Da bambino avevo un idolo. Non era un nume tutelare, ma un proiettore. Per lungo
tempo non mi fu consentito di toccarlo, perch soltanto mio padre e mio fratello potevano
comprenderne la complessit. Poi arriv il giorno in cui fui considerato abbastanza
grande per fissare e infilare le piccole bobine da 9 millimetri e mezzo della Path Film,
montare un piccolo schermo in cartone dentro il proscenio del mio teatrino e guardare
sempre con lo stesso immutato stupore i fotogrammi grigi e graffiati. 1
Peter Brook pone questo ricordo - il primo - quasi in apertura della sua
autobiografia. Subito dopo Brook ricorda il primo spettacolo per bambini a
cui assistette su un teatrino dell'Ottocento (la prima esperienza teatrale e a
tutt'oggi [...] la pi vivida ma anche la pi reale) e la prima volta che vide
una trasmissione televisiva (un'immagine grigia e puntiforme su un piccolo
schermo di vetro), quando si sent come risucchiato dentro lo schermo,
sperimentando con quanta rapidit un'illusione pu agganciarsi
saldamente a noi, con quanta facilit la nostra sostanza si dissolve fino a
farci scomparire nell'irreale.
Attraverso questa sequenza, evidentemente ben costruita ad arte, che ha
al centro il ricordo del teatro, Brook sembra contrapporre la nota dominante
del colore grigio delle immagini riprodotte dallo schermo ai colori che
caratterizzano lo spettacolo e lo spazio teatrale: i palchetti variopinti, le luci
della ribalta, il sipario rosso e giallo, il cartone blu dell'acqua dipinta del
mare e del cielo con le nuvole bianche, l'arancione delle schegge di
un'esplosione contro il fondalino cinereo .
Ma al di l di questo, per, malgrado il grigiore del mezzo (Il proiettore
nonostante il mio amore per le immagini che produceva era una immagine
cupa e priva di fascino), lo stupore e l'attrazione per un mondo che era
molto pi convincente di quello che conoscevo fuori fanno s che il ricordo
del cinema permanga in modo persistente attraverso il feticcio di due
preziose bobine cinematografiche di un film professionale recuperate da
un qualche mucchio di rifiuti e che improvvisamente si colorano,
1Peter
Brook, I fili del tempo, trad. it di Isabella Imperiali, Milano, Feltrinelli, 2001, pp. 13-14.
All'inizio, infatti, quella che Brook tenta, prima di diventare regista di teatro
e d'opera (i campi in cui realizza davvero le sue innovazioni) la via del
cinema: "Che cosa vuoi fare da grande?"... Il regista cinematografico.8
Ecco allora il progetto di prendere lezioni di fotografia come primo passo
verso un'attivit nel cinema; poi il primo apprendistato negli studi di una
produzione di documentari, assunto ai Merton Park Studios, nella zona sud
di Londra, dove si accorge
che un teatro di posa non era, come avevo ingenuamente immaginato, un mondo
nuovo pervaso da un biancore futuristico e dal silenzio, ma uno spazio trasandato pieno
di mobilio accatastato, in cui parti di salotto e cucine luccicavano soltanto quando il
cameramen accendeva le sue lampade9.
che si mise a girare a una velocit superiore al normale e il film, con nostro grande
orrore, cominci a correre al galoppo. Quando spingemmo in avanti il dispositivo di
controllo della velocit, le voci degli attori salirono di tonalit e, mentre noi tentavamo
invano di sincronizzarle con le immagini in fuga, via via crebbero sempre di pi finch
tutto il sonoro anneg nelle risate del pubblico10
E ritorna qui l'immagine infantile dei film proiettati sul cartone posto nel
proscenio del teatrino, immagine dello schermo come qualcosa di vitale, che
ritorna nel pensiero che attribuisce ai bambini-attori di Il signore delle
mosche:
Prima di iniziare le riprese i ragazzi erano eccitatissimi all'idea di essere i protagonisti
in un film, anche se nessuno di loro sapeva bene di che cosa si sarebbe trattato. Forse
immaginavano di arrampicarsi fino a uno schermo e poi entrare in un mondo dove la vita
scorre con un ritmo meraviglioso ed a cui tutti gli aspetti noiosi del vivere sono stati
eliminati12
10Il
13Il
Ed quello che, sul piano della recitazione, mette in pratica con Jeanne
Moreau in Moderato cantabile.
Jeanne Moreau, a mio avviso l'attrice cinematografica ideale del nostro tempo
perch non caratterizza i suoi ruoli; recita nello stesso modo in cui Godard gira i suoi film
e con lei si riesce ad avvicinarsi il pi possibile al documento sull'emozione. [...] Jeanne
Moreau lavora come un medium: d'istinto. Il personaggio le suscita un'impressione e
qualcosa poi in lei osserva mentre improvvisa e lascia che si sviluppi cos come viene,
intervenendo appena come un bravo tecnico, qua e l quando, per esempio vuole
trovarsi in posizione frontale e a una giusta angolazione rispetto alla macchina da presa.
Pi che definire a priori come affrontare le difficolt, Jeanne Moreau guida il flusso della
propria improvvisazione e quindi la sua recitazione una continua proposta di minuscole
sorprese. All'inizio di ogni ripresa nessuno, nemmeno lei, sa esattamente che cosa
accadr.15
14I
***
17I
Una volta entro il teatro [...] restavo di solito incantato; ma non dalla storia o dalla
recitazione, erano le porte e le quinte a catturare la mia immaginazione. Dove
portavano? Come era organizzato il retro? Un giorno il sipario si alz e la scena non era
quella delle pareti di un salotto. Era il ponte di una nave, di un vero transatlantico, ed era
inconcepibile che un cos splendido transatlantico potesse finire all'improvviso dietro le
quinte. Dovevo sapere quali corridoi conducevano via da quelle spesse porte d'acciaio e
cosa c'era oltre gli obl. Se non era il mare doveva essere l'ignoto.21
Credo ci sia uno stretto legame fra questo ricordo che ci riporta ancora
all'infanzia di Brook e il racconto dell'ingresso alle Bouffes du Nord, il teatro
parigino che forse meglio ci aiuta a rappresentare l' "altrove" di Brook: il
teatro risorto dalle sue ceneri, un teatro dimenticato e in rovina; uno
spazio raccolto che pu diventare un angolo di strada per scene crude
oppure un tempio per una celebrazione [...] esige dagli attori l'energia in
grado di pervadere un cortile, coniugata con la naturalezza con cui si recita
in una stanzetta:
L'edificio in cui ci intrufolammo era stato abbandonato da pi di vent'anni ed era
utilizzato di tanto in tanto da senzatetto in cerca di un riparo. Non avevano esitato a
bruciare qualsiasi cosa fosse utile ad accendere un fuoco che poi soltanto la pioggia,
quando filtrava dai buchi del soffitto, provvedeva a spegnere. Le poltrone erano sparite, il
palcoscenico era sprofondato, il pavimento era ridotto a una serie di crateri pericolosi22:
21I
22I