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ALBIGESI
ROMANZO STORICO
di

GIUSEPPE LA FARINA

Volume III. -' Prezzo La 1 75

0 3 i! 0 V42

Luigi Ponthenicr e C.
Tipogra Fdilm-.

GIORGIO FRA

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GLI

ALBIGESI
BUMANZO STORICO

DI

GIUSEPPE LA FARINA

"0LUME I".

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Slabimenlo Tipugtac0 Ponthauier

GIORGIO FRANZ m MONACO.

Gh Editori intendono godere del privilegio accordate sulla prnpriel letteraria


avendo adempito a quanto prescrive la Legge.

inmuuwm
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LIBRO TERZO.

CAPITOLO I.

Dove il lettore avr notizia di Agnese

Il pozzo, nel quale le due donne furono gittate, non


era pi profondo di otto braccia, ed avea appena
un braccio dacqua. Guiraude cadde a capo all in
gi; Agnese allimpiedi, ne si fece alcun male. Il
suo primo movimento fu di sollevare la compagna,

rimasta capovolta nell acqua, e non senza raccapriccio


vide che 1 avca il cranio sfragellano. In quel mo
mento il pozzo fu coperto, ed Agnese dovette convin'
cersi che la pi grande sventura era la sua, perciocch

l altra avea cessato di so'rire. Di fatto poter morire


subito lo sarebbe parsa la maggiore delle felicit; ma
consumarsi di fame in lunga ed orribile agonia, im
mersa nell acqua, stretta ad un cadavere, senza luce,

senz' aria, era questo un pensiero pi tormentoso della


morte pi atroce. E poi Agnese, sebbene fosse ani

_6_.
mosissima, come i nostri lettori han potuto vedere,
era una donna, ed avea ricevuto leducazione del

secolo in cui ella visse. La vendetta era quindi per


lei sacra; ma nel medesimo tempo ella non poteva
mcepire un avvenimento umano qualunque senza
lintervento diretto di Dio. Perch Dio le impediva

adunque di compiere il pi sacro de suoi doveri?


E la sua mente, che non trovava risposta a questa
dimanda, si confondeva e vagillava. A quandoa quando
ella diceva a s stessa: Perche io vendichi Ruggiero,

Iddio mi salver con un miracolo. E la speranza,


che non vuole abbandonar 1 uomo giammai, rientrava
nell anima sua con questo pensiero; e si rammen
tava di avere udito nella folla la voce di Edmondo,

di aver veduto ad una nestra un viso di donna co


noscente ed amico.... Ed intanto il tempo passava:
un tremito continuo scuoteva la sua persona, i suoi

denti battevano, le sue idee si confondevano sempre


pi, una guisa di letargia dolorosa simpossess di
lei, senza che il sentimento del suo stato si addor
mentasse. Era cos assopita Agnese, quando le parve

di udire un rumore sordo e continuo, che a poco a


poco si avvicinava. Ella raddoppia di attenzione, e
sente come una voce, sotterranea e lontana, che la
chiama a nome. Riconosce quella voce, e grida:

-- Edmondo ! Edmondo!
- Son io... son io, risponde la voce.
Ed i colpi crescono di celerit e di forza, e si avvi

.-.1

cinano , e
i sassi che
- Ah!
Ruggiero!

si avvicinano; e gi Agnese sente scuotere


rivestivano linterno del pozzo, ed esclama:
Iddio fa un miracolo per salvarmi! Ah!
Ruggiero, tu sarai vendicato!

Ma ecco che tutto a un tratto ella ode un nuovo


rumore unirsi al primo, come un rumore di acque

cadenti; e subito sente crescere le acque del pozzo!


Gia arrivano alla cintura... gi arrivano al petto...
Stende le mani per aggrapparsi a qualche cosa; ma
nulla trova, non una buca, non un sasso sporgente...
Tenta far puntello delle braccia e sollevarsi; ma le

sue braccia sono intormentte, e le pareti del Pozzo


troppo discosta. Il cadavere di Guiraude galleggia, e,
mosso dalle acque agitate, le batte sul petto. Ella
gitta un nuovo grido:

- Edmondo! Edmondo!
- Signora!... eccomi... qui... un istante...un istante

ancora.
E i colpi raddoppiano con maravigliosa prestezza;
ma anco l'acqua monta, monta, monta con grandis

sima celerit... e giunge alla gola... e giunge alla


bocca... e la sommerge! Agnese sente uno'spaven

toso ronzio ne suoi orecchi; pure non si abbandona.


Per tre volte, con un grande sforzo, la rimette la

testa fuori delle acque, e fa udire un altro grido,


ma sempre pi debole e pi soffocato... alla. quarta.

volta non pu: gi le acque la sorpassano di un


braccio!

.._8_

Due ore dopo, in una cantina sotterranea, rischia


rata dal debole lume di una lanterna appesa al muro ,
e dal riflesso di un fuoco acceso in un angolo lon
tano, stavasi Agnese , stesa supina su uno strato di

paglia. Naturalmente pallida , or era del colore della


cera, n sotto la sua pelle delicata vedeasi segno
alcuno di circolazione di sangue: i suoi occhi eran
chiusi; la respirazione avea cessato; i suoi biondi

e lunghissimi capelli le scendevano sulle spalle gron


danti acqua come quelle delle antiche Naiadi; le sue

braccia candide come 1 avorio , ma come l avorio ri


gide e senza vita, erano stese lungo ianchi; e le

ugna delle sue piccole mani aveano un colore di pal


lida viola. Maria 1 era inginocchiata accanto, e con

de panni caldi le stronava leggermente or le braccia,


or i piedi bianchi e ghiacci come la neve, ora il seno
che pi bello non fecero i greci scultori allorch vol
lero ritrarre le divine bellezze della giovine Ebe: quindi

avvicinava una piccola piuma alle labbra. di lei, ed


osservatane 1 immobilit, scrollava dolorosamente il
capo, come chi comincia a perdere la speranza. Ci
non ostante, quando i panni non erano abbastanza
caldi, ella andava in fondo della cantina, dove Ed
mondo innanzi a un caldano acceso, e colle vesti
grondanti acqua , scaldava altri panni. Edmondo, che

dal luogo dovera, per un arco che s interponeva,


non potea vedere la sua signora, appena compariva
Varia, le correva incontro, la interrogava con uno

._9._

sguardo pieno di lagrime e di ansiet, ed avutane


per tutta risposta una dolorosa scrollata di capo, met
teva tal sospiro profondo che purea il cuore gli si

spezzasse.
Maria si rammento di ci che molti anni indietro
avea veduto fare ad un medico, che avea studiato a

Salerno , in pro di un giovine cavaliere, ch era ca


duto nell' Ande , e volle farne 1 esperienza. Si curv
quindi su di Agnese, le strinse colle dita della sinistra

mano le delicate narici, ed applicando la sua bocca


alla bocca semiaperta di lei, cominci ad aspirare
e spirare con gran forza, mentre che colla destra.
premeva alternativamente il petto e lo stomaco. Dopo
aver fatto questo per parecchi minuti, ella prese nuo
vamente la piuma e l avvicin alle labbra di Agnese.
Un sorriso d immensa gioia halen sul viso della

Maria, che d' un salto fu presso Edmondo, dicendo


gli a voce bassa:
-r- Respira.

- Respira! grid Edmondo fuori di se; ma un


cenno della donna, che nel partirsi rapidamente da
lui gl imponeva silenzio, gli tronc in gola la parola,
ond egli, non potendo disfogarsi, si senti come sof
focato dalla gioia , ed agitandosi per tutta la persona,
e allannando e ansando, si coperse il viso colle mani
e cominci a piangere. Una nuova apparizione di Maria.
annunzi ad Edmondo, che la sua signora era salva;

e dieci minuti dopo, si ud la voce di Agnese che

_10_
lo chiamava a nome. Non era ancor terminato il suono
di quella voce evole e soave, che Edmondo era ingi
nocchiato accanto alla viscontessa, e presa la sua mano,

colla venerazione con cui si prendono le cose sante,


con labbra tremanti vi deponeva un lievissimo bacio.
Allora Edmondo e Maria, non cessando di prodi
gare alla viscontessa tutte le cure necessarie , le nar
rarono quant'era seguito. Come Edmondo, non tro
vando altra viadi salvarla, 1 avea da s stesso gittata
nel pozzo, in modo che non potesse riceverne gran
nocumento la sua persona; com egli avea proposto
che il pozzo fosse murato e non colmato, sicuro che _
il partito pi crudele sarebbe stato il pi bene ac
cetto a crociati; come il pensiero di salvare la sua
signora in quel modo gli era venuto dal vedere che
la casa prossima al pezzo era Occupata da Maria,
casa che precedentemente egli conosceva nel tempo
della sua dimora a Lavaur; come da ultimo lo stato
disperato in cui trovavasi Cignale, peri morsi avuti
dal fedele Ali, aveva facilitato ad Edmondo 1 intro
duzione nella casa di Maria, e tutti e due aveano

lavorato per tutto il giorno e met. della notte ad


aprire un passaggio sotterraneo dalla cantina verso
il pozzo, il che sarebbe riuscito loro con pi facilit,
se disgraziatamente non incontravano un condotto di
acque, che , rottosi sotto i loro sforzi, avea mancato

poco non alfrettasse la ne di quella che avean vo


luto salvare.

_.11__

Agnese ascoltava questi 'discorsi come


pi volte, con uno sforzo di volont sul
ella tent esprimere la sua gratitudine ad
e a Maria; ma il suo pensiero era pi e
della sua volont, e non poteva togliersi
idea: lo sono salvata con un miracolo!

distratta:
pensiero,
Edmondo
pi forte
da questa

Quando Maria vide che Agnese non avea pi hi


sogno delle sue cure, le disse:
- Signora, io vado ad assistere l uomo al quale
mi legano i miei peccati. Egli uno scellerato; ma
ein presso a morte, e alla misericordia di Dio

basta anche un istante per la salvezza di un uomo.


Di poi trattosi da parte Edmondo, cos gli disse:
- Edmondo, io da quando ti vidi per la prima
volta ti amai come un glio, e sai che ho fatto
quanto ho potuto per unirmi a te in tutti i travagli
e pericoli. Or sappi, o Edmondo, che la mia co
scienza gravata da due enormi peccati. Il primo
che per un capriccio inconcepibile, o per opera di
magia com io pi credo, ahhandonai il pi buono -

e venerabile e generoso signore della Linguadoca,


per seguire quest uomo, sul cui viso Iddio avea
messo 1 impronta del delitto: unica'oolpa dell ah
bandonato, l' et superiore della mia; unico pregio
del seguit0, la giovent, che pi [retta passa nei
vizi e nelle reit.
- Oh come, esclam Edmondo commosso sino alle
Iagrime, potesti tu 0 Maria seguire questo mostro!

_12_

perch non dici come potei io abbandonare


il signore di Minerve?

- Tu sua donna!

- Taci Edmondo.... taci per piet: non |mettere


la mano su questa piaga.
-- Oh! Maria quanto devi essere infelice! Ah!
erano le tue sventure che ti rendevano si cara a me;
perch ancor io appena udii la prima volta la tua
voce, compresi che non eri nata ribalda, n meritavi

di stare fra ribaldi.


- Si Edmondo, si o mio glio, io lo meritava
in espiazione delle mie colpe...

- Oh! gi 1 hai abbastanza espiate!


- No, perch ve n un' altra anco pi grave...
- Pi grave ancora! esclam Edmondo.
-- S, e per questa 1 espiazione non e ancora

cominciata.... perch un giuramento terribile mi lega


a costui che sta per morire... un giuramento ter

ribile, escogitato certo dall interna... Rammentati


di quella lettera che ti ho dato...
-- Non temer nulla, 0 Maria....

-- Ebbene... un giuramento terribile, Edmondo,


mi vieta di svelare durante la vita la mia colpa....
In quel momento si senti un [rumore come di
gravi e lenti passi, che venivan gi per una. scala,
la quale metteva nel sotterraneo.

- Mio Dio! chi sar. mai! esclam Maria; e


staccata sollecitamente la lanterna dal muro, comin

_15__
ci a salire. Tutto a un tratto, ella gitta un grido,
e cade rovescia gi per la scala e stramazza in can
tina. La lanterna, ch ella aveva in mano, nella ca

duta si spense; ma il fuoco che ardeva l vicino


mandava un chiarore rossastro abbastanza forte per
ch Edmondo potesse vedere scendere dalla scala
una gura orribile e spaventosa. Era Cignale quasi

ignudo, col petto dilaniato e grondante sangue, colla


gola squarciata, cogli occhi inammati dalla febbre
e orribilmente spalancati, con in mano una larga
coltella insanguinata. Egli si gitt su Maria, per
darle un secondo colpo; ma Edmondo, ratto come
un fulmine, trasse la sua spada e lo pass da parte
a parte; ond egli cadde morto, gittando un urlo,
che mai pi terribile e selvaggio non fece udire ti
gre ferito a morte. Edmondo prese nelle sue brac
cia Maria; ma linfelice avea gi cessato di vivere.
Mezz' ora dopo, Agnese ed Edmondo, favoriti
dalle tenebre della notte, uscivano silenziosi e guar
dinghi da quella casa, e quindi da Lavaur.
-- Edmondo, diceva la viscontessa: il mondo mi
crede morta, e tale io resti per lui: tu ed il vec

chio Guirardo saprete soli il segreto della mia vita.


La dimora del fulmine e ignota agli uomini, e si
nasconde nelle viscere della terra la forza terribile
del tremuoto.

._14_

CAPITOLO II.
Come Edmondo dette la lettera di Maria
al signore di l\linerve e ci che ne segu.

Il vecchio Guirardo, dopo la perdita di Minerve,


vivea ritirato in un piccolo castello de Pirenei; vero
nido di aquila posto in vetta a una rupe, dove sa
livasi per uno stretto sentiero ripido e tortuoso. Il
castello era composto di un gran dado massiccio e
merlato, sormontato da una torre con nestre mo

resche. Accosto al castello era una cappella, nella


quale erano i sepolcri degli antichi signori del luogo.
Le mura mezzo rovinate e fesso in pi luoghi; l" erbe
rampicanti che di qui e di l stendevano i loro tap
peti, e lasciavan cadere i loro festoni; i merli rosi

dal tempo: tutto dava a questo piccolo castello un a


ria di vetust e di abbandono. Per una gran di
stanza all intorno non v erano terre coltivate o abi
tazioni umane: il perpetuo silenzio che quivi regnava
non poteva essere turbato che dal muggito del vento,
dal mormorio di qualche lontana cascata, le cui onde

sinfrangevano ne sottoposti macigni, dall urlo di


qualche lupo notturno, e dallo stridio de falchi che
aveano i loro nidi sotto i merli della torre. il luogo
non poteva essere pi adatto per Agnese, che avea
risoluto di farsi credere oramai m0rta; tanto pi che

._15_

il castello avea una pusterla, donde potevasi entrare


ed uscire senz esser veduti; che v erano due came
rette nell ultimo piano della torre, dove nessuno
giammai saliva; e che Guirardo non avea tenuto
seco se non Giovanni e quattro o cinque suoi vec
chi e lidi servitori. Fu quindi introdotta la viscon
tessa nel castello e quivi albergata, senza che alcuno

se ne accorgesse.
Ordinate queste cose, Edmondo entr nella camera
di Guirardo, e gli disse che aveva un segreto da
confidargli. Il vecchio, che amava moltissimo Ed
mondo per la fede che serbava alla sua signora e

per le prodezze che avea fatte, e che non poteva


vederlo senza commozione pensando al glio che
avea perduto, gli disse:
- Sedete, mio glio, io vi ascolto.
- Signore, disse Edmondo, nel tempo ch io fui
co' ribaldi conobbi una tal Maria....
- Maria! sclam il vecchio, che si rammento
di aver veduto ne ribaldi Giovanni di Varles: Maria
voi avete detto?

- Si signore, Maria.
- Una donna bruna, robusta, con occhi neri....
bella... oh molto bella una volta!
- Per 1 appunto come voi la descrivete o signore.
- E dove si trova... dove si trova codesta don

na ?... Dite... dite dove si trova... voi non potete im


maginare quanto importi a me di vederla.

_1_8_.

ne di abbracciare con un solo sguardo tutta la bella


e robusta persona del giovine. Eppure egli lo avea
veduto tante volte! ma e non sapeva che fosse suo
figlio; ed un padre ha sempre bellezze nuove da am
mirare nella sua amata prole; onde, come se l a

vesse veduto per la prima volta, il povero vecchio


non si stancava di ripetere: Che gagliardo giovane!
Che braccia! Che portamento! E ritornava a strin
gerlo al suo petto e ad allontanargli dalla fronte
abbronzata i suoi neri ed inanellati capelli colle mani
scarno e tremanti, e a baciarlo e ribaciarlo, men

tre due ruscelli di lagrime solcavano le sue guance


e inumidivano la sua barba bianchissima e maestosa.
Disfogata alquanto quella suprema commozione,
che si manifesta solamente col pianto, con parole
interrotte e con certi gemiti indistinti e soffocati che

molto somigliano a quelli del dolore, il signore di


Minerve dette a suo glio la lettera, eh egli stesso
aveva recata. Essa diceva cos:
-_ Voi, o signore mi amaste: io fui ingrata
al vostro amore, e vi abbandonai per uomo, che
non degno baciare la terra sulla quale voi posate

il piede. La mia scelta, opera certamente dell in


ferno, fu la mia punizione. Io vi abbandonai, ma non
ebbi cuore di dividermi dal mio gliuolo. Ci che non
feci per voi, che meritavate ogni sacricio, feci per
un uomo che meritava ogni abbominazione. Obbli
gata da lui, lasciai il mio e vostro glio nella chiesa

_19._.

di un monastero non lungi da Carcassonna; e feci


un terribile giuramento sullostia consacrata, che giam
mai in vita mia avrei svelato a voi dove fosse il
fanciullo. Passato qualche tempo, io ritornai per ri
cercarlo; ma i monaci mi dissero che un cavaliero
sconosciuto avea avuto compassione del povero ab

bandonato, e 1 aveva preso e portato via; n potei


averne pi nuova. Il dolore mi rese quasi folle:
per distrarmi mi detti a disordini, e, sospinta dal

1 uomo che mi avea sedotta, piombai nel fondo di


ogni ahiezione e di ogni miseria... Sono una ribalda,
o signore, sono una ribalda! Viva non avrei osato
chiedere il vostro perdono: lo niegherete voi ad una
morta? In merito de dolori atrocissimi che ha sof

ferto il mio cuore di madre, non mi maledite, per


donatemi. Mi pare impossibile che io ottenga quello
di Dio, se non ho prima ottenuto il vostro perdono.
Del glio nostro non altro posso dirvi, che nel di
maledetto, in cui lo abbandonai, gli misi al collo
una mezza moneta di rame, e serbai l' altra mezza
che vi acchiudo. lddio dia a voi negli ultimi anni
della vostra vita quella consolazione, che nieg a
me nella sua giustizia, perch una madre, che ab
bandona il glio, non pi degna di rivederlo. Non
vi dico le angoscie terribili e gli atrocissimi dolori
che ho sofferto, perch voglio che il vostro per
dono, o signore, sia l effetto della vostra miseri

cordia pi che delle mie tribolazioni.

._20_

- Povera madre! esclam Edmondo. Ma voi la


perdonate, non vero padre mio che voi la per
donate? 0h se sapeste quanto il suo cuore era buono
e generoso, se sapeste a quanti pericoli ella si
esposta per salvarmi e per aiutarmi... E poi, padre

mio, ella morta... morta per vostro figlio e per la


viscontessa di Beziers vostra signora.
- Ucciso adunque? domand il vecchio.
- Si padre mio!
- Uccisa, e da chi?
-- Dall uomo che fu cagione di ogni sua sven
tura.
- Ed egli vive, grid il signore di Minerve, egli
vive! ed io....
- No, padre: il suo sangue rappreso ancora
sulla mia spada.
Il vecchio appoggi la sua fronte nelle mani, e
stette per qualche tempo silenzioso: quindi _alz il
viso, e disse con voce lenta e solenne:
- Non avrei perdonato questa donna, neanco se
1 avessi veduta attanagliare colle tanaglie roventi; e

se per dieci secoli si fosse prolungata la sua e la


mia vita, e per dieci secoli ella avesse pianto e pre
gato implorando il suo perdono, io l avrei maledetta
no all ora suprema della mia morte; ma ella mi

rende il glio, io la perdono: solamente ti vieto di


mai pi pronunziare il suo nome in mia presenza.

Edmondo cadde a piedi di suo padre, e presagli

la mano v impresse non pochi baci in segno di rin


graziamento. Quindi e' gli narr come quel cavaliero
sconosciuto che lo raccolse fosse un gentiluomo del
vecchio visconte di Beziers; e come e' morto e morto

anche il visconte, e rimanesse nel castello di Car


oassonna, e vi fosse nudrito ed educato dal giovine
visconte e dalla viscontessa; e com egli avea giu

rato di non abbandonare giammai la suasignora, e


di spargere per lei bisognando sino lultima gocciola
del suo sangue.

Il vecchio lod molto la fede del suo tigliuolo, e


lo esort a. mantenere inviolato il suo giuramento,
secondo le leggi dell onore e della cavalleria; dipoi
gli disse:
- Tu mi rendi la vita, o glio mio: dappoich
io era morto, non tanto per la vecchiezza del corpo

e le gravi sventure sopportate, quanto per 1 aridit


del cuore. Perch doveva io pi vivere? I miei amici
e compagni son morti o mi @hanno abbandonato,
tutti i miei dominii si riducono oramai a questo vec
chio castello mezzo rovinato. Del passato non mi
rimangono che pungenti memorie di un tempo che

non pi ritorna; e nel presente io non vedo che de


solazioni, infamie, tradimenti, e la nobile arte della
guerra ridotta a mestiero di assassini, di saccomanni
e di ribaldi. Con te e per te Edmondo io viver

nell' avvenire 1
Un giorno la viscontessa disse ad Edmondo:

- lo ho deciso di partire.
- Quando, signora?
-- Al nuovo giorno.

-- lo apparecchier tutto il necessario.


-- Ma tu non partirai con me Edmondo.
-- Come non partir con voi? domand il gio
vine con dolorosa maraviglia.
- No, io partir sola.
- Ma che avete voi, o signora, da rimprove
rarmi?

-- Nulla Edmondo; ma sarebbe crudelt toglierti


dalle braccia di un vecchio padre, che non ha nulla
al mondo oltre questo unico ed amato gliuolo.
-- In quanto a questo, rispose Edmondo un po
rassicurato, voi conoscete abbastanza, o signora, il

padre mio per sapere ch' egli stesso mi ordinerebbe


di compiere il mio dovere, anche a costo della sua
vita. Non mi scacciate, o signora, dal vostro ser
vizio!

- Scacciarti Edmondo! scacciarti! ma che dici


tu mai?

-- Ebbene lasciate adunque chio adempia il mio


giuramento.
Allora Agnese cond ad Edmondo ci che dise

gnava di fare, e questi and subito a trovare il pa


dre suo e gli disse:
-- Padre mio, io debbo confidarvi un segreto.
-- Questo segreto tuo? domand il vecchio.

_25_

- No padre mio, della mia signora.


- E ti ha ella ordinato di condarmelo?
-- Non signore.
-- E perch adunque vuoi dirmelo?
- Perch io debbo domandare il vostro consen
timento a cosa che vi sar di certo sgradita.

- Serba il segreto della tua signora, glio mio,


e dimmi ci che desideri.
- Partire, padre mio.
- Partire! esclam il vecchio.
- Si padre mio.
- E quando?
-- Domani.
- Solo?

- Colla mia signora, padre mio.


- Partire! ripeteva Guirardo... Ed io che spe
rava dissetarmi del tuo aspetto! vederti giorno e
notte! udirti in tutte le ore!... Io che ho ancora
tante cose da dornandarti e tante da dirtenet... Ah!
non fa nulla!.... sar. per un altra volta... vero
che ci mi addolora; ma non fa nulla... Ecco come
ci abituiamo alla feliciti... ecco che io mi aiiggo
per non doverti vedere per qualche giorno, io che
sono stato diciannove anni senza vedenti... Via via

gli anni indeboliscono... Coraggio vecchio Guirardot...


Tu partirai domani, Edmondo.
L indomani, appena i primi raggi del sole nascente
indoravano la cima della torre, Gnirardo entr nella

_94._

camera di suo glio. Edmondo ancora dormiva; ma


il suo sonno era inquieto ed agitato. Il vecchio si

appress al letto, e in attitudine piena di profonda


e tenera malinconia, guard lungamente quella bella
testa del giovine, e ne senti una immensa piet, pen
sando che negli anni dell amore e della speranza ein
era entrato in una via che parrebbe terribile anche
a cuori pi virili; in una via dove gioie e piaceri
divengono nomi senza soggetto, dove la vita perde
ogni profumo e la gloria ogni splendore. In questi
pensieri era immerso il vecchio, e le lagrime scor
revano silenziose sulle sue guance , allorch Edmondo
si dest. I suoi sguardi s incontrarono con quelli del
padre suo, ed egli comprese ci che si passava nel
cuore di lui, che affettuosamente lo vegliava come
un amante e come una madre.
- Voi eravate qui, signore?
- Si mioEdmondo.
- E non mi destavate?
- Voleva lasciarti dormire mio glio: vaglia per
le lunghe insonnie che forse ti attendono.
- Permettete, che io mi levi.
Edmondo si vesti sollecitamente; il padre prosegui:
-- Senti, glio mio: tu assumi un opera superiore
alle forze della pi parte degli uomini, pensaci bene
prima, perch non debba venirne disonore a te e al
nome che oramai tu porti. Una donna giovine e bel
lissima si afda a te con la innocenza di una fan

._25._
ciulla e la serenit di un angelo, a te, che oramai
non sei pi un fanciullo abbandonato, ma il gliuolo
del signore di Minerva.
Edmondo sent tutto il suo sangue aluire al cuore,
e quindi al viso; Guirardo continu:

- Questa donna, Edmondo, la tua signora, ed


il suo cuore si pieno di un pensiero e di un amore,
da non lasciar luogo a nessun altro pensiero e a nes
sun altro amore. Ci che in altre circostanze sarebbe

stato, se non lodevole, scusabile, in questa, Edmondo,


sarebbe delitto... Or pensa, glio mio, che questa

donna tu la vedrai tutti i giorni e tutte le notti, da


sola a solo, nel segreto delle congiure e de'nascondi
menti, nellintimit de comuni disagi e pericoli.
- lo ho a tutto pensato, padre mio, rispose Ed
mondo; io ho tutto preveduto: ho fatto esperimento
delle mie forze, ed ho condenza in esse. Se vi pro
g\mettessi di morire degno di voi, non vi prometterei
gran cosa, perch la morte di certo preferibile alla
vita che io dovr vivere ; ma io vi prometto di pi,

io vi prometto di vivere, e di serbarmi sino allul


timo mio respiro degno di voi e degno di lei.
Queste parole furono pronunziate con voce cos grave
e solenne, e col loro accento rivelavano tal forza
mirabile di volont, che Guirardo non credette dover
nulla aggiungere, ed abbracciato e baciato in fronte
il glio:

-- Parliamo daltro, gli disse. Certamente avrai

_6_.

bisogno di danaro; io moneta non ne ho; ma ho


raccolte le gioie di maggior pregio che mi sono ri
maste , e tu le venderai nel bisogno... Ho fatto spol
verare e forbire da Giovanni una buona cervelliera
di acciaio, chio soleva portare nella mia giovent:
e che mi salv parecchie volte la vita: tu la pren
derai teco: v e ancora una buona spada di Damasco,
che tolsi in battaglia a un Saraceno; v' e un pugnale
di Milano; v una cotta di maglia piccola, ma ben
salda, da potersi portare sotto le vesti. Insomma io
ho fatto questa notte ripulire e apparecchiare ci che

ho di meglio, perch tu scelga quello che potr bi


sognarti.
-- Voi dunque, padre mio, non avete dormito
questa notte? domand Edmondo commosso.
- Ho vegliato tante notti pensando a te quando
credeva di averti perduto, che posso ben vegliarne
una or che so di averti recuperato. E poi il povero
Giovanni mi ha tenuto buona compagnia: egli mi
rammentava quelle notti, in cui noi preparavamo

le nostre arme per la battaglia del dimani... e cosi


le ore trascorsero inavvertite..... Ma lasciamo questo....
Sfuggi i pericoli inutili, mio figlio, e fa quello che io
non sapevo fare qund io ero della tua et, preferisci
all impeto la prudenza.

- Mi rammenter de vostri consigli, o padre mio.


- il tempo de leoni passato, Edmondo, e noi
siamo in quello delle volpi: guardati quindi pi deglin

_27__

ganni e delle perdie, che de fieri colpi di spada,


e temi pi de cherici , che de guerrieri: rammentati
di Carcassonna, e di Minerve.
-- Oh! me ne rammenter, signore, non dubi
bitate, me ne rarnmenter.
- Le mie prodezze , ripigli il vecchio, avevano
per testimoni compagni e nemici; per incitamento,
le grida de combattenti, il fragore delle arme e il
suono delle trombe; e per premio, la gloria. Tu vai

ad affrontare nelle ombre i nemici della tua signora,


ed invece del campo illuminato dal sole, ti troverai
in un terreno coperto di tenebre, ricinto d inganni,
dove si combatte senza gloria e si cade senza lode...

Addio, mio caro tiglio!


Edmondo si gitt con elfusione nelle braccia del
vecchio, che, sentendo rompersi il cuore, ripetea con
voce soffocata:
- Addio, mio caro glio... non dimenticare ci
che ti ho detto...
- No, non lo dimenticher, padre mio.... a ri
vederci....

- A rivederci? fece Guirardo scuotendo il capo;


ma quando?
- Fra un mese... fra due...
-- Fra un mese, fra due, ripct il signore di Mi
nerva. Tu non sai adunque, glio mio, che ad ot
tantasei anni luomo che si addormenta crede sem

pre di destarsi in grembo all eternit?

_gg_._
-* Non dite cos, padre mio... non dite cos...
io sento che noi ci rivedremo. ,
Mezz ora dopo Guirardo, appoggiandosi alle pa
reti della piccola scala di pietra, saliva lentamente

in vetta alla torre; e di la scorse da indi a poco pas


sare in fondo della sottoposta valle come due om

bre, che la sua vista indebolita dagli anni e velata


dal pianto non potea distinguere, ma che il suo
cuore indovinava. E fece cenni di addio colle mani
tremolanti, mentre le lagrime scorrevano in abbon

danza dagli occhi suoi, e le sue labbra mormo


ravano:
- Addio mio glio!... addio mia signoral... Che
il Signore de giusti vi benedica e vi assista !
Ma il povero vecchio non giungeva a vedere se

fosse corrisposto di saluto, e se il glio si fosse ac

corto chegli era sulla torre: per suppose di si, mi


s' ingannava.

CAPITOLO III.
Come Baldovino di Tolosa si un a nemici di suo fratello
e divent vassallo del Monforte

N el tempo in cui la viscontessa Agnese avea fatto

dimora nel castello di Guirardo, Simone di Monforte


avea costretto ad arrendersi il castello di Casser, ed

arsi vivi sessanta Albigesi, _avea cinto dassedio il

_.29__

castello di Montferrand, dove comandava Baldovino


fratello del conte di Tolosa. Baldovino, sebbene non

avesse seco che quattordici cavalieri e una piccola


schiera di arcieri e di fanti, si difese cos {valoro
samente, che Simone ne fu pieno di maraviglia, e
volle abboccarsi con lui. Baldovino and animosa
mente al campo nemico, e il Monforte, ricevutolo
con grande onore e condottolo nella sua tenda, gli
disse:

- Signor Baldovino, e molto tempo oramai che


fo la guerra nella Linguadoca, e vi ho trovato dei
prodi e gagliardi capitani, ma nessuno che con quin
dici cavalieri abbia osato per si lungo tempo resis
tere ad un esercito numeroso.

- Signor conte, rispose Baldovino, voi mi fate


molto onore; e la lode piace di molto quando viene
dai nemici.
- Siamo nemici, e ci combattiamo; ma la ni
mist non ci deve rendere ingiusti: pregiare quanto
meritano i propri avversarii e dovere dogni cava
liero. Io mi glorie di avervi per nemico, ed invidio
la gloria maggiore di chi vi ha per amico e per
fratello.

Baldovino si tacque accigliato; il Monforte pro


segui:
- D una sola cosa mi maraviglio, che il conte

di Tolosa vi lasci con si poco presidio, in cosi da


bole castello... ma... forse ne indovino la ragione.

_50._

- E quale credete che sia? domand frettolosa


mente Baldovino.

- Egli ha voluto mostrarmi, rispose freddamente


Simone, la prodezza de suoi capitani; e veramente
se tutti i baroni e cavalieri del conte vi somiglias
sero, non mi basterebbero quindici anni per la espu

gnazione di Tolosa.
Baldovino non era tanto semplice da credere sin
cere le parole del Monforte; ma la lode e tal ve
leno sottile che s insinua nel cuore umano anco a
dispetto della ragione, tanto pi quando si crede
meritata, e quando trovasi esacerbato dalla ingrati
tudine e sconoscenza.
- Credete voi dunque veramente, disse Baldo
vino che questa sia 1 intenzione di mio fratello?

- E qual altra esser potrebbe ? domand con aria


di grande ingenuit Simone.
- Avete ragione, nessun altra.
-- Se secondo il merito vostro non vi tenesse in
pregio, continu il Monforte, egli commetterebbe,
non che una ingratitudine, una follia.
-- Il conte di Tolosa, mio fratello, famoso in
tutta la cristianit per la sua prudenza.
- La prudenza e il maggior dono che possa
farci Iddio, disse il Monforte; ed io per questo
molto mi maravigliava quando udiva due che il conte
ti lascia vivere in povert, vi tiene lungi dalla sua

corte, e vi rinnega per fratello.

_51_

Questa. volta il dardo giunse al cuore di Baldo


vino, che si morse le labbra senza rispondere. Il

Monforte prosegui:
- In quanto a me, s io avessi un fratello come
voi, ancorch e fosse bastardo, mi terrei lietissimo
ed onorato di dividere con lui i miei dominii e le
mie ricchezze.
-- Vi ringrazio di molto, signor conte, della
stima che fate di me, disse Baldovino, volendo in
terrompere questa conversazione, evi priego di dirmi

1 oggetto di questo nostro abboccamento.


- Si avete ragione, rispose il conte: venghiamo

alle nostre faccende.


- Venghiamo pure, signor conte.
- Parlo da guerriero a guerriero: credete voi,

signor Baldovino, che il castello di Montierrand possa


resistere pi lungamente al nostro esercito?
- Potrebbe, se fosse soccorso.
- Se il conte di Tolosa avesse voluto, sono gi.
parecchi giorni che ci avrebbe assalito. Voi avete re
sistito pi di quanto potevasi ragionevolmente spe
rare. Parliamo sinceramente, signor Baldovino, per
ch simulare e. dissimulare lungamente io non posso,
e gl inngimcnti sono contrari alla mia natura: par

liamo sinceramente: vostro fratello vi abbandona.


- Non posso crederlo, disse Baldovino colle lab
bra, sebbene il suo cuore sentisse il contrario.
- Il fatto lo dimostra, disse Simone; e voi date

_.52_.
la riputazione, la vita e 1 anima vostra per un uomo

che desidera la vostra morte.


- Quali sono i patti, che voi mi offrite?

- Proponeteli, ed io gli accetter qualunque e


siano.

- Ma a che debbo io attribuire questi straordi


nari riguardi che voi mi usate?
- Vi ho promesso di parlare sinceramente, e
sinceramente vi rispondo: nemico di vostro fratello,
io amo naturalmente quelli ch e tiene per suoi ne
mici, massime se siano uomini prodi qual voi siete.

lddio vuol perdere il conte di Tolosa, e 1' accieca:


sia fatta la sua volont come in cielo cosi in terra.
- Io vi domando, disse Baldovino, salva la vita
e la libert. per me e per i miei compagni.

- Ed io vi concedo, rispose Simone, non sola


mente questo, ma anco le vostre robe, i vostri ca
valli e le vostr armi, purch giuriate non adoprarle
contro all esercito della croce; e se voi consentite
ad essere mio amico, voi avrete dominii e ricchezze
qual si convengono al grado vostro ed al vostro

valore.
- Mio fratello stato ingrata verso di me; ma
io non sar traditore verso di lui.

-- Non tradire sottrarsi alla dipendenza di chi


procura la nostra rovina: la legge de feudi non ob
bliga il vassallo a serbar fede ad uno sleale ed in
giusto signore. E poi il conte di Tolosa scomuni

_55_..

calo: i suoi vassalli sono dal sommo pontefice sciolti


dal giuramento di fedelt.
-- Accetto i patti ._della resa, disse Baldovino;

non cos i dominii che voi mi offrite: il tempo dar.


consiglio.

Lindomani il castello di Montierrand era in po


tere de crociati, o Baldovino cavalcava alla volta
di Tolosa col cuore pieno di speranze. Il seme da

lui sparso colla uccisione di Pietro di Castelnau


metteva gi frutto: la guerra era inevitabile: suo fra
tello avrebbe bisogno della sua spada; ed egli alle
antiche preghiere, potrebbe oramai aggiungere una
minaccia.
Il conte, che per solleciti messi aveva avuto no
tizia della resa di Montl'errand, passeggiava in una
gotica galleria del castello Narbonese, vestito d un

robone di seta turchina, con balze di velluto nero,


cinta a fianchi da una cintura di squama d oro,
dalla quale pendeva un pugnale coll elsa di argento
squisitamente cesellata. In capo avea un berretto di
velluto nero, senza alcun segno della sua dignit.
A quando a quando e' si fermava e aggrottava le ci
glia, come assorbito in tristi pensieri. AI comparire

di suo fratello, e, senza dirgli una parola, vglse su


lui uno sguardo severo e corrucciato. " *
'

-- Signore, gli disse Baldovino: il castell che


voi confidaste a me, ha fatto la maggiore e pi "lunga.
resistenza che poteva, ed ha ottenuto onorevoli patti:
mmc. Vol. "I.

._ al -.

spero che dalle mie opere voi avrete avuto una prova
della mia fedelt.
.
- Al contrario, rispose il conte: io ho avuto

una prova di come le vostre opere smentiscano le


le vostre parole.
- Io non vi comprendo, disse Baldovino diven
tando pi pallido di quanto soleva essere: a. ma voi
parlate cosi?
- S, a voi.

-- Mi credete adunque traditore?


-- Per la mia vita! ne dubitate ancora?
- Dimenticate voi che io ho sempre maneggata
in vostra difesa una spada, parsa molto grave ai
vostri nemici? Dimenticate voi che in vostro servi

gio io ho logorato i miei polmoni, e che per voi


mi trovo gi sull orlo del sepolcro povero e senza
dominii?
- E dimenticate voi, rispose il conte, che ave
vate giurato di non venire ad alcun patto co ne
mici? E voi cedete il castello di Montferrand? E voi

'_ mettete nelle mani del Monforte la chiave demiei stati?


-- E che doveva far io?
- Morire, grid il conte.

-- Ah! egli adunque vero, che voi volevate


la morte del vostro fratello? disse Baldovino livido
di collera.
- Tu mio fratello?
Tu, assassino di Pietro di
Castelnau?
I

_5j_

- Mi rimproverate di avervi liberato dal pi ero


vostro nemico?

- Ti rimprovero d' avermi trascinato per la tua


cupidit ed ambizione in una guerra, che inonder
di sangue la'Lingnatloca, e che sar Icagione della
sua rovina.
- Tale non sarebbe stata, se voi non vi foste
avvilito agli occhi di tutti i vostri baroni, facendovi

percuotere le ignude spalle dall' abate Arnoldo, e se


non aveste abbandonato il prode visconte di Bezicrs.
Queste due ricordanze erano le pi pungenti poi
cuore del conte di Tolosa, e come siegue che gli

uomini tanto pi si adirano e divengono violenti


quanto pi sentono di essere colpevoli e rimprove

rati con ragione, egli url con atto di minaccia:


- Esci da questo castello!
- Voi mi scacciate?
-- Si, assassino.

-- Voi scacciate il vostro fratello?


- Non lo sei, no: tu non sei glio del buon

Raimondo di Tolosa: esci bastardo.


- Non son figlio del padre vostro?
- No.
-- Ebbene... allora nessun legame ci unisce... ma

bada, conte di Tolosa, che il mio braccio e ancora


possente...

- Minacci! grid il conte mettendo mano al


pugnale.

_.56-_.

-- Badovino gitt un urlo di rabbia, usci ratto da


quella sala, scese le scale; balzo sul suo cavallo, gli
immerse gli sproni ne fianchi, e parti come un dardo

alla volta del campo nemico. Quivi giunto, e da Si

mone di Monforte con grande onore e festa ricevuto,


gli giuri) fede ed omaggio, e ricevette da lui lin
vestitura di molti feudi nel Querci. Da quel momento
il conte di Tolosa non ebbe forse pi ero ed ac
canito nemico di suo fratello Baldovino, cogli aiuti
e consigli del quale, Simone di Monforte occup Ca
Stelnaudari,.pass il Tam, espugn Itabatens, cdi
castelli di Montaigu, Cahusac, Gaillac, La Garde,

Puicelsi, San Marcello, Gupie e Sant Antonio, e


ricevuti nuovi aiuti d Alemagna, condotti da Teo
baldo conte di Bar e dal conte di Chalens, mosse
le insegne alla volta della citt. di Tolosa.

CAPITOLO IV.
Della prima ferita che tocc il giovine Raimondo
di Tolosa.

Era in Tolosa una chiesa dedicata alla Vergine


Maria, che, per essere stata di fresco

imbiancata,

avea preso il nome di Nostra Donna Dealbata. Un


giorno, sul tramontaredcl sole, si videro sul muro
esterno della chiesa un gran numero di croci lucenti

__.51_..

che si mubveano ed agitavano. I cherici comincia


rono a gridare miracolo; le donnicciuole, a piangere

e a picchiarsi il petto. Quelle croci non crea forse


che il riflesso di specchi messi ad arte in qualche
casa vicina; ma questa idea semplicissima non po
teva entrare nelle menti signorcggiate dalla super
stizione. Ci non ostante, ripotendosi tutti i giorni

e nella medesima ora quel miracolo, gi molti ne


ridevano; ed il contagio del riso gi per tutta la
citt si diffondeva. Allora Guglielmo Arnaud di Mon
pilieri, quel piccoletto, miope e tutto dolcezza nelle
parole, che i nostri lettori videro nell osteria del
Sole,

che ora aveva cominciato ad acquistare

nome di santo, trov un altro articio. Ecco chegli


va dicendo, che Ieggiero di cuore chi facilmente

crede, che non tutto ci ch e straordinario ha da


dirsi miracolo, e che 1 apparizione di quelle croci
pu essere 1' effetto di qualche cagione naturale.
Queste parole gli procurarono il favore de cittadini;
e gi tutti parlavano con gran rispetto e venerazione
di lui, che univa a tanta santit tanta prudenza.
Stando cos gli animi de Tolosani in suo pro dl

sposti, un di, nello aprirsi la chiesa della Dealbata,


i fedeli, che primi entrarono in essa, videro Guglielmo

Arnaud, caduto bocconi sul pavimento, piangendo e


singhiozznndo, e da Dio implorando con voce sof

focata misericordia e perdono de suoi peccati. Ri


chiesto della cagione di tanto dolore, narr come

_58_.

nella notte precedente, e s era chiuso in quella chiesa,


pregando fervorosamente Iddio e la Vergine Maria
sua madre, perch rivelasse a lui se 1' apparizione
delle croci fosse cosa naturale o opera divina; e che
dopo lunga preghiera avea avuto una stupenda vi

sione. Apparvero nella chiesa delle piccole croci lu'


centi, numerose pi che le arene del mare, e una
croce grandissima e risplendentissima, la quale mosse
verso la porta, che si apr da per s stessa, e la
sai libero il passo alla gran croce e alle crocelline
che la seguivano. Guglielmo si fece animo e and
dietro a quella mirabile processione, e la vide uscire

dalla citt di Tolosa e andare incontro e far rive


renza ad un cavaliere, che veniva armato di tutto

punto, con corazza, bracciali e gambali d argento,


scudo d adamante, elmo d oro, sormontato da una

croce splendente pi del sole, e con in mano una


spada fiammeggiante, come quella dell arcangelo, e
colla quale minacciava la citt di Tolosa. Guglielmo,
compreso da divino sgomento, cadde boccone, escla

mando: Signore, Signore misericordia per la citt


di Tolosa; ma una voce, ch ci riconobbe esser quella.
del profeta Isaia, rispose: Ecco il Signore vuota
il paese e lo diserta e ne guasta la faccia e ne di

sperde gli abitatori. L esecrazione ha divorato il paese


e gli abitanti di esso sono stati desolati; perci sono
stati orsi gli abitanti del paese, e pochi uomini ne

sono rimasi. L allegrezza de tamburi e cessata, lo

-59
\

strepito de festeggianti e venuto meno: e non si


berr. pi vino con canti: la citt ruinata e ri
dotta in solitudine. Lo spavento, la forza e il lac
cio, ti soprastanno o abitante del paese. La terra si
sclrianter. tutta, la terra si disfar. tutta . Il buon
Guglielmo gridava nuovamente: Signore, Signore mi

sericordia della povera citt. di Tolosa. Ma unaltra


voce, ch' egli riconobbe esser quella del profeta Ge

remia, gli rispose: Cos ha detto il Signore degli


eserciti: Ecco io mando contr a loro la spada, la
fame e la pestilenza; e gli far esser come chi
marci, che non si possono mangiare,

per la loro

cattivit. E gli perseguir con la spada, con la fame


e colla pestilenza; e far che saranno in esecrazione,
ed in vituperio ._fra tutte le genti, dove gli aer
scacciati. E li render simili a Sedechia e ad Achab,
i quali il re di Babilonia ha arrostiti al fuoco .
Mentre questo racconto di Guglielmo si divulgasz
per tutta la citt, sentivansi le campane delle chiese
cominciare a suonare a mortorio, e si videro aprire

le porte della cattedrale, e di la uscire tutto il clero


in processione, co piedi scalzi, e col capo asperso
di cenere. Le croci erano velate: i sacerdoti colle
stole violaceo portavano le casse delle reliquie, i vasi
sacri, e il santo sacramento coperti di neri veli. Al
mesto suono delle campane, rispondeva il mesto sal
rneggiare de'cherici, che recitavano il miserere. Frate

Domenico, frate Raimondo e gli altri loro compagni

__40_
seguivano la processione, piangendo e mettendo ulu
lati. A loro si un Guglielmo Arnaud gridando:
- Abbiate piet di me povero peccatore; acco
glietemi nella vostra santa comunit: non mi lasciate

in questa citt maledetta dal Signore!


Come la processione traversava le vie di Tolosa,

molti uomini e donne 5 inginocchiavano, afitti, co


sternati, spauriti, gridando a Dio misericordia, ed

alzando le braccia come il naufrago che vede disco


starsi la nave dalla quale sperava salvezza. Mai pi
ridevano, motteggiavano e sbeffeggiavano i cherici, con
traacendo il loro salmeggiare con canzoni in vitu
pero de preti e de monaci. Pietro Savaric, gi per
fettamente guarito della ferita che avea ricevuto, esor
tava i cittadini ad uscire dalla citt; ma Pietro di
Mirepoix e il Cellani scudiero del conte, gli esorta
vano a dare addosso a cherici, e qualche grave di
sordine sarebbe seguito, se David Roaix ricco e ri
putato cittadino non si fosse interposto, dicendo:
-- Lasciate che esca da queste mura chi non
degno di abitarle!
- Si signore, diceva maestro Girolamo, venuto fuori

frullando una scrqua d ova in una cazzeruola: si si


gnore, chi non vuole stare in Tolosa che non ci stia:
gli statuti vanno rispettati, e gli statuti proibiscono di
dare addosso a cittadini. Del resto se volete far que
sto io non vi dico di no, purch non sia davanti

losteria, perch gli statuti dicono che nelle osterie

-41_

non si deve fare risse e tumulti: e poi chi si batte


non mangia, e se mangia non vuol pagare, il che
contra agli statuti.
Cosi il clero usci di Tolosa, e giunsero avvisi che
l esercito crociato si appressava alla citt. Allora il
conte di Tolosa gli mosse contro sino a Montgiscard,
seguito da conti di Foix e di Comminges, da cinque

cento cavalieri e da buon numero di fonti per con


trastarin il passo del Lers, dove fece disfare il ponte
di Montaubran. I due eserciti si trovarono afronte,
separati solo dal ume; ma 1 indomani , vedendo sce'
mate le schiere avversarie, il conte sospetto che esse
cercassero un altro passaggio, e mand suo glio ed

il figlio del conte di Foix da una parte ed il conte di


Commingcs dallaltra, per esplorare le sponde del fiume,
e vedere se vi fosse seguita novit. Il conto non tard
a ritornare di galoppo, annunziando che 1 esercito
nemico, seguendo i consigli di Baldovino, ch era

molto pratico de" luoghi, avea trovato pi gi un


piccolo ponte di legno non ancora disfatto, ed era
in gran parte passato al di qua del ume. Il conte
di Tolosa, per non esser lasciato fuori della citt,
si allrett allora a rientrare, il che segu non senza
combattimento del suo retroguardo. Sventuratamcnte
i due giovani Raimondo e Bernardo, ostinatisi nello
loro ricerche, non ostante i savii consigli di Auda
guicr, rimaser di fuori quando le porte furon chiuse,

e nel ritorno imbatteronsi in una schiera di crociati.

_42_

Questi abbassarono subito le lance e gl investirono

con grande impeto, ma i due amici cosi valorosa


mente combatterono e cosi bene furono secondati da.
Audeguier, il quale mostr in questa occasione, che
la sua prudenza non era paura, che giunsero a li
berarsi e fuggire. I crociati lanciaron loro dietro gran
numero di frecce, una delle quali venne a configgersi
nel fianco di Raimondo. Egli subito 1 estrasse con
franchezza, molto lieto di poter contare di gi la
prima ferita, come battesimo di guerriero; ma il

sangue usciva in si larga copia, che dopo qualche


tempo, e si pieg sul collo del cavallo e stramazz
a terra svenuto. Bernardo e Audeguier saltaron gi

da loro cavalli, e presolo sulle braccia, lo portarono


dietro a una macchia di vitrici sulla riva della Ga

ronna, e quivi, slacciata l armatura, e lavata la fe


rita con acqua fresca, la fasciarono come meglio po
terono. A poco a poco Raimondo rinvenne; ma egli
era troppo debole per rimontare a cavallo, e frat
tanto veniva la notte; notte tiepida, tranquilla e se
rena, ma priva affatto di luna. La campagna rimase
quindi ben tosto involta nelle ombre e nel silenzio;
solamente alcuni fuochi che vedevansi in distanza, e
un mormorio confuso che veniva da quella parte,

rivelavano la vicinanza del campo nemico. Raimondo


tent pi volte, ma invano, di rimontare a cavallo;
ed esortava Bernardo, dappoich la citt non era an
cor tutta cinta da nemici, di girare dallaltro lato;

_.15_

ma Bernardo, che sempre era stato animosissimo,


dappoich aveva saputo la viscontessa Agnese seppel
lita viva nel pozzo di Lavaur, era caduto in si pro
fonda malinconia, che la morte in difesa del suo
amico gli sarebhbe parsa gran ventura.
- Signori, disse tutto a un tratto Audeguier, si
sono vedute delle croci lucenti su muri imbiancati;

or pare che si vedano delle stelle fra i cavoli.


- A che proposito? domand Raimondo.

- A proposito chio ne vedo una in quell orto.


-- Dove?
- Eccola la: seguite la direzione del mio dito:

in mezzo di quei due alberi.


- Io non vedo nulla, disse Raimondo, la cui
vista, pel molto sangue perduto, era rimasta offu
scata.

- Il signor Bernardo la vedrebbe, disse Ande


guier, s egli non contemplasse in questo momento
le altre stelle che sono nel rmamento.

-- Ah! fece Bernardo: voi dicevate delle stelle?


-- Non di quelle
qua gi.... vedetela,
si ecclissa dietro gli
- Si, si.... ecco

lass, signore, ma di questa


vedetela... a quando a quando
alberi.
che si fa pi,grandc.

- Non vorrei, disse lo scudielo, che sia qual


che triste cometa, e che abbia dietro una lunga coda,
perch parmi che si dirige. a questa volta.

- La vedo ancor' io, disse Raimondo: essa vien

-__44._

lungo il ume, e va saltellando di qua e di la come

un folletto.

'

-- Ho un idea, disse Audeguier. Ander ad ap


piattarmi in quella macchia che vedetea mancina:
se far un fischio, voi signor Bernardo prenderete in
braccio il mio signore, lo metterete sul davanti del
vostro cavallo, e, comunque siasi, tentercte salvarlo.
- Va con Dio, rispose Bernardo, e del resto la
sciane la cura a me.
- Tanto pi, soggiunse Raimondo, che la stella

0 cometa pare abbia molto fretta.

',4

Le scudiero fece come avea detto, e camminando


in punta di piedi, coll indice della destra sulla lab
bra, come per imporre silenzio a s stesso, si ap

piatt nella macchia. Bernardo teneva gli occhi ssi


su quel lume, che sempre pi si avvicinava: poi gli
parve udire un grido e non vide pi nulla. Il suo
primo pensiero fu di prendere Raimondo, e fuggire;
ma subito pens che Audeguier era troppo accorto
per essersi lasciato sorprendere, e si persuase che
nulla v era da temere. Di fatto molto tempo non tra
scorse chegli odi la voce dello soudiero, e lo vide
ritornare in compagnia di due donne, coperte di lun
ghi manti. Era Eloisa, che avendo veduto dalla ti
nestra dicasa sua una zufla lontana, e avendo rico
nosciuto fra combattenti il suo Raimondo, lo avea
seguito cogli sguardi n quando cadde da cavallo,
e veniva piangente e desolata, in compagnia della

_45._

sua amica, a ricercarlo. Bernardo , a cagione dell 0


scurit e del cappuccio che elle arcano, non pot
vedere in viso le donne, n accorgersi della commo
zione di Eloisa: fu quindi facile ad Audeguier di nar
rare che elle venivano in quel luogo per certe loro
faccende, e che da lui erano state indotte ad aiu
tae il suo signore; ed Eloisa, frenando la sua com
mozione, si contento di stringere teneramente la mano
del suo amante, che a stento represse un grido di
gioia, per gentile riguardo verso la fanciulla. Fu su
bito fatta una barella di vitrici, fu messo su di essa
Raimondo: Bernardo la prese da pi; lo scudiero da

capo, tenendo intilzate alle braccia le redini de tre


cavalli: le due donne si miser di fianco, e la comi
tiva mosse silenziosa e guardinga verso le mura del
borgo. Quivi giunta, la Geltrude, che stava in ve

detta nel giardino , scese una scala a pioli, che aveva


apparecchiata. Raimondo, sostenuto dallo scudiero
cominci a salire: lo seguivano Eloisa e Matilde; ma
Bernardo disse, che or che vedeva il suo amico in

salvo, non voleva abbandonare il suo cavallo; e che,

non essendovi nemici dall altra parte della citt, gli


sarebbe facilmente aperta una qualche porta: e parti

di corsa, menando seco gli altri cavalli, mentre Bai


mondo gli diceva, che, riposatosi alquanto,

si re

cherebbe, o si farebbe portare al castello Narbonese.


Quando furono in casa, Audeguier si gratt la nuca

come soleva nemomenti dillcili, e disse al suo signore:

__46_

- lo penso, con quella medesima gravit con cui


in tempi a noi pi vicini Cartesio dovette dire: Ego
cogilo.
- Che pensi Audeguicr ?
- Che abbiamo commesso una gran corbelleria,
non avvertendo il signor Bernardo, che non dica nulla
al castello Narbonese di questa avventura, e del luogo,
dove vi trovate.
- Lidea buona, disse Raimondo, ma giunge
tardi; per vi sarebbe un rimedio.
- E quale?

- Ritornare al pi presto al castello.


_ La difficolt sta nel potere.
E difatto Raimondo, per lo strapazzo dell essere
portato un po in disagio, e del salire la scala, era
Peggiorato, e non tard ad essere assalito da una
gagliarda febbre, alla quale segui un assopimento

completo. Eloisa piangeva e si disperava: Matilde or


confortava la sua amica, or prodigava al malato le
maggiori cure che poteva: Geltrude stavasi in un an

gelo e tenea il broncio ad Audeguier, che neanco le


aveva dato un abbraccio, e che stavasi tutto immerso

ne' suoi presentimenti. E che questi non fossero senza


fondamento lo mostr il fatto, perch due ore dopo
l uscio si apr all improvviso, quattro poggi entra

rono e fecero ala, e donna Sancia di Aragona com


""vc accompagnata da un medico.
a quella vista, gitt un grido di terrore,

__47_

che non isl'ugg alla sospettosa aragonese, la quale


fece subito cenno a' suoi poggi che uscissero. Aude
guier se 1 era gi svignata; Geltrude gli corse die

tro; ma quando Eloisa e Matilde, salutando rispet


tosamente, voleano ritrarsi, Sancia disse loro con
un sorriso dissimulatore:
- Restate: io so ci che avete fatto pel signor
conte mio marito, e vi debbo i miei ringraziamenti.
- Voi non ci dovete nulla, o signora: noi non
abbiamo fatto che il dover nostro.
- Il vostro nome ?
-- Matilde, o signora.
- E il vostro?

-- Eloisa, mormor la fanciulla, che avea il viso


color di porpora, e tremava per tutte le sue membra
come canna agitata dal vento.

- Che dite voi maestro Taddeo.


-- Signora, la ferita non e grave; ma vi stata
molta perdita di sangue, e v' e la. febbre, sebbene
sia nel declinare.
Sancia era agitata da un sospetto: ella non avea

creduto al racconto inventato da Audeguier, e rife


rito in buona fede da Bernardo: e poi la bellezza
di Eloisa, quel suo rossore, quel suo grido che le
rammentava il grido udito nella cattedrale di Tolosa,
e il cui suono echeggiava sempre nel suo cuore, il
poco amore che le mostrava suo marito, e quel
1' istinto di donna, che rare volte s inganna, le di

_48_.

cevano ch ella avea_ in quella fanciulla una rivale;


ma dallaltra parte ripugnava al suo orgoglio spagnuolo
il credere ch ella potesse essere posposta ad una po
polana, e la povert di quella casa, che pareva mag
giore del vero a chi era avvezza al lusso della reg
gia d Aragona e del castello Narbonese, non le per
metteva di riconoscere in essa ladimora di una.
amante del gliuolo del conte di Tolosa. Stando in que
sta dubbiet, ella si messe a sedere al capezzale del
letto di suo marito, tenendo sempre gli occhi suoi
rivolti su di Eloisa: e la povera Eloisa era al mar
toro, perch sentiva quello sguardo indagatore, osti
nato, acuto, penetrante entrare nel suo cuore ed
esplorarne le pi riposte bre. A quando a quando
Sancia interrogava maestro Taddeo, che, testato il
polso del ferito, rispondeva che andava meglio. Ma
tilde si approttava di quel momento per urtar col
gomito Eloisa; ma questi avvertimenti niente gio
vavano.
Gi Raimondo cominciava a riscuotersi. Maestro

Taddeo domand una tazza d acqua, che Eloisa si


allrett a recare; e mentr ella. la teneva, e il me
dico versava in essa alcune gocciole di un liquore
che avevaportato in una boccetta, Raimondo apri
gli occhi, e le prime parole che pronunci, stendendo

le braccia verso la fanciulla. che gli stava in l'ae


cia , furonof
- Eloisa mia!

'

_.49_

Una amma di sdegno sal al viso di Sancia; E


loisa lasci cadersi di mano la tazza; Raimondo volse

il capo, e vide sua moglie: vi fu un momento di


terribile silenzio, dopo il quale Sancia si alz , di

cando:
-- Oramai che sono rassicurata sulla vostra sa
lute, ritorno al castello. Ed usc , gittando di su alle
spalle uno sguardo di disprezzo ad Eloisa, che con
fusa, smarrita, tremante, a capo basso e ad occhi
vergognosi, stavasi a pi del letticciuolo.
Al sorgere del nuovo giorno, in una terrazza di
marmo, che dava sul giardino del castello Narbo
nese, tra belle spalliera di aranci e di mirti, rischia
rati da primi raggi del sole, vedevasi Sancia seduta

sopra un mucchio di cuscini di damasco cremisino,


con frange e nappe d oro, A suoi piedi stavasi Fa
tima, la sua schiava moresea. Ell era di colore oli
vastro: i suoi grandi occhi neri eran pieni di volut
tuoso languore; i suoi capelli nerissimi, che uscivano
in abbondanza sotto il suo piccolo berretto di vel
luto rosso, le scendevano dietro le spalle in larghe

traccie cosperse di monete d oro. In tutte le sue


membra tondeggianti scorgevasi lesuberanza della vita
ed il calore del sangue allricano; e la veste di da
masco bianco e il suo lungo velo e sottilissimo, che
le avvolgeva come un vapore diafano gran parte della
persona, non poco accrescevano quella sua bellezza
orientale. Ella aveva in mano una guzla, donde le '
annue. Vol.lll.

_50_

sue dita sottili, le cui ugna erano tinte col carmi


nio, traevano suoni dolcissimi e malinconici.
Tutto a un tratto, gli arazzi che dividevano la ter

razza dalle stanze interne si alzarono, e Raimondo


comparve. Egli era pallido e smorto. Fatima sospese
di suonare, e parve immergersi in una di quelle con
templazioni taciturne particolari alle donne del suo
paese, mentre il suo sguardo lungo ed umido, sotto
lombra delle sue ciglia di seta, si fissava con co
stanza sul volto di Raimondo.
- Di gi levata? disse Raimondo alla contessa.
-- Non ancora coricata, signore, rispose Sancia.
-- E perch?
- Attendevo vostre nuove.
- lo ve ne ringrazio, signora: la ferita non
grave, e gi. mi sento molto meglio.
- E poi, soggiunse Sancia, e cos bella questa

notte, che mi rammenta le belle e profumate notti


di Saragozza.

- Voi siete adunque contenta di questo sog


giorno?
- Siamo mai pienamente contenti in questa terra?
Mi sforzo di star lieta il pi che sia possibile.
Raimondo, che era venuto deciso a spinger San
eia ad una spiegazione, domand:
-- uno sforzo per voi adunque la letizia?
-- Si comanda al cuore?

- Ma la cagione del vostro dolore?

_.51._
-- Nessuna.
- Siete adirata con me?
- No.

- Posso crederlo?
-- La figlia di un re di Aragona non mentisce
per essere divenuta donna del figlio del conte di
Tolosa.
- Le vostre parole sono acerbe, o signora.

- cortese forse il vostro dubbio ?


-- Avete ragione, disse Raimondo sedendo accanto
alla moglie; mutiamo discorso: a me basta che voi
non siate adirata meco.
-- Fanciullo! rispose Sancia con un sorriso di
spregio: egli non sa quel che importi lira d una
infante dAragona. E cosi dicendo, si alz, e senza
neanco salutare Raimondo, se ne rientr lentamente
nelle sue stanze.
Raimondo rimase immobile seguendola collo sguar<

do, e quando Sancia scomparve, e guard la me


resca ch era rimasta, come prima, seduta a suoi
pi. Fatima era una di quelle donne dell' Oriente, la
cui vita composta di un sogno voluttuoso, a quando
a quando interrotto da azioni energiche, che sono
come l intermittenza febbrile del loro perpetuo lan
gnore. Ella teneva i suoi grandi occhi neri rivolti
verso quelli di Raimondo con tanta insistenza, che
questi ne fu quasi spaurito, tant era il fuoco di quello
sguardo. Dopo un lungo silenzio Fatima si sollev

_52._

lentamente sulle sue braccia, e avvicinando il suo


viso a quello di Raimondo, gli disse a voce bassa:
-- Ella non ti ama.
'
-- Lo so, rispose Raimondo.
- Ama un altro.

-- Un altro!
-- Ma io ti amo, io. E cos dicendo ella gitt
rapidamente le braccia al collo di Raimondo , ed im
presse sulla sua bocca un bacio cosi ardente, che
quasi avesse esaurito in esso tutte le sue forze, ri
cadde sui cuscini, gitt indietro la testa, e rimase
come assopita in voluttuoso languore.

CAPITOLO V.
Dell'auedio di Tolosa e della giornata di La: Navas
de Toledo.

Mentre questo seguiva nel castello Narbonese', le


scolte delle mura di Tolosa vedevano comparire da
lungi le prime schiere dell esercito crociato, come
un lunghissimo serpente colle squame di argento, qui

e l dorate da riessi del sol nascente. A poco a.


poco tutto l esercito si attel al di l della Garonna,
e mentre i cavalieri stavan tuttia cavallo, edi fanti
appoggiati alle loro picche, e gli arcieri cogli archi

in mano, ciascuna schiera sotto i suoi stendardi, i

_55_

valletti e guastatori costruivano, dietro di loro, l'ac


campamento. Era un gran hrulicho di carra,.di ani

mali da soma, di uomini, che abbattevano alberi,


legavan fascine, scavavan fossi, alzavan ripari, conccavano pertiche, tendevano padiglioni, congegna
vano petriere e mangani, con gran dispiacere dei

Tolosani, che da su alle mura vedevano calpestare


le loro messi, far faseine de loro ulivi, guastare le
loro vigne e i giardini, e sorgere a migliaia le tende,
e rizzarsi le macchine da guerra come scheletri mi
nacciosi contra alla loro citt.
L indomani Simone di Monforte, col consiglio del

legato Arnoldo e de' capi dellesercito, dette un as


salto al borgo, come per saggiare il valore de citta
dini; ma le sue schiere trovarono si gagliarda re

sistenza, ch e dovette subito far suonare a raccolta.


Ed in quel tempo, da tre porte che v erano da quel
lato, e da altre due che ne aprirono nel muro in
quella occasione, uscirono cinque schiere di cavalieri.
Quella di mezzo era capitanata dal conte di Tolosa:
a destra il conte di Foix e il suo glio Bernardo: le
due schiere della sinistra erano capitanate dal conte
di Comminges e da Raimondo di Castelbon. Le cin

que schiere convergevan tutte verso il centro, e con


tal impeto i nimici assalirono, che ifanti si dettero
a fuga disordinata e confusa, ed i cavalieri non po
teron fare lunga resistenza, e dovettero ritrarsi al
di l delle proprie trincee. il conte di Tolosa mostr

._.54_

in quel giorno che 1 antico valore non era in lui


morto: il conte di Foix fu qual sempre era stato un
fulmine di guerra; ma il cavaliero, che pi dest

l ammirazione de Tolosani, fu il giovine Bernardo,


il quale con tant impeto e rabbia combatteva e con
tanta non curanza della propria vita, che i nemici
fuggivano dal suo cospetto spauriti, e che per due
volte il padre suo ebbe a raggiungerlo nel mezzo
della mischia, aerrarlo pel braccio e dirgli con voce

adirata:
- Forsennato!

questo voler morire, non vin

cere!
I Vincitori rientrarono in citt fra le acclamazioni
e gli applausi del popolo, che gridava Tolosa e Foix,

che ornava d arazzi le nestre, e che spargeva ori


innanzi a loro passi.

Raimondo non aveva 'potuto partecipare a quel


fatto (1 arme, a cagione della sua ferita: la febbre
era ritornata, ed egli avea dovuto mettersi a letto,
e vi rimase molti giorni. Donna Sancia veniva tutte
le mattine a domandar nuove della sua salute, vi si
fermava pochi minuti appena, n pi vedevasi in

tutto il corso della giornata. Il conte, occupato dai


pensieri di guerra, non poteva dimorare lungamente
col figlio. Raimondo sentiva gran dispiacere di non
poter combattere, mentre i suoi giovani compagni
si coprivano di gloria, e di non poter vedere Eloisa.
Di pi temeva i cattivi ufci di Sancia verso il re

_55-_

di Aragona, dal quali il conte di Tolosa attendeva


sempre i promessi aiuti. E a tutto questo si aggiun
geva un nuovo sentimento penoso ed indenito, che

le parole di Fatima aveano gittato nel suo cuore. Tutte


le notti, quando ogni rumore era cessato nel castello,

n altro udivasi che il passo grave delle sentinelle


che vegliavano sugli spaldi, un suono soave e ma
linconico penetrava nella camera di Raimondo e la
riempiva di armonia. Era la voce di Fatima, i cui

canti tutti damore venivano a carezzare la solitu


dine del giovine e a temperare gli ardori della sua
febbre con languida volutt. Una notte il canto si
tacque prima dell ora consueta, e Raimondo, stanco
delle commozioni che avea provate , gi chiudeva gli

occhi in quello assopimento incerto che precede il


sonno, quando gli parve sentire scricchiolare i vetri

dipinti della sua nestra che dava sulla terrazza: sol


lev il capo, ma non senti altro: credette essersi
ingannato, e ripose il capo sul guanciale. Ma in quel
momento sente agitarsi le tende di damasco, che
coprivano internamente la nestra, riapre gli Occhi,
e al fievole chiarore di una lampada di alabastro,

vede venire verso il letto una forma bianca, presta


e lieve come un ombra. Si solleva su gomiti per
meglio osservare, e vede sulla sponda del suo letto
seduta Fatima tutta fremente d'amore. lgnaradei
costumi della Cristianit, l' ardente e selvaggia fan
ciulla non sapeva gli articii del simulare e dissi

'

_se

molare, e del destare i desiderii colle ripulse: ella


non uhbidiva che all istinto, e correva in braccio al

giovine che amava , come Eva dovette darsi ad Ada


mo, senza scrupolo e senza vergogna.
Raimondo rimase interdetto e confuso; Fatima se
ne accorse, e gli disse:
-- Cos mi accogli? Disprezzi adunque il mio
amore?
-- No Fatima.
- Non ti dissi che donna Sancia non ti ama ?
-- S Fatima; ma tu mi dicesti ch ella ama un
altro.

-- vero.
--

Tu m inganni?
lo ingannarti!
E chi costui?
Non lo so; ma ell ama un altro, te lo giuro

pel profeta.

- Ma tu sei cristiana, Fatima...


-- Come tu sei marito...
-' Senti Fatima: tu sei bella, tu racchiudi nel
tuo cuore un tesoro di amore... ma...
_ Ma sono schiava: vuoi tu dirmi questo? Eb
bene sappi, ch io sono pi di una contessa, pi di
una regina: nelle mie Vene scorre il sangue del pro
feta. Se tu mi ami e mi rendi la libert, io ti posso

dare non solo un amore ardente come il sole del

deserto e soave come i profumi del paradiso, ma

_51_

un regno pi ricco e pi possente 'di tutti i regni


cristiani.
.
-- Tu vorresti farmi rinnegare la mia fede?
-- Ah! tu ami questa fede i cui ministri ti per
seguitano e vogliono farti morire? Ebbene, resta cri
stiano, ed io per te rinnegher Allah ed il profeta:
io non voglio altro Dio che il tuo Dio, ne altro a
more che il tuo amore!
Queste parole furono pronunziate con tant impeto
e fuoco, e accompagnate con tali sguardi e sorrisi
di ebbrezza voluttuosa, che Raimondo sentivasi come
incantato, fascinato, attirato da una forza misteriosa.
Le sue braccia involontariamente si sollevarono: Fa
tima si gitt in esse con un tremito convulso, e
strinse Raimondo al suo seno come giovine pantera
che abbranchi la preda ne cespugli del deserto. Le

due bocche si unirono in lungo e ardente bacio.


- Ma Fatima, disse Raimondo quasi spaurito di
quell' amore selvaggio, sappi ch' io non posso cor

rispondere al tuo amore con eguale amore...


- E perch?
Raimondo si tacque.
- Ami donna Sancia?
Raimondo non voleva risponder di no, perch at

tendevasi un altra domanda, alla quale era risoluto


di non dar risposta.

- Ami donna Sancia7... Tu taci! un altra volta


ancora io ti dimando, ed 1 ultima: ami donna Sancia?

_5s
Raimondo stette silenzioso e a capo chino. Fatima
gitt un urlo che parve ruggito di lionessa, e ratta
come un' ombra scomparve.
L assedio di Tolosa, del quale non descriveremo
i varii accidenti, dur lungamente, senza alcun ri
sultato, perch i Tolosani, ben provveduti di mu
nimenti, di macchine, d arme e di denari, e della
loro libert. amantissimi, virtuosamente resistevano;

onde il Monforte, vedendo 1 esercito suo scuorato,


le vettovaglie scemare nel campo, e molti crociati
partirsi, deliber renunziare per allora a quella im
presa. Ma prima di ritrarsi, e divise il suo esercito
in molte schiere, e lo mand a saccheggiare e gua
stare quanto ancora rimaneva di non saccheggiato e
disfatto ne dintorni della citt. E fu allora, che i
ribaldi, i quali militavano sotto lo stendardo della
croce, misero a ferro e a sacco e a fuoco anche le
chiese e monasteri, e 1 abate Eaunes ammazzarono
ed i religiosi di Balbonne oscenamente mutilarono. I
Tolosani , che dall alto delle loro torri, videro_i ne
mici di qua e di la sparpagliati, uscirono guidati
dal loro conte, dal conte di Foix e dal glio di co
stui, piombarono sull accampamento nemico, truci
darono le guardie, liberarono i prigioni, e quanto
v'era saccheggiarono. Tutti i signori ecclesiastici, e
cherici e monaci, ch eran nel campo, ebber tempo
di salvarsi colla fuga, n si so'ermarono se pria
non giunsero a Carcassonna. Simone di Monforte,

_59__

accorso in aiuto de suoi, non giunse che per vedere


le ultime le de Tolosani che rientravano in citt,
il campo messo sossopra, e le macchine e salmerie

che si consumavano nelle amme; onde dovette par


tirsi, pieno di collera e di vergogna.
Il ritorno de vincitori in citt. era spettacolo strano
e bizzarro: chi teneva in mano un presciutto, chi

aveva sul davanti del cavallo un otre di vino. Molti


vedevansi in cocolla, in cotta, o in pianeta, o con
altre vesti e parati sacerdotali. Girouette, col piviale
e la mitra del vescovo Folco, prodigava benedizioni,
fra le risa e gli applausi de cittadini.

Il legato Arnoldo non tard a partirsi dall eser


cito crociato e a passare i Pirenei. Da un gravissimo
pericolo erano in quel tempo minacciate le Spugne.

Mohammed-Nasir-Eddin emiro potentissimo in Affrica,


e padrone di Siviglia, Cordova, Cacn, Ubeda e di
tutto il regno di Granata e di Marcia, adunato un
esercito,

che i cronisti arabi fanno forte di sei

centomila combattenti, deliberava di soggiogare le


Spagna. A tanta minaccia, i principi spagnuoli si

stringono in lega, il papa bandisce la crociata, tutta


la cristianit. si commove, ed un grande esercito, va
rio di lingue, di costumi e di usanze, si aduna sulle
deliziose pianure bagnate dalle' onde del Tago. Vi
erano i re di Castiglia, di Aragona e di Navarra,

1 infante di Portogallo, Leopoldo duca dAustria:


v erano tutti i vescovi delle Spugne, l arcivescovo

_60_.

di Bordeaux, il vescovo di Nantcs, e schiere di mo


naci guidati da loro abati. Arnoldo arcivescovo di
Narbona, lasciata. per poco la Linguadoca, accorse
anch egli ad unirsi a questa crociata. Due mila ca

valieri, due mila scudieri, diecimila lance e cin


quantamila fanti passarono i Pirenei in difesa della

croce.
L esercito cristiano traverso le sterili gole, nelle
quali spumeggia la Lonza, e pose l accampamento

sulle vette de' monti che stanno a cavaliere dc piani


di Toledo, ne quali erano accampati i Saraceni. Lin
domani, ch era domenica, questi ordinaronsi per far
giornata, ma Alfonso re di Castiglia disse non vo
lere profanare col sangue un giorno santo, e i cri
stiani non si mossero. A mezza notte, gli araldi bo
ciarono pel campo:
- Destatevi, alzatevi, o milili del Signore.
I crociati ascoltarono la messa, si confessarono e

comunicarono, e allalba erano gi ordinati in tre


colonne, a ciascuna colonna divisa in antiguardo,
battaglia e retroguardo. La colonna di mezzo, com
posta tutta di Castiglian, era comandata da Diego
Lopez, da Consalvo Nugnez e dal re di Castiglia:

quella di sinistra, ch era di Aragoncsi, da Garzia


Ximenes, da Aznardo Pardo e dal re Pietro di Ara
gona: l altra, quasi tutta composta di forestieri, avea

il retroguardo sotto gli ordini del re di Navarra.


Lo sguardo non poteva abbracciare 1 estensione del

._61_

terreno occupato dagl infedeli. Torme di Beduini,


alle ale del grande esercito, celavansi nelle nuvole
di polvere, che facevan sorgere iloro agili destrieri.
Nelle prime le del centro erano mori, scelti fra i
pi robusti, e bene armati, con lance grandi e ferri

luccicanti: e tenevano i calci piantati in terra, e le


punte davanti, e dicono fossero sessantamila. Dopo
questa ordinanza di mori, erano tre ordinanze di
cammelli, incatenati gli uni cogli altri con catene di
ferro; e framezzo a cammelli erano balestrieri e ca

valieri e tutta l altra gente. Dietro 1 esercito, ve


deasi in forma di mezzaluna 1 accampamento dei
Saraceni, e pi dietro ancora, su di un poggio, sco
privasi una guisa di torre quadrata tutta splendente

di porpora e d oro: erano le guardie scelte, che


circondavano un ricchissimo padiglione, sotto il quale
vedevasi assiso in trono Mohammed, col nero man
tello di Abdelmumen sulle spalle, colla spada sguai
nata nella destra, col corano aperto nella sinistra,
immobile come una statua di bronzo.
Diego Lopez commise la battaglia, e fu respinto
e gittato sulle schiere del Nugnez, che anchegli do
vette retrocedere.
-- Avanti! avanti! grid il re di Castiglia , e
mosse contro a nemici, fra il legno della santa
croce portato da un canonico, e lo stendardo reale
portato da un cavaliere, e seguito dall arcivescovo

di Toledo.

-62-

- Aragona! Aragona! suon a sinistra.


- Navarra! Navarra! suon a destra.

La battaglia divenne generale e terribile: gl infe


deli cominciavano a confondersi e disordinarsi; quan
d ecco accorrere il figlio dell' emiro, giovine bello
della persona, valorosissimo, splendente {come un
sole per 1 oro e le gemme ond era ornato, il quale

si incita, anima, riordina e risospinge innanzi le sue


genti, che le schiere cristiane non ressero a quel
1 urto e forte rincularono.

- Per san Iacopo di Gallizia! grid Pietro di


Aragona, che avea fatto di grandi prodezze: questo
infedele cadr per la mia mano.
Cosi dicendo si avventa su di lui; n il saraceno
evita lo scontro. Un nugolo di polvere involse i com
battenti, n altro in esso scorgevasi che un continuo
luccicare d arme come dietro ad un velo. Poi si vide

uscire un cavallo arabo, che strascinava nella pol


vere il cadavere del giovine moro, rimasto per un

piede attaccato ad una staffa, rigando la terra col


sangue che sgorgava dal suo petto. Nel medesimo
tempo un altro cavallo usciva dal lato opposto, e
non appena fatti alcuni passi, per le ferite che avea
ricevute, stramazzava, gittando a terra il re di Ara
gona. I Saraceni levarono un grido altissimo di gioia,
e corsaro per circondare il re e pigliarlo prigione.
Ma in quel momento un cavaliero sconosciuto, ratto
come un fulmine, si slancia in suo soccorso, lo sol

__65_

leva da terra, lo piglia in groppa del proprio cavallo,


lo riconduce in mezzo a suoi, e va via non meno ve
locemente di com era venuto.
Il re di Aragona fa allora un segno convenuto;
ed ecco trecento cavalieri e dugento balestrieri ara

gonesi sbucare da una macchia, dove stavano ap


piattati sin dalla notte precedente, e assalire alle spalle
glinfedeli. Questi, credendosi circondati, si disordina'
no , fuggono, si sparpagliano e sono dapertutto macel
lati. L emiro , vedendo la strage, che facevasi de suoi,
e le sue stesse guardie scompigliarsi, mont a cavallo,
e dileguossi come un lampo, esclamando:

- Dio solo egiusto: il demonio perdo e bugiardo!


Il macello dur tutta la giornata: dicono dalla

parte degl infedeli vi morissero settantamila uomini


e quindici mila donne, perch i vincitori quanti ne
poteron prendere tanti ne ammazzarono. Due mila
bestie da soma furono adoprate pel trasporto delle
sole arme prese a nemici. Il re di Castiglia mand
al papa la tenda e lo stendardo dellemiro; il re di
Aragona gli mand la lancia del figlio.
Gi era venuta la sera, ed il campo era rischia- -

rate da un gran numero di fal alimentati per tutta


la notte colle aste delle lancie e frecce tolte a'Sara

ceni. La terra era coperta di cadaveri e di sangue:


i vincitori dispogliavano i morti, e spartivano fra
di loro il bottino: gli arcivescovi, i vescovi, gli abati
e tutto il clero cantavano il Te Deum.

_64_

Pietro di Aragona, stanco, trafelato e coperto di


polvere e di sangue, sera messo a sedere sotto un

olmo, e cavatosi i' elmo, rinfrescava la sua fronte

' coll acqua di un vicino ruscelletto. Dinanzi a lui era


piantato in terra lo stendardo reale di Aragona: in
torno al re erano i suoi cavalieri e scudieri chi fa

sciando le proprie ferite, chi mettendo le armi del


sangue che vera raggrumato, chi sdraiato sullerba,
chi badando a cavalli.
-- Salute all illustre re di Aragona! disse una

voce.
I cavalieri e scudieri si tiraron da parte, e Pietro
vide a se dinanzi un arcivescovo a cavallo col piviale
e colla mitra, seguito da un buon numero di cano
nici e di altri cherici coperti de loro pi ricchi pa
rati sacerdotali.

-- Per san Iacopo di Gallizial esclam il re, al


zandosi per fargli riverenza, non avrei mai ricono
sciuto in tanto splendore il signor legato Arnoldo: ma.
io dimenticava ch egli ora arcivescovo di Narbona.
-- Signor re di Aragona, soggiunse Arnoldo , con
quella sua voce risoluta e sicura che tanto imponeva

sugli ascoltatori: questa vittoria non opera umana:


i, dieci non vincono i dieci mila senza un manifesto
miracolo, e Iddio non opera miracoli se non per la
gloria del nome suo e lesaltazione della santa chiesa.
Or il signore Iddio vi dice per la mia bocca cos:

Re di Aragona, io ti ho salvato dalle spade deglin

_65._

fedeli, nonimbrandire la spada contro de miei militi.


Tutte le tue peccata, per ci che hai fatto, ti sono

state perdonate; non ritornare nella via del peccato:


tu sei nel campo (1 Israello, non passare in quello
de'Filistei , se no la tua rinomanza si muter in in
famia, la tua vittoria in iscontitta, e tu re glorio
sissimo morrai senza gloria e carco di maledizioni.
Il legato , senza attendere risposta, spron il ca
vallo e si parti , ma le sue parole in quellora, in
quel luogo, al cospetto di tanti morti e di tanto
sangue , in quella esaltazione d animo duna vittoria
veramente maravigliosa, fecero profonda impressione
sull animo leggiero del re, che, smessa quella sua

abituale gaiezza, rimase a capo basso, e come as


sorto in gravissimi pensieri.
-- Salute all' illustre re di Aragona! disse un'altra
voce; e un cavaliere tutto coperto di ferro, colla
visiera abbassata, ferm il suo cavallo davanti al re.
-- Vi riconosco , o cavaliere, disse Pietro molto
lieto: voi mi avete salvata la vita.
Tutti gli spettatori fecer cerchio al nuovo venuto,
;.o guardavano con ammirazione.

-- Ebbene, signore, soggiunse il re, demandate


un premio al vostro valore; ma badate che sia cosa
degna del re di Aragona che lo da, di voi che lo
ricevete, e di questa giornata, nella quale si vinta
la pi grande battaglia che sia stata mai tra cristiani
e saraceni.
Aura. Val. III.

_66_

-- Ed io, signore, domander cosa grandissima.


- E quale?
- La conservazione dell onor vostro.
- Io non vi comprendo, disse il re.
- Non voglio danari , non terre, non castella,

n baronie; ricuserei ance la vostra corona, se voi


vorreste farmene dono, perch v una cosa pi
grande e pi pregevole della sua corona, ed lonore
di un re. Voi prometteste vendicare la morte del
vostro cognato e vassallo il visconte di Beziers, e lo

giuraste alla visoontessa Agnese, e le daste un anello,


perch servisse tra voi e lei come testimone della
vostra promessa. Il marito era stato avvelenato: la
sua donna fu seppelita viva, ed aveva al dito il vostro
anello. Ma la morte non iscioglie da'giuramenti; e

la fossa, che rinserra un cadavere, non pu tenere im


prigionata un anima umana. Ecco il vostro anello
o re di Aragona; adempite il vostro giuramento o
re di Aragona!
- Adempite il vostro giuramento o re di Aragona!
grid un altra voce argentina e vibrante.

A questa nuova voce Pietro gitt un grido di ter


rore; e poco manc non isvenisse. I suoi baroni si
affollarono a lui d intorno spauriti della sua paura.
Il cavaliere sconosciuto scomparve, e al chiarore

de fal si videro due ombre nere attraversare il campo,


come tratti dall' uragano. Il re Pietro, quando sebbe
alquanto rimesso in calma, disse con voce solenne:

_.67__

-- Signori baroni e cavalieri, ritornate alle vostre


terre e castella, e apparecchiatevi a nuova guerra:
nei passeremo i Pirenei, e provvederemo, collaiut0

di Dio, allenore della corona di Aragona.

CAPITOLO VI.
Che vi pu essere di comune fra una glia di re
e una popolano.

In quella medesima notte ed ora, nel castello Nar


bonesc i lumi sparivano 1 un dopo laltro, il ru
more cessava a poco a poco, tutto s immergeva
nell oscurit e nel silenzio. Dopo qualche tempo una
gura di donna comparve sulla terrazza, si avvicin
alla balaustra che dava sulla campagna, e sporgendosi
in fuori, come se avesse voluto trapassare colla vi
sta le tenebre della notte, pronunzi a voce bassa
il nome di Montmorency.
Quel nome fu udito ed una voce maschile rispose:
- Donna Sancia?
La donna rimase un istante indecisa e titubante;
ma dipoi trasse dal suo seno un gomitolo di seta,
lo gitt gi, tenendone un capo in mano, e quindi

trasse a se una scala di seta, che leg alla lbalau


stra di marmo, e per la quale mont un giovine in
volto in un largo mantello.

_68_
- Vi rivedo al ne donna Sancia? disse il gio
vine in tuono di doloroso rimprovero.
- Si mi rivedete Montmorency, giacch cosi avete
voluto, giacch collentrare, quasi tutte le notti, fur
tivamente nella citt di Tolosa, voi esponete, come
un insensato, a gravissimo pericolo il mio onore e
la vostra vita.
Aveva donna Sancia detto appena queste parole,
che come un ombra bianca pass rapidamente nel
fondo della terrazza, e subito si ud un grido:
-- V e gente estranea nel castello!
Le sentinella delle torri chiamarono all' arme! La
contessa spinse Montmorency verso la balaustra, per
ch discendesse senza perder tempo; ma la scala non
v era pi, e la terrazza era pi alta di trenta brac
cia dal suolo! Confusa, smarrita, quasi fuori di
se, donna Sancia trascin rapidamente Montmore
ncy gi nel giardino; e frattanto le grida continua
vano, e udivansi e vedevansi porte e nestre aprirsi,
guardie e valletti accorrere con accole accese e
spade in mano; ne tard a comparire sulla terrazza

il conte, accompagnato dal suo buffone, che per fare


pi presto 5' era ravvolto in una coperta.
In quel momento si senti un rumore di passi nel
giardino, e si videro un uomo e una donna salire
lentamente per la scalinata di pietra che metteva alla.

terrazza. Tutti gli sguardi verso di loro ansiosamente


si rivolsero: erano donna Sancia e Raimondo; la

-69_.

donna pallida in viso come la morte, Raimondo


molto maravigliato di tutte le genti del castello ie
vatesi a quell ora dal sonno, per vedere la. passeg
giata notturna degli sposi. Tutti risero dell avven

tura, e ritornarono tranquillamente a' loro letti: so


lamente Fatima rimase per lungo tempo immobile
sulla terrazza, come colpita dal fulmine. Nel ritor
nare alle loro stanze, il buffone disse al conte:
- Mentirebbe per la gola, chi dicesse Raimondo
non essere tuo legittimo gliuolot
Or ecco la spiegazione di quanto era seguito. Fa
tima aveva tolto la scala dalla terrazza, e aveva git
tato quel grido per far cogliere Sancia in compagnia

del Montmorency: nel momento che costoro scende.


vano nel giardino, Raimondo e Audeguier, che pas

savano buona parte della notte 1 uno presso Eloisa,


e laltro presso Gcltrude, rientravano nel giardino,
per una porticina che metteva alla campagna, e che
era il loro passaggio consueto e segreto. Alle grida
udite, Raimondo sospetto ci che fosse, e si slan
ci colla spada sguainata nel giardino, ordinando allo

scudiero di chiuder subito la porta; ma il savio Au


deguier l aveva invece aperta a due battenti, si che
il Montmorency pot uscire per essa, senz esser ve
duto, e Raimondo non trov che la sola contessa.

Dissimul quindi il suo sospetto, e alle sue stanze


cortesemente la ricondusse. Sancia non comprendeva
nulla in tutto ci ch era seguito; ma come sempre

._70_

accade che alle cose oscure si d interpretazione con

forme a nostri desiderii, ella n per persuadersi,


che Raimondo 1 amava e 1 invigilava; ma che non
aveva veduto il Montmorency, nella cui visita ella
per altro sentiva non vi fosse nulla di colpevole. Ma
chi aveva tolto la scala dalla terrazza? chi aveva

aperto la posterla del giardino? Quest era la parte


oscura di quell avventura; ma ci non impediva a

Sancia di credere che suo marito ne fosse geloso,


ch egli non aveva avuto per Eloisa che un capriccio

passeggiero di giovent, e che in fondo non vi po


teva essere rivalit alcuna fra la gliuola di un re
e una fanciulla popolana. Di certo donna Sancia non

amava moltissimo suo marito, ed ella 1 aveva [ve


duto per la prima volta il di in cui celebraronsi le
loro nozze; ella aveva amato il giovine Montmore
ncy, che dimor qualche tempo alla corte dei re
Aragonesi, e che di lei s era perdutamente innamo
rato; ma donna Sancia sentiva tutto 1 orgoglio di
una infante d Aragona, ed era rigida e costante os

servatrice de suoi doveri.


Poco tempo dopo Raimondo parti pel campo di

Muret, e Sancia profitt di quell assenza per far


chiamare Eloisa, al castello Narbonese. Questo invito
fu un colpo di fulmine per la povera Eloisa; ma Ma
tilde la convinse ch era impossibile niegarsi, senza
confermare i sospetti che forse eran nati nel cuore
della contessa. Fu quindi risoluto d andare.

__71_
Donna Sancia accolse le due amiche con quel sor
riso delle grandi dame, che vela coll all'abilit la
superbia. Ell' era seduta in un gran seggiolone di vel

luto, intenta a. ricamare, e continu il suo lavoro.


Eloisa si teneva stretta a Matilde, come il fanciul
lino, che abbia paura, si tiene abbriccato alla sottana

della mamma, ed avrebbe dato la vita per trovarsi


dieci braccia sotto terra.
- Ho tardato forse troppo a ringraziarvi, disse

la contessa; ma non credete sia dimenticanza, {per


ciocch io son di quelle che il bene e il male diffi
cilmcnte obliano.
-- Ma di che, signora contessa? domand Ma

tilde.
- Del servigio che avete reso al signor conte
mio marito.

- Noi abbiamo fatto il nostro dovere di suddite


e di cristiane.

-- Sta bene, disse donna Sancia, ed io debbo far


quello di moglie e di sovrana.

- Queste parole di bont che voi ci dite sono


per noi la pi gradita ricompensa.

- Questo non basta, ed io intendo provvedere


al vostro avvenire, perch suppongo che voi non

siate ricche.
- Ricche non siamo, disse Matilde, ma il ne
cessario abbiamo, e i nostri desiderii non vanno pi
in la.

_72_

- Voi non avete famiglia, ne alcun parente in


Tolosa?
- Non signora.
-- Nessuno inne che possa rendervi questo sog
giorno pi gradito che un altro?

Eloisa impallidi, Matilde rispose:


- No, signora contessa.

- Ebbene, ripigli donna Sancia: io vi fa dono


di alcune mie terre, e voi anderete a vivere in
Aragona.
- Ma... signora contessa, noi siamo riconoscenti
e grate del dono, ma non possiamo accettarlo.
-- E porche? domand maravigliata donna San
cia, interrompendo per la prima volta il suo lavoro.
- Perch non abbiamo fatto che il dover nostro,
e perderemmo ogni merito accettando una ricom
pensa.
-- In tutti i casi, ripigli la contessa, voi non
avete diritto di ricusare un dono, che farebbe la for

tuna della vostra compagna.


-- Ma... io penso come lei, disse timidamente

Eloisa.
-- Ah! siete tutte e due d accordo per disubbi
dirmi?
- Oh! mio Dio! esclam Eloisa, si direbbe che
noi abbiamo avuto la sventura d incorrere nella vo
stra disgrazia.
_

- Nella mia disgrazia! rispose ridendo donna

_15_

ancia. Sapete che colla vostr' aria modesta voi avete


molta superbia. Nella mia disgrazia! Non bisogna
neanco pensarci. Che potete far voi per dispiacere a
una contessa di Tolosa? Che vi puole essere di co

mune fra un oscura fanciulla del popolo ed una in


fante di Aragona!
- Nulla, o signora contessa, io lo so.
- Ebbene ripigli donna Sancia, ciascuno stia

nell' ordine in cui l'ha messo la mano di Dio: la


donna, che non pu cingere al suo capo una corona,

non pu avere i sentimenti di una regina. li disin


teresse, che ostentate, non si addice alle donne del
vostro grado; e se voi rifiutate il mio dono, non pu
credersi facciate ci per generosit d animo, ma per
superbia e disobbedienza; ed allora il merito nisce
e la colpa incomincia.
- Ma signora, disse Matilde, volendo venire in
soccorso di Eloisa, che tremava come fronda agitata
dal vento.
- Tacete voi, interruppe superbamente la con
105811.

- Ma un gastigo che voi volete darmi? disse


Eloisa.

- ignorate voi, rispose donna Sancia, che non


s interrogano le sovrane?
-- Io non vedo...

-- Siete stata abbagliata dalla luce del sole: ri


tornata nelle tenebre dove siete nata.

_74_.

- Signora! signora!
- Non pi.
-- Ma voi mi uccidete con queste parole.

- Andate, disse donna Sancia, con un gesto im


perioso.
- Vieni Eloisa, disse Matilde abbracciando la sua
amica, vieni con me, povera creatura.

Ed Eloisa, riconfortata da queste affettuose parole,


alz la fronte pallidissima, ma piena di dignit, e
disse:
- Signora contessa, io sono una povera fanciulla:

voi potete bandirmi, imprigionarmi e farmi morire;


ma non comprarmi coll oro.
E in cos dire fece una riverenza, ed usc appog
giata al braccio della sua amica.
'

CAPITULO Vll.
Di ci che segu nel campo di Muro! la vigilia
della battaglia.

Pietro di Aragona, non tenendo conto de' coman


damenti del papa, alla testa di mille cavalieri cata
lani ed aragonesi, aveva passato i Pirenei, e unitosi
a conti di Tolosa, di Foix e di C0mminges, che lo
attendevano, aveva messo il campo rimpetto la pic
cola citt di Muret , sulle sponde della Garonna,

_15_
dove metton foce nel detto ume le onde del Lange,
a nove miglia da Tolosa. Le loro forze riunite som

mavano a duemila cavalieri e fanti quarantamila. Il


re Pietro, che ne aveva il supremo comando , vo
leva impossessarsi della citt, prima che giungesse 1 esercito crociato, e gi uno de borghi era stato
occupato, quando giunsero avvisi, che vedevansi nella
pianura le bandiere del Monforte. Allora il re fece

suonare a raccolta, e ricondusse le schiere dentro le


trincee.
Simone di Monforte, oltre le milizie del paese,
ed i cavalieri e fanti francesi ch erano rimasti al
suo servigio, aveva ricevuto nuovi aiuti dalla Fran

cia; ed i vescovi di Tolosa e di Carcassonna, que


sti due nemici implacabili della casa di Santo Egi
dio, avevano indotto Manasse vescovo d Orleans e
suo fratello Guglielmo vescovo di Anxerre a venire

anch' essi colle loro genti. Di pi il Monforte aveva


assoldati molti avventurieri e ribaldi co denari a lui
prestati dal giudeo Salvanhac, il quale aveva avuto
in compenso i castelli di Pezenas e di Torves, con
tutti i diritti che vi avea esercitati il visconte di Be
ziers: ne questo solo, perciocch 1 usuraio volle in

oltre la vendita anticipata per pochissimo prezzo dei


beni che sarebbero conscati agli eretici di Tolosa,
cio alle persone pi ricche di quella ricca citt,
delle quali egli aveva dato il nome. Riunite queste

forze, Simone mosse da Carcassonna, senza lasciarsi

._16_.

impaurire da un cattivo sogno, che aveva fatto la


moglie, e giunse a Saverdun, dove fece il suo te
stamento, e ascolt la messa, nella quale furono
scomunicati i conti di Tolosa, di Foix e di Gommin
gas, ed i loro partigiani, senza per che fosse no
minato il re di Aragona. Il legato Arnoldo, che da
quando era diventato arcivescovo di Narbona, avea
sentito intiepidire il suo zelo feroce, non trovavasi
nellesercito, e la sua autorit era esercitata da Folco

vescovo di Tolosa, che aveva titolo di vicelegato.


Folco, vedendo il campo nemico e diiiidando della
vittoria se alla battaglia partecipassero le genti di
Aragona, deliber chiedere al re un salvo condotto
per s e per gli altri prelati, a ne di recarsi nelle
sue tende e disuaderlo da quell impresa. Or i no
stri lettori sentiranno forse con maraviglia, che la

persona, chebbe la commissione di questambasceria


fu padre Pasquale.
Il nostro buon religioso aveva continuato a lavo
rare alla sua grand opera dellarte della cucina; so

lamente, dopo lavventura di Mompilieri, aveva fatto


voto di non mettere pi il naso fuori del suo mo
nastero , e di fare in esso tutti gli esperimenti cu
linan'i. La conseguenza di questa vita romitica era

stata laumento di cinquanta libbre sul suo peso,


chegli costat con grande soddisfazione colle statere
del cellerario. Poi era seguita una qualche tregua in
Linguadoca, ed egli avea considerato che un po di

-77__

moto avrebbe fatto bene alla sua salute, ed era andato


sino a Narbona, per sentire una certa torta di pesce ,
della quale pretendevano averne soli il segreto i ca
nonici
della
cattedrale.
Qual vide
fu lail cambiamento
dolce meraviglia
di padre
Pasquale,
allorch
se- I
guito nel carattere e nei costumi nellabate Arnoldo,

or arcivescovo di Narbona? All antica sobriet , era


succeduta una gola sfrenata, all austerit. un lusso
da sorpassare quello del suo predecessore: dellantico
Arnoldo non era altro rimasto che quel fare impe
rioso e assoluto; se non che ora ci rivolgeva tutta la
sua energia a procurarsi tutti i piaceri della vita,

come altra volta , allesterminio degli eretici. Quel


lastnzia e potenza di volont incurante di ostacoli,
che laveva condotto alla sede arcivescovile di Nar
bona, or gli serviva a godere in tutte le guise dei
vantaggi di quel ricco arcivescovado. Padre Pasquale
fa quasi per impazzare della gioia per questa, comei
la chiamava, conversione del signor legato: voleva
dedicare a lui la sua grand opere; ed aggiungervi
un nuovo capitolo, intitolato De abstinentia, sul te
sto Abstz'nentia est inardznata aversio delectatz'onum
gustus et tactus. Sventuratamente padre Pasquale non

cel all arcivescovo gli studi fatti sullarte del man


giare e del bere , ed i grandi risultamenti ottenuti.
La vanit lo perde! Larcivescovo volle tener presso
di se un uomo cosi prezioso, e lo fece suo cellera
rio. [in di lo manda a Cercassonna (era nel mese di

__78_

settembre) per assistere alla vendemmia di una certa


vigna che quivi aveva larcivescovado, e gli d per
sovrappi la commissione di portare al vescovo Folco
una lettera, colla quale gli concedeva piena autorit.
di fegato durante la sua assenza. Padre Pasquale
pretendeva questa missione fosse indegna d un cel
lerario dellarcivescovo di Narbona; ma con Arnaldo
non v'era da rispondere e bisognava ubbidire. Per lo

che padre Pasquale si rassegn, e and a trovare


il vescovo Folco , ch era di gi a Saverdun. Folco,

che non aveva potuto rinvenire fra cherici, cherano


con lui, chi volesse andare dal re Pietro di Aragona,
dette questa incombenze al padre Pasquale , tanto
pi che gi egli aveva nome di uomo molto ad
dentro nella stima e dimestichezza dell arcivescovo
di Narbona , e di persona dottissima; ed il povero
cellerario alleg invano che luva era ne fini, e che
si attendeva il suo ritorno per pigiare, e che il ri
tardo la farebbe inacidere, e il mosto piglierebbe il

forte e il vino sarebbe perduto , con gran danno e


vergogna di lui, dell arcivescovo e di tutto lordine
di Cistello, e con grande soddisfazione de Cluniacensi
e de Premostratensi. Tutte queste ragi0ni non valsero
nulla: Folco per ostinazione non la cedeva ad Ar

noldo; il povero padre Pasquale dovette ubbidire,


non senza per giurare sullanima sua, che non met

terebbe mai pi il piede fuori dellarcivescovado ,


neanco a tirarlo con venti paia di bufali.

_19_

Un suono di tromba annunzio al campo della


lega, che un ambasciatore nemico si appressava,
e poco dopo giunse all'ingresso della trincea il no
stro grasso religioso, su di un gran mulo tutto pieno
di mappe rosse e di hubbole d argento. Egli, col suo
viso di luna piena, prodigava a destra e a sinistra
sorrisi e profonde riverenze, per disporsi favorevol
mente lanimo de soldati, che, per vederlo, erano
accorsi alle palizzate. Ma questi dicevano fra di loro:
- Che vuole questa balena?
- Che trippa che ha questo monaco!
_ Come gliela hucherei volentieri.
-- Fanno penitenza i monaci di san Benedetto!
-- Peste! come ingrassano: non ho veduto giam
mai pi bel maiale alla era di san Saturnino.
Queste ed altre simili parole, che padre Pasquale
udiva o indovinava, gli facevano sgorgare dalla ra

dice de suoi capelli certi goccioloni di sudore freddo,


che gli rigavan le gote, e davano maggiore elasti

cit alla sua persona; che raddoppava riverenze ed


inchini.
- Chi cercate voi, reverendo padre? e chi vi
manda a noi? disse un cavaliero7 vedendo il quale
tutti i soldati fecer posto rispettosamente.
- Cerco il molto illustre signor re di Aragona e
vengo dalla parte del signor Folco vescovo di Tolosa.
A quel nome un mormorio minaccioso si lev in
tutti i Tolosani, che odiavano eramente il loro ve

__80_

scova, e delle voci da principio sommesse e poche,


ma che ben tosto divennero altissime e generali, co
minciarono a gridare:
- Al diavolo il vescovo Folco!

- Alla Garonna l ambasciatore!


- Una tullata a questa balena!
- Signori, signori, rispetto al mio carattere di
ambasciatore e di religioso, gridava padre Pasquale:
io non ho fatto male a nessuno: io sono sotto la
speciale protezione della chiesa; v e pena della sco
munica a maltrattarmi.
- Noi siamo gi tutti scomunicati: sul nero non
ci puole macchia!
-- Tanto si va allinferno per una, quanto per
cento scomuniche.
-- Alla Garonna, alla Garonna!
- Val meglio impiccarlo.
- Mettiamo in forno questo maiale.

- Facciamone olio di questa balena.


Mail cavaliere, che aveva parlato, dopo aver
riso per qualche tempo della confusione e paura del
grasso monaco, grido:
- Indietro! indietro! Rispetto all ambasciatore.
E a questo comando, che subito fece cessare quel

tumulto, il padre cellerario si lasci sdrucciolare dal


mulo, e si afferr alla mano del cavaliere, come un
naufrago ad una tavola di salvamento, gridando sup
plichevole:

__81._

- Se ho offeso questi signori senza saperlo, per.


donate alla mia ignoranza, io sono un ignorante. Da
noi si richiedono due voti soltanto, castit ed ubbi
dienza.... Se si aggiungessc anche quello del sapere,

i monasteri sarebbero sgombri come questa palma


di mano.
.
- Volete voi parlare al re di Aragona?
- Si signore, all illustre signor re di Aragona;
ma fate in modo che io possa giungere a lui sano
e salvo, perch se questi indemoniati mi ammaz
zano , vedete bene che mi sarebbe difficile di fare

l'imhasciata, e cosi mancherei al mio voto dubbi


dienza.

- E che volete voi dire al re di Aragona ?


- Ma parmi... che dovrei... a lui, se non vi
dispiace signor cavaliere , perch nel caso contrario
io dir a voi ogni cosa.

- Ebbene parlate: son io il re di Aragona.


A queste parole padre Pasquale ripigli animo,

asciugo il suo sudore colla manica della cocolla,


tossi, e recit nn arringa, divisa in tre punti, e
piena di passi latini, il cui sunto era che il vescovo

Folco chiedeva un saivocondotto per se e per gli altri


vescovi, per trattare di pace col re di Aragona.
il re, dopo avere ascoltato con visibile impazienza
quella lunga lastrocca, cosi rispose:
- Dite al signor vescovo di Tolosa, che io non

voglio trattare di pace con prelati, che invece di ce


ALBIG. Vol. III.

_3g._
lebrare la messa, pigliano le arme contro a cristiani.
E via subito di qui.
Non aveva Pietro finito di pronunziare queste pa

role, che il padre cellerario sera abbriccato allar


cione della sella, aveva messo il pi sinistro nella

staffa e faceva grandi sforzi per sollevare il destro


da terra.
- Tenghiamo la staffa al signore ambasciatore,
gridavano i capi ameni del campo.
- Grazie, grazie... non v incomodate... far da me.
- No, no, nostro dovere.

- Siete troppo huoni.... ecco, ecco.... un'altra


spinta... sto per arrivare.
Sventuratamente non meno di quattro uomini ro
busti s erano messi a sollevare per di dietro il padre

cellerario, e ci fecero con si bel garbo, ch'egli cadde


colla pancia sulla sella. Ed in quel tempo un gio
vinetto con una picca punse il mulo, il quale si parti
di corsa. Ed allora si vide il povero monaco uscire
dalle trincee in quella posizione, che poteva essere

conveniente per un tonno, o per un maiale, ma che


di certo era indecentissima per un cellerario dell'ar
civescovo di Narhona, tanto pi che alle sue grida
disperate non altro rispondevano che le risa, il batter
di mani e le schiata di tutti gli spettatori.

Quando padre Pasquale giunse in quel modo alla


presenza del vescovo Folco , e gli narr i pericoli
corsi come un nuovo Daniello sfuggito dalla fossa

_ S5 _

de leoni, il vescovo ne fu molto corruccato, e ve


leva rimandarlo.

-- Al martirio! esclam padre Pasquale.


- Temcte voi il martirio per lamore di Ges
Cristo? domand con voce severa. il vescovo.
- Prima di tutto, rispose padre Pasquale, lo ho
luva nella iinaia, e far perdere quel buon vino sa

rebbe peccato maggiore dell' eresia. E poi se io cre


dessi che il mio martirio fosse utile alla fede , io
anderei al martirio come santo Stefano, come san Lo
renzo, come san Bartolomeo, come tutti i santi
martiri e confessori; ma io non lo credo, io non
lo credo, signor vescovo... lo sento in me, che debbo

rendere l'anima mia per la bocca, ch la via in


dicata da teologi, e non per tre o quattro buchi che

potrebbero fare nella mia pelle gli eretici.


Queste parole furon dette in tal modo, che il ve
scovo vide che sarebbe stato inecace ogni suo nuovo
ordine; edaltra parte in quel momento sopraggiunse
frate Domenico Gusmano, che soiir da per se stesso

di andare ambasciatore al campo del re.


Se padre Pasquale fu ricevuto con celie e sbeeg
giamento , frate Domenico fu ricevuto con impreca
zioni, perciocch dopo il legato Arnoldo, il vescovo
Folco e Simone di Monforte, non v' era uomo che

pi di lui fosse odiato da' popoli della Linguadoca.


- Frate Domenico, disse il re Pietro, dopo avere

ascoltato il nuovo ambasciatore, Simone di Monforte

_84_

ha usurpato i beni degli altri con tanta cupidit, che


al conte di Tolosa non rimane se non la citt. di

questo nome e il castello di Montauban. Egli ha


usurpato la pi parte delle terre e castella del conte
di Foix, del conte di Comminges e di Gustavo di
Bearn. Il papa nostro signore gli ha scritto: Noi

vi ordiniamo di restituire all'illustre re di Aragona


ad a suoi vassalli tutte le signorie che avete loro

usurpate, perch, ritenendole ingiustamente, non si


dica, che voi avete fatto la guerra per vostro pro
prio vantaggio e non in pro della fede. 0 il papa

m ingannava adunque, 0 Simone di Monforte di


subidiente alla chiesa: nel primo caso cambatto il
capitano di un ingannatore, nel secondo un ribelle
della sede apostolica. Di pi il conte ed i consoli
di Tolosa, i conti di Foix e di Comminges ed il vi
sconte di Bearn han rimesso i loro diritti e le loro
persone nelle mie mani.
-- Voi dimenticate, signor re di Aragona, rispose
Domenico , ci che dissero i padri del concilio di
Lavaur: Se si restituisce a questi tirarmi e a suoi
eredi i dominii che sono stati tolti con tanti travagli
e tanto sangue, oltre lo scandolo, il clero e la chiesa

saranno in imminente pericolo Voi dimenticate che


gli arcivescovi d'Arles e di Bordeaux, i vescovi di
Maguelonne, di Carpentras, d0range, di san Paolo,
di Cavaillon, di Vaisson e di Beziers e labate di
santo Egidio si sono uniti per domandare al vicario

_85_

di Ges Cristo la distruzione della citt di Tolosa,


di questo membro putrido che dionder la cancrena
in tutta la Gallia Narbonese. Or pera il mondo an

zicch la parola de vescovi, e gli oracoli della santa


chiesa.

Domenico continuava con quel suo impeto e fu


rore consueto; ma re Pietro non volle pi ascoltarlo,
e lo fece ricondurre fuori del campo.

Verso sera il re di Aragona convoc nella sua tenda


i capi dellesercito, e disse loro che si fornissero ed
apparecchiassero, percioech lindomani si verrebbe a
giornata.

- lo consiglierei, disse il conte di Tolosa,di at


tendere i crociati dietro le trincee, e quando le dif

colt che hanno ad incontrare e le frecce e i sassi


nostri gli avranno alquanto indeboliti e stanchi, as
salirli con tutti i cavalieri e disfarli.
- Questo consiglio potrebbe esser prudente, disse

il re Pietro, ma non parmi degno de cavalieri dA


ragona.
- No, no, gridarono gli Aragonesi, noi vogliamo
assalire i nemici, e non chiuderci dentro i ripari.
- Pensate, replic il conte di Tolosa, chei nostri
fanti non sono gente usa alle arme; che dietro le

mura della citt di Tolosa han fatto buona prova;


ma che non sar lo stesso in campo aperto e contro
schiere agguerrite.

- Se i vostri Tolosani, risposero gli Aragonesi,

_86_

non sanno far altro che cimar panni, tinger sete ,


misurare broccati e dare a prestanza sul pegno al
trenta per centinaio, rimandateli pure alle lor case
e botteghe , che noi faremo senz essi.

- I Tolosani staranno dov' il loro signore , e


per lui e la loro libert sapranno morire.
- E voi che ne dite, signor conte di Foix? do
mand il re.
- Io dico, signore , che si commesso il grave
errore di non assalire il Monforte ne' passi dove poteva.
facilmente esser disfatto. Ora egli dentro Muret, e
vincitore cinseguir sino alle porte di Tolosa; vinto,
si chiuder dentro la citt, ed avr tempo d'essere

soccorso.
- Voi dunque non commettereste la giornata?
- No, signor re.
-- E credete che in aperta campagna potremmo

esscre battuti?

- possibile, rispose freddamente il conte.


Gli Aragonesi dettero in uno scoppio di risa; ma
il conte di Foix gir intorno a s uno di quegli

sguardi terribili, che hanno virt di far passare a


molti il gusto di ridere, ed il conte di Tolosa si af

frett di dire:
- Noi abbiamo rimesso le nostre persone e le
nostre terre nelle mani vostre, signor re di Aragona:
tocca a voi comandare, a noi ubbidire.
- Noi non siamo venuti in Linguadoca per chiu

_81_

darci dentro le trincee, come timidi mercadanti,


gridarono gli Aragonesi: noi abbiamo veduto fug
gire dinanzi a noi lemiro Mohammed co suoi sei
cento mila guerrieri, e non possiamo aver paura di
quattro cherici e di qualche migliaio di ribaldi.

-- Signori, disse il re Pietro , tutti i miei cava


lieri domandano la battaglia, e per san Iacopo di
Gallizia essi han ragione, perch le genti d'Aragona
non son usi ad attendere i nemici dietro a ripari.
-- Ascoltate quel che vi dico, interruppe il conte

di Foix: voi domani correrete de gravi pericoli.


-- Ricusate quindi desser con noi?
---

lo?
Si, voi.
lo domando lonore di comandare lavanguardo.
E perch?
Perch voglio darvi tempo di respirare, prima

di trovarvi addosso Simone di Monforte e la caval


leria francese.
- Vedremo, dissero con sorriso ironico gli Ara
gonesi.
- S, vedrete me ed il mio gliuolo star saldi
al nostro posto, mentre voi fuggirete verso i Pirenei,

e far argine a nemici affinch non v inseguino e vi


sgozzino come un branco di pecore.
Un mormorio d' indignazione sorse ne cavalieri spa

gnuoli; ma il re Pietro impose loro silenzio dicendo:


- Domani vedremo sul campo di battaglia dove

-88_

sta il vero valore, perciocch non degno di prodi


cavalieri garrire fra di loro, quando sono sul punto
di adoprare le arme. Il conte di Foix avr il co
mando dellavanguardo, che sar tutto di cavalieri .
catalani afnch veda dappresso la virt spagnuola:
al conte di Tolosa. aiiido il retroguardo: io coman
der la battaglia; Dio e le nostre spade ci daranno
la vittoria.

- Cos sia! risposero tutti; e ciascuno, fatta ri


Verenza al re , si ritrasse nella propria tenda per
riposarsi.
Non cosi fece il re di Aragona, e appena i capi
dellesercito si partirono, la sua tenda fu piena di
giovani cavalieri, suonatori, trovadori e cortigiane.
I valletti portarono vassoi d'argento con frutta, con
fetti e vini di ogni guisa, ed il re, messi dapperte
i pensieri della guerra, si dette tutto alla pi sfre
nata allegria.
- Mescete, illustre re di Aragona, diceva una
bella Tolosana ch era seduta accanto il re. curioso
vedere uno de pi nobili re della cristianitrt, coro
nato dal papa nostro signore, servire di coppiero a
una cortigiana. E questo giusto.
- Perch? domand ridendo il re.

- Perch la vostr' arte di guerriero di procu


rare agli uomini de dolori, e la nostra di procurar
loro de piaceri: voi siete i ministri della morte, e
noi della vita.

-_89_

-- Si , rispose Pietro, ma il valore comanda agli


uomini.
-- E la bellezza comanda al valore.
- Beviamo adunque alla bellezza ed al valore!
- Si , s, alla bellezza e al valore! gridarono
tutti, wotando le loro tazze.
-- Io amo il re di Aragona, disse la Tolosana,
e per seguir lui licenzier tutti i miei amanti.
- Sar la ritirata de diecimila,osserv un tro
vadore.
- Oh che dici tu mai? Larte della cortigiana
decaduta. Un uomo dottissimo che frequenta la mia
casa, mi narra che Frine poteva arricchire e ornare
Corinto, e riedicare a sue spese la citt di Tebe;

ella fu divinizzata da Prassitile e da Apelle, ed ebbe


innalzata una statua doro nel tempio di Delio. Frine

fu condannata a morte per aver profanalo i misteri


eleusini; ma quando il suo avvocato, strappandole le
vesti, mostr a giudici le sue bellezze, questi cre
dettero vedere listessa Dea dellamore , e Frine in

assoluta.
- lo scommetto la pi bella perla della mia co
rona, disse il re Pietro, che lo stesso seguirebbe a
te, se tu profanassi i misteri della nostra santa re

ligione, e cadessi in mano di frate Domenico e del


vescovo Folco, perch tu sei bella quanto codesta tua
Frine ch' io non conosco.

- il male egli che i cherici sono ancora pi

_90_

crudeli de' pagani, disse la donna: non egli vero

che seppellrono viva la viscontessa di Beziers? ep'


pure ell' era bella e santa quanto un angelo!
Al nome della viscontessa il re Pietro chin pensie
roso la fronte, ma poi 1 alz tutto a un tratto , come

chi sia deciso di non attristarsi, e disse alla Tolosana:


- In che i cherici differiscono dalle cortigiana ,
sapresti tu dirmelo? perch gli uni e le altre parmi
siano ugualmente cupidi delle ricchezze.
- Questo vero, rispose la donna; ma noi ca

viamo di tasca agli uomini il danaro coll allegria e


col piacere, essi coglinganni, le paure e le violenze.
Noi vagliamo pi di loro , perch, se non sappia
mo il latino, e quante foglie di co componevano
la prima veste della madre Eva, sappiamo rendere

cara la vita, mentre i cherici la rendono odiosa e


insopportabile. Giammai cortigiana ha disfatto ed arso

terre e castella, desolato campagne, gittati a centi


naia gli uomini sul rogo, com essi fanno.
--. Beviamo alle cortigiane! disse il re colmando
la sua tazza di vino di Xeres ed invitando gli altri
a fare il somigliante.

- E alla vittoria di domani!

--Si , s: alla vittoria di domani!


-- Cio a dire, alla vittoria d'oggi, disse uno dei
commensali.

w Come! esclam il re: la notte di gi tra


scorsa -?

_91_
-- Non vedete voi, signore, che queste luceme
impallidiscono, e che i primi raggi del sole gi pe
netrano in questa tenda?
- Ebbene, alla vittoria doggi adunque, disse il
re vuotando un altra coppa. E quindi alzatosi, e
fattosi sull ingresso della sua tenda:
- Trombettieri, grid con voce altissima, suonate

le trombe , e che ciascuno si apparecchi alla battaglia.

CAPITOLO VIII.
Della battaglia di Mani.

il nuovo giorno sorgeva splendido e puro: gli uc


celli cantavano sugli alberi; il ume scorreva con

dolce mormorio, baciando i teneri giunchi delle sue


sponde. l vescovi di Tolosa, Nimes, Uzes, Lodeve,
Beziers, Agde, e Comminges, gli abati di Clairac,
Villemagne e San Tiberi, e molti altri ecclesiastici

cb erano con Simone di Monforte, e che molto te


mevano di Pietro dAragona, deliberarono di andarlo
a trovare in processione, e a piedi scalzi, per esor
tarlo in nome di Dio e della chiesa a non volere
vincitore il conte di Tolosa. il Monforte fece aprire
una delle porte di Muret ; ma vedendo cadere una
grandine di sassi lanciati dalle macchine nemiche,
si rivolse a loro, e disse:

__92_
- Signori vescovi, noi non otterremo nulla. Mi
rate il gran tumulto che v' nel campo nemico; e
tempo che voi ci permettiate di combattere, e che
la volont di Dio sia fatta come in cielo cos in terra.

-- Combattete pure in nome del Signore Dio degli


eserciti! rispose il vicelegato Folco.
Monforte fece pigliare le arme alla sua gente: poi
entr in chiesa, dove il vescovo di Uzes celebrava
la messa, e messosi in ginocchioni e a mani giunte,
disse ad alta voce:
- Mio Dio, io vi offro e vi dono il mio corpo
e lanima mia.
Volendo allora montare sul cavallo di battaglia ,
che il suo scudiero teneva per la briglia davanti la
porta della chiesa, il cavallo s inalber, e lo fece
rinculare. I nemici, che ci videro dal loro campo,
alzarono voci di scherno; ma Simone allerr le redine
del cavallo, vi mont su risolutamente, e grid ai
suoi sbeifeggiatori:

- Ridete ora di me, ridete; che io mi confido


nel Signore che rider ben tosto dietro di voi no
alle porte di Tolosa.
Egli discese allora nel borgo, dov era 1 esercito,
e lasciando i fanti a custodia della terra, prese seco
i cavalieri, men numerosi degli avversarii, ma gente
tutta agguerrita e provata in cento combattimenti.
In questo momento sopraggiunse il vescovo Folco,

col legno della vera croce, seguito da tuttoilclaro.

_95._
I cavalieri scavalcarono e s inginocchiarono. Il ve
scovo grid loro:

- Che nessuno tema la morte della carne: temete


invece la morte dellanima; temete chessa non piom

bi nell abisso, dove, come attesta il vangelista Mat

teo, sono i pianti e lo stridore de denti.

giunto il

di in cui si conosceranno gli uomini che nbbidiscono


alle leggi dell Eterno. Dio chiama i valenti ed i pro
di: la vostra spada vi aprir le porte del paradiso, e
la gloria di questa battaglia sar il preludio della glo
ria celeste. Dio dir acodardi: io sono morto per voi,
e voi mi avete dimenticato; mai caduti virtuosamente
in questa giornata, gli diranno: Signore, Signore, tu sei

morto per noi, ma noi siamo morti per te.


Un grido altissimo si lev nell' esercito a queste pa

role,e 1' un dopo l altro tutti icombattenti comincia


rono a stilare innanzi al vescovo per baciare il legno
della santa croce,e ricevere la benedizione;ma il vesco

vo di Comminges, temendo che questa cerimonia an


dasse troppo per le lunghe, tolse di mano a Folco il

legno della santa croce, e montato su di un muria


ciuolo, benedisse tutto 1 esercito dicendo:

- Andate in nome del padre, del glio e dello spirito


santo: io sar vostro testimone e mallevadore nel di del
giudizio nale, e vi prometto per questa sacra reliquia,
che tutti quelli che cadranno in questo glorioso com
battimento, senza passare in purgatorio, otterranno la

corona de santi martiri e la gloria eterna del paradiso.

_94__
Io vi giuro che Pietro di Aragona sar precipita
to in questo ume, come Faraone nel mare Rosso; e
che i conti di Tolosa e di Foix e di Comminges sa
ranno ignottiti dalla terra come Core, Datan e Abirom
che si ribellarono al Signore.
Quindi i vescovi, gli abati, frate Domenico e tutto
il clero si ritrassero nella chiesa di Muret, d onde
scoprivasi la sottoposta pianura, cantando:

-- Vieni spirito creatore, visita la mente de tuoi,


e riempi di superna grazia i cuori che tu creasti.

il Monforte condo l avanguardo a Guglielmo dEn


contre, la battaglia a Burcando di Marli, e si riservo
per s il retroguardo; ed e fece uscire le sue schiere
dalla porta che guardava 1 oriente, per far credere
a nemici ch egli volesse sfuggire la giornata, e per
non esporre i suoi cavalieri alle frecce de Tolosani.
Di poi fece rapidamente un mezzo giro, e sbocco al
1 improvviso nella pianura, e url di anco 1 avan

guardo nemico; e 1 urto tu si gagliardo e terribile,


che i Catalani si disordinarono, si confusero, si sban
darono, lasciando quasi solo il conte di Foix, che stet
te saldo al suo posto, e che sarebbe stato da Fran

cesi circondato e morto, se il grosso dellesercito non


si fosse avanzato in sua difesa. Allora la battaglia
divenne generale e saguinosissima. Il giovine Rai

mondo, cavalcando direttamente, dove sventolava la


bandiera del Monforte, tir tal colpo di lancia al ban
deraio, che bandiera e uomo rotolarono per terra.

_95_

Gli corse contro Amauri di Monforte, e volle racco


gliere la bandiera, e molti cavalieri dell uno esercito
e dellaltro si strinsero in questo conitto. Raimon
do ed Amauri s incontrarono faccia a faccia, si ri

conobbero e ne gioirono, perch 1 odiode padri era.


disceso ne' gli. Si ruppero addosso le lance, e miser
mano alle spade; ma nessuno di loro pot ottenere
piena vittoria, perch dall urto de sopravvenienti fu
rono divisi. Che diremo del conte di Foix? Non mai
pi terribile guerriero s' era in campo veduto, se non
che or la gloria dell' antico le0ne purea quasi egua

gliata da quella del giovine lioncello, vogliamo dire


di Bernardo suo glio. Bernardo spesso si doleva di
non esser morto; Bernardo spesso domandava a se
stesso che fare in questo mondo, dopo la morte di
Agnese non essendovi pi cosa che render lo potes
se felice. Eppure v erano de giorni in cui la sua gio
vinezza e la sua anima fortissima si ribellavano al
suo destino: ed allora, guardando le sue braccia ner
borute, e' sentiva che la sua vita non era ancor nl
ta, e sventura a nemici che trovavans innanzi alui,

perch su d ogni nemico egli intendeva vendicare la


morte di Agnese. Or in questa disposizione (1 animo
per lappunto e trovavasi in quel giorno, e che ter
ribili colpi dassero le sue mani i cavalieri francesi
lo sanno.
il conte di Tolosa, sempre animoso senz impeto e
riessivo senza paura, accorreva dove il bisogno era

_95_
maggiore, le vacillanti schiere sosteneva, le fuggenti
riordinava, de falli degli avversarj traeva protto, a
quelli de suoi riparava; si che grazia. all arte sua, la
giornata cominciata male per la fuga de Catalani,
pareva volgere contraria all esercitocrociato.
Il re Pietro di Aragona era stato da lui persuaso
a barattare il casco reale e l armatura con un cava
liere aragonese, perch sapevasi che Alano di Bouci,
Fiorenzo di Villa ed altri cavalieri francesi avean fat
to sacramento di non combattere che il re di Ara.
gona e di averlo, ad ogni costo, 0 vivo 0 morto, nel
le mani. Questi di fatto si avventarono tutti uniti sul
cavaliere coperto delle armi reali, ed Alano gli dette
un colpo di lancia, e lo sbalz gi da cavallo.
-Non il re di Aragona, grid il francese : il re
di Aragona e miglior cavaliere di costui.
Il re, ch era vicino, udite queste parole, non po
t pi frenarsi, e spronando il suo cavallo, disse ad
alta voce:
-- Ecco il vero re di Aragona.
Allora tutti gli sono addosso, ed egli a tutti resiste,
e contra tutti combatte, nch il suo cavallo, con un

colpo di picca nella pancia, stramazza a terra. Pietro


si rialza, c non cede; e gli assalitori si atfollano pi
intorno di. lui, come muta di veltri addosso al ferito
cignale. Gi Arnardo Pardo, Pietro suo glio, Comez
di Luna e Michele di Lusia, prodi cavalieri aragone
si sono morti a suoi anchi senza poterlo salvare. Il

_91_

re non invilisce, e continua a combattere, ed asper


ge di sangue il terreno, ed accumula morti e feriti
a se (1 attorno. Ma a poco a poco le sue forze sce
mano, il suo casco e fesso in due parti; da tutte le
congiunture della sua corazza gronda sangue; la sua
spada rotta, e trae il pugnale, e continua a com
battere; cade, si rialza combattendo, ricade di nuovo;

ma altro quivi non si vide che un mucchio duomini


e di cavalli.

Il grido della morte del re rapidamente ne due e


serciti si divulga; e ben tosto si vedono fuggire al
cuni cavalieri aragonesi, quindi molti, da ultimo tut
ti, e colla loro fuga disordinare e confondere le schiere
amiche, e accrescer animo alle nemiche. Muto allora
aspetto la battaglia: i crociati riordinatisi, ed incun
rati della voce ed esempio del Monforte, fan nuovo

impeto sugli avversarii. Questi, vedendosi di nuovo


assalire da ordinate schiere, si mettono in fuga, non
a squadre, come prima, ma spicciolati e sparpagliati
per opposte vie si dileguano. Era completa la rotta,
quando si videro Venire a briglia sciolta due cavalie

ri coperti di nere armi, 1' uno con una spada sguai


nata in mano, 1 altro senza lancia, senza spada,
senza scudo e senza pugnale. Avevano la celata ab
bassata sul viso, correvano come due ombre senza
gittare un grido, fendevano gli stormi de fuggenti

e le onde degl inseguenti, come se nessuno voles


sero offendere, come se da nessuno temessero offesa,
ALBIG. I'ol. III.

_98_

o meglio, come se il campo fosse deserto. Chi li vede


venire si tira dapparte maravigliato , ignorando se siano
amici o nemici; ed essi corrono , corrono , e cosi giun
gono presso a Simone di Monforte, che in mezzo a un

buon numero di cavalieri, raccoglieva gi le lodi e


congratulazioni della vittoria.
-- Simone di Monforte, mi riconosci tu? grido il ca

valiere senz arme, alzando e abbassando rapidamente


la visiera.
A quella voce, a quella vista, Simone di Monforte
gitt un grido di terrore: 1 altro cavaliere alz in quel
tempo la spada, e tal terribile colpo gli dette sull el

mo , che il conte pieg tanto sulla staffa sinistra, che


la si ruppe, n pot egli rialzarsi, prima che un altro
colpo pi gagliardo del primo completamente lo esqui
librasse,e stordisse. Ed allora il cavaliere nero, git

tando la spada, lo afferr colla sinistra per la gola,


trasse il pugnale e tent immergerlo nelle commissure

della gorgiera. Ma Boldovno fratello del conte di To


lesa, ch era li vicino, si avvento rapidamente su co
stui, e gli tenne il braccio , mentre Roberto Mauvoisin

gli dava un ero colpo di azza sul capo. Il cavaliere


gitt un orribile grido, e tent sbarazzarsi di Baldovi
no; ma il Mauvoisin raddoppio i colpi, ed e ruzzol
sotto lezampe de' cavalli. Il cavaliere disarmato, che

questo vide, balzo a. terra in soccorso del suo_com


pagno; ma in quel momento il conte di Foix, ch avea
potuto raccogliere-e riordinare un buon numero di

_.99_
cavalieri, ritentava un ultimo sforzo, non foss altro
per dar tempo a fuggenti di riparare dentro le mura
di Tolosa. Quivi si riappicc adunque accanita e ter

ribile la zutia. i due cavalieri furono urtati, spinti e


da cavalli calpestati. Il ferito pareva altra cura non
avesse che la salute del suo compagno; ma questi, ri

masto diviso da lui,travolto nella calca, gitt un


grido e cadde. Cadere voleva dir morire. Ma quel
grido fu udito dal ferito, che si rialz, e lottando di
speratamente giunse sino a lui,e lo pigii nelle sue
braccia, e lo sollev in alto come si farebbe di un
fanciullino, e si lanci in una corrente (1 uomini e di
cavalli, che lo sostenne, lo sollev, lo trasport seco

per un centinaio di passi, nch, diradandosi alquanto,


lo lasci cadere su di un mucchio di cadaveri. Al

lora il ferito alz ansiosamente la celata del compa


gno, e scoperse il pi bel viso dangelo che mai
artista abbia immaginato. Era Agnese svenuta o mor
ta! Edmondo gitt un nuovo grida, e reso ardito
dall insensibilit, impresse tali ardenti baci sulle mani

della sua signora, che avrebbero infuocato un marmo,


e parea impossibile non avesser virt di render la vita
a un cadavere. Egli piangeva, urlava, ruggiva, senza

curarsi del sangue copiose che sgorgava dalle sue fe


rite, senza accorgersi pi di ci che seguiva intorno

a lui. Tutto a un tratto egli vede le pallide labbra di


Agnese leggermente tremolare, Iegli sente ritornare la
respirazione in quel corpo che aveva creduto inani

-100

muto. Col ritorno della speranza ritornano in luii sensi


e la ragione; ed allora si accorge che la schiera del

conte di Foix, che aveva risospinto indietro i cava


lieri crociati per dar tempo a fuggenti di salvarsi, or

ritorna a briglia sciolta inseguita da tutta la caval


leria avversaria. E riunisce allora le forze che gli ri
rimanevano, piglia altra volta nelle braccia Agnese,
e barcollando tenta trarla dapparte per non rimanere
sotto le zampe de cavalli fuggenti ed insegnanti, che

come un turbine si avanzavano. Ma e non pu! e cade


sulle sue ginocchia, la sua vista si appanna, un gelido
sudore gl inonda la fronte , un ronzio spaventoso gl in
trona gli orecchi. Ci non ostante, come attraverso
un velo, pargli vedere passare a lui appresso le pri

me le de fuggenti, pargli riconoscere Bernardo di


Foix.
- Oh! chio muoia, che io muoia! mormor Ed
mondo; ma chella viva: costui pu salvarla.
E in uno slancio di sublime abnegazione , rizzandosi

sulle ginocchia, e sollevando in alto la donna: - Si


gnore , grida: io sono Edmondo, salvate la viscontessa
di Beziers.
Bernardo, udita quella voce e quel nome, gitt un
grido di maraviglia; ma egli stese le braccia, afferr

Agnese per la vita, e la port via come un turbine.


Edmondo non ebbe altra forza e possibilit, che dim.v
primere un bacio su piedi di Agnese, e cadde boccone,

e scomparve sotto le onde de cavalli che seguivano.

-li)'l

Il disastro di quella giornata sarebbe stato grande,


non irreparabile, se la fanteria tolosana, vedendo di
scostarsi la cavalleria delluno esercito e dell altro,
non avesse commesso 1 errore di uscire dain accam
pamenti e di assalire la citt di Muret; perciocch
respinta, e costretta a tornare indietro, ella trov gli

accampamenti occupati da' nemici, e fu chiusa in


mezzo. Questa non fu pi una battaglia; ma si un a
trocissimo macello. Folco e gli altri vescovi sul sacrato

della chiesa, si che potessero essere veduti ed uditi


dalla pianura, cantavano:
Dies itB, dies illa

Solvet seculum in faville,


Teste David cum Sybilla.

Frate Domenico, con un crocisso in mano, come


invaso da religioso furore, gridava con voce altissima:
-Ammazzate, ammazzato, fedeli di Ges Cristo!
E si che i fedeli di Ges Cristo ammazzavano sen
za piet e senza misericordia, mentre i vescovi can

tavano:
Judcx ergo cum sedebit,
Quid quid latet apparcbit;
Nil inultum remanebit.

I Tolosani stretti nel mezzo, e non vedendo pi

alcuno scampo, si gittarono dalla parte della Garonna;


ma pochi salvaronsi in barche e nuotando, e pi di

ventimila furono sgozzati sulla sponda del fiume, o


nelle sue acque aifogarono.

-102

Simone di Monforte, ritornato sul campo di batta


glia, si mise a ricercare ne cadaveri, ripetendo:
-Ma il re di Aragona, ma il re di Aragona,

dov' il re di Aragona?
- Qui, in questo luogo egli caduto, rispondeva _
Alano di Bouciqui: bisogna cercare in questo mucchio
di morti.
-Bene! bene! cerchiamo, diceva il Monforte, e

come una iena salt su cadaveri insanguinati e co


minci a razzolare colle sue mani, mormorando: Pa
dre nostro che sei in cielo , sia santicato il nome tuo
- Eccolo, eccolo, grid Manfredi di Belveze; io

riconosco il colpo di lancia che gli ho dato al collo.


- desso, dosso! aggiunse Florenzio di Ville,
ecco la mia azza rimasta contta nel suo cranio.
Ed era veramente il re di Aragona, n poteva non
riconoscersi la sua testa bella ed altera, e la sua ben
formata persona, bench e fosse coperto di ferite, im
brattato di sangue e di polvere e quasi affatto ignudo,
perciocch i difensori di Muret, vedendo sicura la vit
toria, erano usciti dalle mura a nire i feriti e a di
spogliare i morti.
- Quest era un valente cavaliero, disse Simone di
Monforte divenuto serio e pensoso al cospetto di quel
cadavere; quest era un valente cavaliere, e fece delle
grandi cose nella sua vita; ma nessuno e potente con

tra il braccio del Signore. 0 mio Dio! sia fatta la tua


volont come in cielo cos in terra.
'

_103_

Quindi rivoltosi a Baldovino di Tolosa, che gli stava


accanto, soggiunse:

- Dopo Dio, noi dobbiamo a voi la nostra salvezza,


ed in premio di quanto oggi avete fatto per noi, noi
vi concediamo in feudo il Querci.
Baldovino mise un ginocchio a terra, e le mani
nelle mani di Monforte ch' erano ancor lorde del san
gue di Pietro di Aragona, e gli giur nuovamente fede
ed omaggio; ma quel sangue gli fa presagio di sven
tura.

Quattro frati ospedalieri vennero in quel tempo a


chiedere il cadavere del re al Monforte, che lo dette
loro senza alcunadifiicolt. Essi lo posero su di un
mantello, lo trasportarono a Tolosa, e di l in Ara

gona. Il vice legato Folco cdi vescovi spedivan su


bito una lettera al pontece, che cominciava cosi.
Gloria in excelsis Deo, et in terra pax homz'm'bus

qui Sanctam Ecclesiam bona diligunt coluntatc.


Il clero scese quindi allincontro di Simone di Mon
forte, cantando:

- il Signore ha traboccati in mare i carri di


Faraone, e il suo esercito, e la scelta de' suoi capitani
stata sommersa nel Mar Rosso.
Gli abissi gli hanno coperti: essi sono andati a

fondo come una pietra.


La tua destra, o Signore, stata magnificata in for

za: la tua destra, o Signore, ha rotto il nemico.


il Monforte si tolse la calzatura, e a piedi scalzi,

-'104

rientr nella chiesa di Muret, ed offri grazie a Dio


della riportata vittoria, fra le grida di gioia de'cro
ciati, che salutavanlo col nome di nuovo Davidde, nuo
vo Sansone, nuovo Giuda Maccabeo. Egli fece vendere
il suo cavallo e le sue armi e distribui a poveri il denaro.
Frattanto la luna si levava sull orizzonte, e ri5chia
rave di scarsa e fantastica luce il campo di batta
glia. Il suolo era gremito di cadaveri, la pi parte
ignudi , colle fronti livide ed insanguinate , colle mani
in atto di terrore, di preghiera o di minaccia. Qui
e l vedevansi pozze e rigagnoli di sangue; cavalli
sventrati , o colle gambe rotte, che facevano de vani

sforzi per rialzarsi. Da una parte il ume sulle cui


acque insanguinate galleggiavano gran numero di morti,
che le onde spingevano verso la riva: dallaltra, un
fumo nero, solcato da qualche amma serpeggiante,

che consumava i resti degli accampamenti tolosani.


Un silenzio funebre regnava in questa scena di de
selezione; silenzio solamente interrotto da qualche
gemito umano, da qualche nitrito doloroso, dal more

morio del ume, dal crepitare dell incendio.


Vagavan pure misteriosamente nelle tenebre de
piccoli branchi (1 uomini, che si fermavano, si ab
bassavano , si rialzavano, e correvano come delle om

bre di qua e di la. Eran ladri, che venivano a di


spogliare i morti, e che rimanevano molto maravi
gliati di trovare, che ci ch' essi volean fare, i cro

ciati avevan fatto prima e meglio di loro.

-105

Vedevans pure delle lanterne aggirarsi pel campo,


fermarsi in un luogo , rimettersi in cammino , vol
gere da questa parte e da quella; e a volte cadere
e spegnersi mentre echeggiava un grido di dolore.

Erano i parenti e gli amici de combattenti non ri


tornati alle case loro: e fra questi chi procedeva me
sto e silenzioso; chi con ansia terribile osservava il
viso di un cadavere irriconoscibile per le ferite e il
sangue ond era coperto; chi si gittava piangendo e

signozzando sul cadavere del glio, del padre o del


fratello a ne di baciarlo un' ultima volta; chi, col
l' anima lacerata da un dubbio pi crudele d una

funesta certezza, si soifermava sulla sponda del u


me, alzava in alto la lanterna e cercava di spin
gere quanto pi in l poteva il suo sguardo, onde
ravvisare qualche cadavere, che le onde facevano
ruzzolare sulla superficie delle acque, e or coprivano
or discoprivano, come se, per un rafnamento di

crudelt, colle alternative del parere e del non pa


rere, accrescer volessero il dolore di colui che cer
cava; il quale, perduta da ultimo la speranza, par
tivas colla sua lanterna in mano, per esplorare altri
luoghi della riva.

-'106-.

CAPITOLO IX.
Della infelice ne di Baldovino di Tolosa
e del ritorno di Agnese al castello del vecchio Guinrdo.

La costernazione fu grandissima in Tolosa per la


scontta di Muret, ed al lutto pubblico si aggiun
gevano i lutti privati, poich non vera cittadino che
non avesse a piangere la morte di un parente o di
un amico. Fortunatamente il Monforte fu obbligato
ad accorrere sulle sponde del Rodano, perch i si
gnori provenzali, ad istigazione del conte di Tolosa,

avevan rotto la pace. Gli abitanti di Narbona gli


chiusero in viso le porte; quelli di Beziers fecero
altrettanto; ma Mompilieri e Nimes lo accolsero ono
revolmente; il conte del Valentinois si rappacifc
con lui, ed Andrea di Borgogna delno del Vien
nese dette la sua unica glia in moglie al di lui glio
Amauri.
Frattanto Baldovino, fratello del conte di Tolosa.
andando nel Querci per mettersi in possesso degli
ottenuti dominii, giungeva, con pochi suoi cavalieri,
al castello dell Olmo. Il castellano, ch era un vas

sallo del conte di Tolosa, stato poco prima costretto


a giurar fede ed omaggio al Monforte, lo accolse
con ogni dimostrazione d' onore.

-- Mio amico, gli disse Baldovino, eccoci tutti


e due sotto un nuovo signore.

-107

- Siete voi contento , signor Baldovino?


-- Che forse voi
- Al contrario,
son vecchio, e non
io accetto il signore
situa.

non lo siete?
rispose il castellano: e poi io
potendo pi adoprare le armi,
che la sorte delle armi mi de

Baldovino stanco del viaggio, e sempre pi informo


per cagione de' travagli di quella guerra, non volle
cenare, bevve qualche sorso d acqua, e and a letto.
I suoi cavalieri, non offrendo il piccolo castello i
comodi necessarii, furono alloggiati in alcune case
vicine.
Quando tutti si furono addormentati, il castellano
serr a chiave 1 uscio della camera in cui dormiva
Baldovino , mont a cavallo e corso al vicino castello
di Montlevard, dove si trovava Ratieri castellano di
Caslelnau, alcuni cavalieri a lui devoti e una piccola
schiera di ribaldi, e disse loro:
- Il nemico vostro e del conte di Tolosa vostro

signore nelle vostre mani. Caino dorme: io've lo


abbandono.
Un grido di gioia accolse queste parole.

- Voi ne avrete dal conte di Tolosa il premio


che meritate, disse Ratieri.
- Io non vendo il sangue di un uomo, rispose
il castellano; ma atfretto la punizione di un traditore.

Baldovino dormiva profondamente, allorch Ratieri


e gli altri, guidati dal castellano, entrarono nella sua

-108...

camera. Al rumore che fecero, e' si dest , balzo


subito dal letto e mise mano alla spada; ma prima
che avesse potuto sguainarla, fu preso e carco di
catene. Ci non ostante , alle grida ch ci fece, de
staronsi i suoi cavalieri, e vollero accorrere in sua
difesa; ma da guardie appostate davanti le porte
delle case dove albergavano, furon tutti presi o tru
cidati.

Baldovino fu subito condotto al castello di Mon


tane, perch ordinasse al presidio francese che v'era,
di consegnarlo alle genti del conte di Tolosa; ma
e grid loro:

-- Siate fedeli al conte di Monforte. e non ce


dete il castello neanco se mi vedeste attaccato a una
forca.
Le sue esortazioni non bastarouo, ed iFrancesi,
due giorni dopo, si arresero patteggiando salva la

vita; ma i ribaldi contratfecero a' patti, e tutti gl' im


piccarono.
Durante questo tempo Baldovino fu lasciato senza
cibo, e quindi menato a Montauban. Alla nuova di
questa importante cattura accorsero a Montauban il

conte di Tolosa, il conte di Foix, Bernardo suo


glio, Bernardo di Portelle cavaliere aragonese e molti
altri signori. li conte di Tolosa li convoc tutti fuori
le mura della citt, e fece quivi condurre Baldovino.
Egli era quasi livido in viso, salvo due macchie

rosse che colorivano le sue guance magrissime: gli

-109

occhi avea infossati , ma eri e torvi e focati, come


uomo travagliato dalla febbre.

-- Signori, disse il conte di Tolosa, io metto


nelle vostre mani questo fellone, perch voi ne fac
ciate il piacer vostro.

-- S impicchi, grid il conte di Foix: e questo


il supplizio dovuto a felloni.
- Non avete nulla da dire in vostra difesa? do
mand Bemaldo a Baldovino.

Questi scosse la testa senza proiferire una parola.


- Egli contribu alla morte del re Pietro, disse
lAragonese.
- Egli salv la vita a Simone di Monforte nella
giornata di Muret, soggiunse un Tolosano.
- Egli fece morire sulle forche un mio fratello.

- Egli fece cavar gli occhi a mio padre,


- Di mia sorella fecero osceno strazio le sue genti.
-- Per lui fu arso il mio castello.
-- A morte, a morte il traditore! urlavano i To

losani resi feroci dalle fresche sventure.


Baldovino , che non aveva avuto piet per alcune,
non chiese ad alcuno piet; e stavasi immobile ,
raccolto in se , e gittando attorno sguardi non di
preghiera ma di minaccia. Solamente quando si sent

mettere al collo una fune trasall, e mormora:


-- Chiamatemi un sacerdote.
Un sacerdote fu chiamato: egli singinocchi e
confesso a lui le sue peccata. Il sacerdote parve inor

-110_.

ridito, pure gli dette 1' assoluzione. Egli sorse allora


e domand la comunione eucaristica; ma uno degli
spettatori disse:

- Egli fece morire tre miei congiunti di fame,


e non di giusto che mangi prima di morire.
A questo punto il conte di Tolosa mont a cavallo,
e senza dir parola si parti visibilmente commosso;
e Bernardo, che vide le labbra del condannato sec
che ed aride, e la sua respirazione aannosa, si
cav l elmo di capo, lo riempi dacqua ad una fonte
vicina, e la rec a lui; ma Baldovino volse era
mente la testa dall altra parte, n volle bere.
-- Finiamolal grid il conte di Foix con terribile
voce; e pigliata la corda che aveva al collo Baldovi
no, la fece passare sul ramo di una querce vicina,
e tir su. Il cavaliere aragonese leg la corda al

tronco dellalbero. Baldovino ruot alquanto sopra


se stesso, cogli occhi orribilmente spalancati: poi
un tremito convulso percorse tutte le sue membra ,
i suoi sguardi si spensero, ed e rimase immobile e
penzolone nello spazio.
Qualche giorno dopo una donna, involta in un
largo velo come usavano in Ispagna, giungeva al

castello dell'antico signore di Minerve, e chiedeva.


(1 essere condotta alla sua presenza. Rispondeva il
vecchio scudiero, che il suo signore, oppresso da
terribile sventura, non volea vedere alcuno; ma tanto

la donna insisti: e preg, che alla ne le porte le

-lli

furono aperte. Guirardo sollev la fronte dalle mani


in cui laveva poggiata , e le disse:

- Chi siete voi, signora?


-- Non mi riconoscete? disse Agnese, alzando il

velo che avea sul viso.

- La vostra voce parmi nota; ma la mia vista


mal discerne..... son tanto vecchio..... ed ho pianto
tanto!

-- Non riconoscete pi la viscontessa di Beziers?


-- Voi! Ah mia Signora! E Guirardo si lasci
cadere in ginocchio, e stese verso di lei le mani
scarno e tremanti, e presa la mano di lei lavvicinava
alle sue labbra; ma Agnese lo cinse colle sue brac
cia, lo rizz in piedi e accost la sua candida fronte
alla bocca dei vecchio che v impresse un bacio pa
terno. La viscontessa non osava rammentare Edmon
do, tant era profondo ed immenso il dolore che
vedeasi scolpito sul viso di Guirardo. Questi comprese
il suo silenzio, e due rivi di lagrime sgorgarono dagli
occhi suoi, mentr ci conduceva la viscontessa a se
dere in un seggiolone di onore chera in fondo della
sala, e si assideva su di uno sgabello vicino. Gui

rardo, fedele osservatore de' costumi dell' antica ca


valleria, che in lui eran divenuti natura, non avrebbe

osato giammai parlare di un privato dolore in pre


senza della sua signora; ma e sapeva che la morte

di Edmondo era dolore comune, onde, dopo lungo


e mesto silenzio, le disse con un sospiro:

-112

-- Labbiamo perduto, e mia signora... perduto!


- Voi piangete un glio, rispose la viscontessa,

io pi che un amico, pi che un fratello... qualche


cosa come me stessa... il mio pensiero fatto carne.

- Povero glio! ripigli il vecchio, cos giovine,


cosi prode! E Iddio mi lascia ancora su questa terra,
come antica quercia inaridita, alla quale i venti ed

i fulmini han portato via tutte le fronde, e divelti


tutti i rami! Misero, solo, abbandonato, morto per
la gioia e vivo solo pel dolore. Non pi occhi per
vedere: ma si gli ho bene per piangere!
Guirardo asciug le sue lagrime, trasse dal pro
fondo del petto un doloroso sospiro, e prosegui:
-- Io se, per mezzo di una vostra lettera, chegli
mori nella giornata di Murct.... Mi dovrebbe basta.r

questo... eppure sento la brama di conoscere ipar


tcolari della sua morte... Misteri impenetrabili del
cuore umano creato apposta pel dolore! se v una
piaga profonda nei godiamo mettervi il dito.

Allora. Agnese narr al signore di Minerve tutti


i particolari della giornata di Muret, e della morte
di. Edmondo; e com ella, ch era stata salvata da
Bernardo di Foix, era ritornata la notte sul campo

di battaglia; e come tutte le ricerche da lei fatte


per trovare il suo cadavere erano state vane; e come

un ultima speranza che le rimaneva, ehefosse fra pri


gioni, fosse anchessa svanita, avendone avuto cer

tezza chegli non v era; e come da ultimo ella sera

-115

fatta promettere da Bernardo con solenne giuramento,


che non mai paleserebbe il segreto della sua vita.

Il vecchio ascolt attentamente tutto il racconto


di Agnese, e sul volto di lui si dipingevano le varie
commozioni che provava; e quand ella ebbe finito,
chin la fronte e rimase come assopito nel suo dolore.

In quel momento nel castello silenzioso si levaron


voci confuse. Guirardo sorse in piedi, e con voce
corrucciata grid:
-- Chi osa turbare il silenzio di questo sepolcro?...

Ol Giovanni, Giovanni... chi grida in questo castello?


L uscio si apr tutto a un tratto, e il vecchio
scudiero entr come fuori di s, gridando:
- Signore, signore... vostro figlia...
- Mio glio! url Guirardo. Chi mi rammenta
che altra volta fui padre?... Sei tu Dio per render
mi mio figlio?
- Edmondo! esclam la viscontessa, riabbassan

do il velo sul suo viso, per non farsi vedere dallo


scudiero e dalle altre genti del castello che accorre

vano a quelle insolite grida.


- Edmondo voi dite , o signora?.. e con una voce...

con una voce... Ah non questa una vana speran


zal... Voi udite qualche cosa ch io non odo... voi
vedete qualche cosa chio non vedo.

Ed il vecchio percorre con incerti passi la sala...


Tutto a un tratto e si arresta, getta un grido, porta
le mani agli occhi, le toglie nuovamente, un altro
ALBIG. Vol.lll.

-114

grido esce dal suo petto, ed egli s avanza rapido


colle braccia in avanti verso Edmondo, che in quel
momento oltrepassava la soglia della porta.
- 0 mio figlio! o mio glio! io ti rivedo l... tu

non sei morto... n i miei occhi dellintutto spenti.


- Padre mio, rispose Edmondo, gittandosi nelle
braccia del vecchio: e per qualche tempo non si udi
rono pi che voci interrotte dal pianto, ebaci misti
a signozzi.
Gli spettatori di questa scena anch essi piangevano

di tenerezza, ed il vecchio Giovanni, inginocchiato


sotto l arco di una nestra, recitava divotamente lin
no Sacris solemm'is juncta sin! gaudia. Poi tutti
rispettosamente uscirono, ed Edmondo, che aveva
riconosciuto sin dal suo primo entrare la viscontessa,

della quale aveva avuto notizia da Bernardo di Foix,


cadde a suoi piedi e le baci rispettosamente le mani.
Guirardo, tutto assorto nella sua gioia, ripeteva:
- Io ti dico che ti vedo... come unombra egli
vero; ma io ti vedo... Tu ora fai un passo verso
di me.... solamente vedo confuso, incerto... Ecco...
mi pare come se la tua fronte fosse solcata da una
lunga cicatrice ancor sanguinosa.... Oh Dio! la vista
mi pu ingannare; ma il tatto non m'inganna... la

scia sentire... Ohime! 0hime! questa terribile fe


rital

E veramente Edmondo avea solcata la fronte da


una lunga cicatrice, senza contare dieci o dodici fe

-115

rite ricevute in altre parti del corpo. Egli era rima

sto sul campo di battaglia come morto fra morti.


Quando ricuper i sensi, si accorse ch egli era. ignu
do: tent rizzarsi in piedi, ma non pot. Fortuna
tamente il sangue raggrumato colla polvere aveva
stagnato le sue ferite. Egli con grandi sforzi e dolori
atrocissimi si strascin carponi sino alle sponde del
ume. Stando quivi fu raccolto per carit da un tal
Marziale aste della Rosa Fiorita a Castelnaudari, che

con un barroccino, per sue faccende, ritornava da To


losa. Costui, ch era uomo burbero ne modi e stiz
zoso, ma di ottimo cuore, lo port a casa sua, e
di unit alla sua donna, che avea nome Veronica

gli prodigarono ogni cura pi affettuosa. Appena Ed


mondo pot rimettersi in viaggio, and a trovare

Bernardo di Foix, e da lui seppe, che la viscontes


sa era partita poche ore prima pel castello di Gui
rardo antico signore di Minerve.

Rimessosi completamente in salute, Edmondo fu


mandato dalla viscontessa a Bernardo, per ringra
ziarlo di quanto aveva fatto per lei; e per pregarlo
di dimenticare di averla veduta, e non cercare in

nessun modo di rivederla.


- Ah! esclam Bernardo, non v uomo pi di
sgraziato di me in questa terra! Da quando Adamo
colse dall albero fatale il frutto della vita, il solito

di Dio non ha animato giammai una cosi perfetta


creatura!

-116

-- lo comprendo il vostro amore, rispose Edmondo


scuotendo mestamente il capo: oh! si, io lo com
prendo!
-- Tu ti sei accorto adunque, che io l' amo, e di
quale amore io 1 ami? Ed ella? Oh! impossibile

ch ella non lo sappia. Essa lo sa, e non se ne cura.


Se si degnasse accordarmi uno sguardo, un sorriso,
fosse anche per cortesia, io sarei contento: una sua
parola benevola mi renderebbe beato. Oh! ella mi
disprezza! Eppure giammai una parola amara uscita

dal mio labbro: eppure giammai io le ho dato ra


gione di essere malcontenta di me!

- vero, rispose Edmondo.


- Io la credetti morta, e continuai ad amarla:
io la rividi viva, la strinsi nelle mie braccia, la

condussi in luogo sicuro, stetti con lei parecchi giorni,


e non osa parlarle del mio amore. Vedi adunque
Edmondo, amico mio, ch io lamo d'immenso e

di purissimo amore. Perch dovr essere disprezzato?


Io sono alla ne qualche cosa nel mondo: un glio

del conte di Foix va quasi al paro col glio del


conte di Tolosa, e non cede il passo ad un visconte
di Beziers. Io son giovine , e nelle battaglie ho gi
mostrato, grazie a Dio, che non degenero da mio
padre.
- Signore , disse Edmondo, voi siete un bravo

e leale cavaliere.
- lo sono un bravo e leale cavaliere, tu mi dici?

-117

E la tua signora mi lascia consumare in un amore

senza speranza? Non una parola di compassione a


me che muoio per lei! Ma se fossi uno sleale e un
ribaldo, qual trattamento pi duro mi potrebbe fare?
- Ma credete voi, signore, che si possa coman
dare colla volont all amore?

- No, io lo so, lo so per prova: noi non siamo


liberi di amare e di non amare; ma si ha com
passione di uno sventurato , ma si compiange un in
felice!
- Ed ella vi compatirebbe e vi compiangerebbe, se
il suo cuore non fosse cos pieno di un amore che non
lascia luogo neanco al sospetto di un altro amore.
- Ma ella ama un nome, un ombra, una cosa

che non pi. Edmondo mio, questo non un amore


vivente, ma una ricordanza dolorosa, e tutti i do
lori scemano col tempo. lo ho atteso lungamente:

ebbene io attender ancora un anno, due, dieci.....


ma che mi dia almeno una speranza senza la quale
mi sarebbe impossibile la vita.

Edmondo abbass mestamente il capo, e Bernardo,


che non sospettava qual guerra si combattesse nel

cuore del giovine paggio, lo pigli per le mani, e,


con voce supplichevole, continu:
'
-- Mio buono Edmondo, intercedi per me, inter

cedi per questo infelice.


- Impossibile, signore, rispose risolutamente Ed

mondo.

-118

- impossibile tu mi dici? Dunque tutta la mia


vita non avr pi non che una consolazione, una
speranza? Dunque tutto nito per me? Ebbene,

nisca la mia vita nel primo giorno di botteghe!


- Non cercate la morte, e signore, disse il pag
gio con voce solenne, non disertate il posto vostro;

rimanetevi fermo e saldo come un prode guerriero:


e gi da gran tempo ch io sarei morto, s ella non
mi avesse condannato a vivere.
Cosi dicendo Edmondo strinse la mano a Bernardo;
e si allontan lentamente , lasciando il glio del conte
di Foix ritto, Iimmobile, colle braccia penzoloni e
cogli occhi pieni di lagrime.

CAPITOLO X.
Come la citt di Tolosa li sottomiee alla Chiesa romana
e a Simone di Monforte.

Una grande adunanza era congregata nel palagio

del comune di Tolosa: la presedeva il conte, la com


ponevano i capitolii o consoli, i capi delle milizie, i
delegati delle arti e de mestieri e gli uomini pi rag

guardevoli della citt. Era notte, ed al lume dei


doppieri di argento ben vedevasi la mestizia che re
gnava in tutti i volti, quella mestizia particolare che
procede dallo scoraggimento, e che tutta si COUIPGII

-119

dia in quella disperata e fatale parola: Tutto per


duto !

Gravissimi fatti eran seguiti. Arnoldo legato del


papa, divenuto arcivescovo di Narbona, aveva anche
assunto nome e autorit di duca, e aveva ricevuto

1 omaggio del visconte Emerico. Simone di Monforte,


che voleva esser duca di Narbona, se ne tenne gra
vemente offeso, e trapasso subito alle minacce. Al

lora il visconte Emerico, ad istigazione dell arcive


scovo, si un in lega co Catalani ed Aragonesi, che
colle arme in mano domandavano la restituzione del
piccolo Iacopo, figliuoloed crede del re Pietro, che
era rimasto in potere di Simone di Monforte, come

sposo della sua gliuola Laura. Il Monforte entr in


armi su quel di Narbona, ardendo e saccheggiando
come usava; ma e fu rotto e scontto, e rovesciato

da cavallo, poco manc non vi perdesse la vita.


Questa guerra fra lupi aveva dato una qualche tre
gua e speranza a Tolosani; ma non tard a giun
gere a Narbona un nuovo legato del papa, Pietro
di Benevento, il quale, Mposta la pace, e fattosi
consegnare il piccolo re Iacopo, lo rendeva agli Ara
gonesi, con quanto dispiacere di Laura i nostri let
tori possono immaginarlo. Questa restituzione toglieva
agli Spagnuoli la cagione della guerra, e lasciava i
Tolosani esposti soli a colpi de loro implacabili ne
mici. Il legato parl loro parole di mansuetudine e

di pace, fece sperare un ragionevole accordo, e te

-120
nendoli nella inazione, ch il pi fatale veleno delle
guerre popolari, dette campo al Monforte, cogli aiuti
che avea ricevuti dalla Francia, di soggiogare e ga
stigare tutte le terre e castella che gli s' erano ribel
late, e da ultimo gli conferm il possesso di tuttii

domini da lui usurpati nell Albigese, nell Agenols,


nel Quercy, nel Rouergue e nel Perigord. A Tolosani,

che alzarono la voce dicendosi a ragione ingannati


e traditi, il legato sfrontatamene rispose, che la sua
era stata una pia frode e una fraudolosa piet,- ed
un concilio tenuto in Mompilieri riconobbe Simone
di Monforte come principe e signore di tutto il paese
conquistato, e mand il vescovo Folco a Tolosa per
pigliar possesso di quella. citt in nome della chiesa
e farsi consegnare come ostaggi dodici de eapitolii.
Con quali mezzi il Monforte si fosse procurato il t'a

vore de padri, le antiche carte lo dimostrano, dap


poicch noi troviamo, che appunto in quei giorni e
dette mille e quattrocento marchi (1 argento all arci
vescovo di Arles; al vescovo di Uzes tutti i domini,

diritti e ragioni che la contea di Tolosa aveva sulla


diocesi; al vescovo di Nimes la citt di Milhaud, e
cosi via discorrendo.

I Tolosoni trovavansi quindi soli, cinti di nemici,


col clero contrario, coll episcopato arricchito delle
loro spoglie, e di pi colla minaccia di una nuova.

invasione, perciocch Luigi gliuolo del re di Fran


eia avea preso la croce contro di loro, e gi appres

-121

savasi con esercito numerosissime, nel quale era il

ore della baronia e nobilt francese.


Messo a partito ci che doveva farsi nell' adunanza
de Tolosani, nessuno osava dire a voce alta quella
terribile parola: Arrendiamoci; ma tutti mormoravano

la parola che a quella suol precedere: Come resistere


a tante forze?
Allora David Roaix chiese il permesso di parlare.
Egli era uno di quei cittadini amanti appassionati
della loro citt , che pretendono la loro cattedrale es

sere la pi bella del mondo, il loro campanile il pi


alto, le loro acque le pi salubri, la loro aria la pi
pura: che sanno sulle dita quante sono le vie di essa,
i viottoli, i chiassuoli, le case, i forni, i giardini; e dove
bisogna passeggiare nella talora per iscaldarsi al sole,
e dove nella talaltra per rinfrescarsi allombra; e che

del luogo dove son nati amano il cielo, la terra, gli


alberi, gli usi, i costumi, le tradizioni e i pregiu
dizii. David non aveva altro studiato che la storia
di Tolosa, ch era per lui 1 universo, e quand egli

parlava, i Tolosani credevano udire la voce vivente


della loro citt.
- Signori capitolii e cittadini della nobile citt
di Tolosa, egli disse, io propongo di resistere.

Tutti fecero un atto di maraviglia, ed egli prosegui:


- Le citt, come gli uomini, hanno i loro titoli
di nobilt, e i loro fatti gloriosi sono patrimonio sa

cro a quelli che le abitano e a loro figli e nipoti.

-122

Sta in voi se il nome di Tolosano debbono gli avve

nire bramare come onore, o temere come vergogna;


e che questa guerra nisca con gloria o con vita
pero della nostra citt. Volgete gli sguardi alle pa
reti di questa sala, guardate le immagini degli an

tichi capitolii che vi contemplano dal loro eterno sog


giorno; e per Dio non li fate arrossire ! Che si legge
a lettere doro in questo marmo che sta qui in fondo?

Videant consules ne quid detrimenti respublica ca


piant; provvedano i consoli, che non riceva detri
mento alcuno la repubblica. la voce de' vostri avi
che attraverso i secoli vi grida queste romane parole.
E noi siamo colonia romana, sangue romano, anima
romana; e questo palagio, nel quale noi siamo adu
nati, si chiama Campidoglio: non disonoriamo que
sto augusto nome! lo amo la mia Tolosa, come me

stesso, come lanima mia: darei per essa i miei beni,


la mia vita, il sangue de' miei gliuoli; ma prima

di vederla disonorata, io vorrei arderla colle mie pro


prie mani.
- Ma dove sono i combattenti per resistere? dove
sono i danari per assoldarlit gridarono molte voci:
non sapete voi che il papa trae dalla sola Inghil
terra sessanta mila marchi d argento tutti gli anni?
Un mormorio di maraviglia accolse queste parole,
perciocch un marco valea due lire sterline: quindi
trattavasi di cento ventimila lire sterline, che rappre

sentavano allora un valore di non meno di trenta

'- 125 -

milioni di lire italiane: si enorme rendita non avea


il re d' lngbilterra!
- E dimenticate voi, gridavano altre voci, che
il gliuolo del re di Francia muove contro di noi con
esercito potentissimo?

- E vi dico forsio di vincere? rispose David


Roaix. Ma vinti per vinti egli cosa pi onorevole
per noi cadere sotto i colpi di un gliuolo del re
di Francia che di un Simone di Monforte. Di pi
noi abbiamo prestato giuramento al nostro signore il

conte di Tolosa, ed nostro dovere di morire quando


e ci comander di morire per l onor suo e della

nostra citt: che giuran forse per celia i Tolosani?


A queste parole nessuno rispose: ma Roaix inter
ruppe questo triste silenzio, dicendo al conte:
- Ebbene, che ordinate signore?

- Mio buono amico, gli rispose il conte a voce


bassa, non bisogna chiedere a un popolo sacricii
che sorpassino la comune virt, per non costringerlo
a far cose che stiano al disotto della comune virt,
perch fra dieci uomini posti tra l alternativa dello
eroismo e della vilt, uno volge a destra e nove e.
mancina: aprite una via mezzane , se volete esser se
guito da quasi tutti.

Poi il conte alz la voce, e disse:


- Signori capitolii e notabili della mia amatis
sima e fedele citt di Tolosa, io non debbo e non
posso accettare il sacrizio de vostri beni e delle vo

-124

stre vite, che siete pronti


convinto della sua inutilit.
quest animo e virt vostra,
sia messa a ferro, a sacco

a farmi , quando sono


Io non debbo abusare di
n debbo permettere che
e a fuoco questa bella,

ricca ed adorna citt, nella quale son nato, allevato

e cresciuto, e dove ogni ahitatore mi e come con


giunto ed ogni sasso m noto. Provvediamo, che la

nostra patria possa dire: Io non sono stata vinta;


perch, credete alla mia esperienza, in queste parole

in germe la speranza dellavvenire. Ciascuno ha


fatto il suo dovere: tempo ch io faccia il mio, ed
io vi sciolgo tutti dal giuramento di fedelt ed omag
gio che mi avete prestato, e vi esorto a cedere alla
fortuna.
Un mormorio di ammirazione affettuosa segu que

ste parole, e 1 adunanza deliber di sottoporsi alla


chiesa ed al vescovo Folco. Quindi tutti si partirono
mesti e silenziosi come dopo avere accompagnato al

sepolcro un caro estinto, e molti uscivan frementi e


mordendosi le mani, e giurando, che se il conte
avesse voluto, si sarebbero seppelliti sotto le rovine
di Tolosa, anzich cedere a preti; e forse, se il conte

avesse questo ordinato, e sarebbero stati i primi a


maledire alla troppa ostinazione del conte; e nellun

caso e nell altro stati sarebbero di buona fede: in


comprensibili misteri del cuore umano!
Al nuovo giorno il vescovo Folco entrava nella
citt di Tolosa, accompagnato da gran numero di

-125

preti e di monaci: le vie eran deserte; la pi parte


delle botteghe e nestre eran chiuse. Pochi cittadini
della confraternita bianca andarongli incontro a fargli
plauso, e fra questi pi inammati mostravansi di
zelo religioso quelli che nel tempo trascorso s eran
accostati pi alla parte del conte. Molti che temevano
i loro avversari, si nascondeano per le case de loro
amici: molte lingue in poche ore si cambiavano.
Folco fece metter guardie alle porte della citt,
and al palazzo del comune, si fece consegnare i

dodici capitolii, che doveano rimanere in ostaggio, e

li mand sotto buona {scorta [ad Arles; {da ultimo


and al castello Narbonese. Il conte lo ricevette senza
vilt, ma con quella dignit. severa e cortese ch'
la maest dei vinti.
-- Io v intimo; disse il vescovo, in nome del le
gato del papa nostro signore, di uscire da questo ca
stello, che oramai si appartiene alla chiesa, come
tutti i vostri beni.
- Ho io ben compreso? rispose il conte, che non
si attendeva questa nuova iniquit.
- Debbo ripeterlo? domand sorridendo il ve

scova.
- Non necessario, replic il conte.
-- Il signor legato, nella sua misericordia, vi con

cede ventiquattr ore di tempo.


- Ventiquattro minuti mi son soverchi, disse il
conte: io ringrazio il signor legato.

-126

Dato appena 1' ordine della partenza, Audeguier


comparve nella corte: egli era molto ingrassato nelle

gambe, nel petto, ne anchi e nelle spalle: sola


mente il viso conservava la prima magrezza. La ra
gione di questa subitanea pinguedine era la previ

denza del bravo scudiero, il quale avea raccolto


quanto pi aveva potuto di danari, gioie, ori, ar
genti, e se n era fatto per tutta la persona una spe
cie di guscio prezioso. Pietro Cellani, scudiero del

conte, che i nostri lettori han veduto in varie oc


casioni feroce persecutore de cherici, si appresso a

lui, e gli disse:


-- Tu sai che ti ho amato sempre come fratello.
- Ed io? rispose Audeguier col suo pi affettuoso
sorriso.
-- lo penso quindi al tuo avvenire.

- Iddio te ne rimeriti, mio bravo Cellani.


- Il conte di Telosa caduto per non pi ri
sorgere.
- Tu lo credi?
- Ne son sicuro.

'

-- Diavolo! esclam Audeguier con quel tuono di


voce degli astuti, che lascia indecisi sul vero.signi

cato dell esclamazione.


- Cerchiamo, continu il Cellani, di non essere
involti nella sua rovina, e pensiamo anche alla sa
lute delle anime nostre.
-- Tu credi adunque chfegli sia veramente eretico?

-121

- E tu ne dubiti?
-- Che vuoi chio sappia? lo sono un povero
ignorante.
-- Lasciati adunque guidare da me.
-- E che vuoi ch io faccia?
- Vieni meco.
-- Dove ?
- A tentare la nostra fortuna.
- Al giuoco de dadi, o a quello degli scacchi?
- N all uno, n all' altro; ma nella via del

Signore e sotto la protezione della santa chiesa.


- Tu speri adunque?
- Chi lo sa? Se lingegno, il coraggio, 1 ener

gia e l' attivit, che lddio ha voluto darmi, l avessi


adoprate in pro della chiesa, a quest ora sarei altra

cosa che un povero scudiero.


- Questo certo.
-- Adunque tu verrai con me ?
- lo?

- Esiti?
,
-- No, ascolta: tu hai altre ingegno ed altri
studii di me, perciot:ch io, come sai, non oltre

passai la grammatica Inella scuola d Avignone, ed


anche in quel tempo io mi occupava meno di studiare
che di dar noia al maestro e di battermi 00 con

discepoli. Tu potrai divenire abate, vescovo, arci


vescovo... forse papa; ma io i... io rimarrei eterna
mente sagrestano.

-128_

-- Audeguier, tu difdi di me.


-- Il cielo me ne liberi, mio caro Cellani , e per
ch dovrei difdarne?
- Ma insomma, intendi tu di seguire il signor
Raimondo tuo padrone?
- Cio...
- Dimmi, si o no.

- Eh diavolo! da tempo alla grazia di discendere


su di me.
- Tu adunque rinunzii alla mia amicizia ?
- Al contrario, io ci ho tenuto sempre moltissi
me, ed ora pi che mai.
- Ma noi non possiamo essere amici, seguendo

due parti contrarie.


- Ma io non sieguo alcuna parte, io.

- Audeguier rietti a quel che fai.


- Ma appunto il tempo di riettere che tu non
mi vuoi lasciare.
-- lo dico questo per tuo bene.
- Lo credo, mio bravo Cellani, lo credo:

- Nieghi adunque di seguirmi?


- Ma... per il momento...
-- Ma questo momento decider del nostro av
venire.

- possibile.
- Ed io vedo innanzi a me un orizzonte ster

minato.

'

- Ed io non vedo che il muro di questo cortile,

-129

e il conte di Tolosa colla sua famiglia che discende


dalla gran scala.
- Audeguier, che Iddio t illumini.
- Cellani, che Iddio ti feliciti.
E i due amici si separarono.
Il conte colla sua famiglia discendeva di fatto dalla
gran scala e giungeva nella corte, dove trovavansi adu
nati tutti i suoi familiari. Di questi alcuni si allon
tanarono e andarono ad unirsi al Cellani: i pi si
tiraron dapparte, come indifferenti a ci che seguiva
e fra costoro si confuse Audeguier: altri si gittarono
a' piedi del conte, e piangendo gli baciaron le mani.
Il conte gli abbracci, dicendo loro:
- Avrei voluto ricompensare in qualche modo i
vostri fedeli servigi; ma non ho nulla da darvi, per
ch non solamente i miei beni e i miei dominii, ma
anche i miei denari, le mie gioie ed arredi e sup
pellettili mi sono stati tolti dalla chiesa.
E quindi, rivoltosi alla sua famiglia, soggiunse:
-- Donne, venite a piangere altrove: glio, dammi
il tuo braccio, ed usciamo da questo castello, dove
tu nascosti e dove morirono gli avi tuoi.

- E dove andremo padre mio? domand Rai


mondo.
- Non lo" so, rispose il conte: colui che fu conte
di Tolosa, duca di Narbona e marchese di Provenza,
non ha pi dove posare il suo capo canuto, chefin
sero sette corone.

Auro. Val. m.

-150_
- Potr io meritare 1 alto onore di ricevere
nella mia casa 1 illustre mio signore? disse David di

Boaix, che stavasi presso al conte. Questi gli strinse


la mano in segno.di ringraziamento, ed i suoi oc
chi non usi al pianto si riempirono di lagrime.
- Costui non e pi conte di Tolosa! disse Pietro
Cellani a voce alta, per farsi udire dal vescovo Folco,
che da una terrazza assisteva con gioia a quella par
tenza dolorosa.
Il conte nse non sentire, e volgendosi dallaltra
parte vide il nano Girouette che lo seguiva, e gli disse:
- Tu non mi abbandoni nella sventura?

-- Che mi avevi preso per un cherico'! rispose il


bullone, e quindi picchiandosi la doppia gobba del
petto e delle spalle, soggiunse: ed io porto con me
il mio fagotto alla barba dal vescovo Folco.
Raimondo volgeva intorno gli sguardi per vedere

se fra pochissimi rimasti fedeli vi fosse Audeguier,


e ne fu dolentissimo di non vederlo.
- Viva la croce! gridava il vescovo Folco dalla

terrazza.
- Viva la santa chiesa! Viva il vescovo Folco!
Esterminio agli getici! gridava Pietro Cellani dalla
corte.

Ed il conte usciva dal castello, appoggiato al brac


cio del glio, seguito dalla moglie, dalla nuora, da
Fatima, dal buffone e da qualche vecchio servidore
rimasto fedele.

-151

La mesta comitiva pass per le vie della citt, e


molte nestre e porte si aprivano a spiraglio sul suo

passaggio, e facean vedere de visi timidi s, ma


commossi e lagrimosi. Pochissimi furon quelli che
osarono insultare il loro signore caduto: qualche voce
animosa si fece udire qui e la l, gridando:
_ Viva il conte di Tolosa!
Ma allora gli usci e le finestre timidamente si ri
chiudevano, e quella voce rimenea solitaria e senza
eco nelle vie quasi deserte. Cosi giunsero alla casa
di David lloaix, dove Raimondo trov il suo scudiero

Audeguier, che traeva dalle tasche, dal petto, dalla


pancia e dalle gambe gli oggetti preziosi da lui sot

tratti avvedutamente alla cupidit dei cherici.

CAPITOLO XI.
Come Luigi glio del re di Francia venne per la prima
volta in Linguadnca e vi conquist la Mucclln di San
Vincenzo, e di ci che si fece nel concilio di Laterano.

facile immaginare ci che divenisse Tolosa dopo


la sua sottomissione. I cherici e loro partigiani of
fendevano impunemente gli avversarii: ruberie a man
franca si facevano, uomini e donne simprigionavano,
case si ardevano: e tutto col pretesto dell eresia.

Molti erano accusati di aver parteggiato per gli ere

-'159

tici, e convenia loro confessare, ed erano condan


nati in ammende a favore della chiesa e del vesco

vado, e dipoi accusati di nuove colpe erano dispo


gliati de beni, e cacciati di Tolosa senza piet. Ci
non ostante era da sperarsi, che passata quella pri
ma furia di cupidit e di vendette, 1 afitta e de
solata Linguadoca potesse alquanto posare sotto 1 o
diato giogo di nuovi signori; ma ecco annunziarsi,

che Luigi, gliuolo di Filippo Augusto re di Francia,


avendo preso la croce, non intendeva renunziare al
henezio delle indulgenze, ed ostinavasi a voler ve
nire in arme in Linguadoca, avvegnacch non vi fosse
alcuno da combattere.
Simone di Monforte, il cardinal legato Pietro di
Benevento e la pi parte de vescovi e signori fran
cesi, che voleano godersi in pace il frutto delle loro
usurpazioni, erano pieni di 505; tt0 per questa cro
ciata inopportuna; ed il Monforte and al suo incon
tro sino a Vienna nel Delnato. Luigi menava seco
un esercito numeroso, nel quale era il ore della
nobilt francese, come i conti di Saint Paul, di Pon

thieu, di Alencon, Guiscardo di Beaujeu, Matteo di


Montmorency, il visconte di Melun, e molti altri
cavalieri famosi, fra quali Filippo vescovo di Bear:
vais, che maggiore riputazione aveva. acquistato sul

campo di battaglia che nelle cose di religione. Il


Monforte non tard a rassicurarsi sulle intenzioni di
Luigi; nondimeno, col pretesto di fargli onore, e

-'155-

non si divise pi da lui, a ne di spiarne i disegni


e vegliarne gli andamenti. Il legato, che anchegli
non era senza inquietitudini intorno alle pretese che
Luigi poteva far valere in nome di suo padre, come

signore sovrano di una parte della Linguadoca, rag


giunse a Valenza 1 esercito crociato, ed ottenne da
Luigi la promessa, che nulla farebbe per disturbare
i suoi disegni, e che in tutto ubbidirebbe alla sua
autorit.
In questo mentre giunse la risposta del papa alla

lettera del concilio di Mompilieri, colla quale Inno


cenzo lll concedeva a Simone di Monforte la guardia,

rendita e giurisdizione di tutti i dominii stati posse


duti dal conte di Tolosa e di tutte le terre conqui
state da crociati, sino a che diversamente non de
cidesse il concilio generale ch era per adunarsi in
Laterano. In questa concessione fu esclusa la sola

contea di Melgueil, che il papa dette a Guglielmo


vescovo di Maguelonne, mediante un censo annuo
di venti marchi (1 argento, in favore della chiesa

romana. Ma il vescovo per 0ttener questo dovette dare


al papa mille dugento e venti marchi o sterlini dar
gento , a cardinali cinquecento lire, al cameriere del

papa trecento venti lire, un cavallo e una mula del


prezzo di trentacinque lire ed altre mancie ad altri
familiari di codesto pontece lodato nelle storie come
acerrimo nemico della venalit de curiali.

Luigi, accompagnato dal legato e dal Monforte,

-154

giunse a Mompilieri, i cui abitatori fecero nelle sue


mani giuramento di cattolicit, quindi a Beziers, dove
vennero a lui deputati di Narbona. Il Monforte aveva
ordinato si smantellassero le mura di questa citt:
1' arcivescovo Arnoldo si era opposto, ed era andato
anchegli all incontro dei Francesi; ma non pot niente
ottenere, percioch Luigi, col consiglio del cardinal le
gato e de vescovi presenti, ordin le mura si disfa

cessero.
Dopo avere ottenuto che il conte di Foix mettesse
il suo castello nelle mani del cardinal legato, Luigi,
in compagnia di costui e di Simone di Monforte,
giunse a Tolosa. Il vescovo Folco gli and incontro
col libro delle sacre scritture in mano, ed apertolo
al capo XIII del Deuteronomio, lesse queste parole:
-- Quando tu udirai che alcuni uomini scelle
rati sono usciti nel mezzo di te, ed hanno invitati
gli abitanti della loro citt, dicendo: Andiamo e ser
viamo ad altri dii, i quali voi non avete conosciuti;
informati, investiga e domandano ben bene: e se tu
trovi che la cosa sia vera e certa, e che questa cosa
abbominevole sia stata fatta nel mezzo di te; del tutto

percuoti gli abitanti di questa citt, e mettigli a l


di spada: distruggila al modo dell interdetto, insieme
con tutti quelli che vi saranno dentro e il suo be
stiame. E raccogli le spoglie della citt nel mezzo

della sua piazza, e brucia interamente col fuoco la

citt, e tutte le sue spoglie, al Signore Iddio tuo:

_155_

e sia quella citt in perpetuo un mucchio di mine,


e non sia mai pi riedilicata.

Finita questa terribile lettura, il vescovo Folco


soggiunse:
-- Signori della crociata, queste sono parole di Dio:

siano messi a l di spada gli abitatori di questa ini


qua citt, e le loro spoglie sian arse, e sia area
questa citt nido di eresia, e restino in perpetuo le
sue ruine, e non sia mai pi riedicata.
- Ardete, ardete, o signori della terra, gridava
frate Domenico, se ubbidire volete al Signore del
cielo e della terra: egli stesso ve lo ha detto: Ster

mina d innanzi a te le genti, nel cui paese tu en


tri per possederlo: e tu lo possederai e v abiterai. 1
Ma Simone di Monforte, che {non volea perdere
una si bella conquista, ed il cardinal legato che spe
rava trarne molto denaro in pro della chiesa romana,
si opposero a questa forsennata proposta, e Tolosa
fu salva, ordinandosi solamente, che le sue mura
fossero demolite, e che il castello Narbonese, dove

stabili la sua dimora il Monforte, fosse ben munito


e afforzato.
Essendo frattanto compiti i quaranta di del pel
legrinaggio, Luigi e le sue genti si partirono e ri
tornarono in Francia, portando seco loro come tro

feo preziosissimo di quella insensata spedizione una


mascella di San Vincenzo cl1 era nella chiesa di
Castres.

-'156-

Dopo due anni e mezzo (1 inviti, di csortazioni


e di apparecchi, papa Innocenzo il] apriva il con

cilio generale di Laterano dell anno 1215. V inter


vennero i patriarchi di Costantinopoli e di Gerusa
lemme, il patriarca de Maroniti, settantuno primati
e metropolitani, quattrocento dodici vescovi, nove
cento abati e priori, un gran numero di dottori, i
legati di Federigo II, di Ottone suo competitore,
dell imperatore di Costantinopoli, dc re di Gerusa
lemme, di Cipro, di Francia, d Inghilterra, di Ara
gona, dUngheria e de principi pi potenti della

cristianit. Si grande era la calca del popolo ne din


torni della basilica di San Giovanni in Laterano il
giorno dell' apertura del concilio, che il vescovo di

Amal vi rimase soffocato nell attraversare il ve


stibolo.

'

In questo concilio (e ci serva a mostrare i co


stumi clericali del tempo) fu proibito a cherici di
briacarsi, di andare a caccia, di tener mute di cani
e stormi di uccelli da preda, di far da mimi, gino
colatori ed istrion , di frequentare le taverne, di pas
sare i giorni e le notti giuocando a dadi, di vestire
di rosso o di verde, di usare manicotti di pelle, selle

e briglie dorate, anella ed altre gioie, di celebrare


i divini ufci con mantelli di gran prezzo, bizzarra
mente ornati, di esercitare vendetta di sangue o di
farne esercitare in loro presenza. Fu ance proibito
che i_ gliuoli de' canonici, e massime i bastardi,

-'157

godessero de' canonicati nelle medesime chiese dei


loro genitori; e che per danaro nuove reliquie sin
ventassero, e che i vescovi e gli abati pubblicamente
vendessero le benedizioni ,- le indulgenze e i sacra
menti. Quattro anni innanzi la sinodo di Milano aveva
dovuto vietare a cherici 1 uso delle pelliccie, delle
vesti rosse, verdi e gialle , delle trine al collo e sul
petto, de coltelli appuntati, come pure il cantare,
il ballare, il suonare e il far cose lascive e scher

zevoli dentro le chiese, Del lasciata et jocosa in Ec


clesz'a facicntes.
In quanto ci che riguarda la fede, il concilio dice

anatema a Manichei, agli. Albigesi e ad altri eretici


ordina che dopo la loro condanna siano abbandonati
al braccio secolare per essere puniti; chei loro beni se
laici, siano conscati, se cherici, applicati alla chiesa

dalla quale ricevevano retribuzione: i sospetti, sco


municati; e se tra un anno non dimostrino la loro
innocenza, trattati come eretici. Le podest secolari
siano obbligate ad esterminare gli eretici; e ci non

facendo, scomunicate, e i loro vassalli sciolti dal


giuramento di fedelt, e le loro terre e castella preda
del primo cattolico occupante, che voglia purgarle

dell eresia.
A Roma si erano recati il conte di Tolosa e suo

glio Raimondo, e i conti di Foix e di Commiuges.


Simone di Monforte vi avea mandato il suo fratello

Guido e qualche altro cavaliere. Introdotti i primi

-'158

nel concilio, con lettere commendatizie del re d In


ghilterra , esposero le loro querele contra il Monforte.
Uno de cardinali, appoggiato dalla testimonianza del
labate di San Tiberi, preg il papa e il concilio
mettessero freno alle iniquit. che nella Linguadoca,
col pretesto della fede, si commettevano; ma il ve
scovo Folco si alz e disse:
- Il conte di Foix non pu niegare che le sue
terre siano piene di eretici, e ne sia per prova, che
dappeich fu preso il castello di Montsegur, tutti
gli abitanti, uomini e donne, sono stati arsi vivi,
perch tutti si sono trovati infetti di eresia.
_- Che tutti gli abitanti di Montsegur siano stati arsi
vivi, non niego io gi, disse il conte di Foix; anzi di ci
appunto vi accuso, perch la loro colpa non era 1' e
resia, ma la fede che serbavano a me suo signore.

- No, replic il vescovo, essi erano eretici con


vinti ed ostinati.

- Anche i bambini lattanti? domand il conte:


anche quelli ch erano nel seno delle loro madri?
-- Erano progenie di eretici, rispose Folco, e la
spada di Dio punisce sino alla settima generazione.
-- Eran forse anco progenie di eretici le diecimila
persone della vostra diocesi, che voi, signor vescovo,
avete fatto morire per dispogliarle de loro beni?
Un mormorio di disapprovazione si lev nei con
cilio a queste parole, ed il conte soggiunse:

- Scusate, venerabili padri: ne nostri monti noi

-159
usiamo parlare liberi come il vento che vi sotia do
dici mesi dell anno.
1 conti di Tolosa e di Comminges narrarono tutte
le iniquit commesse da Simone di Monforte, n di
menticarono di chiedere vendetta pel visconte di Be
ziers, non eretico, n fautore di eretici, eppure di
spogliato de suoi dominii, preso con gran perdia e
fatto morire di veleno.
Guido di Monforte e gli altri ambasciatori di Si
mone furono allo'ra introdotti nel concilio, e dichia
rarono che se si ristabilivano i tre conti ne loro do
minii, se non si lasciava il Monforte in possesso
delle terre occupate, se non gli si dava ragione per
l' affare del ducato di Narbona, che larcivescovo
Arnoldo intendea d usurpare, nessuno nell avvenire
avrebbe pi pigliato le arme in pro della fede.
- Ma qual danno non ne verr alla chiesa, non
si pot frenare di dire papa Innocenzo, se si grande
ingiustizia sar. consumata?
Queste parole destarono grande maraviglia nel con
cilio; e gi. molti dicevano fuor di denti, ch era uno
scandalo vedere il capo della chiesa abbandonare i
campioni della chiesa.
v
Frattanto questo dialogo seguiva sottovoce fra Ar
noldo arcivescovo di Narbona e il cantore della chiesa
di Lione:

- Il Monforte non ha pi bisogno di noi: che


ne dite signor arcivescovo?

-140

e- Come ha fatto presto 1' ingrato a dimenticare


il benecio!
- Valeva meglio il conte di Tolosa.
- Pare anche a me.
- In fendo egli era cattolico.
- Ancor io credo cosi.
- E degno di una sorte migliore.
- Certamente: quello che io ho sempre pensato.
-- Che intendete voi di fare, signor arcivescovo?
- Abbattere 1 edicio che ho innalzato colle mie
mani.

- lo sar sempre a vostri comandi.


- Cominciate adunque.
Allora il cantore di Lione si alz e disse:
- Voi sapete bene, o santo padre, che iloonte
di Tolosa vi ha dato le maggiori prove che poteva

di sommissione e di ubbidienza: se voi niegate di


rendergli i dominii ch egli stesso consegnava al v0
stro legato, voi vi coprite di una vergogna che ri
cadr. sulla chiesa, si che nell avvenire nessuno vorr
pi darsi della sede apostolica, e le sue promesse
saran credute inganni. In quanto a voi, signor ve
scovo di Tolosa, a tutti noto come voi non amate
il conte n il popolo del quale siete pastore. Voi a
vete acceso in quella citt tal fuoco che ci vorranno
de secoli prima ch e possa essere estinto: voi avete
fatto morire diecimila persone, che la voce pubblica

dice per la pi parte innocenti e buoni cattolici: e

-141

non siete stanco ? Voi avete infamato colle vostre

opere crudeli presso tutte le genti la sede tolosana,


il clero e la chiesa universale.
- Quando Ges Cristo, interruppe Folco, trov
che il co non dava buoni frutti, lo maledisse e lo
fece seccare. Voi accusate me di non avere avuto
misericordia cogli eretici e di aver fatto morire die
cimila persone: accusate adunque il Signore Iddio di
aver fatto uccidere de leviti tre mila degli adoratori
del vitello d oro; accusatelo di avere esterminato i
primogeniti dell Egitto. Voi mi accusate di aver tolto
ibeni agli eretici; accusate il Signore Iddio di aver
fatto rapire agli Egizi il vasellame d argento e di
oro e le vestimenta preziose.
Queste parole riscossero grandissimi applausi; ma
tutti si tacquero quando videro sorgere Arnoldo ar
civescovo di Narbona, il cui nome era divenuto fa_
mese in tutto il mondo cristiano.
- Santo Padre, egli disse, con quella sua voce

vibrante e risoluta, tutte le cose le pi sante pos


sono essere dalla umana malizia abusate e volte al
male. Opera santa era la crociata contro agli ere

tici albigesi , e la loro morte era voluta da Dio; ma


oramai essa e divenuta una guerra di dominazione

temporale. Muoiano i dieci e i centomila se questo


giova alla fede; e la spada di san Pietro non lasci
anima viva nelle citt. la cui distruzione deve tor
nare di utile e di gloria alla chiesa cattolica. Ma

-142

non si volgano le armi sante in pro delle mondano


ambizioni de laici, e non si sparga il sangue cri
stiano per togliere la corona dal capo di un prin
cipe poco fedele per porla su quello di un altro meno
fedele, ma pi ipocrita di lui. Or io vi dichiaro che

Simone di Monforte non messo in questa guerra


che fa al conte di Tolosa dallamore di Dio e dallo

zelo della religione, ma da sfrenata cupidi! di do


minio.
- E non siete voi, signore arcivescovo, inter
ruppe il vescovo dAgde, mosso da cupidit. di do
minio nel volere usurpare il ducato di Narbona, che
si appartiene al signor Simone di Monforte come le
gittimo successore del conte di Tolosa?

- Ma supponendo anche che il conte di Tolosa


sia colpevole , disse il pontece, egli giusto di far
sopportare al suo gliuolo la pena degli errori pa
terni?
A queste parole successe un vero tumulto. La pi
parte de padri gridavano:

una ingratitudine verso il conte Simone di

Monforte!
- Si calunnia il difensore della fede !
- Si vitupera il nuovo Giuda Maccabeo!
- Chi piglier pi le arme in difesa della reli
gione, se voi gli niegate il premio al quale ha di
ritto?

-- No, i consigli di Achitolel non prevarranno.

-145

- I malvagi saranno delusi nelle loro speranze.


-- Noi aiuteremo il conte di Monforte a difen
dere le sue conquiste verso tutti e contra tutti:
- Santo Padre, gridava il vescovo d Osma, non
vi lasciate impaurire da queste minacce. Costoro che
parlano sono adulatori del conte di Monforte, e no

mini ch'egli ha comprato co danari smunti ed i


beni rapiti a signori della Linguadoca; ma e non
potranno impedire al tigliuolo del conte di Tolosa
di recuperare i suoi domini; e se voi volete e sar
aiutato da re di Francia e (1 Inghilterra e da altri
principi suoi parenti! ed egli, sebbene molto gio
vine, ha cuore e prudenza da sostenere bene i suoi

diritti.
Ma queste esortazioni non valsero a rassicurare
papa Innocenzo, il quale, vedendo potente e nome
rosissima la parte del Monforte, si allrett a chiu
dere la sessione con queste articiose parole:
- Non vi confondete pel gliuolo del conte di To
losa; perch se il conte di Monforte gli riterr i suoi
dominii, io gliene dar degli altri: s egli fedele
a Dio e alla santa chiesa non mancher di nulla.
Cosi sperava papa Innocenzo satisfare a partigiani
del conte di Monforte e mostrarsi nel medesimo tempo
benevolo col glio del conte di Tolosa.

Qualche giorno dopo il pontece pubblicava nel


concilio il seguente decreto: Tutte 1 universo sa
quanto la Chiesa ha fatto colla predicazione e colle

-IH
crociate per esterminare gli eretici dalla provincia

di Narbona e da paesi vicini. Il successo, per la


grazia di Dio, ha risposto alle nostre cure, e la Lin
guadoca oramai governata nella fede cattolica e
nella fraterna pace. Ma la nuova pianta ha bisogno
dessere annaliata; e noi abbiamo giudicato di prov
vedervi col consiglio del santo concilio. Che il conte

di Tolosa, trovato colpevole, sia escluso in perpe


tuo dalla signoria: nondimeno che riceva quattrocento
marchi dargento annui pel suo mantenimento, n
tantoch ubbidir umilmente alla chiesa. Che sua mo
glie, sorella del defunto re di Aragona, la quale,
secondo la pubblica fama, una dama di buoni co
stumi e cattolica, goda delle terre assegnatele per
dotario, purch le governi secondo gli ordini della
chiesa, e in modo che non ne venga danno alla pace
e alla fede: se no, abbia un compenso in denaro.
Che tutti i dominii conquistati da crociati sugli ere
tici e loro credenti, ospitatori e fautori , con la citt
di Montauban e quella di Tolosa, ch la pi in

fetta di eresia, siano dati al conte di Monforte, uomo


prode e cattolico, e che ha molto operato in questa
guerra, per tenerli da chi di diritto. Il resto del
paese non conquistato sia custodito da gente capace
di mantenere la pace e la fede cattolica, affinche il

gliuolo del conte di Tolosa possa a suo tempo in


totalit. o in parte ottenerlo, secondo i suoi meriti,
e secondo si giudicher. conveniente.

-'145
\

Al conte di Foix e a quello di Comminges furono


dati commissarii per la restituzione de dominii, che
a loro erano stati tolti; ed e si partirono di Roma.

Cos pure il conte di Tolosa; ma Raimondo suo li.


glio vi rimase ancora per altre sei settimane, e quando
and per accomiatarsi con papa Innocenzo , questi

lo fece sedere a se vicino, e gli disse:


- Mio figlio, ascoltate i miei consigli: Amate
Dio sopra ogni cosa, ed abbiate cura di servire la
sua divina maest. Non pigliate i beni degli altri;
ma difendete i vostri, se vogliono rapirveli. Gover
nandovi cosi voi prosperarete , e perch non restiate
senza beni e senza signoria, io vi d il contado

Venesino, la Provenza e la citt di Beaucaire sino


a quando sar. radunato un nuovo concilio: allora
voi potete venire, e vi sar resa ragione sulle vo
stre dimande contra il conte di Monforte.
- Santo padre, rispose il giovine Raimondo, io
vi ringrazio quanto pi so e posso de buoni consi
gli che mi date: essi sono di gi scolpiti nel mio
cuore, specialmente quello di non usurpare i beni
altrui, ed i proprii difendere: vi priego solo di non
adirarvi, se collaiuto di Dio potr metterli in pratica.

- Dio vi faccia la grazia, disse il papa, di ben co


minciare e di meglio nire: e cosi dicendo benedisse
Raimondo che umilmente 5, era inginocchiato a suoi
piedi.
'

Il papa piangeva di tenerezza; il glio del conte


auuc. Vol. III.

'

10

-146

di Tolosa piangeva di riconoscenza: il diavolo do


veva molto ridere di questo pianto; ma se quel gio
vine non aveva in Roma niente ottenuto, vi aveva
per moltissimo imparato.
Raimondo raggiunse il padre a Genova, e quivi
tutti e due si soermarono, dichiarando che non pi
ritornerebbero in Linguadoca, prima che un nuovo
concilio non rendesse loro ragione contra al conte di
Monforte, avendo essi piena fede nella giustizia della
chiesa, e preferendo di perder tutto e di vivere e

morire in povert, anzich mostrarsi disubidienti a


suoi decreti.
Mentre tutti sapevano il conte di Tolosa e suo
glio a Genova, chi si fosse trovato sulla'spiaggia del
mare presso Marsiglia, dal lato di levante, in una
sera di gennaio, avrebbe veduto una piccola galera,
che solcava le onde conturbate, e a forza di vele e
di remi avvicinavas al lido. Tutto a un tratto le vele
furono ammainate, i remi rimasero sospesi in aria:
una barca in messa in mare, quattro robusti rema
tori si assisero sulle panche di mezzo, tre passeg
gieri involti nei loro mantelli preser posto alla pop
pa, e la barca, montando e discendendo sul dorso

spumoso de marosi, afferr il lido. Sbarcati i tre


passeggieri, la barca raggiunse la galera, che riparti

dirizzando la prora a levante. I tre disbarcati mon


tarono verso un piccolo poggetto, si appressarono a
una casa di povera apparenza, le cui nestre e porte

-147

eran serrate, come se fosse vuota di abitatori, e pic


chiarono tre volte. Una voce di dentro domand:
- Chi viva?
- Tolosa, risposero quei di fuori.
L uscio si apr per dar passaggio a tre, e subito

si richiuse: n pi nulla si vide e si ud per quella


notte.

CAPITOLO XII.
Come Eloisa fu intera-agata dal vemovo Folco

e trovate eoepetta di eresia.

Appena il vescovo Folco, chiuso il concilio di La


terano, ritorn a Tolosa, Salvanhac di Cahors venne
a trovarlo e gli disse:
-- Signor vescovo, lddio ha sparso sopra di me

la sua benedizione come sul padre Abramo, perch


io sono stato fedele al patto che fermai colla santa
chiesa cattolica il di della mia conversione, e perch
io presto tutti i servigi che posso a sacerdoti, che

sono come i gliuoli di Levi nelle dodici trib.


- Ebbene, disse il vescovo, qual servigio vien tu
a rendere alla chiesa di Dio?
- Io vi porto unanima da convertire al Signore,
rispose il giudeo. Voi conosceste altra volta una gio
vinetta bellissima che aveva nome Eloisa; e vi ri

corderete ci che faceste per ottenerla.

--148

-- Maledizione su di te! grid il vescovo facen

dosi il segno della croce: non mi rammentare quei


tempi, ne quali io era immerso nel peccato. Che vor
resti tu ricominciare con me le tentazioni del demonio?
- Ah! signor vescovo, esclam con nta indi

gnazione il giudeo, voi interpretate male le mie pa


role, e calunniate le mie intenzioni che son pure
come il cuore di Abele. lo voleva solamente dirvi,
che, essendo voi vescovo, avete obbligo di provvedere,
come buon pastore, alla salute delle pecorelle smar
rite.

- Ed Eloisa vive nel peccato? domand il ve


scovo.
- Nel peccato, signor vescovo , nel peccato! escla
m con viso dolente Salvanhac: e quel ch peggio,
che la sua bellezza si e accresciuta, e con essa il

pericolo di molte anime.


-- Si mantiene bella adunque?
- Si mantiene bella! lo vi dico ch ella pi

bella di Sara, pi bella della Sulamita, se non che


quella era bruna, ed ella candida come il giglio
../

delle valli; ed i suoi occhi farebbero impazzare Sa

lomone.

'

- Ah! i suoi occhi sono stati sempre bellissimi!

esclam il vescovo.
-- E poi ora tutta la sua persona , soggiunse lal
tre, si perfezionata in bellezza e spande intorno
come un profumo di volutt. Io son vecchio, signor

-149

vescovo, e poi tutto intento al governo di quelle fa


colt che il Signore Iddio ha voluto concedermi; ma
pure vi dico, che avendola or riveduta, non potei fre
narmi di ripetere quel versetto del cantico: Molte
acque non potrebbero spegnere questo amore: e se

alcuno desse tutta la sostanza di casa sua per que


sto amore, non se ne farebbe stima alcuna. Quanto
sei bella e quanto sei piacevole amor mio!

-- Basta, basta, disse il vescovo, i cui occhi in


cavati cominciavano a lampeggiare nel suo viso scarno
.e rugoso.
- Non basta, signor vescovo, continu Salvanhac,
perch per farvi intendere come questa fanciulla possa

condurre a dannazione molte anime cristiane, biso


gnerebbe dirvi che le sue labbra tumidette paion li
di porpora, che le sue guance sono gigli e rose, che
la sua statura simile a una giovine palma, che il
suo seno rilevato palpitante di volutt.

- Basta, Salvanhac.
- Poterle dare un bacio, stringerla nelle proprie

braccia... dev essere tal piacere da far dimenticare


a molti i pericoli dell inferno....
- Tuoi la, demonio, url il vescovo.
- Perla vita d' lsaccol esclam il giudeo: io non

vi credeva si poco desideroso d impedire il peccato.


- Ma dove si trova ella adunque?
- Facciamo prima i nostri accordi, signor vescovo.

-- Che vuoi tu?

-150

- Prima di tutto voi mi pagherete il prezzo della


serva, dappoich voi sapete che io ho nelle mie mani
la carta, colla quale ella si da in servit alla chiesa
di Tolosa.

- Sia, rispose il vescovo.


-- Ora non rimane che un piccolo conto: cinquan

tatre lire per iscoprire la dimora della fuggitiva: set


tantotto lire date a monna Berta, che mi dette no

tizia del luogo dov ella si trovava, che fanno cento


e trenta una lira: di pi dieci lire ad una persona

che la segui quand' ella mut di abitazione, che sono


lire cento quarantuna; e diciannove lire per interesse
del danaro impiegato: totale lire censessanta, che
sono marchi sterlini cinquanta.
- Cinquanta marchi sterlini! grid il vescovo;
e dove vuoi tu chio pigli questo danaro?
- Via, signor vescovo, rispose Salvanhac, non
dite di non aver danari, dopo d' essere ritornato nella
vostra ricca sede di Tolosa, perciocch tutti sanno
che le vostre facolt si sono moltiplicate come le
greggi di Giacobbe, e quelle de Tolosani scemate come
le greggi di Labano. E che mancano poi ricchi ere

tici nella vostra diocesi?


- Impossibile! impossibile! disse il vescovo.
-- Ebbene quandio non posso avere il danaro che
io ho speso... il frutto del mio onesto lavoro... Iddio

abbia piet dellanima mia!

- Che vuoi tu dire?

-151

- Voglio dire che la serva rester in mia po


dest... e che, sebbene io sia vecchio, sar. una ter
ribile tentazione per me... Era ben vecchio Abramo

quando entr dalla sua serva Agar, ed era ben vec


chio Giacobbe quando si giacque colle sue serve Bilha

e Zilpa ed ebbe da loro quattro gliuoli.


- No, grid Folco, no giudeo dannato, tu non
avrai quella bellissima fanciulla.
- Pagatemi allora... rendetemi il mio danaro....
il danaro che io ho speso, e ch parte del sangue
mio. Volete adunque ch io la lasci in mano di Rai
mondo di Tolosa?
- In mano di Raimondo di Tolosa? domand
Folco meravigliato.
-- Si signore, rispose Salvanhac: e' la possiede,
ed e 1 ama moltissimo e la tiene celata ad ogni
sguardo come preziosissimo gioiello: e tu lui che la
sottrasse dalle mie mani a Montelimart.
-- Salvanhac, disse il vescovo , io ti dar i cin
quanta marchi sterlini.
"
- Quando?
- Questa sera.

-- E questa sera voi avrete la fanciulla. E il gin


deo, fatta una profondissima riverenza, si parti, mor
morando: cani di cristiani, voi ci disprezzate, voi
ci coprite d obbrobrio.... e noi succhiamo il vostro

sangue... e noi facciamo nostro pro de vostri vizi...


cani di cristiani!

-152

La notte seguente quattro arcieri del vescovado,


a quali era guida Salvanhac, entravano improvvisa

mente nella casa di Matilde, e due di loro piglia


vano Eloisa e la portavan via di corsa, mentre gli
altri due impedivano a Matilde e a Geltrude di u
scire per vedere ove la portassero; e tutto questo fu

fatto con tanta prestezza, che quando le due rimaste


si rimisero del loro sbalordimento, non altro udirono

che i passi ide due arcieri rimasti a guardarle, i


quali scendevano rapidamente le scale e andavan via.
Eloisa giunta alla presenza del vescovo , gli si gitt

a pie', dicendo:

-- Signor vescovo, abbiate piet di me: sappiate


che mi han preso dalla casa mia: io non ho com
messo alcun male... Costui dir ch io sono sua serva;
ma non vero sapete, perch il mio prezzo gli fu

pagato, perch non gli debbo pi nulla... signor ve


scovo salvatemi dalle mani di costui.
Folco stette alcun tempo silenzioso , ssando avi
damente i suoi sguardi su di Eloisa; quindi appres
satosi a Salvanhac, che con un sorriso di demonio

stavasi all' uscio della sala, gli disse:

'

- Ecco i cinquanta marchi sterlini.

- Ed ecco la donazione della serVa a favore della


chiesa di santo Stefano, rispose il giudeo intascando
il danaro, dopo averlo ben contato, dando al ve
scovo una pergamena, e ritirandosi a rinculoni con

una serie di riverenze l unapi profonda dell altra.

-'15'5

Eloisa, avendo veduto il vescovo dar del denaro


al giudeo e questi dargli una scritta, credette pi
che mai che Folco volesse salvarla, onde presagli la

mano, e baciatala con grande riconoscenza e vene


razione, gli disse:
-- Oh! signor vescovo, che Iddio vi rimeriti del
bene che mi fate, perch io non ho parole e modi
per ringraziarvi.

- Tu eri serva di Salvanhac, le disse il vescovo.


- Egli lo dice, signor vescovo; ma non vero
sapete: il mio prezzo gli fu pagato... Comunque sia,
io sono ora libera merc la carit. vostra; non
vero signor vescovo?
- Cio... cio... tu non sei libera ancora.... tu

sei serva della chiesa di Santo Stefano, per virt di


donazione da te fatta parecchi anni or sono.
- lo, signor vescovo, non sapeva allora ci che
facessi; ma del resto anche a questo v rimedio:

perch io ho chi pagher alla chiesa il mio prezzo,


e chi mi ricomprer. Solamente vi priego di accor
darmi qualche giorno di dilazione, e che mandi su.
bito qualcuno a rassicurare una mia amica, che mi
ama pi che sorella e pi che madre. Povera Ma

tildei chi sa a quest ora come pianger 2... Oh come


sar anch ella grata a voi, signor vescovo, del be

necio che mi avete fatto.


- Tu adunque vorresti ritornar libera? domand
Folco.

-154

- Ma di certo, rispose ingenuamente Eloisa.


- E questo non si pu.

-- Come non si-pu? disse maravigliata e spatr


rita Eloisa.
- Non si pu, perch tu sei serva della chiesa.
- Ma io vi dico, signor vescovo, cb io sar ri
scattata.
-- I canoni si oppongono: i beni delle chiese sono
inalienabili.
- Io non so nulla di questo, signor vescovo: per
donate alla mia ignoranza... ma parmi di compren

dere... Ah! si, si, ora comprende: la chiesa non


vende, ma dona la libert, come fa Dio, che nella
sua misericordia, non ci vende, ma ci dona l' aria, il
sole, la fragranza de ori,le melodie degli augelli,

e tutto ci che fa bella la natura e rende cara la vita.


- No, no: tu t' inganni. Iddio e padrone dell'u
niverso e pu disporne come pi piace alla sua di
vina volont; ma noi siamo custodi dei beni della
chiesa, che son suoi, ed abbiamo dovere di accre
scerli per la sua gloria ed espressa proibizione di

scemarli. Or ascolta, glia mia: tu sei serva della


chiesa, e non bisogna pi pensare a recuperare una
libert, alla quale tu stessa hai renunziato per re
missione dell' anima tua... Ma non afiggerti, non
tribolarti: queste tue mani son troppo gentili per es
sere condannate a grossolani lavori degli altri servi;

e tu sei troppo bella per essere confusa con loro.

-155

Ringrazia adunque il Signore Iddio, che ti ha messo


in podest. di chi pu e vuole renderti felice.
- Ah! si, lo ringrazio di tutto cuore, perch le

vostre parole mi sono di conforto e consolazione....


vero che io non comprendo il benecio che voi

vogliate farmi; ma comprendo bene che voi volete


salvarmi, o signore, e che mi salverete.
- Si, io ti salver, io ti salver, rispose Folco,
le cui guance ordinariamente giallognole s' erano un
po colorate di rosso: tu rimarrai qui al servigio del
mio palazzo, e col nome di serva, tu ne sarai la
signora; ma che nessuno ti veda, ma che nessuno
sappia la tua esistenza in questo luogo...
- Ci che voi mi chiedete e impossibile, signor

vescovo: la mia buona Matilde ne morrebbe di dolore.

- Ma il solo pensiero della |tua amica, do


mand Folco, che ti consiglia a disdegnare le mie

protl'erte?
- Non signore. disse Eloisa abbassando gli oc
chi; io non so mentire.

- un amore adunque ?
- un amore, mormor Eloisa.
-- Un amore colpevole, grid il vescovo, un a

more adultero, che Iddio condanna e le leggi della


chiesa puniscono con severo gastigo.
-- Io vi giuro, signor vescovo, che il mio amore

era innocente, che divenne colpevole senza che io


lo sapessi.

-'156

- Rinunzi tu adunque ad esso?


- No, impossibile..... egli pi forte della
mia volont.
- Ma non vedi tu, o disgraziata, che questo a
more ti pu condurre al rogo in questa vita, e alla
dannazione nell' altra?
-- No, signor vescovo, Iddio avr misericordia

di me, perch egli legge nel mio cuore, perch egli


sa che il mio amore e sento, perch egli dir a me

come disse alla Maddalena: i tuoi peccati ti sono per.


donati perch hai molto amato; ed il pegno del perdono
di Dio, io 1' avr signor vescovo nel vostro perdono.
-- Ed io ti perdoner, disse il vescovo; ma a
patto che tu rinunzi a questo amore, e che tu sii mia.

- Vostra! grid Eloisa; ma che intendete voi per


vostra, e signore? Ho io mal compreso? Ah! si,
certamente, io ho mai compreso; ma rassicuratemi,
vi priego, rassicuratemi, perch la mia anima si
molto conturbata.
-- No, tu non hai male compreso, Eloisa, ri
spose il vescovo con voce divenuta tremola e solfo
cata, io ti amo...
- Voi! url Eloisa, tirandosi indietro spaurita:
ma che volete voi da me?

- Ci che io voglio? Io voglio tutto ci che mi


appartiene per l amore insensato che io ti porto, e
per essere tu cosa della chiesa mia, e quindi cosa mia.

Eloisa fece un atto come per fuggire; ma Folco

-151-

lalferr pel braccio colle sue scame mani, e con


occhi fiammeggianti di una lascivia che molto somi
gliava al furore, continu:

- Io ti amo, si: io ti ho amato da lungo tempo,


da quando tu eri a Mompilieri, dove danzavi sulla
fune... Il demonio ti porse a miei sguardi... la tua
immagine simpresse nella mia mente e non mi lasci
pi pace... Cercai possederti, e non mi riusc... Tu

fuggisti... Poi fosti scoperta a Montelimart: ti feci


prendere, ma invano, perch per una seconda volta

mi fosti rapita. Tentai dimenticarti: impossibile! Sem


pre io ti vedevo nelle mie veglie e ne miei sogni:
tu eri il mio Satana, la mia tentazione quotidiana.
Pregai Iddio ed i santi, e non mi ascoltarono; ma
cerai il mio corpo, e non potei domarlo; ricercai

altre belle donne, e nessuna mi parve bella quanto


te. N Iddio, n il demonio ebbero forza di calmare
i miei tormenti. Ora in sei nelle mie mani, e tu
comprendi bene che mentre per possederti io metto

a rischio la mia eterna salute, non vi sar argomento


umano che potr frenarmi.
Eloisa aveva ascoltato questa rivelazione con un
terrore, ch e pi facile immaginare che descrivere,

perciocch tutti i mali e dolori della sua vita passata


or si affollavano nella sua memoria, e rendevano pi

spaventoso ed orribile il presente pericolo: ed ella


guardava con angoscia intorno di lei, ma non vedeva

nulla, nulla per difendersi, e ueanco per morire.

-158-

-- Consentirai tu ora ad amarmi? domand il ve

scovo.
- No, mormor Eloisa.
- No! url il vescovo; ma tu non hai compreso

adunque che tu sei in mia podest.


- Ohimet io lo comprendo pur troppo!

-- E che speri adunque? Vediamo, dici, da chi


speri aiuto?
- Io lo spero.... io lo spero da Dio.
- Ah! se Dio avesse voluto, avrebbe estinto nel
mio cuore questa amma che vi ha acceso il demo
nio... No... tu speri nel giovine Raimondo...
Eloisa a questo nome senti accrescere il suo ter
rore; Folco continu:

- Non lo sperare insensata! Raimondo non pu

sottrarti dalle mie mani: egli non ha pi alcuna au


torit in Tolosa: di questa citt io ne dispongo a mio

arbitrio: basta una mia parola per farti morire sul rogo.
- No voi non lo farete, signor vescovo.... que
sta sarebbe troppo grande iniquit.

-- Non lo far? non lo far? disse Folco con


voce terribile: tu vedi che io sono il padrone, tu
sai che io sto per perdere in un punto tutto il me
rito delle mie lunghe astinenze e giocarmi l anima
mia per la eternit. , e tu non tremi?
- Signore, signore , grid la povera Eloisa retro
cedendo sino al muro, sotto lo sguardo ardente e
feroce del vescovo, che volete voi da me?

-159

-- La tua anima, il tuo corpo, tutta te stessa,

rispose con voce cupa e sorda il vescovo: perch se


io mi danno per cagion tua, io non voglio che tu
debba salvarti.
- Non vi avvicinate! grid Eloisa, facendosi
schermo di un seggiolone che quivi era. lo grider,

io chiamer aiuto: voi sarete disonorato e ricoperto


dinfamial

- E che importa linfamia a me, a me che per


possederti vinco i terrari dellinferno?
- Grazia! grazia! signor vescovo, grid Eloisa
al colmo delle spavento. In nome di vostra madre,
in nome di ci che avete di pi caro e di pi san
to i... Pensate che siete sacerdote, che siete vescovo...
Le vostre mani sono unte col sacro crisma... non le
contaminate con un delitto enorme... Dio presen
te... Dio vi vede, signor vescovo.... e linferno

spalancato sotto i vostri piedi.


A queste parole, che ridestavano tutti i suoi ter.
rori religiosi, Folco senti rabbrividirsi, e sotfermossi;
Eloisa prosegu:
- Come potreste pi avvicinarvi allaltare del Dio
della giustizia? Come toccare colle vostre mani lostia
immacolata... Ah non fate, che io morendo scagli

su di voi la pi terribile delle imprecazioni!


-- lddio non ti ascolter, mormor il vescovo:
tu vivi nel peccato...

- E voi? disse Eloisa.

-'160

- io?.... lo ho fatto penitenza... ho perseguitato


gli Albigesi... ho offerto a Dio centinaia di vittime

umane in espiazione de miei peccati passati.


- E volete aggiungerne de nuovi? E non temete

che si stanchi la misericordia di Dio? Abbiate piet


di me, abbiate piet di me, signor vescovo; ed io
pregher Iddio giorno e notte perch vi perdoni; e

pregher pi fervorosamente per voi che non pregher


per me stessa.

Una terribile guerra si combatteva nel cuore di Folco


fra gl' istinti lascivi di questo vecchio peccatore ed
i terrori religiosi de quali egli era sempre dominato.

Tutto a un tratto egli disse:


- Esci da questo palagio, esci da questa citt...

esci, fuggi, che io non pi ti riveda... Ma no, egli


url tutto a un tratto come deste da un sogno: no,
perch tu ritorneresti nelle braccia del tuo amante.
Maledizione su di lui! No, tu non riderai del mio
tormento nelle sue braccia! Vedi: a questa sola idea
io divengo insensato! Tu sarai mia, e di nessuno!
- Grazia, grazia, signor vescovo! gridava Eloisa,
smarrita, confusa, quasi fuori di s.
-- Scegli, scegli: e mia, 0 di nessuno.

- Misericordia, signore!
- Scegli ti dico, grid il vescovo, pigliandola

con tal forza pe polsi che vi lasci i lividi: scegli,


o me, o nessuno.
- Nessuno, mormor Eloisa.

-161

Folco mise un ruggito di belva, corse all uscio

della sala, I apri e grid:


- Il mio segretario! I miei famiglit
Il segretario entr con un rotolo di pergamene
sotto il braccio e con un calamaio d' osso alla cin

tota.
- Scrivete, che questa donna, serva fuggitiva

della chiesa di Santo Stefano, adultera confessa, con


cubna di un fautore di eretici e sospetta di eresia,
sia sostenuta per mio ordine nella prigione del ve
scovado senza che alcune la veda o sappia dovella
si trovi.
Eloisa fu condotta via dai famiin del vescovado;
il vescovo Folco si chiuse nella cappella del pala
gio, cadde in ginocchio innanzi a un crocesso, e
piachiandosi il petto come un insensato, cominci a
gridare piangendo:
- 0 Dio, salvami per le tuo nome, e fammi
ragione per la tua potenza. 0 Dio, ascolta la mia

orazione, porgi gli orecchi alle parole della mia bocca. 1

CAPITOLO XIII.
Come Raimondo di Tolosa visit la Lingundoca
e di ci che vi trov.

Mentre questo seguiva in Tolosa, due mercadanti

viaggiavano nel Rouvergue, lungo le sponde del Tam.


ALIIG. I'ol.Ill.

il

-_1es_
Diciamo due mercadanti perch tali li mostravano il
loro modo di vestire e le balle di mercanzia che
avevano sul loro muli; ma in verit essi erano Rai
mondo di Tolosa e il suo scudiero Audeguier.
- Per ci che noi ci proponghiamo di fare, di
cova Raimondo, poco vale il corraggio, e moltissi
ma la destrezza.
- Sentite signore, rispondeva Audeguier: io vi
dico che voi resterete contento di me. Fossi stato
ance stupido come un oca, dopo il nostro soggiorno
a Roma, sarei divenuto astuto come una volpe. Oh

le belle cose chio v ho imparato! So mentire senza


tramutarmi in viso; so ridere quando ho voglia di
piangere, e so piangere guando ho voglia di ridere;
se simulare e disimulare come un abate, come un
vescovo, come un cardinale; e so strozzare un no
mo, dicendogli: glio mio caro, come fa papa In

nocenzo.
---

'

Vedi Audeguier queste balle di mercanzie ?


Le vedo.
Che credi tu che contengano?
Oh bella! de' buoni sacchetti di danaro. E poi,

oltre del peso, il denaro io lo sento all odore.


-- Con questo danaro nei assolderemo una cin
quantina di cavalieri bravi e risoluti e attraversare
mo la Linguadoca.

- E se ne incontrassimo dugento de nemici?


_ Bisognerebbe butterei.

-165

- E se fossimo battuti?
Raimondo rimase pensieroso; lo scudiero prosegui:

- Non sarebbe meglio assoldarne venti? Venti


uomini risoluti vagliono quanto cinquanta; e poi con
venti si pu sfuggire di combattere senza vergogna,
senza contare che faremmo un economia di tre quinti

della spesa.
- Hai ragione Audeguier: _tu mi persuadi.
-- Anzi continu lo scudiero, venti cavalieri, ora
che ci penso, impossibile che traversino la Lingua
doca senz essere osservati; e dappoich siamo riso

luti di non combattere, tanto valgono venti quanto dieci


ed il risparmio sarebbe di quattro quinti.
- Ci che tu dici non privo di buon senso:

il numero ci farebbe scoprire, e c' indurrebbe in qual


che follia; ma la conclusione sai tu qual ?
- Dite pure, signore.
- Che bisognerebbe andar soli.
- Era appunto quel che io pensava. Solamente
bisogna tenere gli orecchi ben tesi e gli occhi bene
aperti: se qualcuno ci vuol dar briga, evitarla a ogni
costo; esplorare i boschi prima di entrarvi ; testare
le assi dei ponti prima di mettervi il piede; osser
vare gli usci le finestre, il palco e il solaio delle

stanze prima di porci a sedere, e ricordarci sempre


che il demonio padre dell astuzia stato spesso vinto

dall astuzia de preti e de monaci.


I nostri viaggiatori avevano camminato tutta la

-164...

giornata, e gi veniva.la notte. Il freddo era intenso:


il vento schiava gagliardamente e piegava sia quasi
a terra le cime degli alberi spogli di fronde: a quando
a quando sentivasi da lontano il canto malinco
nico della civetta e dell asiolo: cose tutte bellis

sime per un poeta; ma Audeguier _'non era molto


sensibile alla dolcezza e sublimit della poesia, e pre

feriva un buon pollo arrosto e una buona brocca di


vino a tutti i canti di Sordello: quando poi egli a
veva fame e sentiva freddo, se avesse veduto tutte

le bellezze della natura messe da un lato, e una ta


vola apparecchiato accanto al fuoco messa dall al
tre, e non sarebbe rimasto imbarazzato neanco un
istante ed avrebbe fatto subito la sua scelta. Aude
guier andava quindi guardando di qua e di la per
iscoprire qualche cosa dove vi fosse possibilit di tro
vere ci che pi desiderava. Tutto a un tratto, ein
disse a Raimondo:
- Vedete, signore, quel fumo che esce da quella
casa?
- Ebbene?

- Non vi pare che con questo freddo si starebbe


molto bene sotto quel tetto e accanto a quel fuoco ?
0ltrech se noi Viaggiamo per imparare, non impa

reremo nulla se fuggiremo sempre il consorzio degli


uomini e delle donne.
- Tu credi, Audeguier, che noi non impareremo

nulla? Nulla adunque dicono a te, questi campi in

-165

colti, queste strade deserte, questi giardini abbando


nati, questa mancanza di lavori, _di tratchi, di
canti, di vita in questo paese che pochi anni or sono
pareva il soggiorno della prosperit e della gioia?

-- Di fatto, rispose lo scudiero, par di passare


in un deserto: e fa male al cuore vedere cos al
bandonate queste povere vigne che davano un vino
prezioso. Ci non ostante io sostengo che degli uo

mini, seduti accanto al fuoco, mangiando e bevendo


potremmo sapere molto di pi, perch il calore, il

cibo ed il vino sono i tre pi grandi impulsi della


loquacit umana.
Raimondo dovette convincersi che Audeguier aveva
ragione, tanto pi che i muli erano di gi stanchis
simi, e che dal fumo che sbuffavano dalle loro na

rici e che esalavano dalla groppa e da anchi si ve.


deva bene che avean bisogno assoluto di riposo.
I due viaggiatori si appressarono quindi alla casa,
scavalcarono, picchiarono all uscio, domandarono la

ospitalit. per loro e pe' loro animali, e l ottennero,


non senza per avere atteso un buon quarto (1 ora,
nel qual tempo per ben due volte si apri a spiraglio
e si richiuse adagino adagino una nestra, con tutti

quei segni di ditiidenza e di sospetto che ragione


volmente derivavano dalle infelici condizioni del paese.
I due viaggiatori, introdotti da ultimo in una stanza
terrena, videro adunata intorno ad un gran fuoco
tutta la famiglia che l abitava, composta da un pa

-166

dre, da una madre e da una gliuoletta bella come


un cherubino.
'
- Noi siamo due mercadanti, disse Audeguier,
dopo i consueti saluti e dopo che i cavalli furono
condotti in una stalla a partecipare alla magra cena
di una mucca che v era; noi siamo due mercadanti
che ritorniamo da Costantinopoli, e che andiamo a
Tolosa: non avendo trovato alcuna osteria ne din
torni, e non volendo passare allo scoperto una notte

cos rigida, vi preghiamo d' albergarci sino a do


mani.

- Da quanto tempo voi mancate dalla Lingua


doca? domand il capo di casa, mettendo un grosso
ceppo al fuoco.

-- Quando saremo alla candelara compiscono nove


anni.
L altro scosse tristemente il capo; Audeguier con
tinu:

- Oh! mi par mille anni (1 essere a Tolosa:il


paese ricco; i cittadini son buoni e cortesi; e la
citt, piena di traitichi, di feste e di gioia.

-- Ah! quanto troverete mutata Tolosa da, quella


che la lasciaste! E come la Linguadoca non vi parr.

pi la medesima!
- Di fatto, disse Raimondo, io faceva notare al
mio compagno l' abbandono in cui sono le terre per
le quali siamo passati.

-- Vedete, soggiunse Audeguier, possibile che

-167'

la guerra piaccia a cavalieri: e il loro mestiere,


questo s' intende; ma per noi poveri mercadanti 1
una rovina.
- E che credete che sia per noi poveri agricol
tori? Vedete queste terre: io le amo quanto me stesso:
sono la mia vita, la mia gioia. Venti anni di lavori

per concimarle, per cavarne i sassi, per circondarle


di buone siepi e coprirle di vigne e di alberi frutti
feri! Ebbene: guardate un po come le son ridotte!
Un torrente che vi avesse passato sopra per altri venti
anni non le avrebbe cosi devastate come han fatto
tre o quattro passaggi di crociati.

- Senza contare, aggiunse la donna, ipianti di


tante madri e di tanti orfanelli che sono rimasti senza
genitori!
- Fortunatamente, disse Audeguier, la guerra
nita, senza di che noi non saremmo venuti in Lin
guadoca, perch a noi, gente pacifica , fa male,
non che altro, la vista delle arme. Ma grazie a Dio

noi ritorniamo in tempo di pace.


- Tempo di pace! esclam con mesto sorriso
l agricoltore. Appunto quando voialtri picchiaste al
I uscio io narrava alla mia donna la gran contesa
che v tra Simone di Monforte e Arnoldo arcive

scovo di Narbona, d' onde io sono ritornato questa


SCIiI.

- Ma io so, disse Raimondo, che Simone di


Monforte e 1 arcivescovo Arnoldo erano molto amici.

-168

- Erano; ma non son pi.


-- Veramente! esclamarono nel medesimo tempo
Raimondo e lo scudiero.

- Con voi si pu parlare, disse 1 agricoltore,


perch si sente dalla favella che non siete francesi.
-- Dite pure con sicurezza, rispose Audeguier,

perch noi ci occupiamo di drappi e di broccati, ma


di queste cose come di novelle buone a far passare
il tempo e nulla pi.
-- Or bene, io vi narrer tutto, disse 1 agricol

tore; e tu intanto, donna mia, prepara un po' di cena.


Avete a sapere che l abate Arnoldo quando fu fatto
arcivescovo di Narbona volle anco esserne duca. Il
conte Simone la ingozzava male. Eccoti questi due,
ch erano stati sino allora come pane e cacio, di
ventare come cani e gatti. Il conte avea ordinato che
si disfacessero le mura di Narhona; 1 arcivescovo a
dir di no. In quel tempo pass di qui il gliuolo
del re di Francia coll' esercito crociato. Eravamo in
ne (1 aprile: il grano era cos alto, e avea tal m0<
stra, che parea avesse ad essere lanno dell' abbon

danza. E poi i peschi, i peri, gli albicocch carichi,


carichi di frutta, che giammai a mia ricordanza vi
era stato tanto ben di Dio. E dire che tutto scom
parve in pochi giorni! E dire che segavano il grano

in erba per darlo a mangiare a' loro cavalli! Ecco:


le son cose che non si possono credere senza averle

vedute. Se fossero passati i Saraceni, e' non avreb

-169

bere fatto di peggio... Ma ritorniamo all' arcivescovo.


L' arcivescovo adunque, come io vi diceva, non vo
leva che si disfacessero le mura, e and a trovare
il tigliuolo del re di Francia; ma e giunse tardi,
perch il conte Simone colle sue piaggierie lo aveva

disposto in suo favore, si ch' e ordin si disfacessero.


- E le mura furono disfatte? domand Aude
guier.
-- Vi par' egli! esclam 1 agricoltore; larcive

SCOVO ha il capo pi duro {de' miei zoccoli; e poi


egli e troppo avvezzo a comandare. L arcivescovo
and al concilio di Roma; il conte vi mand Guido
suo fratello ed altri suoi baroni. Tutti credevano che
il papa gli avrebbe accordati; ma pare non se ne
concludesse nulla , perch' e ritornarono col diavolo in
corpo peggio di com erano partiti. Arnoldo disap
prov e dichiar nullo l omaggio che in quel tempo
il visconte Emerico aveva prestato al Monforte, ed
ordin a Narbonesi di meglio munire le mura e di

costruire due castelli, 1 uno nel borgo e 1 altro nella


citt. Il conte ne appello al papa, e si apparecchio
a far la guerra all arcivescovo: 1 arcivescovo 10 mi

nacci di scomunica. Fin qui m era stato raccontato:


or quello ch' e seguito 1 ho veduto io co miei pro

prii occhi.
- Continuate adunque il vostro racconto, disse
Raimondo: le notti di gennaio sono molto lunghe,
e noi avremo tempo abbastanza di dormire.

-_170, - lo vi dir adunque per lo e per segno ogni


cosa che io ho veduto. Ma tu Lena leviti di cost;
e va ad aiutare la mamma.

- Lasciatela pure, ella non d nessuno incomodo


la poverina.

-- Lena, Lena, vieni dalla mamma, glia mia,


disse la madre.
Ma Lena s' era abbrccata a Raimondo, e volgeva
verso di lui i suoi belli occhi azzurri come chiedendo
la sua protezione; e Raimondo se la pose a sedere
su ginocchi, la bacio in fronte, e rispose:
- Lasciatela pure, vi dico, la non mi d noia
quest angiolina.... e voi proseguite il vostro racconto.

-- lo era andato a Narbona per vedere di riscuo


tere qualche soldo da un fornaio a cui avevo ven
duto quei po di grano che mera rimasto. Egli era
il marted verso vespro, quando si sentono grida e
suoni di trombe: chi corre di qua, chi corre di l.
Che c, che c ? domando io al fornaio, che in
fretta e in furia chiudeva la sua bottega. - Il conte
di Monforte, mi dice egli, giunto a Narbona. Sangue di un giudeo! dico io: vorrei vederla que
sta. - Se avete questo gusto, mi risponde lui, voi
potete andare a farvi rompere il capo alla porta del
Borgo. - Io ci v, dico io; ma in quanto a farmi
rompere il capo la non m accomoda, e non sar si
balordo. E via di corsa alla porta del borgo.

-- Ecco, la fu un imprudenza, disse la moglie,

-17'1

versando della farina di castagne in un paiuolo d'ac


qua bollente. Ti par egli? andarsi a ccare in que
sti tafferugli. E poi le son cose che non ci apparten
gono. Se si trattasse fra gli antichi signori ed i nuovi,
la si potrebbe intendere, perch con quelli noiave

vamo il ben di Dio, e con questi noi non siamo


padroni n de nostri animali, n delle nostre raccolte,
n de nostri gliuoli; ma tra vescovi e baroni fran

cesi, l' tutt una per noi.


- Sta zitta moglie mia: tu sai ch io non sono at
tacca brighe. Dunque, come io vi diceva, io corro
al borgo. Simone di Monforte era a cento passi delle
mura. L arcivescovo lo attendeva alla porta col piviale
e celle. mitra in capo, accompagnato dal clero, cre

dendo che non oserebbe fargli violenza per entrare;


ma quando vide che le genti del Monforte davan di
sprone a' cavalli e si lanciavano di galoppo, e si ri

trasse indietro e ordin che si serrassero le porte;


ma egli era tardi. In meno che io non metto a dir
velo, ecco il conte ed i suoi cavalieri piombare ad
dosso alle genti del vescovo. Era una cosa molto
ridicola vedere tutti quei preti in cotta correre di qua
e di l, e gridare e urlare. V era un monaco tra gli
altri cosi grasso, che, volendo ficcarsi in una casa
dalla nestra di un pian terreno, vi rimase mezzo

dentro e mezzo di fuori, urlando che pareva fosse


insatanassato, mentre i cavalieri del Monforte ride

vano a tenersi i fianchi. Il conte, come se nulla ve

-172

desse e udisse, duro , impalato e recitando pater


nostri, giunse in piazza, si fece rinnovare il giura
mento dal visconte, e fece inalberare la sua bandiera
sulla torre del Castello.
-- E l arcivescovo? domand Raimondo.
-- L arcivescovo era andato alla cattedrale, e l,

in presenza del capitolo e del clero, pronunziava la


scomunica del conte e gittava 1 interdetto su tutte
le chiese di Narbona; ma il Monforte fece celebrare
la messa nella cappella del castello senza tenere al
cun conto della scomunica e dell interdetto; e quando
1 arcivescovo volle di nuovo scomunicarlo in presenza

del popolo, i Francesi gli furono addosso colle spade


sguainate, si chegli dovette rifugiarsi nellarcivescm

vado: e lindomani il Monforte si parti, lasciando


l arcivescovo arrabato come un cane.
Finito il racconto, una rubiconda pattona di casta

gne fumare. sulla tavola, e intorno ad essa pigliaron


posto Raimondo, Audeguier e le genti della casa.

CAPITULO XIV.
Come Raimondo di Telo la

continu il suo viaggio nella Linguadoca.

Raimondo e Audeguier, continuando il loro viag


gio, seppero che Simone di Monforte aveva convo

-175

cati nel castello Narbonese i cittadini di Tolosa, e


gli aveva obbligati, in favor suo e di suo glio Amauri,
al giuramento di omaggio e fedelt; e che per me
glio assicurarsi di loro, aveva disfatto le mura della

citt, colmati i fossi, abbattute le torri de cittadines


chi palagi, tolte le catene colle quali si solevan chiu
dere le vie, accresciuti i munimeuti del castello Nar
bonese , fatto scavare un largo fosso perch rimanesse

diviso dalla citt, ed apertavi una porta dal lato di


levante, perch le sue genti potessero entrare ed uscire

dal castello senz essere molestati da Tolosani e an


che a loro insaputa. Fatto questo, Simone restitu i
dodici capitolii, che erano in ostaggio ad Arles, ed
afdato a Roberto Mauvoisin 1 uicio di siniscalco,
perch, durante la sua assenza, amministrasse giusti
zia e govemasse la citt, si parti e and in Francia,
per ricevere dal re Filippo Augusto l investitura di
tutte le terre conquistate sugli Albigesi, nel ducato
di Narbona, nella contea di Tolosa e nelle viscontee
di Beziers e di Carcassonna.
Grandissimi furono gli onori, co' quali Simone di
Monforte fu ricevuto in Francia: il clero usciva in

processione ad incontrarlo con croci e bandiere: il po


polo accorreva in folla a vederlo, spargeva fronde e
ori nelle vie per le quali passava, cantava inni in
sua lode e in biasimo e vitupero degli Albigesi, e
fortunatissimi riputavans quelli che giunger potevano

a baciarin la mano o a toccare le sue vesti. Il re

-174

Filippo gli fece anch egli delle gran feste, e gli di


l investitura che domandava.
I nostri due viaggiatori, dopo avere queste notizie
di qua e di la raccolte, trovaronsi una sera ne din
torni di Carcessonna, altravolta pieni di case, di ville,
di osterie, di giardini, ed or quasi deserti. Degli alberi
non erano rimasti che i tronchi e le barbe: delle case,
ville, osterie, non si vedevano che le rovine: in nes
suna parte la frenesia del distruggere era stata si
grande e bestiale: Attila e Genserico non avrebbero
fatto pi di quanto fecero quelli che si magnicavano
militi di Ges Cristo.
Non volendo entrare in citt, i due nti merca
danti andavan cercando un luogo coperto dove pas
sere la notte, e dopo molte ricerche, scoprirono una
caverna fuori mano, che pareva molto adatta al loro
bisogno, e ne furono lietissimi, perch la notte era

freddissima e la terra quasi ftutta coperta di neve.


Rimossi i cespugli che ne ingombravano lingresso,
Raimondo e il suo scudiero entraron dentro, e la
trovarono tanto spaziosa da potervi introdurre i loro
muli. Audeguier mise ad essi le sacca della biada,

raccolse un po di foglie secche per fare una guisa


di letto; e trasse dalla bisaccia del pane e un pezzo
di castrato cotto che aveva comprato a Moux. Egli
voleva ance tentare di accendere un buon fuoco, ma
riettendo , che la luce che sarebbe uscita dalla caverna

avrebbe potuto farli scoprire, mut proposito dicendo:

_firs_
- Per riscaldarci abbiamo una zucca piena di vino,

e per mangiare la bocca si trova anche al buio.


Ed il buio era grandissimo, ed il silenzio com
pleto, si che pi nulla vedevasi ed udivasi in quella
caverna, salvo il sordo rumore de muli che masti
cavano la loro biada.

Tutto a un tratto un suono melodioso e solenne,


come sorgente dalla terra, risuon nella caverna.

Raimondo balz in piedi; ma Audeguier stese le mani


verso di lui, e afferratolo per la gamba, gli disse:
- Silenziot... Guardate in fondo della caverna.
Raimondo guard , e vide non senza maraviglia
da dietro un macigno alcuni raggi di luce. I viag

giatori si accostarono pian pianino a quel luogo, cl,


con tutte le precauzioni possibili per non far rumore,
giunsero a discostare alquanto quel macigno; ed al

lora la luce e il canto penetrarono pi facilmente


nella caverna. E si misero carponi, e videro che vi
era di sotto una gran sala scavata tutta nel vivo sasso.
Una gran lampada, che ardeva nel mezzo, rischiaravtt
una cinquantina di persone inginocchiate in semicer
chio, immobili -e colle mani alzate in atto di pre
ghiera, come quelle statue genutlesse che si vedono
sugli antichi sepolcri. E cantavano sotto voce un can
tico mesto e quasi lucubre, del quale non era pos
sibile a due viaggiatori d intenderele parole.
-- una congrega di Albigesi, mormor Raimondo
allorecchio del suo scudiero.

- 176 '

-- E dire che ne rimangono ancora, rispose Att


deguier, dopo essere passati da questi luoghi Arnoldo,
Simone, Folco e frate Domenico!

Finito quel cantico tutti si alzarono e rimasero


silenziosi; ed allora si videro comparire nel mezzo
del semicerchio due persone incappate e co capucci

abbassati sul viso: una di esse cominci a parlare,


ma sempre con voce si sommessa, che dall alto nulla
potevasi udire. Un vecchio, ch era nel vertice del
semicerchio, a quando a quando pareva rispondesse
o interrogasse. Dopo questo dialogo, che dur qual
che tempo, i due incappati si ritrassero, e gli adu
nati rimessisi in ginocchio intuonarono un nuovo can
tico, che, a giudicarne dalle pi liete melodie, pa

reva di ringraziamento e di speranza. Finito il can


tico, la lampada fu spenta, e la misteriosa appari

zione scomparve nel mistero del silenzio e della notte.


All alba del nuovo giorno i nostri due mercadanti

cavalcavano alla volta di Castelnaudary, parlando di


quanto avevano veduto nella notte precedente , quando
videro venire da un sentiero traverso due persone a
cavallo, che alle cappe onderan coperte, a cappucci
che avevano abbassati sul viso, alla statura, al mo
vimento riconobberoper quelle due che avevan ve
duto nella notturna congrega. Esse venivano di ga
loppo, e stavano per sboccare nella strada, quando
Audeguier, con quella prontezza di risoluzione e di

esecuzione che aveva, svolto subito il suo mulo da

-177

quel lato, si chevenne a pigliar di fronte uno dedue


cavalli. Il cavallo a quell urto inatteso, s impenn,
e, con quel suo movimento subitaneo, fece cadere

dietro alle spalle del cavaliero che lo montava, il


cappuccio che gli celava il viso. Fu un istante , per
che il cavaliero si rimise subito il cappuccio; ma
quell istante era bastato a svelare un viso dangelo,
con occhi cerulei, con capelli che parean d oro.

Audeguier tent, col pretesto di fare le sue scuse,


indurre a parlare i due incappati; ma questi, come
se nulla fosse seguito, senza dire una parola, dettero
di sprone a cavalli, e si dileguarono come un baleno.
Quanto pi s inoltravano tanto pi Raimondo aveva
ragione di convincersi della miseria in cui trovavasi
ridotta la Linguadoca. Appena entravano per pigliare
un podi cibo in qualche luogo, eccoti uomini, donne,

vecchi e fanciulli, famiglie intere di mendicanti che


si solfermavano innanzi la porta o innanzi le ne
stre, senza chieder nulla, ma guardando quelli che
mangiavano, con quello sguardo sso e quasi distratto

dall affamato, che ti fa cader di mano il cibo che


stai per portare alla tua bocca. Non chiedevano, per
ch la loro miseria era ancora troppo fresca, e non
avea avuto tempo di cacciare dal loro cuore la na
turale alterigia e dal loro volto la vergogna. Erano

famiglie di eretici o di creduti tali, a quali erano


stati tolti i loro beni; erano famiglie di mercadanti

ed artigiani, che aveano perduto i loro londachi e


VoL III. una.

12

_irs
le loro botteghe e officine ; erano famiglie di colti

vatori, chei nuovi padroni cacciavano dalle terre


da essi fecondato, togliendo loro gli armenti, le mas
serizie e i ferri da lavorare.

Fra Villepinte e Castelnaudary, Raimondo e il suo


scudiero, entrarono in un osteria. La moglie dell'o
ste accolse molto civilmente i due avventori, e do

mand loro cosa desideravano per desinare.


- Noi ci accomodiamo facilmente, perch siamo
gente usa a viaggiare, disse Audeguier, purch ci
diete qualche cosa di sostanzioso e qualche pinta di

buon vino.
- E si che avrete ogni cosa, disse con sorriso
tristamente ironico un uomo, che stavasi seduto presso
al fuoco, col mento appoggiato nelle mani.
_ Ma, mio Dio! datti pace, mio buon Marziale,

rispose la donna: tu vedi bene che questo non il


modo di ricevere gli avventori. E voi, signori, dovete
compatirlo: il povero mio marito e malinconico e
triste.
- E non ne ho forse ragione?
- Io non dico di no; ma bisogna darsi pace una
volta.
- Ch seguita qualche sventura a vostro fma

rito? domand Audeguier.


- Nulla, nulla, rispose la donna.
-- Nulla, nulla, ripet Marziale, con un tuono di
Voce che voleva dire precisamente il contrario.

-179-

-- Insomma, ripigli 1 ostessa, che comandate


voi pel vostro desinare? voi sapete che l' osteria della
Rosa Fiorita non la cede a quella del Sole di Tolosa.
-- Ecco, eslam Marziale, tu mi faresti ridere

quando ti sento parlare cos franca, come se noi


fossimo a tempi del buon Raimondo di Tolosa. E
sono andati que giorni! e sono andati, cara mia
Anastasia.

- Ma bisogner pure offrire qualche cosa a no


stri avventori.
-- Ma tu sai bene, che non v pi n un pollo
nel pollaio, n un piccione nella piccionaia, n un

cavolo, n una cipolla nellorto. gia di troppo che


sia rimasto qualche pesce ne umi.
- La conclusione di tutto questo, disse Audeguier,
.che voi non avete da darci nulla da mangiare.
-- No, no, grazie a Dio, rispose Anastasia: noi

abbiamo delle tinche cotte col lardo, e del pane...


- Di vecce, interruppe Marziale.
,
. - Di vecce si, ma vi assicuro ch buono e gu
stoso come le ciambelle delle monache di Nostra

Donna di Castelnaudary.
- Avremo almeno del vino? domand Audeguier.
- Del vino! esclam Marziale con tal atto di
maraviglia come se gli fosse stato richiesto dell am
brosia del paradiso. Del vino! Ma voi non sapete
adunque, che col pretesto che io avevo preso cura

di un ferito della giornata di Muret, un povero gio

-180_.

rimetto che pareva Lazzaro resuscitato, mi han por

tato via, non che le botti, sino gli usci della casat
- Vino non ne abbiamo, interruppe la donna ,
che non volea lasciar pi dire suo marito; ma ab

biamo della buona cervoia di sorbe, che par pro


prio vin di Borgogna.
La fame fece trovar buone le tinehe col lardo
vieto, e la sete fece trovare tollerabile la cervoia ai
due viaggiatori.
In quel tempo altri avventori entravano nell' oste
ria, e fra questi un uomo avvolto in un mantello,
che and a porsi in un angolo della sala, e poco

dopo un giovine, che al viso e a modi pareva abi


tuato alle arme. Questi, vedendo Raimondo, fece un
atto di meraviglia, ed apri la bocca quasi profferir
volesse un nome; ma e si raren, e si volse dal
l altra parte.
- Come va Bernardo?
- La va male, e male di molto, mio caro Mar
ziale. Avevo venduto quel po di roba che mi restava
per comprare un paio di manzi e lavorare la mia
terra, che da due anni rimasta incolta.
-- Ebbene?

-.- Ebbene, sono venute le genti del nuovo sini


scalco Roberto Mauvoisin, e me il han pigliati; e

perch io gridava: Come far io per lavorare la mia


terra? Mi hanno risposto: Un eretico pu bene at-.
taccarsi all aratro.

-181==

Marziale gitt una bestemmia si solenne, che Ana

stasia si segn sulla fronte, sulla bocca e sul petto.


Quest atto devoto fece traboccare la misura, ch era
gi. colma. Marziale si lev come furibondo, dicendo
alla sua donna:
-- Anastasia, sono trent anni, che noi siamo ma
rito e moglie, e non abbiamo giammai avuto una

parola tra di noi.


_ Si, vero, e lo sa tutto il vicinato; e poi tu,
con tutte le tue caldane, tu sei un brav uomo...
'- E tu sei una brava donna; ma io ti dico,
ch' io ti disfar colle mie mani, se io ti vedo un al.
tra volta fare il segno della croce.
- Ges e Maria! grid la donna spaurita: ecco,

tu dici delle paroleI che chi non ti conoscesse, ti


potrebbe prendere per quello che non sei.
- E che importa a me per ci che mi tengano?
E ci dispogliano delle nostre terre, e ci tolgono le
nostre masserizie, e' ci tengono nella schiavit e nella
miseria; e il nostro unico diletto e di sapere che le

cose nostre e le donne nostre son preda de forestieri,


e di vedere le lunghe e liete cavalcate dei vescovi

e degli abati, che colla loro pompa insultano alla


nostra miseria, e che calpestano sotto le zampe dei
loro cavalli i campi che servivano altra volta a nu

trirci. E' dicono che la loro podest viene da Dio:


io non dico di no; ma vien da Dio come 1 inonda

zione, la siccit, la gragnola, il fulmine e la peste.

-'182

Era a questo punto 1 aringa di Marziale, che Ana

stasia aveva pi volte invano tentato d interrompere,


allorch udironsi grida e lamenti nella strada; e tutti
corsero sull uscie per vedere che fosse.
Un orribile spettacolo si present a loro sguardi.

Una lunga fila di ciechi, colle occhiaie insanguinate,


pel supplizio che di fresco avevano sopportato, ve
nivano da Castelnaudary. L aspetto e il portamento

li dimostrava tutti appartenenti alla classe de cava


lieri e de ricchi cittadini; ma i pochi cenci, ond e
ran coperti, la magrezza e lo squallore de loro vlti

rivelavano abbastanza i lunghi strazii :da [iero sof


ferti. Le membra scarne, il pallore delle labbra, il
rossore febbrile delle guance, i gemiti dolorosi che
uscivano da loro petti eran segni di fame e di sete.

E si tenevan tutti 1 un coll altro , e serviva loro di


guida un uomo, che aveva il lume degli occhi; ma
al quale, ohim! mancava lume pi prezioso, quello
dello intelletto. Costui mal poteva dirsi se fosse gio

vine 0 vecchio: giovine pareva alla svelteaza e robu


stezza della persona, alla forza che rivelavasi in tutti
i suoi movimenti, e alla vivacit de suoi sguardi;
ma vecchio lo avresti detto alle rughe che solcavauo
il suo volto, alla sua barba e a suoi capelli pi bian
chi che grigi arrutfati e scompigliati sul suo capo.
Egli precedeva cantando; ma aquando a quando sin
terrompeva con uno scroscio di risa insensate, o con

urlo di dolore che faceva rabbrividire chi lo ascoltava.

- 185 -

Un mormorio di compassione sorse alla loro vista

negli avventori dell osteria; ed i ciechi che sentirono


(1 essere in presenza di anime viventi, cominciarono

a gridare:
'
-*- Abbiate piet di noi, che fummo nobili signori
e prodi cavalieri della Linguatloca. Muoriamo di sete,
geliamo di freddo! Una gocciol-a d" acqua! una goc

ciola d acqua.
-- Ecco la mia corte, gridava il pazzo: sono i
pi nobili cavalieri della Linguadoca. Gli ho voluti
tutti senz'occhi perch non vedano la bellezza di Laura,
che sono riservate a me solo, a me signore di Sai

sac, e perch non possano tradirmi come fu tradito


il visconte di Beziers.
Una donna il cuor m' ha tolto,
il cuor mio di mezzo al petto:
M ha di tenebre ravvol.to,
M' ha rapito l intelletto.

La sa Iddio quanto lho amata!


0h 1' ingrata! ingrata! ingrata!

} ciechi continuavano a gridare:


-- Un pd acqua, per carit, un po?daua:

oh che non v anima umana che avr compassione


di noi?
--- Da dove venite, infelici?
-- Da Castelnandary.

- E chi vi ha ridotto in questo stato?


- Simone di Montorte e Roberto Mauvcisin suo

__ 185 __

siniscalco, pe consigli del vescovo Folco. Ci han tolto


i beni, ci han tenuto lungamente in prigione, ed ora.
ci han cavati gli occhi, e ci cacciano dalla diocesi

di Tolosa: e non sappiamo dove andare, e muoriamo


di fame e di sete, perch il pazzo, che si fatto
nostra guida, non ci ha voluti condurre presso qual
che fonte, perch dice che i suoi cavalieri non deb
bono bere dell' acqua, ma del buon vino di Bordeaux.
E gli altri non ci soccorrono perch han paura della

scomunica!

Gli spettatori di questa scena erano profondamente


commossi; ma nessuno osava infrangere apertamente

il divieto; e frattanto que miseri esclamavano:


- Ah! nessuno ha misericordia di noi!
- Uccideteci almeno per piet!

- Fummo signori di terre e di castella, e non


ci rimane nanco un pezzo di laccio per istrozzarci!
E mentre gli uni cos si disfogavano il loro de'
lore, altri stavano silenziosi e raccolti e frementi,
sdegnando d invocare 1 inoperosa piet degli spet

tatori, altri mettevano solamente de profondi sospiri,


mentre lagrime abbondanti sgorgavano dalle loro oc
chiaie insanguinate, e scorrevano sulle loro guance

scarna e le loro ispide harbe.


-- Avanti! avanti! miei cavalieri, diceva il pazzo.
Lo splendore degli occhi di Laura ha tolto a voi

la vista, come a me ha tolto il cuore. Venite al ca


stello di Saisac.... No, anzi, venite al sepolcro del

185

visconte di Beziers: bisogna ch e sappia ch io non


lo tradii: e voi me ne farete testimonianza. Povero
visconte di Beziers, io tradirti! io tradirtt... AliLau
rat... Ah Laura! E Saisac comincia a piangere di
rottamente.

Raimondo non pot pi frenarsi, ed entrato nel


1' osteria, pigli la brocca della cervoia, e laccost

alle labbra di quello che pareva pi assetato, dicen


dogli:

'

- Bevete, nobile cavaliere.


l ciechi, allorch s accorsero che v'era chi beveva,

gittarono degli urli inauditi, e si precipitarono tutti


verso quel luogo: e chi era troppo debole per urlare
e per correre, si strascinava gemendo.

- Maestro Marziale , disse Raimondo: date a que


sti infelici quanto di mangiare e di bere si trova
nella vostra osteria: io pagher tutto.
- Pagare! esclam Marziale. Se quelle anime
dannate de' crociati mi han tolto quasi tutto, lasciate

almeno che di buon cuore io dia quel p che mi


resta a questi poveri martoriati, nostri compaesani,
nostri amici, nostri compagni e nostri fratelli. A me
Anastasia.
E in cos dire Marziale entra dentro losteria, e
comincia a portar fuora tutto quanto aveva di cer
voia, di pane e di altri cibi. Anastasia aiutava suo
marito, pregandolo di far presto; perch la buona

donna non si doleva della prodiga]it di lui, ma te

-186-

meva e potesse esser veduto dalle genti del vescovo,

e preso. come fautore di eretici.


In un momento tutto quanto v era da bere e da

mangiare fu bevuto, mangiato, divorato.


- Andiamo via subito, disse Audeguier al suo
signore.

- Si, rispose Raimondo, andiamovia subito.


E' ricollocarono sui muli i loro fagotti, pagarono
lo scotte, e montarono in sella. Allora quel giovine
dalla gura marziale , che da principio aveva mostrato
maravigliarsi vedendo Raimondo, e che poi non si
era pi occupato di lui, gli si avvicin e gli disse:
- Signore, voi siete mercadante: io auguro avostri
trailichi quella fortuna che tutta la Linguadoca desidera.
- Non vi comprendo, mio amico, rispose Rai

mondo: come volete che la Lnguadoca si occupi di


me e de miei traichi?
- Voi portate de drappi rossi con croce d'oro, ri

pigli il giovine: sono i drappi che pi desidera la


citt di Tolosa.

-- Io vi comprendo anche meno, disse Raimondo:


- Non importa, io mi chiamo Raimondo Alfaro
e sono della terra di Avignonet.

E in cos dire, il giovine salut e si part canti

chiando un antica canzone telesana.


-- Signore, disse Audeguier, avete osservato quel
luomo involto nel mantello, ch rimasto sempre

sedute nell osteria?

_187

-- Perch mi fai questa domanda?


- Perch mentre egli osservava voi, io osservava

la sua sonpma.
- E lhai trovata?

- Diabolicamente traditrice.
- Veramente?
-- Di pi, accortosi egli ch io 1 osservava,
uscito dall' osteria: vedetelo, eccolo l.... e si dirigge

a passi affrettati alla volta di Tolosa.


- E noi anderemo alla volta di Foix, disse Rai
mondo.
- Sta bene', disse Audeguier.
i due nti mercadanti svoltarono a destra. I ciechi
tenendosi 1' un 1 altro per le mani continuavano il
lor triste viaggio, seguendo i passi di Saisac, men
tre gli echi della valla ripetevano tristamente la do
lorosa canzone:
- Lo sa Iddio quanto l'ho amata!
Oh l' ingrata! ingrata! ingrata!

FINE DEL TERZO VOLUME.

INDICE DEL LIBRO TERZO

Cm. l.
11.

Dove il Lettore avr notizia di Agnese pag.


Come Edmondo dette la lettera di Maria
al signore di Mincrve, e ci che ne

segu . . . . . . . . . . . . . . . .
[I].

Come Baldovino di Tolosa si un a ne


mici di suo fratello e divent vas
sallo del Monforte . . . . . . . . . .

IV.

Della prima ferita che tocc il giovine

V.

Raimondo di Tolosa . . . . . . . .
Dellassedio di Tolosa edclla giornata
di Las Navas de Toledo . . . . . .

Vi.

Che vi pu essere di comune fra una


glia di re e una popolana .

5.

14.

52.
67.

VII. Di ci che segu nel campo di Muret,


la vigilia della battaglia . . . . . .

vm. Della battaglia di Murct . . . . . . .


IX.

X.

XI.

Della infelice ne di Baldovino di To


losa, e del ritorno di Agnese al ca
stello del vecchio Girardo . . . . .
Come la citt di Tolosa si sottomise
alla Chiesa Romana e a Simone di
Monforte..............
Come Luigi, glio del re di Francia,

74.
9].

1 06.

118.

venne per la prima volta in Lin


guadoca , e vi conquist la mascella
di S. Vincenzo, e di ci che si fece

nel concilio di Laterano. . . . . . pag. 151.

XII. Como Eloisa fu interrogata dal vescovo


Folco, e trovata sospetta di eresia.

XIII. Come Raimondo di Tolosa visit la

Linguadoca e di ci che vi trov.


XIV. Come Raimondo di Tolosa continu il
suo viaggio nella Lingua<.looa . . .

FINE DELL'INDICE DEL LIBRO TERlO.

147.

161.

172.

I""

AVVERTENZA

Coloro i quali credesselo inventati o esagerati gli atroci


fatti narrati in questo Romanzo, sappiano che in fine I"

osso l'Autore pubblicher le citazioni de cronisti contem


poranei e dei documenti isterici da quali sono attinti.
Gli Editori.

STABILIMENTO TIPG_RAFICO PONTIIENIER

prre in vnrsa bi stampa


r'
TEATRINO DEI FANCIULLI

III A (B (B (I) E: I? A
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idBLIOLO

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Un grosso volume diviso in 5 dispense a Cani. 50 cadano.


Ogni dispensa conterr due Operetle.

PUOBLIOL'IL LA SECONDA DISPENS.L


Colla prossima terza dispnsn si dar una produzione del Sig. DAVID
Cmossoun , apposilamenle scritta.

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1855.

GIORGIO FRANI m MONACO.

(Iii E(iil(.ri intendono gn(i del privilegio avcordatn sulla propriet Ivtlcraria
avendo adompito a quanto proscrivv la Legge.

LIBRO QUARTO.

_5_.

evangelica povert. Per le che, col conscntimento


del capitolo, e dona a detti frati la sesta parte delle
decima di tutta la diocesi. Ecco come cominciava.
l evangelica povert de frati predicatori! N di ci
contento il vescovo, col conscntimento di Giordono
abate di san Sernino, dette loro 1' ospedale della

porta di Arnoldo Bernardo, ' pe bisogni delle dame


convertite di Prouille e de frati che avevan cura di
loro nello spirituale e nel temporale. Folco present
quindi Domenico a papa Innocenzo nel concilio di
Laterano, e gli chiese la conferma dell ordine de

predicatori; ma Innocenzo rimando Domenico a To


losa per consigliarsi co suoi fratelli intorno la re
gola colla quale governarsi, e fu quella di santo Ago
stino , in alcune sue parti riformata. Erano adunque
i frati predicatori, per commissione ricevutane dal
vescovo Folco, incaricati dell estirpazione dell eresia

nella. diocesi di Tolosa, e come loro capo frate Do


menico diceva al detto vescovo e al siniscalco:
- L' eresia non morta.
- L eresia! esclam il siniscalco; ma dove sono
pi gli eretici?

- In tutti i luoghi, rispose Domenico: ne segreti


delle case, nelle ombre de boschi, nelle caverne de
monti. "ci avete gli occhi e non vedete, avete gli
orecchi e non sentite. Voi vi siete contentati di ar_

dare qualche eretico , che gridava sulle pubbliche


piazze e ne trivj la sua eresia; qualche insensato

__7._

che osava levare il suo braccio contra alla chiesa


di Ges Cristo; e credete di avere estirpato la mala
pianta, sol perch ne avete reciso qualche ramo: ma
le harbe sono rimaste, ma esse si sono fortificato ,
e gi rimettono polloni pi rigogliosi di prima. Di
pi voi avete mescolato pensieri mondani nelle opere

della religione, ed avete dato la caccia con maggior


zelo a beni degli eretici, che alle loro nefande dot

trine. Mostratemi i roghi di Guillaberto di Costres


vescovo eretico di Tolosa, di Benedetto di Ternes
vescovo eretico di Carcassonna, di Vigoroso di Ba
thum vescovo eretico dellAgenois, di Bartolommeo
di Carcassonna, il pi pericoloso ed autorevole ere
tico della Linguadoca.
- Ma ditemi dove e sono, rispose il Mauvoisin,
e vedrete se tarder un istante a farli ardere a fuoco
lento: indicatemi il luogo dove colpire, ed io colpir.
-- Dappertutto, disse Domenico, perch dapper
tutto qui I eresia: uccidete , ardete, e voi sarete
sicuro di uccidere ed ardere degli eretici. Queste citt
sono guasto e corrotte sin dalle fondamenta; queste
citt non son con noi, e chi non e con noi con
tra di noi, e quindi contra di Dio, perch noi siamo
i ministri della sua giustizia e della sua vendetta.
-- Aveva io ragione, esclam il vescovo Folco,

di voler ardere questa citt di Tolosa!


-- In quanto a me , disse il siniscalco, io ci avrei
avuto gusto; ma a Simone di Monforte mio signore

_8_

non poteva piacere di perdere la pi grande e bella


citt della Linguadoca.
-- Non sono citt grandi e belle, rispose frate

Domenico, se non quelle che ubbidiscono alla legge


del Signore. Era grande e bella Gerusalemme, ma
la crucesse il Redentore, e fu arsa e disfatta, ed i
cavalli romani ebbero sino al ginocchio il sangue de
suoi gliuoli: era grande e bella e possente la citt
di Tiro, ma ella si ribell al Signore, e il Signore
fece uccidere il suo popolo colla spada, e fece pre
dare le sue facolt, e rubare le sue mercanzie, e

distruggere le sue case, e disfare le sue mura e la


ridusse come un sasso ignudo sul quale stendono le
loro reti i pescatori. E poi, siete voi sicuri di con
servare questa citt di Tolosa?
- In quanto a questo, rispose sorridendo Mau

voisin, io non saprei in verit chi potrebbe toglier


cela. Filippo Augusto re di Francia, non che aiutare
colui che fu conte di Tolosa, gli nemico: il re
dInghilterra, che gli cognato, si dichiarato in
suo favore; ma la sua protezione inefcace, per

ch in guerra colla Francia e co suoi baroni: Fede?


rigo imperatore, altro suo cognato, ha troppe ob
obbligazioni alla chiesa per voler difendere un fan
tore di eretici. Che pi? Il re di Aragona suo nipote
un fanciullo, e gli Aragonesi terranno lungamente
paurosa ricordanza della. giornata di Muret. Sancio

re di Navarra suo genero ha ripudiato la moglie, ed

_9._

in rotta con lui; Arrigo re di Castiglia , altro suo


nipote, troppo debole e troppo lontano per potergli

fornire validi aiuti. Chi volete adunque che possa


togliere dalle mani del Monforte la citt di Tolosa?
- Colui che ne fu signore, rispose Domenico.
- Da Genova!
- E non in Genova.

-- E dov adunque?
--

In Provenza.
In Provenza?
Per l appunto.
Con suo figlio?

- No, suo glio nella diocesi di Tolosa.


- Nella diocesi di Tolosa! esclama:ono maravi
gliati il vescovo e il siniscalco.

- Ve 1' ho io detto, che voi avete occhi e non


vedete, avete orecchi e non sentite? Voi attendete
che la ribellione si mostri a bandiera spiegata, noi
la ricerchiamo ne' suoi conciliaboli tenebrosi.
- Ma come avete voi fatto per sapere che Raimondo
si trova nella diocesi di Tolosa? domand il siniscalco.
- Fate come noi facciamo , rispose Domenico,

e voi saprete tutto. Non dissipata inutilmente le vo


stre ore, infervoratevi nell amore di Dio e nell' odio
de' suoi nemici; vogliate il giorno e la notte; tenete
fedeli esploratori in tutti i mercati, in tutte le osterie,

in tutti i prostriboli; interrogate linnocenza de' fan


ciulli, la gelosia delle innamorate, la loquacit. de

_10_

servi, il rancore de nemici; osservate come i citta

dini si salutano fra di loro, come si guardano, come


sorridono; indagate le cagioni della mestizia e del
riso; notate ogni atto, ogni detto, ogni moto, ogni
cenno; raccogliete le parole sfuggite a" vaneggiamenti

del vino, all ebbrezza della speranza, a. delirii della


febbre, a rimorsi dell' agonia; ed allora voi potrete
dire , come Elihu disse a Giobbe: Non v e oscu
rit, n ombra di morte alcuna, ove si possano na
scondere gli operatori d iniquit.

- Ah! frate Domenico, esclam il vescovo, voi


siete 1 uomo di Dio, ed io sono un povero peccatore.
-- Pensiamo a rimedii , disse Mauvoisin.

- Impossessatevi del giovine Raimondo, rispose


Domenico.

- Sappiamo dov e si trova?


- Giorni sono era a Beziers ; marted passato non
lungi di Foix; ieri presso Montauban.

- Ebbene, disse il siniscalco, io tender tanti


lacciuoli intorno a lui , che sar impossibile che
sfugga dalle nostre mani; e scriver al conte di Mon
forte perch affretti il suo ritorno. Vado a darne
avviso alla contessa Alice.
E Roberto di Mauvoisin si part volgendo in mente

pensieri crudelissimi, ma serbando sul volto quel suo


sorriso freddo ed ironico che non mai 1 abbandonava.
- E noi frattanto, disse Domenico, occupiamoci
degli eretici: un grande esempio necessario.

_11_
- E" cosi lddio, soggiunse Folco, ci perdoner i
nostri peccati: non vero, frate Domenico , che
Iddio ci perdoner?

-- Si, e vi perdoner, se voi farete penitenza,


perciocch quello che purga i peccati e la penitenza,
per la quale l" uomo s medesimo giudica, ponendo
i mali che ha fatti, onde disse 1" apostolo san Paolo:

Se noi giudicast;imo noi medesimi, per certo non


saremmo poi giudicati. E Ges Cristo dicea nel
Vangelo: Se voi non avrete penitenza, tutti in
sieme perirete. 0 peccatore non avere di te si cru
dele misericordia, che per risparmiarti di non soste
nere un poco di disagio qui ,. ti conduca ad essere
condannato per giusto giudizio di Dio all'eterno fuoco

dell inferno !.
- Penitenza! penitenza! esclam il vescovo Folco,
affinch io possa dire coll apostolo delle genti: lo
gastigo il corpo mio, e riducolo in servit dello spi
rito; e gitto un fondamento di penitenza, per farvi
un edicio di eterna salute.
- S, disse Domenico, penitenza ed espiazione.
-- Le carceri del vescovado sono piene di eretici,
rispose il Folco: offriamo un sacrizio d" espiazione
al Signore: e che il fumo del rogo in cui ardono
gli eretici ascenda al suo cospetto, ed egli lo riguardi

come riguard lolocausto di Abele, e plachi la sua ira.


- Nelle prigioni del vescovado v e una fanciulla
bellissima, disse Domenico, serva fuggitiva della

_14__
-- Ordinate, uomo di Dio, ci che io debbo fare.
- Lasciate che questa donna sia convinta di ere
sia, e che subisca la pena dagli eretici meritata.
-- E se fosse innocente?

- Ma perch non dite questo degli altri? Non


vedete voi che il demonio vi rende ingiusto?
- Si, il demonio, avete ragione frate Domenico,

il demonio... Qui v' e della magia, io ne son sicuro.


-- probabile , disse Domenico: l eresia e la.
magia sono sorelle, parcb ambedue procedono da

Satana. Lasciate a me la cura di esaminare leretica


e la maliarda.
-- E voi mi promettete il perdono di Dio?
-- Sulla mia anima in ve lo prometto.

-- Che la vostra volont sia fatta, o Signore!


disse il vescovo con un sospiro.
Quando Folco fu solo, entr nel suo oratorio ,
denud le sue spalle, e, gittatosi per terra ginoc
chioni, cominci a percuotersi cosi furiosamente colla
disciplina, che le funicelie furono ben tosto intrise
di sangue e sgocciolavan sangue sul pavimento. Stan
co alla ne di percuotersi e di piangere, si rivest,
piglio in mano il salterio e scese nel suo giardino.
Era una bella giornata del principio di aprile: gi

la terra si smaltava di verde erbetta; gi gli albicoc


chi, i peri, i peschi si coprivano di fiori, e tutti

gli alberi si rivestivano di novelle fronde. Un odore


grato e soave esalava da tutta questa nuova vegeta

_15_
zione. Le rondinelle andavano e venivano aiiacendate,

portando la creta che serviva alla costruzione de loro


nidi sospesi alla tettoia sporgente del palazzo, ed i
li di lana, e le secche erbette e la lanuggine deori
che doveva formare la sofce zana della loro prole.
Tutto il creato pareva sorridere d amore.
Folco, tristo, livido in viso, agitato, si metteva

a sedere sotto un albero, ed aperto il Salterio al


salmo Lxrx, leggeva:
- Salvami o Dio, perciocch le acque sono
pervenute inne all' anima mia.
_

lo sono aifondato in un profondo pantano, dove


non v luogo da fermare il pi: io son giunto alla
profondit dell acqua, e la corrente m inonda.
Io sono stanco di gridare, io ho la gola asciutta:
gli occhi mi son venuti meno, aspettando l Iddio
mio.
Il quel momento il suono di una mandla si fece

sentire, dolce, soave , come il sospiro di unanima


innamorata.

Folco sospese la lettura del salmo, alz la testa,


guard allinterno , e non vedendo alcuno, continu
a leggere:

- 0 Dio, tu conosci la mia follia, e le mie


colpe non ti sono occulte.
Il suono si avvicinava: Folco si alz, fece qualche
passo; ma subito si soffermo, si segn e ritorn a
sedere:

...'16-.

- Rispondimi, o Signore: perch la tua beni

gnit buona: secondo la grandezza delle tue com


passioni riguarda verso me.
E non nascondere il tuo volto dal tuo servo: per
ciocch io son distratto; affrettati, rispondimi.

Una voce di donna cantava:


- Donzelle vaghe e dame innamorate,
Ritorna la stagione dein amori:
Colle trecce di mirto e rose ornate,
Non siate crude a' giovani amarlori.
Sta bene il mirto e sta bene la rosa
A bui capelli di donna amorosa;
Sta ben la rosa ed il mirto sta bene
Quando il bel tempo dell'amore viene.

Folco rimase estatico udendo quella dolce canzone;


e dovette fare un grande sforzo per leggere macchi

nalmente in altra parte del Salterio:


- Abbi piet di me, o Dio, secondo la tua
benignit: secondo la moltitudine delle tue compas
sioni cancella i miei misfatti.
Lavami molto e molto della mia iniquit, e net- ,
tami del mio peccato.

Perciocch io conosco i miei misfatti, ed il mio


peccato del continuo davanti a me.
Il canto ricominciava pi dolce e pi voluttuoso
di prima:
-- Le vostre guance son fresche, e rosate,

I vostri labbri paiono rubino;

_ 17 __
Con uno sguardo il mondo innamorate,"
Co denti belli e il petto alabastrino.
Quando la rosa le sue foglie spande,
Allora buona a mettere in ghirlande;
Quando la rosa spande le sue foglie,
Maledetto d'Amor chi non la coglie.

Folco fece un ultimo sforzo per dire:


- 0 Dio, crea in me un cuor puro; e rinno

vella dentro di me uno spirito diritto.


Non rigettarmi dalla tua faccia; e non togliermi
lo spirito tuo santo...
Ma e non pote pi proseguire, ed alzatosi nuo

vamente , si avvicin al muro di dietro al quale pa


reva venisse quella voce, che tanto turbamento aveva
gittata nell anima sua. Presso al detto muro era un
banco di pietra: per ben quattro volte Folco alz il
pie per montarvi su; ma e si sOlfermava, segnan
dosi e recitando , pi colle labbra che colla mente,
una qualche preghiera o esorcismo: da ultimo, il
vecchio peccatore soccomb alla tentazione, e sali
sul banco, e pot sollevare il suo capo sopra del

muro, tra le ellere che ne ornavano lo spigolo.


Era da quellaltra parte un piccolo orto, in fondo.
del quale un sedile ad arco coperto di erbe e di ori,

al quale facevano spalliera ed ombrello lauri, mirti


e caprifogli oriti. Quivi era assise. cantando una
donna molto bella, brunetta, complessa, con occhi
e capelli nerissimi e con tal grazia voluttuosa e se
ALmG. Vul.lV.

_19_

-- Non lo conosco, rispose il magnano.


-- Era vostro vicino !

- possibile.
-- Ma non v pi?

- Sar partito.
- Per dove ?
-- Non lo so.
- Anche la sua donna?
- Vi dico che non so nulla.
- Ma voi fate per cella.
Il magnano guard Audeguier con un certo terrore;
questi continu:
- L' osteria adunque disabitata?

- Vi sono delle genti che portano disgrazia an


che alle case, dove abitano.

- Com a dire? domand Audeguier.


-- Avete voi comandi da darmi? volete buoni
ferri di cavallo, scuri, falci, vomeri! Se non avete
niente di bisogno, lasciatemi lavorare. Ed egli co
minci a battere con tal furia un vomere rovente,
che aveva tirato allora dalla fucina, che Audeguier
si trov involto in un vero vortice di faville, e do

vette convincersi che il meglio era partirsi al pi


presto possibile.
Audeguier giunse verso sera alle porte di Tolosa
con un grandissimo corbello di frutta sulle spalle;
e non senza un certo batticuore, e' vide che le guardie

erano numerose e vigilanti. Ein tent di passare

_20_
affrettando il passo, come sollecitato dal grave peso
che aveva sulle spalle; ma le guardie gli misero le
mani al collo della cosacca, e cominciarono a guar
darlo in viso con molta attenzione.
- Che volete voi che mi guardate cosi in viso?

disse Audeguier, imitando come pi poteva l'accento


e i modi de contadini guasconi. Ho io forse 1 itterizia? Perch impedire un povero contadino che vuol

vendere le sue frutta. in citt? Vi per poco carico


questo che ho addosso? Che volete voi da me ?
- Che vogliamo? visitarti, interrogarti....
- Visitate pure, interrogate pure, asini che siete;
ma non mi tenete cosi a storcermi il collo.
-- Sta zitto per lo tuo meglio , e vieni dal no
stro capo.
-- Anzi son io che vi chiedo (1 essere condotto

da lui. Pel sangue di san Saturnino! dar noia, senza


ragione, ad un onest uomo! Voglio veder questa
io
Menatemi anzi dal siniscalco..... egli sapr. il
sopruso che voi mi fate. E poi volete che si portino
delle vettovaglie in citt?... Vorrei mozzarmi le ma
ni, vorrei cavarmi gli occhi, vorrei impiccarmi co
me Giuda, prima di ritornare a Tolosa.
- Via, via, lasciamolo passare, disse un uomo

(1 arme; e tu unaltra volta frena la lingua, guas


cone imbecille; e in cos dire, in segno di commiato,

gli dette una solenne pedate.


_
Audeguier ebbe voglia di tirargli sul capo il cor

__21__
bello colle frutta; ma la riessione venne a tempo
per consigliarlo a non rivoltarsi, e ad andar via

bestemmiando nel pi puro dialetto di Guascogna.


Dopo avere girato e rigirato per molti viottoli e
chiassoli del borgo, Audeguier giunse alla casa delle
due amiche e cominci a salir per le scale:
_ 0 quell uomo, voi vi sbagliate, grid Geltrude

dall uscio: che credete voi forse d' andare a mer


cato? Voi l avreste ad aver pigliata bene la sbor
nia. Oh! lasciateci co nostri guai, che gi. ne ab
biamo di troppi.

-- Geltrude! Geltrude! disse Audeguier a bassa


voce.
- Santa Vergine! Audeguier!
- Mi riconosci?

- Io ho riconosciuto la voce, ch sarebbe stato


impossibile altrimenti cosi vestito e acconciato come
sei: e poi, a questo barlume. Ma vien su, vien su,
amico mio. Uh! poverino! come tu sei caricato.

- Io ho la spalla slogata; ma non fa nulla: aiu


tami a metter gi questo corbello di pere.
Posto gi il carico, dato un haciozzo sonoro alla
Geltrude, Audeguier domand di vedere Eloisa; ed
allora e seppe, che Eloisa era stata presa dagli ar

cieri del vescovado, ma che non sapevasi dove fosse


stata condotta; che Matilde, dopo aver venduto tutto
quanto aveva, era partita , lasciando la Geltrude acu

stodia della casa, se mai giungessero lettere ed avvisi

._22_

di Raimondo, e dicendo alla fante, che quando avesse


bisogno di lei le farebbe a sapere la sua nuova dimora.
facile immaginare come rimanesse Audeguier;
ma, come uomo di risoluzione chegli era, si fece
animo, e disse:
- Oramai notte, e non v niente da fare. Io
sono stanco snito, che ho fatto nove miglia a pi
con questo carico sulla spalle, n mi reggo pi:

beviamo un sorso e andiamo a letto: dormendo ven


gono i buoni consigli.
- Andiamo a letto! esclam con pudica mara

viglia la Geltrude; ma qui non v e che un sol letto!


- E questo per me basta, rispose Audeguier, vuo

tendo una tazza ben colma di vino.


- Ed io?
-- E tu pure, sintende.

- Santa Madre di Dio! e 1 onor mio?


-- Nessuno lo sapr... e poi, noi staremo come
fratello e sorella.
- Oh mio Dio! oh mio Dio! E dire che s

arrivati a trentanni per vedere di queste cose!


- Messi da parte i trent anni, su quali forse ci
sarebbe da aggiungere qualche cosa, io ti dico, mia

cara Geltrude, che tu non vedrai nulla di ci che


non vorrai vedere.
-- Ma non v e posto per due.

- Una notte fa presto a passare.


- Ecco, si deve far sempre a suo modo.

-25_

Geltrude si rassegn non senza grandi esclama


zioni: Audeguier si stese tranquillamente e vestito

com era nel letto, dove la fante, dopo avere spento


il lume, e fatte cento altre raccomandazioni, non
tard a raggiungerlo.

-- Bada Audeguier... tu sai quel mhai promesso...


Mio Dio, io tremo tutta... chi me lo avrebbe detto?...

0- fammi un po di posto, tu sai che io son gras


soccia... Oh! oh! non dimentichiamo i patti, vhe!
Audeguier gi dormiva profondamente, e l onore
di Geltrude era salvo.
Il degno scudiero aveva. detto -. dormendo vengono
i buoni consigli; ma fatto sta che invece vennero

gli arcieri e famigli del. vescovado, e ad onta delle


sue proteste d innocenza e delle lagrime della po
vera Gcltrude, lo menarono alle prigioni del vesco
vado, che nominavano l Escarlate.

Il primo pensiero di Audeguier, non ci sarebbe


bisogno di dirlo, fu quello di ogni uomo che si
trova in prigione, cio fuggire. Ma come? Colla
forza? Impossibile! Cogli artici? ma con quali?
Una speranza gli restava: Raimondo gli aveva dato

una borsa ben piena di monete doro; e le monete


doro da tempi di Danae in poi hanno avuto una
mirabile virt per aprire ichiavistelli. Ein compose

il volto ad un beato sorriso, e cacci con gran com


piacenza la mano nella tasca della sua casacca. Obi
me'. la tasca era vuota; ed invano e la voltava e

_ 24
rivoltava da tutte le parti: la borsa era sparita.
Quando la mattina seguente entr il carceriere a
portargli il pane e l' acqua:
'
- Signor carceriere, e gli disse: sapreste darmi
notizia della mia borsa?
- Qual borsa?

- Quella che avevo in questa tasca , e che ora


non trovo pi.
-- Voi avevate una borsa?

- Si signore, con delle buone monete d' oro..


--cieri,
mente

Oh ladri! oh ladri senza vergogna!


Di chi intendete parlare, signor carceriere?
Di quelli che han rubato la borsa, degli ar
di quei malfattori.
Questa indignazione vi onora, disse grave
Audeguier: si vede bene, fede di Guascone,

che voi siete un onest uomo.


- Io ricorrer a frate Domenico, io ricorrer a
frate Raimondo, io ricorrer al vescovo perch se
ne faccia giustizia.
- No , no, non ne fate nulla, non val la pena,

non v erano che pochi soldi ricavati dalla vendita


di due panieri di chi primaticci... non ne val la
pena, io vi ringrazio, disse Audeguier, il quale com

prese che oramai la borsa era perduta, e che fa


cendo troppo parlare di questa borsa con monete

d oro trovata nelle sue tasche, i sospetti che vi po


tevan essere contro di lui si sarebbero accresciuti.

._ 95 _
- Ma di che mi ringraziate, e di che v inge
rite voi? domand con voce barbera il carceriere.

- Oh bella! disse Audeguier: se il furto fu com


messo a danno mio...
-- A danno vostro?
- Ma insomma chi qui il derubato?
- Io, disse con accento di profonda convinzione
il carceriere.
- Ah! fece Audeguier: ed io l imbecille che cre

deva che la borsa fosse mia!


-- Vostra sino alle porte del carcere; se voi la
veste saputa guardare, balordo e animale che siete.
- Ma entrato qui, voi 1 avreste presa?

- S intende, come fo con tutti per principio di


probit.
- Di probit ?

-- Si, rispose il cameriere, a ne dimpedire


che i prigioni possano corrompermi, il che sarebbe
cosa disonest e contro al servigio della santa chiesa.
Verso sera Audeguier fu condotto alla presenza
di frate Raimondo per essere esaminato. In quel
tempo non erano ancora inventati il cavalletto , la
tortura, lo stivaletto di ferro, ed altri simili stru
menti, che tanto giovarono negli anni seguenti alla santa inquisizione contro gli eretici; ma vera di gi il
rogo, e non era cosa di nulla, ond scusabile Au
deguier se si sentisse un certo batticuore molesto,
ch egli per altro dissimulava maratigliosamente sotto

.__26_

laspetto il pi sereno e balordo che si possa im


maginare.
- Come ti trovavi tu, mio figlio, gli domand
frate Raimondo , colla sua voce melata, nella casa
in cui fosti preso?
- Ero venuto dalla Guascopa, padre mio, a
visitare la mia cugina Geltrude, e ad 6501llllil-H dare

quel po ch ella ha al nuovo ordine de' frati predi


catori.
- Sei tu adunque buon cattolico, glio mio?

-- Ah! padre mio, io sono indegno di questo


santo nome, perch la mia anima serva del peccato.
- Forse di eresia?
- Iddio mi liberi 1

- Di disubidienza a ministri della chiesa?


-- No, padre mio, che per me io obbedisco loro
come se per loro bocca parlasse 1 istesso nostro si
gnore Ges Cristo.

- Ma quale adunque il peccato del quale tu ti


accusi?
- La gola, padre mio, ch io preferisco i polli
alle lenti, e il vino all acqua della fonte, e temo
per questo (1 esser dannato.

- Questo e lieve peccato, disse il frate: ne hai


tu altro? e parla pure con franchezza e verit, per

ch la chiesa misericordiosa, e vuole il pentimento


e non la morte del peccatore.
-- Voi mi animate a dire.

__27_.
- Dici pure, figlio mio: qual altro peccato ti

rimorde la coscienza?

-. Quello dell ira padre mio , che io non


frenarmi quando vedo gli uomini fare tutti i
sconce cose ch e lanno, e niegare ubbidienza
ligiosi, e non dar loro tutto ci che hanno,

posso
di le
a re
come

dovrebbero per la salute delle anime loro.


- Figlio mio, questa e santa ira; ma dimmi,
che credi in della nostra santa religione?

- Tutto quello che la chiesa insegna, padre mio.


- Ma pure!

-- Che volete chio vi dica? Io sono un uomo


rozzo e non so di lettere: se ragionassi da me po
trei ingannarmi; io credo adunque tutto quello che
crede la santa chiesa, ed il papa nostro signore,
che non pu fallare.

- Ma che credi tu intorno i sagramenti ?


-- Quello che crede la santa chiesa, padre mio.
-- E interno il nuovo ed antico testamento?

-- Quello che crede la santa chiesa, padre mio.


Non ci fu modo di trarre altra risposta dalla
bocca di Audeguier; ed allora il frate gli domand:
- Conosci tu il giovine conte di Tolosa?
- L eretico! il gliuolo dell eretico! esclam Au

deguier facendosi il segno della croce. Ah! volesse


il cielo che io lavessi nelle mani!
- Io son molto contento di te, o mio glio, disse
il frate.

_28_

v - Potr quindi ritornarmene a casa mia, non


vero padre mio ?
- Non ancora, glio mio.
-- E quanto dovr attendere ?
-- Forse un giorno, forse un anno, forse per
tutta la vita, quanto vorr Iddio.
-- Ma... ma se io non ho latto nulla che meriti
punizi0ne?
_

- Tu sei un buon cattolico, glio mio, e come


tale tu devi credere tutto quello che la santa chiesa
crede utile per la salute dell anima tua.

Queste parole furono dette con tal sorriso ironico,


che Audeguier comprese che il frate era pi astuto
di lui, e gli venne un terribile desiderio di saltargli
al collo e strozzarlo; ma la porta era gi chiusa a.
chiavistello, ed egli sent solamente queste parole:
- Sia ben custodito costui: egli un uomo molto
pericoloso.
,

Due ore dopo Audeguier fu fatto uscire da quella


stanza e salir su per una scala di cento venticinque
scalini: poi si apri una porta , poi un altra; e col

garbo tradizionale de camerieri, e fu spinto per le


spalle in una stanza buia. Audeguier rimase per qual
che tempo immobile, non sapendo da qual parte ri
volgersi per sedersi o coricarsi; ma alla ne fece un
passo, e urt qualche cosa co' piedi, e subito una
voce grid:

- Chi mi pesta?

__9._.

-- Scusate amico mio, io sono un nuovo venuto,


e cerco un luogo dove sdraiarmi.
- Cercate pure, disse la voce; ma non mi cam

minate su piedi.
Audeguier si rivolse a destra, e subito unaltra

voce:

-- Dove diavolo andate? ma non vedete voi che

qui v gente?
- Ma io non vedo nulla per la buona ragione
che siamo al buio, e che io non sono un gatto, n
una civetta: abbiate la compiacenza d indicarmi un
posto che non sia occupato.
-- Sar difficile, rispose la voce; ma del resto

rivolgetevi dall' altro lato.


- Io vi ringrazio con tutto il cuore, amico mio,

disse Audeguier volgendo i suoi passi a sinistra; ma


ecco una terza voce , pi adirata delle altre che grida:
- Sangue di san Saturnino! non bastano adun
que i guai che abbiamo, che anche ci devono pestare
le mani!
Audeguier credette avere udito altravolta questa
voce; ma e non ebbe coraggio di fare nuove scuse
ed interrogazioni, e dappoich gli era impossibile
andare avanti, a destra o a mancina, giudici) fosse
il miglior partito acquattarsi dove si trovava, e ap
poggiarsi colle spalle alla porta. Presa questa disa
gevole positura, egli cominci a ricercare nella sua
memoria a chi potesse appartenere quella voce che

_:0_

gli era parsa conoscente; ma le sue ricerche furon


vane: d'altronde egli aveva tante cose da pensare
che ben tosto le sue idee si confusero, ed e' si addor

ment, tenendosi colle braccia le gambe ed appog


giando la testa sulle ginocchia.

CAPITOLO III.
Come Audeguier usci di prigione acnm il Concentimento
del vescovo.

Quando Audeguier riapri gli occhi, un raggio di


luce gi penetrava in quella prigione non pi grande

di sedici piedi quadrati, e nella quale stavano dieci


persone. Tutti eran desti e seduti per terra nel me

desimo luogo, in cui avevan dormito, eccetto il vi


cino di sinistra, che dormiva ancora col viso rivolto

verso il muro. '


- Siete voi il nuovo venuto? gli domand uno
de prigioni.

- Per lappunto, rispose Audeguier.


-- Che si fa di nuovo in Tolosa?

'

- Pare che si catturino tutti quelli che portan


pere; almeno a questo attribuisco la cagione della

mia prigionia, perch, a dir vero, non ne so trovare


nessun altra.
- Ahi hanno preso anche voi?

_51_

-- Mi pare, giacch sono qui.


- E non sapete perch?
- No, sull'onor mio.

- Per sospetto di eresia certamente, dappoicch


questa la prigione del vescovado.
--

Ma io sono buon cattolico.


Ed io?
E perch vi tengono allora qui?
Io non lo so.
Neanco io, disse un altro.

- E che lo so fors'io? rispose un terzo.


La conclusione era che nessuno sapeva perch fosse
tenuto in prigione.
- Siete stato esaminato? domand uno di quelli

ad Audeguier.
- Si, e sono stato trovato buon cattolico.
- Chi vi ha esaminato?
- Un santo frate, le cui parole eran tutte soa
vit e dolcezza, un vero servo di Dio.
-- Fortunato voi che non siete cascato nelle mani
di Pietro Cellani.
- Di Pietro Cellani , disse maravigliato Audeguier ;
e chi questo Pietro Cellani del quale parlate.
- Colui che fu gi. scudiero del conte di Tolosa,

e che ora frate predicatore ed inquisitore dellere


tica pravit.

Audeguier si sent venir freddo per tutta la per


sona, e volle chiedere altre notizie; ma tutto a un_

_56_.

profonda, e aggrappandosi alla fune dettero prin

cipio alla pericolosa discesa. Audeguier doveva es


sere in penultimo, perch Marziale, come inventore
e principale operatore, s era riservato 1' ultimo po

sto. Venuta quindi la sua volta, lo scudiero acco


mand la sua anima a Dio e a Nostra Donna di

Avignone, fece quello che aveva veduto fare agli al


tri, e cominci a discendere nelle tenebre.

Sotto quella nestra ve n era un altra , dalla


quale usciva un debole chiarore. Passando davanti

di essa, Audeguier vide una donna, seduta su di


uno scanno, che piangeva col viso nascosto nelle
mani; e dall' insieme della persona credette ricono

scere Eloisa. E non pot frenarsi e la chiam a no


me. La donna gitt un grido, e sorse in piedi:
- Audeguier, sei tu?
- Si signora son io, qui sospeso sull' abisso.
-- E il tuo signore e Raimondo?

- E' stava bene quando lo lasciai.


- Ed ora?
- Che volete che io sappia, se per venire da voi

mi han preso e tenuto in prigione, donde esco senza


il consentimento del vescovo. Ah! se potessi rom
pere queste sbarre! E Audeguier, rimanendo con una

sola mano sospeso alla fune, cercava scuotere col


1 altra la grata di ferro, che rimaneva immobile ,
come se vi si fosse sopra appoggiato lo zampino di

una mosca.

_53__

seppe che Raimondo, stanco del lungo indugio , si


era partito quell'istessa mattina alla volta di Mar
siglia. Audeguier mut vesti, si fece dare un cavallo
e della moneta, e parti ancor egli per vie traverse.
Gi era al di l di Narbona, quando fu raggiunto
da sei viaggiatori, che alle vesti, pi che allaspetto
e al linguaggio, parevano mercadanti, i quali vole
vano in tutti i modi legare conversazione con lui.
Audeguier credette lo volessero spiare, e per accer
tarsene, si so'erm per pi di un ora presso a una
fonte; ed ecco, che rimessosi appena in cammino,

e vede i sei mercadanti seduti all ombra di un bo


schetto, alle svolto di una collina. Il suo sospetto
divenne quasi certezza , e per liberarsi di questi in
comodi compagni di viaggio, egli affrett il passo
del suo cavallo , e quando li perd di vista, volt
rapidamente a destra, usc dalla via maestra, e per
un sentieruccio non frequentato, si diresse ad un

borghetto fuori mano, coll intenzione di passarvi la


notte. Quivi giunto, entr in un osteria, ordin una
buona cena, per rifarsi del pane ed acqua della pri
gione del vescovo di Tolosa, e gi aveva messo mano
con gran volutt ed un mezzo cappone arrosto, quando
senti giungere de passeggieri nella camera accanto

alla sua. Si alza in punta di piedi, mette 1 occhio


al buco della serratura, e vede i sei mercadanti,
che aprivano le loro balle, e dalle quali, non senza
un certo sentimento che di molto somigliava alla

_,)9_

paura, e vede tirar fuori, non tele e broccati,. ma


armi (1 ogni qualit.

- Sei tu sicuro, ch egli qui? diceva uno di


loro a compagni.
-- Sicurissimo:v non ci poteva essere altro luogo
dove passare la notte.
- Ma le vesti non sono quali ci furono indicate.
- L' abito non fa il monaco, disse sentenziosa
mente un terzo.

- E. poi, egli avr potuto mutarle presso Narbona.


- Attendiamo ch e' vada a letto..
-- E se non fosse lui?
- Poco male.

- No, molto male: perch noi perderemmo i


cinquanta marchi di argento che ci han promesso.
Cinquanta marchi! Ma io per guadagnare questa
somma incatenerei tutti gli angeli del paradiso.
Audeguier non pot fremare un certo sentimento
di orgoglio. Cinquanta marchi era una ben grossa
somma. Tanto adunque importava al vescovo e al
siniscalco di avere nelle loro mani Audeguier?
- Si vede bene, egli disse a se stesso, che e
sanno quel ch'io valgo; e forse ha reso anche gin

stizia al mio merito il mio antico compagno Cellani.


La compiacenza dell amor proprio lusingato non
faceva per dimenticare ad Audeguier il pericolo che
lo minacciava; ed egli gi apparecchiavasi a salvarsi,

quando giunsero a suoi orecchi queste altre parole:

_4o_
-- La somiglianza perfetta: aspetto gentile e
nobile, guance rosate, capelli biondi e inanellati.
- Eh diavolo! esclam lo scudiero; ma io sono
bruno come un etiope.
l nti mercadanti proseguivano:

lui certamente.

-- Occupa una piccola camera rimpetto la scala,


ed ha ordinato per cena de legumi e del formaggio.
- Non son io! disse Audeguier, gittando uno

sguardo di compiacenza alla sua cena, alla quale


era gi. sicuro di poter fare il debito onore.

- Ma ti par egli che questa sia cena da par suo?


- " lo fa per non dar sospetto: che dovrebbe
forse dire all oste datemi una cena qual si con
viene al glio del conte di Tolosa?
Audeguier non istette pi ad ascoltare , bevve di
un ato il vino che aveva sulla tavola, mise in ta
sca il pane, il mezzo cappone e quanto v era ap

parecchiato per la cena, usci in punta di piedi e


giunto alla camera indicata, ei vide il suo signore.
-- Audeguier!

- Signoret... subito... non v un momento da


perdere... voi siete scoperto.
Raimondo non indugio per chiedere spiegazioni.
Tutti e due scesero dall oste, pagarono, ripigliarono

i loro cavalli, e si partirono, da principio di passo,


e da indi a poco di corsa.

._.41_

CAPITOLO IV.
Come maestro Roberto, in memoria del santo martire Pietro
di Cutelnau, accoglieva i religiosi nella sua osteria.

Chi si fosse trovato, sei giorni dopo defatti da noi


narrati, davanti l osteria de Tre Maggi, che ab

biamo fatto conoscere a lettori sin dal principio di


questa storia, avrebbe veduto giungere successiva
mente e ad uno ad uno parecchi cavalieri co ca
valli coperti di polvere e di spuma, picchiare, dire
una qualche parola sotto voce all oste, ed entrar

dentro , richiudendosi dietro di loro la porta, n


pi udendosi alcuna voce o rumore, come se loste

ria fosse deserta. Pi tardi, essendo la notte gi. ba


stantemente inoltrata, giunsero su due cavalli non
meno impolverati e coperti di spuma, due monaci,
i quali, non senza una certa esitazione, picchiarono
ancor e5si. L uscio subito si apr, e maestro Ro

berto, coll aria del pi onesto uomo del mondo e


con una lanterna in mano , accolse i monaci facendo
loro una profonda riverenza, tanto profonda che pa

reva volesse guardarli bene sotto il cappuccio, che


tenevano abbassato sul viso.
L oste aiut i monaci a scavalcare, dette le re
dini de cavalli a un garzone , ed offr a due reli

_42_

giosi le due migliori camere dell osteria, che dis


graziatamente restavano a due estremi della casa.l
due monaci ricusarono, per la ragione che, dovendo

recitare il mattutino insieme, non potevano dormire


divisi. Maestro Roberto replic che non vera per
ciascuna camera se non un letto molto piccolo; ma

i monaci tenner duro, e bisogno fare a loro modo.


- Qui, miei padri, disse maestro Roberto, do
vete far conto (1 essere in casa vostra, perch i servi

di Dio sono sempre i ben venuti nell osteria de Tre


Maggi, eh ebbe la grazia speciale di albergare il beato
martire di Caslelnau.

- Il Signore vi rimeriti della buona accoglienza


che ci fate, disse uno de due monaci, ma noi abbia
mo bisogno di poco: ci basta un po di pane, qual
che frutto e dellacqua.
- Non si dir mai , rispose 1' oste , che due santi
religiosi siano cos poveramente trattati.

-- il nostro cibo ordinario.


-- Mi permetterete per vi aggiunga per mia di
vozione particolare una buona fetta di presciutto e
del vino di otto anni che par rubino.
- Un nome cos caritatevole co religiosi attira su
di s e le cose sue le benedizioni del Signore; e la

vostra osteria debb essere sempre piena di avven


tori.
- Non posso dolermi della Provvidenza, disse

loste, ma non tutti i giorni sono eguali. Questa

_4.5_
che si custodisce in San Giovanni dAix, e che ha
la virt di rendere invisibili.
- Vediamo la nestra.
- Oste del diavolo! essa d in una corte.
- Bisogna risolvere.
- Prima di tutto assicuriamoci di non essere sor
presi nel mezzo delle nostre deliberazioni.

Cosi dicendo , Audeguier prese la tavola ch era in


mezzo e la mise dietro l uscio, e sulla tavola am
mucchi il letto, gli scanni, le seggiole e tutto quanto
v era nella camera. Di poi guardata con compiacenza

questa sua opera difensiva e trovatala buona, come


Dio le opere della creazione, disse al suo signore:
- Abbiamo provveduto a non fare entrare; prov
vediamo ora ad uscire.
- Questo pi difcile, disse Raimondo: hai tu
qualche idea?
-- Io ne ho una.
-- Dici pure.
-- Questa camera non ha che una porta e una

nestra; se dalla porta non si pu uscire....


- Usciamo dalla nestra.
- No signore, perch dalla nestra non si pu

neanco.
- Ah! disse Raimondo: e di dove vuoi adunque
uscire? dal palco?
- Non dal palco; ma....

_ Zitto... senti tu questo rumore di passi?

_45__.

- Ci siamo: vien gente.


- E son parecchi.

-- Non v tempo da perdere: le tonache non


giovano pi nulla.
In un istante Raimondo e il suo scudiero si cava
rono le eccelle di san Benedetto, e comparvero ar
mati, 1' uno di una bella maglia di ferro, laltro di
una corazzina molto salda: non avevano elmi; ma
i cappucci celavano delle cervelliere di acciaio ben
temprato: due corte zagaglie, due azze bene aflato
e due pugnali completavano il loro armamento.
Ecco ch dato all uscio un urto che fece tenten
nare tutto I edicio.
- Chi la? domand Audeguier.
- Son io, rispose maestro Roberto: una povera
donna che si muore qui in una casa vicina; venite
per lamor di Dio a recarle i conforti della religione.
- Noi non abbiamo ancora la fortuna di essere

sacerdoti, e non possiamo ascoltare la sua confes


sione.

- Siete per sempre uomini religiosi, e potete


confortarla ne suoi ultimi momenti.
- Noi faremo di pi, fratello mio: noi ci mettere
mo a pregare Dio per la salute dell'anima sua: non
isturbate quindi le nostre preghiere.
E Audeguier, che come antico cherico e sagre
stano della cattedra di Avignone, ne sapeva un po

delle cose ecclesiastiche, intuon con voce piagnolosa

_46_

e nasale le preghiere de moribondi. Ma un secondo


urto pi forte dato all uscio , internppe la mesta
salmodia, e si sent subito la voce dell oste che
gridava:
- A me compagni !
E successe un rumore di passi affrettati; e quindi
altri urti all uscio, che fecero cadere parte degli
sgabelli e altre masseri-zie , ch erano dietro di esso
ammucchiate.
Audeguier, che ne momenti supremi sapeva farla
un po da padrone, disse a Raimondo:

- Badate all'uscio , ch' e fan davero , e del resto


lasciate la cura a me. E in cos dire comincia col
1 azza che avea a far leva alle assi del solaio e a
sconccarle. Raimondo rizzava e ammucchiava le mas

seriZie che cadevano, e col petto e celle braccia ur


tava e spingeva verso l uscio la tavola che servia
di puntello e che fortunatamente era di noce molto
grave. In quel frastuono Audeguier aveva potuto ,
senza che quei di fuori si accorgessero del lavoro
che faceva, sconccare due assi le pi prossime al
muro e troncare tre correnti che v eran sotto. La
sua previsione e accortezza non lavevano ingannato:

di sotto vera la stalla.


- Quando non si pu uscire dalla porta o dalla
nestra, disse egli sentenziosamente al suo signore,
si esce dal solaio. Io vi precede per misurarne laltezza.

Detto questo, Audeguier entr in quella specie di

__47_
botola, e si lasci cader gi. Raimondo, che non
poteva pi resistere agli urti degli assalitori, e che
gi. vedeva rovinarsi sul capo il suo edicio di di

fesa, segu speditamente il suo scudiero, che s era


tirato da parte, e tutti e due si trovarono all im

piedi nella greppia de cavalli. Cosi il bravo Aude


guier aveva bene saputo scegliere il luogo.
Un tonfo, che fece scuotere tutta la casa, e un
chiarore che dall apertura fatta nel solaio discese

nella stalla, annunzio 1 apertura dell uscio.


- Alla porta della stalla, alla porta della stalla!
gridava maestro Roberto.

E si sentiva correre per le stanze, discender le sca


le, e rumor d arme , e grida confuse e minacciose.
Per presto che facessero Raimondo e Audeguier a
disciogliere i cavalli dalla greppia, a montar su, ad
aprire la porta della stalla, parecchi uomini armati
trovavansi gi sulla strada; ma questi non poteron
fare valida. resistenza. Uno di loro fu gittato a terra
dall urto de cavalli, che si lanciaron fuori di ga
loppo, un altro tocc un colpo di zagaglia da Au

deguier, che lo pass quasi da parte a parte, un


terzo ebbe il capo spaccato dall azza di Raimondo,
e gli altri che accorrevano non giunsero in tempo
che per accogliere nelle braccia i loro compagni,
perciocch i due cavalli correvano come il vento alla
volta del ponte.

Il cielo era coperto; ma a quando a quando dalle

_48_

squarciature delle nuvole scendeva un raggio di luna


a illuminare la silenziosa campagna. In uno di questi
momenti di chiarore, e mentre i fuggitivi erano a

dugento passi dal ponte, Audeguier gitt una bestem


mia che avrebbe fatto onore a un vetturale, e ferm
tutto a un tratto il cavallo.
-- Ch stato, domand Raimondo, fermando
anch egli il suo.
- Siamo fuggiti dalla padella per cader nella
brace: il ponte occupato da gente armata. Vedete
come luccicano le corazze e le spade.
- Hai ragione, disse Raimondo: scendiamo pi
gi per trovare un altro passaggio.
Volsero e di fatto i cavalli a mancina, e ripar
tirono di corsa; ma di gi erano stati veduti o sen
titi da quei che guardavano il ponte, e subito una
parte di loro si mossero per inseguirli. Questa corsa
lungo il ume dur pi di mezz ora; ma 0 che i
cavalli degli inseguitori fossero migliori, 0 che quelli
degli inseguiti fossero stanchi pel poco tempo di ri

poso che avevano avuto nell osteria de' Tre Maggi,


la distanza che v era fra loro andava evidentemente
scemando.
- Tra poco saremo raggiunti, disse Raimondo:

val meglio attenderli di pie' fermo.


-- Per far che? domand Audeguier.
- Oh bella! per combattere.

- Non sentite che sono almeno sei o sette.

._49__
- Che importa?
- Importa moltissimo, perch io non mi voglio
fare ammazzare o ricondurre nella prigione del ve
scovo di Tolosa. Sapete voi che non si scende due
volte dalla nestra col lo come fanno i ragni? E

poi l c frate Domenico e il mio amico frate Cel


lani, che hanno un gran prurito di far rostire le genti.
-- Ma non vedi tu ch e ci sono quasi addosso?

- Sicuro che lo vedo; ma sapete voi signore quel


ch' meglio che noi facciamo? Lasciam correre i
nostri cavalli soli, nascondiamoci in qualche mac

chia, e quand e saran passati, traverseremo il ume


a nuoto qui che non molto rapida la corrente.

- Bravo Audeguier! esclam Raimondo: per que


sti trovati tu sei proprio una maraviglia.
- N ho a trovar tanti, che alla fine trover come
lasciarci la mia pelle. Uh! quanto sarebbe stato meglio
che io fossi rimasto sagrestano: a quest ora sarei ca
nonico, steso nel mio seggiolone a digerire la mia
cena , e non rimpiattato in questi vitrici come una lepre.
Di fatto Raimondo e il suo scudiero erano in quel
tempo saltati gi da' cavalli, che punti colle zaga
glie e sgravati dal peso che portavano, continuavano

a correre lungo il ume, mentre i due cavalieri si


nascondevano dietro una macchia di vitrici. Pochi
minuti dopo passavano di l accosto gl inseguitori

bestemmiando come pagani, ed eccitando colla voce


e cogli sproni i loro cavalli.
ALBIh. I'ul.l V.

_50_

Quando si furono un buon tratto allontanati, Bai


mondo e il suo scudiero uscirono dal loro nascondi
glio, e si avvicinarono al fiume. Il Rodano era alto,
agitato e fremente.
- Nostra Donna di Avignone, disse Audeguier,

io non credo che tu volesti liberarmi dal fuoco per


farmi ora morire nell' acqua.
E fatta questa breve preghiera egli e il suo signore
entrarono nel fiume.

CAPITOLO V.
Come i Marniglieei ricevettero per loro signore
il giovine Raimondo di Tolosa

Otto giorni dopo de"fatti che abbiamo narrati era


una gran commozione nella citt di Marsiglia. Sin dalla
sera precedente, una voce, senza potersi dire donde
uscita, s era sparsa, che il conte di Tolosa e il suo
gliolo fossero giunti in quella citt. Nessuno per
li aveva veduti, nessuno poteva dire dove fossero.

V era chi ci credeva, chi no; ma nessuno che rima


nesse indifferente a questa gran novella; L'agitazione
dora in ora cresceva: i mercadanti chiudevano le
loro botteghe; gli artigiani lasciavano i loro lavori;
le donne stavan tutte alle finestre; numerosi crocchi
qui e la si formavano.

-51_

- Lavete veduto?
- No, e voi?

- Neanch io.
- Che non sia vero?
-- Pare impossibile!
Questi dialoghi si udivano in tutte le vie; e lan

siet. era scolpita in tutti i volti.


Verso mezzod un grido percorse le vie della citt,
annunziando che il conte e suo figlio erano entrati
nel porto. Ecco, che da tutte le parti i cittadini ac
corrono verso il luogo indicato; ecco che si odono
alte grida di evviva , che confermano la gradita no
vella, la quale diventa certezza per la comparsa del

conte. Egli procedeva a cavallo armato di tutto puntof,


accompagnato da suo glio e seguito da una ventina
di cavalieri e scudieri, che portavano la bandiera colla
croce in campo rosso.
Un grido di applauso li precedevae li seguiva. Le
donne dalle nestre plaudivano anch esse, sventolando
i loro bianchi lini; alcune gittan ori. La folla era
grandissima, eppure sempre cresceva: alcuni stende
vano i loro mantelli per terra sotto le zampe deca
valli de loro antichi signori. Il conte e suo glio
camminavano lentamente, sia a cagione della gran
calca, sia per soddisfare in qualche modo alla pub'
blica curiosit, e sorridenti, salutavano dall una parte
e dall altra i cittadini. Cosi in un torrente di popolo,
uomini e donne e fanciulli, che facevano rimbombare

_52_

laere di applausi e di evviva, che agitavano loro


veli e beretti con grande allegrezza, giunsero al pa

lagio del comune. I consoli, vedendo la festa che il


popolo faceva loro, si mossero in fretta, scesero in
piazza, e quando furono appresso al conte s inginoc

chiarono e presentarongli le chiavi della citt, che


non avevano avuto tempo di presentargli fuori delle
porte.
Il conte smont di cavallo, e salito in una guisa
di ringhiera, ch era davanti il palagio, accenn di
voler parlare. Si fece subito un gran silenzio, e tutti
rimasero immobili nel luogo doverano; solamente
il pi lontani si rizzavano sulla punta de pi. Allora

si pot vedere tutta la nobile gura del conte di To


losa. La lunga barba che gli scendeva sul petto, i
lunghi capelli che gli ondeggiavano dietro alle spalle

erano di gi imbiancati dalle sventure e dagli anni.


Il viso magro e la fronte solcata da profonde rughe
rivelavano i provati dolori; ma i suoi sguardi con
servavano l antica vivacit, ed il suo sorriso parsa
pi benevolo per l abititudine della mestizia. Al suo
anco stavas suo glio Raimondo, il cui viso gio
vanile, sorridente e pieno di vita manifestava tutte le
interne emozioni della speranza.

- Signori consoli, nobili e cittadini della mia


buona e fedele citt di Marsiglia, disse il conte con
voce alta e chiara si che poteva essere udito anche

da pi lontani, io vi ringrazio dellaccoglienza che

--53_

mi fate e dell onore che mi rendete. Il tempo giunto


di scuotere il giogo degli stranieri che ci opprimono,
e di recuperare la nostra antica libert coll aiuto di
Dio nostro signore. Ma io sono oramai vecchio, n

pi atto a farmi capo supremo di un impresa si piena


di pericoli e di travagli. Vuolsi un giovane, e la
fortuna mi ha. conceduto almeno tra tante sventure
di darvi un buon successore nel mio tigliuolo. Rispet
tatelo e ubbiditegli come a signore; amatelo in me
moria di ci che la casa nostra ha fatto in benefi
cio e vantaggio di questa citt e di ci che egli far.
Un grido di ammirazione e di plauso segui a que
ste parole, ed il conte, rivolto al giovine, prosegu:
-- Figlio mio, tu n ora hai avato fortuna av
versa; ma le prosperit corrompon lanimo, e le
sventure lo ingagliardiscono e lo rendono atto alle
grandi virt. Rendi grazie a Dio che ha voluto edu
carti nel dolore, ed insegnarti a governare con man

suetudine e prudenza e a non insuperbire nelle feli


cit. Tu manterrai la fede, accrescerai i privilegi e
le libert de tuoi sudditi, terrai in pregio ed cuore
i tuoi vassalli, e sarai buon principe in pace, prode
cavaliere in guerra. Le nostre terre e castello. sono
in mano de nostri nemici; ma non importa.- i popoli

ci son fedeli; specchiati in questi buoni Marsigliesi,


e da loro argomenta che faranno gli altri. Il Mon
forte e i Francesi non possono essere desiderati che

da pessimi. La Provenza e Linguadoca non sono stati

_54_

come gli altri in cui il signore pu tutto, egli altri


son servi: qui noi comandiamo a baroni nobilissim'r,

a ricche e libere citt famose per civilt, per arti, per


commerci e per franchigie; e de nostri vassalli siam
pi compagni che signori. Cura di non usurpare quello
degli altri e di difendere e recuperare il tuo; e per
ch questo tu possa fare, fida in Dio e ricevi dalle

mie mani la spada della giustizia, perche sia di di


fesa a buoni e di sgomento a malvagi; e ricevi ance
la benedizione del padre tuo, che cessa in questo mo
mento d essere tuo signore per diventare tuo vassallo.
Cosi dicendo il conte aveva dato al glio una spada
presentata da un cavaliere su di un cuscino di vel

luto, e aveva fatto un cenno dinginocchiarsi per


giurargli fede ed omaggio; ma Raimondo lo imped
abbracciandolo, mentre tutti gli astanti cogli occhi
pieni di lagrime e con voce commossa gridavano
evyiva al padre e al gliuolo, nch questi, rivol
tosi a loro, parl cosi:

- Miei fedeli, per volere del mio padre e signo


re, io assumo in questo momento nome ed autorit.
di conte di Tolosa, marchese di Provenza e duca di

Narbona, senza sapere se sia da desiderarsi come for


tuna o sfuggirsi come pericolo. Questo per se, che
nutrito nelle cose avverse, ho imparato pi che gli
anni parrebbero non consentirmi. Non mi d vanto
di prudenza, n di valore; ma tenete per sicuro che

non mai far cosa che crder possa contraria a'de

__ 55 __

sidcrii e alle libert vostre. lo intendo, se piace a


Dio e voi altri _mi vorrete aiutare, di liberare la Pro
venza e la Linguadoca dalla signoria deFrancesi, che
se pi dura, questo paese, ch il pi bello, ricco

e lieto della Cristianit, diventer il pi misero, in


felice e vituperato.
Non a dire con quanto applauso e con quante
lagrime di tenerezza furono udite queste parole, alle

quali il pi anziano de consoli cosi rispose:


- Signore, noi siamo molto satisfatti di quello
che avete detto, e crediamo senza fallo, che muove

da Dio ci che viene da voi. E Dio che vi ha messo


in animo di cominciare un impresa si ardita, ed egli
vorr lasciarvela condurre a fine a pr nostro e vo
stro, e come si conviene alla casa vostra e vostro
lignaggio, che ha sempre avuto gran cuore, ed ha

operato grandi e. nobili cose nella cristianit e nella


terra deSaraceni. E il comune di Marsiglia avr a
suo onore di concorrervi con denari, cavalli e buoni
fanti e balestrieri, che fornir d'ogni hisognevole sin
ch sia riconquistata la. terra.
Cosi sia fatto! cos sia fatto! gridarono con
gran giubilo i Marsigliesi.
- Signore, disse Raimbaldo di Calm, benedetto
sia lddio che vi ha messo in cuore si ardito pensie
mi e piacciain di lasciarvelo compiere, afnch non
siamo pi vituperati e ingiuriati come al presente,

perch la baronia e cavalleria nostra, chera la pi

.__60_

-- Tu veneri adunque... tu non odii adunque la


sua memoria?
- Odiarlo! esclam Eloisa: io odiare la memoria
di colui che mi die' la vita, e che tanto mi amava?
- Ges Cristo disse: Se alcuno viene a me,
e non odia suo padre e sua madre, la moglie e i
gliuoli e i fratelli e le sorelle, non pu essere mio

discepolo. Scrivi, fratello Pietro, ch' ella confessa


di esser gliuola e discendente di eretici e che tiene

in venerazione la memoria dell empio Astrolabio.


- Era mio padre...
- Gli eretici non han figli, n padri.

- scritto, disse frate Pietro.


- Confessa ora tutte le tue colpe, e spera solo
nel pentimento il perdono da Dio, se sperar non ti
dato dagli uomini, che compir debbono le vendette
di Dio. Gli eretici, che ti hanno allevato, quali er

rori e perdia han versate nellanima tua?


-- Io non comprendo nulla, padre mio... io non
ho conosciuto giammai alcun eretico.
- Non conoscesti il padre tuo?
-- Si che lo conobbi, e sventuratamente per poco
tempo.
- Ed ascoltavi tu i suoi insegnamenti?
-- Ah! si... tutte le sue parole sono scolpite nel
mio cuore, la sua voce mi risuona sempre nellani
ma... 0 padre, padre mio tu avevi ragione di pian
gere sulla tua povera glia!

_(59_

- Ila ubbidito agli ordini del padre.


- Se potesse provarlo...
- Provarlot esclam Eloisa: ma qual prova
necessaria? Non era suo padre il signore dello stato?
Se tutta Tolosa ubbidiva al conte, il figlio solo avrebbe
dovuto resistere?
A queste parole i due frati si guardarono in viso,
dappoich enon sapevano chi fosse lamante di Eloisa,
ed i detti di lei erano una vera rivelazione. Ci non
ostante , per meglio accertarsene, frate Domenico le
domand:
- Tu credi adunque che Raimondo di Tolosa tuo

amante abbia sempre ubbidito a comandamenti del


padre suo?
- Lo credo di sicuro, disse la povera Eloisa, che
nella sua semplicit non si accorgeva d avere denun
ciato il suo amante.
- Scrivete fratello ci che avete udito, disse Do
menico. Quindi rivoltosi alla donna, s "giunse:
- Credi tu innocente o colpevole il tuo amore
per lui?
- Egli era innocente e purissimo, o padre mio,
purissimo come quello degli angeli. Io ignorava chi
fosse; io l amava pi di me stessa, pi della mia

vita, e gli spiriti celesti dovevano sorridere al no


stro amore. Nessuno avea diritto di renderlo colpe
vole; e Dio non pu volere che vivano separati due
cuori ch' egli ha creato per amarsi.

_.65_

- Tu eredi adunque che il sacramento del ma


trimonio da lui contratto non abbia mutato nulla nel
tuo amore?
- No, padre mio, perch io sento damarlo come
prima, perch egli .mi ama come prima.
- Tu e il tuo amante credete quindi il legame
del vostro amore pi forte e pi santo di quello del
matrimonio?
- Io lo credo, padre mio, io lo credo perch
quello - formato da Dio, questo dagli uomini.
- Scrivete fratello, ch' ella e Raimondo di TO
losa suo amante non credono nell efficacia del sacra

mento.
Queste parole furon dette con si fiera voce e cor

rucciato cipiglio, ch Eloisa ne fu spaurita, e grid:


- Io non ho detto nulla, io; non ho confessato
nulla... non ho detto nulla.
-- Troppo tardi! troppo tardi! rispose Domenico
alzandosi. Il tuo niegare, dopo aver confessato e una
colpa di pi, schiava fuggitiva, eretica ostinata, im
pura concubina di un eretico.

Eloisa pallida, tremante, fuori di se, pigli il frate


per la mano, gridando:
- Ah! pieta di lui! piet di lui!
- Tu lhai accusato, rispose Domenico tirando
indietro la sua mano, come se fosse stata morsa
da una vipera.
- Io accusato! Io non mi rammento di aver detto

_61_

nulla... io non so nulla. Ho detto che lamo; e non


voglio e non posso niegare il mio amore, questo amore
ch la mia luce, la mia speranza e la mia vita.
Non lo nascondo; e son prontaa confessarlo innanzi

a tutti glinquisitori, innanzi a tutti i legati ed i ve


scovi, innanzi al pontece nostro signore. Ma io non

ho detto... io non ho detto , ch egli eretico.... Non


mi dite questo, che mi fate perdere la ragione! Ab

biate misericordia di me! abbiate misericordia di me!


E in cos dire, piangendo e singhiozzando, Eloisa
si gitt a pi del frate inquisitore.
- Misericordia di te? rispose Domenico: di te

nella cui vene scorre il sangue di Abelardo, il Goliat


che os accamparsi contra a Dio; il sangue di Eloisa,

1 impudica; il sangue di Astrolabio, il concepito in


un sacrilego incesto? Tu sei maledetta sin dal seno
dell ava tua; tu ami un eretico; tu sei rea di adul

terio; tu, con tue malie ed incantesimi metti in pe


ricolo l anima di un santo vescovo.... e tu osi im
plorare misericordia?

-- Oh mio Dio! esclamava Eloisa al colmo del ter


rore: io son desta, 0 io sogno un terribile sogno?
- No, non sogni, empia: sognasti quando cre
devi d ingannarmi; sognasti quando sperasti che alla
colpa non seguirebbe la pena. Empia, preparati a
morire.

E in cos dire frate Domenico, seguito dal suo


compagno, usc, lasciando Eloisa prostrata sul pavi

_65_
mente, e cosi -costernata e spaurita che non avea
pi forza di piangere.
L indomani sera i famigli del vescovado vennero
a prendere Eloisa, la condussero alla presenza di Fol

co, e lasciatala sola con lui, si ritirarono.


- Senti, Eloisa, le disse il vescovo con voce tre
mula, tu sei condannata al rogo: io dovrei farti
morire, e... non posso. Per salvarti io metto a grave
pericolo 1 anima mia, perch tu sei convinta eretica,
perch hai adoprato di certo con me arte (1 incanti. Ma.
sia pure la mia anima del demonio per tutta letemit
purch tu consenta ad esser mia in questa vita.

- Preferisco la morte, rispose Eloisa tremante


e rincantucciata in un angolo della sala.

- Tanto ami tu adunque Raimondo, e tanto tu


mi odii?
- lo non vi odio signore, io non odio alcuno...
lasciatemi morire, ed io pregher Iddio che vi per
doni.

- Tu non curi la tua vita?


- No, signore... oramai il peso de mali troppo
grande perch io possa sopportarlo.
- E la vita di Raimondo?
Eloisa non rispose, ma alz le mani verso il ve
scovo in atto di preghiera.

-- Sappi, ostinata, che la sua vita nelle mie


mani.

Eloisa gitt un grido di terrore, ed alzati gli sguardi


Auro. Val. IV.

_66_

fu pi che mai atterrita dalla gioia feroce che bale.+


nave. negli occhi di Folco.

- Uomini devoti alla chiesa, prosegui il vescovo,


han fatto giuramento di ucciderlo. Tutto ordinato:

il tempo, il luogo, il modo: una mia parola ed egli


e morto.
-- E voi non te direte! grid Eloisa.
-- Ila te dipende.
- Ma io non posso, io non posso, e signore.
-- Ed io non posso salvarlo: la sua morte utile
alla chiesa; ed egli morra.
- Signore, signore, io ve ne supplico.

-- Ed io pure ti ho supplicato, ma invano: ora

sono stanco di supplicare e comando.


-- Prendete la mia. vita, io 've l offro.
-- Ed per questo chio non la prendo. Tu mi

offri ci che non curi, ed io voglio la vita del tuo


amante.
-- Io non l amer pi... no, no questo io non
posso promettere; ma io vi prometto e vi giuro che
non lo vedr pi.
- Non mi basta oramai. Il mio cuore e cambia-
-to: ama chi tu vuoi: del tuo amore non voglio sa_
,perne; ma bisogner bene che tu sii mia.
- Io non comprende, signore.
- Non comprendi? Ascoita adunque: la tua osti
nazione ha spento il mio amore , ed ha eccitato i miei

sens1.

_67_.

-- Ma ci che voi dite, orribile, mormor Eloi


sa, non meno oppressa dalla vergogna che dal terrore;
-- Si, lo so, orribile, rispose Folco: il demo

nio si e impossessato di me, io non ho pi forza


di lottare...
ascoltami bene: io voglio darti an
cora un giorno di tempo: tu resterai qui, qui nel

mio palazzo... Vedi questo piccolo uscio... e mette in


un andito... poi v una scala: discendi: in fondo
una stanza... quivi starai sino a domani, sino a
quest' ora.... senti, gi suona il coprifuoco... Sta a te
il venire o il non venire; ma se al suono di questa
campana tu verrai, Raimondosar salvo ; se no, mor
r, e sei tu che l'uccidi.... E bada di non credere
di salvarlo colla tua morte... la sua vita mi risponde
della tua: se tu morrai, ancor egli morr. Esci.
Ed Eloisa usci comedemente, traverso l andito,
discese la scala, si trov in una stanza terrena, e
cadde in ginocchio , ripetendo con voce interrotta da
signozzi:

-- 0 Signore aiutami tu! o Signore aiutami tu!


Eloisa non poteva pi piangere: la sorgente delle

lagritne era in lei inaridita! La sua testa era in


amme. Notte terribile fu quella; eppure segui giorno

pi terribile. Che fare non sapeva; e frattanto le ore


passavano con rapidit spaventosa, peggio che pe

condannati a morte. La febbre le produceva delle


strane allucinazioni. Or le pareva veder Raimondo
stendere verso di lei le mani supplicanti, e gridarle:

__68_

salvami, salvami Eloisa! mentre un assassino teneva


alzato un pugnale sopra il suo petto. Or le pareva.

starsi abbracciata con Raimondo sotto la volta di ca


prifoglio , testimone de suoi felici amori, e tutto a
un tratto vedere il suo amante divenir livido in viso,
i suoi occhi infossarsi, le sue membra. contorcersi nelle
convulsioni di atroce agonia, mentre Folco sporgeva
la calva testa fra quelle fronde, e con orribile sog

ghigno le ripeteva: tu sei che l' uccidi. Eloisa voleva.


pregare Iddio, la Vergine ed i santi; ma la sua pre
ghiera era interrotta da altri pensieri e da. altre im
magini spaventose, che si atfollavano nella sua mente,
ed ella. pronunziava parole sconnesse, interrotte, for
sennate.
Al primo tocco della campana del coprifuoco, Eloisa

gitt un grido di terrore e balz in piedi; e senza


pi esitare, senza pi riflettere, come una sonnam
bula, barcollando, cominci a montare la scala. Tre

o quattro volte ella inciamp e cadde: le sue ginoc


chia e le sue braccia eran coperte di lividure; ma
ella si rialzava e continuava a salire, affrettata, an
sante, inondata di freddo sudore. Giunse nell' andito.
La parve che le sue forze 1 abbandonassero: le sue
gambe non potevano pi reggerla. Si appoggi al
muro un istante... fece un ultimo sforzo, giunse al

1 uscio , e 1 urt con ambe le mani. L uscio si apr


ed ella cadde svenuta, non nelle braccia di Folco;

ma in quelle della sua amica Matilde.

-69_.

CAPITOLO VII.
Della politica e de. teologia del vescovo Folco.

Come il concilio di Laterano non aveva conceduto


al Monforte, che le terre conquistate de crociati,
cio da Beziers alla Guascogna, ne seguiva che gli

altri dominii della casa di Santo Egidio, posti lungo


il Rodano, doveano ritenersi come appartenenti, al

meno in diritto, al giovine Raimondo VII. Abbiamo


veduto come Marsiglia lo accolse. Gli Avignonesi si
mostrarono egualmente ben disposti, e pregatolo di
venire nella loro citt a prenderne il possesso, lo
ricevettero con tanta gioia e festa, che, come dice

un antico cronista, non vi in figlio di buona madre,


che non gli haciasse i pie' e le vesti. Il vecchio
conte and a prender possesso di Tarascon; Raimon
do, del contado Venesino: e tutti e due si riunirono
nuovamente ad Avignone.
La nuova di questi fatti si divulg rapidamente
per la Linguadoca, e vi cagion una grande com
mozione. Gi innanzi a' supplizii dein eretici usciva.
dalla folla un mormorio minaccioso: in qualche luogo
il popolo disfaceva i roghi apparecchiati, e liberava
dalle mani degl inquisitori le vittime. I nobili, esclusi

da loro dominii, ed umiliati e oltraggiati da nuovi

_10_.

dominatori, attendevano l occasione opportuna per


dar di piglio alle arme, e gi vicina la giudicavano.
Gli uomini intelligenti capivano che il nuovo ordi

namento, il quale voleasi introdurre nella Linguado


ca, era la servit civile consacrata dalla servit re
ligiosa. Il popolo, cui mancava questa intelligenza,

si doleva de cresciuti aggravii, degli spogli e dava


stazioni continue, dellevessazioni e de soprusi inau
diti, e come gregge menate al macello, che fugge
belando nel sentire l' odore del sangue, senza forse
intenderne la ragione, sentiva per istinto il grave
pericolo che lo minacciava.

Frattanto l" esercito di Raimondo tutti i di s in


grossare. colle milizie e genti di molte terre e baroni
della Provenza e dei contado Venessino. Il vecchio
conte andava in Aragona a coscrivere soldati e fare
una diversione dalla parte di Tolosa; ed' il momento
era opportunissimo, perciocch la crociata era termi
nata, il concilio di Laterano chiuso, papa Innocen
zo, in quei giorni, cessato di vivere, ed il Monforte,
ridotto alle sue sole forze, era obbligato di assoldare

mercenarii e ribaldi per tenere il giogo sul collo de


vinti. Dall altra parte l eresia, abbattuta non isbar
baia, rimettea dapertutto pi rigogliosa di prima: le

antiche comunit albigesi si riordinavano: gran nu


mero di neoti accorrevano alle segrete predicazioni
di Guillaberto di Costres e di Benedetto di Termes,

.sa' quali giammai avean potuto metter le mani il

_11_

Monforte e gl' inquisitori, tanti erano quelli che ve

gliavano sulla loro vita e libert.


Raimondo, chiamato da quei di Beaucaire, chera
la chiave della Provenza, era andato in quella citt,

e ricevuto il giuramento di fedelt da cittadini, aveva


messo 1 assedio al castello che aveva presidio fran

cese. Accorse Simone di Monforte, che ritornava ap


punto allora dalla corte di Francia; e dopo varie ta
zioni sanguinose, i due eserciti vennero a giornata.
Qual. sovrumano coraggio animava Raimondo in. quel
di! Non vedeva il pericolo, o lo sprezzava. A-ndava,
correva, colpiva, esortava, e colla voce e collesempio
incuorava ed eccitava-i- combattenti, facendo tutti gli
ofcii di soldato e di capitano. Sanguinosa e terribile
fu la battaglia. Il Monforte fu rotto e disfatta; n
pi sperando di ricomporre 1 esercito, abbandon a

Raimondo la Provenza, e corse alla volta di Tolosa,


la quale gi. minacciava sollevarsi, avendo saputo
che il vecchio conte con alcune schiere di Catalani
e Aragonesi avea passato i Pirenei. Questi per, avuta
notizia che il Monforte si appressava ,. non tardarono
a ritrarsi; ed i Tolosani mandarono loro ambascia
tori al Monforte, ch era giunto a Montgiscard, per
attutirne lo sdegno.
- Voi siete miei nemici, disse loro con voce irata.

Simone: voi tenete segrete pratiche con colui che fu


conte di Tolosa e con Raimondo suo glio. Ma io

giuro per la salute dellanima mia di non rimettere

_.-72

la spada nel fodero sintantoch non avr presa ter


ribile vendetta di vostra fellonia.
Cos dicendo, ordin che gli ambasciatori fossero
presi e incatenati, e si mise a recitare paternostri

con tanta furia e fretta che pi di dieci ne recit in


pochi minuti.
Il vescovo Folco, ch era andato ad incontrare il
Monforte, ritornava intanto in citt, ed adunati i
Tolosani nella piazza di santo Stefano, li persuadeva
di presentarsi al conte supplichevoli e senz arme ,
promettendo loro con giuramento, ch e non sareb
bero offesi. I cittadini usciron quindi da Tolosa in
processione, precedendo i pi ricchi e riputati , e
giunsero al campo del Monforte, dove appena i primi
_ ottanta furon dentro , gli steccati si chimera, e gente
armata fu loro addosso, che li prese e leg. Quelli
che seguivano, vedendo questo, ritornarono a Tolosa
fuggendo e gridando: Tradimento! Tradimento! Gran
de scompiglio fu allora nella citt, non solamente
per la prigionia di "tanti cospicui cittadini, ma anche

perch una parte dell' esercito, inseguendo i fuggiti


vi, era con essi entrato in Tolosa e aveva comin
ciato a metter tutto a sacco e a itil di spada.
Il popolo entr allora in un terribile furore. Armi!
armi! da ogni parte si grida. Uomini e donne tra
sportan sassi, carra, panche, tavole e tutto quello
che vien loro alle mani, e fanno steccati e serragli.

I fanciulli corrono per le vie, chiamando alle armi

_15_

i cittadini, e raccattando tutto ci che giovar possa


alle difese e alle offese. I Monfortiani si avanzano
per assalire i Tolosani; ma questi escon loro incon
tro da serragli, li assalgono con grand' impeto, molti
ne feriscono ed ammazzano, e gli altri cacciano in
fuga ed inseguono sino alle porte del castello Nar
bonese. Poco dopo sopraggiunge Simone col forte del

1 esercito, ed entrato in citt, perch non v' erano


pi mura, n porte, ordina sia arsa. Il fuoco ap
picato da tre parti a San Remesy, a Joux-agues e
verso la piazza di Santo Stefano. 1 Tolosani , alla
vista delle loro case che ardevano, invece 41 invilire,

s inasprscono, e con tant' animo e furore combat


tono che le genti del Monforte sono sbaragliate; quindi
accorrono a spegnere gl incendii. Ma Simone in quel
tempo raduna i fuggenti e li conduce nella piazza
delle Sante Scarbe. Quivi segui lierissima battaglia;
e gi piegavano iTolosani , gi cedevano, gi sbran
cavano, quando Simone, preso da subito terrore,

volgeva indietro il cavallo e fuggiva verso la chiesa


di Santo Stefano. L trasportavansi i feriti: gemiti
e lamenti vi si udivano: il pavimento era rigato di
sangue: le convulsioni dell agonia davano a quelle

gure umane un continuo movimento, e quando que


sto cessava in qualche canto, un cadavere era di l
tolto e gittato dietro all' altare per dar luogo ad al
tro ferito. Simone, quivi giunto, smont di cavallo,
si cavo lelmo e si gitt a sedere sugli scalini della

__74__
chiesa. Egli era pallidissimo, ed un brivido continuo
agitava tutte le sue membra. I suoi cavalieri, che
luomo seguito, gli fecer cerchio, confusi, sbalor
diti, spauriti della sua paura, dappoich non poteva
essere che cosa veramente terribile quella che faceva
tremare un si intrepido guerriero. Nessuno osava in

terrogarlo, ed e ti guardava in viso come attendendo


la risposta di una domanda che non osava fare. Da
ultimo mormor:
y
- Avete veduto... una donna... vestita di nero...

immobile come una sta-tua... pallida come la morte?


I cavalieri risposer di no.
Simone chin il capo nelle mani, e stette alquanto
come immerso in profonda e cupa meditazione. Poi
tutto a un tratto disse con voce corrucciata:

- Perch siete voi qui? Chi ha ordinata la. riti


rata? Chi pretende comandare dove son io?

- Ma voi signore ?... risposero esitanti alcuni ca


velieri.

- Ma io!... Pel legno della eroce, debbo io ren


der conto del mio operare a voi?
Nessuno os rispondere; ed egli si alz risoluta

mente, rimise lelmo in capo, si segn, mont a


cavallo, e grid con voce robusta:
-- Avanti, avanti, in nome della croce!

La zutla ricomincio pi accanita di prima, presso


la porta Sardane, perciocch dalluna parte e dallal
tra con estremo furore si combatteva. Il Monforte

_75_.
pareva che volesse espiare colla ferocia la paura di
mostrata: nelle sue azioni v era delfuriosoedellin
sensato, quasi nulla vedesse e sentisse, quasi obliasse
se e i compagni, quasi stordir si volesse colla concita

zione demovimenti. Ben vedeasi che non era pi


in lui quella intrepidezza fredda e prudente che lo
rendeva l'ammirazione de vecchi guerrieri; ma in suo

luogo quel furore artiziale di chi non sicuro di


se, e teme di aver paura. Questo mutamento fu no
tato da' cavalieri, e dette loro tal preoccupazione d a
nimo e tale sgomento, che rese pi. facile la. vitto
ria aTolosani, i quali da tutte le parti incalzandoli,
e di via in via perseguitandoli, sino al castello Nar
bonese li cacciarono, scontati di. numero ,. e coperti
non mondi ferite che di vergogna..
Venuta la sera, Simone di Monforte stavasi seduto
in una sola del castello Narbonese, colle braccia incro
ciate e il capo chino sul petto. Accanto a lui erano
Alice sua moglie, Laura, amauri, il vescovo Folco, Ro
berto Mauvoisin e il giovine Montmorencylutti sta

vano silenziosi- Alla ne Simone alz. il capo, e


disse al vescovo Folco:
- Credete voi che il demmio possa risuscitare
i morti, e farli uscire dal loro sepolcro 2.

- Questo.non dee credersi, rispose il vescovo,


sebbene il. demonio, per ragione della sua angelica
natura, che non perdette insieme colla gloria, alla.

molta scienza riunisca grande forza e molta potenza:

_76_

onde non o uomo, o castello, o citt, o monta


gna, chegli non possa muovere e trasportare da un
luogo ad un altro.

-- Il demonio pu adunque fare de miracoli? do


mand il conte.
- Egli non pu fare de' veri miracoli, ma delle
cose maravigliose; ed intendo per veri miracoli cose
che si fanno fuori dell' ordine della natura, come re
suscitare un morto.
- Se un morto appare, disse allora Simone non

senza segni visibili di terrore, opera adunque di Dio?


- La sola apparenza non basta, perch puote il
diavolo trasmutare la immaginazione e fantasia, e
dormendo, facendo sognare; evegliando, facendo pa
rere ed immaginare gure e similitudini di cose pau
rosa, dilettevoli e terribili, o di cose vere, o di cose
che paion vere. E questo fa perturbando 1 immagina
tiva delle persone, si che escano fuori della memo

ria e perdano il conoscimento.


- Pu quindi, continu a domandare il conte,
far apparire a noi un morto, che in verit non esiste?
- Certamente, disse il vescovo con quel tuono
deciso e sicuro, che s impara alle scuole di teologia,

certamente: il diavolo padre della menzogna; onde


si legge nelle cronache, che al tempo di papa Leone,
nelle terre di Roma furono due albergatori, che dando
agli uomini certo cacio incantato, li facevan diven
tare somieri. E nella vita de santi padri si legge,

_.77__.

che fu menate a un santo padre dai parenti una fan


ciulla. chera diventata cavalla. Ed i libri depoeti

son pieni di cotali trasformazioni, come dimostra il


libro delle Metamorfosi di Ovidio e quello di Apuleio
dell' Asino d oro. E tutte queste cose, come pruova

santo Agostino, nel libro della Citt di Dio, non fu


rono secondo verit, ma cosi parvero facendo il dia
volo udicazione e fascinazione, cio parere nella

immaginazione ci che non era. Non puote adunque


il diavolo mutare sostanzialmente una cosa in un al.
tra, n metter la vita dov la morte, ch propria
e sola virt d'Iddio; ma si pu fare apparire vivi

i morti.
-- Adunque, disse Simone pi rassicurato, il de
' monio pu prendere la figura e similitudine de morti?
- Cos , glio mio, come si legge nelle Sante

Scritture di quella indovina, che a petizione del re


Saulle, fece apparire Samuele, il quale predisse 1 ef
fetto della battaglia de Filistei; non che fosse Samuele
e lo spirito suo, come espongono i santi padri; ma
fu il demonio in quella similitudine , il quale mostrava
e diceva ch e fosse Samuele Cos si trova, che i de
moni prendono la similitudine di uomini e di fem
mine, e vanno di notte in isahiera alla tregenda,
dove le donne della torma che guidano 1 altre, sono
Erodia che fece uccidere san Giovanni Battista e Diana
antica dea de gentili. E badate che il credere ch esse

siano in malt superstizione condannevole di gente

_18_.

ignorante e sciocca; ma il vero ein , ecosi:afl'er


mano i dottori della chiesa, che i demonii pigliano
quelle forme e figure per ingannare gli uominie in

durli nel peccato.


- 'V qualche mezzo sicuro per distinguere la
vera dalla falsa apparizione ,cio 1 opera li Dio da
quella del demonio?
- Ve ne son due, rispose Folco: lo scongiuro
secondo il rito della santa chiesa, e l esame dello
scopo dellapparizione, perciocch se essa tende a

distogliervi dal servigio di 'Dio, e'opera'evidentissima


del demonio.
Il Monforte parve completamente rassicurato, pera
loch recitato qualche pater nostro , rivolse la parola
agli altri dicendo:
- Che farem noi de prigioni tolosani?
-- Costoro, rispose Amauri, sono tutti nomini ric

chissimi , e noi abbiamo bisogno di danaro: panni


quindi sia partito prudente permetter loro di riscat
tarsi mediante una grossa somma che noi sseremo....
- Siamo noi venuti per .mercanteggiare in Lingua
doca? interruppe Alice. La proposta che voi fate, 0

figlio, e indegna del sangue che scorre nelle vostre


vene.
'
- La crociata finita, 0 signora, ripigli Aman
ri: le nostre casse son vuote: gi il ricavato delle
confiscazioni che abbiamo fatte e delle taglie che ab

biamo imposte si tutto consumato nelle paghe del

__79_

lesercito. La Provenza perduta, e si corre rischio


di perdere la Linguadoca. Dobbiamo noi partirci pi
poveri di quanto siamo venuti?
- E voi vorreste, disse Alice con severo cipiglio,
farci partire ricchi e disonorati? Vostro padre stato
cacciato dalla citt di Tolosa; intendete voi, Amami?
cacciato il vincitore di Muret, colui che la Francia
saluta col nome di Giuda Maccabeo! Cacciato da un

branco di mercadanti e artigiani! E voi parlate di


danaro? Queste offese son vitupero che scendono
sino alla settima generazione. Io non oser pi le
vare la fronte nelle mie pari, e andr a seppelirmi

in una badia, se vostro padre non rientra da vinci


tore in Tolosa, o non ne piglia almeno si terribile
e memoranda vendetta che vinca e copra la memoria
della vergogna.
- Fratello mio, aggiunse Laura, quasi cemento
alle parole della madre, quando si ha avuto la for-_

tuna di cingere la corona di Tolosa, si pu perdere


questa corona in un ume di sangue, ma non si
dee giammai lasciar cadere nel fango.

Il Monforte, che aveva ascoltato con visibile ac


cuoramento le parole del figlio, e con compiacenza
ed orgoglio quelle della moglie e della figlia, fece
cenno al Mauvoisin, che parlasse.
- Signor conte , disse Roberto: noi abbiamo preso
la croce e siam venuti qui dal nostro paese per ester
minare gli eretici. I Tolosani sono tutti eretici e fan

._ 80 _

tori di eresia. Ne abbiamo in poter nostro ottanta;


ardiamoli tutti in una volta, e non ne parliamo pi.

- In ci che voi dite, o Mauvoisin, v' e del


buono , disse il Monforte; ma io vorrei rendere utile
a noi la loro morte. Si potrebbe, a cagion di esem
pio, dire a Tolosani, che se fra tanti dl non fanno
la loro sottomissione, mozzeremo le teste a prigioni

e le gitteremo co' mangani sulla ribelle citt. Che ne


dite voi, signor vescovo?
- lo temo non si ottenga 1 intento: conosco a

prova 1 ostinazione dei Tolosani.


--

Che proponete adunque?


Una pace.
Una pace! esclam Alice.
Per aver sicurezza di ricuperare e punire la

citt, rispose il vescovo.

- Un inganno adunque?

-- permesso 1' inganno contra a' nemici di Dio.

Alice sospiro, come chi costretto ad adoprare


quei mezzi che all animo suo ripugnano.
- E che ne dite voi mio nipote?
- Io dico, rispose il Montmorency con voce in
dignata, che questa un infamia.

- Come! grid il vescovo: e un crociato che


parla cos?

-- lo debbo seguire gl insegnamenti della chiesa,


disse il Monforte, e che la volont di Dio sia
fatta come in cielo cosi in terra.

_81_

- Signor conte, prosegu it giovine Montmorency,


qualche cosa di profondo, come un abisso, si scava

sordamente sotto a vostri piedi. [o non lo vedo, ma


lo sento. Non v casa dove non si pianga, non
v" e castello dove non si freme, non v e campo dove
non si muoia di fame. De' rumori vaghi e minac
ciosi traversano le citt e le campagne. Il popolo

volge gli sguardi verso il Rodano, dov in armi


Raimondo di Tolosa, e volge gli sguardi verso i Pi

renei, d onde attende il vecchio conte. Gli eretici


prottano del generale malcontento per accrescere i
loro seguaci, e molti son quelli che abbracciano le

resia per spirito di ribellione. Il clero non pensa che


a stabilire la sua dominazione, e ad arricchirsi delle
spoglie de vinti: voi gli date, voi gli date, ma il

giorno che non avrete pi da dargli, e vi abban


doner.
Quel magnanimo giovine predicava nel deserto:
il Monforte recitava pater nostri, Amauri computava

sulle dita la somma che si sarebbe potuta estorquere


da prigioni, Alice rimanea impassibile come una sta
tua, Laura parlava sottovoce col vescovo Folco di

come 1' inganno potrebbe 0rdirsi e 1 indolente e fe


roce Mauvoisin s era di gi addormentato.

L' indomani il vescovo Folco e I abate di S. Ser


nino percorrevano le vie di Tolosa, affermando che

il Monforte aveva inne accolto pi miti consigli;


ch era dolente di ci ch era seguito, non per suo
Auro. Vol.lV.

_gg_

comandamento, ma per impeto della sua gente; che

avea deliberato di liberare i prigioni, ed obliare


il passato, purch i Tolosani lo ricevessero onore
volmente nella loro citt, e gli consegnassero le ar_

me, promettendo dalla sua parte di rifare i danni


e di vivere con loro per l avvenire in santa e du

revole pace. Il vescovo e labate aggiungevano, che


si offrivano mallevadori di queste promesse.

I Tolosani da principio non volevano saperne di


nuovi accordi; ma i parenti ed amici de prigioni
temevano per le vite di costoro; quelli che aveano
sofferto danni pe saccheggi e per le arsioni, spera
vano esser rifatti; i paurosi lusingavansi sfuggire a'
pericoli della guerra, che prevedeasi terribile e san
guinosa ; e tutti questi interessi e paure collegati vin
cevgmo il partito dell' accordo.

Il Machiavelli aveva ragione allorch diceva: Sono


tante semplici gli uomini, e tanto ubbidiscono alle
necessit presenti, che colui che inganna trover sem
pre chi si lascia ingannare.

_85_

CAPITOLO VIII.
Come Simone di Monforte fece l accordo co'Toloaani

e come lo mantenne; e di ci che facevano i Templari.

Il di seguente Simone di Monforte si recava al


Campidoglio, cio al palagio del comune, accompa
gnato dasuoi baroni e da molti cavalieri. Quivi erano
di gi congregati i principali cittadini, che vi avean
fatto portare quante arme s eran potute raccogliere

nella citt. V eran pure il vescovo Folco e 1 abate


di San Sernino mediatori di quell accordo. In tutta

quella gente vera per una cert aria di diffidenza,


di sospetto e di sdegno compresso, che assai con
trastava colle cortesi parole, che dalluna parte e
dall' altra si dicevano. I Tolosani, facendo profonde
riverenze, guardavano in cagnesco i Francesi; e que

sti, lodando la pace , tiravan su i loro baffi e faeean


certi sembianti molto dubbiosi.

Il vescovo espose cosi i patti dellaccordo:


- Sar stabile pace tra il conte e i cittadini di
Tolosa. Il conte si obbliga d indennizzare quelli che
han sofferto danno nelle loro case e masserizie per

cagione dell incendio e de saccheggi. Egli liberer


tutti i prigioni, e dar salvocondotto a tutti quelli
che non verranno sottoscrivere 1 accordo, e deside
rano trasferirsi in altri paesi. Non neaneo neces

._84._.

sario d' aggiungere che non sar fatto alcun male a


tutti quelli che rimarranno in questa citt.

- E il signor conte aderisce a tutto questo ? chie


sero parecchi Tolosaui.
- Non solamente aderisco, rispose il conte, ma
lo giuro, c e tu, o Signore, rimetti a noi i nostri
debiti, come noi li rimettiamo a nostri debitori, e
non c indurre in tentazione.
- Cosi sia! rispose il vescovo.

Un mormorio di satisfazione si lev nellassemblea,


e sebbene parecchi ancora dubitassero della sincerit
della pace, i pi se ne mostravano convintissimi,
massime quando, portato il libro de vangeli, Simone
giuro, e dopo di lui, come mallevadori, giurarono
il vescovo e I abate.
Allora le armi furono consegnate alle genti del

Monforte, ed i parenti de prigioni si fecero intorno


a lui per ringraziarlo; e chi pi paura aveva avuto

pi applaudiva e Iodava la magnanimit del conte,


e protferivasi al suo servigio cogli averi e colla per

sona.
Fu quindi rogato il trattato, e si cominciava a
sottoscrivere, quando udironsi nella piazza grida con

fuse e rumore di cavalli e d arme. I Tolosani si tra.


mutaroo in viso, e tutti rivolsero i loro sguardi sul
Monforte, il quale stavasi freddo, impassibile, mor
morando la sua abituale preghiera, senza mostrare
segno alcuno di maraviglia o di gioia. Crescendo quel

._85_.
l ansiet. e quel sospetto pel crescere ed appressarsi
delle grida e del fragore, alcuni de pi animosi ten

tarono gittarsi nella sala, in cui eran state deposte le


arme; ma i cavalieri del Monforte ne avean serrate

le porte, e le custodivano colle spade sguainata in


mano. Si lev allora un grido di: Tradimento! Tra
dimento! Ed i Tolosani tentaron fuggire; ma era tar
di, perciocch in quel momento appunto, gridando:
Monforte! Monforte! Roberto Mauvoisin, seguito da
gente armata, entrava nella gran sala, e la sua com
parsa agghiacciava tutti di spavento. Alcuni si fecero

alle nestre, per vedere se di la vi fosse qualche


scampo, ma gli arcieri francesi, colle frecce sugli ar

chi erano attelati di faccia al palagio e saettavano


chiunque si affacciava, mentre una schiera di cava
lieri facea sgombrare la piazza, e cacciava in fuga
il popolo minuto, che si sparpagliava per la citt,
gridando: Tradimento! Tradimento !

Il Monforte, che non sera neanco mosso dal luogo


dove stava, n avea mutato aspetto e sembiante,
disse allora freddamente:

- Dovrei impiccarvi tutti per la gola, e mettere


a sacco e a fuoco la vostra citt; ma io non voglio
abusare di questa facile vittoria che Dio m ha data.
- Grazia signor conte!
- Misericordia, signore!
-- Abbiate piet di noi! gridavano molte voci.
-- Signor Roberto, continu Simone, come se

._86_
quelle grida e supplicazioni non giungessero sino a
lui: voi metterete in libert tutti i prigioni.
I Tolosani levarono un grido di gioia.

- Solamente, prosegui il Monforte, solamente i


loro beni saranno conscati, ed e' saranno agellati

colle verghe e quindi cacciati dalla citt come ri


belli. Di pi, la citt di Tolosa mi pagher in otto
di trentamila marchi (1 argento, per riscattarsi del
sacco che ha meritato , e voi mio figlio Amauri siete

deputato alla riscossione.


Alte grida di supplicazione e di dolore levarono i
miseri traditi, ma Simone li fece tutti tacere gridando:
- Pel legno della vera croce! che nessuno osi

pi proiferire una parole, se no col sangue tolosano


far di Tolosa un pedale.
Il vescovo Folco piangeva direttamente. Forse di

dolore? No, di tenerezza; ed egli mormorava fer


vorosamente :

- Signore Iddio mio, io sono un gran peccatore;


ma tu vedi quel chio io in servigio tuo o Signore.
Compensa le mie colpe co miei meriti, e a ci che
manca supplisca. la tua misericordia innita.
Il Monforte si rivolse a lui, e gli disse:
- Ogni vittoria viene da Dio, e a lui sono dovute
le primizie. Due calici d'oro, di dieci marchi

per

ciascheduno, io dono alle chiese di santo Stefano e


di san Saturnino, perch con essi sia offerto il di

vino sacricio secondo le mie intenzioni.

__87_

E Simone ed il vescovo, accompagnati daprin


cipali baroni, si partirono, luno recitando paterno
stri e 1 altro il salmo 105:
- Benedici, anima mia, il Signore, e tutte le
mie interiora benedicano il nome suo santo.
Benedici, anima mia, il Signore, e non dimenti
care tutti i suoi benecii.
L istessa sera fu data esecuzione al crudele ordine
del Monforte. Era di mezzo novembre: il cielo co
perto di nuvole: il vento solava con gran forza, e
a quando a quando scemava per dar luogo alla piog
gia. Nel giardino del castello Narbonese erano con
dotti a dieci a dieci i prigioni, stando sul loggiato

Simone di Monforte, la sua famiglia e la sua corte,


non che il vescovo Folco. I prigioni erano dispogliati
quasi ignudi, e quindi da robusti e feroci manigoldi
percossi colle verghe con tal furore , che il sangue
spicciava al primi colpi, n tardavano a saltar per
aria i brandelli della carne. Alle grida dolorose e agli
urli de martoriati , rispondevano le risa e gli schermi
degli spettatori. Il Mauvoisin incitava i carneci, e
a quando a quando faceva loro mescer del vino. Pi
di dugento erano i prigioni, quindi 1' atroce spetta
colo lungamente si prolung; ma il loggiato era ri
schiarato con doppieri d'argento, ed il giardino con

accole resinose, le cui amme rossastre e fumose,


agitata dal vento, spargevano una luce incerta e si

nistra, una vera luce infernale su martoriati ed i

_33_

martirizzatori. Quelli che avevano sofferto la agel


lazione erano gittati svenuti e sanguinosi in un an

golo del giardino, che rimaneva nellombra, e d'onda


venivano dolorosissimi lamenti ed ululati che non
pareano voce umana. Quando non vi furono pi pri
gioni da percuotere, e che i carnefici, stanchi ed
ebri di vino e di sangue, poterono riposarsi, furono
accostate le accole a suppliziati; ed allora si vide
orribile spettacolo! Un monte di corpi umani, fan
gosi, sanguinosi, muovevansi ed agitavansi tra gli
spasimi delle ferite e i delirii dell agonia. Pochi sta
vano all impie gli uni agli altri appoggiati: i pi gia
cevan per terra ammonticchiati nel fango sanguinoso.

- Signori cittadini di Tolosa, disse loro il Mau


voisin con derisione crudelissima, il signor conte di
Monforte vi mantiene i patti: voi siete liberi, e an
date via che il demonio sia con voi, sia che vi con

duca a salvamento nellinferno.


Tutti risero ed applaudirono a questa facezia del
siniscalco.
Fu aperta la porta del giardino che metteva nella

campagna. Pochi poterono alzarsi, e uscire da loro


stessi, appoggiandosi al muro e traendo guai. Altri

furono cacciati fuora a calci e colpi di picca. Altri,


per isforzo che facessero, non poterono rizzarsi, e

supplicavano con voce spenta, che per amore di Dio


li amnazzassero; ma furon presi per le mani e pe'
piedi e gittati fuori del giardino. Trenta eran morti.

_89_

Quando la porta fu richiusa, tutti gli spettatori


fecero lunghi evviva al conte Simone di Monforte ,
ed il castello echeggi di voci di gioia e di letizia.
Da un lato giaceva la citt involta nelle tenebre e
nel silenzio, dall altro si stendeva la campagna,
d'onda il vento portava de lamenti umani e degli

urli disperati che si confondevano collo scroscio della


pioggia e col lontano brontolio de tuoni.
Quando gran parte di quella terribile notte era
trascorsa , in un sotterraneo di un antico castello
rovinato, dove nessuno giammai si appressava per
timore degli spettri ch' era comune opinione 1 abi

tassero, si adunavano buon numero di persone. Era


quella una loggia di Templari, introdotte in quel
tempo in Occidente da alcuni cavalieri del Tempio
venuti dalla Palestina, dove avevano imparato anti
chi e misteriosi riti e dottrine, la cui origine si perde
nella pi remota antichit. Colui che presiedeva la
dunanza, e che sedeva su di un trono, dopo aver

picchiato tre volte con un martello che aveva in ma


no, cos disse:

- Fratelli sorveglianti, la loggia al coperto?


-- Venerabile, la , risposero i sorveglianti.
-- Che ora ?
- Mezzanotte.
-- La loggia aperta e il nostro lavoro incomincia.

Allora si fece un gran silenzio, e il granmaestro


continu a domandare:

_90_

- Fratello dell Oriente, che avete fatto de po


veri martoriati, che fuma buttati alla campagna da

Simone di Monforte?
-- Venerabile, han ricevuto tutte le cure e le as

sistenze che i fratelli debbono a fratelli e sono stati


provveduti di ogni bisognevole.

- Conoscon essi la mano che li ha soccorsi?


- No, venerabile, essi la ignorano.
- Noi non conosciamo altro Dio che Dio, il gran
de architetto delluniverso, disse il granmaestro. Chi
adora Dio, qualunque siasi il nome col quale lo ado
ri, della nostra religione, e tutti gli adoratori di
Dio sono nostri fratelli. Questa e la sapienza antica,
che ha traversate i secoli ed giunta sino a noi,
involta ne veli del mistero, perch il mondo im
merso nelle tenebri, e la luce non risplende che per

pochi eletti. Noi lavoriamo di e notte per innalzare


a Dio un tempio si grande, che la sua lunghezza
si stender dallOriente allOccidente, la sua larghezza
dal Settentrione al Mezzoggiorno, la sua altezza dalle
viscere della terra sino alla volta de cieli. Or di que
sto edicio, al compimento del quale lavoreranno
per secoli e secoli centinaia e centinaia di genera
zioni, noi non abbiamo ancor messo le fondamenta,
perch la terra ancora coperta di rovine che bi
sogna sgombrare, di inegualit che bisogna spianare,
di bronchi e spine che bisogna svellere. Mano adun
que a martelli; ma che il nostro lavoro si compia

_91._
nel mistero, si che se ne vedano gli effetti, senza
che alcun profano possa discoprirne le cagioni: cosi

compie la natura le sue opere beneche. Silenzio fra


telli, silenzio fuori di questo sacro luogo: e se dir
dobbiamo una parola sia a voce tanto sommessa,

che non vpossa. udirla la terra che calpestiamo e luc


cello che passa sul nostro capo. Miniamo sordamente
il suolo sotto i pie de nemici degli uomini, si che
un di si sprofondi, ed ci precipitino nellabisso, senza

che i popoli sappiano e sospettino da chi questa gru n


de giustizia sia stata compiuta.
_ E quanto tempo ci vuole per compiere quest'o

pera di rendenzione? domand una voce argentina


e quasi di fanciullo.
.-- Leternit, fratello della loggia di Carcassonna.

- Leternit! E dobbiamo attendere per tutta 1 e


ternit perch le ingiustizie siano riparate?
- No, fratello della loggia di Carcassonna; ed.

per questo che io dico a tutti i nostri fratelli: Mano


all opera, e che ciascuno impugni il suo martello

onde disfare il vecchio mondo , e cominci il nostro


tenebroso lavorio. Nelle tenebre noi lavoriamo per
procurare agli uomini la luce, perch tanto odiano
la luce che c impedirebbero se ci scoprissero. Igno
rer il mondo il benecio che gli facciamo, ignorer
la storia i nostri nomi, e noi vivremo e moriremo
ignorati, e in questo segreto impenetrabile e ripo
sta la nostra gloria. Mano allopera adunque, io vi

_92__
ripeto, in nome del grande architetto dell universo,
del Dio di tuttii secoli e di tutte le genti e nazioni.
Un mormorio di approvazione segui queste parole,
e con una grave e solenne melodia i congregati in
tuonarono questo cantico:

- - Silenzio fratelli, silenzio! Lastro della notte


ha percorso met. della sua via: i nostri sacri riti
sono in ne, il tempio ora che si chiuda.

Architetto del mondo , Dio tre volte grande , spi


rito eterno, volgi uno sguardo favorevole su questi

luoghi dove si celebra il tuo santo nome.


Volte aeree, tempii selvaggi de nostri boschi, echeg

giate de' nostri mistici canti. Giammai occhio profano


non penetr in questo luogo', giammai piede profano
non calpest questa sacra terra. Adoriamo Dio, o fra

telli: i nostri voti come profumo d incenso , salgano


al pi del suo trono immortale.
Architetto del mondo, Dio tre volte grande, spi

rito eterno, volgi uno sguardo favorevole su questi


luoghi, dove si celebra il tuo santo nome.
Uomini di tutte le lingue accorrete: la amma si
leva, la spada lampeggia: se le vostre intenzioni
sono buone, se il vostro cuore puro, voi siete no

stri fratelli.
Architetto del mondo, Dio tre volte grande, spi
rito eterno, volgi uno sguardo favorevole su questi
luoghi, dove si celebra il tuo santo nome.
Onore alla virt! Per essa noi edichiamo il sa

_95_

ero tempio. Guai, guai, guai al delitto, per esso noi


scaviamo prigioni profonde. Foss egli in cima al pi
alto monte, foss egli nelle viscere della terra o nelle
voragini del mare, la nostra spada lo raggiunger.
Architetto del mondo, Dio tre volte grande, spi
rito eterno, volgi uno sguardo favorevole su questi

luoghi, dove si celebra il tuo santo nome.


Spiriti celesti, unite a nostri canti il suono delle
vostre arpe divine. Martiri della verit e dellamore,

che sedete sulle nuvole doro , siate testimoni che


noi abbiamo conservati i riti sacri, che voi d et
in et ci avete tramandati.
Architetto del mondo, Dio tre volte grande, spi
rito eterno, volgi uno sguardo favorevole su questi
luoghi, dove si celebra il tuo santo nome .
Finito questo cantico, i lumi si spensero, e poco
dopo come delle ombre silenziose uscivano dalle ro
vine di quel castello, e protette dalla tenebri di quella
notte invernale, di qua e di l rapidamente si dile

guavano. Due di queste ombre, scendendo per un


viottolo serpeggiante che mettea in fondo di una val
le, dicean fra di loro cosi:
-- Abbiamo lungamente seminato.

- Ed il seme che abbiamo sparso germoglia.


-- Dobbiamo attendere ancora?
- No, Edmondo, il tempo della mietitura si av
vicina.
E le due ombre scomparvero nella oscurit della

_94_

notte, mentre l' acqua cadeva a torrenti ed il fra


gore de tuoni echeggiava nella valle.

CAPITOLO IX.
Come la citt di Tolosa li nottraue alla signoria
di Simone di Monforte.

Qualche tempo dopo una schiera di cavalieri ara


gonesi e catalani avvicinavasi a Salvelat. Era verso

sera: una nebbia densissima copriva la campagna.


I cavalieri marciavano silenziosi e stretti insieme,
colla bandiera avvolta e legata attorno 1 asta. Giunti

a un certo punto soffermaronsi; ed ecco uscire da die


tro un poggio unaltra schiera di cavalieri e avvi
cinarsi alla prima.
_
- Comminges! disse colui che la guidava.

- Tolosa! rispose il capo della prima schiera.


E 1' una e 1 altra si riunirono, e la marcia con
tinu silenziosa come prima sino al di qua di Salvetat.
Passando presso un bosco, una terza schiera com

parve.
- Chi viva? dissero i primi.
- Foix! risposero gli altri. E delle tre schiere se ne
form una sola, la quale prosegui il suo cammino alla
volta di Tolosa. Era quasi a sei miglia dalla citt,
quando tutto a un tratto si solferm , perch senti

__95__

vansi rumore di cavalli e lieti canti venire a quella


volta. Era un drappello di cavalieri francesi, che si
avanzavano senza sospetto, cantando le allegre can-
zoni della loro patria, per iscemare la noia del viag

gio. Gli altri si divisero in due parti , e lasciando li


hera la strada da due lati si ritirarono protetti dalla
nebbia e dalla notte; e quando i Francesi furono nel
mezzo, li circondarono e assalirono. Questi, sebbene
colti all'jmpensata, valorosamente si difesero; ma,

sopraffatti dal numero, furono tutti 'presi e truci


dati, perch nessuno di loro potesse avvisare i com
paesani del pericolo che li minacciava.

Il piccolo esercito, senza incontrare altro ostacolo,


giungeva presso a Tolosa e passava a guado la Ga
ronna al mulino di Besacle.
La guardia della citt. era afdata alla milizia del
comune, dalla quale il vescovo Folco aveva fatto es
cludere tutti i sospetti di poco amore pei Francesi.
Eran quindi rimasti quegli uomini paurosi dogni
mutamento, trepidanti sempre per le loro case e bot

teghe, Orlandi e Rinaldi in tempo di pace, men che


conigli nel pericolo. Una ronda doveva vegliare dal
lato della Garonna. Colui che l ordinava era un uo'
mo grosso e grasso che, i nostri lettori conoscono,
ma che ora difcilmente riconoscerebbero, non sola

mente perch il grado di capitano l ha gonato un


terzo di pi, ed ha sparso una grande dignit co
mica in tutta la sua persona; ma anche perch al

berretto bianco e succeduta una cervelliera di ferro,


al gremhiale un giaco di cuoio e alla coltella da cu
cina uno spadonc lungo tre braccia. Egli ben tras
formato maestro Girolamo , il degno osta del Sole;

ma sventuratamente non ha potuto-correggere quel


suo naturale di'etto di dire al contrario di ci che
vuol dire.
- Signori in la! grida egli colla voce che do
vette avere Annibale nella giornata di Canne, e Cesare
in quella di Farsaglia.
I fanti ubbidiscono, guardandosi i pi per met
tersi in linea, e rimproverandosi lun altro, quello
perch troppo avanti, quello perch troppo indietro,
o troppo discosto o troppo addosso al vicino.
- Tien su la picca: tu vedi bene che mi cavi
gli occhi.

- Colpa tua, che mi ti gitti addosso.


-- Fatti pi in l, Pietro.
- Se mi urlano di qui, che vuoi tu chio faccia?

- Silenzio, silenzio, disse il capitan0, e che nessu


no risponda quand io chiamo. Giovanni Rouge sartore.
- Presente, maestro Girolamo.

-- Qui io non sono maestro Girolamo, rispose


1 oste con aria di maest oltraggiata: e voi compare

non dovete pensare prima di dire una parola.


-4 Avete ragione maestro Girolamo; (1 ora in poi

quando io ho a dire maestro Girolamo, io dir sem


pre capitano.

_.91_..

- Pietro l Orafo.
- Presente, capitano.
-- Raimondo Blanc fornaio.

- Dove ho io ad andare, capitano?


- Ma non bisogna risponder cosi.
- E come dunque?
.

- Voi dovete dire: presente, che cos vogliono


gli statuti.
- Che volete voi chio sappia? Se si trattasse
di crusca o di farina! E poi, io ho il capo a certo
pane , che m' stato commesso per domani, che do
vr farne tre fornate di pi chio non soglio.
- Giulio di Cesareo tessitore.
- Presente, capitano.
-- Bernardino tintore.
- Presente.

-- Ruggiero Mozzorecchi barbiere.


-- Presente, signor capitano.
- Sta bene: uno, due, tre, quattro, cinque, sei:
sta bene. Ora vediamo a chi di voi non istia bene

il comandare.
-- Se vi piace, comander io, signor capitano, ri

spose Ruggiero, perch io so leggere e scrivere.


-- Bravo maestro Ruggiero: il saper leggere e
scrivere dono della natura; e cosi quello di una
bella persona merito nostro... Silenzio l gi, per
ch ridete? Voi non sapete adunque che il ridere e
contro gli statuti? Andiamo a voi, maestro Ruggiero,
mmc. Vol. I V.

_93_

voi sarete il capo, cio il capo son io, ma voi sa


rete un altro capo sotto del capo: 0 per dir pi chiaro
voi sarete come un altro che non son io,
'- Diteci ora che dobbiamo fare?

- Prima di tutto gli statuti dicono che il capo


guider gli altri: or per guidare quand buio come
in questa notte bisogna avere in mano la lanterna.
- Sta bene.
- Secondo, voi fermerete tutti i vagabondi.
- E se non vogliono fermarsi?
-- Oh bella! li lascerete andare, perch gli sta
tuti dicono che non si deve fare violenza ad alcuno.
- E che altro ho a fare io?
- Badare che al coprifuoco non ci sia pi fuoco
in nessuna casa... No.... no... questo il quarto ar
ticolo... 11 terzo egli - che non entrino uomini armati
in citt.
-- E ci dobbiamo opporre colle arme?
- lddio non voglia! maestro Ruggero, lddio non
voglia! perch nenascerebbe qualche rissa, e gli

statuti dicono che bisogna impedire le risse e gli


altri convenienti, e le cose convenienti sono quelle
che stanno contro le leggi. E poi non bisogna far

rumore.
- Si, si, questo lo sappiamo, meglio dormire
che far rumore.
'
- Voi dite benissimo, maestro Ruggiero, e si vede

bene che voi siete uomo di proposito: chi dorme non

_.99_

offende nessuno, purch si vegli alla sicurezza della


citt. Il quarto articolo e quello del coprifuoco..... e ha

date di non dimenticare di picchiare a tutte le osterie,


e se vi son briachi ordinar loro (1 andare a dormire.
- E se dormono?
-- Questa domanda non degna di voi, maestro
Ruggiero: se dormono voi gli sveglierete, ed ordine
rete di andare a dormire.
- C altro da fare?
- Sicuro, perch i capitoli sono cinque... Atten

dete un p.. Ah! ecco chio mi rammento. Voi ar


resterete tutti i sospetti e tutti i mali intenzionati
contra il conte di Monforte, nostro signore.

- E come sapr io ch e' sono sospetti e male


intenzionati ?
-- lnterrogandoli, maestro Ruggiero.
-- Sta bene, sta bene, risposero tutti.
-- Badate sopratutto di far buona guardia alle
nostre case e botteghe, e d impedire itumulti, per
ch e sono i veri propugnatori del nostro commercio.
-- Voi volete dire oppugnatori, compare , osserv
il sarto.

- Voi avete commesso due convenienze, compare,


rispose il capitano: prima di tutto di rimproverare
un superiore, il che contra agli statuti; secondo,

di chiamarmi compare, invece di capitano: voi sa


pete, compare, chio vi ho di gi ammonito per
questa convenienza.

-100

- C altro? domand il barbiere.


-- La consegna nita: animo adunque e buona
guardia. Badate bene di non addormentarvi, che qual
che malvivente non vi rubi le arme, come gi se
guito parecchie volte in questa settimana.

- Oh! oh! rispose il tinture: quando si dorme,


le arme si tengono sempre strette nelle gambe.

-- Bravo, bravo, amico mio: si vede bene che


voi siete pratico delle cose di guerra.
- lo feci la guerra dodici giorni nel tempo del
l'altro conte...

- Zitto l, disse il capitano: questo nome porta


disgrazia: noi non abbiamo altro conto, che il conte
ch nostro conte, cio il signor Simone di Monforte.
Buona notte, amici miei: fate buona guardia, e se
sieguo qualche caso grave, avvertitemene prima, per
ch io possa darvi gli ordini opportuni. Buona notte,
amici miei.... e state vigilanti perch una gran
nebbia questa notte.
- Buon sonno, capitano.
- Ah! a proposito, maestro Ruggiero, disse mae
stro Girolamo, ritornando indietro: se avete qualche
momento (1 ozio, non trascurate di dare una guarda

tina dal lato della porta delle Croci.


- Dov la vostra osteria?
-_ Voi siete un uomo molto intelligente, maestro
Ruggiero, ed io mi compiaccio della scelta che ho

fatto. Buona. notte: siate vigllanti, vi priego.

-101

- Non dubitate, capitano: neanco una mosca ron


zer per Tolosa senza il vostro permesso; dormite
tranquillo.
Ed il degno capitano si allontan trono e petto
ruto, come un tacchino che faccia la ruota, sbatac
chiando il suo lungo spadone su tutti i canti delle
case ed i sassi della via, con tal aria marziale, che
qualche cittadino in ritardo, che 1' incontrava, si traeva
da parte sulle soglie delle botteghe, come se passar

dovesse un esercito di cavalli.


In quella medesima ora i capitolii della citt e del
borgo di Tolosa erano adunati a consiglio nel Cam
pidoglio, per provvedere al modo di trovare certi
danari, che oltre i trenta mila marchi d' argento,
chiedeva Simone di Monforte per sostenere la guerra
di Provenza , dove s era egli recato, sicuro che To
losa non oserebbe pi sollevarsi. Laare era molto
difficile, perch la citt era oramai esausta, n sa

pevasi pi (1 onde trarne, essendo pressoch inaridite


tutte le sorgenti della pubblica prosperit. Erano i

capitolii in questi travagli, allorch domand di par


lar con loro David Roaix.
Questo ricco e potente cittadino, dappoich Tolosa
venne in signoria del Monforte, non prese pi parte
alle cose del comune, ma non volle uscire dalla citt,
sebbene vi fosse malveduto da nuovi dominatori, e

pi volte fosse stato condannato a delle gravi ammen


de, e minacciato nella libert e nella vita. Ma per

-102-

David Roaix vivere fuori Tolosa era peggio che


morire, essendo profondamente convinto 1 aria di tutte
le altre citt del mondo essere mefitica, il clima o
troppo caldo o troppo freddo, l acqua insalubre, la
carne, il pesce, le frutta senza sapore. D altronde
nessunaltra citt. aveva le cattedrali di santo Stefano
'e di san Saturnino ed il Campidoglio, ed egli aveva
assoluta necessit di vedere tutti i giorni questi tre
oggetti del suo amore; e di dimostrare a tutti ifo
restieri, che incontrava, come e qualmente in tutta

la cristianit. non vera niente di pi bello e di pi


adorno; e di menarli a desinare a casa sua e far
loro mille cortesie se gli davan ragione, e di dir loro
villanie, e, occorendo, di batterli se osavano dir
male di Tolosa.
La venuta di David al Campidoglio maravigh molto
i capitolii, e li mise anche in una certa confusione,
dappoich sapevano quanto e fosse avverso alla nuova
signoria e fedele allantica. Non gi che i capitolii fos
sero amici del Monforte; ma com' dovere (1 ogni
onesto magistrato municipale, avevano del conte una
gran paura. Ci non ostante , parvero alquanto ras
sicurarsi quando David disse loro, ch era venuto per
toglierli dall imbarazzo nel quale si trovavano.
-- Ecco, disse allora. il pi anziano, si vede bene
che _voi siete un prudente cittadino, e che amate dav
vero la nostra comune patria.
- Voi ne dubitavate? domand David.

-'105_

-- No, dubitarne non mai; ma voglio dire che


vi siete messo nella via retta per giovare alla nostra
citt.

- Com a dire!
- Che, dandoci il mezzo di fornire al signor conte

il danaro che ci domanda, voi libererete Tolosa di


un gran pericolo.

- Ma il mezzo chio vi do- semplicissimo.


- Vediamo, un pof, vediamo un po, disse un al

tro de capitolii: voi venite a proporre ci ch io pro


poneva poco. prima; un nuovo. dazio su' mulini e le
pescheria.
' 1- Ma no..._

-= Ah! Ah! disse un.terzo: piuttosto accrescere


il dazio sul sale: voi siete adunque d accordo con me?
-.- Voi proponete di accrescere il dazio sul sale,
interruppe il quarto, perch voi nelle vostre terre
non fate formaggi e non salate del pesce: accresciamo

piuttosto il dazio su, drappi di seta, ch la vostra


mercanzia.
- Lasciamo i drappi di seta, che gi sono molto

aggravati, disse un altro, lo. so. bene ci che vuole


consigliarci il signor David: egli . un nuovo testa
tico,

-- Ma io non dico nulla di tutto questo, signori

capitolii.
- E che proponete voi dunque?
- Di non pagare,

-104_

Un fulmine caduto nellaula del Campidoglio non


avrebbe cosi spaurito i nobili capitolii quanto questa
parola.
- Silenzio, per amor di Dio!
- Voi vaneggiate?
- Voi ci volete tirare addosso qualche guaio ter

ribile?
- Pensate che siamo padri di famiglia.
- lo ho moglie e cinque figliuoli.
-- lo ho i miei fondachi pieni di broccati; non
ci vorrebbe altro che qualche nuovo saccheggio o
qualche incendio per rovinarmi.
_ Non amare la patria commettere simili follie.

- Voi 1 amate a parole: siamo noi, noi che la


miamo davvero e che vogliamo salvarla dal pericolo.
- Bisogna pagare! bisogna pagare! gridavano in
coro tutti i capitolii.
- Ma voi non avete il danaro; ma voi avete pa
gato ieri trentamila marchi d' argento.
- Non importa, se ne tro_ver dell altro.
-- Ma i cittadini sono impoveriti. E dato che giun
geste a procurarvi il danaro, come farete da qui a
un mese, da qui a due mesi, quando il Monforte
ve ne chieder dell altro per proseguire la guerra di
Provenza? La tigre, che ha gustato il sangue, non

lascia pi la sua preda prima di averla divorata. Un


giorno bisogner pure dire: noi non ne abbiamo pi
e quel giorno voi sarete perduti.

-'-105

- Ma i Francesi? ma i Francesi?
- Fra due ore non vi sar pi in Tolosa nean
che un solo Francese.
- Una congiura!

-- Una ribellione!
- Signori colleghi, disse uno dei capitolii che la
I paura rendeva pi audace: io propongo, di andar su
bito, in questo momento istesso al castello Narbonese,
e manifestar tutto alla signora contessa Alice e al
signor siniscalco. Le mura hanno gli orecchi, di que
sti tempi, e noi potremmo esser tutti giudicati rei
di ribellione per avere ascoltato queste parole. Non

deve stare in arbitrio di un imprudente di rovinare


tanti onesti cittadini e gittare in nuovi travagli la
patria.
-- Ascoltate, signori capitolii, disse David, al
quale il sangue era di gi montato al viso:se io non
amassi questa nostra patria quanto io lamo, se io

non la rispettassi anche ne magistrati che sono inde


gni di lei, se io non tenessi per luogo sacro questo

Campidoglio ornato delle nobili immagini de' nostri


avi, a quest'ora vi farei tutti gittar gi da queste
nestre... Silenzio signori capitolii, io non sono un
fanciullo, ne un insensato , e quando minaccia vuol
dire che ho possibilit di fare eseguire. Se non mi
credete, venite con me, signori capitolii.
E senza aggiunger altro, e' prese una lampada,
apri un uscio, poi un altro, traverso un andito, e

-106

come uomo che sapeva. perfettamente tutto l ordine


del palagio, cominci a salire per la scala. della torre.
I capitolii esitanti, spauriti, eppure soggiogati dalla
sicurezza con cui parlava ed operava quelluomo,
che avea riputazione di prudentissimo, lo seguivano
silenziosi. Giunti in vetta alla torre, David pos a
terra la lampada e. disse loro:
- Che vedete voi, nella citt di. T0105a2,
- Nulla, risposero i capitolii: tutto e silenzio ed
oscurit, e la nebbia aggiunge un nuovo velo alla
notte.

David pigli la lampada e. la sollev e abbass


tre volte. A qual segno, in quindici o venti luoghi
diversi, si videro come dietro ad un velo tanti punti
luminosi alzarsi e abbassasi tre volte.
- Ma che avete fatto voit domandavano i. con,
soli con grande ansiet,
-.- Il segno.

- Il segno di che?
-..- Di asserragliare le vie,

1 capitolii erano pi morti che vivi: qualcuno. di


loro dovette sedersi, perch non poteva. reggersi. in pi.
La citt parve popolarsi tutto a un tratto. di fanta
smi. Le porte si aprivano e chiudevano senza rumore,
e al lume, che da esse schizzava fuori in quel. mo
mento cher_ano aperte, vedevansi uscire uomini si

lenziosi, con-assi. travi e. balle di fieno, che ammuc


chiavan0 nelle vie. Era un continuo andare e venire,

-107

aggrupparsi, dividersi e sparire nelle tenebre. Non


un grido ,. non una voce: solamente sentivasi pi
frequente del solito l abbaiare de' cani, che rendeva

pi solenne e terribile quel silenzio misterioso. 1 ca


pitolii non vedevan tutto, a cagione della nebbia;
ma da ci che vedevasi era agevole indovinare il resto.
David teneva gli sguardi rivolti attentamente verso
il ume; e dalla sua respirazione affannosa si ve
deva, ch egli- stesso, sebbene parlasse con tanta si-,
carezza, non era pienamente tranquillo. Ed in vero,
chi pu starsh freddo e indifferente in quel momento
terribile in cui si d principio ad una impresa, dalla;
quale pu dipendere la salute della patria o la sua
rovina, ad un impresa che mille accidenti lievissimi

ed imprevidibili possono disordinare e fare andare


a male. David guardava con occhio di amante ibelli

e adorni edificii della sua Tolosa, e ne temeva la.


distruzione: e pensava a tanti giovani animosi, che
tra qualche ora potevano esser morti; e a tante
mogli, e figlie, e sorelle, e madri, che il nuovo
sole avrebbe potuto vedere prive di meriti, di padri,

di fratelli, di gli, e-andar-ricercando nelle fumanti


rovine della patria i cadaveri di quelli, che poco

prima s'eran divisi da loro pieni di vita e di spo


ranze l

La nebbia s era alquanto diradata, ed ecco. sco


prirsi al di qua della Garonna, sul mulino di Besacle,
tre ammelle. David gitt un grido di gioia, piglio

-108_

nuovamente la lampada, lagit tre volte nell' aria.


Il medesimo segno fu subito ripetuto in molte parti

della citt.
- Che vuol dir questo ? domandarono i capitolii.
- Quelle tre accole, che voi vedete, rispose
Roaix, sono il vecchio conte di Tolosa, il conte di
Comminges e il signor Bernardo gliuolo del conte
di Foix.

Si sollev allora da tutta la citt. un rumore sordo


che somigliava al mormorio di una cascata, al fre

mito del mare, al fragore del tuono lontano, a ge


miti sotterranei di un vulcano prima di cominciare
l eruzione.

La citt continuava ad essere immersa nelle te


nebre; ma a quando a quando vedevasi attraversare

le vie qualche lanterna, ed aggirarsi rapidamente _di


qua e di l come un fuoco folletto. I cani abbaia
vano pi furiosamente di prima.

- Signori capitolii, disse Roax, tempo di di


scendere nella sala del gran consiglio.
Non appena erano quivi giunti, la porta si spa
lanc per dar passaggio a maestro Girolamo. Egli
era cosperso di sudore , trafelato, ed il suo largo
petto si alzava e abbassava come un mantice di ma

gnano.
- Signore capitolii gli statuti.... ohim ! mi manca
il ato... gli statuti... sono inviolati...

- Cosa stato?

-109.

- Dite pure...
-- Noi abbiamo fatto buona guardia.... ma la bat
taglia stata terribile.... un esercito pi grande di
quello di Xeres , d onde viene il buon vino... Noi
siamo stati battuti come leoni.

- Vi siete opposti all' entrata del conte di To


losa? grid uno decapitolii. Sciagurati! Il conte
il nostro signore.

- Sicuro, disse subito il degno capitano: il conte


il nostro signore... e per questo noi abbiamo fatto
quel che non abbiamo fatto...

- Vi sono de morti?
- No , grazie a Dio: nelle nostre guardie tutti
imorti son vivi.
- Signor David, dicevano i capitolii , voi sapete

che in fondo noi siamo stati sempre fedeli al conte


di Tolosa.
- Bisognava ngere.
- Era necessit dissimulare.
- Diteci cosa dobbiamo fare?
- Non v' pi tempo da perdere: sentito il ru
more della battaglia che si avvicina, sentite le grida
del popolo. Mettete subito alle nestre del Campido
glio la bandiera del conte, e fate suonare a stormo
la campana del comune.

Gran confusione in tutto il palagio; gli ufficiali,


i sergenti, i mazzieri, i famigli correvano su e gi.

La bandiera del conte, cavata fuori dal fondo di un

-110_

armadio, sventolava gi alle nestre: la campana


suonava a stormo: le grida e il fragore della bat
taglia sempre pi si avvicinavano. Drapelli di gente

armata accorrevano nella piazza, gridando: Lumi


alle nestre! Lumi

alle tinestre! E la Citt, come

per incanto tutto a un tratto silluninava. i capi


tolii dalle nestre del palagio gridavano a rompersi
il petto: Viva il conte di Tolosa!
In quel momento giungeva Tictro di Mirepoix se

guito da uncentinaio d uomini armati. La folla si


apriva al suo passaggio, ed egli saliva in palagio,
tenendo in mano una bandiera della casa deidon
forte.

- Che nuove, signor Pietro? domand David.


-- Buone nuove, signor David: ecco la bandiera
che abbiamo tolto a cavalieri francesi nella piazza
di san Giorgio.
-- Consegnatela a signori capitolii della citt. e

del borgo di Tolosa, come trofeo della vittoria.


- Ecco il signor Raimondo Alfaro! ccco'il signor
Raimondo Alfaro! gridavano nel cortile e nelle scale:
e Raimondo Alfaro entrava nella sala colla spada
sguainata e grondante sangue.

-- D onde venite signor "Raimondo? domandava


Boaix.
- Dalla piazza della Deaurata: iFrancesi sono
stati battuti, e fuggono alla volta del castello Nar
bonese.

-111

- Eccolo, eccolo! largo! largo! gridavano nella


piazza.
- Viva il conte di Tolosa!
- Viva il conte di Comminges!
- Viva il signor Bernardo di Foixi
Icapitolii scesero rapidamente le scale, e singinoc

chiarono a pi del vecchio Conte di Tolosa, che in


quel momento smontava da cavallo. Egli entr in pa
lagio sulle braccia del popolo. Oramai giunto quel
momento, in cui pi si millanta chi meno ha fatto,

e che pi grida e fa bordello chi s'in ora ' stato


pi nascosto e rimpiattato!

Quando il vescovo Folco, accorso al castello Nar


bonese, annunzi alla contessa Alice, che il vecchio
conte di Tolosa era entrato in citt, la contessa non
volle crederlo, non ostante che si sentisse il grido
del popolo e il suono a stormo delampidoglio. Ma
poco dopo sopraggiunse il Mauvoisin col giustacuore
lacerato e tutto macchiato di sangue.

- egli vero? grid la contessa.


- Pur troppo! rispose il sinisealco, gittandosi a

sedere in un seggiolone.
- Ma insomma?
-- In somma: Tolosa perduta.
-- Perduta! esclam Laura.
- Ma come perduta, signor siniscalco? domand
in tuono di rimprovero la contessa.

- Come si perdono le citt, signora contessa.

-112-

- Sono adunque prodi questi Tolosani, disse iro


nicamente Alice, per battere de vecchi guerrieri.
- Prodi come de mercadanti e degli argentarii.
-- Ma inne voi siete fuggiti?
Roberto Manvoisin alz le spalle senza rispondere,
e si mise a canticchiare sotto voce.
- Ecco inne, mio cugino, disse Laura andando
incontro al Montmorency, che entrava, colla spada

rotta in mano, e col braccio sinistro involto in un


mantello intriso di sangue.
- Anche voi, mio nipote, vi siete ritirato? do
mand la contessa.
- Signora , Tolosa perduta, com io aveva pre
veduto; ed nostro dovere difendere questo castello.
_ Per questo castello basto io colle mie genti,
disse severamente Alice; e forse le donne avranno
quel cuore che manca agli uomini.
_- Voi volete dire, o signora, che noi abbiamo
avuto paura? Per Dio! una donna, una contessa di
Monforte ed una Montmorency solamente mi pu far
sopportare un simile rimprovero.
- Che si spediscan subito due messaggi sicuri,
1 uno a mio glio e al mio cognato a Carcassonna
perch accorrano subito a Tolosa, e l' altro all eser

cito a ne di avvisare il conte di quanto seguito.


Quando verr mio glio e mio cognato vedremo.
- Vedremo, ripet Roberto Mauvoisin.
-- Che credete voi che si lasceranno battere ?

-115

- E perch no ? non sono stato battuto io?


- No, e' vinceranno: e noi vedremo in breve que
sta citt nuovamente a nostri piedi, ed io far im
piccare per la gola tutti i capitolii, giacch voi con
verrete meco che la sede di questa congiura e ribel
lione di certo nel Campidoglio, del quale non la
scer pietra sopra pietra.
- Eppure in non avrei mai creduto, disse il si
niscalco, che quei capitolii fosser capaci di tanto.
-- Ma ora ne siete convinto ?
- Non ne ho alcun dubbio.

- Se si potesse trovar modo di ritenere Raimondo


sul Rodano?
- Si pu, rispose il vescovo Folco.
- Come ?
- Io vi prometto, signora contessa, che Raimondo
non passer il Rodano, e che il signor conte vostro
marito avr tutto il tempo per giungere a Tolosa,
senza timore di trovarsi chiuso tra una citt ribelle
ed un esercito nemico.

CAPITOLO X.
Per qud ragione gli antichi rappresentavano
Amore bendato.

Raimondo era accampato sulle sponde del Rodano,


ed avendo ricevuto nuovi aiuti dai Provenzali, ap
ALIIG. Vol.l V.

--'li4

parecchiavasi ad assalire il Monforte, allorch gli


giunsero lettere del padre suo, che gli annunziava la
liberazione di Tolosa, e lo pregava ed esortava a te
nere occupato il Monforte con continui combattimenti,

adiuch non potesse occorrere in aiuto de' suoi, che


tenevano il castello Narbonese; e che in tutti i casi
lo inseguisse e perseguitasse sino a Tolosa, onde e
fosse preso in mezzo e agevolmente disfatto.
Lietissimo oltre ogni dire per questa nuova rice
vuta, Raimondo chiam i capi dellesercito ed or

din loro di apparecchiarsi a passare il Rodano 1 in


domani e a commettere la battaglia; il che fu ca

gione di grande allegrezza nel campo, perciocch le

forze provenzali erano superiori delle francesi, e la


vittoria tener si poteva sicura.
Eccoti qualche ora dopo presentarsi alla sua tenda
frate Guglielmo Arnaud di Mompilieri dell ordine
de predicatori. I nostri lettori conoscono gi. costui.
Ora egli era entrato nel nuovo ordine fondato da
Domenico Gusmano, senza smettere quella articiosa.
dolcezza e soavit, che gli aveva procurato il nome
di santo. Fatte le solite salutazioni che usano, il
frate si annunzio come inviato del vescovo Folco.

- E che vuole da'me il vescovo di Tolosa?


chiese Raimondo con severo cipiglio.
Il frate sorrise con molta soavit, ed appressan
dosi a Raimondo pi che pot per vederlo in viso,
essendo egli molto miope, gli disse sotto voce:

+115

-- Conoscete voi, signore, Eloisa gliuola di Astro


labio.

Raimondo trasali a questo nome, ma frenando la


sua commozione, rispose:
'
-- Eloisa ?... Eloisa d Astrolabio 9... non me ne

ricordo.... Ma che ha che fare costei col messaggio


del vescovo Folco?

- Eppure ella ciba che fare moltissimo.


-- Io non comprendo.

- Parler pi chiaro, il che si conviene pi


alla mia natura, che abborre gli artizii.
'
- Dite pure, frate Guglielmo.
- Questa Eloisa di Astrolabio... una serva fug-
gitiva della chiesa di Santo Stefano, la quale tro
vasi sventuratamente convinta di adulterio e di eresia.
Raimomlo divent pallido in viso, pure ebbe forza

di chiedere quasi freddamente:


- Convinta da chi? Forse dal vescovo Folco?
-- No, sgnor conte; da frate Domenico il servo
di Dio.
- E chi dice questo? il vescovo Folco.
- Ohimet no, signor conte: lo dice listesso frate
Domenico , come potete Vedere voi stesso in questo

foglio.

"

Ed in cos dire egli usc dalle sue tasche una per- '
gamena, ch era 1 attestato di Domenico Gusmano
inquisitore della diocesi di Tolosa, che Eloisa di
Astrolabio era convinta di adulterio e di eresia, e

'

-116

1 ordine d essere consegnata al braccio secolare, il


che volea dire d essere arsa viva.
Raimondo rimase come colpito dal fulmine. Il frate,

dopo non breve silenzio, soggiunse:


-- Signor conte io non voglio essere indiscreto,

e voglio rispettare il segreto del vostro cuore... Ma


sappiate che io vengo per compire un opera di ca
rit. Vi dir quindi solamente: voi potete salvare
dal rogo questa fanciulla.
- Volentieri, disse Raimondo, aettando quanto
pi poteva indifferenza.
\- Bene, bene, disse il frate: io vedo che pos

siamo intenderci.
-- Intendiamoci pure, frate Guglielmo.
- Io vi diceva adunque, che voi potete salvarla;
ma voi comprenderete bene, signor conte, che in

questo caso si ha diritto a pretendere da voi qual


che cosa.

-4 giusto, rispose Raimondo; ma qual e que


sta cosa che si pretende da me?

-- Una cosa lievissima.


-- Ma pure?

- Ecco, io dovrei qui adoprare delle articiose


parole; ma in verit io non posso: son cos sem
plice, che l articio mi par bugia.
- Ma inne ?

- Promettete di non passare il Rodano prima di


un anno.

-il7

- Come dite? domand Raimondo spalancando


gli occhi, e quasi non sicuro di avere ben compreso,
tanto la dimande gli parve enorme.
- Promettete di non passare il Rodano prima di
un anno, ripet il frate con viso beato e innocente.

- Ma voi dite per cella, frate Guglielmo.


-- Voi sapete bene che io non celio signor conte:
le celie non si convengono a' religiosi.

-- Allora una seria proposta, che voi mi fate?


- Seriissima, signor conte.

-- Dovrei quindi rimanere accompagnato qui per


un anno 2
_
-- No, signor conte, voi potete ritornare a Mar

siglia o andare dove vi piacer, purch non pas


siate il Rodano.
-- Voi pretendete adunque che io rimanga inerte,
mentre il Monforte muover contro Tolosa?
- Cos , signor conte.

- Ma il vescovo Folco che vi manda, e voi che


venite in suo nome, avete perduto la ragione?

- Signor conte solamente per compassione chio


mi sono ingerito in questa facenda. Oh mio Dio!
io lo sapeva bene che non sarei riuscito, perch gli
uomini son presi agevolmente cogli articii e coglin
ganni, e non danno ascolto a consigli semplici e sin
ceri.

- Questo un giuoco, disse Raimondo, che gi


dura troppo a lungo.
'

--118

- Credetemi, signor conte, che non un gino


co; ma se pur tale lo volete credere, non dimenti
cate che si giuoca la vita di una giovine, che a
quanto dicono vi e cara.
- Ma voi, frate Guglielmo, dovete comprendere...
- Signor conte, interruppe il frate, io comprendo
che voi siete un bravo cavaliere, che per non man
care al vostro dovere verso i Tolosani. preferite la
morte di una fanciulla che amate.

- Ma inne, disse Raimondo, la citt di Tolosa


in mano di mio padre e le prigioni del vescovo
non sono inespugnabili.

- Ma la fanciulla non pi nelle prigioni del


vescovo.
- E dov dunque ?
-- Oh mio Dio! s io lo sapessi esiterei a dirve
lo? forse farei male e tradirei il mio dovere, ma
che volete? io son fatto cosi: il sentimento della
piet in me vince quello della giustizia. Oh il debole
e acco uomo che io sono !

- Ma voi volete, che per liberare dal rogo una


fanciulla chio non conosco , io mi ricopra di ver
gogna ?
-- Ma....

- Non mai, non mai, frate Guglielmo.


-- Permettete che vi dica...
- Non mai, vi ripeto.
- la vostra ultima parola, signor conte ?

-119_

-- L ultima, la suprema.
- Pensateci bene.

-_ -- Ci bo.pensato abbastanza; in non voglio per


dere il mio onore.

- E voi perderete la fanciulla.


E il frate, dette queste parole, fece una profonda
riverenza, e si avvi per uscire, mormorando:
- Povera Eloisa !... dover morire cos giovine e
cos bella... E quando sapr. ch' il suo amante che
la fa morire!
Raimondo lo raggiunse e lo prese pel braccio, di
cendogli:
.
-- Voi non farete una si grande scelleratezza... Voi
non farete morire sul rogo una fanciulla innocente.
- lo, signor conte? Oh! potessi dare il mio
sangue per salvarla! Ma siete voi, voi che la fate
morire per vanit, per orgoglio.

-- Datemi tempo sino a domani, disse Raimondo


quasi fuori di se.
- Ebbene, rispose ilv frate: domani al sorgere del

sole, voi mi rivedrete qui. 0 mio Dio quanto dif


ficile fare un po di bene in questo mondo. E cos
dicendo si part. .

Raimondo, rimasto solo, si cacci le mani ne ca


pelli e dette sfogo all" immenso suo dolore si lunga
mente compresso. Andava su e gi per la tenda come
un insensato. Cercava un mezzo per uscire da quel bi
vio orribile e non n.0 trovava alcuno, Far morire Eloisa

-120

sul rogo, mentre poteva salvarla? E dallaltra par


te: abbandonare suo padre e i suoi fedeli ch' egli
aveva indotto a sollevarsi? Restarsi inoperoso sul
Rodano mentre sotto le mura di Tolosa si decidereb
bero le sorti sue, non che della Provenza e della Lia
guadoca" Quando considerava uno di questi partiti,
egli esclamava: impossibile! Ma considerando laltro,
e lo trovava egualmente impossibile, e fra queste
due impossibilit la sua mente si confondeva ed il
suo cuore si spezzava. Domani quel frate verrebbe
inesorabile come il destino; bisognerebbe dargli una
risposta: ma quale ? Domani i capi dell esercito ver
rebbero a dire che tutto apparecchiato per passare
il Rodano e assalire il Monforte: bisognerebbe indu
giare e dar di questo indugio una ragione; ma quale?
La notte trascorse tutta in questa ricerca vana. Tra

angosce indescrivibili, senza dormire, senza neanco

mettersi a giacere, Raimondo vide penetrare nella sua


tenda i primi raggi del nuovo sole, e con essi en
trare frate Guglielmo, e ud con terrore quella sua
voce melliilua:
- La pace del Signore sia con voi.

Raimondo, ch era in piedi, si gitt a sedere su


di uno sgabello, pallido e tremante, come un con
dannato a morte, che senta la squilla annunziatrice

del supplizio. La veglia angosciosa della notte aveva


esaurito le sue forze. Egli fece cenno di sedere al
frate, il quale, per bene osservarlo in viso si sed

-121

accosto a lui, col pretesto di potergli parlare sotto


voce, e gli disse:
- Avete risoluto, signor conte?
Raimondo senza rispondere alla domanda, comin
ci a dire con voce concitate:

-- Ma voi mi proponete di disonorarmi e di co


prirmi di vergogna. Ci che voi volete da me un
infamia. E voi siete ministri di Dio? No, voi siete
gli del demonio.
- Signore, rispose frate Guglielmo, dovere del
nostro stato sopportare con pazienza ed umilt le in
giurie e gli oltraggi. Dite pure ci che volete, bat
tetemi pure se vi aggrada; ma considerate che rivol
gere il suo sdegno contro un povero frate, gracile;
iniermiccio, quasi cieco, e che non ha forse a stare
in questo guasto mondo che pochissimo tempo, non
cosa onorevole per un giovine e gagliardo cavaliere.
-- Ma non il colmo del disonore ci che voi
mi chiedete 2
- Oh! esclam il frate voi esagerate signor conte.
- Esagero ? Rimaner qui sul Rodano, mentre il

Monforte ander a combattere mio padre, i miei ami


ci, i miei fedeli, la mia patria ? Rimaner qui, man
care alla mia parola, alle mie promesse, a miei
giuramenti, senza una ragione, senza un pretesto,

e voi dite che io esagero?


- Ma se io, signor conte, vi dassi una ragione

plausibile ed onorevole?

-122_
- E quale ?

- Supponete che quando vi giunse la nuova della


sollevazione di Tolosa, il che non dovett essere pri
ma di ieri, voi vi trovavate di aver fermato una tre
gua di un anno col Monforte.

- Ma io non posso supporre ci che non esiste,


disse Raimondo.

- Eppure, basta la vostra volont perch sia cosi.


- E come ?
.
-- Voi questa notte dormivate forse, signor con
te; ma il povero frate non dormiva, e vegliava pen
sando a quella misera fanciulla, e pregava il Si
gnore che avesse misericordia di lei e di voi: ed
il Signore l esaudi. Ecco un trattato di tregua , colla
data di ieri laltro, sottoscritto da Simone di Mon
forte e munito del suo sigillo. E cosi dicendo egli
usci una pergamena e la mostr, spiegata, a Rai
mondo. Quindi prosegui:
- Vedete bene che nessuno avr diritto di bia
,simarvi, quando voi allegherete un trattato prece
dente.
.
.

-- Ed il vescovo, domand Raimondo, metter


subito in libert la fanciulla ?

- No, signor conte: perch il vescovo dice che


il demonio, nella sua malizia, potrebbe indurvi a
mancare alla vostra promessa.

-- Egli adunque diffida di me ? E perch io debbo


fidarmi di lui?

"

_125

+- Oli! oh! io povero frate, nella mia sempli


_cit mi fiderei di ..voi e di lui.... perch a me non
riescirebbe ingannare... Ma, non importa: io ho con
me il rimedio anche per questa diffidenza. Questo
foglio e una sentenzadel vescovo, nella quale dice,
che avendo riconosciuto il verace pentimento di Eloisa
di Astrolabio, la condanna ad un anno di prigione,
e che spirato questo tempo alla sia rimessa in li
bert, e come buona cattolica, non riceva da chic

chessia alcuna molestia.

- E questa sentenza rimarr nelle mie mani?


_ domand Raimondo.
.
- Nelle vostre, signor conte, quando sottoscri
verete il trattato.
.-- Cbe bisogna fare?
- Una cosa di nulla, signor conte: qui la vo
stra sottoscrizione...
Raimondo piglio in mano la penna per sottoscri
vere; ma in quel momento Audeguier, che, secondo
la sua non lodevole abitudine, aveva tutto ascoltato,

fece capolino dallingresso della tenda, con tal atto


espressivo del viso, che pareva. direi oh la gran cor
belleria che voi fate! E bast quella momentanea ap

parizione, perch Raimondo gittasse la penna, gri


dando:
-- No , no: io non sottoscriver giammai la mia

infamia!

'

Frate Guglielmo fu molto maravigliato di questo

-124

subito mutamento; e pei nuovi sforzi che facesse, e


per sottili argomenti e dolce parole che adoprasse,

non pot pi indurre Raimondo a sottoscrivere il trat


tato ; per lo che si content di dichiarargli , che il di
ch egli passerebbe il Rodano, Eloisa sarebbe arsa;
e cos si parti da lui lasciandolo pallido come un

cadavere e colla morte nel cuore.

CAPITOLO XI.
Di un caso molto strano che regni nel castello di Paderna.

Frate Guglielmo, dopo avere lasciato il giovine


conte di Tolosa si rec al campo francese per rag
guagliarne il Monforte, e fatto questo, and a trovare

il giovine Montmorency , che tenendosi ingiuriato


delle severe parole della contessa Alice, sera par
tito dal castello Narbonese, ed era andato a raggiun
gere lesercito in Provenza.
-- Signore, gli disse il frate, io che vi amo e
vi tengo in pregio , e che ho molta compassione della
vostra giovinezza, mi credo in obbligo di darvi de pru

denti consigli.
-- A che proposito, frate Guglielmo?
- Voi nel vostro cuore serbate un segreto... se
greto per tutti, meno che per la chiesa, il cui sguardo
penetra in ogni luogo.

-125_

-- In non comprendo, disse il giovine, divenendo


rosso in viso.
-- Voi amate.
- lo! esclam Montmoreney, sforzandosi di sor
ridere.
- Inutile, signore, niegare ci chio so... forse
anche meglio di voi.

-- Meglio di me? Ah! sarebbe strano in verit.


-- Ne volete una prova ?
- Di certo non mi dispiacerebbe.
-- Voi sapete di amare; ma voi non sapete des'
sere amato, ed io lo so.
- Ma... a che proposito... a che proposito que

sto discorso ?
- Ve lo dir subito, glio mio: voi sapete, che
a me, uomo semplice, piace il parlar chiaro e senza
misteri.
- Dite pure, frate Guglielmo.
- Voi siete buon cattolico, voi siete buon fran

cese, parente della contessa Alice ch una donna


santa e nelle vostre vene scorre il sangue della pi
alla nobilt di Francia; ma ci che a me vi rende
pi caro sapete voi che ? Il vostro cuore umano
e misericordioso.... Non m' interrompete: ascoltate.
- Io ascolto.

- La chiesa vuole lestirpazione dell' eresia dalla


Linguadoca ; ma il clero non daccordo sui mezzi.
Alcuni preferiscono il sangue, i roghi lesterminio;

-126

altri le vie della misericordia e fra questi son io.

La guerra di Linguadoca e di Provenza una guerra


ingiusta e crudele, perch infine sono cristiani e non
saraceni quelli contra a' quali combattianio, ed il ferro

non distingue i cattolici dagli eretici.


Questo linguaggio era tale per la sua conformit

a sentimenti del Montmorency, che non poteva non


essere ascoltato da lui con gran favore. Il frate se
ne accorse, e prosegui:

- Siamo misericordiosi, o signore; risparmiamo


il sangue de' nostri fratelli, per la salvezza de quali
Ges Cristo vers il suo.
'
- Ma che posso io-fare, frate Guglielmo ? Voi
sapete che la mia autorit e poca cosa nelleser
cito.
- Dio, per mostrare la sua onnipotenza, non

isceglie sempre come strumenti de suoi disegnii re


e gl imperatori: Davidd era un semplice pastore.
Voi potete molto senza saperlo.
- Ma come?
- Voi amate donna Sancia di Aragona... Non
arrossite.... non niegate.... Voi amate donna Sancia
di Aragona: ed io vi affermo ch ella ama voi di un
amore non meno ardente del vostro.
- Ella mi ama! esclam il giovine. Ella mi ama!

e voi me 1 affermate?

- Si, mio figlio, ella pu amarvi di legittimo

amore e senza scrupolo di peccato.

--l9.7

-- Di legittimo amore voi dite? Ma come? E il


matrimonio col giovine conte di Tolosa ?
- Quel matrimonio nullo.
-- Nullo !
-- Si, mio glio.

-- E come? Dite, per l' amor di Dio, dite frate


Guglielmo.
'
'
.- Il padre del giovine Raimondo tenne donna
Sancia al fonte battesimale: i due sposi sono quindi
spiritualmente fratello e sorella, n potevano congiun
gersi in matrimonio senza incesto. Quest la legge
della chiesa: bisognava una dispensa del pontece,

e questa non fu neanche ricercata.


- E che bisogna fare? domand il Montmorency
al colmo della gioia.
- Assicurare donna Sancia, che la chiesa scio

glierebbe il suo matrimonio, s' ella ne facesse la do


manda.
- E credete voi, frate Guglielmo, chella con

sentirebbe ?

'

- Ella vi ama, vi ho detto; ed ella giusta


mente corrucciata del vergognoso abbandono in cui
la lascia il conte nel castello di Padernes.
-- Ma ella dice d amarlo.
- Inngimenti di donna, signore, nati per altro
da un principio santo: ella crede esser legate. da in
dissolubile nodo a Raimondo; ma il matrimonio, vi
ripeto, nullo, e vi aggiungo di pi...

--128

-- Che cosa? domand anziosamente il giovine.


- Non consumato, rispose il frate, abbassando
gli occhi con atto pudico.

Montmorency gitt un grido di gioia.


-- Ah! frate Guglielmo, voi mi rendete la vita;
ma ditemi, ditemi, come potr ricompensarvi?
- Eh! eh! rispose il frate ridendo con molta

semplicit: io potrei prendermi la vostra gratitudine,


e tacermi; ma no, no, io non mi lascer tentare

dal demonio della vanit. Se il matrimonio si dichiara


nullo, come io ne ho certezza, a Raimondo man
cheranno gli aiuti di Aragona, e la guerra diventer

impossibile: e quando la guerra cesser, oh! allora


non vi sar pi pretesto per incrudelire, ed i consi
gli mansueti e misericordiosi prevarranno. Eccovi sve
lato il mio intrigo... eccovi i miei disegni tenebrosi;

ma il nostro signore Ges Cristo mi perdoner di usare


queste vie coperte per giungere ad un buon ne.
- Ahi voi siete un santo, frate Guglielmo.
- lo sono un povero peccatore, glio mio; ma il
signore mi terr conto delle mie buone intenzioni....
Parliamo di voi.

- Ditemi quel chio debbo fare.


- Scrivete a donna Sancia per domandarle un
abboccamento; ma badate, neanco una sola parola
damore. Voi comprendete bene, che ntanto chella
si creder legittima donna di Raimondo, non vorr
ricevervi come suo amante.

-'129

_ Avete ragione, frate Guglielmo; la vostra pru


denza non minore della vostra bont.

- Le direte, che avete bisogno di parlarle segre


tamente per cosa che risguarda il suo onore.
- Cos far.
- E mi avviserete di tutto.
_ Il mio cuore non avr pi segreti per voi.
- Un gran numero duomini congiurano per am
bizione, per cupidit, per tormentare i loro fratelli;
congiuriamo anche noi per iscemare , quanto pi sar
possibile, le loro sventure.
- 0 frate Guglielmo, tutte le vostre parole hanno
un profumo di santit, che fa bene al cuore.
- Iddio vi benedica, o mio figlio, e vi guidi

sempre nella via del bene.


Uscendo dalla tenda del Montmoreney, frate Gu

glielmo and in un luogo poco frequentato del campo,


dove lo attendeva monna Cicuta, acquattata dietro
una macchia di ginestra. Egli 1' andava cercando di
qua e di l, come miope chegli era; ma la vecchia,
a cui gli anni non avean potuto scemare la vista acu
tissima in quei suoi occhi di sparviero, lo vide subito,
e gli disse in tuono di grande dimestichezza:

-- Cosa da nulla! frate maledetto: e pi di tre


ore che io v attendo qui.
- Zitta, strega del demonio.

- Che s' ha da fare ?


_ Parti subito per Padernes.
Acme. Vol.lVr

_130_

- Subito, subito, rispose la vecchia. Credete voi


ch' io abbia sempre quindici anni ?
-- Ti rammenti le mie istruzioni?
- Sono scritte qui. E la vecchia si picchi colle
nocche della mano la fronte gialla e grinzosa, che
risuon come una scatola vuota.
-- Il tuo filtro sicuro?
-- Non ci pensate.

- Bada, strega maledetta, che ti far gittare


sul rogo se non riesci.
- Il diavolo corre troppo per essere acchiappato.
- Ma la chiesa ha le braccia molto lunghe.
- Per pigliar danari, interruppe monna

Cicuta,

ma non per darne... e ne sia per prova, che gi vi


dimenticate la promessa.
-- N, non me ne dimentico , disse il frate dando

alla vecchia delle monete.


-- Quest la met.
- E l' altra ad opera compita. Ma parti per Pa
derues.
- Non dubitato: ora far venire subito il mio
capro, e a cavallo ad esso sar a Padernes in due
minuti.
Frate Guglielmo, che per iscaltro e malizioso che
fosse, aveva i pregiudizi e le superstizioni del suo
secolo, cominci a fuggire, segn'andosi, ed inciam
pando e urtando di qua di la per la sua poca vista,
mentre la vecchia si teneva i fianchi per le risa.

- 151 -

Il Montmorency scrisse a donna Sancia come il


frate gli aveva consigliato ; e la risposta, ansiosa
mente attesa, non tardo a giungere. Ell' era del te
nore seguente :

Vi credo incapace di una bugia, e, qual siete,


un leale cavaliere. Vi attendo quindi, e senza sos
petto condo nel vostro onore. Venite, e voi sa
rete ricevuto come il migliore, anzi 1 unico mio
amico .
Qualche giorno dopo Dionigi di Montmorency, senza
seguito di scudiero o di poggio, giunse verso sera
al castello di Padernes , e vi fu accolto dalla contessa
con molta cortesia. Il giovine, secondo gli ammae
stramenti di frate Guglielmo,

senza proferir parola

che ricordar potesse il passato, le disse quanto aveva


saputo intorno al suo matrimonio col conte, e come
agevolmente poteva essere annullato. Sancia , questo
udendo, ne fu molto conturbata, perch ella vedeva
in questa voluta nullit un pretesto per Raimondo

di ripudiarla. Il Montmorency, nella persuasione che


il turbamento di Sancia fosse cagionato dall amore
che sentiva per lui, benediceva nel suo cuore frate
Guglielmo, e metteva cura maggiore a comportarsi
secondoi suoi consigli. Questo suo contegno rassicu
r pienamente la contessa, che volendo far onore al
suo ospite, lo invit a passar quivi la notte.
Una cena in apparecchiato. con ci che vi poteva
essere di pi squisito nel castello: caccia, pesci,

-'152_
frutta, confetti di ogni qualit, vini stupendi e o
ri freschi ed odorosi, ch' erano rarit in quella. sta

gione. Alla ne della cena furono portati certi sor


betti ad uso (1 Oriente , che. Fatima aveva voluto
fare colle sue proprie mani. La contessa era stata in

tutto quel tempo cortesissima, ma contegnom, e Mont


morency, quantunque ardesse del desiderio di gettarsi
a' suoi pie, e chiederle ci che avesse da sperare o
da temere, tenea cosi lealmente la sua promessa, che
sarebbe morto, anzich dirle una sola parola di amore.

La sala era piena di profumi e di armonia, per


ciocch Fatima traeva della sua guzla certi suoni
soavi come i sospiri dell amore felice, ed energici
come la suprema volutt. Eppure, chi avesse bene
osservato la schiava, avrebbe agevolmente scorto in
lei tutti i segni di una terribile agitazione. I suoi

sguardi erano contti sulla sua padrona con un an


sia aifannosa; e a quando a quando mormorava:

- Nessun segno, nessun segno.... Ah! la strega


mi ha ingannato!

Tutto a un tratto Fatima trasali, e un lampo di


grandissima gioia balen ne suoi grandi occhi neri.

Ella aveva veduto le guance della contessa

divenir

porpora, ed i suoi occhi languidi e voluttuosi: la sua


respirazione affrettavasi con straordinaria rapidit,
come se una terribile lotta dentro il'suo cuore si

eombattesse. Due volte ella tent alzarsi da tavola,


e due volte ella ricadde sulla seggiola come spossata

-l55

per le proprie emozioni. Il Montmorency la guardava


estetico, e come fuori di se: una forza misteriosa
ed arcana lo trascinava presso di lei; ed e cadde

a suoi piedi, e presale la mano, cominci a ricuo.


prirla di baci ardenti, impetuosi, insensati, dicendole}
-- Sancia, io ti amo.... io ti amo come prima,

pi'di prima. Avevo giurato non dirti nulla... Ma...


una forza maggiore di me mi domina.... La mia vo
lont vinta... la mia ragione si smarrisce.

La contessa fece un nuovo sforzo per alzarsi; ma


invano.

- Per piet, ella mormor, fuggi, lasciami.


- Fuggire ? lasciarti? Nessuna compassione hai
tu adunque dell uomo che ti ha amato da tanto

tempo, che darebbe per te, non che la vita, I anis


ma sua 7'
- Ah ! io son perduta ! esclam Sancia con voce

soffocata. Che qualcuno venga in mio aiutol... Che


qualcuno mi salvi da me stessa i... Tutto quello che
posseggo a chi mi dar la morte!
Fatima, alla quale nessuno dei due amanti avea

pi posto ,mente, era uscita dalla sala e gi chiu


deva luscio , dietro al quale non si lidirono pi pa
role , ma baci , sospiri e quindi un silenzio profondo.
L indomani Dionigi di Montmorency usciva. dal
castello di Padernes, pallido e fuori di s , come chi
abbia commesso un delitto: donna Sancia era in
preda ad una febbre ardente, che la lacca delirare.

-154

Perch il lettore intenda la cagione dei fatti nar


rati, ci necessit ritornare qualche giorno indietro.
Un di Fatima, che gran parte delle sue ore passava

seduta sotto gli alberi del giardino, sollevando il


viso, che lungamente avea tenuto chino sul petto ,
vide di faccia a lei seduta una vecchia, sul cui volto

gli anni non trovavano pi luogo da solcare nuove


rughe. Ella teneva i gomiti appoggiati su ginocchi,
e nelle mani il mento cosi aguminato e rivolto in

su, che toccava quasi colla punta del suo naso a


dunco, e copriva la sua bocca infossata e senza denti.
Fatima gitt un urlo e si rizzo per fuggire , ve
dendo quella orribile vecchia, i cui occhi piccoli,
cenerigni, ma vivissimi, eran ssi sopra di lei.
-- Fatima, Fatima, disse la vecchia, nella quale
i nostri lettori avranno riconosciuto monna Berta, o
per meglio dire monna Cicuta: Fatima, perch ti
spawnti?

- Chi sei tu? domand la moresca,


- Una donna come te, ma che sa pi di te e
pi di tutte le altre donne.
- Il tuo nome?
- Che t importa ?
- E che vuoi tu da me?

- Al contrario, sei tu che vuoi qualche cosa da me.


- Ma io non voglio nulla, io.
- Pensaci bene.
.- Io non comprendo ci che vuoi dire, e mi

_ 155 _

fai paura pi che non me ne farebbe una iena nel


deserto.
- Non vuoi tu niente da una donna che sa pi
di te?
- E che sai tu ?

- Il passato, il presente e l avvenire.


-- Ah ! tu se un indovina?
- Cos mi chiamano gli sciocchi; ma io non indo
vino.
-- E che fai tu?
- lo leggo.
- Dove ?
- Nelle mani il passato, negli occhi il presente,
nelle stelle lavvenire.
_- Dimmi il mio passato.
-- Dammi la tua mano.
Fatima le porse la mano non senza un visibile
ribrezzo.
- Che vi leggi tu?
-- Un amore ardente e non corrisposto.
Fatima mise un profondo sospiro. La vecchia pro
segui:

- Vuoi sapere ci ch io vi leggo ne tuoi occhi!


- Si.
- Un amore ardente e disperato.
- E che ti dicono le stelle pel mio avvenire ?
Potresti tu consultarle ?.
-- L ho. gi. fatto.

_156

- E quando i
- La trascorsa notte.

-- E come tu sapevi ch io doveva interrogarti ?


- lo so tutto.
- Ebbene , che vi hai tu letto ?
-- Un amore ardente e felice.
Fatima scosse il capo in segno d incredulit;
ma al rossore che color le sue guance , al sorriso
che contrasse le sue labbra di corallo e alla gioia

che rese pi vividi i suoi begli occhi, ben vedevasi


che la speranza era rientrata nel suo cuore.
- Tu non mi credi? domand la vecchia.

-- No, disse Fatima.


-- Che prova ne vuoi?
-- Dimmi il nome di colui ch' io amo.

- Non lo so. I nomi dipendono dalla volont


degli uomini e sono mutabili. Tu ti chiami Fatima
e ti potresti chiamare Aizza , se cosi fosse piaciuto
al padre tuo; ma i destini sono immutabili, perch
dipendono dalle stelle.
- Chi mi assicura che tu dica il vero ?
- La tua memoria pel passato , la tua coscienza
pel presente, il tempo per l' avvenire.
- E questo tempo sar lungo?

-- Un anno forse, forse un mese.


- Che debbo io fare?
- L uomo che tu ami ha moglie.

-- vero.

--137

-- La sua moglie ama un altro.

- vero. Pel profeta! tu sai tutto.


----

Ma la donna tace questo suo amore.


Anche questo e vero.
Bisogna che lo manifesti.
E come!

- L amante tra qualche giorno verr qui.


- T' inganni, egli non viene giammai.
-- Io ti dico che verr. Tu metterai qualche goc
cia di questo liquore, ch' io ti d in qualche loro
cibo o bevanda, ed e non potranno pi frenare i sen
timenti del loro cuore.
-- E cos questo liquore? domand Fatima, pi
gliando una boccetta di cristallo che gli offriva la
vecchia.

-- quello che fa dire la verit.


- E qual vantaggio ne verr a me?
-- Avrai rimesso il primo ostacolo al tuo amore.
Quando sar tempo di far altro tu mi troverai qui,
in questo medesimo luogo.

Fatima dette a monna Cicuta delle monete d oro


che distacc dalla sue trecce , e ritenne la boccetta.
Essa conteneva dell' hascisc, che d deliri amorosi

e demenze di volutt, liquore allora sconosciuto al


l' Occidente, e noto solamente in qualche parte del

I Oriente e massime dal Vecchio della Montagna,


capo degllsmaliti, detti anche Hascz'scim, e quindi

Assassini. Guglielmo arcivescovo di Tiro, il monaco

_ 158 _
Gotofredo, Iacopo di Vitry, Bernardo Tesoriere, Rug
giero Hoveden ed altri cronisti delle crociate , e pi
tardi Marco Polo parlano del Vecchio della Monta
gna e delle voluttuose visioni ch egli dava a suoi
seguaci per mezzo di una bevanda, allora sconosciuta
eccetto a pochi crociati che avevano avuto delle strette
relazioni con quella setta, e tra questi fu monna Berta.
Abbiamo veduto come l effetto di questo liquore,

che Fatima mescol asorbetti, fu potente sulla con


tessa Sancia e sul Montmorency. Donna Sancia fu

travagliata da una febbre ardentissima, alla quale


segui una malattia sconosciuta, che la tenne per quasi
tre mesi in grave pericolo. l famigliari ne avvisarono
suo marito, il quale stavasi ancora accampato sul
Rodano, non osando di passarlo, pel timore che il
vescovo facesse ardere Eloisa. Egli quando vide la
malattia della contessa prolungarsi, and a visitarla,
sebbene si fosse proposto di non pi rivederla, e
quivi rimase per qualche tempo, facendone pretesto
della sua inazione. Or ecco ci che in quel tempo

seguiva nella citt di Tolosa.

CAPITOLO XII.
Dell aseedio della citt di Tolosa.

Amauri di Monforte e Guido suo zio, secondo gli


ordini ricevuti dalla contessa Alice, erano accorsi da

Carcassonna con tutti quei cavalieri che avean potuto


radunare. Appena giunti, la contessa comando loro
di assalire i Tolosani.
- Mi pare, disse Roberto Mauvoisin, che sarebbe
meglio collegar prima delle forze tali che ci diano

speranza di vincere.
- E quanto vorreste attendere? domand la con.

tessa.
-- Altri tre o quattro giorni almeno.
- Altri tre o quattro giorni! esclam Laura. E
nei dovremo soffrire per si lungo tempo una si gran
de vergogna.

-- Sempre meglio che l esser battuti, disse il si


niscalco.
- I Monforti non si lasceremo battere, rispose
Laura.
La contessa applaudi alle parole della figlia, e voi.
le che subitoi Tolosani fossero assaliti; ma un'ora!
dopo i Monforti si ritiravano nel castello Narbonese

trasportando i loro feriti.

-140

Alice accolse Amauri con viso severo ed indigna


to, dicendogli.
- Ritornate a combattere, se non volete che mi
vergogni di chiamarvi mio glio, e ch io non ma
ledica il giorno in cui vi detti la vita e vi nutrii col
mio latte.
-- Ma, madre mia, pensate...
-- Che debbo pensare?
-- Che noi vi saremo morti.

-- Meglio morti che disonorati , rispose l orgo


gliosa contessa.
Una seconda sortita fu tentata; ma questa volta
non fu ritirandosi ordinatamente, ma fuggendo in
grande confusione ed iscompiglio, e lasciando in ba
lia de vincitori i feriti, che Amauri e Guido ritor

narono al castello Narbonese, onde fu deliberato di


nulla pi intraprendere prima che giungesse Simone
di Monforte coll esercito di Provenza.
Frattanto il vecchio conte di Tolosa ordinava si
restaurassero le mura ,della citt, si scavassero de
larghi e profondi fossi all intorno, si munissero di
steccati, si costruissero ne luoghi adatti torri e ha
stie, e mandava continue lettere e messaggi a Rai
mondo perch quivi accorresse; ma Raimondo, che
per la vita di Eloisa molto temeva, non osava pas

sare il ume fatale, il che era cagione di maravi


glia e di dolore a tutta la Linguadoca. Accorrevano

non ostante a Tolosa molti signori della Guascogna,

-141

del Querci, e dell'Albigese, conducendo con loro ca


valieri, arcieri e fanti, i quali entravano in citt al
suono delle loro trombe e a bandiere spiegate, tra
gli applausi de cittadini.

Poco tempo dopo Simone di Monforte giungeva a


Basiege col legato apostolico e con parte delle sue_
genti, perch molti lungo la strada lo avevano ab

bandonato; ed unitosi con Amauri e Guido, che erano


usciti ad incontrarlo, mosse contro Tolosa, e dette
lassalto alla citt; ma i Tolosani e loro aiuti, lo
respinsero con molto suo danno, nella quale fazione
Guido suo fratello fu gravemente ferito, e Bernardo
di Foix vi fece di grandi prodezze. Ritent 1' assalto
dal lato del castello Narbonese e dalla porta di Mon
tolieu, e fu nuovamente respinto; volle impossessarsi
del sobborgo di S. Subra, posto al di l della Ga
ronna, e si trov chiuso in mezzo da' Tolosani, che
passarono il ponte, e dal conte di Foix, che giun
geva appunto in quel momento; onde fu rotto, cac
ciato in fuga e rincorsa sino a Muret, dove manc
poco non annogasse nel ume e vi perdette il ca
vallo.
Di la, rifattosi alquanto per nuovi aiuti a lui giunti,

e punita col sacco e il fuoco la sollevazione di Mon


tauban, ritorn verso Tolosa e cinse d' assedio la
citt, sperando ottenere co' travagli della fame ci,
che con 1 impeto_degli assalti non avea potuto. Frat
tanto_il conte di Tolosa faceva costrurre gran nu

- 112 -

mero di petriere, mangani, trabucchi ed altre mac


chine per battere il castello Narbonese; faceva co
struire nuovi ripari e scavar fossi e rizzare bastie,

opere nelle quali tutti i Tolosani d' ogni condizione,


sesso ed et, con ardore indicibile,
aiiaticavano;
e per far credere agli assedianti il numero de difen
sori maggiore della realt, faceva indossare corazza
a molte donne, e le collocava in luoghi opportuni.

E provvedendo a tutto, facea mettere sulle mura


botti di vino annacquato, e aceto e pane in copia,
afnch chi ne avea bisogno mangiasse e bevesse,

senza abbandonare la guardia come solcvasi nella


disordinata milizia di quel tempo. Volle anche che
quivi stessero buon numero di uomini esperti in me
dicare le ferite con loro istrumenti e farmachi pel
bisogno decombattenti, provvedimenti pressoche igno
rati nelle guerre (1 allora.
Dall altra parte papa Onorio Iii, nuovo pontefice,
vietava sotto pena di scomunica al re di Aragona
di dare aiuti al conte di Tolosa; scriveva a Tolo

sani e ad altre citt della Liuguadoca promettendo


loro ogni favore purch cessassero di combattere il
Monforte; minacciava il conte di Foix; ordinava al
re e a tutti i vescovi di Francia di accorrere in aiuto
del campione della chiesa. Vero egli che n il
pontece, n i vescovi poterono pi ridestare in Fran
cia 1 antico ardore contra agli Albigesi; ma a quando
a quando nuove schiere giungevano al campo del Mon

_143_

forte, si chegli pot protrarre l'assedio per tutto


1 inverno e per la primavera seguente. La Lingua
doca era indignata contra a Raimondo pel suo in

dugio inesplicabile; il vecchio conte nera profonda


mente amareggiato: e frattanto Raimondo viveva in
orribile travaglio. Egli aveva mandato Audeguier a
Tolosa per iscoprire dove fosse Eloisa, e per cercar
modo di liberarla; ma Audeguier non che di Eloisa
.o di Matilde, non aveva potuto avere notizia neanco
di Geltrude.
Cos si giunse sino alla ne di giugno, quando
Simone di Monforte, che temea sempre di veder so
praggiungere Raimondo coll' esercito di Provenza,
deliber di assalire la citt e fare ogni supremo sforzo
per espugnarla. La notte precedente, egli fece ve
nire nel campo il vescovo Folco, il quale, anche
dopo la sollevazione di Tolosa, continuava a dimo
rare nel vescovado; tant era il timore che incuteva
allora la chiesa, e tanta la cura che metteva il vec
chio conte a non dar pretesto a' suoi nemici di dire
che il clero fosse perseguitato.
-- Signor vescovo, gli disse Simone, domani si
decider forse la sorte di Tolosa, ed io temo des
ser vinto.
- Vinto! esclam il vescovo; ma questa la
prima volta chio odo questa parola dalla vostra bocca,
signor conte.
-- Perch la prima volta che il mio cuore

-14i

profondamente conturbato allappressarsi di una bat


taglia.

- Questa opera del demonio.


- L'ho creduto per qualche tempo.
- Ed ora?
- Ora comincio a dubitarne. Signor vescovo, noi
abbiamo commesso molti peccati.

- Siamo tutti peccatori: anche Davidde fu adul


tero ed omicida; ma e fece delle opere buone; ed il
Signore lo rese vittorioso de suoi nemici.
--

Ma pure....
Voi mancate di fede ?
Un terribile presentimento...
Su di che fondato?

- Un' apparizione, mormor il Monforte con voce


si cupa e spaurita che il vescovo Folco trasal.
- Questa notte?
- gi da lungo tempo. Nella giornata di Muret
mi rovesci quasi da cavallo emi fece correre pericolo
di vita; dentro Tolosa, nella sollevazione de cittadini,
mi cacci due volte in fuga come un insensato: in
questo assedio ricomparsa, e mi ha tolto l animo
e ha reso inerte il mio braccio.
- E sempre la stessa?
- Sempre !
- Effetto della immaginazione conturbata dal de
monio.

- Dell' immaginazione! esclam con mesto sor

-145

riso il Monforte: mi credete voi un fanciullo? Io lho


veduta, con questi miei occhi, l,ycome io vi vedo,
come voi vedete me.
_
-- Ma in che consiste questa terribile apparizione?

-- In una donna, che io... che noi abbiamo fatto.


morire.
Il vescovoa quel noi si sent rabbrividire; il conte
prosegui:
- Vi rammentato voi della viscontessa di Beziers?
- Agnese?
- Ebbene: ella non era eretica, ell era innocen

tissima, e nei 1 abbiamo fatta morire!


-- Ella v apparsa? domand Folco con voce
tremante.
- Si... ella stessa... come quandera viva... bella
come in quel di fatale, in cui la facemmo gittare nel
pozzo di Lavaur! Solamente quei suoi biondi e lun
ghi capelli mi appaiono come la coda vaporosa di una
cometa; il suo volto bianchissimo pi bianco ;an

cera, e ben si vede che il sangue non circola pi


nelle sue vene; ed i suoi occhi... ohi i suoi occhi...
oh! i suoi occhi ceruli, cheran si pieni di soavit.
e di dolcezza, sono divenuti minacciosi e terribili pi

delle spade aflata di diecimila cavalieri. Ella non


cammina, ma sorvola sulla terra, che i suoi pi toc
cano appena... e si avanza, si avanza alla mia volta
come un occo di vapore diafano che_sia portato_da
un leggiero venticello. Ed io rimango li immobile,
'ALIIG. Vol. I V.
W

-li6

impietrito.... c reputo fortuna quando posso riunire


tanta forza da volgermi dallaltro lato e fuggire....
Ah! orribile!
Folco, cheaveva ascoltato con immenso terrore
questo racconto, dopoun breve silenzio, gli disse:
- Avete pronunziato lo scongiuro?
- Non ho potuto, rispose il conte.
-- Avete rivolto a Dio una fervorosa preghiera?

- - Non ho potuto... non ho potuto. La mia mente


29..- confonde... Io non ho potuto neanche pronunziare
..

nome santo di Ges.

-- il demonio che v' impedisce.


- Ho donato , donato alle chiese, e voi sapete che
sono pochi di appena, che ho donato a voi e a'vo

stri successori il castello di Vrepeil e venti villaggi


che ne dipendono. Le mie arme sono benedetto: sul

mio petto stanno sante e miracoloso reliquie ed un


frammento del legno della vera croce. lnvano!... Non
ho condato a nessuno, neanche all'anima fortissima
della contessa, questo terribile segreto, che mi rende
minore di me stesso; ma nel momento di commettere
questa che sar suprema battaglia , io non posso ta
cerlo a voi. Voi siete sacerdote, voi siete vescovo,
voi, se offesi Dio colla morte di Agnese, siete mio
complice,e se Dio'non perdona questo peccato in me

rito de' servigi, che noi abbiamo prestato alla chiesa,


voi, come me, siete dannato.

- Ohime! ohime! esclam il vescovo, noi siamo

-147

peccatori egli vero; ma tanti eretici che abbiamo

esterminati ci dovrebbero meritare la misericordia del


Signore.
-- Che fare!
-- Preghiamo ii Signore, signor conte; preghia
molo con tal fervore, ch' egli abbia piet di noi.

Ed in cos dire il vescovo ed il Monforte si gitta


rono in ginocchio, e con pianti e sospiri, comincia
rono a salmeggiare.

All alba la contessa Alice giunse nel campo per pre


gare il marito di non commettere in quel di la battagiia.
- Faceste voi qualche sogno pauroso? domand
Simone.

- Per lappunto, un Orribile sogno.


-- Voi sapete, disse il conte aspettando sicurezza,
ch io non credo a' sogni.
- E voi fate male, signore, disse il vescovo, per

ch Dio, come dice Giobbe, ammaestra gli uomini


nel sogno per notturne visioni. E nel libro de nu
meri il Signore dice: Si-quz's fuit inter vos propheta

Domini, in visione apparebo, vel per somzt'ium lo


quar ad illum. Se sar tra voi profeta, io gli ap
parir in visione e parlerogli per sogno . E 1 angolo
appari pi volte in sogno a Giuseppe sposo di Ma
ria, ed anche a Maggi, acciocch non tomassero
ad Erode come si legge nel vangelo: n dovete ob
bliare che Giuseppe interpret il sogno a Faraone,

e Daniele a Nabuccodonos0r.

-149..

possente. il campo si copriva di morti; e voi galop


pavate su di loro come 1 angelo sterminatore, e vi
spingevate innanzi quasi tratto dall uragano, gri
dando: vittoria ! vittoria!
- Felice presagio! disse Simone.
4- Si, felice presagio sin qui, ripigli la contessa.

Ma frattanto da tutti quei cadaveri sgorgavano ri


voli di sangue, e tutti questi rivoli formavano un

ume di sangue, e questo ume si gonava, tra


boccava, inondava la pianura, diventava un lago di
sangue, e voi continuavate a correre nel sangue, che
montava, montava sino a pi, sino a ginocchi, sino
alla cintola! Gi il vostro cavallo si sommergeva nel
sangue, e voi alzavate le mani come uomo che im
plora aiuto. In quel momento usc dal lago una donna,
la quale vi_ posleggermente una mano sull elmo;
e bast perch voi vi sommergeste , come se un
monte fosse caduto sul vostro capo. E voi gittaste
un grido si spaventoso, si pieno di angoscia e di
terrore, che penetr nel mio cuore come la punta
di una spada; ed io mi destai ansante e con la per
sona inondata di freddo sudore.
- E quella donna... quella donna, domand pal
lido come un cadavere il Monforte, riconosceste voi
quella donna?
- Io credo di non averla giammai veduta: se
1 avessi veduta anche una sola volta, la non sarebbe
pi uscita dalla mia memoria. Ella aveva biondi e

-150

lunghissimi capelli, e i suoi grandi occhi azzurri


erano nel medesimo tempo soavi e terribili.
Simone e Folco si guardavano in viso pieni di
meraviglia e di terrore; ed ecco suoni di trombe e
grida di guerra nel campo. ed alcuni capi dell'eser
cito entrare nella tenda, dicendo:
- Signor conte, pare che, invece di assalire, sa
remo oggi assaliti: le porte di Tolosa sono aperte:

i nemici si apparecchiano a: far giornata.


- Tanto meglio! esclam Simone: cosi non vi

sar pi da esitare. Padre nostro che sei in cielo


sia santicato il nome tuo. Non vero, contessa,
che non v pi da esitare?
Alice abbass il capo in segno di assentimento,
senza rispondere
- Anima, signori baroni e cavalieri: il sole si
leva splendido e raggiante come nella giornata di

Muret.... Gi i miei scudieri... allacciate la mia co


razza... qui i- miei braciali... lelmo... lo scudo.
il Monforte metteva in tutti questi apparecchi un
ardore e un furore insolito, che pareva a suoi scu

dieri di buono augurio, ma non cos ad Alice. Quan


do Simone fu tutto armato, accompagnato dalla mo
glie e dal vescovo, entr. in una chiesetta vicina per
ascoltar messa. Mentre quivi stavasi}, vennero a lui
alcuni cavalieri e gli dissero."

- Signore, i Tolosani escono dalla citt a ban


diere spiegate.

-'151

Egli non rispose, e rimase inginocchiato nel mezzo


della chiesa, cogli occhi ssi sulla croce che sormon
tava I altare.
Dopo poco vennero altri messaggieri:
- Signore, accorrete: una parte de' Tolosani ten
tano di ardere le macchine; e gli altri assalgono il

campo.
Simone non rispose, e continu a pregare. Alice
tent dirgli qualche cosa; ma e le fece cenno di non

parlare. Il vescovo Folco batteva la fronte sul pavi


mento, reoitando il miserere. E frattanto il rumore
della battaglia cresceva e si avvicinava. Un terzo

messaggiero sopraggiimse.
Signore, I" esercito comincia a retrocedere: gi
vi sono gran numero di morti e di feriti.
-- Io non mi muover di qui, rispose Simone,

se prima non avr veduto il mio redentore.


Alla fine il sacerdote elev I ostia consacrata.
- Dio degli eserciti, esclam allora il Monforte,
perdonami i miei peccati: a te io confido il mio cor
po e l' anima mia.
,

Recit quindi il mmc dimiltis, e abbracci la me


glie, dicendole:

-- Alice, ti raccomando Laura... ed anche Amau


ri... Prega Iddio per l' anima mia.
- Io lo pregher per la vostra vittoria, rispose
la contessa.
-- Il mio cavallo! grid il Monforte.

_152_

Lo scudiero gli condusse davanti la porta della


chiesa un cavallo tutto coperto di ferro, che nitri
va, sbuffava, scuoteva il capo e raspava la terra

come impaziente di quell indugio.


- Tu pure mi rimproveri il ritardo, mio buon
morello? Ebbene io ti mostrer che noi faremo pi
in un ora, che altri non fanno in una giornata. Cosi

dicendo, Simone mont a cavallo, e imbrand la


lancia.
11 vescovo Folco, ch' era sulla soglia della chiesa,
alz la mano e lo benedisse.
- Monforte! Monforte! alla riscossa! grid il
conte con voce si robusta che fu udito da tutto il
campo, che lev un grido di gioia.
Ed egli parti al galoppo , facendo alzare sul suo
passaggio larghe nuvole di polvere.

- Ah ! cos l" ho veduto correre nel mio sogno!


mormor Alice, ed una lagrima inumidi gli occhi

suoi, a quali era ignoto ilpianto.

CAPITOLO XIII.
Della ne di Simone e di Laura.

Quando Simone di Monforte comparire nel campo,


i Tolosani avevano appiccato il fuoco alle macchine
degli assedianti, le quali si consumavano nelle am

me, essendo stati cacciati in fuga i loro difensori. Le

-15'>_

sercito francese retrocedeva in gran disordine , essen


do gli arcieri e i fanti misti e confusi co cavalieri.
Da per tutto era scoramento e scompiglio. Ma al gri*

do e alla comparsa del Monforte un nuovo animo e


una virt nuova parve intendersi nelle sue genti; ed
ecco alcuni cavalieri, vergognarsi di loro fuga, e voi
gere i loro cavalli contra agli inseguenti , dipoi dra
pelli interi, dipoi tutti, si chei due eserciti si tro

vano a fronte un altra volta. Con grande accanimento


dall' una parte e l' altra si combatteva, perciocchei
Tolosani il desiderio di difendere la patria, e di ven
dicarne le soll'erte ingiurie, animava; gli altri la.
speranza di riconquistarla, la cupidit della preda,
la brama di lavare lonta patita: questi e quelli rendea
feroci l odio lungamente frenato, le scambievoli of
fese e la persuasione che quella giornata sarebbe de
cisiva in quella guerra. Quelli ch erano sulle mura,
talora mesti e taciti, talora lieti e plaudenti i varii
accidenti della battaglia riguardavano.
Era ancora incerta la vittoria, allorch Simone di

Monforte, seguito da Roberto Mouvoisin, da Dionigi


Montmorency e dal ore de suoi cavalieri, con tan
t' impeto e furore si avvento sull"ordinanza tolosana,
che la fu scompigliata e rotta. E fatto questo, e'
urt di anco quelli che rimanevano nellala destra
comandata dal conte di Comminges e ne fece macel
lo. Il conte di Tolosa, questo vedendo , ordin che

le schiere disordinate dietro a fossi si riducessero ;

_156

il suo coraggio. Il sangue, che gli era aftluito al


cuore , gli sali con grande impeto al viso, al pallore
del terrore successe il rossore della vergogna; ed e
fatto il segno della croce e balbettato un paternostro
ritorn altra volta verso Tolosa, e si soffermo die
tro certi gabbioni ripieni di sabbia, che servivan di

riparo ad una delle sue macchine. Quivi il suo cavallo


e gran parte della sua persona rimanevano al coperto:
ma non quel luogo avea scelto per sua sicurezza, si
bene per meglio osservare quell' apparizione, che gli
cagionava tanto sgomento; troppo animo egli avea per
temere la morte ne tempi ordinarii, e troppo era fuo
ridi s in quel momento per pensare al periglio. E non

sentiva le grida decornbattenti, i lamenti de feriti, le


esortazioni de' suoi cavalieri che a ritrarsi lo suppli
cavano, e non vedeva di quanti morti fosse di gi.
il campo coperto, come le sue genti rotte e sgomi
nate altra volta si ritraessero, come Bernardo di Foix
avventatosi sui fuggenti ne facesse strage, e come il
vecchio conte di Tolosa, schierate le sue milizie al
di fuori de' fossi, a dar compimento alla vittoria si
apparecchiasse. Che pi"! Per cinque ferite il suo
sangue sgorgava, ed egli non sera accorto dessere
stato ferito. i suoi sguardi erano fissi su di Agnese,
che ssamente lo guardava; ed e la vide appressarsi
ad una petriera, che un uomo aveva montata , e
metter la mano alla manovella; ed e senti che la

donna lo chiamava a nome. Quella voce argentina ,

-157

traverso lo spazio e giunse a lui pi terribile del

suono della tromba del cherubino esterminatore. Egli


non era pi patrone di se , non poteva avanzarsi ,
non retrocedere. Un gelido sudore lo inondava ldal

capo alle piante; la sua vista si offuscava. Ecco che


gira rapidamente la ruota della petriera; ecco che
un macigno e lanciato nell' aria. Il Monforte non fa
atto per ischivarlo: ed il macigno gli piomba sul ca

po. E' cade; ed il suo cavallo, spaurito dal tonfo,


fugge nitrendo per la campagna.
Roberto Mauvoisin, che si trovava di li non lon
tano, balzo a terra e corse a soccorrerlo. L elmo
era schiacciato, 1 usurpata corona era infranta: il

sangue usciva caldo e fumante dalle fenditure. Bo


berto s' inginocchi accanto al ferito, e con grande
difcolt pot cavarin lelmo, che gli s era confitto
nel capo; ed il sangue seorg pi copioso dalle fe
rite. Simone era ancor vivo: ma le sue pupille dila
tate erravano senza vista e senza conoscimento. Un
certo mormorio indistinto e tremulo usciva dalle sue

pallide labbra. Il Mauvoisin credette ch e pregasse,


e pigliato un mantello da crociato, sul quale era ri
camata una croce, gli appress questa perch la
baciasse; ma in quel momento uno sgorga di spuma

sanguinosa usc dalla sua bocca, e poi un altro pi


sanguinoso ancora; ne e pi dette segno alcuno di
vita.

Roberto recit una breve preghiera, ed aiutato da

-158

un suo scudiero, ravvolse il cadavere nel mantello,


amch non fosse conosciuto, e presolo sul davanti
del suo cavallo, si ch e' penzolava dall'una parte e

da altra, lo port dentro alla sua tenda. L eser


cito, dopo gravissime perdite sofferte, s era ritirato

dietro il'ossi e gli steccati che 1' accampamento cir


condavano.
L' indomani, avendo perduta la speranza di sog
giogare Tolosa, e temendo (1 essere nuovamente as
saliti, i Francesi muovevano alla volta di Carcassonna.
Era verso il mezzogiorno. Un vapore ardente, che
il mattino sera levato dalla terra, sembrava ridi
scendere in nuvole di fuoco. Nessun vento agitava
le fronde degli alberi -giallognolc e impolverate. Gli

augelli s" erano ritirati nelle biscondole, e non Tace


vano pi sentire i ioro canti amorosi. Solamente le
cicale e le lucertole, queste instancabili adoratrici del
sole, facevano udire , quelle 'il loro strdulo canto,

queste il loro timido fruscio tra le erbe inaridite.


Tutto il resto della natura stavasi silenziosa; e cosi
lungi che potesse stendersi lo sguardo, non si vedeva

anima viva o cosa che si movesse. La creazione pa


reva assopita.
in mezzo a questa solitudine sorgeva una lunga
nuvo'ladipolvere , che andava serpeggiando secondo

le sinnait. e le curve e gli angoli delta strada , e


dietro a questo velo biancastro vedevans'i iimcicare a
raggi del sole le armature de cavalieri e de fanti.

-159

Marciavano uniti, mesti, silenziosi , col capo inchi


nuto sul petto, come oppressi dal dolore, dalla ver

gogna , dalla fatica e dal caldo. Non udivasi suono


di trombe, e non altra voce o rumore, eccetto il
passo monotono de cavalli e degli uomini a pie : gli
stendardi e le bandiere eran coperti di un velo nero.

Nel mezzo dellesercito quattro scudieri a piedi


portavano sulle spalle un cataletto coperto di una
coltre nera con una croce rossa nel centro. Sotto
quella coltre ere il cadavere di Simone di Monforte. '
A due lati del cataletto stavano il cardinal legato e

parecchi vescovi ed abati, ne loro paramenti sacer


dotali adatti alla circostanza, i quali recitavano le
preci de defunti. Seguivano la contessa Alice , con
a destra il suo figlio Amauri e a sinistra la sua
glia Laura. Alice sopportava con franco animo il do
lore; e questa donna, ch' era stata senza piet per
gli altri, riutava alteramente il conforto dell altrui
piet, e portava la fronte piena di nuovo orgoglio,
come se la sventura I' avesse ornata di una nuova
corona. Laura piangeva; ma Dio solo poteva distin

guere e dividere le lagrime dell amore liale da


quelle delle amb'iziose speranze svanite. Amauri, che
il legato aveva fatto riconoscere da baroni, da ca
valieri e da tutto i esercito come conte di Tolosa,

duca di Narbona e visconte di Beziers e di Carne


sonna, pareva pi pensoso che mesto; e nel suo viso

vi si poteva leggere agevolmente la gioia della do

-160

minazione, e il turbamento che cagionava in lui la


nuova dignit, pe' pericoli ond era circondata. Alice
a quando a quando diceva qualche parola di con
forto alla figlia, e volgeva uno sguardo scrutatore e

severo ad Amauri, che ricomponeva il viso a mes


tizia.
Cos l esercito giungeva in vetta di un poggetto.
Tutti erano stanchi e trafelati, non tanto pel cam

mino fornito e pe travagli del di precedente e per


la mancanza del sonno, quanto per il calore insop

portabile, e la polvere che toglieva loro il respiro.


Quivi si soll'ermarono. Il catalelto fu posto a terra
sotto l'ombra di un gruppo di fronzute ed annose
querce, e quivi scavalcarono Alice, Amauri e Laura.
Il cardinale, i vescovi, gli abbati e gli altri cherici
fecero lo stesso; ed il funebre salmeggiare cess ,
per dar luogo ad una conversazione non men trista:
-- Il dolore ci opprime.

-- La croce vinta ed avvilita.


-- Ohime! pare che Iddio protegga gli eretici per
nostra rovina !
- Dove sono i bravi cavalieri che espugnarono
Beziers, Carcassonna, Minerva e Lavaurs?
-- Tolosa l' eretica esulta!
- E poich Ges lo soffre, che possiamo nel fare?

- evidente che Dio ci abbandona.


-- E lascia morire il suo campione, spezza nelle

mani della, chiesa la sua invitta spada.

'161

- 0 Simone di Monforte noi ti abbiamo perduto!

- Dio dorme, e Satana. si riveste degli splendori


della gloria.
- E Tolosa l eretica esulta!
Cos disfogavano il loro cordoglio il legato e gli

altri ecclesiastici; ma Roberto Mauvoisin si appresso


e disse loro:
- No signori, Tolosa non esulta: guardate la
gi verso la pianura.
Tutti gli sguardi si rivolsero da quel lato,
Dalla citt. di Tolosa sorgeva un fumo densissi
mo, che si allargava quindi per laria e piglava la
forma di un enorme pino, come si vede nella eru

zione de vulcani.
- Ch mai quell incendio ? domand il cardi
nal legato.
-- il castello Narbonese, rispose Roberto, al
quale il signore Amami ha fatto appieeare il fuoco pri
ma di uscire: sono le case del borgo che ardono ,

per certi carri pieni di materie combustibili inammata


che alcuni miei fedeli, lasciati indietro, han lanciato
per mio ordine, dopo che noi siamo partiti,

-- Avete fatto bene, disse Laura; e volesse lddio


che tutta ardesse quella iniqua citt, e che Mi IOS
simo vendicati.
- No, rispose Alice , avete fatto male: DIO 8010
poteva vincere Simone di Monforte, per punire leser-.

cito de suoi peccati e la chiesa di 1309. tWCFO 509'


Aura. YQI.IV.

11

-162

corso come dovea; e noi non possiamo e non dob


biamo vendicarci di Dio.
Laura s inchino innanzi alla superba umilt della

madre; ma Amauri, Roberto ed'icherici continua


vano a dire:
- Vedete quanto fumo esce da quelle case?

-- il fuoco si propaga.
----

Oh! se sorgesse un po di vento!


Farmi vedere delle genti saltar gi dalle nestre.
Le amme crescono nel castello Narbonese.
Le mura crollano dal lato di mezzod.

- Viva la croce! gridaron tutti vedendo una parte


del castello inabissarsi in una nuvola di fumo , e
sentendo da indi a poco un tonfo sordo e lontano.
Mentre l esercito fuggitivo gustava quest ultima e
tristissima consolazione de vinti, la vendetta, due
cavalieri montavano rapidamente dal lato opposto
della collina, e uno di loro portava in groppa del
suo cavallo un uomo. I tre scomparvero nel boschetto
di quercie che copriva la collina; e poco dopo i due
cavalieri soli ridiscendevano verso la. pianura. In quel
medesimo tempo usciva da dietro agli alberi quel
luomo, come un orribile visione. Il viso avea ma

gro, gli occhi infossati, eppur vividi ed ardenti. Una


lunga barba folta ed arruata si confondeva co ra
pelli irti ed incolti, che gli scendevano no alle
ciglia e gli si ammassavano attorno al capo come un
monte di sudicia lana. Pochi cenci avea indosso , e

-165

dalle larghe strappature vedeansi le membra ignude,


abbronzate e fangose, ma pur belle di forma. e ro
buste. Egli avanzavasi, avanzavasi lentamente, come
tigre che si appressi alla preda, cogli occhi spalan
cati e ammeggianti confitti su Laura , che stavasi
dietro alla madre, ritta in pie, appoggiando il brac
cio mestamente sul collo crinuto del suo cavallo,
ch era un superbo glio dell' Arabia. L uomo, se
pure uomo pu dirsi quella gura selvaggia e ferina,
si avvicinava sempre pi a Laura, come se volesse

accertarsi foss ella veramente quella ch e credeva;


e si le fu presso, ch ella ne sent sul suo collo il
respiro infuocato. Si volse per vedere chi fosse, e
gitt un urlo di spavento.

-- Ah! sei tu, Laura? grid con voce indescri


vibile
Ah! fuggiamo,
quell uomo.
fuggiamo
Tu adunque
amor mio.
non mi tradivi
- Saisaci...- Soccorso! url Laura; ma era tardi!
Colla rapidit di un leopardo, Saisac 1 aveva stretta
_nelle sue braccia, e montando in sella con un salto
sul cavallo di lei, partiva come un fulmine.

Un grido di terrore usc da tutti i petti.


- Laura! Laura! urlava la madre, correndo die

tro la glia, senza speranza di raggiungerla.


- Madre mia !... aiuto !... soccorso! rispondeva

Laura con voce soffocata, dibattendosi invano nelle


braccia nerborute di Saisac, che la stringeva al suo

petto e la copriva di baci ardenti come il fuoco.

--'164-
In quel tempo Amauri, il Mauvoisin, il Montmo=
tehcy ed altri cavalieri, che trovavansi pi vicini,

montavano a cavallo e correvano in soccorso della


rapita.
Allora cominci una corsa furiosa, insensata , ter

ribile, come quella delle fantastiche apparizioni. Il


cavallo di Saisac colla criniera svolazzahte, co an
chi fumanti, colle narici dilatate, fendeva l' aria co

me uno strale. Dietro di lui, alla distanza di pi che


un trar d arco , venivano gl inseguitori , ecditando
Cogli sproni, co' ginocchi e colla voce i loro cavalli;
ma questi perch coperti di ferro eran lenti alla

Corsa in paragone dell' altro, che come destinato a


una donna nulla avea oltre la sella ed una rete di
seta: di pi Saisac raddoppiava ancor egli di sforzi

e metteva urli ferini. Qualche contadino, che a que


gli urli si affacciava alla porta della sua casetta , si
segnava spaurito e rientrava dentro credendo passasse
una visione infernale. Le siepi erano sfondate : i fossi
saltati.
Alice, dopo una lunga corsa, era caduta in ginoc

chio , e stendeva le braccia verso Laura, gridando


sempre:
- Mia figlia 1 mia figlia!
In questo cuore agghiacciato dalla superbia v era

alla ne una fibra che sanguinava!


Ella perdette di vista la rapita allo svolto di un
boschetto; ma da indi a poco la rivide comparire

*-165

sulla schiena di Un monte. Il cavallo aveva raddop


piato la sua velocit: le sue gambe si stendevano quasi
orizzontali innanzi e indietro: pareva toccasse la ter
ra col ventre, e che non corresse , ma volasse. La

madre senti altra volta la


soffocata e pi spenta; e
pi selvaggio. Il sentiero
mit di una rupe, che dall

voce della glia, ma pi


l urlo del rapitore , ma
menava diritto alla som
altra parte cadeva a picco

in una valle profonda. E gi il cavallo si appressava


alla vetta, gi non mancavano che pochi passi per
giungere all orlo dell abisso, quando comparvero sul
punto pi alto due cavalieri. La speranza nacque in
tutti i cuori: bastava che si fossero messi nello stretto

sentiero che a quella sommit conduceva, perch


Laura fosse salva. Tutte le braccia si rivolsero sup
plicanti verso di loro , accennando al pericolo della
rapita; ma i due cavalieri, come se nulla intendes

sero, rimasero immobili contemplando freddamente


ci che seguiva.
'
Alice gitt un grido, di quelli che han forza di
fare scoppiare il cuore ond escono, e cadde svenu
ta col Viso in gi. Ella avea veduto il cavallo lan

ciarsi nellabisso , e sventolare nell aria le vesti


della gliuola !
Tutti corsero a quella volta, e dopo (1 essere di
scesi, non senza molte difficolt , nel fondo di quella
valle , trovarono il cavallo co fianchi scoppiati e che
gittava ancor sangue dalle narici e dalla bocca.

--166

Continuate le ricerche, scoprirono pi lontano, in


una macchia di ginestra il cadavere di Saisac colla
testa sfragellata. Egli teneva nelle sue braccia Laura,
soocata in un orribile abbraccio, che le aveva in
franto il petto. Fu impossibile aprire le braccia di
Saisac per togliere il cadavere della donzella: esse
parevano di ferro. Bisogno romperle colla scure. Il
corpo mutilato e sanguinoso del povero insensato fu
quivi lasciato insepolto; quello della fanciulla fu
messo sopra alcuni rami d alberi e salito l dovera
la madre che non aveva ancora recuperato i sen
timenti.
I cadaveri di Simone di Monforte e di sua glia
Laura furono seppelliti sulla chiesa di Carcassonna,
dov era stato seppellito quello di Ruggiero visconte
di Beziers!

FINE DEL QUARTO VOLUME.

INDICE DEL LIBBU QUARTO

CAP. 1.
a

II.

III.

IV.

Delle inquisizioni di frate Domenico


e delle tentazioni del vescovo Folco. pag.
Come Audeguier and in prigione
senza il suo consentimento . .
Come Audeguier usc di prigione senza
il consentimento del veseoso. . . . .

50.

Come maestro Roberto, in memoria

del santo martire Pietro di Castelnau,


accoglieva i religiosi nella sua osteria
Come i Marsiglicsi ricevettero per
V.
loro signore il giovine Raimondo di
Tolosa...... . . . . . . . . . ..
VI. Dove si dimostra come sia agevole
convincere una persona d eresia . .
VII. Della politica e della teologia del ve
scovo Folco. . . . . . . . . . . . . .
VIII. Come Simone di Monforte fece l'ac
cordo co'Tolosani e come lo mantenne;
IX.

18.

41.

50.
59.
69.

c di ci che facevano i Templari. .

85.

Come la citt di Tolosa si sottrasse


alla signoria di Simone di Monforte.

94.

(In. X.

Per qual ragione gli antichi rappre

sentavano Amore bendato . . . . . . pag. 115.


.
i
I

XI.

Di un caso molto strano


nel castcllo di Padernes
XII. Dell assedio della citt di
XIII. Della fine di Simone e di

che segu
. . . . . .
Tolosa . .
Laura . .

FINE DELL'INDIUI DEL LIBRO QUARTO.

n
n
I

124.
159.
'152.

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