatti secondo Kindleberger il sistema economico suddiviso in due settori:
un settore
tradizionale e uno moderno.Il settore tradizionale coincide con le attivit agricole e
terziarie tradizionali, non capitalistiche. Invece il settore moderno corrisponde
all'industria e al terziario avanzato, oltre che all'eventuale sezione capitalistica
dell'agricoltura.
Quindi finch esiste un eccesso di offerta di lavoro nel settore tradizionale, e la stessa
mantiene
elasticit, la crescente domanda di lavoro espressa dal settore moderno non fa
aumentare i
salari. I profitti delle imprese aumenteranno e, se investiti, determineranno un nuovo
incremento della
domanda di lavoro, riattivando il circuito. Essendo il saggio del salario costante, il
monte salari
aumenter in proporzione dell'aumento dei lavoratori occupati. Nel settore moderno
i continui miglioramenti delle tecniche faranno aumentare la produzione in misura
maggiore rispetto all'incremento della occupazione, per cui la quota dei profitti
aumenta rispetto alla quota dei salari. Il tasso di sviluppo economico sar
crescente e il sistema economico pu svilupparsi virtuosamente. Il processo di
crescita potrebbe iniziare per effetto di un aumento della domanda nel settore
industriale come ipotizzato nel modello di Lewis o anche per effetto di particolari
variazioni delle curve di offerta che attirano risorse produttive in una industria o le
distolgono a favore di un'altra attivit, a seconda delle elasticit della domanda e della
offerta del prodotto. Questo circolo virtuoso cessa nel momento in cui si esaurisce
l'offerta di manodopera. Ci quanto Kindleberger ritiene sia accaduto in Italia nel
1963: si semplicemente esaurita l'eccedenza di manodopera proveniente dalle
regioni meridionali. tende ad essere "instabile". Se cade l'elasticit della offerta di
lavoro, il saggio di sviluppo diminuisce e l'intero processo di
sviluppo
Dopo il 1963 questo modello diventa inapplicabile al caso italiano perch il sistema
economico
ha raggiunto la "maturit" e non potr pi svilupparsi secondo saggi di sviluppo
eccezionali.
Graziani
Il dualismo economico e territoriale e il processo di divergenza tra regioni avanzate e
regioni arretrate viene accentuato dall'apertura internazionale. Secondo Graziani una
rapida crescita delle esportazioni provoca un aumento della domanda globale, sia
perch le esportazioni sono una componente della domanda globale, sia perch si pu
assumere che l'aumento delle esportazioni provochi un aumento degli investimenti,
che a loro volta, tramite il moltiplicatore, generano un aumento pi che proporzionale
della domanda.
Se si assume che l'offerta si adegui prontamente e senza tensioni inflazionistiche alle
variazioni della domanda, si avr un aumento del prodotto in termini reali. Tale
aumento del prodotto provocher un rapido aumento della produttivit. Il rapido
aumento della produttivit potr provocare una rapida crescita delle esportazioni,
generando nuovi incrementi del prodotto e cos via.
Il modello elaborato da Graziani evidenzia come l'adozione del modello di sviluppo
trainato dalle esportazioni da un lato rappresenti un elemento di espansione delle
imprese la cui produzione rivolta al mercato estero ; dall'altro, penalizzi le
imprese che hanno una produzione rivolta al mercato interno.
Infatti le imprese orientate all'esportazione si indirizzeranno verso l'adozione di
tecniche produttive ad elevata intensit di capitale, conseguiranno economie di scala
e maggiore competitivit anche sul mercato interno. Ma se le imprese che hanno
registrato incrementi di produttivit e di efficienza sono quelle che producono beni
destinati all'esportazione, le imprese la cui produzione invece destinata al mercato
interno, sono interessate da un minor incremento della produttivit e della produzione.
Si accentua e perpetua cos il dualismo industriale. Graziani tende forse a
sottolineare eccessivamente una componente della domanda globale (le esportazioni)
a spese delle altre componenti (interne) e di altri fattori operanti dal lato dell'offerta,
del mercato del lavoro e della distribuzione dei redditi.
Conclusioni
Il concetto di dualismo sottintende lesistenza, nellambito dello stesso sistema
economico, di realt che
seguono percorsi differenziati di sviluppo, sia in termini di tassi di crescita del reddito
reale procapite, sia
in termini di trasformazioni socio-economiche, tali da lasciare inalterate nel tempo le
differenze tra le
relative specificit. Non attivandosi un processo di integrazione della realt meno
sviluppata con quella
pi avanzata, il sistema economico nel suo complesso si caratterizzer per un
processo di sviluppo
distorto e inefficiente.
La peculiarit del caso italiano si rinviene nella circostanza che le tre tipologie di
dualismo individuate
tendono a coesistere, realizzando cos una pi o meno netta separazione tra il Nord e il
Sud del Paese.
Quando il dualismo economico assume una tale conformazione, lo squilibrio tra le
aree determina ed
accentua andamenti differenziati e divergenti di sviluppo, favorendo processi virtuosi
nella regione pi
moderna ed avanzata e processi viziosi nella regione in ritardo, non spontaneamente
risolvibili e
superabili, ma che richiedono politiche economiche sostanziose e durature che
insistano sulla
internazionale:
saggi di produttivit non inferiore a quelli dei paesi concorrenti;
Aumento della pressione competitiva;
Obiettivo primario del piano era il raggiungimento di un tasso di crescita del 5%
annuo: sarebbe dovuto
essere il risultato dellaumento delloccupazione.
Tra il 1964 e il 1969 il prodotto interno lordo ha continuato a crescere a ritmi superiori
a quelli
programmati. Gli investimenti produttivi, dato il forte rialzo del costo del lavoro,
venivano diretti a ridurre
l'impiego di manodopera.
L'occupazione continuava a crescere ma a ritmi contenuti.
Il nuovo contesto era per caratterizzato da una rilevante conflittualit sociale, dalla
forte espansione della spesa pubblica corrente e dalla perdita di efficacia
dell'intervento pubblico.
Per quanto riguarda gli altri obiettivi del Piano, essi sono riassumibili nei seguenti
punti:
un aumento delloccupazione extra-agricola di 1.500.000 unit, tale, cio, da portare
il livello della disoccupazione totale intorno al 2,8% e da assorbire la fuoriuscita di
forza-lavoro dal settore agricolo;
una netta riduzione degli squilibri territoriali, che si pensa di poter eliminare
completamente entro la met degli anni 80; per ottenere questo risultato, nel
Mezzogiorno si dovrebbe concentrare la creazione del 40-45% della nuova
occupazione totale;
un incremento del ritmo di sviluppo del settore agricolo e una riduzione dei
differenziali di reddito fra il settore agricolo e gli altri settori economici;
un aumento degli impieghi sociali del reddito al livello del 27% delle risorse interne
disponibili, in modo da incrementare sensibilmente la dotazione di servizi collettivi.
Si pu dire che il Piano Pieraccini abbia sostanzialmente fallito il raggiungimento di
tutti gli obiettivi socialmente pi qualificanti, come il livello di occupazione o il
recupero del ritardo del Mezzogiorno, nonostante il tasso di crescita del PIL sia stato
nettamente superiore alle previsioni
Fallimento piano:
sbagliata la previsione del tasso di crescita della produttivit del lavoro;
sbagliate sia la previsione della riduzione delloccupazione nel settore agricolo, sia
quella
relativa alla capacit dei settori extra-agricoli di creare nuovi posti di lavoro;
Mancanza di strumenti di intervento innovativi rispetto ad una Cassa per il
Mezzogiorno che aveva gi mostrato tutti i suoi limiti;
Soltanto cinque riforma applicate delle quattordici previste
Cause del fallimento:
scarsa impostazione analitica del piano;
mancata predisposizione di adeguati strumenti operativi e scarsa attenzione data
alla fase di attuazione del piano;
Mancata attuazione sia della fase intermedia, sia della fase microeconomica della
programmazione;
Assente la verifica delladeguatezza degli strumenti operativi disponibili ed di un
controllo
efficiente sulla reale utilizzazione degli strumenti a disposizione della autorit
pubblica.
I PIANI DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DEGLI ANNI 70 E 80
Progetto 80
il Piano annuale per il 1973 stato esaminato ed approvato dal Cipe soltanto nel
marzo
del 1973;
il pericoloso incremento delle esportazioni nette di capitali dallItalia, determinato
soprattutto dalle misure restrittive e dallaumento dei tassi di interesse dei principali
paesi
esteri, rendeva poco stabile la nostra bilancia dei pagamenti: le autorit risposero a
questa situazione con listituzione del doppio mercato dei cambi, ma, quando il dollaro
fu
svalutato, venne autorizzata la libera fluttuazione della lira per cercare di allentare il
vincolo della bilancia dei pagamenti sulla politica economica interna
La programmazione settoriale
In sostituzione dei piani globali pluriennali, viene messo in atto un altro tipo di
programmazione, quella dei cosiddetti Piani settoriali.
I piani settoriali, predisposti ciascuno per ogni specifico settore di intervento ritenuto
dagli organi di programmazione e dalle autorit di governo come pi idoneo a favorire
lo sviluppo del sistema Paese (come il settore chimico, quello elettromeccanico, quello
zootecnico etc.), sono elaborati nel corso degli anni 70 allo scopo di indirizzare e
coordinare gli interventi di politica industriale.
Tuttavia, nonostante le intenzioni chiaramente manifestate, lelaborazione di questi
piani non d risultati particolarmente positivi, poich la loro elaborazione affidata a
organi non competenti nelle problematiche affrontate e poich spesso sono stati
adattati ai piani di sviluppo forniti dalle stesse grandi imprese operanti nei settori
oggetto di intervento inoltre vi fu incapacit dimostrata da numerosi manager pubblici
e privati di effettuare corrette scelte di fondo per la strategia di investimento della
industria italiana.
Una chiara dimostrazione di questa somma di incapacit dalle scelte effettuate nei
campi della industria chimica e di quella siderurgica. Mentre, infatti, tutti gli indicatori
disponibili, gi a partire dai primi anni 70,, mostrano con evidenza il formarsi di una
grave sovrapproduzione mondiale nei campi della siderurgia e della chimica di base,
tale da provocare gi allora la crisi di tali produzioni, in Italia sono approvati e
finanziati piani per incrementare proprio tali tipi di produzione.
La programmazione settoriale raggiunge il massimo sviluppo con la approvazione
della legge 675/1977, relativa alla ristrutturazione e riconversione produttiva. Tale
legge prevede tra le proprie finalit:
la preparazione di diversi piani settoriali;
la predisposizione di un documento di sintesi annuale sullo stato dellindustria;
listituzione del CIPI, comitato dei ministri per il coordinamento industriale;
listituzione di un Fondo per la ristrutturazione e la riconversione industriale
la istituzione di una serie di incentivi fiscali per agevolare ristrutturazioni e
riconversioni industriali;
il riordino complessivo delle agevolazioni finanziarie
Piano Pandolfi
Il fallimento dei piani settoriali e annuali e l'incapacit del governo nel ridurre la forte
instabilit economica e l'inflazione rampante, oltre che nell'affrontare seriamente i
tradizionali problemi strutturali dell'economia, inducono a ritornare al metodo dei piani
pluriennali. Data l'elevata instabilit economica, si preferisce tuttavia restringere
l'orizzonte temporale al medio periodo, predisponendo dei piani triennali da rivedere
poi, eventualmente, anno per anno. Nell'agosto del 1978, il ministro Pandolfi presenta
appunto una bozza di piano a medio termine che, completata e arricchita, sfocia infine
nel gennaio del 1979, nel
Piano triennale 1979-1981 (o Piano Pandolfi). Tale piano, pur ricordando alcuni degli
obiettivi tradizionali della programmazione italiana (squilibri territoriali, occupazione
ecc.), si preoccupa soprattutto del problema che allora domina il dibattito economico,
ovvero l'inflazione: in sostanza un piano di rientro dall'inflazione.
Il Piano Pandolfi si pone due obiettivi finali: l'aumento dell'occupazione e lo sviluppo
del Mezzogiorno. La previsione di crescita assai ottimistica: si ipotizza "uno
spostamento di risorse dal consumo agli investimenti", una riduzione del tasso
d'inflazione e una riduzione dei divari territoriali nella produzione, nel reddito e
nell'occupazione.
Per raggiungere questi obiettivi, il piano triennale prevede il rispetto di tre condizioni:
far fronte alla crisi della finanza pubblica riducendo sia il fabbisogno del disavanzo
pubblico allargato in percentuale del PIL, sia il disavanzo corrente dello Stato;
una specie di blocco dei salari, auspicando incrementi dei salari monetari non
superiori all'aumento dei prezzi;
una politica del lavoro "che consenta modalit pi flessibili di utilizzo della forza
lavoro" al fine di incrementare la produttivit.
La crisi energetica, e la successiva recessione, hanno l'effetto di far fallire del tutto il
Piano Pandolfi, soprattutto nel suo obiettivo centrale di riduzione dell'inflazione.
Piano La Malfa
Dopo lo scoppio della seconda crisi energetica, il nuovo ministro del Bilancio
GiorgiovLa Malfa predispone un piano a medio termine 1981-83, seguito dal Piano
1982- 1984,vaggiornamento reso necessario dai mutamenti dellevoluzione
economica.
L'epicentro dell'attenzione si spostava dall'inflazione al vincolo estero e, per la prima
volta in un documento ufficiale, si formula nettamente l'obiettivo di ridurre la
pressione esercitata dal vincolo esterno sulle possibilit di sviluppo dell'economia.
Le linee d'intervento previste sono differenziate:
misure volte a "ridurre la dipendenza dall'estero per le fonti d'energia, per i prodotti
alimentari, e per i prodotti legnosi, e incrementare le esportazioni dimanufatti ed il
turismo";
altre misure tese a "ridurre lo sperpero di risorse nei punti di crisi (concentrati nella
siderurgia, nella chimica, nella cantieristica navale), e migliorare l'uso delle risorse
attraverso processi di ristrutturazione, e di riconversione accompagnati dal sostegno
pubblico".
In ogni caso, il piano sconta anche l'assenza quasi completa di riferimenti quantitativi
macroeconomici precisi e dettagliati su cui poggiare l'azione programmatica e
l'inadeguato impianto analitico. Rimangono, tuttavia, la corretta intuizione della
necessit di una politica d'investimenti volta a ridurre il deficit strutturale di alcune
poste della bilancia dei pagamenti e una maggiore attenzione verso la politica degli
investimenti della pubblica amministrazione.
De Michelis
Dopo il fallimento del Piano La Malfa non viene predisposto alcun programma globale
per l'economia italiana, ma solo piani settoriali. Tuttavia, nel 1984-85 il ministro del
Lavoro De Michelis elabora un piano
decennale per l'occupazione, sotto forma del rapporto in due volumi La politica
occupazionale per il prossimo decennio.
Secondo le analisi condotte dal Piano, quindi, landamento spontaneo delleconomia
condurrebbe, nel giro di un decennio, al superamento del fenomeno della elevata
disoccupazione al Centro-Nord, mentre la disoccupazione del Mezzogiorno
continuerebbe a presentarsi come un fenomeno strutturale e permanente di estrema
gravit.
Per questo si pensa a una serie coordinata di interventi, che aumentino il pi possibile
la flessibilit del sistema produttivo, con riguardo in particolar modo a:
costo del lavoro aggregato;
differenziali salariali;
orari;
organizzazione del lavoro
De Michelis prevede una serie di altri interventi tesi ad aumentare direttamente
l'occupazione, come ad esempio la creazione di nuove forme di lavoro e impegni a
favore della piccola e media impresa,
per cercare di favorire il Mezzogiorno. Nonostante lampia visione manifestata nella
elaborazione del Piano, tuttavia esso offre delle politiche di intervento che non
risultano ben collegate tra loro. Anche la strumentazione prevista risulta del tutto
inadeguata di fronte alla gravit del problema della disoccupazione nel Mezzogiorno.
In modo particolare, proprio la mancata individuazione di interventi specifici e la
carenza di proposte realmente operative per aggredire il problema della
disoccupazione meridionale sembrano rappresentare il punto debole del Piano De
Michelis.
Lo stesso Piano, infatti, concentrando la propria attenzione in maniera prevalente sui
problemi della flessibilit, finisce per porre al centro della propria indagine, e al di l
dei semplici enunciati di principio, proprio i problemi della grande impresa del CentroNord.
LA Programmazione oggi.
Le politiche di derivazione comunitaria hanno ispirato una nuova concezione
programmatoria, che si sovrapposta allesaurimento di una lunga stagione di
politiche di sostegno alle regioni in ritardo e alla crisi del vecchio sistema di
regolazione politica. La strada seguita per superare la vecchia impostazione
dellintervento statale a sostegno delle economie regionali depresse, o in crisi
funzionale, stata duplice:
- da un lato, linnovazione nei criteri e nelle procedure generali in cui inquadrare le
politiche di sviluppo;
- dallaltro, linnesco di processi locali di sviluppo economico sulla base della
valorizzazione delle capacit localizzate o, per usare una nozione oggi pi in voga,
dei beni collettivi locali. In pratica si assistito a un notevole attivismo
programmatorio nel campo della concertazione territoriale;
Nello scenario programmatorio , dunque, in atto il tentativo di costruire in modo
congiunto la cornice delle strategie di programmazione economico-finanziaria delle
politiche regionali e gli scenari di sviluppo dei sistemi territoriali delle regioni.
Allinterno del quadro descritto, trova ideale collocazione la programmazione
negoziata, cos come stata sperimentata e condotta dal partenariato istituzionale
negli
ultimi anni. Con il termine programmazione negoziata si fa riferimento a un metodo
per regolare problemi di interesse pubblico con il concorso di soggetti, pubblici e
privati, che possono far convergere le risorse a loro disposizione su obietti comuni.
Da sempre le politiche pubbliche sono oggetto di negoziazione per trovare, tra gli
interessi in gioco, un punto di mediazione e di convergenza sulle decisioni finali.
Lattivit di qualsiasi amministrazione pubblica inserita in una trama fitta di relazioni,
intessute con altre istituzioni pubbliche e con soggetti privati.
A partire dalla fine degli anni 80, questo sistema di relazioni ha assunto un carattere
di sempre maggiore trasparenza e organizzazione, ed nato un nuovo modo di gestire
le politiche per mezzo di contratti. Prendeva forma ci che da l a poco sarebbe
diventata la "Programmazione Negoziata.
diretta alla forma indiretta, vale a dire di indirizzo e di incentivo per la promozione di
forme di governance del territorio che vedano la compartecipazione degli attori privati
e delle istituzioni locali, pi che dellamministrazione pubblica centrale.
Il territorio nella programmazione
Limportanza del territorio nella programmazione:
Si da tempo affermata una centralit del territorio nella progettazione di azioni,
programmi e politiche di sviluppo.
In tempi di globalizzazione la ipermobilit dei fattori e delle risorse che
circolano nelle reti globali si combina con la fissit di certe risorse locali, rendendo
strategica la mobilitazione delle capacit localizzate nei sistemi territoriali.
Il territorio il luogo di produzione e di circolazione di conoscenze localizzate e il
catalizzatore di esternalit prodotte localmente attivando nel contempo processi di
natura sovra locale.
La territorialit non dunque un oggetto ma un luogo dazione.
Lo sviluppo sempre territoriale, nel senso che le pratiche che lo connotano
hanno sempre una relazione con una specifica territori
Limportanza del territorio nella programmazione:
Lo sviluppo e gli altri processi economici non possono essere interpretati come la
mera conseguenza dellazione di un numero limitato di attori privilegiati, ma
emergono piuttosto come il risultato di reti di relazioni che legano soggetti colocalizzati.
Loggetto delle politiche territoriali non solo la gestione del territorio materiale
(dalle infrastrutture agli insediamenti, residenziali e produttivi) ma anche, e
soprattutto, la gestione del territorio immateriale, ovvero delle dimensioni
relazionali, socio-culturali e istituzionali su cui si fondano i processi competitivi e
innovativi contemporanei.
Il territorio non pi un semplice supporto su cui applicare esogenamente pacchetti
di interventi, ma occorre aggiungere un diverso punto di vista nella costruzione dei
progetti di sviluppo, in cui protagonisti siano la qualit del partenariato, le risorse
impiegate, il ruolo dei soggetti coinvolti
Conseguenze della programmazione territoriale:
Lazione politica dovr quindi tradursi in un numero selezionato di sistemi
strategici da assumere nella loro interezza. Si tratta peraltro di evitare lassunzione
secondo cui ogni luogo possa essere oggetto di politiche di sviluppo territoriale.
Sarebbe questa una concezione massimalista dello sviluppo che ha peraltro ispirato
troppo spesso lesperienza dei Patti territoriali. In realt, identificare troppi sistemi
territoriali equivale a non identificarne realmente nessuno.
E peraltro necessario aggiungere che un processo di sviluppo territorializzato non
necessariamente contenuto entro confini locali rigidi. E invece da attendersi
verosimilmente lesistenza di Sistemi produttivi territoriali (regionali, o addirittura
trans-regionali), che condividono fondamentali processi di apprendimento
Sistema: il riferimento sono elementi (imprese, Pubblica Amministrazione, Universit
e centri di ricerca, associazioni di categoria, agenzie di sviluppo locale, consorzi,
sindacati ecc.) legati tra loro da due tipi di relazioni, contingenti e organizzazionali.
Le relazioni contingenti presuppongono la condivisione di alcuni elementi strutturali
(una specializzazione, una divisione funzionale e spaziale del lavoro, una distribuzione
delle localizzazioni). Le relazioni organizzazionali presuppongono una condivisione di
un livello pi profondo di relazioni, rappresentato dalla presenza di un processo
cognitivo condiviso.
Produttivo: il riferimento la produzione di valore, ci che contribuisce a
distinguere il sistema produttivo territoriale da una nozione generica di sistema. Il
riferimento a un processo quantitativo, ma soprattutto qualitativo, alla dimensione
innovativa della produzione volta a garantire un vantaggio competitivo che si
Lo Sviluppo regionale:
Blakely definisce lo sviluppo economico regionale come: Un processo nel quale i
governi locali o le diverse istituzioni (organizzazioni) di una comunit locale sono
impegnati al fine di stimolare o mantenere un certo livello di attivit economica e di
occupazione. Il principale obiettivo dello sviluppo economico a
livello locale di promuovere le opportunit di occupazione in quei settori che possano
portare beneficio allintera comunit, utilizzando le risorse umane, naturali e
istituzionali esistenti a livello territoriale.
Dalla definizione fornita da Blakely si evincono elementi chiavi che definiscono il
concetto di sviluppo:
declinare lo sviluppo.: una concezione di sviluppo che non si riferisce alla sola
crescita economica complessiva,ma anche alla crescita qualitativa, e alla distribuzione
della ricchezza e del benessere tra i diversi membri della comunit;
identificare le determinanti dello sviluppo: lidentificazione di fattori della
crescita che superano i tre elementi tradizionali che entrano nella funzione di
produzione aggregata della teoria dello sviluppo neoclassica;
rivalutare la dimensione sociale e politica dello sviluppo: la sottolineatura
dellimportanza degli elementi istituzionali formali e informali (norme sociali, fiducia)
quali elementi portanti dei processi di sviluppo.
Economia Regionale
Leconomia regionale quella branca delleconomia che inserisce nello studio del
funzionamento del mercato la dimensione spazio, esplicitandola in schemi logici, leggi,
modelli che regolano e interpretano la formazione dei prezzi, della domanda, della
capacit produttiva, i livelli di produzione, di sviluppo, i tassi di crescita, la
distribuzione del reddito in condizioni di ineguale dotazione di risorse.
Teoria della localizzazione: affronta il problema dellorganizzazione delle attivit
economiche sul territorio.
Teoria della crescita: focalizza lattenzione sugli aspetti spaziali della crescita
economica e della distribuzione territoriale del reddito,
Le teorie della localizzazione affrontano il problema dellorganizzazione delle attivit
economiche sul territorio. Due grandi forze economiche agiscono in direzione opposta:
le economie di agglomerazione, che spingono a un concentrazione delle attivit
nello spazio, e i costi di trasporto, che al contrario supportano processi diffusivi delle
attivit sul territorio. Allinterno delle teorie di localizzazione, possibile individuare tre
diversi approcci:
a) teoria delle imprese e delle scelte allocative;
b) teoria della localizzazione delle attivit rispetto a un centro strategico;
c) teoria delle localit centrali.
Teoria delle imprese e delle scelte allocative
Uno dei primi modelli di localizzazione quello di Alfred Weber (1909). Egli considera
il problema dellottima localizzazione di unimpresa che deve servire un mercato
puntiforme (la domanda tutta concentrata in un punto) e deve sopportare costi per il
trasporto delle materie prime e del prodotto finito. Tale modello cerca di rispondere
alla seguente domanda: dati il prezzo e la localizzazione delle materie prime e dei
mercati di sbocco, e i costi di trasporto, dove si localizza unimpresa?
Le ipotesi di base del modello di Weber sono le seguenti:
le imprese massimizzano il profitto, ovvero minimizzano i costi;
il regime di mercato quello della concorrenza perfetta;
la funzione di produzione a coefficienti fissi;
gli input sono localizzati in punti definiti e sono disponibili in quantit illimitata, la
curva di offerta orizzontale e il prezzo costante;
teoria delle localit centrali. Tali modelli cercano di spiegare le scelte localizzative
di
pi imprese e individui tra centri urbani alternativi. I modelli alla Von Thnen
conducono allo sconcertante risultato che le citt allequilibrio tendono ad acquisire la
stessa dimensione, perch in tal modo garantita una condizione di indifferenza
localizzativa, grazie allo stesso livello di utilit e profitto raggiunto in tutte le citt.
La teoria delle localit centrali prende origine dai lavori del geografo Walter
Christaller (1933) e delleconomista August Lsch (1954).
Il modello di Christaller cerca di risolvere il seguente fondamentale quesito: le
citt o, pi in generale gli insediamenti urbani, si distribuiscono sul territorio secondo
criteri di casualit e di semplice adattamento alle specificit locali (storiche o
ambientali), oppure la loro ubicazione segue una logica o un principio razionale,
ovvero
una regola?
Lautore ipotizza una distribuzione assolutamente regolare in termini assoluti
(numero totale di citt su una determinata superficie territoriale), di relazione
quantitativa (rapporto tra citt pi importanti e citt meno improntanti) e di relazione
qualitativa (rapporto tra funzioni svolte dalle citt sul territorio). In particolare, la citt
di Christaller il luogo di produzione (o comunque il luogo di offerta) dei servizi. Chi li
vuole acquistare deve recarsi nella citt, percorrendo distanze pi o meno ampie. Ne
consegue che ogni punto di offerta di un servizio avr la propria area di mercato,
determinabile tramite i concetti di soglia e portata di un servizio. La portata larea
di
mercato massima, quella cio oltre la quale la domanda nulla a causa della crescita
dei costi di trasporto. La soglia, invece, data dallarea di mercato necessaria per
garantire allimpresa la copertura dei costi di produzione.
Un consumatore razionale domander, allaumentare del prezzo, una quantit
sempre minore del prodotto. Il prezzo del bene (per il consumatore) determinato dal
costo di localizzazione, pi il costo di produzione, pi il costo di trasporto. Supponendo
di non poter agire sui primi due costi, quello che determina la domanda sar proprio il
costo di trasporto.
Figura 13.1 Il modello di Christaller
sulla citt). Una citt implica generalmente elevata densit demografica e, quindi,
grande quantit di consumatori: , perci, probabile che stabilirsi allinterno di essa
permetta di raggiungere la propria soglia senza troppe difficolt gi allinterno della
citt. Ne consegue che tutti gli imprenditori cercheranno di localizzarsi allinterno della
citt, assicurandosi la propria soglia e puntando comunque alla massima area di
mercato rappresentata dalla portata.
Le teorie della crescita regionale
Accanto alle teorie della localizzazione, le teorie della crescita regionale rappresentano
il secondo importante ambito di analisi delleconomia regionale. Esse si occupano
dellanalisi dei processi di sviluppo economico di aree sub-nazionali, considerando la
capacit delle economie regionali di assicurare lo sviluppo (crescita del reddito),
lefficienza nelluso delle risorse locali, la capacit di attrarre risorse da altri ambiti
territoriali, leventuale ritardo di sviluppo rispetto a un area di riferimento pi vasta,
come ad esempio quella nazionale. Da unaltra prospettiva, le teorie della crescita
regionale analizzano la capacit di una regione di trovare e mantenere uno specifico
ruolo allinterno della divisione internazionale del lavoro.
Le teorie della crescita regionale di tipo tradizionale fanno riferimento alle
teorie dello sviluppo di matrice neoclassica e alla teorie del commercio internazionale
(o degli scambi interregionali). Ricordiamo qui tre approcci:
la teoria degli stadi di sviluppo;
la teoria della crescita basata sullanalisi della domanda (modello input-output e
moltiplicatore);
la teoria della crescita basata sullanalisi dellofferta (dotazioni fattoriali). Secondo la
teoria degli stadi di sviluppo, lo sviluppo regionale si realizza attraverso il
susseguirsi naturali di fasi, temporalmente una successiva allaltra, caratterizzate da
un rapporto capitale/lavoro progressivamente crescente. Tali fasi sono:
fase di autarchia, economia di sussistenza;
fase di specializzazione, sviluppo dei trasporti e primi scambi che portano alla
specializzazione delle produzioni agricole;
fase di trasformazione, con il passaggio da una economia agricola ad una di prima
industrializzazione;
fase di diversificazione, la crescita del reddito porta ad una diversificazione (pi
settori produttivi) dellattivit manifatturiera;
fase di terziarizzazione, con lo sviluppo del settore terziario che serve consumi
opulenti e unindustria avanzata.
La teoria degli stadi di sviluppo afferma che il sottosviluppo non pu che essere
interpretato come la permanenza forzata allinterno di una fase.
La teoria degli stadi di sviluppo Differenti cause
insufficiente accumulazione di capitale
allocazione poco accorta degli investimenti
domanda insufficiente
carenza di alcune risorse critiche
La teoria della crescita basata sullanalisi della domanda
Partendo dal prodotto (reddito) pro capite quale indicatore dello sviluppo, le teorie
della crescita basate sullanalisi della domanda, in unottica tipicamente
keynesiana, vedono nella domanda il motore dello sviluppo. La crescita di una regione
fortemente influenzata dalla domanda (esterna) di beni per lesportazione, prodotti
nella stessa regione. Il modello originale quello formulato da Hoyt, noto come
modello della base di esportazione (1939). Lidea di base che, se i sistemi economici
di grandi dimensioni possono fare affidamento sulle forze interne al sistema per il loro
sviluppo, i sistemi economici pi piccoli (aree sub-nazionali) sono invece spesso molto
media comunitaria
Programmazione economica e benessere sociale
Una buona programmazione economica deve prendere in considerazione gli effetti
che ne conseguono dal punto di vista del benessere sociale.
Il dibattito economico relativo al concetto di benessere ha prestato, negli ultimi
anni, sempre maggiore attenzione alla distribuzione del reddito, oltre che alla
dimensione efficientistica della crescita.
Amartya Sen e il concetto di libert
Approccio delle libert associa al benessere la capacit di perseguire fini che
alimentano una sorta di benessere omnicomprensivo.
Sen supera la tradizionale concezione di benessere inteso come soddisfazione
di preferenze individuali , ampliando la base informativa di cui dispongono gli
agenti razionali e focalizzandosi sul perseguimento di alcune realizzazioni
oggettive, i funzionamenti appunto, che Sen descrive come stati di fare e di
essere.
Tuttavia, "utilit" un termine assai controverso che in qualsiasi accezione
rimanda, secondo Sen, alla soddisfazione di interessi egoistici o al pi
altruistici, e che quindi si basa su un percorso di valutazione esclusivamente
soggettivo, che non prende in considerazione nessuna informazione al di
fuori di ci che gli individuai razionali fanno o provano.
Il concetto di utilit appena considerato comporta diverse anomalie:
alcuni individui potrebbero avere desideri molto modesti, tali da poter fare a
meno di risorse che i pi giudicano fondamentali;
altri particolarmente esigenti potrebbero ritenere primario e urgente il
soddisfacimento di desideri voluttuari. In questi casi le politiche pubbliche basate
esclusivamente sull'incremento del benessere sociale inteso in senso utilitarista,
provocherebbero distribuzioni inique delle risorse fra gli individui.
Pi in generale, Sen sostiene che tutte le teorie che si basano sul principio
dell'uguaglianza delle risorse sono fallimentari: solo l'uguaglianza delle capacit
individuali permette di raggiungere migliori risultati redistributivi, coerentemente con i
requisiti di libert per ciascun individuo di perseguire i propri progetti di vita. Sen,
partendo da un approccio di scelta sociale formalizzata "alla Arrow", ha quindi
sviluppato un percorso con forti implicazioni filosofiche basato sulle capacit
individuali
di raggiungere determinati states of being: i funzionamenti
Il reddito non una corretta misura del benessere economico e sociale
per tre motivi principali:
modalit della sua determinazione, che esclude alcune voci e ne include
erroneamente altre;
le unit di conto, che spesso non rendono i valori sottostanti;
inadeguatezza nel catturare il benessere degli individui e della societ nelle sue
varie ramificazioni.
Funzionamenti:
Sen parte dall'idea che la vita umana possa essere letta come un insieme di
funzionamenti
interrelati, consistenti nelle diverse "cose" che un individuo riesce a essere o a fare.
Essi sono distinti dai beni: questi ultimi sono oggetti che gli individui possono
utilizzare,
mentre i primi sono aspetti della vita.
Nella tradizione utilitarista, l'utilit intesa come misura della soddisfazione dettata
dalle
preferenze l'unica grandezza attraverso cui si misura il benessere degli individui,
nell'approccio di Sen essa solo una dei molti aspetti che sono rilevanti per una
valutazione complessiva del benessere stesso. Il benessere degli individui dato
pertanto
da un insieme di funzionamenti, fra i quali anche l'utilit.
La scelta del progetto di vita da portare a compimento coincide con la scelta del
vettore di
funzionamenti, e l'insieme dei possibili vettori per ogni individuo coincide con l'insieme
delle sue capacit.
Uguaglianza di possibilit
Sen privilegia il valore della libert, che nella sua visione coincide con la capacit di
raggiungere i funzionamenti desiderati, cio con ci che un individuo pu
effettivamente fare o essere. Nel valutare il well-being di un individuo occorre
concentrarsi sui suoi funzionamenti e sulle sue capacit
Sen sostiene che non esista un insieme oggettivo di pesi per i funzionamenti,
in quanto il well-being un concetto di per s intrinsecamente ambiguo, le cui
componenti possono al pi essere ordinate in modo parziale.
Sen fa riferimento principalmente alle relazioni di dominanza come mezzo
per definire ordinamenti condivisi.
Meno evidente risulta essere il processo di valutazione degli insiemi di vettori
di funzionamenti, cio le capacit: infatti l'economista indiano suggerisce che si
debba seguire un processo di valutazione elementare, vale a dire suggerisce
che il valore di un insieme sia dato dal valore di uno dei suoi elementi, il pi
importante, il migliore, quello scelto
I limiti dellapproccio seniano:
Il principale limite alla teoria seniana consiste nella "conversione" del reddito
nei funzionamenti. In realt, la comprensione delle potenzialit applicative
dell'approccio rappresenta la vera sfida degli studiosi.
Sen stesso ha condotto dei tentativi cercando di ovviare tale limite:
La prima applicazione dimostra che nonostante il Pil pro-capite di Brasile e Messico
sia pi di
sette volte il Pil pro-capite di India, Cina e Sri Lanka, gli indicatori di speranza di vita e
di
mortalit infantile sono i migliori proprio nello Sri Lanka, e sono pi elevati in Cina che
in
India, e in Messico piuttosto che in Brasile.
La seconda applicazione di Sen esamina le discriminazioni di genere in India,
giungendo alla
conclusione che le donne raggiungono livelli pi bassi degli uomini per quanto
riguarda
alcuni funzionamenti, quali i tassi di mortalit per classe di et, la morbilit e la
malnutrizione.
L'approccio degli indicatori
L'approccio alternativo, che si applica nell'esercizio di misurazione del benessere in
uno spazio multidimensionale, stato definito nel corso degli anni da Partha
Dasgupta.
L'impianto delineato da Dasgupta consente di pervenire a una dimensione ampia di
al fine di valutarne la conformit con le previsioni contenute nei Trattati, affidato alla
Commissione che, nel caso rilevi uno scostamento o anche solo il rischio di uno
scostamento, agisce di concerto con il Consiglio, esercitando pressioni sullo Stato
membro affinch ponga in essere adeguate azioni correttive per riportare i
fondamentali
di bilancio in linea con i parametri europei.
Nel caso in cui lo Stato inadempiente non adotti opportune misure necessarie a far
rientrare i propri saldi di bilancio nazionale, il Consiglio su raccomandazione della
Commissione pu adottare una decisione (e dunque un atto vincolante), con la quale
intima allo Stato membro le misure da assumere entro un termine stabilito.
In caso di ulteriore persistenza dello Stato membro a non ottemperare alla
decisione del Consiglio, questo pu decidere di applicare specifiche misure
sanzionatorie
(richiesta di pubblicazione di informazioni supplementari prima dellemissione di
obbligazioni o altri titoli di stato, riconsiderazione della politica di prestiti a favore dello
Stato membro, costituzione da parte dello Stato membro di un deposito infruttifero
presso lUE, commisurazione di unammenda di entit adeguata) Dopo il Trattato di
Maastricht, il Patto di Stabilit e Crescita, firmato ad
Amsterdam nel giugno 1997, ha rappresentano un nuovo importante atto politico teso
a
rafforzare il coordinamento e lintegrazione delle politiche di bilancio dei Paesi membri.
Il Patto un quadro di norme per il coordinamento delle politiche di bilancio
nazionali nellambito dellUnione, creato a tutela della solidit delle finanze pubbliche,
quale essenziale requisito per il corretto funzionamento dellUnione economica e
monetaria. Con il Patto, gli Stati membri si impegnano a rispettare lobiettivo a medio
termine di un saldo di bilancio vicino al pareggio o attivo e a provvedere ai necessari
aggiustamenti in caso di disavanzi eccessivi, nonch a garantire adeguata trasparenza
e
pubblicit delle proprie situazioni di bilancio.
Formalmente il Patto costituito da una risoluzione e da due regolamenti del
Consiglio europeo, che hanno forza di legge per gli Stati membri e ne precisano gli
aspetti tecnici.
Il Patto si articola, infatti, in due parti: una preventiva, laltra dissuasiva. Per
quanto concerne la prima, gli Stati membri devono presentare Programmi annuali di
stabilit (o di convergenza), nei quali devono essere specificate le modalit con le
quali
si intendono conseguire o salvaguardare sane posizioni di bilancio a medio termine,
tenendo conto dellincidenza finanziaria dellinvecchiamento demografico. La
Commissione valuta i programmi nazionali e il Consiglio esprime un parere in
proposito.
La parte preventiva del Patto prevede due fondamentali strumenti che possono
essere utilizzati per evitare la formazione di disavanzi eccessivi. Il Consiglio, su
raccomandazione della Commissione, pu attivare la procedura di allarme preventivo,
rivolgendo un formale avvertimento (early warning) allo Stato membro nel quale
rischia di determinarsi un disavanzo eccessivo. La Commissione pu richiamare,
inoltre,
uno Stato membro al rispetto degli obblighi del Patto di Stabilit e Crescita formulando
apposite raccomandazioni di politica economica (early policy advice).
Gli elementi dissuasivi del Patto sono quelli previsti dalla procedura per i disavanzi
eccessivi, che scatta quando il disavanzo supera la soglia del 3% del PIL prevista dal
Trattato. Se il Consiglio ritiene che vi sia un disavanzo eccessivo, allora formula delle
raccomandazioni agli Stati membri interessati affinch adottino delle misure
correttive,
indicando un termine entro il quale deve essere riassorbito il deficit. Linosservanza
delle raccomandazioni fa scattare le successive fasi della procedura, fino alla
Nellambito dei suddetti obiettivi, per ciascun settore, ogni Stato membro adotta i
propri obiettivi nazionali
Il disegno programmatico di Europa 2020 per un nuovo governo delleconomia
europea deve, in particolare, fondarsi su tre pilastri:
Unagenda economica rafforzata, con una maggiore sorveglianza da
parte dellUE. Ne fanno parte le priorit e gli obiettivi strategici concordati
nellambito della strategia Europa 2020; gli impegni aggiuntivi assunti dagli
Stati membri attraverso il Patto Euro Plus; la sorveglianza delle politiche
economiche e di bilancio nazionali attuata dalla UE attraverso il Patto di
Stabilit e Crescita, integrato da nuovi strumenti per affrontare gli squilibri
macroeconomici; un nuovo metodo di lavoro il Semestre Europeo per
discutere annualmente le priorit economiche e di bilancio.
Interventi per salvaguardare la stabilit dellarea delleuro. Nel 2010,
lUE ha reagito alla crisi del debito sovrano istituendo a favore degli Stati
membri meccanismi di sostegno temporanei, che nel 2013 saranno sostituiti
da uno strumento permanente, vale a dire il Meccanismo Europeo di Stabilit
(ESM). Il sostegno (realizzato in stretta collaborazione con lFMI) , tuttavia,
subordinato al risanamento delle finanze e a rigorosi programmi di riforma.
Misure per rimediare ai problemi del settore finanziario.
Lambizioso percorso di rilancio delleconomia europea si imbatte, nella primavera
del 2010, in una prima grande difficolt costituita dalla crisi delleconomia greca: se i
fondamentali di alcuni Paesi europei (vedi ad esempio lIrlanda) risultano fortemente
indeboliti a causa degli interventi pubblici di salvataggio di istituti di credito nazionali
in
default, la crisi ellenica essenzialmente dovuta a comportamenti fraudolenti,
connessi
a falsificazioni dei conti pubblici.
La paura del possibile contagio di altri Paesi europei, ritenuti pi a rischio dai
mercati a causa della debolezza dei conti pubblici nazionali, alimentata da una serie di
ondate speculative contro i Paesi dellarea mediterranea, ha spinto lUnione ad
approntare nuove e pi stringenti misure di emergenza, ovvero:
la creazione di un meccanismo europeo temporaneo di stabilizzazione per
affrontare le situazioni di emergenza, lo European Financial Stabilisation
Mechanism (EFSM), reso poi permanente attraverso lo European Stability
Mechanism (ESM), finalizzato a interventi di salvataggio di Paesi membri
sottoposti a tensioni, a causa di squilibri delle finanze pubbliche;
listituzione di un veicolo societario, lEuropean Financial Stability Facility
(EFSF), per raccogliere risorse sui mercati, beneficiando della garanzia dei
Paesi dellEurozona.
Il 30 giugno 2010 la Commissione propone un ulteriore approfondimento degli
strumenti di governance economica, di sorveglianza e allarme preventivo, con
lobiettivo
di estendere la sorveglianza agli squilibri macroeconomici, migliorare il funzionamento
del Patto di Stabilit e Crescita, armonizzare la programmazione di bilancio e la politica
nazionale, attraverso listituzione del cosiddetto Semestre Europeo.
Il 29 settembre 2010 la Commissione propone, quindi, un pacchetto di 6 proposte
legislative, il cosiddetto Six Pack, composto di 5 proposte di Regolamento
Semestre Europeo
Il Semestre Europeo, la cui istituzione stata approvata dal Consiglio Europeo a
luglio 2010, un periodo, di sei mesi appunto, coincidente con il primo semestre di
ogni
anno, in cui le politiche strutturali, macroeconomiche e di bilancio degli Stati membri
vengono coordinate ex ante, ovvero prima che le manovre di bilancio siano sottoposte
al vaglio dei Parlamenti nazionali, affinch gli inviti e le eventuali raccomandazioni
provenienti dal Consiglio della UE possano essere integrati nei documenti nazionali
oggetto della discussione parlamentare.
Il Semestre Europeo inizia, dunque, a gennaio con la presentazione, da parte della
Commissione, dellanalisi annuale della crescita (Annual Growth Survey), in cui sono
del saldo strutturale (pari allo 0,5% annuo), il criterio di convergenza stato reso
operativo con lintroduzione di un ulteriore principio basato sulla evoluzione della
spesa
Per i Paesi che hanno gi raggiunto lobiettivo di medio termine, la crescita annuale
della spesa non dovrebbe essere superiore a un tasso di crescita del PIL a medio
termine definito come prudente. Per i Paesi che non hanno raggiunto lobiettivo di
medio termine, il tasso di crescita della spesa dovrebbe essere inferiore al tasso
prudente di crescita del PIL a medio termine. Tuttavia, se un Paese volesse comunque
tenere un livello di spesa superiore ai limiti coerenti con levoluzione del PIL
prudente,
leccedenza dovrebbe essere coperta da misure discrezionali sul lato delle entrate.
La verifica del rispetto degli obiettivi di medio termine si basa sui programmi di
stabilit che i Paesi membri sono tenuti a inviare alla Commissione Europea,
nellambito
delle procedure previste dal Semestre Europeo
La procedura per disavanzi eccessivi
Un altro provvedimento del Six Pack ha modificato, invece, la parte correttiva del
Patto di Stabilit e Crescita, intervenendo sulla procedura di disavanzo eccessivo. In
sostanza, si rende operativo un criterio, quello del debito, gi presente nei Trattati, ma
considerato in via marginale nellapplicazione della procedura di sorveglianza.
La nuova disciplina dispone che i Paesi che non rispettano il limite del 60% nel
rapporto debito pubblico/PIL (anche quando il deficit al di sotto della soglia del 3%
del PIL) devono adottare adeguate misure in grado di ridurre il differenziale rispetto al
limite indicato a un ritmo sufficiente, pari a un ventesimo allanno nellarco di un
triennio.
Il mancato rispetto del criterio del debito non implica lautomatica apertura di una
procedura per disavanzo eccessivo nei confronti di un Paese, poich la valutazione
finale dovr essere complessiva e dovr tener conto anche di ulteriori fattori di rischio,
quali ad esempio un tasso di crescita del PIL nazionale particolarmente basso, la
struttura del debito, il livello di indebitamento del settore privato, le passivit implicite
connesse allinvecchiamento (ovvero, la sostenibilit a lungo termine dei sistemi
previdenziali).
I meccanismi sanzionatori
Al fine di intervenire pi efficacemente sugli Stati membri dellEurozona che violino
le nuove regole, il braccio correttivo del Patto di Stabilit e Crescita stato rafforzato
attraverso un nuovo regolamento sulleffettiva applicazione della sorveglianza di
bilancio
nellEurozona. Sono state introdotte nuove sanzioni finanziarie, applicate
preventivamente e con un approccio graduale.
A partire dal 2012, il mancato rispetto del limite sul tasso di crescita della spesa (o
dellattivazione delle eventuali misure compensative dal lato delle entrate),
comporter
un avvertimento da parte della Commissione che, in caso di scostamento persistente o
particolarmente grave, implicher il coinvolgimento del Consiglio Europeo, attraverso
lemissione di una raccomandazione ad adottare misure correttive. Nel caso della
mancata implementazione di tali misure, la Commissione potr imporre un deposito
fruttifero pari allo 0,2% del PIL che scatterebbe, su proposta della Commissione, a
meno che il Consiglio entro 10 giorni non decida, con maggioranza qualificata, di
rigettare la proposta della Commissione (reverse majority). Il Consiglio potrebbe
decidere di ridurre limporto del deposito soltanto allunanimit, oppure sulla base di
una proposta della Commissione e di una richiesta motivata dello Stato membro
approssimativa, viene, infatti, definita in assestamento sulla base delle risultanze del
rendiconto.