CROCE AL
PERIODO DEL TRIDION
Questa enorme frazione dell'Anno liturgico che termina con il Tridion traversa momenti cruciali e nodali della celebrazione domenicale
della Chiesa, come il nucleo formatosi intorno alla Festa dell'Esaltazione della Croce, come quello formatosi intorno al Natale del Signore ed
alla Teofania del Giordano, e come il graduale ingresso alla Quaresima
in vista della Resurrezione. Essa contiene inoltre alcune Feste del Signore, della Madre di Dio e dei Santi di rilevante importanza teologica
e spirituale, e non meno storica.
Come per il tempo che segue la Pentecoste assegnato alle "Domeniche di Matted", anche questo dall'Esaltazione della Croce fino al Tridion dipende dalla data pasquale, e le Domeniche assegnate a Luca ricevono a loro volta sensibili spostamenti, anche per l'intervento di celebrazioni che vi si sovrappongono, e che saranno segnalate.
L'Evangelo di Luca dunque si proclama nelle sue pericope stabilite, a
partire dalla Settimana che segue la Domenica dopo l'Esaltazione della
Croce fino all'inizio del Periodo del Tridion, che la Settimana del Pubblicano e del Fariseo (e fino al gioved della Settimana dell'uso Latticini).
dopo UT Croce, 1 Evangelo di Luca resta solo
( alg
Dalla Settimana 13adopo la Croce, 1 Evang
la Domenica ed al sabato che la precede, mentre dal luned al venerd si
proclama l'Evangelo di Marco (2a P3*6 dl questa proclamazione).
Qui, ai fini della celebrazione pi consapevole del Signore Risorto,
presente con il suo Spirito Santo alla sua Chiesa a partire dalla divina
Parola, interessa la teologia che sottesa dal tempo liturgico che corre
dall'Esaltazione della Croce fino al Natale, e poi fino alla Quaresima.
La linea degli Evangeli domenicali di Luca porta questi contenuti:
Domenica
1. Lc 5,l-ll: la vocazione dei discepoli;
2. Le 6,31-36: il "discorso della pianura" e la misericordia;
3. Le 7,11-16: la resurrezione del giovane aNairn;
4. Le 8,5-15: la pazienza del Seminatore che attende i frutti;
5. Le 16,19-31: il povero Lazzaro ed il ricco;
6. Le 8,26-39: la guarigione degli indemoniati di Gerasa;
7. Le 8,41-56: la resurrezione della figlia di Giairo e la guarigione del
l'emorroissa;
8. Le 10,25-37: il buon Samaritano;
9. Le 12,16-21: la parabola del "ricco scemo";
10.Le 13,10-17: la guarigione della donna rattrappita;
11.Le 14,16-24: la parabola della Cena grande;
12.Le 17,12-19: la guarigione dei 10 lebbrosi;
618
S. CROCE- TRIOD1ON
- Domi 7':"
\ nuseria e a,
a-
.x
Dom 8
l canta;
Dom. 9a: la miseria morale che la ricchezza;
- Dom'. 10- ,la malattia; A .
Dom. 1V- vocazione dei poveri;
- Dom'. 12a: ,la malattia;
Dom 13a- rochezza come rigetto della vocazione;
b) accoglie l'umilt della Nascita del Signore del mondo con il digiuno
e la penitenza;
e) accoglie di nuovo le Sofferenze del Signore con il digiuno grande
della Quaresima.
In questo, seguendo il filo delle Domeniche, non si perde mai la visuale della Pentecoste, che invece prevaleva con le Domeniche di Matteo; anche qui si deve dire in un certo senso, poich la realt pentecostale perenne ed onnipresente lungo l'intero Anno liturgico.
Per comprendere l'avvio del periodo "dopo l'Esaltazione della S.
Croce", occorre rifarsi alla consecuzione cos espressiva, visibile se si
pongono in ordine le Letture bibliche ed i Versetti salmici di queste celebrazioni, con i temi concatenati. Si indicano i Prokimena, gli Apstoloi, gli Alleluia e le pericope evangeliche, rimandando ai commenti
seguiti secondo l'ordine calendariale:
Dom. avanti la Croce:
Sai 27,9.1
Gai 6,11-18
Salva, Signore, il Gloriarsi solo
popolo tuo !
nella Croce
Sai 88,20-21.22
David Servo,
l'Unto
Gv 3,13-17
L'esaltazione
sulla Croce, come il Serpente
Sai 98,5.1
Esaltate lo Sgabello dei piedi
Gv 19,6-11.25.
28.30-35 La
Croce, lo
Spirito, il Sangue
e Acqua
Sai 103,24.1
Tutto nella Sapienza
Gai 2,16-20
Crocifsso, non
vivo io
Sai 44,5.8
II Re Unto
Me 8,34-9,1 La
Sai 32,22.1 La
Grazia su noi
2 Cor 9,6-11
L'ilare donante
Sai 17,48.51
Dio dona le vittorie
Le5,1-11 La
vocazione
Croce e il vero
discepolo
S. CROCE - TRIDION
621
DOMENICA 1- DI LUCA
vuole decisamente stabilire tra Corinzi e Gerusalemme, avendo i Corinzi ricevuto i Beni dello Spirito Santo, non possono a loro volta per
cos dire materialmente restituirli, poich essi vengono dalla Fonte, la
Chiesa Madre. Ma possono significare la loro accettazione e vissuto, e
mostrare la loro gratitudine sopperendo alle necessit, con beni materiali. E questo avviene.
Si chiama, come si gi accennato, la "cattolicit della Chiesa", la
quale he Katholik Ekklsia solo se nel suo interno sono abbattuti i
diaframmi, i compartimenti stagni, le conventicole, gli scismi, e la
Chiesa sia quel Corpo di Cristo che riceve in tutte le sue membra lo
Spirito Santo che discende dalla Kephal, la Testa, il Signore Risorto.
Qui noi cristiani di oggi dobbiamo interrogarci se veramente viviamo
"la Chiesa cattolica"; dobbiamo interrogarci lealmente, tutti, in specie
quelli che si arrogassero il titolo senza i contenuti.
Gi si trattato sopra il concetto biblico di leitourgia, ossia 1'"opera
infavore del popolo", che la Triade santa consustanziale indivisibile dispone lungo la storia e realizza in indicibile pienezza con la Croce, la
Resurrezione, la Pentecoste, la Parousia. Tale opera deve essere proseguita da Cristo Unico Liturgo del Padre, ormai nella Chiesa degli Apostoli, e perci lungo i secoli e le generazioni, diventando cos anche
"opera del popolo". Si indic sopra lo schema: l'annuncio dell'Evangelo Liturgia (cf. Rom 15,16, testo classico); e lo il culto divino. Pi
difficile accettare il fatto che "le opere della carit", e tali sono le
"collette" paoline, siano Liturgia. Baster qui rimandare proprio a 2
Cor 9,12, dove Paolo addirittura calca i termini, affermando che si
provvede alle necessit dei "Santi" con "la diakonia di questa leitourgia", il servizio fraterno che questa carit "per il popolo".
Cos inquadrata la pericope, se ne possono vedere alcuni significati.
La pericope particolarmente ricca. Anzitutto Paolo comincia con la
formula asseverativa: "Questo, poi, tonto d\ che propone come messa
in evidenza di quanto adesso afferma. E subito fa appello duplice alla
generosit dei suoi fedeli: a) in negativo: il seminatore al risparmio,
pheidomns, oltre tutto poco intelligente, anche al risparmio, pheidomns, mieter il suo scarso raccolto. Dunque, occorre generosamente spargere il seme che render "il cento, il sessanta, il trenta" (cf.
Mt 13,23, e par.); b) in positivo: chi semina nella consapevolezza delle
benedizioni divine (en eulogiais), anche nelle benedizioni divine mieter un ampio raccolto. Il dono delle "collette" per i poveri veri, i "Santi"
delle Comunit apostoliche di Gerusalemme e della Palestina, i fratelli
dunque pi cari e pi vicini, deve avvenire nella generosit del non
risparmio, e cos star sotto le divine benedizioni (v. 6).
ovvio, non tutti i fedeli avranno eguale agiatezza. Perci Paolo
suggerisce la buona regola dell'equilibrio, cos che ciascun fedele co624
DOMENICA 1- DI LUCA
tuito che solo Lui la possiede, la porta, la predica (v. 1). Hanno compreso dalla profondit appassionante dei suoi discorsi, dall'autorit e
dalla sapienza di Lui, dalla maest del suo parlare, che Egli finalmente il Profeta grande tanto atteso (cf. Dt 18,9-22), suscitato da Dio stesso
(Dt 18,15), mediante il quale il Signore non solo far conoscere la sua
Volont ultima, ma operer anche segni prodigiosi.
In quel momento Ges "sta" sulla riva del lago di Genesaret (v. lb).
Qui "vede" il secondo dei 3 verbi vocazionali, il primo assente
due navi, meglio, barche da pesca all'attracco; si noti che il vedere cos
narrato non si dirige anzitutto sulle persone (v. 2a); Luca annota che
"poi" alcuni pescatori discesi lavavano le reti (v. 2b). la scena tanto
familiare sulle coste del mare, dei laghi, dei fiumi, anche immortalata
da grandi pittori, e che ha un che di malinconico. La pesca finita bene
o male, resta da preparare la pesca successiva, ed faticoso nettare le
reti da alghe, pesci scadenti e crostacei inutili, oltre che ripararle e risistemarle dovutamente sulla barca per la pesca di domani.
Il Signore sa che la pesca and a vuoto. Si presenta come un estraneo, bench preceduto dalla sua fama (4,14), ignaro del duro mestiere
antico del pescare, almeno lo credono; sale su una barca, e sceglie non
a caso quella di Simone, e fa porre la medesima poco distante dalla riva, cos che la folla non lo opprima (v. 3a). Inaspettatamente, "seduto
sulla barca insegnava" (v. 3b), dove il verbo kathiz si pu e si deve intendere, in teologia simbolica, "in trono sulla barca sua", Profeta e
Maestro che insegna, in quanto la Sapienza divina discesa tra gli uomini. "Insegnare", didsk, denota il Profeta e Maestro divino. azione frequente del Signore, in specie in momenti decisivi come per le parabole (cf. Me 4,1) e per la moltiplicazione dei pani e dei pesci (Me
6,34, par. Le 9,11). I destinatali del didsk sono le folle, e in particolare, "in privato", i discepoli.
Le folle cos lo ascoltano con attenzione, fino alla fine. E adesso Ges
vuole dimostrare con un esempio prodigioso due fatti connessi: a) che
la pesca, svoltasi senza di lui, di necessit doveva essere a vuoto; b)
che con lui, i futuri discepoli opereranno "catture" di uomini nella
stessa quantit prodigiosa, anzi molto di pi (cf. Gv 14,12: "farete opere
pi grandi delle mie...") che questa pesca nel lago. Perci Ges subito
ordina a Simone di spingere la barca al largo, dove il lago profondo, e
ordina ai discepoli di gettare le reti (v. 4). Il medesimo ordine tassativo,
carico di conseguenze, viene in un testo considerato parallelo, Gv
21,6, alla "terza manifestazione" del Risorto.
La reazione di Simone docile, vuole solo giustificare la nottata carica di fatica e senza risultati. Perci si di mattina. Simone non sa ancora il destino che lo attende, ma ha piena fiducia: "Sulla parola tua caler le reti", dove il sostantivo rhma significa per s parola-fatto ope629
rato. L'appellativo con cui si rivolge Simone a Ges epistts, "sovrastante", sovrintendente. Egli spontaneamente si pone sotto le direttive
che gli impartisce Ges, riconoscendo in lui le qualit del capo. Senza
lui avevano "faticato tutta la notte" (cf. ancora Gv 21,1-14). Da lui
ascolteranno, poi, la spiegazione: "Chi non raccoglie insieme a me, disperde" (Le l l,23b). La pesca eseguita, enormemente copiosa, le reti, pur robuste come sempre, si rompevano (v. 6), mentre nella pesca
dopo la Resurrezione non si rompevano, nonostante l'abbondanza della
cattura (Gv 21,11). Cos viene in soccorso, invocata, anche l'altra barca,
e le due barche quasi affondavano dal peso (Le 5,7).
Il "segno" voluto dal Signore compiuto, e va ad effetto. Simone,
che Luca adesso chiama anche Pietro, riconosce in Ges il Kyrios, il
Signore, e la sua onnipotenza divina. E tutti erano presi da stupore per
il fatto avvenuto (v. 9), e cos anche Simone e la sua "paranza", e poi
Giacomo e Giovanni di Zebedeo, soci di Simone (v. 10a). Simone Pietro allora si prostra davanti a Ges e lo prega di allontanarsi da lui, il
peccatore (v. 8; cf. Mt 8,34; At 10,26).
Il sigillo adesso apposto da Ges al suo "segno", con le parole fondanti di vocazione: "Non temere". avvenuta una teofania, che comporta quasi sempre la divina rassicurazione. "Da adesso sarai il pescatore di uomini (v. 10b). "Pescatore" per s halius (da hls, sale, acqua, salsa, mare), ma qui scelto un termine singolare, zgrn, da zs,
vivente, e agr, catturare. Pietro e gli Undici faranno "prede viventi"
per il Signore, pescate dalle "acque di morte" e tratte alla Vita eterna.
istintivo pensare alla tomba battesimale da dove "si con-muore con
Cristo" per "con-vivere con Lui". Profezia lapidaria e facile. Da allora
Pietro e gli Undici l'hanno realizzata. Il 28 Giugno si prepara sulla porta
della Basilica di S. Pietro a Roma una rete intrecciata di fronde di
bosso, come memoria simbolica eterna.
La vocazione lanciata.
Come avverr sempre, da adesso, negli Evangeli, a ondate successive i "vocati", lasciatisi fare discepoli dal Signore che "passa guarda e
chiama", abbandonano tutto ed immediatamente. E l per l, subito e
senza ripensamenti, Lo seguono (v. 11; cf. v. 28; 18, 28; e il parallelo,
Me 1,18 e 20).
Il "lasciare tutto" e tutti, la situazione attuale, la famiglia, il lavoro,
le propriet varie (la pesca suppone sempre una piccola azienda a conduzione familiare), anche le speranze di una vita pi agiata, resta la
condizione primaria ed essenziale per rispondere totalmente alla klsis,
la vocazione, e porsi ali'akolouthia, la sequela del Signore. Cos,
sgombri dai pesi creati dall'esistenza umana ancora non qualificata, si
deve "seguire il Signore dovunque Egli vada". Cos esorta anche Ebr
12,1-3, lo sguardo fsso solo a Lui.
630
14 Evangeli mostrano che la mta da raggiungere la Croce. Il Signore dovr a lungo, pazientemente, talvolta dolorosamente istruire i
discepoli sulla santa Croce. Gli Evangeli denunciano impietosamente
che i discepoli davanti alla Croce "fuggirono tutti e lo abbandonarono"
(cf. Me 14,50). La Pentecoste del Fuoco dello Spirito Santo verr a sigillare i discepoli con il "segno" battesimale della Croce, e per la Croce.
6. Megalinario Della
Domenica.
7.Koinnikn Della
Domenica.
631
poi con altre indicibili comunicazioni. L'Apostolo ha sperimentato questo realmente, anche se avviene che sia gli manchino le parole adatte,
sia soprattutto quelle sono realt che non debbono diventare mito e leggenda, e creare cos un alone di meraviglioso intorno a lui, quando tutto deve convergere verso Cristo Risorto.
Perci adesso parla in terza persona: un nthrpos, "un uomo". Per
premette il verbo ida: "so per certo". Si tratta di "un uomo in Cristo",
che ricevuta la vita da Cristo aveva riposto tutta la sua esistenza in Lui
"la vita in Cristo vita nello Spirito Santo": Rom 8,9 , e fu "rapito"
(harpzo) fino al "terzo cielo", ossia al di l dei cieli, nella trascendenza
vertiginosa; se in corpo, ossia per cos dire materialmente, oppure
"fuori del corpo", ossia spiritualmente, Paolo nega di sapere. un'estasi
corporale, o una visione spirituale simbolica, non conta, vale solo la
realt del fatto. E cos Paolo annota che, essendo l'anno 57 mentre scrive, tutto avvenne 14 anni prima, ossia, verso il 43, ponendo l'evento di
Damasco verso il 35 d.C. Tale la realt dei fatti (v. 2). I quali si completano. Corporalmente o spiritualmente e come per il "ratto"al terzo
cielo, cos anche adesso Paolo rimanda alla formula: "io non lo so, lo
sa Dio" che tali eventi caus (v. 3), quell'uomo "fu rapito"
(harpz) fino nel "paradiso" (v. 4a). I grandi autori spirituali parlano,
lungo la storia della Chiesa, di esperienze spirituali, "mistiche" ossia
relative al Mistero; parlano di "ratto" totale, della persona e delle facolt di essa, fino a perdersi totalmente nell'incomprensibilit del Mistero divino, nella "tenebra" impenetrabile di esso: "io non lo so", indica
bene questo esito. I medesimi spirituali parlano anche di "paradiso", che
non tanto, o solo, il "luogo" dei Beati e Santi e della felicit, quanto
il "luogo dello Spirito Santo", la condizione dove avviene il terrificante
incontro-scontro tra il Divino e l'uomo, dove l'umano frantumato,
distrutto, per essere meravigliosamente rigenerato nel dolore mortale e
perenne della tensione ancora insoddisfatta di perdersi nel Divino, di
"morire perch ancora non si muore". In trafila, i santi mistici non fanno
altro che dare figura e termini all'esperienza lancinante di Paolo, quale
si pu vedere nell'Apstolos dell'Esaltazione della S. Croce, nella
Domenica precedente ed in quella seguente a tanto grande Festa della
Chiesa (vedi infra).
Il "paradiso", greco pardeisos, viene dall'antico persiano zendavestico pairidaeza, luogo recintato (cf. l'armeno partez, orto, giardino), e
indica sia un parco da caccia, sia un giardino di delizie, sia un orto irriguo e coltivato, sia tutto questo insieme. Tale era l'Eden della creazione
antica (Gen 2,8-17). E tale la teologia simbolica indica che sar il
"luogo" dei beati per l'eternit, in quanto essi "tornano" alle origini, a
come il Disegno divino aveva disposto dall'inizio. Bench infinitamente
di pi. ovvio che qui non si tratta di nostalgia, poich il Paradiso
634
ultimo la condizione della visione trasformante, dell'amore consumante e divinizzante nelle Nozze eterne.
Ora, quell'"uomo", Paolo, per la fluenza della sua esistenza ancora
temporale e terrena, "storica", gratificato della prima e sostanziale
manifestazione divina, la fonte di ogni altro esito aperto sull'infinito di
Dio: "ascoltare rrhta rhmata, indicibili parole", dove il termine greco
rhma, interscambiabile con lgos, significa precisamente "parolafatto", dunque realt fattuale. Come quando Maria, dopo la Nascita del
Figlio di Dio, "custodiva tutti questi rhmata, fatti", considerandoli nel
suo cuore verginale {Le 2,19). Come gi i pastori, chiamati dall'Angelo
di Dio alla medesima Nascita, parlavano tra essi: "Traversiamo fino-a
Betlemme, e vediamo questa parola, rhma-t'atto, che il Signore notific a noi" (Le 2,15).
Paolo ebbe conoscenza delle Realt indicibili, di cui "all'uomo non
lecito parlare" (v. 4); qui sta il raro exn, da xeimi, un participio'che
indica quanto si pu secondo la legge divina e le leggi umane, indicandosi cos quanto non lecito in s e per s, poich nessun uomo reso
idoneo a trattare di Realt tanto trascendenti.
La reazione dell'Apostolo quasi di indifferenza davanti al fenomeno. Egli di tutto questo potrebbe anche menare vanto, gloriarsi (kuchomai), poich un dono divino concesso all'umilt umana. Tuttavia quanto a se stesso, il suo menare vanto e gloriarsi (kuchomai) solo della
sua debolezza, non tanto quella congenita e propria della sua struttura
umana, quanto quella che da lui chiede il Signore, gliela impone, la esige
da lui. Tante volte Paolo ha ripetuto che Dio stesso vuole apparire stolto
e debole perch Sapienza e Potenza divine che vuole confondere le piccole saggezze e prepotenze degli uomini, questi s stolti e vuoti di ogni
realt. Cos nel "discorso della Croce", 1 Cor 1,10 - 2,16 (o 1,17 etc.).
Adesso deve ancora farlo risuonare per convincere i Corinzi (v. 5).
E cos riafferma che se volesse gloriarsi, tuttavia non si comporterebbe
da insipiente sul piano umano, e quindi vuole pronunciare tutta la verit
secondo il Disegno divino. Perci resta cauto, parla il meno possibile di
quanto sarebbe sua legittima gloria, "risparmia (phidomai)" gli ascoltatori, consapevole che chi lo ascolta potrebbe considerarlo al di sopra di
quanto umanamente nell'Apostolo vede di persona, o ascolta di persona
(v. 6). In sostanza, Paolo vuole concentrare l'attenzione anzitutto sulle
Realt divine, e poi sulla sua missione, mai sulla sua persona.
Poich questo potrebbe perfino creare in lui la vanagloria. E qui
Paolo rivela la metodologia divina secondo la Sapienza eterna, che agisce cos sempre: Dio imperscrutabilmente, contro ogni logica umana,
quanti ama riprende di continuo e punisce, ossia purifica come vero Padre Buono. Gi lo affermava Prov 3,12, lo riprende Ebr 12,6, e lo ribadisce Ap 3,19. Ecco allora: le rivelazioni comunicate all'Apostolo sono
635
consacra Sacerdote Sommo, e Lo pone quale unico Principio dell'eterna salvezza (Ebr 5,7-10).
Cos per Paolo. Cos, se si comprende, per tutti e per ciascuno dei
fedeli. Invariabilmente. All'Apostolo, il Signore addirittura si rivolge
familiarmente, personalmente, ed in modo duro, impietoso, spietato:
"Basta a te la Grazia mia! poich la forza si perfeziona (e consuma)
nella debolezza" (v. 9a). Parole umanamente insensate. Non lavoriamo,
noi, affinch tutta la nostra azione buona, pastorale, avvenga con ogni
facilitazione, con i mezzi procurati, con opportunit varie e conoscenze
e combinazioni...? Come faremmo oggi se non avessimo a disposizione
totale telefono e fax e ordinatori (detti "computers") e stampa e stazioni
radio-televisive e viaggi e convegni e relazioni e...?
Serve tutto questo a Paolo? No. E a noi? No. Che serve? La Grazia
dello Spirito Santo. la Potenza divina che "consuma" (tel) ogni
umana debolezza. Allora anche tutti i mezzi sopra elencati possono
avere qualche utilit. Paolo ha avuto collaboratori attivi, intelligenti,
animosi. E lettere da inviare, e navi, e viaggi. Ma a lui era necessaria la
Grazia. Lo ha compreso dopo l'esperienza dello "stiletto nella carne",
che gli toglieva la vita, la speranza, ogni forza. Solo dopo di esso, non
prima. E non che Paolo fosse cos illuso da immaginarsi, chiss poi
perch, che il Signore ai suoi collaboratori renda la vita e l'opera del
tutto facili, come in discesa. Il Signore, in un certo senso, avverte Paolo
con un "alto l!" che vale per tutti gli apostoli di tutti i tempi, per tutti i
pastori, per tutti gli uomini della Luce e dello Spirito Santo (v. 9a).
E l'Apostolo, uomo totalmente di Dio, ha ben compreso. Perci prosegue davanti ai suoi diletti Corinzi: ma io allora molto pi volentieri,
quasi "giocondamente (hdista)", ormai voglio menare vanto, gloriarmi
(kduchomai) delle mie, costitutivamente e additivamente mie, debolezze. Solo cos potr inabitare, anzi, "porre le tende (episkn)" su lui la
Potenza di Cristo (v. 9c). Ossia, lo Spirito Santo, che ama inabitare nei
suoi strumenti preziosi, gli Apostoli, "intronizzandosi" su essi (cf. At
2,1-4), e guidandoli alla predicazione di Cristo Risorto.
La conclusione di Paolo se fosse esaminata da uno psicanalista (ma
la legge ferrea stabilita dal fondatore della psicoanalisi era che l'analisi
deve essere fatta sulla persona, non sugli scritti...), direbbe: un soggetto animato dal "sottile piacere di soffrire". Ma non cos. Paolo non
si va cercando eventi e modi e mezzi di soffrire. Egli da soggetto infinitamente reso capace, si rende conto della necessit della sofferenza ai
fini della predicazione, perci afferma che ormai "si compiace (eudokydi tutte le avversit che il Signore, scongiurato di non farlo, gli
invia: debolezze umane, violenze subite e non restituite, necessit che
investono la sua povera esistenza umana, persecuzioni che siano: dalle
autorit civili romane, da quelle dei suoi confratelli ebrei, da quelle dei
637
suoi confratelli cristiani, i "falsi fratelli", le "ristrettezze" in favore di Cristo, ossia le situazioni in cui la via sembra chiusa e lo sfocio non appare
probabile. Con la grandiosa, inimmaginabile affermazione finale, programma cristiano per tutte le generazioni, in specie per quelle piagnucolose del
nostro tempo: "Infatti, quando sono debole, allora sono potente" (v. 10).
Che vuole dire, questo? semplice. Quando Paolo ha rimosso tutti
gli ostacoli umani alla Potenza di Cristo che lo Spirito Santo, allora
questa Potenza in lui si pu scatenare per traguardi impensabili, ma di
fatto raggiunti, da Antiochia all'Asia Minore, alla Grecia, all'Illirico,
alla Spagna, e, quando sar, a Roma, il "cuore di Paolo". Allora il Signore gli significher che la sua corsa terminata. Nella gloria dell'iscrizione che trionfa sulla sua tomba nella Basilica della Via Ostiense:
"a Paolo Apostolo Testimone-Martire".
La S. Croce estende irresistibilmente la sua ombra vivificante, qui
come dappertutto.
5. EVANGELO
a) Alleluia: Sai 19,1.10, "Salmo regale".
Vedi la Domenica 3a di Pasqua.
b) Le 6,31-36
Cristo Signore nostro, battezzato dal Padre con lo Spirito Santo,
"unto" di consacrazione per la sua missione messianica (cf. sempre At
10,38), passa annunciando ed insegnando l'Evangelo quale Profeta
grande, operando come Re le opere del Regno del Padre, nella Potenza
dello Spirito Santo. Come Sacerdote Sommo del Padre chiama alla vocazione i futuri confratelli nel sacerdozio, i discepoli, li elegge nominativamente (cf. Le 6,12-15), e quindi passa a dare l'istruzione ad essi ed
alle folle. Il grandioso testo di Le 6,17-49 chiamato il "discorso della
pianura", ed ha come celebre parallelo il pi esteso "discorso della
montagna" di Mt 5,1 - 7,29.
Con il "discorso della pianura" il Signore vuole adesso presentare il
culmine della vita redenta, la mta di chi vuole seguirlo dovunque vada, la perfetta assimilazione al Padre, il Signore Dio infinitamente e
contagiosamente Misericordioso. Questo "il pi", il massimo pervadente della Vita divina comunicata agli uomini. Poich purtroppo "misericordiosi" non si nasce, ma si diventa se ci si lascia fare misericordiosi dalla Grazia increata dello Spirito Santo del Padre e del Figlio.
H "discorso della pianura" si estende, denso e pressato, in Le 6,17-49.
Ai vv. 20b-23 vengono i makarismi, le beatitudini per i poveri e miti. Ai
vv. 24-26 sono scanditi in ripetizione i "guai a voi!" ai ricchi scemi e sazi
e prepotenti.
638
DOMENICA 2 DI LUCA
gi lo fanno anche i pagani. I fedeli al contrario ameranno, beneficheranno e presteranno anche ai nemici (v. 35a), cos riceveranno la ricompensa grande di figli di Dio, Buono per i buoni come per i malvagi (v.
35b).
E adesso viene quasi inaspettata la klimax, la sommit della "scala",
il culmine del discorso, al v. 36, che pone il termine ultimo della perfezione, in apparenza mostruosamente irraggiungibile dai poveri sforzi
umani: "Diventate (ginesthe, anche "siate") quindi, alla fine, misericordiosi, oiktirmones, come il Padre vostro Misericordioso (oiktirmn)".
Per comprendere questo comando imperioso e soavissimo in fondo il Signore non dice altro che: Diventate, lasciatevi trasformare da
Me in misericordiosi, come Io lo sono poich tale il Padre mio", dunque vostro , occorre rifarsi al parallelo che sta nel "discorso della
montagna" di Matteo (Mt5,48):
Siate quindi voi perfetti (tleioi)
come il Padre vostro Celeste Perfetto (tleios).
Ora, sia Mt 5,48, sia Le 6,36 derivano in linea diretta, con accentuazioni, da Lev 19,2:
Santi (hgioi) siate,
poich Io (sono) Santo (hdgios),
il Signore Dio vostro!
A nessuno sfugge anzitutto la "formula dell'alleanza" il "Signore
Dio vostro"; "il Padre vostro", che suppone "noi figli suoi" per la completezza. Ma la "santit" che uno dei titoli maggiori del Signore, il
Dio Vivente, "l'Unico, il Santo", acclamato dai Serafini con il "Santo
Santo Santo!" (Is 6,3; Sal, 98,3.5.9, Salmo deWrthros; Ap 4,8), indica
una serie di realt poco avvertite. Infatti nella divina Rivelazione, diversamente che nelle religioni dell'ambiente biblico, la "santit" non
"sacralit", ossia quella specie di flusso o di ambiente che incombe sull'uomo con il peso di una divinit impersonale, che in genere si manifesta rovinosamente per gli uomini c^he ne sono raggiunti.
La santit biblica anzitutto trascendenza inarrivabile ed intangibile, incomprensibile ed incircoscrivibile, incomunicabile e indescrivibile,
indicibile per definizione. Essa sta fuori di ogni miseria umana, di ogni
deficienza creaturale, di ogni caducit, di ogni contingenza. Ha la
motivazione in se stessa. per una realt sommamente personale: la
Santit Dio, Dio la sua stessa Santit.
Per il misterioso movimento senza spazio e senza tempo che anima
l'Infinito della Santit, il Dio Santo non resta per cos dire solitario ed
640
TAVOLA
TAVOLA
DOMENICA 2 DI LUCA
isolato, com' il Dio degli ariani che si ritrova presso i musulmani. Egli
anche Manifestazione santa, Comunicazione santa, Presenza operante
santa. Egli parla Parole di santit, opera opere di santit (cf. qui Sai
144,13bc.l7). Lo fa in modo gratuito, mai meritabile e di fatto da nessuna creatura, fosse pure angelica, mai meritato. In modo gratificante,
divinizzante. Dunque per pura intatta mai diminuibile Misericordia,
che la Bont "nonostante-tuttavia", nonostante i non meriti angelici
ed umani, e tuttavia egualmente donantesi. In specie verso gli uomini.
Occorre risalire molto in antico, per comprendere questo. Apparso
ad Abramo sotto la triplice figura mediatoria angelica, il Signore si fa
ospitare da lui e da Sara, promette un figlio a questa, ed assicura che
torner (cf. Gen 18,1-15; e la celeberrima icona della "xenitia di Abramo", 1'"ospitalit" del Padre nostro nella fede, che va sotto il nome del
tutto errato di "icona della Trinit", dovuto al santo monaco Andreij
Rubliev). Poi il Signore, che ha deciso l'irrevocabile punizione di Sodoma e Gomorra, si trattiene un attimo, e decide di consultare Abramo,
che gli presenter la famosa, eventuale intercessione dei giusti, la minoranza che se si trova! salva tutti gli altri (Gen 18,22-33). Ma la
motivazione della resipiscenza divina il Disegno dall'eternit su
Abramo (vedi anche E vangelo della Domenica 12" Matteo):
10 infatti lo scelsi,
affinch ordini ai figli suoi ed alla casa sua dopo di lui
di custodire la via del Signore,
e di agire con diritto e giustizia,
affinch il Signore compia in favore di Abramo
tutto quello che a lui promise (Gen 18,19).
Qui l'espressione tecnica del "diritto e giustizia", in greco dikaiosyn
ki krisis, traduce l'ebraico sdeq u-mispt, e sdeq, da cuisdqh,
anche elemosyn, della semantica efflleos, la misericordia. Il Signore vuole un popolo di "retti e giusti", che nelle nostre lingue si deve tradurre "soccorritori benevoli e misericordiosi". Questo lo statuto per i
figli d'Abramo, che siamo anche noi.
Ma non basta. La semantica di dikaiosyn ki krisis, tenuto conto di
quanto detto adesso, sfocia in quella che si deve attribuire alla Rivelazione del Signore nella sua teofania sul Monte Horeb, a Mos, per la
seconda alleanza e le seconde Tavole della Legge (Es 34,5-9, e vv. 1-4,
e 10-35, nell'ordine). Qui Egli stesso proclama i suoi titoli:
11 Signore scese con la Nube (della Gloria),
e ristette con lui (Mos) l, e grid:
"Nel Nome del Signore!"
641
644
Padre sul Figlio suo, e doveva "evangelizzare" (qui di nuovo euaggelizomai, nel senso visto sopra) questo Figlio, ma tra le "nazioni" (thn,
che indica i pagani di allora). Sta sullo sfondo l'episodio di Damasco,
dove il Signore Risorto parla ad Anania, che dovr battezzare Saulo, e
gli comunica il fine: Saulo lo "strumento dell'elezione" (eklog, scelta)
per portare il Nome di Ges davanti alle nazioni, ai re, ed anche ai figli
d'Israele (cf. A? 9,15). Trovatosi improvvisamente davanti allo scontro
con Dio, Paolo non si pone a consultare, a chiedere lumi e consigli agli
uomini, "alla carne ed al sangue" (per l'espressione, cf. Gv 1,13) (v. 16),
come tutti avrebbero agito, soprattutto visitando uomini pii e sapienti.
Al contrario. Neppure si reca dagli Apostoli "precedenti", quelli della
Chiesa Madre di Gerusalemme, la sede e la fonte della fede di Cristo. Invece si reca in Arabia, in regioni remote e desertiche, a raccogliersi nella
macerazione e nella penitenza e nella contemplazione, monaco prima di
ogni altro, e poi torna alla Comunit che lo aveva battezzato, a Damasco
(v. 17). Finalmente, dopo ben tre anni, si reca a Gerusalemme, per il fatidico incontro con il Primo e Corifeo degli Apostoli, Kfa, nome imposto
dal Signore a Shimon bar-Ion (cf. Mt 16,16-19; Gv 1,42). Non possiamo
immaginare i colloqui straordinari, struggenti, dei due Principi degli
Apostoli, che per la prima volta si incontrano a Gerusalemme, e per l'ultima a Roma, dove dettero la loro testimonianza della vita al Signore.
Paolo resta con Pietro 15 giorni. Possiamo per qui immaginare che celebrarono almeno 2 volte i Misteri del Signore in 2 Domeniche: indicibile
concelebrazione di due "scelti", amati, inviati per sempre (v. 18).
Paolo chiude questo episodio con la narrazione di un altro incontro
importante. Non vide, non volle incontrarsi, con nessun altro Apostolo
di Gerusalemme. Per ebbe interesse di colloquiare con Giacomo "il
fratello del Signore" (v. 19). Giacomo detto "il minore" per distinguerlo da Giacomo il maggiore, fratello di Giovanni, i figli di Zebedeo,
due fratelli dal carattere impetuoso, che il Signore aveva soprannominato in aramaico bnai-reges, "figli del tuono", greco boanrgs (cf. Me
3,17). Ora, Giacomo era stretto parente di Ges, dove "fratello", come
anche in altre lingue, significa "cugino", ma non fu uno dei "Dodici".
Secondo le fonti, era il capo della Comunit di Gerusalemme come
Chiesa Madre, "Chiesa locale". Alla quale per altri due secoli presiederanno Vescovi sempre della parentela carnale del Signore. Personaggio
maggiore, Giacomo era stato anche privilegiato dall'apparizione del
Risorto, come Paolo annota in un testo preso dalla stessa comunit aramaica ed inserito nella sua "tradizione" ricevuta dal Signore: 1 Cor
15,7 (il testo fa parte del nucleo antico, i vv. 3-7).
Si vede, l'interesse di Paolo di confrontarsi con due capi: quello
del Collegio apostolico, Cefa, e quello della Chiesa Madre, Giacomo.
Due attraverso i quali si risaliva direttamente alla Persona del Signore,
648
proprio come Paolo che era stato "segregato" da Lui. La Tradizione divina di Paolo dunque adesso risulta che se da una parte non "da un uomo", ma da Cristo, dall'altra identica a quella che Pietro e Giacomo
avevano avuto come indicibile dono dal medesimo Signore. La corsa
apostolica di Paolo pu proseguire, resa certa che non fu n sar "vana".
5. EVANGELO
a) Alleluia: Sai 30,2.3, "Supplica individuale".
, _^
.,
Vedi l'Alleluia della Domenica 4a di Pasqua, delle Domeniche 4
b) Le 7,11-16
II Signore battezzato dal Padre con lo Spirito Santo seguita a passare
per la sua missione divina tra gli uomini, ai quali annuncia ed insegna
l'Evangelo, per i quali opera le opere della carit del Regno, i quali riporta all'adorazione del Dio Unico, il Padre comune. Noi insieme con
Lui passiamo, e dobbiamo imitarlo in tutto, avendo ricevuto per questo
il medesimo Spirito Santo che abilita alla missione.
Le "opere del Regno", come si detto tante volte, ma giova sempre ripeterlo, sono operate dalla medesima Persona divina di Ges. Insieme, secondo le antiche profezie e la grande attesa d'Israele, esse sono proprie
del Re Messia, l'Unto d'Israele, il Promesso dei secoli. Vedi qui solo Gen
49,8-12; Sai 71; Is 11,1-10; 61,1-3, per lo Spirito di Dio che "riposa" stabilmente su Lui. La mano del Re la stessa Mano benefica e generosa di
Dio, che agisce nella sua Bont mediante il "suo" Re, il "suo" Unto.
Ora, per, il fine del Re unico: conquistare il Regno a Dio e riportarlo a Lui, l'unico che ne abbia diritto. In conseguenza, occorre sgombrare ogni ostacolo al Regno divino. Gli ostacoli sono numerosi, dopo il
peccato di Adamo. Sono il "male" in ogni sua forma: la malattia, la fame, la miseria, l'iniquit, l'ingiustizia, la morte, questa atroce realt che
1'"ultima Nemica (personificazione) di Dio" (cf. qui 1 Cor 15,26; Ap
20,14; 21,4). Ma non solo. Tutto questo "male" in fondo usato in modo strumentale, spietato, puntuale, come terrificante arma contro Dio, e
quindi contro gli uomini, dal "Male" personificato, "il Maligno", ho
Ponrs, "il Nemico", "il Tentatore", "il dibolos Divisore" di tutto e di
tutti, "il Serpente antico", "il Padre della menzogna", satana, il demonio.
La conquista del Regno messianico dunque anzitutto la guerra senza
tregua contro il Nemico. Ogni malattia guarita, la fame saziata, la miseria superata dall'abbondanza, la carit, la giustizia, e, culmine impensabile, la vittoria sulla morte, sono pezzi del Regno, strappati a satana e restituiti a Dio, e perci agli uomini. Fino alla fine dei tempi. Quando Cristo Risorto con lo Spirito Santo "riconsegner il Regno" al Padre, al fine
649
che con lo Spirito Santo il Padre "sia del tutto in tutti": 1 Cor 15,24 e
28. Tale riconsegna, che Paolo chiama pardosis, Tradizione divina da
Dio a Dio, avviene solo dopo la distruzione, l'annientamento finale totale del "regno di satana", questa disumana e disumanizzante prigione in
cui esso deteneva tutte le realt create sotto il cielo: gli uomini e la stessa creazione, che non sta pi in armonia e collaborazione e soggezione
all'uomo, come era nel Disegno primitivo (cf. Gen 1,26-31).
Ges battezzato il Re che viene per il regno nella Potenza dello
Spirito Santo. L'Evangelo di Luca narra i segni prodigiosi operati dal
Signore a cominciare dall'indemoniato di Cafarnao (4,31-37), poi la
guarigione della suocera di Pietro (4,38-39) e di molti altri (4,40-43); il
Signore opera anche il miracolodella pesca miracolosa (5,1-11; vedi
Evangelo della Domenica la di Luca), guarisce fl roso (5,12-16), quindi il
paralitico (5,17-26), ed il servo del centurione (7,1-10).
Nell'Evangelo di oggi per e in specie rispetto alla serie di guarigioni, si assiste ad un irresistibile crescendo. Ges affronta e via via, con
pazienza ma con sicurezza, cerca deliberatamente lo scontro diretto,
frontale, deciso e sempre e del tutto spietato con l'intero "male" che
impedisce il Regno di Dio, sottraendogli i poveri uomini. Insegnare
agli ignoranti, perdonare i peccatori, sovvenire alla fame, guarire le
malattie, sono alcune delle "opere del Regno", che Ges battezzato nello Spirito Santo passa ed esegue nella Potenza del medesimo Spirito.
Tuttavia, delle opere nessuna eguaglia lo scontro del Signore con la
morte. Vincere l'ignoranza, il peccato, la fame, le malattie, ancora poco, di fronte alla vittoria ultima, quella sulla morte. "La morte l'ultima nemica di Dio", afferma giustamente Paolo, e con termini identici
Giovanni (vedi qui sopra). La morte tale, che in un certo senso sembra che Dio stesso tremi davanti ad essa. Si pensi al triplice tremare e
piangere di Ges alla morte dell'amico che amava (Gv 11,5), Lazzaro
(cf. qui Gv 11,33 con 2 verbi del tremare, 11,35, il pianto; 11,38, ancora
il tremito). E si pensi al Getsemani. Trema evidentemente non per se
stesso, ma per la creatura pi amata, il capolavoro della mirabile sua
creazione, gli uomini, che si vede rapinati dal Predatore insaziabile,
mentre secondo il suo inamovibile Disegno li ha destinati ad essere innalzati a vivere la sua stessa Vita eterna. Questo "tremore" di amore
sar presente, ed in modo centrale, nell'episodio di resurrezione che
adesso Luca narra, senza paralleli evangelici.
Ges guarisce il servo del centurione (7,1-10), e si avvia verso Nain
con i discepoli e molta folla (v. 11). H villaggio si trova al meridione
del Monte Tabor. Il primo incontro, all'ingresso dell'abitato, con un
trasporto funebre; si porta alla sepoltura un defunto. Luca annota accuratamente, per dare pi risalto al seguito, che l'unico figlio della madre, e questa era vedova, accompagnata per ci da una folla copiosa,
650
che mostra la sua partecipazione (v. 12). figlia unica anche la bambina
di Giairo, capo della sinagoga, altra creatura che muore (8,42); come
figlio unico il ragazzo lunatico incontrato dopo la Trasfigurazione
(9,38). Anche Lazzaro fratello unico di Marta e di Maria. L'"unicit"
sta in analogia con il Figlio Unico di/Dio, che dal Battesimo va verso il
suo destino di una morte accettata, a cui il Padre l'abbandona per amore
trascendente di tanti altri "figli unici", tutti destinati allamorte.
Il "tremito" divino davanti alla morte descritto da Luca in forma
insuperabile. "Il Signore", il Kyrios, il titolo divino rivelato per Ges
dopo la Resurrezione, qui anticipato: // Risorto affronta e vince la Nemica. Egli vede la madre, ed il moto del suo Cuore questo: "furono
sconvolte le sue viscere" (alla lettera, splagchnizomai, avere viscere di
misericordia). Questo verbo usato solo dai Sinottici, 5 volte in Matteo,
4 in Marco, 3 in Luca, e sempre riferito a Cristo, salvo 1 volta in cui
riferito al Padre del figlio dissoluto. un verbo dunque riservato, come
movimento di amore, alla Divinit. Nell'A.T. usato solo 2 volte. Tuttavia l'A.T. ci rivela che dietro il verbo sta il sostantivo splgchna, le
viscere materne, che traducono solo 2 sostantivi ebraici: raham, l'utero
materno, oppure beten, il ventre della madre. Il significato avere tenerezza come il seno materno lo ha per il frutto delle proprie viscere. Un
movimento totale, che investe la persona, la sconvolge. Il paragone
vuole insegnarci che il Signore nel suo moto di amore non pu essere
descritto meglio che prestandogli l'amore "materno". Cos si rivolge alla
madre disperata, e le dice solo: Non piangere (v. 13). Come dir anche
per la figlia di Giairo, un altro caso di resurrezione (8,58). L'esortazione
tipica di una teofania: Non temete, non piangete. Qui adesso sta il
"Con-noi-Dio". Egli che asciugher le lagrime dagli occhi dei dolenti, ed
annuller la morte per sempre (cf. Is 25,8, la promessa; e Ap 7,17;
21,24; Mt 5,5; Le 6,21, la realizzazione).
Il Signore opera solo due gesti. Anzitutto si avvicina e tocca la bara.
Come prescritto dalla Legge, chi tocca un cadavere, o un oggetto che
tocca un cadavere, come la bara (scoperta, uso orientale inveterato), diventa impuro gravemente, e tutto quello che tocca diventa contaminato
(cf. Lev 21,1-2.10-11, per il sacerdote; Num 6,6, per il nazireo; 19,1119, per i fedeli). Ges dunque consapevolmente si contamina con il
grado pi alto di contaminazione "levitica". Attrae su di s, per cos dire, la contaminazione della morte, per restituire il giovane, ormai purificato poich biblicamente, se la morte contaminazione, la Vita
la massima purit , all'assemblea liturgica dei viventi del popolo di
Dio, a pieno titolo. Ed assunta su di s, quale Servo sofferente, ogni
impurit umana, portando il "peccato del mondo", distrugge l'una e
l'altro. Lo ricorda Mt 8,16-17, che cita sul Servo Is 53,4. Vi insiste Pietro (1 P1 2,22-25), che cita sul Servo Is 53,9.
651
pp
q,
655
DOMENICA 4* DI LUCA
Quando Paolo afferma: "io fui concrocifisso con, syn, Cristo", afferma la pienezza della sua vita nuova e vera, "il pi" del Gratuito divino,
la sua caratterizzazione ultima (v. 19b).
E prosegue nell'annotazione mistica. Qui va tenuto presente l'elenco
dei syn tracciato sopra. L'affermazione che segue implica una metafisica
del tutto nuova: "Vivo perci (de) non pi io vive dunque (de) in me
Cristo" (v. 20a). Paolo per "lui", non un altro. La vita di Paolo adesso
non esiste pi come "sua". Paolo, occorre insistere, qui, adesso, mentre
scrive ai Galati, "esiste" come Paolo, e tuttavia "vive in lui" ormai Cristo. Ora, Cristo vivo, esiste. Vive la sua Vita divina come Ipostasi divina, e la sua Umanit vive la medesima Vita divina poich stata "assunta
e composta (synthetos)" per 1'"indicibile hnsis", a livello dell'Ipostasi
divina. Ma adesso Cristo Signore vive in modo molteplice, per cos dire,
la sua Vita divina, ossia la vive anche "in" Paolo, e questo suo modo di
vivere diventa la stessa "vita di Paolo" attuale Paolo ormai non pu
vivere un'"altra" vita, un'altra forma di vita.
chiaro, l'Apostolo si preoccupa di rimuovere subito ogni tentazione
di panteismo, che era diffusa come illusione rovinosa al suo tempo,
come tutti gli errori provenienti dal platonismo: l'uomo sarebbe una
"scintilla del divino" capitata non si sa quando come perch a cadere
"dentro" la struttura carnale dell'uomo; ma baster che l'uomo si liberi
da questo soma-sma, "corpo-tomba", e quella scintilla, ormai il "lui" libero, quasi attratto da una legge di gravitazione universale irresistibile,
rifluir verso il divino totale, impersonale, insomma verso 1'"indistinto
nulla", come ancora oggi professano alcune religioni orientali. questo
anche il grande schema generale di quella che poi sar la "gnosi falsa".
Paolo invece parla questo linguaggio: "Vivo non pi io, vive in me
Cristo la realt per che (ho) io vivo nella carne, vivo nella fede" (v.
20b). La carne, srx, la realt creaturale attuale, che non squalificata
da alcuna nota negativa. un dato di fatto: Dio cre l'uomo "di carne",
e quindi gli ispir il suo Alito divino (Gen 2,7). La "carne" l'esistenza
storica, attuale, qui, ora, individuata come persona, Paolo. In questa sua
esistenza, Paolo vive "una realt (ho)", ossia che vive in lui Cristo, nella
fede, nella totale adesione d'amore al Signore che vive in lui, unendo
dunque, senza confusione rovinosa, la sua esistenza attuale con quella
del Signore stesso (v. 20b).
E il Signore identificato accuratamente: il Figlio di Dio, e perci
Dio Egli stesso. Colui che am (agapsantos, participio aoristo, per indicare l'amore una volta per sempre donato a fondo perduto) Paolo, dove il "me" di Paolo quello di tutti i fedeli; e am "consegnando se
stesso" in favore di Paolo. Tre avanzamenti: il Figlio, Vagape, la "consegna di s", in modo che non vi siano equivoci (v. 20c). Il verbo "consegnarsi", paradidmi (qui in participio aoristo puntuale), nel N.T.
658
di
Matteo.
b)
Le 8,5-15
Nello schema dell'Evangelo lucano, il cosiddetto "discorso di parabole" (Le 8,4-18) si pone verso la fine del ministero di Ges in Galilea
(Le 3,1 - 9,17), dove il blocco 9,18-50 sono i fatti "intorno alla Trasfigurazione" che formano la cerniera con la successiva "salita a Gerusalemme (9,51 - 19,27). Si rimanda sempre alla visione globale, molto
utile per lo scorrere della "lettura" del testo, presentata sopra, nello
schema generale di Luca.
Quanto alle "parabole", daparabll, giustapporre, comparare, da
cui coniare una similitudine, un esempio, un "tipo", in genere sono la
resa in greco dell'ebraico dell'A.T. msl, con il medesimo significato
di un tratto pi o meno esteso che contenga un insegnamento figurato.
Nel N.T. i 3 Sinottici, come notarono gi i Padri, le parabole sono
enumerabili secondo l'appartenenza triplice: a) 3 comuni ai 3 Evangeli;
b) 2 comuni a Matteo ed a Luca; e) poi quelle proprie di ciascun Evangelista, ossia 1 solo di Marco, 10 solo di Matteo, 18 solo di Luca. Come appartenenza di ogni singolo Evangelo, si ha che Marco ne ha 4;
Matteo ne ha 15; Luca ne ha 23.
659
Quanto poi ai contenuti, si conviene raggnippare le parabole secondo due grandi categorie, suddivise in argomenti (gli autori moderni presentano anche altre classificazioni). Qui si propone questo schema:
A) parabole dottrinali:
1) parabole del Regno;
2) parabole sugli appartenenti al Regno;
3) parabole sulla venuta del Regno;
B) parabole di contenuto morale:
1) il compoitamentq e i doveri verso Dio;
2) idem verso il prossimo;
3) il buon uso dei beni terreni, finalizzati alla vita eterna.
Luca da solo riporta un imponente numero di parabole del Signore,
circa 23, che formano, ovviamente con altro materiale, una singolare ricchezza dell'Evangelo lucano. Cos, guardando lo schema che corre dal
Battesimo del Giordano alla Trasfigurazione, si vede a colpo d'occhio
che l'annuncio dell'Evangelo, con i discorsi e le parabole, si alterna con
gli episodi delle "opere del Regno", ossia guarigioni, resurrezioni, la
moltiplicazione dei pani e dei pesci, e cos via. Gi l'antichit aveva notato che l'Evangelo di Luca, scritto in un greco di buon livello, anche
una piacevole lettura per l'abilit letteraria e descrittiva dell'autore.
Il testo di oggi la prima e principale parabola, sul Seminatore e sul
seme della Parola, quella che apre su tutte le altre. Essa comune a Mt
13,1-9.18-23; Le 8,4-15; Me 4,1-20. La sua importanza eccezionale
dichiarata da Ges stesso nel parallelo di Me 4, quando dopo l'esposizione, alla domanda meravigliata rivolta ai discepoli: "Non comprendete voi questa parabola?" {Me 4,13a), aggiunge:
E come tutte le parabole conoscerete? (v. 13b).
Sicch la presente parabola la chiave per accedere al tesoro delle
altre parabole.
Come all'inizio dei paralleli Mr 13,1-3 e Me 4,1-2, Ges attende che
si formi la folla di quanti accorrevano a Lui da ogni parte {Le 8,4).
Si detto ormai molte volte, ed ogni volta occorrer insistervi, che il
Signore battezzato dal Padre con lo Spirito Santo consacrato per la
sua missione divina come Re e Popolo di Dio (il Nucleo di tutto il popolo), come Profeta, come Sacerdote e come Sposo. In base a ciascun
titolo si riconoscono le funzioni espletate intorno ai 3 capisaldi del ministero messianico del Signore: l'annuncio dell'Evangelo con l'insegnamento che di necessit ne consegue, le opere della carit del Regno,
660
DOMENICA 4- DI LUCA
Decreto preeterno di Dio ha tenuto nascosto fino al nyn, 1'"adesso" dell'adempimento. Il quale comincia con la proclamazione delle Sante
Scritture "profetiche", ossia dell'A.T., in cui si legge l'annuncio di Cristo Paolo lo aveva gi detto in Rom 1,1-4, dove la Resurrezione il
centro della Rivelazione divina . Il fine la conversione dei pagani
affidati a Paolo, le "nazioni" che debbono "ascoltare" e venire alla "fede". Egli stesso {Rom 15,16) aveva spiegato che queste nazioni per l'Evangelo accettato debbono diventare la prosphor, l'offerta gradita, il
sacrificio spirituale che il Padre accoglie perch "santificato dallo Spirito Santo".
Ecco squaternato il senso del Mistero rivelato. Donato per anzitutto
ai discepoli del Signore.
Ma Ges presenta "il Mistero" come "del Regno di Dio". Ora, la basilia, nell'A.T. malkt o anche memslh, implica diverse realt:
a) il cosmo, dove si dispiega nella continua teofania la Regalit del
Signore Dio Creatore; cf. qui una tipica manifestazione letteraria, i
"Salmi della Regalit divina" (nell'elenco alla fine di questo volume);
b) in specie, Israele, e pi particolarmente Sion, dove il medesimo Si
gnore Sovrano si fa presente al popolo della sua alleanza regale, e l
largo di grazie;
e) in modo inattingibile e indicibile, la sfera del divino, che si chiama
simbolicamente "i deli", "i cieli dei deli". Cos per "i Cieli" indicano
con una perifrasi il Signore stesso: il "Regno dei cieli pu essere cosmico, ma soprattutto il "Regno di Dio", le due espressioni si interscambiano.
Nel N.T. per la Rivelazione si avanza verso l'inimmaginabile, poich nei Sinottici "il Regno di Dio", quello che ormai "sta qui, si avvicin" (cf. Me 1,14), indica direttamente Cristo con lo Spirito Santo. Si
rilegga quiMt 12,28; Le 11,20 (che allude anche aEs 8,15).
Ai discepoli insomma " donato di 'conoscere'", sperimentare vitalmente, "Cristo con lo Spirito Santo", e in modo diretto.
E agli altri? Il v. 10b un testo tra i pi duri di tutto il N.T. L'espressione anche difficile: "agli altri per con parabole", senza verbo; si
deve qui supplire con "agli altri sar parlato con parabole", oppure
"agli altri sar donato di conoscere i Misteri del Regno di Dio con parabole"? Dal contesto, sembra che la prima interpretazione sia circa quella
giusta. Ma allora leparaboli, discorsi di rivelazione, diventano proprio
il contrario, la "pietra di inciampo" che fa precipitare nella rovina.
Infatti il v. 10 prosegue: "...in parabole, affinch vedendo non vedano e
ascoltando non comprendano". Orribile. Il testo viene daIs 6,9-10.
664
DOMENICA 4- DI LUCA
presente, nei 3 Sinottici, e quella propria del solo Matteo, della zizania
(cf. MtJ3,24-30,l'enunciazione; vv. 36-43, la spiegazione, che termina
egualmente con la formula "chi ha orecchie per comprendere, com prenda"). Sono proprio le parabole del Seme buono e del seme mali gno, della Parola e della menzogna satanica, dell'unico campo e dei
due raccolti. Quando in gioco la Parola, dunque, il discorso si fa
drammatico.
Ed infatti la spiegazione comincia dal Seme buono, che "la Pa rola di Dio". Sulla realt immane che la Parola di Dio, lgos to
Theo, anche rhma Christo (cf. Rom 10,17), stato parlato a lun go
nella Parte I di questo lavoro (vedi Parte I, Cap. 2, "La Parola divinizzante").
Qui si pu solo richiamare il testo di 1 Pt 1,23: Dio ci gener con la
Parola sua vivente vera eterna. Ora, si comprende che il Seme della Paro la
pu venire solo da Dio, ed il Seminatore di esso solo da Dio. Anzi, il
Seminatore Dio stesso mediante il Figlio suo, il Figlio dell'uomo (cf.
Mt 13,37). E se si spinge a fondo la visuale, anche il Seme il Figlio di
Dio, che cade in terra e muore per dare molto frutto (cf. Gv 12,24). In un
certo senso, il Verbo di Dio, la Parola di Dio deve cadere nella terra per
morire, poich solo cos fa sorgere la Vita negli uomini (v. 11).
Le complicazioni vengono dalle zone del terreno seminato. Ges qui
traccia una specie di tabella di riscontri sulla germinazione e la fruttifica zione e resa del Seme buono egualmente sparso in ognuna delle 4 zone:
- v. 5: sulla via
- v. 6: sulla pietra
- v. 7: tra le spine
soffocamento
- v. 8: terra buona
recettiva
accettazione e frutto.
668
nit dei Filippesi, ai quali riconosce che sono gli unici su cui ha contato
dagli inizi della sua missione in territorio europeo, per le necessit materiali del suo apostolato (FU 4,10-16, in occasione di un ennesimo aiuto pecuniario), bench Paolo mai cerchi "il dono", ma il frutto della
Grazia che ridondi a beneficio dei suoi (FU 4,17). Per l'anno e mezzo
in cui Paolo a Corinto fabbricava tende insieme ad Aquila e Priscilla,
cf. At 8,1-3.
Per i saluti autografi di Paolo, vedi ancora 1 Cor 16,21; in 2 Tess
3,17 vi aggiunge: "questo il segno in ogni epistola, cos io scrivo"; in
Rom 16,22 si inserisce l'amanuense: "Vi saluto io, Terzio, che scrissi
l'epistola nel Signore"; finalmente, in Col 4,18, "il saluto di mia mano,
di me Paolo". Si pu appena immaginare l'emozione delle Comunit
nel ricevere simili attestati di affetto.
In Gai 6,12 poi Paolo riprende l'argomentazione di 5,11. Quelli che
hanno portato lo sconcerto presso i Galati, inducendoli a passare ad un
"altro evangelo" (cf. Gai 1,6-12; e YApstolos della Domenica 3a 1
Luca), sono dunque i "giudaizzanti", ossia cristiani provenienti dall'ebraismo, i quali ritenevano che occorresse anche per i pagani la pratica
puntuale della Legge antica nella sua totalit; in primo luogo, la circoncisione, che nel mondo ellenistico romano era un motivo di repulsione.
Ora, questi fratelli troppo zelanti, ma poco illuminati sulla metodologia
dell'apostolato "alle nazioni" pagane, desiderano assecondare, compiacere una pratica carnale, e cos costringono i Galati alla circoncisione.
E questo, secondo la grave accusa di Paolo, solo al fine poco nobile di
non subire la persecuzione (dik) per la Croce di Cristo (v. 13a). L'accusa torna per altri fratelli in FU 3,18, dove Paolo li chiama "nemici
della Croce di Cristo", la quale va assunta con tutte le conseguenze,
fosse anche la persecuzione. Ma, e questo altrettanto grave, quei falsi
fratelli bench circoncisi neppure essi "custodiscono", ossia praticano
per intero, la santa Legge; vogliono che i Galati si sottopongano alla
circoncisione per spirito proselitistico e ristretto, per "gloriarsi nella
carne" dei Galati, non per il loro progresso nell'Evangelo (v. 13b).
E qui l'Apostolo riprende il motivo del cap. 2 (cf. YApstolos della
Domenica precedente), dove al v. 19-21 aveva manifestato con forza la
sua morte alla Legge, la sua con-crocifissione con Cristo, la vita di Cristo in lui. Qui prosegue questo motivo: a lui non resta se non di menare
vanto, di gloriarsi (kauchdomai) "nella Croce del Signore nostro Ges
Cristo", presentando cos il Signore come il Dio dell'alleanza ("no stro") e con i titoli plenari della sua Divinit e della sua Umanit (v.
14a). E come aveva affermato in Gai 2,19 e 21, bench in altri termini,
mediante Cristo crocifisso fu "crocifsso il mondo", ossia mor una volta per sempre il mondo per quanto riguarda Paolo, e reciprocamente
anche la con-crocifissione di lui con Cristo lo fece morire per sempre al
670
mondo (v. 14b). Qui ksmos, il mondo, compreso nella sua accezione
negativa, di tutta la realt di peccato che si oppone a Dio, che "nemica della Croce di Cristo", circa nel senso che il termine ha nella teologia giovannea, almeno di frequente.
La conseguenza della "crocifissione del mondo e al mondo" che
ormai tutte le realt sono come relativizzate, in specie le osservanze
esterne che non siano accompagnate dal senso che ormai, dopo la Croce, stanno qui presenti i "tempi ultimi". Dunque sia chi circonciso, sia
chi non lo , nella loro condizione non possono trovare un vero valore.
L'unico valore la "nuova creazione" (v. 15). L'accenno fuggevole a
questo immenso tema salvifico sar esplicitato l'anno 57, quando da Filippi l'Apostolo scrive ai Corinzi per la seconda volta, e spiega:
La carit di Cristo stringe noi,
avendo giudicato questo, che Uno mor in favore di tutti,
e allora tutti morirono,
e in favore di tutti mor,
affinch i viventi non pi per se stessi vivano,
bens per Colui che in favore di essi
mor e fu risvegliato...
Cos che se uno (sussiste) in Cristo,
() nuova creazione:
le realt antiche passarono,
ecco, vennero le nuove (2 Cor 5,14-15.17).
Il testo enorme. La "nuova creazione", td kain, le realt nuove,
sono promesse dall'antico: Is 43,18; 65,17, e sono ripresentate da Paolo
pi volte, oltre che qui, in Rom 8,1.10; 6,4; Col 3,9-10; Efes 2,10.15.
Esse sono rilanciate dalla tradizione giovannea, in Ap 21,5, nella Parola
finale di Dio al mondo dei redenti.
Anche la spiegazione dell'espressione chiede una certa cura. Se esiste una ktisis antica, la creazione primordiale, questa destinata dal Disegno divino a subire una trasformazione radicale. Infatti, anche se qui
non si deve affatto generalizzare, il N.T. esprime la "novit" con due
termini, nos e kains. Con nos si direbbe circa questo: la prosecuzione di una realt, sempre la medesima, per adesso "rinnovata". Con
kains invece si direbbe una realt sostituita da un'altra. Cos si dice
kain diathk, alleanza nuova, che risuona gi in Ger 31,31 -34, testo
base di ogni esplorazione teologica per il N.T. Per non si dice mai nel
N.T. las nos, tanto meno las kains, popolo "rinnovato", o "nuovoaltro", come se il Signore nella sua divina Disposizione avesse prima
creato "il popolo sud", poi lo avesse rigettato sostituendolo con un "popolo nuovo-altro", quello del N.T. Fa sconforto che autori moderni pur
671
celebrati parlino questo linguaggio che non ha base nel N.T. In realt,
il popolo di Dio unico, come si disse gi, in due poli vitali, uno che
osserva la Legge antica, ed uno che aderisce al Figlio di Dio l'unico
popolo, l'unica Sposa. Anche 1'"alleanza nuova" in fondo non totalmente "altra", poich essa fa parte anzitutto della categoria "alleanza", e non di un'altra categoria. Poi perch il Signore dispone di un
vero e proprio sistema di alleanze: con Abramo, con No, con Abramo
Isacco Giacobbe Giuda, con Pinhas il sacerdote fedele (cf. Num 25,117, ai vv. 10-13 l'"alleanza di pace" tra Dio e Pinhas e la discendenza
di questo), con David e la sua discendenza regale, con il Servo sofferente. L'Alleanza del Padre con il Figlio, sancita dalla Croce e dalla
Resurrezione, riassume e rende nella loro pienezza del tutto esplicitate
le antiche alleanze.
La creazione antica dunque era destinata alla sostituzione, poich
dal peccato d'Adamo fu resa "vuota, inutile, senza senso" (cf. qui Rom
8,17-25). Essa comincia ad essere kain, nuova, altra, con l'Incarnazione
storica, quella che culmina nella Resurrezione. Per i fedeli del Risorto
comincia con il battesimo. Essa opera della Potenza dello Spirito
Creatore e Ri-Creatore. In senso cosmico, "deli e terra nuova" (cf. Ap
21,1, che rimanda a Is 65,17; 66,22, e che ha il precedente di 2 Pt 3,13)
un tema decisivo, sul quale resta, e forse rester fino alla realizzazione,
il segreto divino pi totale.
Paolo perci prosegue al v. 16 avvertendo che occorre "mettersi in
linea ordinata (stoich) con questo kanr\ misura o regola di fede.
Chi procede cos, avr su di s "pace e misericordia", e cos si avr anche per l'"Israele di Dio" (v. 16). L'ultima espressione pu intendersi in
due modi: sia quella parte scelta d'Israele che aveva accettato il suo
Messia divino, Cristo Ges, il "Diacono della circoncisione" per sua
scelta volontaria (Rom 15,8), dunque la Chiesa Madre dei giudeo-cristiani, di Gerusalemme; oppure l'Israele storico.
Nella finale di ogni epistola Paolo ha continui movimenti di pensieri, che si intervallano, si ripetono, si sovrappongono. Al v. 17 infatti rilancia una raccomandazione, che come il compendio della sua autobiografia come la present ai Galati: "del resto", finalmente, insomma,
chiede che nessuno gli procuri "fatiche" moleste (kpoi) in pi di quelle cos gravose del suo apostolato tanto tribolato. Infatti egli caricato
e "trasporta" (bastz) i "segni" terribili, indelebili, gli stigmata che
erano impressi a fuoco dai Greci e Romani agli schiavi fuggitivi, in
modo che fossero riconosciuti da tutti; dagli orientali in genere, erano
impressi a tutti gli schiavi. Paolo "lo schiavo di Cristo", come dir all'inizio dell'Epistola ai Romani (Rom 1,1). Per sempre. Porta i "segni"
di Lui sulla carne. Gli esegeti parlano qui sia di stigmate di tipo mistico, come la "transverberazione" alle mani, al costato; sia pi probabil"672
TAVOLA
TAVOLA
. Matteo
b)
Le 16,19-31
Nello schema di Luca (vedi nella Parte I), la pericope si colloca verso la fine della "salita a Gerusalemme" (Le 9,51 - 19,28), dove si doveva "compiere il suo esodo", come si parla nel colloquio con Mos ed
Elia al momento della divina Trasfigurazione {Le 9,31). la salita verso la Croce.
Ges sta moltiplicando in modo inesauribile il suo insegnamento.
Che fondamentalmente la spiegazione dell'Evangelo per il quale, insieme con le opere del Regno, stato consacrato dal Padre con il Battesimo dello Spirito Santo. Nella "salita a Gerusalemme" Egli in specie
intensifica il suo insegnamento tipico, quello in parabole, e ne espone
una serie impressionante, non meno di 20.
Adesso viene la volta di una delle parabole pi intense di significato, e pi suggestive per le risonanze, quella del Lazzaro povero e
dell'"epulone" ricco. La scena anzi aperta proprio con la descrizione
dell'operato del ricco, come chiusa dalla sorte del medesimo, mentre
Lazzaro occupa il centro sia nella singolare maest della sua miseria
terrena, sia nello splendore della vita beata.
Cos, la condizione del ricco annotata subito con pochi tratti, sufficienti a denotare la sua miseria morale. Non va dimenticato che Luca
673
fatto che non volle soccorrere i poveri. Ma fu condotta a questo dall'indurimento del cuore causato dalla vita dissoluta. La non carit prodotta dalla vita dissoluta, la vita dissoluta causata dalla perdita della
carit. Il circuito si chiude: la vita dissoluta causata originariamente
dall'avere rigettato il Signore dalla propria esistenza, vivendo "come se
Dio non esistesse". Chi vive cos, a sua volta abbandonato da Lui alla
vita ignominiosa, e la spirale si avvita verso il basso, nella mancanza di
carit (cf. anche Rom 1,18-32; Sap 13).
In Ez 16,49 il verbo che causa l'irrimediabile condanna divina "non
afferrare la mano" del povero; qui si ha antilambnomai, un medio che
significa: attaccarsi a qualcuno, prendere parte in favore di qualcuno, aiutare, soccorrere, sostenere, prendere su di s. far propria la causa del
povero. Nel N.T. antilambnetai usato solo 3 volte, significative tutte:
1) nel Megalynei hepsyche mou della Vergine: il Signore, Misericordioso
sempre, disperse i superbi, rovesci i potenti, respinse i ricchi, ma esalt
gli umili, sazi gli affamati, e "prese parte in favore (antilambnomai)
d'Israele suo servo" (Le 1,54), il povero tra i poveri nei popoli della terra;
2) Paolo congedandosi dai Presbiteri (Vescovi) di Efeso, a Mileto, parla a
lungo (At 20,18-34), e conclude cos: "Io tutto mostrai a voi, che cos af
faticandosi si deve (di, secondo il Disegno divino!) soccorrere (anti
lambnomai) i deboli, e fare memoria delle Parole del Signore Ges, poi
ch Egli disse: ' beato pi donare che ricevere'" (v. 35); 3) in 1 Tim 6,2
Paolo prescrive agli stessi schiavi cristiani di continuare a servire i loro
padroni credenti, perch sono diletti di Dio, bench ricchi, quelli ai quali
gli schiavi sovvengono (antilambnomai) con i loro servigi.
Anche se la condanna sembrer esagerata ed inaccettabile, per la Rivelazione biblica Sodoma, superbia, corruzione morale, mancanza di
carit formano l'ambiente alienato da Dio e dal prossimo, che Dio non
pu tollerare a lungo, che far sparire con la violenza delfuoco. Fuoco
a Sodoma, fuoco per il "ricco epulone".
Un de, invece, contrappone adesso la descrizione "di un certo povero", ptchs, termine greco che in genere nei LXX traduce l'ebraico
'ani, o 'nav, plurale 'nvtm. Con questa semantica si vuole indicare
prevalentemente quello che esprime il verbo di partenza, ptss: uno
intimorito dalle sofferenze, dalle privazioni, uno che va a testa bassa,
timidamente mendicando. Ora, questo "povero di Dio", che si attende
tutto dal suo Signore come i 'navim dell'A.T. , rassegnato solo
davanti a Lui, identificato dal nome, al contrario del ricco lasciato
anonimo. Si chiama Lzaros. Qui la facile etimologia ebraica la radice
'zar, "aiutare", con il nome teoforico 'El- 'zar, "Dio aiut" (nome
simile 'Azar-Jh, "Aiut il Signore"). Cos si indica gi la prospettiva
finale: dove nessun uomo fratello interviene, certamente il Signore interverr a tempo ed a luogo.
676
tutto questo", ossia tra la consolazione eterna e la pena del fuoco, "tra
noi e voi". E tale caos fu reso stabile (striz) dalla divina Disposizione, al fine che perfino se lo volesse uno non pu discendere dalla beatitudine verso la rovina finale. Tanto meno un dannato pu risalire verso
la Comunione stabilita tra i beati (v. 26). In realt, il defluire della Grazia divina dall'alto verso gli uomini avvenne sempre, nell'esistenza degli uomini, e tra questi avrebbe dovuto stabilirsi lo scambio fraterno
che avrebbe avuto conseguenze salvifiche (v. 26). Abramo, che la figura del Signore Sovrano, il Padre, qui vuole insegnarci proprio questo: che ilptchs, il 'ani, si attende come "povero di Dio" tutto e solo
da Dio, ma Dio precisamente dona il "povero" al "ricco" affinch questi veda in quello il "figlio d'Abramo", e si senta egli stesso "figlio
d'Abramo", e comunichi nella carit (vedi Mt 25,31-46, Domenica della
Apkreos).
Il ricco soffre troppo, per. E non si rassegna al suo destino segnato
per sempre. Ha ancora un ultimo moto umano, ancora animato dall'amore fraterno. Di nuovo invoca Abramo come "Padre", e gli rivolge un'invocazione suprema: "ti chiedo allora", comprendendo che per
lui finita. E l'oggetto in fondo molto bello: che Lazzaro sia inviato
alla "casa del padre suo", espressione semitica, che vuoi dire la casata
estesa, ai parenti (v. 27). In questa casa stanno cinque fratelli, tutti ricchi come lo fu lui, tutti dissipati come lo fu lui, tutti inconsapevoli come lo fu lui. Lazzaro dovrebbe rendere testimonianza a questi "cinque", il numero simbolico che indica pienezza e totalit (alludendo
dunque a tutti gli uomini, figli di un "padre" altro, che non si riconoscono nel Padre Abramo fino in fondo). E quelli, vedendo uno spirito,
un fantasma, un risorto come Lazzaro, il povero che forse avevano visto affamato e piagato anche presso le porte delle loro case ma ignorandolo, smettano la loro vita perduta, si spaventino, "non vengano in
questo luogo di tortura" (v. 28).
La risposta del Padre Abramo il centro di tutta YOikonomia divina
della salvezza:
Essi possiedono Mos ed i Profeti,
ascoltino loro! (v. 29).
Noi possediamo le Sante Scritture, Mos (il Pentateuco, la Trh-Legge), i "Profeti" (tutto il resto dell'A.T.). Vedi qui Le 24,27.44. Dobbiamo "ascoltare, ako", ossia, secondo il senso biblico, obbedire, mettere in pratica. Ora, proprio in Mos sta il precetto: "Amerai il prossimo
tuo come te stesso", di Lev 19,18. E proprio nei Profeti infinite volte si
riproclama e si rilancia e si esplicita questo precetto d'oro, perch salvifico, e qui baster citare un grande testo, emblematico:
679
potr sostituire la Santa Scrittura di Mos e dei Profeti. Occorre anzitutto e soprattutto, e forse solo, ascoltare e mettere in pratica la Volont
divina. E qui, in questa parabola, quello che la Volont del Padre nostro
vuole da noi per i "Lazzari fratelli nostri". Chi sono questi Lazzari?
Forse, chi meno crediamo, forse proprio i "ricchi scemi" di ogni giorno, a cui non arrivano Mos ed i Profeti, dunque i "poverissimi tra i poveri", come aveva ben compreso la Chiesa degli Apostoli che and con
l'Evangelo, il Pane che cura ogni ulcera, dai pi poveri, i pagani. E cos
la Chiesa missionaria nei secoli. Oggi la missione apostolica sta anche
dentro casa, presso i "fratelli" atei ed ateisti militanti, proprio mentre
ancora esistono le "nazioni" a cui l'Evangelo non giunge.
Se si ascoltano Mos ed i Profeti, non occorre scomodare Lazzaro,
poich tra breve tempo tutti staremo con lui nel Seno del Padre.
Non occorre invocare che "venga uno dai morti".
Non occorre, Dio ne salvi!, invocare che addirittura ci appaia Cristo
Signore Risorto per convincerci ad "ascoltare le Sante Scritture". Noi
Lo vogliamo, ma intanto ascoltiamo le sue Scritture. E Lo invochiamo:
"Vieni, Signore!" spinti dallo Spirito Santo (cf. Ap 22,17). Ed Egli risponde: "S! Vengo presto!" (Ap 22,20) per stare con noi, non per convincerci a leggere le Scritture, che gi dobbiamo conoscere. E gli Apostoli stessi che Lo videro risorto, ebbero subito fede in Lui, e si convertirono? Non sembra. Dovette prima venire lo Spirito di Pentecoste, e
cos compresero le Scritture.
Ecco perch il Signore Risorto invit una volta per sempre a leggere
Mos e i Profeti: Le 24,25-27 e 44-49. Ed a pregare i Salmi: Le 24,44c.
L si svolge la Grazia della conversione, di l parte l'amore verso i fratelli, i figli dell'Unico Padre nostro che noi amiamo pi di noi stessi.
folgorante, qui, il nesso indissolubile con la "Parola della semina"
della Domenica precedente.
6.Megalinario
Della Domenica.
7.Koindnikn
Della Domenica.
681
DOMENICA 6 DI LUCA
vina. La terminologia viene dall'A.T., e non indica affatto un Dio irritabile e dunque furiosamente adirato, tanto da creare i figli suoi, la sua
"immagine e somiglianz", come "figli dell'ira" distruttiva. In realt,
Dio l'immensamente sconfinatamente perdutamente Misericordioso.
Ma gli uomini con il loro atteggiamento indurito dal peccato antico ed
attuale, si pongono in situazione tale da meritarsi la punizione. E questa, va insistito, non viene affatto dal Dio Buono, bens se la procurano
con ogni mezzo gli uomini stessi. Essi quindi fattisi punizione a se stessi, essi, rovina a se stessi.
Ma proprio qui Paolo interviene, ribadendo quello che proclama dall'A.T. al N.T., dalla Genesi ali'Apocalisse, la Santa Scrittura: in realt
Dio proprio Colui che sussiste (ho ri) come il Ricco di leos, la Misericordia, che ormai il comportamento costante di Lui dopo l'alleanza; torna il motivo al v. 7; gi in Rom 2,4; di nuovo in Tit 3,5. Anzi,
Egli si mostra come Colui che "am" (agap, in aoristo, che indica
l'avvenuto una volta per sempre, in modo fedele ed irreversibile) gli
uomini con amore, agape, molto, eccessivo, e non per i meriti di essi
(v. 4). Anzi, proprio quando erano morti per le loro prevaricazioni.
Questo l'"allora", il tempo perduto per gli uomini, ma non per Dio.
Perch Egli "adesso", e senza possibilit di merito o acquisto o guadagno umano, per pura Grazia di salvezza, li "con-vivific"
(synzopoi) con Cristo (v. 5), e li "con-resuscit (synegir)", e li
"co-intronizz (synkathiz)" nei cieli altissimi "nel Cristo Ges" (v. 6).
Sopra, per Y Apstolos della Domenica 4a di Luca, si mostrato il si-gnificato
straordinario dei verbi paolini composti con la particella syn, "insieme
con", e se ne dato un quadro operativo e teologico. straordinario il
senso di tutti questi verbi, e qui tutti e tre quelli usati indicano la vita e
la gloria donate dal Padre agli uomini "con, in" e perci mediante il
Figlio: dal Figlio infatti tutta l'opera cos difficile, dolorosa, sempre
drammatica per colpa degli uomini, avviene a partire dalla Carit divina
del Padre, che esiste non "adesso", ma dall'eternit del suo Disegno.
Essa opera in atto continuo nel Figlio, e si conclude con il Dono
inconsumabile dello Spirito Santo. Il quale vivific e resuscit Cristo,
Lo glorific, Lo intronizz alla Destra del Padre. Cos Paolo esplicita
anche da questa parte la grande legge della salvezza, che aveva
enunciato pi volte: "quanto il Padre oper per il Figlio, il medesimo
con il medesimo Spirito opera anche per gli uomini": Rom 8,11; e gi
1 Cor 6,14; 2 Cor 4,14, e di nuovo in Rom 6,5.8. Da quest'ultima
citazione, che vale come interpretazione del tema, si evince che tale
opera "per noi uomini e per la nostra salvezza" avviene sempre a partire
dal fatto dell'iniziazione battesimale.
Al v. 7 Paolo ne da la motivazione ed il fine. Tutta 1'"eccessiva carit" divina vuole infatti mostrare (endiknymi, qui in congiuntivo aori683
sto medio) per le et sopravvenienti 1'"eccessiva ricchezza" (hyperbdllon plotos, dove il verbo hyperbdll, come in 1,19, indica la trascendenza, l'eminenza, l'eccellenza al di l di ogni considerazione umana)
della Grazia sua, la chdris. Questo termine nell'A.T. traduce per lo pi
il sostantivo hn, che viene dalla radice hnan, "favorire secondo clemenza", avere tenera compassione, donare largamente la clemenza,
"graziare" qualcuno non meritevole o colpevole. Nel N.T. il hen-chdris
si colora di una sfumatura decisiva: chdris il dono della clemenza,
che resta in colui che l'esperimenta da Dio, e ne riceve un'"impronta",
una forma, un'esistenza nuova. A guardare da vicino, una comunicazione divina, in un certo senso Dio imprime la sua propria forma nell'uomo "graziato", lo trasfigura arricchendolo all'infinito. E questo comunicarsi divino lo Spirito Santo, che come Grazia increata procede
dal Padre ma acquisita per gli uomini dal Figlio morto e risorto. Si
pensi qui alla nuova "forma" assunta dalla Theotkos, che neVaspasms di Gabriele Arcangelo invitto, "la kecharitomn". Questo perfetto passivo un participio "permansivo", che indica una qualit che
non passa pi, da charit. imbarazzante tradurlo con un unico termine, poich significa insieme: Colei che consegu da adesso e per
sempre (da adesso come notificazione, ma dall'eternit secondo il Disegno divino) la "Grazia", il tenero amore divino; Colei ormai ornata di
Grazia cumulata su Lei dall'Amore speciale e singolare del Padre; Colei che contrassegnata dalla bellezza e dalla gioia Chdire, Gioisci!,
precisamente Yaspasms (Le 1,28) della divina Grazia trasformante; Colei che la diletta adornata di ogni Dono divino. In una parola:
Colei che (il perfetto greco) dal primo istante della sua nascita santa
gi stata riempita di Spirito Santo.
Il filo del discorso paolino corre cos: l'esagerata Ricchezza della
Grazia dello Spirito sui fedeli si configura come la "Bont su noi". Essa dal Padre mediante Cristo, ma perennemente "in Cristo Ges", sta su
noi. Anche il termine chrestts raggiunge il suo senso vero, lo Spirito
Santo, Spirito Tuttosanto e Buono e Vivificante, Spirito del Padre e del
Figlio, ma finalmente, adesso, "Spirito anche tutto nostro" (v. 7).
Il v. 8 ripete e ribadisce l'assoluto Gratuito divino gi annunciato al
v. 5: per sola Grazia i fedeli gi sono stati salvati (sz, al participio
perfetto), ma con lo strumento indispensabile, la fede. Questa l'adesione a Cristo, la quale apre al Dono. Il che non pu mai avvenire "ex
hymn", da voi, con le vostre sole forze. Il Dono di Dio non viene da
"opere" che possano meritare, opere che non esistono. E qui Paolo
duro: cos che nessuno possa vantarsi di salvarsi da solo (v. 9). Le opere,
come gi si detto, dovranno doverosamente seguire la fede, per
renderla effettiva, "operante in forza della carit" ricevuta (cf. gi Gai
5,6, diverse volte richiamato).
684
Ed ecco la conseguenza: noi siamo "la fattura (pima)", la creazione del Padre, il Creatore Buono, che ci cre (ktiz) "nel Cristo Ges"
(cf. 1 Cor 1,29) in vista precisamente delle "opere bune". Per esse noi
siamo stati "pre-preparati (proetoimaz, si noti che hetoimz gi da
solo indica "preparare", e qui si aggiunge la particellapro- che rende il
verbo pi pregnante) da Dio stesso, al fine che Egli rivel: in esse noi
dobbiamo "procedere" (peripat), comportarci, da adesso e per sempre (v. 10).
La "teologia della storia" completa: una volta gli uomini erano rovinati e perduti; adesso hanno ricevuto la Grazia dello Spirito Santo, e
nella fede debbono svolgere l'intera loro esistenza redenta e santificata
nella carit verso se stessi, verso il prossimo, verso Dio.
5. EVANGELO
a) Alleluia: Sai 90,1.2, "Salmo didattico sapienziale".
Vedi l'Alleluia della Domenica T e 15"diMatteo.
b) Le 8,26-39
La pericope narra nella redazione lucana la guarigione dell'indemoniato di Gerasa, che la sinossi evangelica presenta cos: Mt 8,28-34; Le
8,26-39; Me 5,1-20. Il testo matteano fu commentato nella Domenica 5 a
di Matteo, al quale si rimanda. Della redazione lucana si evidenziano
qui alcuni elementi assenti in Matteo.
L'episodio sta tra due "segni" potenti del Signore, due grandi "opere
del Regno", ossia la tempesta sedata {Le 8,22-25), e la resurrezione
della figlia di Giairo, il capo della sinagoga: in ci si intervalla la guarigione della donna emorroissa {Le 8,40-56).
Battezzato dallo Spirito Santo al Giordano, il Signore sta dunque
sempre attuando il suo divino Programma per gli uomini, annunciando
l'Evangelo con la sua dottrina, e operando le "opere del Regno", che
strappa al "regno del Male" personificato, del Maligno, guarendo i malati, liberando dai demoni, resuscitando i morti, moltiplicando il cibo
(cf. Le 9,12-17), placando la creazione che si presenta spesso ostile agli
uomini (la tempesta sedata). Ma qui proprio uno dei "segni" miracolosi
del Signore Battezzato la liberazione degli uomini dalla tirannia di satana, che anche la restituzione dei guariti al consorzio umano, e soprattutto all'assemblea liturgica del popolo di Dio.
Il Signore (vedi lo schema di Luca, Parte I) approda sulla riva orientale
Geraseni (vedi nella Don e l la regioned e
"che sta di fronte alla Galilea" (v. 26). Nello sbarcare a terra, si fa incontro un uomo "della citt", non precisata. Egli "possiede i demoni".
685
del lago di Gennesaret, nella regione dei Geraseni (vedi nella Do-
o di Matteo la discussione per questo nome); la precisazione e
Da tempo vive nudo. E non in una casa, bens nei sepolcri vuoti (v. 27).
Tre note terribili, di cui la prima, la possessione diabolica, la peggiore;
ma le altre due che la precisano danno un colore sinistro alla situazione.
Infatti la nudit per un Ebreo la massima vergogna. E si pensi qui che
Ges sulla Croce santa fu posto nella completa nudit dei condannati,
privi di ogni diritto e di ogni dignit umana. Nell'A.T. "scoprire le
vergogne" di un'altra persona, uomo o donna, una delle massime
abiezioni, condannate drasticamente (cf. qui solo Lev 18,6-19). E il Signore quando preannuncia la condanna di un popolo, fosse pure il
"suo" popolo, simbolicamente minaccia che "scoprir le sue vergogne"
in faccia a tutto il mondo; baster qui qualche esempio; la minaccia per
Ninive, il terribile nemico assiro (Nah 3,5); per il pi terribile tra tutti i
nemici, Babilonia (Is 47,2); per la stessa Sposa diletta che fu adultera, il
popolo di Dio (Ez 16,37). Quanto al vivere tra i sepolcri, a contatto con
la corruzione della morte, con le ossa dei morti che sono causa di massima impurit levitica, significa addirittura escludersi dal popolo santo,
anticipare la propria morte; la legislazione era severa, come si vede in
Lev 21,1, la proibizione generale di toccare un cadavere; 22,4, in specie
per un sacerdote; Num 5,2 e 31,19 comminano che l'impuro stia fuori
dell'accampamento; 19,3 prescrive la recisione dal popolo; 9,6, l'impuro
non pu celebrare la pasqua; 19,11, l'impuro rester 7 giorni fuori dal
consorzio umano, poi dovr purificarsi.
Si rilegga in tale contesto il Tropario della Resurrezione, che canta:
"Cristo resuscit dai morti, con la Morte diede morte alla morte, e a
quanti stavano nei sepolcri (en tis mnmasi, espressione tratta proprio
da Le 8,2) don la Vita". Dunque la Vita divina investe i peccatori, che
giacciono nel massimo grado di impurit, quella della morte meritata.
Va appena richiamato che ogni genere di impurit il fatale diaframma che separa dal Dio Vita, il Santo, e che tale diaframma distrutto solo dall'operazione divina.
L'indemoniato scorge Ges, grida disperatamente, si getta ai suoi
piedi e con urla potenti lo mette in guardia: "Che tra me e Te, Ges, Figlio di Dio l'Altissimo?" L'espressione significa circa questo: tra me e
Te non esiste, o ancora non esiste materia di contesa. E prosegue: "Ti
prego, non mi tormentare!" (v. 28). Chi parla mediante la povera bocca
dell'uomo posseduto la potenza maligna. La quale intelligente, sa
che Ges, il Figlio di Dio, l'Altissimo, venuto proprio a combatterlo
ed a depredarlo di ogni suo potere, quindi cerca di conciliarselo, in fondo con un inganno ingenuo, poich Ges aveva gi lanciato il suo esorcismo infallibile: Esci via da quest'uomo! (v. 29a).
Segue la descrizione della terrificante situazione del povero ossesso.
I parenti avevano cercato di aiutarlo e tutelarlo, anche per di proteggersi con catene alle mani ed ai piedi di lui, ma questo infrangeva ogni
686
vincolo, e spinto dal demonio fuggiva per luoghi deserti (v. 29b). E si
sa che i demoni amano spesso perseguitare chi abita o passa per il deserto. Ges ne fu la vittima pi illustre (cf. Le 4,1-13), ma anche l'Unico Vittorioso. La vita dei Padri monastici qui istruttiva.
Viene una scena che non priva di umorismo. Ges conosce tutto. E
naturalmente i demoni, con cui si era incontrato sia nel deserto, sia per
liberarne gli uomini. E fa fnta di chiedergli il nome. La risposta singolare "legione", ossia un numero alto in s, ma quadrato, potente, aggressivo e spregiudicato, proprio come erano le legioni romane. Tutta
questa legione ha invaso quel povero uomo tormentato (v. 30).
Adesso i demoni smentiscono quel "Che tra me e Te?", e terrorizzati
10implorano "invocandolo" (parakalo) di non essere costretti dal suo
comando potente a risprofondarsi nell'abisso. questo il luogo della
massima lontananza dall'"Altissimo". il luogo della tenebra impene
trabile, quando al contrario Dio "la Luce". Il luogo della morte, men
tre Dio "la Vita" (v. 31).
Ges gioca con essi, che gli chiedono di invadere una mandra numerosa di porci che pascolavano sulla montagna. La zona dunque, bench
parte della Palestina, non abitata da Ebrei osservanti, per i quali il
porco uno degli animali impuri, e quindi proibiti (cf. Lev 11,7). I demoni sono impuri per definizione. Essi amano l'impurit. il loro regno. Se ne pascono, e la usano per portare gli uomini alla rovina. Ges
11 accontenta (v. 32).
Il gioco che Ges contestualmente libera il povero indemoniato, e
fa s che la mandra dei porci, assalita da quella folla di demoni terrorizzati, precipiti proprio dove questi non volevano, nel "mare", simbolo
dell'abisso di morte, anche per i poveri animali innocenti (v. 33).
I porcari assistono impotenti alla scena, senza comprenderla, e non
possono che scappare a riferire il fatto "alla citt e nelle campagne" (v.
34). Di qui accorrono le folle. Vedono Ges e il malato ormai recuperato,
ossia "vestito e rinsavito", non solo, ma che ai piedi di Ges Lo
ascoltava. Le folle ne hanno paura (v. 35), perch altri testimoni avevano riferito i fatti: la salvezza dell'indemoniato (v. 36). Perci i buoni cittadini e i villici dell'intera zona dei Geraseni, invasi dal terrore, pregano
Ges di andare via da loro. Ges non replica, risale sulla nave e torna
alla riva occidentale del lago, per continuare la sua missione (v. 37).
La conclusione dell'episodio significativa. Il guarito chiede di restare con Ges, di seguirlo, di farsi suo discepolo, affascinato sia dal
fatto accadutogli, sia dalla sua parola. Ma Ges lo rinvia (v. 38), incaricandolo di una missione importante: tornare a casa, dai suoi, e largamente narrare (digomai) l'operato di Dio. E quello docilmente obbedisce, non solo verso la casa sua, ma.per tutta la citt, "predicando"
(kryss, verbo tecnico dell'E vangelo) l'operato di Ges (v. 39). Egli
687
dunque ha compreso che il Regno di Dio, che si avanza via via che i
demoni sono espulsi, opera di Ges. E infatti non molto dopo Ges
stesso spiegher a gente tenacemente inconvincibile:
Ma se Io espello i demoni con // Dito di Dio,
dunque giunse ormai tra voi il Regno di Dio (Le 11,20).
Ora, il parallelo di Mt 12,20 dice:
Ma se nello Spirito di Dio Io espello i demoni,
allora giunse su voi il Regno di Dio.
La grazia della guarigione aveva aperto gli occhi del cuore al povero
indemoniato sanato. Cos questo percorre la regione procurando che
chi ascolta le opere di Ges glorifichi Dio nel suo Regno.
La Chiesa dona la medesima grazia con il santo e trasformante rito
dell'iniziazione battesimale. I fedeli "illuminati" (phtizmenoi, phtistntes) debbono tenere gli occhi aperti sulla loro condizione di liberazione dai demoni, e quindi sulla gloria del Regno.
L'episodio deve aiutarci anche a riconsiderare oggi la gravissima
esplosione (improvvisa, o preparata da molto tempo?) del satanismo,
dei culti terrificanti resi al Maligno, nella sola curiosit relativa, folcloristica, dell'opinione pubblica, che non si rende conto del danno immane prodotto nelle anime.
7.Megalinario
Della Domenica.
8.Koinnikn
Della Domenica.
La "pace" nel Sangue della Croce va letta dunque nella visuale della
purificazione, della protezione, della vitalizzazione, della funzione propiziatrice, della riconciliazione, del porre in comunione sia con Dio, sia
tra gli uomini, come si vide sopra. In questo senso Cristo Signore "nostro" "la Pace nostra", ed anche questo si vide sopra. L'opera con cui
si pone ormai solo Lui come "la Pace", mostrata da quanto segue.
La situazione degli uomini alla Venuta del Figlio di Dio era tragica,
essendo quelli divisi in due frazioni, hoi ampliatemi, alienati, separati,
ostili, viventi Ychthra, l'inimicizia mortale. Si pensi alla lotta delle
nazioni: Egiziani, Cananei, Filistei, Assiri, Babilonesi, Persiani, Siroellenisti, Romani ed altri contro il popolo di Dio, sempre tentato di restituire la medesima inimicizia. Il segno di questo era la parete di separazione che nel tempio di Gerusalemme divideva, sotto pena di morte
per i violatori, 1'"atrio dei pagani" dall'interno del santuario, misura riconosciuta perfino dai pesanti dominatori che erano i Romani. Tale
muro stato ormai "sciolto", ly (al participio aoristo puntuale), ossia
distrutto sul piano che conta, quello spirituale. I commentatori in genere
qui pensano al "velo del tempio" squarciato alla morte del Signore
(cf. Mt 27,51, e par.), per cui la divina Presenza ormai pu estendersi
anche fuori del santuario. Tra Israele e le nazioni pagane in Cristo deve
regnare "la pace". Le due "parti", t amphtera, diventano "unica
realt", neutro hn. Paolo torna su questo motivo molte volte, come gi
in Gai 5,6; 6,15; Col 1,21 con il tipico "una volta... adesso"; e vi unisce
l'effetto della Croce {Gai 3,28; Col 2,14).
Egli per riconduce tutto all'inizio della vita di fede, che il battesimo, in testi come quelli che seguono, nella loro successione cronologica:
Tutti infatti siete figli di Dio
mediante la fede in Cristo Ges:
quanti infatti in Cristo foste battezzati,
di Cristo vi rivestiste.
Non esiste Ebreo n Greco,
non esiste schiavo n libero,
non esiste maschio n femmina:
tutti infatti voi "unico (uomo)" siete in Cristo Ges.
Se poi voi di Cristo (siete),
allora seme d'Abramo siete,
secondo la Promessa eredi (siete) {Gai 3,26-29);
Parla infatti la Scrittura:
"Ognuno credente in Lui, non sar confuso" {Is 28,16). Non
esiste perci distinzione di Ebreo e di Greco, infatti il
Medesimo il Signore di tutti,
692
b) Le 8,41-56
Luca narra di seguito 4 miracoli del Signore, "segni" potenti della
sua missione messianica tra gli uomini, e conseguenza della sua consacrazione battesimale da parte del Padre e ad opera dello Spirito Santo.
Cos dopo la tempesta sedata (Le 8,22-25), la liberazione dell'indemoniato di Gerasa (8,26-39), guarisce la donna emorroissa e resuscita la
figlia di Giairo (8,40-56), quindi invia in missione i discepoli (9,1-6).
Ora, questa missione non altro che prosecuzione di quella del Signore: annunciare l'Evangelo, operare le opere potenti del Regno; un primo saggio, poich la missione degli Apostoli pu avvenire finalmente
solo dopo il loro battesimo con il Fuoco di Pentecoste.
Ges dopo il fatto dell'indemoniato di Gerasa aveva traversato il lago verso la sponda occidentale. accolto dalla folla festante, nella gioia
di averlo ritrovato, poich l'aspettativa di tutti ha come unico oggetto
quell'Uomo soave e forte, sapiente e misericordioso. La folla sa bene
che Egli non rifiuta il soccorso solo se invitato (v. 40). Si stacca dalla
folla uno, di nome Giairo, in ebraico J 'ir(-Jh), "il Signore illumina",
uno stupendo nome teoforico, circa come proclama il Salmista, quando
acclama: "II Signore Luce mia e Salvezza mia!" (Sai 26,1).
Egli il capo della sinagoga locale, a Cafarnao. Quest'ufficio, quando
al ritorno dall'esilio si riorganizzarono le assise civili e religiose dei
reduci, sotto la guida assennata di grandi fedeli come Esra e Nehemia,
era affidato in genere a laici preparati. Le sinagoghe, in ebraico il termine era bet ha-midras, "casa della ricerca", dello studio, avevano diversi compiti. Anzitutto il dews, la "ricerca", o studio della Trh, la
Legge, ed il resto delle Sante Scritture dell'A.T., per i volenterosi;
quindi la formazione dei giovani a questo lavoro, considerato dai rabbini
successivi come la prima di tutte le opere della Legge; il culto sabatico
era cos assicurato dal personale pronto, e dunque le letture della Trh
e dei Profeti, con il canto dei Salmi e di altre preghiere; la sinagoga
poteva anche ospitare i pellegrini sia in visita, sia di passaggio verso
Gerusalemme. A tutto questo sovrintendeva Y archisynaggs, ebraico
hazzn, che era molto rispettato per la carica prestigiosa che ricopriva,
in specie nei piccoli centri.
Anche Giairo era tra i prosdokntes, quelli che attendevano Ges.
Non a caso Giovanni il Battista per convincere i suoi li invia da Ges
con la precisa domanda: "Tu sei 'il Veniente', o un altro attendiamo
(prosdokmenfC (Le 7,19-20). 'Il Veniente', 'Colui-che-viene', greco
ho Erchmenos, ebraico Ha-B\ l'Inviato dal Signore, come cantava
da secoli il Sal 117,26a: " benedetto dal Nome del Signore Colui-cheviene!", e come ancora tutte le Chiese della Tradizione cantano con il
Trisgion. Perci Giairo sa che Colui-che-viene venuto. Gli si getta ai
piedi, come si usa con un sovrano o con una persona venerata, e lo "in697
voca" (parakale) acche entri in casa sua (v. 41). implorare cos la
Grazia della Venuta divina, di ottenere la Presenza divina mediata da
Ges e ormai sentita come una possibile "familiarit". La motivazione
straziante: Giairo ha un'unica (monogens) figlia, di dodici anni e
perci ancora bambina, "ed ella moriva", stava morendo. Si deve sempre immaginare la sofferenza mortale di quei padri e di quelle madri
che hanno implorato Ges come la Salvezza che viene, e mai per loro,
bens sempre per i loro figli. Anche il figlio della vedova di Nairn era
unico, e la madre come vedova e sola, era orbata dunque di tutta lavita
che le restava (cf. Le 7,11-17; vedi Domenica 3a^ ^ca'; cos la figlia della
Siro-fenicia (Mt 15,21-28; e Domenica 17a di Matteo).
Qui Luca costretto da Ges a spezzare la narrazione, con l'intrusione inaspettata di un episodio diverso, l'incontro con una malata grave, la donna emorroissa. Costretto, in quanto nella narrazione sinottica
unanime sembra qui come se Ges volesse perdere qualche tempo, come avvenne per Lazzaro "malato" (cf. Gv 11,1-11). Ma allora, come
per Lazzaro, Ges vuole che la bambina che "stava morendo", muoia
davvero, per esibire ai genitori e alle folle, come a Marta e Maria e a
quelle altre folle, un miracolo "pi grande" di una guarigione, una resurrezione? Non sembra. Tra la notizia di Lazzaro malato e la sua morte,
corsero pochi momenti, cos che quando Ges arriva, lo trova nel
terrificante fetore della corruzione di morte, avvenuta 4 giorni prima
(Gv 11,39). Cos Giairo si reca da Ges sulla riva del lago, mentre approda, e cos Lo interpella. Ges si incammina, forse per qualche chilometro, e la bambina moribonda intanto sta spirando. E allora, non solo
Ges non si esibisce in imprese mirabolanti davanti agli occhi dei presenti, degli uomini di ogni tempo, ma, come si avuto occasione di dire, davanti alla morte addirittura trema e piange (vedi ancora Evangelo
della Domenica T Luc<*>- ^S1* ama Ta ^^ Polcne e la Vita. H motivo
che Ges si cura di tutti, ed a tutti dona se stesso.
L'incontro dei vv. 42b-48, con una povera donna anonima. La
Chiesa antica ne aveva molta venerazione, poich sembra che ancora al
tempo di Eusebio di Cesarea (prima met del sec. 4) si conservasse a
Bania una statua di Ges fatta eseguire da lei guarita. Perci Ges procede, circondato e pressato dalla folla (v. 42b), tra la quale si era inserita la donna senza nome. Il v. 43 descrive sobriamente il male da cui era
afflitta senza rimedio: "en rhysei himatos", viveva con perdite di sangue che le rovinavano l'esistenza; non sono dati altri particolari di
identificazione patologica, e dunque inutile ipotizzare, anche a partire
dal fatto che era donna. Invece dobbiamo pensare alla sua realt attuale: da dodici anni era afflitta dal male, aveva speso "tutta la sua vita,
bios", ossia ogni sua sostanza per parcelle mediche, ma senza alcuna
vera "cura" (therapu), tanto meno dunque guarigione (v. 43). Il qua698
dro clinico sobrio, e con una punta di umorismo, per mostrare che talvolta i medici sono inefficaci, e talvolta sono "senza forza, ouk ischy",
impotenti davanti al male, gi grave. Per la donna ebrea, ed il suo
male tra quelli che una casistica minuziosa condannano come causa
di esclusione dall'assemblea liturgica (Lev 15,25-33). Per un Ebreo,
stare al margine del culto significa insieme la morte civile e religiosa, e
il dolore pi irrimediabile. Il Salmista, un levita lontano dal santuario
per ben altre cause, si lamenta con il suo Signore: "Come cerva anela ai
rivi d'acqua... L'anima mia ha sete del Dio Vivente quando potr
comparire alla presenza di Dio?" (Sai 41,2a.3).
Si pu leggere dentro l'anima esulcerata della donna malata, dal suo
atteggiamento verso Ges, mentre assume forse la fede e la fiducia del
medesimo Salmista: "Spera in Dio, poich ancora potr lodarlo, Egli
salvezza del mio volto, e Dio mio", della mia alleanza (Sai41,12cd).
Dunque si fa ardita, bench vergognosa, e da dietro tocca l'orlo della veste del Signore. L'annotazione dell'Evangelista istantanea: "e
immediatamente ristette il flusso del sangue di lei" (v. 44). Quando sopra si parlato della funzione plurima del "sangue", si intendeva sempre "della vittima sacrificale offerta" sull'altare, mentre era versato intorno all'altare, e con esso si ungevano i corni dell'altare stesso. Ma
esisteva la proibizione severa di fare altro uso del sangue, sia in forme
idololatriche di culti vari (come era ampiamente costume nelle religioni
antiche), sia come cibo (Lev 17). Del sangue esisteva un orrore ben
giustificato, in specie di quello del fratello che qualcuno versava imitando Caino (Gen 9,1-6). Perci il sangue umano non doveva essere affatto materia di qualsiasi uso, pena l'esclusione dalla comunit o la
morte in caso d'omicidio. Quando la donna che ha versamenti di sangue guarita, rientra nella pienezza della vita, nella purit di essa, nelle
norme di partecipazione al culto del suo popolo (Lev 25,28-30). H parallelo di Me 5, che molto pi lungo e completo, annota che la donna
"conobbe con il corpo che era guarita dalla piaga" (Me 5,29). Il prodigio, insomma, istantaneo (v. 44).
La reazione di Ges complessa, se vista in Me 5,30-32: Ges sente
che quando la donna tocca l'orlo della sua veste, una dynamis, ossia
una forza potente, esce da lui, e mentre interroga i discepoli si guarda
intorno "per vedere quella che questo aveva fatto" (Me 5,32), ossia
aveva compreso che si trattava non di uno nella folla, ma di una donna.
In Le 8,45, che rapido, Ges domanda solo: "Chi il toccante Me?".
Tutti negano tale azione, ed il solito Pietro cerca di spiegare: le folle lo
stringono, e lui cerca uno solo? Ma Ges lo sa bene, poich quella forza
guaritrice uscita da Lui, e perci qualcuno deve averla sollecitata
toccandolo (v. 46). La donna guarita qui si comprende da Marco:
Ges cercava tra le donne "quella" vede che non si pu nascondere.
699
Prima si era posta dietro Ges, adesso tremando bens, si prostra a Lui
e gli spiega per quale causa abbia sporto la mano verso la sua veste,
mentre tutto il popolo ascolta e cos apprende della guarigione immediata (v. 47).
Ges attendeva proprio questo, e dunque le dice: Figlia, la tua fede
ti ha salvata, procedi in pace. Tre parole importanti (v. 48) che terminano
l'episodio. La donna anzitutto "figlia" amata, il Padre mostra la sua
carit inviandole insieme la fede ed il Figlio suo, e con ci la salvezza
nell'apertura della fede. E finalmente, la donna ha il dono della pace,
eirn, quella che viene dall'Alto e che ricrea l'esistenza.
Ancora una volta, come ci si deve aspettare, il miracolo segue la fede preesistente, non produce la fede se non in chi vi assiste. Il beneficiato deve porre il Signore in grado di intervenire, e questo pu avvenire solo con la pistis, la fede che salva. Il dono principale la fede divina, inizio certo della salvezza. Il "miracolo" che Ges opera in vista
di strappare al Male nelle sue pompai, le sue intromissioni contro gli
uomini innocenti, l'impero tirannico che immobilizza l'uomo in tante
forme. Qui sta la vera malattia. Qui opera il Male.
Riprende adesso l'episodio della figlia di Giairo. Come si potuto
vedere, sembra che la donna emorroissa ora guarita abbia fatto perdere
tempo prezioso a Ges, che se fosse corso dalla bambina morente, forse l'avrebbe fatta sopravvivere. Infatti viene qualcuno da Giairo, che di
certo fremendo sta ancora con Ges e forse lo sollecita con lo sguardo;
il messo impietoso, come lo furono allora i cortigiani con David,
quando interroga: "Mor il bambino?" avuto dalla relazione con Betsabea, e quelli che rispondono: "Mor" (2 Re (= 2 Sani) 12,19). L'uomo
dunque dice: "Mor la figlia tua", e le crude parole sono quasi inchiodate dalla sentenza successiva: "Non dare fastidio al Maestro" (v. 49).
Non serve pi. Il Maestro pu curare una donna malata, non pu resuscitare una bambina morta.
Il Maestro meraviglioso. Non si offende, non si turba, non si inquieta per l'offesa di essere considerato ormai inutile. Invece si rivolge
al padre disperato, e mentre gli chiede due fatti, gliene assicura un
altro: la bambina sar salvata. Per il padre deve non avere terrore di
essere abbandonato da Ges, e deve "solo credere" (v. 50). Rimosso
il terrore, ecco la fiducia; rimosso ogni altro sentimento, ecco "solo la
fede". In un certo senso, la bambina salvata dalla fede del padre, il
quale cos si trova ad averla generata due volte, quando fu concepita,
e adesso.
Finalmente Ges entra nella casa in lutto, e prende con s solo Pietro e Giovanni e Giacomo suo fratello.Sono i primi chiamati dal Signore (cf. Le 5,1-11; e Domenica l a di Luca), in certo modo il suo gruppo
dirigente; li prender con s ancora alla Trasfigurazione, nel
700
DOMENICA 7* DI LUCA
della vita nuova. E questo sguito comincia dalla santa Mensa, nel Cibo nuovo, nella Bevanda nuova. Anzi, la santa Mensa della Parola e di
questi trasformanti Misteri scandir da adesso in poi la loro esistenza.
Ne sagger la sanit con la sua frequenza. O la malattia nella sua inappetenza, che viene dalla sordit alla divina Parola.
La reazione dei presenti non narrata. Solo i genitori comprendono
di trovarsi davanti al terribile Divino, e "uscirono fuori" di s, alla lettera (existmi, la stessa radice di kstasis). la meraviglia che apre alle
opere potenti del Signore, che investe il cuore laudante e rendente grazie (v. 56a).
Ges ordina ad essi di non parlare affatto dell'accaduto (v. 5b).
Verr poi il tempo, quando l'Evangelo lo far risuonare sotto il cielo in
tutta la terra.
7. Megalinario Della
Domenica.
8.Koinnikon Della
Domenica.
703
b)Efes 4,1-8
La lettura di Efesini prosegue. Secondo lo schema generale dell'epistola, il cap. 1 canta (cf. l'"inno" di 1,3-14) ed espone il Disegno del
Padre nella benedizione salvifica dello Spirito Santo conseguita dai fedeli ad opera di Cristo Signore, che occupa il centro ed il primato in
tutta quest'opera, riempiendo i cieli con la gloria della sua Umanit risorto. Il cap. 2 passa a spiegare questa salvezza "per sola Grazia" divina, nella riconciliazione di Ebrei e pagani con Dio e tra essi. Il cap. 3
afferma che Paolo l'apostolo del Mistero di Cristo tra i pagani, ministro umile di tale Mistero. Finalmente, il cap. 4 traccia il programma
severo che i redenti debbono attuare secondo la loro vocazione superna, nella vita nuova in Cristo; ci si prolunga fino a 5,20. Poi da 5,21 a
6.9 il programma specificato nelle tre principali condizioni dell'esi
stenza cristiana: gli sposi, i figli ed i padri, gli schiavi ed i padroni. Da
6.10 a 20 Paolo riassume tutto: prepararsi sempre al terribile combatti
mento "nello Spirito Santo". I saluti vengono a 6,21-24.
Con il cap. 4 si raggiunge dunque il centro "pratico", per cos dire,
della vita fedele. Esso raggiunge punte di grande intensit, poich Paolo si rivolge solo per scritto, non di persona, ai suoi amati Efesini, una
Comunit che fond, anzi, su cui provoc la Pentecoste, la 5 a dagli
Atti (cf. At 19,1-7). Egli prigioniero a Cesarea, per la prima vol704
DOMENICA 8a DILUCA
ta (a. 59-60?), in attesa del processo, che per quella volta port alla sua
assoluzione.
Dalle sue catene perci l'apostolo Paolo invia la sua esortazione (verbo
parakal), fondandosi sul titolo di "legato nel Signore", che Cristo
Risorto, dove il termine dsmos (da d, legare, incatenare, ammanettare), indica non solo la prigionia materiale, ma anche l'impedimento alla
missione, ed infine anche l'accettazione della sua condizione secondo
quanto il Signore dispone. L'esortazione simile a quella che dalla stessa
condizione, alla stessa epoca, Paolo aveva rivolto ai Colossesi {Col
1,10): procedere in avanti sulle vie di Dio, in modo degno della vocazione
a cui i fedeli furono chiamati (kal, all'aoristo passivo v. 1). Il che
implica una serie di "munizioni da strada", come si dice in gergo militare. A sorpresa, Paolo non pone la forza o il coraggio, bens l'umilt (tapeinophrosyn), poi la mansuetudine (prauts) e la magnanimit (makrothymia), poich queste furono le visibili ed efficaci doti di Cristo sotto
la persecuzione degli uomini. Non solo, ma sono le qualit con cui Egli
cerca di attirare a s gli "affaticati e stanchi", poich Egli "mite (praus)
e umile (tapeins) di cuore" (cf. Mt 11,28, nel "giubilo messianico" dei
vv. 25-30, termini omessi dal parallelo Le 10,21-24).
Con questi sentimenti, l'esortazione ad accogliersi reciprocamente
nella carit (v. 2), il fatto pi difficile nella vita comunitaria, come
evidente fino ad oggi. E questo avviene se si tende con zelo e tensione
a "custodire l'unit dello Spirito", la comunione che opera lo Spirito
Santo, accettando "il vincolo (syndesmos) della pace" (v. 3). chiaro il
riferimento: Paolo nei vincoli della prigionia materiale (dsmios), fa
comprendere che essere nei vincoli spirituali della pace operatrice di
bene, una condizione di essere "legati" per la causa del Signore.
Il testo che segue enorme per il contenuto e per la portata. Esso
segna anche come avvenga l'approccio delle Ipostasi divine della
Triade beata con gli uomini fedeli. la "via d&Y Oikonomia", che i
Padri, che l'approfondirono sempre, formularono cos: lo Spirito Santo
viene per primo per rivelare Cristo, il quale in se stesso come Icona
rivela il Padre, e nello Spirito Santo riporta al Padre (S. Basilio). Cos
nei vv. 4.5.6, con le conseguenze al v. 7, e il sigillo dell'Evento di
Cristo al v. 8.
Ed anzitutto considerata l'opera dello Spirito Santo, che crea "l'unico corpo" di Cristo nell'unit richiamata (hents) e goduta, essendo
"l'Unico Spirito". Questa la misura generale primaria: all'unico corpo
dall'Unico Spirito i fedeli furono chiamati all'unica speranza (elpis) che
sia donata e sia possibile agli uomini, che ha la base irremovibile nella
klsis, la vocazione divina. Chi chiamato riceve lo Spirito Santo nell'iniziazione battesimale, ma chi accetta l'iniziazione battesimale ha il
"segno" della vocazione divina operata dallo Spirito Santo (v. 4).
705
sti qui a lungo richiamati, Lev 19,18, sul precetto della carit verso il
prossimo, e Lev 18,5, sul "faquesto e vivrai", che sar visto tra poco. Il
grande testo profetico Ez 18,5-9, che vale sempre la pena riportare
per una lettura comparativa:
E se un uomo sar stato giusto,
ed avr operato diritto e giustizia,
sulle alture (idololatriche) non avr mangiato
e gli occhi suoi non avr alzato agli idoli della casa d'Israele,
e la sposa del prossimo suo non avr violato,
e alla donna nel suo tempo non si sar accostato,
ed un uomo non avr contristato,
il pegno al debitore avr restituito,
con violenza nulla avr rapinato,
il pane suo all'affamato avr donato,
e il nudo avr ricoperto di vesti,
ad usura non avr prestato,
e il di pi non avr preso,
dall'iniquit avr allontanato la mano sua,
e giudizio equo avr dato tra uomo ed uomo,
nei precetti miei avr camminato,
e i giudizi miei avr custodito per fare la verit:
questi giusto, di vita vivr
parla il Signore Dio!
una specie di "somma" di comportamento, che in fondo la "morale dell'alleanza" alla quale il Signore astringe tutti suoi fedeli. A questa i fedeli del Signore si debbono sempre rifare per "fare la verit", ossia vivere nella fedelt divina. Se la morale dell'alleanza divina sar
esattamente adempiuta con il cuore e con la mano, ogni fedele del Signore sar dichiarato "giusto", ossia misericordioso, e da questo ricever il dono supremo: "di vita vivr", espressione semitica che significa "realmente vivr", secondo la Parola del Signore che mai esce invano
dalla sua bocca divina (cf. qui Is 55,10-11).
Non facile per un cristiano moderno affondare la sua sensibilit,
derivata in genere dal solo N.T., in tanta ricchezza, la quale non solo
preparatoria, programmatica, ma anche una vita in atto. Certo, non da
tutti i fedeli d'Israele, se Ezechiele stesso ai vv. 10-13 dir parole di
fuoco sul contrario che avveniva normalmente nel quotidiano.
Si anche detto che il N.T. segue esattamente questa linea, e si pu
vedere questo con evidenza sbalorditiva in Mt 25,31-46, quando nel
Giudizio finale tutti gli uomini saranno chiamati a rispondere sulle opere
di carit esercitate, o no, verso il prossimo (vedi Domenica delVApkreos).
710
DOMENICA 8 DI LUCA
scribi e farisei dice il celebre "Fate quanto insegnano, non quanto praticano, e custoditelo" (Mt 23,3). Il Signore sceglie qui come esempi un
sacerdote ed un levita per diversi motivi. Il sacerdote passa "per caso"
lungo quella via, discendendo, certo proveniente da Gerusalemme, vede il ferito "semi-morto", procede via (v. 31). Viene sul luogo anche un
levita, vede e passa via (v. 32).
Qual' la colpa dei due, poich sono revocati come colpevoli dal Signore? Di certo, niente affatto per la loro semplice condizione ereditaria, che li fa sacerdote e levita secondo la Legge. Ma come sacerdote, il
primo custode, proclamatore, spiegatore, applicante la Legge santa
nella sua letteralit. E per la Legge santa precisamente, se si vuole
riassumere e condensare, proclama l'amore verso il Signore Dio Unico,
il Dio dell'alleanza, e l'amore verso il prossimo. E i due massimi precetti formano tale unit, da non aversi la pratica di uno senza la pratica
dell'altro. Il secondo, quale levita, era il dirigente delle sante liturgie
nel tempio, dove la Legge divina era proclamata, predicata, ed in specie era compito esclusivo dei leviti dirigere i canti dei Salmi durante i
sacrifici come acclamazione del Signore lodato ed a cui si rendono grazie. Essi perci pi e meglio e prima di tutti sanno che si pu amare il
Signore solo se si passa attraverso l'amore pi difficile, quello verso il
prossimo. E proprio qui sta la colpa: per troppo amore, il pi facile
verso il Signore, non vogliono contaminarsi con il sangue dell'uomo ferito, creduto morto, poich vogliono restare nella condizione di
purit legale, e non perdere la loro intattezza.
"Un Samaritano per, de" sta in viaggio (hoduri), capita vicino al
ferito, lo vede, ed ha "viscere di misericordia" (splagchnizomai, verbo
della divina Misericordia; cf. l'ebraico rham), verbo in genere dal
N.T. riservato a Ges stesso (v. 34). Egli un Samaritano, un estraneo
ad Israele, poich "non si trattano (sygchromai) Ebrei e Samaritani"
(Gv 4,9), dunque un nemico latente. Durante l'esilio, gli Ebrei restati in
patria si erano frammischiati con diverse popolazioni pagane deportate
in Samaria dagli Assiri (dopo il 721 a.C), e ne avevano assunto usi e
costumi anche religiosi; avrebbero voluto confluire con i reduci dell'esilio e riformare di nuovo il popolo di Dio, secondo l'alleanza dei Padri. I reduci vi si rifiutarono drasticamente, e le ostilit tra i due popoli
da allora furono frequenti. I Samaritani erano considerati semi-eretici, e
di condizione impura, perci non ammissibili nell'assemblea liturgica
d'Israele secondo la fede e le norme di purit dei Padri.
Eppure il Samaritano ha il moto di misericordia divina verso l'Ebreo
nemico. La grazia della carit lo ha visitato. Questo tratto in genere,
riconosciuto anche dai gelosi rabbini lungo i secoli, i quali, riflettendo
sui celebri versetti, abbastanza misteriosi, che sono Sai 117,19-20:
713
Ges conosce la rettitudine del legisperito. Perci sa che risponder bene, quando gli domanda: chi dei tre, il sacerdote, il levita, il
Samaritano, sembra a lui che sia "diventato il prssimo" di quello che
cadde tra i ladroni (v. 36). Se carit fa "diventare prossimo", allora
vincolante.
La risposta pi che ovvia: il legisperito non fa che affermare quanto la Legge ed i Profeti proclamano. Dunque: "chi esercit 'Vleos, la
misericordia' divina verso quello" (v. 37a). Il Signore promette in eterno
Yleos per i suoi fedeli, e per esige che essi esercitino il medesimo
leos verso i fratelli, e cos YElemn per eccellenza si acquista il popolo di elemones. Chi non elemon, sta di diritto automaticamente
fuori di questo popolo santo, bench non di fatto.
Cos quando Ges propone al legisperito: "Va, e anche tu agisci similmente" (v. 37b), offre al suo interlocutore "tentatore" di entrare pi
lucidamente, pi consapevolmente nella sfera cos illimitata, e purtroppo anche cos spopolata, della divina misericordia per i fratelli, per tutti
e per ciascuno dei fratelli. E riconosce anche la bont di fondo, che lo
render con la Grazia anche capace di essere elemon, misericordioso.
La "parabola del buon Samaritano" tra le pi famose. Nei secoli
stata anche tra le pi amate, approfondite e predicate. stata oggetto di
infinite riflessioni ed applicazioni. Si sono anche moltiplicate a dismisura le allegorie, ossia le ricerche minuziose dei singoli particolari isolati, dimenticando il complesso, e cos sono venute le applicazioni credute teologiche e morali senza base. Ges stesso sarebbe il buon Samaritano, che avrebbe rigettato sacerdozio e levitismo; i ladroni sarebbero
i peccati; i due denari la grazia, come l'olio e il vino; il ferito sarebbe
l'umanit, e cos via.
La parabola del Signore un insegnamento integrale, un tutto, nella
sua eventuale crudezza. Cristo Signore si "fatto prossimo" agli uomini
con l'Incarnazione e la Croce e la Resurrezione e la Pentecoste dello
Spirito Santo. Si "fatto prossimo" soprattutto di tutti quelli, di ogni
tempo e regione, che siano stati feriti dalla vita. Ma cos, anche ciascun
uomo pu essere il ferito, o il sacerdote e il levita, o il Samaritano.
Spetta a ciascuno dunque accettare nella sua coscienza di "andare ed
agire similmente" al buon Samaritano, non curandosi d'altro, che di
proseguire verso il "prossimo" individuato e perci amato, l'opera del
Grande Prossimo, VImmanuel, il "Con-noi-Dio".
7.Megalinario.
Della Domenica.
7.Koinnikn
Della Domenica.
715
La Luce divina negli uomini che accettano di farsi fare luce, produce "il frutto". Un testo parallelo parla del "Frutto dello Spirito" Santo:
carit gioia pace,
magnanimit benignit bont {agathsyn),
fede mitezza continenza (Gai 5,22-23a).
dunque 3 triplette analoghe. Anche in Efes 5,9 viene "il frutto della Luce", con una tripletta: bont {agathsyn) e giustizia e verit. Il nesso
Spirito Santo - Luce evidente. la Grazia che deve produrre il suo
frutto secondo il suo scopo.
In questa condizione, i fedeli dovranno sempre provare (cf. Rom
2,2; 1 Tess 4,3), attraverso giudiziosa esperienza, che cosa sia gradito
(eureston) al Signore, ossia che si deve operare per adempiere la sua
Volont per noi (v. 10). Paolo gi lo ha indicato in un testo celebre di
Rom 12,1, che un'esortazione "per la Misericordia di Dio", ossia secondo la Bont divina per noi:
Io vi esorto (parakal), perci, fratelli per le
Misericordie (oiktirmi) di Dio, a presentare
i corpi vostri quale vittima vivente santa
gradita a Dio, lo spirituale culto vostro,
dove "spirituale" traduce rigorosamente logik (latria), sapendo che tra
logiks epneumatiks esiste identit, ed interscambio: quanto opera il
Lgos, pneumatiks, e quanto il Pnuma, logiks. Vedi anche FU 3,3.
In Rom 12,2 Paolo si raccomanda di non "conformarsi a questo secolo" che malvagio. In Efes 5,11, testo analogo, egli esorta a non "avere
con-comunione" (alla lettera, synkoinn) alle opere della tenebra che
sono dannosamente sterili, "senza frutto" di vita. Tali opere vanno confutate sempre (elgchein) (v. 11). Ora, "la tenebra" (sktos), non una realt
impersonale, si tratta purtroppo di uomini, e spesso di con-fratelli. Questi
operano nascostamente, tanto pi insidiosamente e rovinosamente, ma anche inquinando le coscienze e lo stesso linguaggio, cos che quelle azioni
sono vergognose, ed vergognoso perfino parlarne tra i fedeli (v. 12).
Questi a loro volta debbono operare una chiusura radicale, talvolta imbarazzante, ma necessaria. Debbono esercitare una netta confutazione (di
nuovo elgch) proprio in quanto sono "luce", e cos debbono far s che
quelle opere si manifestino: in tutto il loro orrore, per essere respinte. Che
se poi si trattasse di opere buone, si manifesteranno come "luce" (v. 13).
Paolo conferma la sua argomentazione citando la Scrittura, con la
formula poco frequente: "Perci parla (la Scrittura)" (cf. Efes 4,8). Il
718
al Signore (v. 19). questa la fonte della vita spirituale: la santa Liturgia, come conferma il v. 20 (fuori della presente pericope), dove Paolo
vuole che gli Efesini "rendano grazie, eucharistontes" a Dio e Padre,
sempre e per tutto, nel Nome del Signore nostro Ges Cristo. Il termine
tecnico eucharist qui indica la celebrazione della Cena del Signore.
6. EVANGELO
a) Alleluia: Sai 17,48.51, "Salmo regale". di
Vedi l'Alleluia della Domenica 2a e 10adi Matteo; la
di Luca
b)Le 12,16-21
II contesto della presente parabola la "salita a Gerusalemme" (cf.
Le 9,51 - 19,28; e lo schema di Luca, nella Parte I). Il Signore battezzato dallo Spirito Santo, trasfigurato dalla Luce increata nella sua Umanit, preso sotto la protezione della Nube della Gloria che lo Spirito
Santo, si appresta a terminare il "suo esodo che doveva avvenire in Gerusalemme" {Le 9,31), verso il Padre, e che si consuma sulla Croce.
Egli prosegue il suo Programma messianico battesimale e trasfigurazionale, che sono l'Evangelo, le opere del Regno, il culto al Padre.
La parabola si pone come esplicitazione dell'Evangelo del Regno,
come enunciato e sua dottrina. In 12,13-34 il Signore propone una vera
"catechesi sulla rinuncia e sulla povert", e cos ai vv. 13-15 contro l'avidit o avarizia, radice di ogni male; ai vv. 16-21 narra la "parabola
del ricco scemo", alla lettera; ai vv. 22-31 rimanda alla fiducia solo in
Dio, che provvede sempre a tutti; il v. 32 l'esortazione al "piccolo
gregge" che mai deve temere; i vv. 33-34 infine presentano il "Tesoro
nei deli". Una catechesi impressionante, di cui i cristiani nei secoli non
sempre sono stati fedeli ascoltatori ed applicatoli, con conseguenze
gravissime anche per la vita sociale e politica, in cui il "lievito" spesso
venuto a mancare.
Egli narra "ad essi", alla folla del v. 13, una parabola, insegnamento
privilegiato del Regno e sul Regno. L'inizio come una conclusione: la
"regione, chr", ossia le tenute di un certo uomo ricco, ebbero un'annata che "port molto" frutto {euphor). Non solo, quella stagione
fortunata promette altrettanto anche per un lungo periodo (cf. v. 16; e
Sai 48,17-20; Eccli 11,18.19-24.27; 31,38). L'uomo gi facoltoso,
adesso lo di pi. Pu confidare nel futuro. E pu cominciare a programmare la sua economia su altra base, in modo pi razionale. Di tali
progetti sono piene le pagine finanziarie dei giornali, e ricevono presentazioni sempre lusinghiere nei giornali specializzati in operazioni finanziarie, ma se ne occupa anche la stampa politica. Cos il ricco comincia a rimuginare dentro di s {dialogizomai) su come procedere,
721
perch al momento ha scarsi magazzini di deposito. Il prodotto ingente, si deve provvedere subito alle infrastnitture del secondario, ed anzitutto ai provvidi silos (v. 17).
Ed allora decide per un progetto razionale e costruttivo: abbattere i
silos vecchi e soprattutto angusti, operazione, come si sa, oggi molto
incidente sulla progettazione e finanziamento, pi costosa della stessa
costruzione. Egli vuole costruire magazzini pi capaci, con locali ampi
e funzionali. L ammasser tutto, incurante dell'altra operazione costosa, il trasporto (v. 18). Vi ammasser sia i nuovi prodotti granali, sia il
resto dei suoi beni. Dietro il progetto per sta una finalizzazione ultima, uno scopo unico, ossia il consumismo egoistico e sfrenato, ma soprattutto egoistico solitario. Il ricco adesso si scatena, e parla con se
stesso, l'interlocutore segreto, nascondendo le sue intenzioni a chiunque altro: "Anima mia!", ormai tu possiedi "molti beni" depositati per
molti anni. Si tratta di prodotto, di capitale, di frutto corrente, e di una
previsione lusinghiera. Adesso puoi riposarti, in tranquillo godimento,
puoi "mangiare, bere, dare festini" (v. 19). proprio questo uno dei temi pi aborriti dalla Santa Scrittura, la saziet torpida, oggetto di riflessioni sapienziali (cf. qui Eccli 2,24; 11,9; Tob 7,9). E di amare riflessioni
di Paolo, che lo vedeva in atto in tutto il mondo del suo tempo (1
Cor 15,32, citazione del resto di Is 22,13). Egli in altro contesto parla
di gente per cui "il proprio dio il ventre" (FU 3,19). Proprio come oggi, sembra come sempre. In antico il tema era diventato proverbiale per
i Cretesi (cf. Tit 1,12), che in fondo non erano affatto peggiori di altre
popolazioni dell'impero.
Paolo avverte severamente che il cibo per il ventre, ossia per la nutrizione normale, ed il ventre per il cibo. Questo non se non organo
della nutrizione normale, bench in fondo sia per gli uomini solo un
aspetto infimo, destinato alla distruzione finale (cf. 1 Cor 6,13). Oggi,
sar sufficiente vedere nel cinema e alla televisione, come i gesti pi
comuni e purtroppo sottilmente (o anche scopertamente) suadenti sono
il mangiare, il bere, il fumare, la tensione al denaro, il vizio in tutte le
sue pieghe perverse, e tutto sempre in monotona continuazione.
Fin qui ha parlato solo il ricco. Come quelli che detengono un monopolio, reti finanziarie, catene di mercati, catene di giornali e di reti
televisive. Essi non hanno veri interlocutori, anche se cos, ottusamente, se lo credono.
Adesso interviene Dio, e parla come sempre la Parola del giudizio
primo ed ultimo, senza contraddittorio e senza appello. Una sentenza di
condanna.
E l'interpello : "Scemo, phrn\" Possiamo addolcire, sfumare
quanto si vuole, e sempre indebitamente, come si fa nelle traduzioni
correnti, con il poco usato e molto meno pregnante "stolto". Ma il ter722
725
Tutti i fedeli, di ogni categoria, sono impegnati nella lotta terribi le, incessante, insidiosa e pericolosa che il cristiano deve sostenere.
Da essa non pu essere esentato nessuno, e per qualsiasi motivo.
Paolo stesso un campione di questa lotta, e qui parla molto chiaramente come riflesso della sua propria esperienza ormai lunga di
Apostolo dell'Evangelo, contro cui si appuntano i colpi peggiori del
Nemico comune.
Paolo da inizio alle istruzioni ed esortazioni per questo combattimento con un imperativo e altri due sostantivi, la cui semantica indica
"forza", resistenza, tenacia: "Siate forti" (endynam, dove dynamis
indica potenza, robustezza), per "nel Signore", che nel contesto indica
Dio Padre (cf. vv. 7.8.9), in quanto solo Lui in Pantodynamos, l'Onnipotente. E da Lui discendono ai fedeli le manifestazioni della sua potenza irresistibile: "Siate forti nel Signore e nella potest (krdtos), della
sua forza (ischys)" (v. 10). Il krdtos (da krat), indica circa questo
concetto: quanto al verbo, avere potest su qualche cosa o persona, essere padrone o dominatore, dominare, superare tutto e tutti, possedere
come dominio tutto, prendere possesso. Da questo punto di vista, Cristo Signore appare nelle sante icone: mosaici delle absidi, affreschi, tavole, con V epigraph necessaria: Isos Christs ho Pantokrtr, ho
n, ossia: "Ges Cristo l'Onnitenente, il Sussistente (come Dio)" (cf.
sempre Es 3,14). Quanto al sostantivo, krdtos indica forza, impeto, potenza, veemenza, da cui il potere dominante esercitato su tutto, il dominio e l'imperio, la vittoria conseguita e sottomettitrice di tutto e tutti. A
sua volta, ischys (da ischy), indica: come verbo, avere salute e robustezza, sanit corporale, godere di molta forza ed efficacia, dunque valere, poter fare, avere possibilit fisica mentale materiale, valere in
campo giuridico, avere importanza; come sostantivo, forza, potenza,
facolt valida.
L'accumulo di omonimi, tutti retti dall"'en Kyri, nel Signore", tipico di Paolo, che con ridondanze simili porta l'espressione alla sua
massima efficacia: la forza ricevuta dall'Alto deve essere ben posseduta
dai fedeli, e posta in azione. Essi allora saranno invincibili nella lotta.
Dietro questo, per sta il fatto che lo Spirito Santo l'autentica
Dynamis to Theo, la Potenza invincibile di Dio, che si fa Presenza
agli uomini fedeli a partire dalla loro iniziazione battesimale.
Costituiti cos come militi perfettamente idonei, i fedeli ricevono dal
loro capo militare, l'Apostolo, le istruzioni per il combattimento. Ed
anzitutto, l'uso dell'equipaggiamento, che comincia l'elenco di molti
termini "bellici", in realt del solo "riarmo morale". Occorre dunque rivestirsi deH'"armatura", panoplia di Dio, ossia l'intero apparato che
ciascun soldato nel suo ordine e nella sua missione deve possedere
sempre e al completo. Il "rivestirsi" non un indossare per una volta,
727
bra, di "questa" tenebra di morte che il peccato; contro le "realt spirituali", ossia incorporee, che si agitano "nei cieli alti", ossia tra il Cielo, che il Signore Santo, e la terra degli uomini (v. 12). L'enumerazione non fa parte del simbolico immaginario, della mitologia degli spiriti
ultraterreni, del leggendario, del non visibile.
Si tratta invece di uno dei capitoli pi importanti, ma anche pi ermetici della teologia paolina e dell'intero N.T., se poi se ne trovano
manifestazioni simboliche ed insieme reali nell'Apocalisse.
In realt, la teologia di Paolo come in salita. All'inizio la sua
preoccupazione l'Evangelo della Resurrezione e dell'ultima Venuta
del Signore (1 e 2 Tessalonicesi), per passare a presentare i grandi temi
della redenzione nel sangue della Croce e della vita cristiana che ne
consegue, "vita in Cristo vita nello Spirito" (GalaA; 1 e 2 Corinzi; Romani), nella grande costruzione che YEkklsia frutto del Mistero (Colossesi, Efesini), Mistero di Dio che "svuot" se stesso (Filippesi), da
cui la giusta conduzione pastorale delle Chiese di Dio (1 e 2 Timoteo;
Tito). E la "lettura Omega", dall'escatologia provocata dalla Resurrezione, alla pastorale nella Chiesa. Ma in Efesini si ha uno squarcio sul
mistero della Chiesa, che resta molto problematico per l'interpretazione
antica fino ad oggi. Paolo afferma in Efes 3 di essere stato scelto quale
ministro del Mistero di Cristo tra le nazioni, in modo da fondare tra esse
la Chiesa. La quale deve rivelare la Sapienza di Dio "ai principati ed alle
potest nei cieli", secondo il Disegno irrevocabile divino: Efes 3,1-13.
Tale sarebbe anche il fine ultimo, grandioso, inimmaginabile e di fatto
poco immaginato, dell'intera storia della salvezza.
Si darebbe cos questa situazione. La redenzione decretata dal Disegno divino preeterno, questa "Liturgia - opera per il popolo" triadica,
adempiuta ormai in Cristo Risorto con il Dono dello Spirito Santo. Essa
annunciata con l'Evangelo della Grazia ad Israele ed alle nazioni
pagane. Ad essa hanno cooperato volenterosamente e gioiosamente,
adorando Dio con l'eterno "Santo Santo Santo", le potenze angeliche
fedeli, guidate dal glorioso invincibile Michele Arcangelo, insieme con
i Sinarcistrateghi Gabriele e Raffaele. Essa invece stata avversata, e
di fatto ancora avversata fino all'ultimo dei tempi, dalle "potenze delle
tenebre", e Paolo ne sta trattando qui. Ora, tali potenze sono definite in
qualche modo come essenze che si agitano disperate "nei cieli", dei
quali il cielo meteorologico (l'atmosfera terrestre) e quelli astronomici
sono il simbolo, trattandosi in realt di una sfera d'esistenza n divina
n terrena, ma a met distanza per cos dire. Ora, qui si data questa situazione: gli Angeli fedeli hanno combattuto in favore di Dio e degli
uomini, sono gli "Angeli liturghi" della divina Volont. Gli angeli ribelli hanno combattuto per odio contro Dio, e per invidia contro gli uomini, e sono stati sconfitti dalle milizie celesti sante. Per restano se
729
si comprende bene l'accenno oscuro di Efesini, ma, si deve qui confessare, senza esserne troppo sicuri un numero probabilmente molto ingente di angeli, i quali restano neutrali per un imprecisato motivo, dunque n lealmente dalla parte di Dio e perci anche degli uomini, n decisamente dalla parte degli angeli tenebrosi. Essi ancora restano sospesi, come in attesa.
Ufficio finale della Chiesa sarebbe quindi evangelizzare quegli angeli in attesa. E qui il Mistero avrebbe il suo compimento ultimo.
Con gli Angeli di Dio non c' da scherzare, come pare si permetta di
fare certa pessima teologia di moda. Occorre acquisirne conoscenza.
Paolo invita severamente la sua generazione a questa conoscenza. E lo
fa con le metafore terribili del combattimento.
E cos al v. 13 prosegue: "Per questo", ossia per quanto esposto appena sopra, esorta ancora a "sollevare" e indossare la "panoplia di
Dio" citata al v. 11, per poter resistere (al v. 11 : per poter stare saldi in
attesa dell'attacco; cf. di nuovo 1 Pt 5,9a, sopra) nel momento che viene "il giorno malvagio", quello ultimo ed anonimo e sconosciuto, improvviso, che decide del destino di tutte le creature. Allora occorre tanto
pi "avere superato tutto" (panta katergasmenoi), e cos prevalere
stando saldamente (di nuovo il verbo stnai del v. 11).
Questo "stare a piede fermo", torna come imperativo aoristo puntuale di histamai: "stte dunque!", che come il riassunto degli ordini di
battaglia e delle prescrizioni per l'equipaggiamento; la panoplia di Dio
descritta nelle singole armi, con i loro effetti splendidi, in crescendo,
dalle armi diciamo cos passive fino all'ultima, terribile arma efficace
ed onnivittoriosa. Le armi allora sono 6.
Anzitutto la cintura che stringe la veste di combattimento: "cinti i
lombi con la verit" (v. 14a). La citazione viene daI s 59,17, testo riletto
dal grande squarcio di Sap 5, che guida qui tutto il testo che segue, e
che bene rileggere per avere la visione pi piena, ma anche per mostrare come Paolo rilegga di continuo la Santa Scrittura dell'A.T.:
I giusti per il secolo vivranno,
e nel Signore la ricompensa loro,
e la loro cura sta presso l'Altissimo.
Per questo riceveranno il dominio della magnificenza,
e il diadema della bellezza dalla Mano del Signore,
poich con la Destra (Egli) li protegger,
e con il Braccio far scudo di essi.
Assumer (il Signore) come panoplia la sua gelosia,
ed armer la creazione per respingere i nemici,
indosser la corazza della Giustizia
e si cinger l'elmo come Giudizio sincero,
730
DOMENICA 10aDILUCA
la Spada della Parola posta sulla bocca dei suoi profeti (Os 6,5), antifigura di quanto fece agli Egiziani nella notte dell'esodo, quando
nel silenzio terribile della notte la sua Parola discese quale inflessi bile guerriero, recando la spada affilata che il Decreto eterno (Sap
18,14-16). Il tema rievocato da Paolo gi nella sua prima Epistola
(1 Tess 5,S).
b) D'altra parte, esiste un nesso stretto e funzionale tra la Spada della
Parola, e lo Spirito di Dio. Oltre Gen 1,1-3, si pu vedere qui il classico
Sai 32,6.3, dove il nesso sta in opera dalla creazione in poi; il testo fu
molto approfondito dai Padri della Chiesa. Sopra si cit /s i i,4, a cui si
pu aggiungere Is 61,1-9, specialmente il v. 1: lo Spirito del Signore sta
ormai sul suo Unto, inviato anzitutto "ad evangelizzare i poveri", testo
proclamato dal Signore nella Sinagoga di Nazaret all'inizio della sua
missione (cf. Le 4,18-19).
e) Nel N.T., lo Spirito e la Parola, con la Sapienza, sono l'Operazione
divina in atto nell''Oikonomia dell'adempimento. Una "teologia" vera e
propria, qui, si ha in Ebr 5,11 - 6,8, che anche un grande testo triadico, dove in 6,4 in funzione lo Spirito in nesso con la Parola, nell'irreversibilit del Dono che se si disattende porta alla rovina.
d) Ges stesso, che il Verbo Dio, la Parola del Padre tutta pronunciata
e tutta operante, inviato con la pienezza dello Spirito Santo: Gv 3,34,
e proclama che le Parole sue in cui parla del Padre rivelandolo
"sono Spirito e sono Vita" eterna (Gv 6,63). Nella visione escatologica
si manifesta come "il Lgos di Dio", "il Re dei re e Signore dei signori", e "dalla Bocca di Lui esce la Spada acuta bifilare" con cui "il Vittorioso" (Ap 19,13.16.15, ma vedi ivv. 11-16).
Nella riflessione apostolica, la migliore presentazione di questo tema immane la Pentecoste. Qui, ripetutamente, poich come si disse
Luca narra di 5 Pentecosti dello Spirito Santo (At 2,1-4; 4,31; 8,15-17;
10,44-46, con gli stessi fenomeni della prima Pentecoste; 19,5-7, idem,
ed in pi, si trattava di dodici persone!), il Dono inconsumabile dello
Spirito del Risorto provoca come primo fatto l'annuncio della Parola
della Resurrezione, il Krygma apostolico.
In Efes 6,17, "la Parola di Dio", connessa con lo Spirito, questa Spada inesorabile sempre posta sulla testa del popolo di Dio, precisamente il Krygma, l'Evangelo che salva. Cf. qui Rom 10,8, e 1 Pt 1,25:
"questo la Parola (rhma, come in Efes 6,17) evangelizzata a voi".
Realt perenne nella Chiesa, che fonda di continuo la Chiesa di Dio
nel suo esodo verso il Padre mediante Cristo nello Spirito Santo.
732
6. EVANGELO
a) Alleluia: Sai 19,1.10, "Salmo regale"
Vedi l'Alleluia della Domenica 3a di Pasqua, 2a
di Luca
b)Le 13,10-17
II contesto la "salita a Gerusalemme" (Le 9,51 - 19,28), pi volte
rievocata, durante la quale il Signore, battezzato dallo Spirito Santo e
trasfigurato dalla Luce increata e di nuovo assunto dalla Nube della
Gloria dello Spirito, come "confermazione" del suo Battesimo, per salire
alla Croce, passa annunciando l'Evangelo e la sua dottrina, operando i
grandi "segni" che sono le opere del Regno, e riportando gli uomini
all'adorazione del Dio Vivente.
Nel contesto immediato (sempre rifarsi allo schema generale di Luca, vedi Parte I), il Signore aveva insegnato a lungo la vigilanza escatologica, poich il "momento" in modo perenne una realt imminente
(Le 12,41-59), con ci avvertendo che necessario convertirsi (Le
13,1-5), altrimenti si fa la fine del fico sterile (parabola dei vv. 6-9).
Adesso opera un altro grande "segno", un miracolo, un'opera del Regno, opera della divina Misericordia.
Il momento un sabato, giorno sacro per eccellenza, la principale festa e celebrazione dell'anno liturgico ebraico. Il luogo una sinagoga,
dove piamente si raccoglie l'assemblea liturgica per ascoltare la Trh
santa, e la sua spiegazione edificante e normativa. La sinagoga per sua
destinazione la bet ha-midras, "casa dell'insegnamento". E uno spazio
privilegiato, dove gli ascoltatori sono disposti ad accogliere nel cuore la
divina Dottrina. Ges proprio questo adesso sta insegnando (v. 10).
"Ed ecco", l'espressione che comincia il v. 11. Tale espressione
molte volte, per non dire quasi sempre, gi esprime in via diretta un
prodigio divino che si prepara. Come quando il Profeta annuncia: "Ecco, la Vergine concepisce e partorisce il Figlio" (Is 7,14), con la divina
Conferma dell'Angelo di Dio alla Vergine di Nazaret: "Ecco, tu concepirai nel seno e partorirai il Figlio, e chiamerai il Nome di Lui "Ges"
(Le 1,31). E ad Emmaus, "ecco due di essi", i disperati e fuggitivi raggiunti mirabilmente dal Signore che li riconduce nella sua Casa per
ospitarli (Le 24,13). Gli esempi sono una miriade.
"Ed ecco una donna", dunque ecco il prodigio divino che sta per
mettersi all'opera. Dal contesto, questa donna stava all'esterno della sinagoga, contentandosi di ascoltare da fuori le ricchezze che sentiva
proclamare nell'assemblea dei pii confratelli. Ella era afflitta da "uno
spirito di debolezza", di malattia, che le rovinava l'esistenza. Forse non
era pi tanto giovane, se da ben 18 anni era afflitta da questo flagello,
per cui le sue ossa si erano contorte, e la sua persona si era incurvata al
733
punto di non potere affatto guardare in alto; perci parlava con le persone come obliquamente (v. 11). Ges, che di certo, chiamato a parlare
nell'aula della sinagoga, stava sul palco apposito, vedeva i presenti in
faccia, ma vedeva anche la porta e chi vi faceva capannello. E cos
scorge la povera donna, una fedele del suo popolo amato Israele, e da
lontano la chiama, la fa accostare. Si possono immaginare la timidezza
e la ritrosia della donna, quando tutti i presenti si saranno voltati a
guardare, tra la compassione, il ribrezzo e il disprezzo che i sani hanno
verso i malati. Infatti lo spettacolo della malattia incute nei sani la cattiva
coscienza del loro stato, li rende tristi, spesso li irrita. Quasi sempre essi
in qualche modo debbono "rimuovere" la malattia e la morte. E qui il
mezzo principale non guardare, non sapere, non intervenire. Ges
guarda, poich sa, e sta l proprio e solo per intervenire. I presenti non
se ne rendono conto.
Le parole di Ges sono immediate, un ordine netto, dato con un verbo
coniugato con un tempo strano: "Donna, sei stata gi sciolta dalla tua infermit!" (v. 12). H vocativo gynai in bocca a Ges per lo pi un titolo
d'onore, come dire: "signora". Cos, infatti, si rivolge alla Madre sua, ad
esempio a Cana (Gv 2,4), quando con la strana espressione semitica "che
sta tra me e te?" indica che nessun contrasto di fatto esiste; e cos alla
Croce: "Gynai, Signora-Regina, ecco il Figlio tuo!" (Gv 19,26), chiamandola cos ad essere la prima e perenne Testimone della Redenzione,
"il Figlio" di Maria essendo solo Ges. Il gynai rivolto alla donna incurvata dal male, dunque l'ennesima manifestazione della speciale soavit, tenerezza, cura e stima che il Signore ha per le donne, come in specie da resoconto Luca. Le donne nell'antichit, nel medio evo, nell'et
moderna, nel futuro, finch continua la durezza del cuore dei maschi, sono oggetto insieme di desiderio e di noia, di utili servizi e di ingombrante presenza. Di esaltazione, ad esempio dei poeti, degli artisti, dei musicisti, ma anche qui la donna 1'"oggetto" o meglio il pretesto per alte
imprese liriche. Infine, oggetto di disprezzo, per la supposta inferiorit
misurata con il metro della condizione maschile. Ges spazza via una
volta per sempre tali malvagit, meschinit, stupidit, ubbie. Egli "nato
dalla Donna". Egli viene per conquistarsi "la Donna, la Sposa" con il
suo sangue. Egli proclama che ogni discepolo deve "farsi donna-madre
di Lui" per entrare nel Regno, e questo concependolo e partorendolo
senza separarsene mai: "Madre mia, e fratelli miei, sono quelli che
ascoltano la Parola-Lgos di Dio, e la praticano!" (Le 8,21).
Insomma, questa donna privilegiata per essere incontrata dal Signore, che la chiama a s. La sua malattia "gi stata sciolta", dimessa,
sparita, non esiste pi. Non solo, con un gesto del tutto clamoroso, e
riprensibile per tutti, il Signore la tocca: le impone le Mani immacolate
e sante (v. 13a). L'imposizione della mano, o delle mani, un gesto sa734
DOMENICA 10JDILUCA
Talmente gli altri, ma se serve sono poi molto concessivi con se stessi
senza mostrarlo. Per questo, di una povera donna la guarigione prodigiosa non riconosciuta, essa un "lavoro" proibito, come di ambulatorio medico. Ges mostra qui come certi abbiano un duplice piano
mentale, il proprio, e quello che riguarda gli altri. Ora, tutti i sani di
mente, se non vogliono danneggiare il bove o l'asino, anche di sabato
va alla stalla, li scioglie e li conduce all'abbeveratoio (v. 15). Questo
detto come domanda: s o no? La risposta senza eccezione : s.
Adesso Ges procede al tipico ragionamento rabbinico, chiamato
"dal minore al maggiore", ossia: se nel piccolo cos, nel grande quanto deve essere di pi. E porta la comparazione: se di sabato cos con gli
animali, per una donna allora tanto di pi.
Ella era malata, ma non semplicemente. una figlia d'Abramo, e
pertanto erede di diritto della Benedizione e della Promessa del Padre
del suo popolo e di tanti popoli, e la Benedizione e la Promessa d'Abramo, ottenute dalla Croce del Signore, lo Spirito Santo (Gai 3,1314). La donna un membro d'Israele con tutti i diritti e doveri.
"Figlia d'Abramo" per ricorda anche un fatto da non dimenticare
mai, la funzione delle donne in seno al popolo di Dio. Da quando esiste Israele, un suo membro sar considerato "Ebreo" a titolo plenario
solo se nasce da una donna ebrea. Ges Signore vero Ebreo perch
nato da Madre Ebrea, la Semprevergine Maria. Le donne ebree sono le
vere portatrici della genealogia del popolo di Dio, anche se quella legale corre per la linea maschile, che piuttosto anagrafica. Come per
Ges stesso, Figlio di Maria, e solo legalmente anche "Figlio di Giuseppe". E quando in tempi calamitosi, dopo l'esilio, la misura dell'appartenenza al popolo santo ricostituito assumer aspetti drastici, al limite del disumano come ricostituire la genealogia materna, da una
parte, e legale, dall'altra, dopo la catastrofe dell'esilio? , e si ingiunse di sciogliere nuclei familiari, di rinviare spose e figli, un Autore
ispirato con Rut mostrer che per un "figlio d'Abramo" vero, come
David, discendeva da una Moabita pagana, pur convertita al Dio d'Abramo, ed accolta quasi come "figlia d'Abramo". Era un appello a mitigare la durezza.
Ges quando si trova davanti questa "figlia d'Abramo", conosce bene tali questioni. La dignit di questa sofferente e dolente, la sua idoneit, la sua autenticit erano state sospese per ben 18 anni; 6 il numero dell'incompletezza, dell'attesa, dell'imperfezione, e cos i suoi
multipli, in specie 18 e 42. La tattica di satana isolare un membro del
popolo di Dio, rendendolo vulnerabile, e su questa donna si accanito
in modo insidioso, non uccidendola, ma peggio, tenendola "legata",
impotente, non pi donna attiva e dinamica.
H ragionamento di Ges conseguente. Si sciolgono gli animali dal737
738
di Matteo e
b) Col 1,12-19
Colossi era stata distrutta dal terremoto nell'anno 60 d.C. Perci la
data dell'Epistola a quella Comunit cristiana il 58-59. Paolo la scrisse
nella prigionia di Cesarea (a. 58-60), con una pesante preoccupazione
teologica, spirituale e pastorale. La grave questione per cui l'Apostolo
si mosse ad intervenire con decisione, era simile a quella che agitava i
Galati, quella dell'infiltrazione tra i fedeli di elementi dottrinali spurii
rispetto ali'Evangelo immacolato. A Colossi infatti, predicatori
importuni avevano introdotto strane idee sincretistiche, analoghe a
quelle che poi sfoceranno nella gnosi falsa, e centrate in una forma pericolosa di religiosit. Il nucleo di questo era una speculazione cosmica
sull'antropologia redentrice. Cristo era assimilato a 6 "angeli" creatori.
A questi era tributato un culto, in cui era associato a pari titolo Cristo
stesso. Semplificando molto, anche per le scarse fonti a disposizione,
dietro tali ideologie stava una certa propaganda giudeo-cristiana non
ortodossa. Gli autori parlano qui di "eresia di Colossi".
739
divino d'Israele, il Signore-/yrios-IHVH,il Dio preesistente (Rom 1,14), anche la Potenza e Sapienza incarnata del Padre (1 Cor 1,24 e 30).
Del Padre l'unica rivelazione totale e finale, quindi l'Icona del Dio
Invisibile (Col 1,15). Dio eterno, fattosi anche il Servo, che per lo
svuotamento (ken) della sua divinit e per la sua obbedienza filiale
nella morte, "ma morte di Croce!", superesaltato dal Padre (FU 2,611). Egli perci detiene il primato in ogni ordine delle realt, divine come create (Col 1,15-20). Egli il Ricapitolatore (anakephalai) di
ogni realt dispersa dal peccato (Efes 1,10), che Egli recupera per "riconsegnare il Regno al Padre" (1 Cor 15,24), "al fine che Dio sia del
tutto (t pdnta,avverbio) in tutti" (1 Cor 15,28).
Il quadro delle cristologie va completato. Paolo non deve andare oltre, poich riservato ad altri autori di contemplare il Mistero, non pi
in alto, come la Tradizione con una certa esagerazione romantica ha creduto, ma per maggiore compiutezza dell'indicibile Rivelazione divina.
Perci un discepolo (probabile) di Paolo giunge a comprendere che
questo Figlio Splendore della Gloria del Padre, Impronta della sua
Sussistenza: l'Icona perfetta (Ebr 1,3, che cita Sap 7,26: "l'Icona della
Bont" del Padre!), e di tutto il Reggente con la Parola (rhmd) della
sua Potenza (lo Spirito Santo) (ancora Ebr 1,3).
Finalmente, Giovanni ha l'accecante riflessione che il Figlio, il Dio
Monogenito, l'unico Esegeta del Padre (Gv 1,18), il Verbo-Principio
(arche), Verbo Dio, Verbo presso Dio, Verbo Dio da Dio, Luce, Vita
preesistente nel Seno del Padre (Gv 1,1-4 e 18). E manifestante tutto
questo nel suo "diventare anche carne e porre le sue tende tra" gli uomini (1,14). Come dice ripetutamente S. Cirillo d'Alessandria, cos il
Verbo si fece la sua stessa carne, per cui la carne del Verbo il Verbo,
ed il Verbo anche la sua carne.
ovvio che per completezza occorre tenere presente la cristologia dei
singoli Sinottici, degli Atti ( qui molto arcaica, presto dimenticata dalle
Chiese), delle Epistole cattoliche (in specie di Pietro), dell'Apocalisse. H
quadro, come mostra la storia della Tradizione, e la stessa teologia biblica moderna, praticamente inesauribile, di fatto mai esaurito. E la riprova che la bibliografa su Col 1,15-20 negli ultimi decenni cos estesa,
che gli stessi specialisti difficilmente la padroneggiano.
Anche sugli aspetti letterali del testo esistono molti pareri discordi;
la sola tripartizione fa un certo accordo, ma sul taglio delle tre strofe, e
quindi sulla logica interna, vi sono esitazioni.
Qui interessa piuttosto l'aspetto teologico e spirituale, mistagogico ed omiletico, perci si cercher di cogliere almeno i maggiori
punti tematici.
Il soggetto del v. 15, espresso grammaticamente dal relativo "hs, il
quale", "il Figlio dell'Amore" del Padre del v. 13. Ora, la connessio743
un "corpo". Egli, l'Autosufficiente, si rende quasi manchevole per poter comunicare la sua Vita di "Testa" divina ed umana a questo corpo.
Il senso che il "corpo" era formato di membra disperse ed alienate a
causa del peccato. Egli le riunisce e compagina ed organizza e rende
viventi. Il parallelo Efes 1,10 parla di Cristo quale "Ri-capitolatore",
anakephalai, dove chiaro il senso: and, di nuovo e dall'alto in basso, e kephal, testa, ossia ricostituire la compagine dispersa in organismo vitale. Cos, di questa mirabile ricapitolazione, il grande tema dei
Padri del sec. 2 (S. Ireneo), il capolavoro YEkklsia. Ma qui il tema
si amplia: Testa-corpo dicono Sposo-Sposa, poich lo Sposo non pu
stare senza la Sposa, ma la Sposa neppure esiste senza lo Sposo.
Cos, questa Testa-Capo anche "il Principio", arche, come il Verbo
in Gv 1,1. Il rimando diretto a Prov 8, 22-27, sulla Sapienza divina
eterna come Arche divina. la dichiarazione del Primato assoluto del
Figlio Icona, nella trascendenza divina. Per cui se "il Principio", anche "il Fine", l'Alfa e l'Omega, come verr poi ad essere esplicitato in
Ap 1,17, ed in altri testi afferenti.
Il Primato nella trascendenza divina nell'amore del Padre
coniugato a quello sugli uomini. Il Figlio il Primogenito dai morti, il
che indica insieme sia il dominio sopra richiamato sulla Morte in ogni
suo orrido aspetto, sia la Vittoria del medesimo Figlio Icona in quanto
Uomo Resuscitato per primo. Questo suppone ed esige che vengano
dopo Lui anche "altri" resuscitati. Tale Primato finalizzato all'universalit: "affinchEgli in tutto diventi Primeggiante" (v. 18). Il "tutto"
chiaro, ma deve essere spiegato ancora di pi, e per questo occorre attendere la fine dell'"inno".
Come Primate, ed esercitante di fatto il Primato divino ed umano
universale, il Figlio porta qui il titolo funzionale massimo: "in Lui si
compiacque di inabitare l'intero Plrma" (v. 19). Un'aggiunta preziosa
ed esplicitante viene poi al v. 2,9: "poich in Lui (Cristo, v. 8) abita per
intero il Plrma della Divinit corporalmente". Ora, in Dio il suo
Plrma, l'infinita "Pienezza" della Divinit, ossia della Vita, della
Gloria, della Maest, dell'Infinit, della Sapienza, della Potenza, dell'Amore, della Bont... lo Spirito Santo.
UEudokia, che sempre fontalmente del Padre, volle che abitasse
nel Figlio, e per cos dire, Lo permeasse integralmente, lo Spirito Santo, al duplice titolo di Dio da Dio che eternamente vive la Vita dello
Spirito che la stessa Vita del Padre; e di Uomo Risorto e glorioso, diventato unica Fonte dello Spirito Santo (cf. ancora At 2,32-33). Cos, il
senso di plrma chiaro nella sua duplicit: Cristo "pieno" di Spirito
Santo per essenza divina coeterna, ed "riempito" di Spirito Santo in
quanto Uomo Risorto. Se in 2,9 si dice che tale Pienezza "corporalmente" abitante in Lui, si indica la Chiesa "corpo di Cristo". Qui la
746
' 6a
b) Le 14,16-24
"La Cena grande" la parabola straordinaria per significato, che
Ges insegna lungo la sua "salita a Gerusalemme", dove, come Battez747
parazione a cui tutti gli uomini sono tenuti davanti al Signore che
chiama e che viene nella chiamata stessa. La hetomasia raffigurata
in genere nei catini delle absidi delle chiese antiche da un mosaico,
dove sta un trono su cui riposa aperto l'Evangelo che annuncia la hra, sul quale pu aleggiare sotto il simbolo della colomba lo Spirito
Santo. Dall'altra parte sta il fatto che i fedeli debbono essere htoimoi, pronti sempre, come le 5 vergini della parabola, che si fecero
trovare dallo Sposo con le lampade accese, ed entrarono nel Convito
nuziale: Mt 25,10. La "preparazione", in s, deriva dall'imperativo:
Vigilate, non dormite! (cf. Mt 25,13), poich ignota la hra, ma viene
inevitabilmente.
Per comprendere sia l'importanza decisiva del Convito e della vocazione ad esso, sia l'atteggiamento degli invitati nel seguito della parabola, occorre rifarsi all'altro celebre fatto, il Convito della divina Sapienza, con il suo invito:
La Sapienza costru a se stessa la casa,
e innalz sette colonne,
uccise le proprie vittime,
mischi nel cratere il suo proprio vino
e prepar la sua propria tavola,
invi (apostll) i propri servi (doloi),
convocandoli (sygkalosa) con altissimo annuncio dal costone,
parlando:
Chi stolto, si diriga a me!
E a chi manca d'intelligenza, parl:
Venite, mangiate dei miei pani
e bevete il vino che mescei per voi.
Cacciate la stoltezza e vivrete,
e cercate l'intelligenza affinch viviate,
e raddrizzate con la conoscenza l'intelligenza! (Prov 9,1-6).
Vanno notati l'accuratezza premurosa della preparazione del convito:
un'aula sacra posta su salde colonne; la carne e il vino, il pane, tutta materia del sacrificio; la tavola ospitale, l'invito convocante dei servi (doloi;
nella parabola, uno solo, dolos), "con annuncio ad alta voce". La premura per i poveri di intelligenza delle realt divine della Sapienza.
Anche e soprattutto notevoli sono i verbi della convocazione: venite,
elthte (imperativo aoristo, che indica il tempo puntuale ed irreversibile); mangiate, phdgete; bevete, piete. Tutti verbi che si ritrovano nella
celebrazione dei Divini Misteri.
Infine, il Convito ha lo scopo di donare il Cibo che negli uomini
"stolti", ossia immeritevoli perch peccatori e oscurati dalle colpe,
750
contrarre nuove nozze, santifica la sposa pagana, e cos la sposa cristiana santifica il marito pagano. Non serve qui nessuna forma ignobile di
divorzio (cf. 1 Cor 7,12-14a), perch oltre tutto in ogni caso i figli che
nascono sono santificati, quindi anche essi vocati al Convito, alla Cena
grande (1 Cori,Uh).
Non sono narrate le reazioni meravigliate e addolorate del servo inviato. Egli riappare presso il Signore suo, per annunciargli questi fatti incresciosi. Il Signore "Padrone della casa", Ospite divino, Lui s si irrita
(orgiz). Mentre nella parabola parallela di Matteo, invia le sue truppe a
punire gli invitati ricusanti il suddito non ha diritto di essere scortese
ed irritante verso il suo sovrano (cf. Mt 22,7), in quella di Luca, l'Ospite pi pacifico. E parla concitatamente al servo suo. La Sapienza divina non rinuncia mai al suo Convito. L'ordine di uscire "in fretta", velocemente, perlustrando piazze e vie della citt, e di "portare qui", da
Lui, tutta la massa di indigenti che si trova: poveri, infermi, ciechi e zoppi (v. 21). Di che si tratta? Proprio di tutti quelli che erano esclusi sia dai
festini dei ricchi, sia dall'assemblea liturgica del popolo santo.
Ci si pu chiedere: ma che tipo questo potente e ricco Ospite, che
pu invitare tutta la citt dall'inizio, ed invece limita dall'inizio gli inviti
ai borghesi, possidenti, benestanti, agiati? La risposta viene dalla misura
della capienza della Casa dell'Ospite. Essa deve essere riempita ordinatamente, a ondate successive, poich appunto c' spazio per "tutti", non
per pochi ricchi vignaioli, agiati bovari e sposini freschi. Significa che
questi per un motivo dovevano essere invitati prima, vantando qualche
diritto nel rapporto con l'Ospite. chiaro, essi lavorano per lui ai suoi
campi ed alle sue vigne, e hanno diritto di precedenza, sono sotto contratto, sotto "alleanza". Non si faccia qui l'applicazione facile, banale, ingenerosa e non fondata: i primi invitati sono gli Ebrei, i secondi i pagani.
Invitati sono tutti. Gli Ebrei, caso mai, per il titolo dell'alleanza divina fedele, hanno diritto di essere i primi beneficiari del Convito. Paolo ha
sempre annunciato l'Evangelo anzitutto agli Ebrei, poi ai pagani. Ma gli
Ebrei rifiutarono l'invito? Zaccaria, Elisabetta, Giovanni il Battista, Simeone, Anna, la Madre di Dio, i Dodici Apostoli, i 120 discepoli, i 500
fratelli, Paolo... erano Ebrei. La "grande folla di sacerdoti che obbediva
alla fede" di At 6,7, erano Ebrei. I farisei presenti alla Sinodo di Gerusalemme dell'anno 50, "avevano creduto" (At 15,5), ed anche "le decine di
migliaia di quelli che tra gli Ebrei credettero, e sono tutti zelanti nella
Legge" (At 21,20), erano tutti Ebrei. Anche le autorit che numerose credettero in Ges, bench per paura non Lo confessassero per allora (Gv
12,42), erano Ebrei. E gli imprecisati milioni di Ebrei che in tutto l'impero,
ed anche in quello persiano, accettarono la predicazione dell'Evange-lo e
costituirono da Gerusalemme a Roma le prime Comunit cristiane, tutte
a loro volta missionarie, erano tutti Ebrei.
752
DOMENICA 1 laDILUCA
756
di Luca.
a) Col 3,4-11
Paolo con la sua Epistola alla Comunit di Colossi, in Asia minore,
mette in guardia quei fedeli dalle infiltrazioni eterodosse. Quella che si
usa chiamare 1'"eresia di Colossi" era un misto di sincretismo e di idee
promiscue, di varia provenienza (ebraica, ellenistica, misterica, di culti
orientali), che soprattutto confluir nello gnosticismo dei sec. 2 e 3,
dalla Chiesa considerato un pericolo mortale. Il sincretismo consisteva
neirassociare a Cristo Signore 6 angeli considerati concreatori del cosmo, ciascuno in una sfera. Cos l'Apostolo nel cap. 1 della presente
Epistola riafferma il sovrano ed ineguagliabile Primato divino ed umano di Cristo (vedi Apstolos della Domenica precedente), mentre nel
cap. 2 tratta piuttosto di come guardarsi dalle dottrine eterogenee che si
sovrappongono ali'Evangelo, comportando anche pratiche di ascetismo
abnorme intorno al "culto degli angeli" (nominato in 2,18). Nel cap. 3
Paolo passa a delineare la "vita nuova in Cristo".
757
In 3,1-3 l'esordio grandioso: i fedeli, resuscitati con Cristo, debbono ormai "cercare le realt dell'Alto", t ano. Tale espressione ancora
oggi risuona nel Dialogo tra celebrante ed assemblea dei fedeli, che da
inizio alla santa Anafora: Ano schmen ts kardias - Echomenprs tn
Kyrion Poich negli altissimi cieli Cristo Risorto sta intronizzato alla
Destra di Dio (3,1, che cita Sai 109,1). Debbono, i medesimi fedeli,
pensare e cercare e desiderare t ano, le realt dell'Alto, non pi quelle
terrene (v. 2). Essi infatti sono "morti" al terreno ed al vecchio, e restando la loro vita ancora nascosta con Cristo in Dio (v. 3), mentre
pronto Cristo a manifestarsi come "Vita nostra", e i fedeli con Lui
"nella Gloria" divina eterna (v. 4). questo "essere manifestati" (phaner) con Cristo dalla stessa Gloria divina che lo Spirito Santo. Insieme, trasfigurazione, e divinizzazione, nella perfetta assimilazione a
Cristo glorioso.
Di qui discendono conseguenze ineludibili di autentica vita fedele.
Ed anzitutto, i cristiani debbono "far morire" inekro) le loro membra
che ancora aderiscono alla terra, alla vita solo terrena, avulsa e come
contraria alla Vita nostra Cristo, e vita bassa nelle sue pi repugnanti e
malefiche espressioni. L'elenco che viene diviso in due mandate. Al v.
5 sono bollate le passioni terrene rovinose, che distraggono il cuore dalla
Realt dell'Alto. E cos anzitutto la fornicazione e l'impudicizia, la
"passione" carnale di vario genere; poi V epithymia kak, la concupiscenza malvagia, termine con cui si indica in genere ogni smodato desiderio tendente al male facile, e fonte di ogni altra passione abbnitente
l'anima degli uomini. H primo elenco comprende anche uno dei peccati
pi gravi, lapleonexia, bollata come autentica idololatria (v. 5). Anche
Cristo Signore richiama alla rovina della pleonexia, la brama insaziabile
di possedere tutto a scapito di ogni altro simile (Me 4,19). Si tratta dunque del pi grave di tutti i diaframmi che ogni uomo pu interporre tra il
suo cuore e il prossimo, e Dio stesso, ma anche tra il suo cuore e se stesso, sbilanciando la propria esistenza con il ricadere in se stessi; oggi un
fatto simile si chiama successo, guadagno, potere, brame che laceravano
profondamente la societ di ieri, ed oggi come mai.
Per colpa di queste passioni e vizi, si abbatte l'ira di Dio sopra "i figli dell'incredulit" (apeithia), che significa rifiutare di farsi convincere e conquistare dall'amore di Dio (v. 6). L'"ira di Dio", come al solito
nella Santa Scrittura dei Due Testamenti, non un "movimento passionale" ed irrefrenabile che "nasca" in Dio e poi si manifesti rabbiosamente sugli uomini e sul creato. invece un modo simbolico per indicare come gli uomini colpevoli, quelli che non vogliono sentire di Dio,
i "figli dell'incredulit", con la loro impenitenza, si pongono nella condizione disperata di non essere pi capaci di ricevere l'aiuto divino proveniente, concomitante e conseguente. Essi cos si inoltrano nella "ten758
di .
diMatteo,5a
di
Lu
b) Le 17,12-19
La prima fase dell'Evangelo della Vita pubblica del Signore secondo Luca si estende dal Battesimo al Giordano fino alla Trasfigurazione,
la quale fa anche da "cerniera" verso la seconda parte. Questa descritta da Luca come la lunga "salita a Gerusalemme" (Le 9,51 - 19,28), dove si consuma la terza fase, la Croce e la Resurrezione. Ma la "salita"
del Signore in quanto battezzato e trasfigurato-confermato, che passa
annunciando TEvangelo ed operando le opere del Regno, ossia attuando il Programma battesimale e trasfigurazionale nella Potenza dello
Spirito del Padre.
La "salita a Gerusalemme" contiene molto materiale proprio solo di
Luca, come la presente guarigione dei 10 lebbrosi. Ma si deve notare
760
per cui il loro Signore fu battezzato dal Padre con lo Spirito Santo. Perci tra le prescrizioni per l'invio dei discepoli nel ministero primordiale, preparatorio a quello dopo la Resurrezione e la Pentecoste, stanno
questi punti:
...predicate, dicendo:
II Regno dei cieli si avvicin!
Guarite i malati, resuscitate i morti,
mondate i lebbrosi, espellete i demoni,
gratuitamente riceveste, gratis donate (Mt 10,7-8).
Cos che quando Giovanni il Battista dal carcere invia i suoi discepoli
ad interrogare Ges: "Sei tu "Colui-che-viene' (ho-Erchmenos), o ne
attendiamo un altro?" (Le 7,18-20), il Signore non risponde direttamente, ma invita alla testimonianza:
Andate, riferite a Giovanni quanto vedeste e udiste:
i ciechi ci vedono, gli zoppi camminano,
/ lebbrosi sono mondati, i sordi odono,
i morti risorgono,
i poveri sono evangelizzati (Le 7,22).
La guarigione della lebbra si pone come uno dei grandi "segni"
messianici, una delle grandi "opere battesimali del Regno", e questo sia
per il Signore, sia per i suoi discepoli, fino ad oggi. Anche se a questo
oggi quasi nessuno presta pi attenzione.
La Misericordia di Ges, Yleos divino salvifico, si pone allora in
azione. Egli non compie qui un gesto di guarigione, n parla una parola
che alluda alla guarigione. Spesso Ges risponde di traverso, come si
visto poco sopra per i discepoli di Giovanni il Battista. il suo modo
sapiente ed efficace. Perci parla ai dieci lebbrosi e dice ad essi semplicemente: "Partiti (da qui), mostrate voi stessi ai sacerdoti" (v. 14a). Da
questo si vede come Ges deferente verso la Legge. Questa prescrive
che unico giudice competente nel caso della lebbra il sacerdote. Il
quale deve operare il primo accertamento e prescrivere l'isolamento,
poi fare il controllo nel caso di guarigione o di non guarigione, dimettendo, nel primo caso, e di nuovo isolando nel secondo. La parola di
Ges richiama Lev 13,49; 14,2-3, ma si pu vedere anche Lev
13,32.45-46.1 sacerdoti restano i gelosi custodi della salute anche fisica
del popolo, condizione previa per seguitare a far parte dell'assemblea
liturgica, come si accenn sopra.
Luca annota sobriamente: avviene che nel loro andare obbedienti,
secondo il consiglio del Signore, "furono purificati" (v. 14b). In fondo,
763
tutti quelli pongono nell'andare una grande fiducia, altrimenti avrebbero replicato di voler essere guariti subito, o avrebbero obiettato
qualche cosa.
Per avviene quel fatto che si verifica spesso in un gruppo, partito
compatto e poi ritrovatosi disunito per qualche questione. Un unico di
quel gruppo quando constata che stato guarito, immediatamente cambia itinerario, torna indietro, alza la voce con la preghiera del povero,
che gridare concitatamente la propria emozione al Signore, e glorifica
Dio (v. 15). Si sa che questo avviene spesso ai guariti da Ges (cf. 7,16;
13,13). Non solo, ma il lebbroso guarito finalmente pu prostrarsi ai
piedi di Ges, con la faccia a terra, segno di venerazione e di riconoscenza, di soggezione e di dedizione fiduciosa, e rende grazie a Ges. Il
verbo qui eucharist. Glorificare e rendere grazie. Il primo verbo va
a Dio in se stesso, per i suoi titoli magnifici, per le sue opere potenti. Il
secondo va a Ges come celebrazione dell'Autore di prodigi. Se alla
prima invocazione dei dieci lebbrosi, si unisce la supplica, si ha la
gamma completa della preghiera biblica. L'invocazione fu esaudita,
poich Dio magnifico in potenza, ed opera mediante Ges, che dunque va celebrato. Cos l'azione di grazie non un "rito di congedo", un
"grazie e arnvederci". una celebrazione, che suppone la comunione
tra il Fattore di opere ed il beneficato. Proprio la lode e l'azione di grazie sono i mezzi con cui l'implorante, adesso guarito, vuole entrare in
comunione con Dio e con Ges, a cui riconosce l'autorit sacerdotale.
Qui Luca annota rapidamente, e tanto pi efficacemente: "E questo
era Samaritano". Si conosce, quasi proverbiale l'inimicizia e l'incompatibilit (cf. Gv 4,9) tra Ebrei e Samaritani, e la loro reciproca gelosia
per la venerazione dei disputati luoghi dei Patriarchi, e l'astio samaritano
per non essere stati accolti nell'assemblea cultuale d'Israele dopo il
ritorno degli Israeliti esiliati (vedi Domenica della Samaritana). Ma co me nel caso del "buon Samaritano" (vedi sopra, Domenica 8 a 1
Matted), chi fa l'eccezione, in fondo, proprio Ges. Che nell'inviare i
discepoli per la prima missione, prescrive esplicitamente di non andare
dai Samaritani (Mt 10,5; il "discorso di missione", Mt 9,35-38, prologo,
e 10,1 - 11, 1 , svolgimento). E Luca stesso annota, forse con una punta
d'umorismo, che proprio all'inizio della "salita verso Gerusalemme", i
Samaritani non lo accolsero "perch era con un viso come chi si reca a
Gerusalemme" (Le 9,51-53), tanto che i focosi Giacomo e Giovanni
addirittura vorrebbero che un fuoco dal cielo distruggesse i Samaritani.
Ges li disattende e li rimprovera (9,54-55). Vedi qui il 16 Agosto. Il
Disegno di Dio comprende anche i Samaritani. Pur se solo dopo la Pentecoste, quando Barnaba, seguito da Pietro e da Giovanni, a Samaria
raccolgono quella ricca messe di fedeli visitati dallo Spirito Santo (cf.
At 8,5-17; e la Domenica 3aPentecoste), che Ges stess dal pozzo diraccol
764
Sichar aveva annunciato come gi biancheggiante (cf. Gv 4,35-38; erano i Samaritani che vestiti sempre di bianco scendevano incontro a Ges: Gv 4,39-43) (vedi Domenica della Samaritana).
Ges fa eccezione, prima presentando l'esempio mirabile del Samaritano soccorrevole dove avevano mancato le persone pi impegnate
verso il popolo (sacerdote e levita); poi facendo in modo che qui il Samaritano lebbroso, ma guarito, dimostri la sua lode e la sua azione di
grazie. E accoglie il guarito con strane parole. Anzitutto, gli "risponde", come se il Samaritano gli avesse rivolto una domanda; ma la
presa di posizione di Ges, qui necessaria. Poi Ges stesso, invece di
fargli le felicitazioni come si usa nei casi di guarigione, e poi cos prodigiosa, gli chiede: "Non i dieci furono purificati?", e cos restituiti alla
vita civile normale e alla vita liturgica. "E i nove, dove?" (v. 17). evidente, dopo il controllo sacerdotale, hanno fatto ritorno alla vita normale, come tutti gli altri, scomparendo nella massa anonima.
Al v. 18 prosegue la domanda di Ges, che si fa amara: non furono
trovati i 9 mentre ritornavano indietro, da Ges stesso, ma solo per "dare gloria a Dio", con l'eccezione di "questo straniero", il Samaritano.
un enorme elogio per quest'uomo straniero. Il quale solo, di tutti, ha
compreso che per accettare veramente il dono, e non per esprimere un
"grazie" cortese, si deve celebrare pubblicamente il Donante divino.
Ma ha compreso anche, lucidamente, che il punto unico di raccordo
con il Dio da glorificare questo Ges supplicato.
A sua volta, Ges sa bene che se i nove non tornarono indietro fino
a Lui, allora non dettero neppure gloria a Dio. I nove erano del popolo
santo, bens, partiti nella fiducia, egoisticamente, compresero solo di
essere stati guariti. Solo il Samaritano era partito, oltre che nella fiducia, con la fede, sulla spinta della quale torna ad abbracciare i piedi del
suo Guaritore. Lo straniero finalmente tornato nella vera Patria, la comunione con un Ebreo, poich "la salvezza viene dagli Ebrei" (Gv
4,23, Ges alla Samaritana di Sichar). E mediante l'Ebreo Ges, la comunione anche con il Signore Dio degli Ebrei, il Medesimo per Signore e Dio anche degli altri figli, i Samaritani.
La piena del cuore del Samaritano sta nel suo "glorificare con voce
grande" e nel suo "rendere grazie" e nel suo abbracciare i piedi di Ges.
La piena del cuore del Signore sta nelle parole stupende con cui saluta il Samaritano poco prima elogiato: "Risorto, va, la fede tua ti ha
salvato!" (v. 19). Questa formula comune ai Sinottici (cf. Le 7,50;
8,48; 18,42; Mt 9,22; Me 5,34; 10,52; etc.). Essa indica una teologia
difficile. Come "la fede, pistis", pu salvare se un fatto che sorge dal
cuore, che l'intelletto e la volont dell'uomo?
La risposta semplice e complicata. semplice: la fede dono gratuito divino, che l'uomo non pu darsi mai, ma che pu, anzi deve, solo
765
Col 3,12-16
Prosegue la lettura dell'Epistola ai Colossesi. La presente pericope
si salda con quella della Domenica precedente, a cui si rimanda anche
per il contesto letterario e teologico. Tale contesto vuole tracciare la fisionomia della vita nuova secondo Cristo, e non pi secondo il secolo,
a partire dall'iniziazione battesimale al Mistero divino. Qui avviene
che scompaia nel nulla "tutto il vecchio uomo con le sue azioni" (v. 9),
ossia con il suo modo, inveterato nella sua immoralit, di comportarsi.
L'"uomo nuovo-rinnovato" dal Mistero battesimale ormai ha acquisito
il modo di essere e di pensare della sua Icona, che anche il suo Creatore e Ri-Creatore, Cristo Signore (v. 10). In Lui scompaiono anche tutte
le differenze per s naturali e normali e perfino buone, di tipo religioso
e cultuale, culturale, sociale, poich ormai "sussiste tutto restaurato
ed in tutto, Cristo" (v. 11 ).
L'iniziazione al Mistero divino, se uno spogliamente del vecchio e
decrepito, segno evidente del peccato antico e nuovo (v. 9), per al
contrario anche un "rivestirsi" (gi al v. 10) di realt nuove. Qui la veste l'immagine simbolica che significa qualche cosa come la pelle,
che si porta per natura e che non si pu dismettere, anzi si deve debita767
mente curare, con essa essendo nati. Nella teologia degli atti umani si
usa parlare di "abito della virt", ossia dell'attitudine ormai agevole a
voler vivere la Grazia, come agevole e pratico ed elegante indossare
un bel vestito; da abito viene anche "abitudine", che per assume un
senso non univoco, pu essere abitudine buona, ma per lo pi indifferente o non buona (ed allora si chiama vizio).
Di che veste parla qui Paolo? Di quella degli "eletti di Dio", dove il
termine eklekti (da eklgomai, "scelgo per me"), indica l'indicibile
Grazia della vocazione divina che raggiunge il suo effetto negli uomini
fedeli e che corrispondono ad essa. Ora, chi "scelto" da Dio, da Lui
anche dotato di tutto il necessario, poich Veklog, la scelta-elezione
precedente all'uomo, lo accompagna sempre, lo segue fino allo scopo
inteso dal Disegno divino. Per questo gli "eletti" sono stati santificati, e
di fatto sono hagioi, santi, e furono dall'eternit gapmnoi, amati.
La dote, il Signore con infinita generosit l'elargisce agli eletti suoi,
che dunque debbono accettarla, possederla, viverla, attuarla nella loro
esistenza redenta e santificata. Essa (v. 12) consiste anzitutto nella qualit
principale con la quale Dio stesso si presenta nella storia del suo popolo
(ed ovviamente, di tutti gli uomini), gli spldgchna oiktirmo, le "viscere
di tenerezza", quelle materne, ossia la misericordia verso il prossimo. In
secondo luogo, per sul medesimo piano, la chrstts, la bont (chrsts, buono) benigna sempre. Poi la tapeinophrosyn, l'umilt, base universale dei rapporti di ciascun fedele con se stesso, con il prossimo, con
Dio. Segue laprauts, la mitezza e mansuetudine dei "poveri di Dio" gi
nell'A.T., e poi di Cristo stesso (cf. Mt 11,29). Infine, additato come
componente indispensabile dell'"abito" indossato per sempre la makrothymia, la magnanimit longanime, paziente, generosa (v. 12). Ora
Paolo non nuovo ad enumerazioni come questa. Quella che pi sembra
avvicinarvisi nell'identit, e che a sua volta fondamentale, chiamata
da lui "il Frutto unico dello Spirito Santo" in Gai 5,22, e che adesso si
pu utilmente comparare con la lista di Col 3,12:
Col 3,12
- viscere di misericordia,
splgchna oiktirmo
- bont benigna, chrstts
- umilt, tapeinophrosyn
- mansuetudine, prauts
- magnanimit, makrothymia
768
Gai 5,22-23
- carit agape
- gioia, char
- pace; g^n
- magnanimit, makrothymia
- bont benigna, chrstts
- bont d'animo, agathsyn
- fede, pistis
- mansuetudine, prauts
- dominio di s, egkrteia.
In Gai 5,22-23 Paolo organizza queste doti che sono "il Frutto" che
lo Spirito Santo fa produrre nei cristiani, in 3 triplette; in Col 3,12 invece in modo circolare, dalla misericordia alla magnanimit.
E qui egli prosegue nell'applicazione dei doni. Ed anzitutto, i fedeli
debbono accettarsi (anchomai) reciprocamente, e sopportarsi se serve, e
nell'atteggiamento conquidente del donarsi (charizomai). Questo implica
anche il condono benevolo e generoso nel caso che qualcuno, come inevitabilmente accade quando gli uomini si trovano in una qualsiasi comunit, abbia da fare giusti reclami (momph). un obbligo, questo, non un
lusso dello spirito che si pu concedere (oppure no). Esso proviene dal
fatto scatenante che il Signore, Dio Padre, nel Figlio "fece grazia" (charizomai) di ogni sua giusta e terribile momph, contestazione motivata
contro gli uomini: che se cos Lui, anche i suoi figli debbono agire in
eguai modo. Qui pu soccorrere la memoria talvolta pigra dei cristiani il
"Padre nostro": "condona a noi i debiti come noi gi li ebbimo condonati
ai debitori nostri" (Mt 6,12), dove il nostro condono dei debiti altrui,
sempre minimi rispetto a quelli che ci condona il Padre e che sono mostruosamente grandi e mortali, condizione per ricevere il perdono gi
accordato prima del nostro peccato (cf. qui Mt 6,8, e Is 65,24; Gv 16,26;
1 Gv 4,19). Vi insiste la parabola del Re e del condono del debito di
10.000 talenti (Mt 18,23-35), che termina: "Cos il padre mio Celeste
agir con voi come contro il debitore condonato ma spietato verso il
suo debitore di soli 300 denari , se non avrete rimesso il debito ciascuno al fratello suo dai cuori vostri" (MT18,35),ossia a partire da tutto il
cuore (vedi Domenica \v& latteo). Paolo 1 ottimottiscepoTo (Tei Signore, anche quando il Signore narra le parabole (v. 13). E perci ripeter
questo instancabilmente: Efes 4,2.32; 5,2; Gai 5,14, etc.
La "norma d'oro" viene qui a scandire il ritmo della vita cristiana, e
si pone come indelebile iscrizione che fonda la vita: Sopra ogni altra
realt, Vagape, l'amore di carit! gi detto in 2,13; lo aveva affermato
in Rom 13,8-9; lo ripeter in Efes 4,3-4. E motiva: la carit il vincolo,
il legame infrangibile, che conduce verso la perfezione della vita fedele
(v. 14).
In questo, sotto forma di augurio e di esortazione, Paolo ricorda che
la pace di Cristo deve essere l'arbitra della gara, che decreta anche il
premio, brabu, insediata come deve essere nei cuori dei fedeli, ossia
nella profondit personale pi decisiva della loro esistenza. Il cuore,
quella pace deve guidare, dirigere, moderare, indirizzare, esortare, ed
infine sanzionare con l'approvazione. Poich a quella medesima eirn
tutti i fedeli sono vocati per formare il "corpo" (sma) di Cristo, unico
ed unitario.
E questo gruppo di norme preziose termina con l'imperativo autori769
tario: "E fatevi, diventate, siate 'grati'" (v. 15). Il termine euchdristoi
composto da eu- e charizomai, e indica le persone che sono gradite, accettate da qualcuno, ma anche quelli che si comportano con animo grato, ben disposto perch memore dei benefici ricevuti, e dunque generosi, larghi, "liberali" verso gli altri. Tali significati qui si compattano, e
non se ne deve scegliere uno solo. I fedeli, gi accettati dal Padre perch radunati nel "corpo di Cristo", debbono celebrare questo con azioni
di grazie (nei Divini Misteri, nella preghiera continua), e memori dei
benefici di cui furono gratificati largamente, debbono disporsi ad operare altrettanto verso i fratelli.
H v. 16 sar poi ripreso e rielaborato in Efes 5,18-20 (vedi YApstolos della Domenica 9* & Luca). Ll lTcenti0 la Coppa eucaristica che trabocca
dell'ebriet totale dello Spirito Santo. Qui il centro il corrispettivo: la
Parola di Cristo (ossia Cristo come Parola, Verbo del Padre, anche se
non espresso cos se non in Giovanni) deve inabitare riccamente nei
fedeli e tra i fedeli (en hymin ha il doppio significato ebraico, qui
presentato). Essa comporta con s la sophia, l'intera sapienza della
Sapienza divina, alla cui luce i fedeli debbono essere gli uni insegnanti
(didask) degli altri, e correttori (nouthet) gli uni degli altri, in modo
da far crescere una Comunit formata ed equilibrata. All'interno della
Comunit, inoltre, essi debbono condurre una vita liturgica attiva, permeata dai Salmi, da inni e cantici, tutti spinti e guidati dallo Spirito
Santo che dona la Grazia. Solo cos il canto pu erompere dal cuore
adorante verso Dio che lo accoglie (v. 17; e Domenica 9a 1 uca>5. EVANGELO
a) Alleluia: Sai 88,2.3, "Salmo regale"
Vedi l'Alleluia della Domenica 6a di Pasqua; Ha
di Matteo
' 5a
di Luca
'
b)Le 18,18-28
esto evangelico il parallelo di Mt 19, 16-26, vedi la
II .t Domenica
12adi Matteo; per il suo senso generale, si rimanda
di
a quel commento.
Qui si cercher di stringere da vicino le specificit lucane.
Il contesto la "salita a Gerusalemme" del Signore, la quale ormai
volge al suo termine. Lungo tale itinerario il Signore battezzato e trasfigurato ha moltiplicato la predicazione dell'Evangelo con l'insegnamento
della dottrina che ne deriva, ed i "segni" miracolosi con cui attua le
opere del Regno. Sempre nella Potenza dello Spirito Santo e secondo il
Disegno del Padre, ed in vista della futura missione dei discepoli, che
nel mondo, tra le nazioni, dovranno a loro volta compiere "opere pi
grandi" (cf. Gv 14,12) di quelle del Signore stesso.
770
Luca come autore sacro sta molto attento a raccogliere in particolare, tra gli immensi tesori delle parole pronunciate dal Signore, il suo insegnamento sulla povert, che si pu definire una vera e propria "catechesi sulla povert" (rifarsi allo schema di Luca, nella Parte I). Ora,
l'incontro con uno, che Lo interroga, da modo al Signore di definire
sempre pi da vicino che la ricchezza, che la povert, che la rinuncia e la sequela di Lui.
Ecco dunque uno di alta dignit, archn, si rivolge a Ges. Quel titolo pu significare una presidenza di qualche ufficio, indicando l'essere
"primo, principe" (cf. il verbo rch), ossia una magistratura, un incarico importante. Solo da Mt 19,22 chiamato "/io neaniskos, il giovane", per cui si dice in genere che questa pericope "del giovane ricco". Egli chiede a Ges che occorre "aver compiuto (poisas) per ereditare da parte di Dio la vita eterna". Per lo interpella con l'appellativo, in fondo molto lusinghiero: "Maestro buono" (v. 18). Nel parallelo
di Mt 19,16 la domanda : "Maestro, che di buono...", e cos il centro
della richiesta spostato verso il moralismo. Marco e Luca hanno invece "Maestro buono". Ges non gradisce questo indirizzo alla sua persona. E non perch Egli non sia "buono". Tutta la prima parte dei tre Sinottici, fino alla Trasfigurazione, presenta precisamente Ges come il
Messia mansueto, soave, mite, premuroso del bene dei suoi fratelli, misericordioso, disinteressato; la sua fama si era diffusa largamente, e
proprio per la sua bont eccezionale accorrono da lui poveri malati infelici, anche scribi e farisei, e peccatori e pubblicani...e uomini ricchi
che hanno dentro il cuore il malessere della loro esistenza agiata, come
qui. Ma allora, perch Ges non accetta che Lo abbiano riconosciuto
per quello che , "il Buono" che viene dal Dio Buono?
Per devozione filiale al Padre suo, non per modestia ipocrita. Nella
sua coscienza filiale sa bene, vivendolo, di provenire dal Padre Buono,
di essere "Una Realt unica" con Lui (cf. Gv 10,30), e poich "in Dio
tutto uno, tutto comune", salvo la diversit delle Ipostasi, la Bont
di Dio in Dio del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. E per a
Ges Signore sta sommamente a cuore di riportare tutto al Padre. Come qui si ripetuto insistentemente (e il benevolo lettore lo sopporti,
poich si ripeter fino alla fine), Cristo battezzato al Giordano dal Padre con lo Spirito Santo deve passare tra gli uomini quale Messia divino d'Israele per il triplice ufficio messianico, di annunciare l'Evangelo
del Regno, di operare le opere del Regno, di riportare tutto nel Regno
al culto del Padre suo.
A guardare bene, allora, in questa pericope il Signore sta insegnando
la dottrina del Regno "conseguire la Vita eterna" , e riportando
tutto e tutti al culto verso il Dio Unico e Padre suo e nostro. Manca an771
lit morali, uno che sarebbe stato un degno discepolo per il futuro annuncio dell'Evangelo. E, come si sa, in un certo senso "Dio ha bisogno
degli uomini", in vista dell'Evangelo del Regno: del loro cuore per accettare il Signore e seguirlo, della loro bocca per la predicazione, dei loro piedi per raggiungere i confini del mondo, delle loro mani per operare le opere del Regno, di tutta la loro esistenza per riportare i figli dispersi all'adorazione del Padre. Perci subito lancia il messaggio della
vocazione anche a questo possibile discepolo. Ges lo ascolta attentamente, e poi gli parla: "Ancora un unico fatto a te resta", dove il verbo
lip indica quanto deve essere adempiuto. L'altro parallelo, Mt 19,21
interpreta mirabilmente: "Se vuoi essere tleios, perfetto", poich Ges
nel "discorso della montagna" aveva proclamato: Siate tleioi, perfetti,
come lo il Padre (Mt5,48, che rinvia a Lev 19,2: "siate santi!").
Ges adesso martella gli imperativi dell'adempimento, che sono ben
4: "tutto quello che possiedi, vendi (pl), "e distribuisci (diadidmi)
ai poveri", al fine di possedere il tesoro depositato ormai stabilmente
"nei Cieli", ossia presso Dio; poi "vieni (dur), segui (akolouth)
Me!"(v. 22).
prescritta l'espoliazione totale dei beni terreni. Questi non sono da
disprezzare, da abbandonare, da disperdere, ma da tesaurizzare nel modo pi vero e conveniente al fedele, ossia ridistribuendoli ai poveri, realizzandone la vendita ragionevole. Non il pauperismo, tanto temuto
dalle teorie neocapitaliste, che hanno paura proprio qui della Chiesa e
della sua predicazione di giustizia urgente nella bont, e perci hanno
paura di Cristo Signore, che pure dicono di stimare molto. Una paura
immediata, che inconsciamente forse si rifa al reale di Cristo, il quale
da Dio Ricco che era, volle farsi povero per arricchire tutti gli uomini
non della sua "ricchezza", bens proprio di questa sua povert, come
proclama, con frase al limite del paradosso, Paolo Apostolo (2 Cor 8,9).
Come potr la finanza mondiale, concentrata nelle mani di pochi "ricchi
scemi", arricchire di soli beni di produzione gli uomini, senza il "Tesoro
nel cielo"? La storia mostra gli orribili fallimenti dell'economia "pura"
che si susseguono, addirittura affamando interi continenti, ma sempre
con la conclamata fiducia ottimistica nella tecnica e nella produzione.
Ges allora vuole "un ricco di meno"? No, vuole un discepolo in
pi: "Vieni, seguimi!" Sempre, dappertutto, fino alla Croce e dopo.
questo un "consiglio evangelico", che nelle teorie "spirituali" dei secoli
sarebbe riservato ai pochi privilegiati, quelli che nella menzogna involontaria, ma convenzionale ed accettata, "seguono Cristo pi da vicino"? La Chiesa avrebbe una minoranza di aristocratici dello Spirito
Santo, i perfetti ma questa era una precisa categoria dello gnosticismo eretico! , ed una massa inerme di tanti fedeli, a cui lasciare solo
773
abilit letteraria Luca sceglie quel peri-, "intorno", che indica come
l'uomo fosse "preso e circondato dalla pi cupa tristezza". Me 10,22
dice che se ne and cos, Luca blocca solo sulla motivazione: era infatti
ricco moltissimo" (v. 23); per Marco, "possedente beni ingenti".
Il tratto non ignoto alla Scrittura. Ezechiele narra come, mentre
Gerusalemme sta per essere abbattuta dai Babilonesi, la folla corre dal
Profeta per ascoltare il responso divino, e questo precisamente di operare il bene verso tutto il prossimo (Ez 33,22-29). Perci tutti vi si rifiutano "perch il loro cuore corre dietro il guadagno" iniquo (vv. 30-31).
Farsi triste rifiutare. La tristezza davanti a se stessi, al prossimo e al
Signore Beato, grave peccato. Nel Signore sussiste solo Gioia, che
lo Spirito Santo, ma questa Gioia gloriosa, che Gloria gioiosa, comunicata agli uomini per la loro gioia infinita. Rifiutare la gioia dell'invito di Cristo, farsi triste. Accettare la vocazione, perfetta gioia dovunque essa porti e comunque essa conduca. Che ha impedito all'uomo
ricco di accettare questa gioia? Il diaframma in fondo esile, esiguo, banale, cosificante, inutile, squallido, rovinoso, malefico, che si chiama
mammona, ricchezza, guadagno, possesso, godimento, disposizione,
avidit, avarizia, egoismo, aridit di cuore, inimicizia e sospetto verso
tutti. Questo sono "i beni molti". L'essenza : "ricco moltissimo". scisma dal proprio cuore, diviso tra la chiamata, che si "sente" come santa,
vera, salvifica, e questo peso mortale che inchioda a terra, il possesso,
l'avida contemplazione di terreni e bestiame e case e cumuli di denari e
titoli di credito e industrie e investimenti... Su questo, rivedere la parabola del "ricco scemo" di Le 12,15-21, alla Domenica 9a di Luca.
Oggi la scienza psicoterapeutica dice che chi si stringe freneticamente addosso le sue ricchezze, un bambino non cresciuto, dunque
malato gravemente di nevrosi d'angoscia. Ges parla di peccato, e non
fa giri di parole anche vere, ma inutili.
Invece, Ges si preoccupa. Guarda il giovane, lo vede triste. Per
non pu fare nulla con parole o azioni. Pu solo ribadire i fatti ad uso
dei discepoli di allora e di sempre: "Come difficile", per non dire impossibile, che i possidenti di beni entrino nel Regno di Dio (v. 24). Le
ricchezze glielo impediscono? No, affatto, glielo impedisce il loro cuore
alienato da se stessi, dal prossimo e da Dio, divenuto avido, e sempre
pi avaro, dunque duro e scontroso, negatore del bene dei fratelli,
malvagio, peccaminoso come condizione permanente. Si usa dire che
occorre inviare nel Regno, prima che si giunga in esso, il proprio accreditamento bancario, la propria assicurazione "sulla Vita" eterna, che sono le opere dell'amore di carit fraterna. Questo richiede sempre lo
spossessamento del beni-impedimento dal proprio cuore. Il non spossessamento rende dyskls (avverbio), "difficilmentepossibile" il possesso del Regno donato da Dio.
775
Ges aggiunge qui la celeberrima comparazione: con irrisoria facilit un cammello sguscia attraverso una cruna d'ago, rispetto alla difficolt ostativa del ricco che si sforza di entrare nel Regno (v. 25).
E qui tutto finito. La sentenza giudiziaria fu pronunciata, e non conoscer appello.
Ma interviene la paura e l'insicurezza dei discepoli presenti ai fatti,
che hanno ascoltato nella crescente meraviglia tutte le parole
scambiatesi tra il Signore e il "capo" ricco. Ora, i discepoli non sono
ricchi, per seguire il Signore non seguirono pi i propri affari, anzi si
trovano nella condizione pietosa, e sempre pregiudizievole per l'onore maschile, di essere praticamente "mantenuti" dalle donne: Le
8,1-3; cf. 22 Luglio.
Ges lo accettava a viso aperto, i discepoli si nascondevano dietro a
Lui, tirando avanti come all'avventura, non sapendo dove il Maestro li
avrebbe portati. O forse speravano, come riportano Matteo (Mt 20,2028) e Marco (Me 10,35-45), bens non Luca, di diventare pezzi grossi
nel Regno messianico, ma terreno? Si preoccupano spaventati: se la ricchezza uccide, poich nega l'ingresso nel Regno, che la Vita eterna,
per allora chi non ha una ricchezza, anche minima? Dunque, chi "pu
salvarsi?" (v. 26). La domanda qui posta sulla dottrina dei meriti: chi
ha la ricchezza non pu conseguire meriti, perci non potr salvarsi.
Ges respinge tale morale spicciola, e angusta. E riafferma i diritti
di Dio: presso Dio anche quello che agli uomini non sar mai possibile,
invece perfettamente possibile (v. 27). Dio l'Onnipotente unico.
Non che possa o voglia o debba salvare il peccatore non convcrtito ed
impenitente, e per converso rovinare il santo e giusto ed umile e confidente in Lui. Le parole di Ges in realt rimano quasi alla lettera la medesima parola che l'Angelo di Dio rivolse alla Vergine figlia d'Abramo, a Nazaret, sulla sua parente sterile, Elisabetta, che per il divino
prodigio ha concepito Giovanni il Prodromo (Le 1,37), e gi prima
aveva rivolto ad Abramo stesso sulla sposa di lui, Sara, anch'ella sterile, a cui promesso divinamente un figlio (Gen 18,10), nonostante
l'apparente impossibilit fisica (Gen 18,14). Ora, il medesimo Signore
per il suo Disegno non trova davanti a s un "fatto impossibile". Tale
sar semmai agli occhi degli uomini. Dunque a Lui non sar impossibile far entrare nel Regno suo un ricco. Come? Convertendo il suo cuore
avaro, e trasformandolo in cuore donante.
Ma esistono di questo esempi? Si veda la vocazione del pubblicano
Levi (Le 5,27-31), con la conclusione: "Non venni a chiamare alla conversione (metanoia) i giusti, bens i peccatori (v. 32). E si veda 1'"affrettata discesa" che il Signore provoca nel pubblicano Zaccheo, che
confessa ed insieme sconfessa la sua ricchezza, facendone finalmente
776
777
"Sul cieco"
L'Evangelo di questa Domenica si proclama talvolta prima di quello
della Domenica 10\ altrimenti si omette.
Si proclama la Domenica che cade tra il 21 ed il 24 gennaio se la
Pasqua cade tra il 22 ed il 25 aprile.
1. Antifone
Della Domenica, o i Typikd e i Makarismi.
2. Esodikn
Della Domenica.
3. Tropari
1)Apolytikion anastsimon, del Tono occorrente.
2)Apolytikion del Santo titolare della chiesa.
3)Kontkion: rifarsi al Typikn.
4. Apstolos
a) Pwkmenon: Sai 27,9.ldi'jfe$f!#cainSraHfiSle".
Vedi Domenica T e 15a
' 6a
b) 1 Tim 1,15-17
Paolo era stato prosciolto durante la sua prima prigionia a Cesarea
nell'anno 58, ed aveva potuto recuperare la sua libert d'azione apostolica. Verso la met del medesimo anno si trova probabilmente in Macedonia, e di qui dirige istruzioni, tra le ultime che si abbiano, ai suoi fedeli
e fidati discepoli, Timoteo e Tito. L'Apostolo adesso stanco e provato
da tutte le traversie cominciate sulla via di Damasco. Sa che non gli
resta molto da vivere con gli uomini, e del resto il suo cuore fin dall'inizio posto in alto, come dir uno o due anni dopo ai Colossesi (Col 3,14), presso il suo Signore, nel quale anela di consumarsi. E tuttavia Paolo
non mai domo. La sua somma preoccupazione sono tutte le Chiese (lo
afferma in 2 Cor 1 1,28), e dunque tutti i fedeli di esse, e non meno i capi
che lo Spirito Santo pone a presiederle (cf. quanto dice agli Anziani di
Efeso, At 20,28; vedi Domenica T di Pasqu
Timoteo gli particolarmente caro. Nell'indirizzo dell'epistola lo
chiama "autentico figlio mio nella fede" (1 Tim 1,2), un figlio che diventa a sua volta padre di innumerevoli altri figli nella fede, per le ge778
nerazioni di Dio lungo i tempi della salvezza. Paolo nel 2 viaggio missionario (anni 50-52) aveva toccato Listri, e qui aveva incontrato un
"discepolo" fedele, Timoteo, di padre pagano ma di madre ebrea, Eunice, la quale con sua madre e dunque nonna di Timoteo, Loide, aveva
trasmesso la fede al figlio (2 Tim 1,3-5). Paolo, anche dietro la buona
testimonianza dei cristiani di Listri e di Iconio, si era preso Timoteo,
l'aveva fatto circoncidere e l'aveva associato alla sua missione; cos Timoteo si ritrova oltre che nel 2 viaggio missionario di Paolo, anche nel
3 (anni 54-57; cf. At 17,14-15; 18,5; 19,22; 20,4). L'Apostolo l'aveva
anche distaccato per delicate missioni a Tessalonica (1 Tess 3,2-6); in
Macedonia (At 19,22); presso la comunit cos irrequieta di Corinto (1
Cor 4,17; 16,10; 2 Cor 1,19).
Il fedele Timoteo aveva seguito Paolo a Roma nella sua prima prigionia (anno 58; Col 1,1; FU 1,1), mentre nella seconda prigionia (anno
61), Paolo gli scrive per chiamarlo vicino per i momenti supremi, stando con lui solo Luca (2 Tim 4,21 e l l ) .
L'Apostolo aveva distaccato Timoteo, per le sue capacit singolari,
come capo della Comunit di Efeso (1 Tim 1,3), e lo segue anche da
lontano, pregando incessantemente per lui e per la sua delicata posizione nel ministero apostolico (2 Tim 1,3-5).
Timoteo fu molto venerato dall'antichit cristiana. Le sue sacre reliquie, considerate autentiche dagli specialisti, furono ritrovate inaspettatamente nella cattedrale di Termoli, in Abruzzo-Molise, nel 1945 (vedi
22 Gennaio).
La 1 e 2 Timoteo e Tito sono chiamate "pastorali" (ma solo in Occidente, e solo dal sec. 18). Su esse si accese il dibattito a proposito dell'autenticit paolina, con argomenti solo filologici (muterebbe il linguaggio) ed ipercritici. Oggi la critica molto pi cauta, ed ammette che
Paolo nell'ultima fase della sua epopea apostolica, dopo i grandi viaggi
ed in vista del soggiorno a Roma, assunse nuove tematiche e nuovi contenuti (e cos molti "latinismi"), con un linguaggio diverso.
Teologicamente si deve per ripresentare fortemente l'argomento
principale contro ogni negazione moderna: la Chiesa considera Parola
ispirata anche le "pastorali", e le legge nella santa Sinassi, davanti alla
quale le piccole dispute di scuole "datate" non hanno eco. Alla critica
eccessiva si deve rispondere con paziente anticritica.
Le Epistole "pastorali" sono tali solo in parte. Esse sono fortemente
dottrinali, poich insistono a fondo sul punto che da quegli anni tormentati, con il serpeggiare delle prime dottrine eretiche o almeno eterodosse, tra le Comunit dell'intero impero romano, si era trovato ad essere cruciale: l'immacolata santa Dottrina divina, che la Santa Scrittura nella sua integrit ma nell'interpretazione degli Apostoli, e dunque
la Tradizione divina apostolica ormai in atto.
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DOMENICA 14 DI LUCA
b)
Le 18,35-43
La "salita a Gerusalemme" sta ormai al suo termine (cf. Le 9,51
-19,28; e lo schema generale di Luca, Parte I). Il Signore battezzato dal
Padre con lo Spirito Santo, trasfigurato dalla Luce increata e assunto
dalla Nube della Gloria divina che lo Spirito Santo, ormai sta per
consumare il "suo esodo" (cf. Le 9,31), che ha come punto di arrivo necessario ma provvisorio la Croce, per l'Assunzione nella gloria della
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Resurrezione. La Potenza dello Spirito Santo durante la sua Vita tra gli
uomini Lo guida ad annunciare l'Evangelo, insegnandone la dottrina,
ad operare le opere della carit del Regno, e a riportare tutto al culto al
Padre Celeste.
_ . ,
Il contesto della pericope di oggi si inquadra tra la 3 a p Croce e della
Resurrezione, l'ultima (Le 18,31-34; vedi la prima, 9,23, prima della
Trasfigurazione che si colloca a 9,28-36; la seconda, in 9,43b-45,
subito dopo la Trasfigurazione, la quale dunque va interpretata alla luce
di quelle predizioni) e la vocazione di Zaccheo (19,1-10), con l'ultimo
insegnamento, la parabola delle mine (19,11-28). Poi Ges fa ingresso a
Gerusalemme.
Come si vede, il moltiplicarsi dei miracoli e dell'insegnamento del
Signore si fa pi intenso alla fine della "salita". In fondo, se solo si
considerano i miracoli di Ges in Luca, si ha il primo (4,31-37) con la
guarigione dell'indemoniato di Cafarnao, e l'ultimo, il presente, con la
guarigione del cieco di Gerico. Due "segni" potenti abbastanza simili,
il primo come liberazione dalla Potenza malefica delle tenebre che attanaglia l'uomo impedendo cos l'espansione del Regno di Dio totalizzante, esigente tutti gli uomini integri e salvi; l'ultimo, come restituzione di un uomo afflitto da una delle pi terrificanti disgrazie dell'esistenza umana, la tenebra permanente della cecit. Di fatto, il Regno di
Dio anche visione e Luce eterna e contemplazione trasformante, e il
simbolismo della "visione", determinante per la fede, decisivo insieme con quello dell'"ascolto" di fede.
Luca narra qui come Ges si avvicinasse a Gerico, visitando cos il territorio e la citt stessa. Nella "salita a Gerusalemme", secondo una cartina
topografica, Ges sta in realt discendendo dal settentrione verso il meridione. Da Efraim, all'estremo confine della Samaria con la Giudea, giunge a Gerico, e successivamente si reca a Betania, da dove entra a Gerusalemme nel tripudio popolare. La "salita" per esiste, poich Gerico sta
sotto il livello del mare, e Gerusalemme la sovrasta di oltre 1000 metri.
Lungo la via per Gerico stava abbandonato a sedere un povero cieco,
chiedendo l'elemosina (v. 35). Questa scena sconsolatamente comune
sotto tutti i cieli, in tutte le culture, in tutte le "civilt economiche", ieri
come oggi, e purtroppo come domani. Il cieco mendicante particolare,
poich molto comune. Su lui esiste perfino una letteratura di barzellette, alcune simpatiche, ma per lo pi e comunque fuori luogo. I "vedenti"
dovrebbero aiutare validamente i ciechi, e non lasciare che si riducano a
mendicare, e d'altra parte dovrebbero provvedere a cure e ricerche
mediche per debellare questo male terrificante, "questa cappa buia dentro cui non esiste direzione". In Oriente, in particolare, imperversava il
tracoma, un'affezione curabile, ma talmente trascurata che un flagello
che si diffonde senza riparo; ieri, ma ancora oggi.
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785
Luca
'
1 Tim 4,9-15
Paolo, fortunatamente assolto nel processo della prima prigionia a
Cesarea (anno 58), ripresa l'attivit apostolica, dalla Macedonia invia a
Timoteo, posto a presiedere le Comunit di Efeso, un'Epistola dove abbondano insieme la dottrina e le esortazioni dell'anziano Apostolo al
giovane suo successore. Come si accennato (vedi Domenica precedente), tenendo conto delle date essenziali: la Resurrezione del Signore
il 9 aprile dell'anno 30, data certa; la Sinodo apostolica di
Gerusalemme l'anno 50 (potrebbe esservi un'oscillazione di 1 anno
prima o dopo), l'apostolato paolino ormai dura da oltre 20 anni. In sostanza, con le "pastorali", ossia 1 e 2 Timoteo e Tito, si assiste al transi786
detto l'Apostolo in 1,15. Integrale accettazione (apodoch, da apodchomai, ricevere "da" fuori, da un altro) significa intangibilit senza resto, poich la Fonte solo divina (v. 9), e l'effetto solo salvifico, in
favore degli uomini fedeli ed accettanti.
La motivazione che segue mostra l'apostolato disinteressato nella
carit. Poich a questo solo scopo, trasmettere la Dottrina immacolata,
l'Apostolo "si affatica" (kopimen, plurale di modestia) ed anche "vituperato". Ma si sa il motivo, poich Paolo gi da tempo, e per sempre,
"ha sperato", ha riposto ogni sua speranza nel Dio Vivente, quello al
quale per tutta la sua esistenza apostolica ha portato i peccatori dei pagani affinch Gli dessero culto autentico e fossero salvati (cf. 1 Tess
1,9-10). Ed infatti il Dio Vivente l'unico Salvatore di tutti gli uomini,
senza Lui non esiste salvezza. Oggi questo revocato in dubbio, perfino
da missionari, con vari sofismi dovuti alle ideologie moderne ed al
nominalismo che da 8 secoli sta sgretolando le fondamenta perfino del
pensiero umano, della parola autentica, della vita autentica. Ma Egli il
Salvatore, il nostro Dio Vivente, in specie dei fedeli che si affidano solo
a Lui (v. 10).
A Timoteo qui Paolo indirizza due imperativi: annuncia ed insegna
questo, alla lettera: parggelle, denuncia, annuncia, da ordine, ammonisci, verbo che porta sul da farsi e sul non da farsi, e su questo poi didaske, dare spiegazioni, l'insegnamento paziente (v. 11).
Per tutto ci occorre 1'"autorit", il prestigio, che viene dall'et
avanzata, dalla personalit, dalla scienza, dall'abilit consumata di governo. Ora, Paolo sa bene che Timoteo giovane, troppo forse per un
mondo come quello ellenistico abituato a dare prestigio solo a personalit civili, militari, di cultura, che fossero fuori della gente normale.
Perci l'Apostolo ordina seccamente: Nessuno sottovaluti (kataphron) la tua giovent (nets, un'et che non superava i 30 anni).
Anzi il giovane successore dell'Apostolo si porr quale "tipo", o modello, dei fedeli che ha ricevuto in carico, a partire dalla "parola",
lgos, dove si pu comprendere cos: dalla Parola divina che diventa il
linguaggio abituale di Timoteo; il senso di lgos qui pu comprendere
le due soluzioni. E anche con la condotta della vita irreprensibile, anastroph, nella carit, agape, verso tutti, nello Spirito da donare a tutti,
nella fede, pistis, nella santit di costumi, agnia (v. 12). tracciato il
programma di quello che deve essere il Vescovo, e da lui il presbitero e
il diacono, nella Comunit ma anche verso l'esterno. La Chiesa antica,
si deve dire, in Oriente come in Occidente, ebbe una vera fioritura di
simili figure di santi Gerarchi.
Da lontano, Paolo seguita ancora a tracciare il programma di vita
per Timoteo, onde conferire a lui la fiducia, la fermezza, la stabilit nel
ministero. Cos, promette di visitare il discepolo amato, che per "in788
"cercava di vedere Ges", si contentava almeno di sbirciarlo da lontano, ma con la domanda intcriore: "Chi ?". Luca aggiunge qui un tratto
che in altri contesti appare comico. Zaccheo non un gigante, non ha
neppure la statura "media", basso, e la folla gli rende impossibile vedere Ges. La taglia bassa di Zaccheo funzionale alla narrazione (v.
3), poich cos il piccolo di statura e grande di ricchezza, Zaccheo, non
pu aggiungere un palmo a questa sua statura (cf. Le 12,25; e Mt 6,27),
e deve correre prima che giunga la folla, e salire su un sicomoro "al fine di vedere Lui", poich quella era la direzione presa da Ges per traversare la citt (v. 4). La scena ancora oggi si ripete in occasione di manifestazioni, di feste, soprattutto per lo sport, quando pali elettrici ed alberi sorreggono grappoli di giovani, anche alti, ma qui per risparmiarsi
il costo del prescritto biglietto.
Ges che passa Ges che guarda. Infatti Ges giunge sul posto
dove sta il sicomoro con Zaccheo, e guarda verso l'alto e lo vede.
Ges che passa e guarda Ges che chiama alla vocazione: "E parl
a lui: Zaccheo, affrettatoti, discendi" (v. 5a). Si tratta certo di situazione topografica, Zaccheo sull'albero sta in alto, Ges sulla via sta
in basso. Ma si pu qui riflettere pi a fondo. Ges dall'Alto della sua
Vita divina sta nel basso della vita comune degli uomini, gi " disceso". Mentre Zaccheo "salito" per la sua condizione di capo dei pubblicani e di ricco, una salita che per bassezza davanti a Dio e ai poveri, che deve essere vinta da questa "discesa" ordinata da Ges, per
stare al livello di Ges, per essere riportato da Ges verso l'Alto a cui
destinato.
Ges aggiunge la motivazione del suo imperativo, come sempre:
"Oggi, infatti, nella casa tua si deve che io rimanga" (v. 5b). Smeron,
oggi adesso, non ieri n domani. Sta nel Disegno divino, espresso qui
come spesso dal verbo greco di, "si deve" secondo quanto disposto
divinamente, e secondo quanto gioiosamente Cristo Signore attua.
Cos che avviene uno scambio paradossale: Egli "deve rimanere"
quale Ospite divino e Padrone, nella casa "di Zaccheo", che "deve"
perci farsi ospitare da Ges, aderendo a Lui, ponendo tutto in comune con Lui.
Zaccheo, che gi era mosso da dentro, e che si sarebbe contentato di
"vedere" Ges, e di sapere "chi ", si affretta ad obbedire, discende
dalla sua scomoda posizione sull'albero, in sospeso, viene sulla terra
sicura, e "accoglie nella gioia" Ges (v. 6), come spesso era accolto
Ges proprio dai pubblicani nella gioia di mangiare insieme. Questo
aveva provocato i mormoni di disapprovazione dei benpensanti, preoccupati che l'iniquit e l'impurit trovassero sostegno e giustificazione,
e soprattutto piet e comprensione da parte di uno del resto assai stimato come Ges (cf. Le 7,36-50).
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