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NAZIONALE

RACCOLTA
NOTARIANNO

DA CAPRERA
ao esoiosa
E VARIGNANO

- so da trent'anni, e meglio assai di voi, che cosa sia la guerra: apprendete


he i parlamentari non si presentano in cotal guisa.
Pag 100.

DA CAPRERA
\SPR)I)Nil
I WINM)

RMC) MISTRI

MILANO
FRANCESC0 PAGNONI, TIpOGRAFO-EDITORE
1862.

La presente opera posta sotto la tuteta delle vigenti leggi e


convenzioni risguardanti la propriet letteraria, avvertendo
che si agir con tutto il rigore contro gli autori di qual
siasi contraffazione o ristampa.

Tipografia di Francesco Pagnoni.

DA

CAPRERA AD ASPROMONTE
E VARIGNANO
PER

RAG)

ISRA)

CAPITOLO PRIMO.
I.

Quando l'ultima volta abbiam tenuto discorso nella serie


di queste pubblicazioni popolaresche dell'eroe Giuseppe Ga
ribaldi lo abbiam lasciato che dicendo addio alla in

cantevole riviera di Napoli egli se ne tornava al suo solita


rio scoglio di Caprera pi grande che Washington, pi grande
che Cincinnato, imperocch il romano aveva almeno un cam
po suo da solcar coll'aratro e lo americano fu presidente
della Repubblica da lui fondata, mentre il forte Nizzardo ha
solamente un cumulo di scogli in mezzo al mare e dalla dit
tatura del pi bello e pi ricco regno del mondo egli recava
seco una camicia rossa e un mantello foracchiato dalle palle
nemiche.

Caprera il piedestallo di granito su cui si leva e gran


deggia la maestosa figura del grande Italiano, a lei volgiamo
brev'ora il pensiero; la povera casetta bianca deserta, ma

il nome di Garibaldi suona quivi ripetuto da ogni voce della


natura: come i sassi e le rupi del Sinai parlano di Dio, qui
ogni pietra, ogni scoglio, ogni fiore, e il vento che passa e
il mare che mugghia pajono in una immensa armonia com
pendiar le note dell'inno di Garibaldi l'inno che suon
sulla via trionfale da Mlarsala a Capua e che Urbano Rat
tazzi ha fatto proscrivere.

Rattazzi e Garibaldil quale contrasto in questi due nomi !


Il pigmeo e il gigante, il genio e il cretinismo, il sole e
l' ombra.

Torniamo a Caprera dov'io ebbi la sorte di essere la


Pasqua del 1861.
La corografia dell'isola presto fatta.
Giacente lungo il lato di levante della Maddalena di
stante dal borgo di questo nome circa il tragitto di un'ora.

---

Per percorrendo a piedi il litorale della Maddalena, verso


oriente, si raggiunge un brevissimo stretto che chiamano

della Moneta, e che non pi largo di un trar di fucile.


La Caprera a primo tratto rassomiglia al vasto cratre di
uno spento vulcano.
Le fanno cintura guglie e scogli innumerevoli di granito,

contro cui l'onda si frange incessantemente e ricade e vola


in una piaggia di gemme scintillanti al sole meridionale.
Lunga e stretta, veduta di cima al monte Telajone, che

la pi alta vetta di Caprera, essa presenta la forma di


una gigantesca lucertola.

Da codesta cima si ha l'aspetto incantevole di un mira


bile panorama.
Tutta quanta la Sardegna, la Corsica e nell'estremo oriz
zonte Monte-Cristo, la Capraja e la Gorgona, e l'Elba.
E dattorno a quella corona di sette gemme che fanno l'Ar
cipelago sardo, pur bello veder distendersi come una im
mensa cintura di azzurro il nostro Tirreno, che, dal golfo
profumato di Nizza scende a baciare sulla marina di Marsala

7
gli aranci e gli oliveti eterni onde la Italia bella e ricca
fra tutte le terre.

La storia dell'isola non pi lunga della sua corografia.


Fin dallo scorso secolo Caprera non ebbe pi stabili abi
tatori, e prese forse nome da alcuni branchi di capre er
ranti e inselvatichite.

In quel torno, un bandito crso, perseguitato nella sua


terra come una fiera, si gitta colla moglie e co' figliuoli in
uno schifo e scampa nella deserta isola.
Come vivesse un secolo e mezzo questa famiglia proscritta
nessuno lo sa, certo che non ne sopravvive che l'ultimo,
Giambattista Ferracciuolo, che tuttora ci vive come un se

condo Robinson in una povera capanna.


Circa trent'anni addietro il governo mise in vendita le
isolette deserte dell' Arcipelago sardo per incoraggiarne la
coltura.

Un misantropo inglese comper tutta la Caprera e vi


fabbric una casa sulla punta verso la Sardegna.
Egli morto nella solitudine e sua moglie vi dimora
anco al presente.
Garibaldi, dieci anni fa, cominci a comperare dall'in

glese alcuni lotti del suo possedimento.


Ora l'isola divisa fra tre proprietari.
La vedova inglese che ne possiede pi della met.
Giuseppe Garibaldi che possiede il resto.
ll figlio del bandito che possiede nulla, ma che aspetta
di morire tranquillamente dove morto suo padre.
Sono tre i porti, o meglio i piccoli seni nella Caprera.

Uno solo ha nome, il pi grande; lo chiamano porto


Palmas.

L'occhio abbraccia dalla riva tutta la costiera sulla quale


sorge la bianca casetta del generale.
Nudo e brullo paese.
Avvicendamento strano di moli di granito, su cui si
stende rada e poca verdura.

8)

Poche

salvie di bosco, grandi cespi di timo , fragrante ,


un'erba sterile arsiccia in mezzo a cui brillano lunghi steli

di gigli selvaggi e di piccole viole, e qua e l fitte bru


ghiere di eriche e varie specie di spino e di ginepro , chi

nati e contorti dallo impetuoso correre dei venti sulle pen


dici.

Ecco la vegetazione e la flora di Caprera.


Strade non ci hanno. Conviene arrampicarsi, come l'agile
animale da cui ha nome l'isola, su per le balze che gli sco
gli vanno formando a scaglioni sovrapposti.
Una sassaja di pietre rozzamente ammonticchiate a fog
gia di muraglia, sono guida verso la casa. Egli solo, il ge
--

nerale, ha costruito colle sue mani duemila e cinquecento


metri correnti di quella muraglia, rozzo confine della sua
propriet.
La casa un edificio quadrato che occupa presso a poco
la superficie di cencinquanta metri.

Non ha che il pianterra che sorge dattorno ad una ma


niera di torre mozza, la quale serve di terrazzo e di bel
vedere.

Il pavimento di legno e non v'ha soffitte, sicch sulle

camere corre il palco di travature inclinate.


Allato alla camera del generale la sala da pranzo; una
tayola zoppicante e alcune scranne, eccone il mobiliare.

Pende dalla parete un ritratto di Ugo Bassi.


Appresso la camera di Menotti, che la divide ordinaria
mente con Basso,

Essa il museo o meglio l'arsenale della casa.

La cucina la pi grande e la pi affezionata da Gari


baldi perch guarda il mare.
Soventi volte egli ci siede contemplando quell'immenso
lago di azzurro che gli si distende dinanzi il Mediter
l'aIneO,

Ha una batteria culinaria abbastanza ben fornita, e c'

il lusso di una tromba aspirante per avere l'acqua da bere


comodamente a portata.

La camera di Teresita la pi bella.


Ci sono due lettini di ferro , un divano, un pianoforte
verticale e un armadio. Teresita la divideva colla signora Dei
deri sua madre adottiva,

La stanza di Garibaldi non la migliore; quattro mura


bianche, ecco tutta la tappezzeria. A destra della porta, ap
poggiato all' angolo della parete, il letto di ferro non
verniciato, a quattro colonnine che sostengono un candi
dissimo e semplicissimo padiglione di mussolina. Un esile
pagliericcio, un materasso, due guanciali e una coperta di
cotone lo completano.
Sotto la finestra poggia un tavolino ingombro di libri e
di carte su cui posa un calamajo di vetro. Al lato sinistro
una scrivania di noce verniciata il mobile pi nuovo
e uno scaffale a libreria, munito di vetri.

ln fondo alla camera e rimpetto alla finestra, un altro


piccolo letto da campo, dove dorme qualche volta il colon
nello Deideri.

Fra questo letto e la scrivania, un altro piccolo tavolo


ingombro di carte, di libri e di alcuni mazzi di zigari di
Nizza.

Pendono dalla parete diverse armi; pistole, sciabole, ca


rabine. La sciabola e la carabina del generale, sono appese
vicino al suo letto, sopra un medaglione di ebano coperto
da un cristallo convesso, dove sono riposti i capelli della
povera Anita.
La casa bianca cinta dietro da una sassaja che com
prende una specie di orto.
Quivi un rozzo aratro tirato da due piccoli buoi di razza
selvaggia, dal lungo pelo a macchie bianco-castagno, rompe
per la prima volta le aride e vergini glebe scarsamente ac
umulate in quest'altipiano.

10

In faccia alla casa, su di una roccia pi elevata, un


mulino a vento, che veduto dal mare, colle sue braccia fan

tastiche rassomiglia ad uno spettro.


Partendo dalla casa, trovasi un incominciamento di viale

lungo il quale cresce una doppia fila di cipressi piantati

a ridosso di una sassaja parallela. Sono i lavori graditi del


generale. Egli sogna qualche volta di rendere quelle roccie
un giardino, e il pensiero lo porta colle agili ali alla me
moria della sua Nizza, quell'eterno giardino, dove una pri
mavera eterna educa fiori di tutte le stagioni.
Cos vidi io Caprera l'aprile 1861.
L'eroe ci era a riposare e a meditare: egli ne part con
noi e spinto da fatalit di consiglieri mendaci, venne a rom
pere malaugurate lancie di parole con Camillo Cavour
quell'altro grande che Italia pianse irreparabilmente per

duto e che soleva dire: oh! se nessuno fosse fra me e lui,


certamente Garibaldi mi comprenderebbe!
Ed aveva ragione.
La miserabile gente che si accalca e fa ressa nelle anti
camere ministeriali pur tristamente ignava, codarda e
tristal

Ma anco dattorno a Garibaldi si rimescola una genla pes


sima di parassiti che vuol vedersi illuminata dal raggio

della sua gloria, e cotesta razza pur pessima e lorda!


II,

Noi non dobbiamo narrare gli eventi che seguono la


morte di Cavour. Diremo solamente che acclamato dalla

opinione concorde della nazione, il barone Bettino Ricasoli,


recasse il retaggio dell'illustre defunto.
Ma quell'uomo integerrimo aveva da combattere una mala

11

pianta nel municipalismo e nella gretteria piemontese, che,


ci duole il dirlo, ma pur troppo non punto morta n ac
cenna a voler morire,

Poi Ricasoli era un diplomatico come c' in Europa chi


non ne vorrebbe vedere in ltalia. ll barone toscano sapeva
che quando si vuol essere nazione, bisogna averne anzi tutto
la dignit; e ordini non riceveva, n da Londra, n da Pa
rigi. Egli teneva alta la bandiera dell'indipendenza, e la vo
leva pura e rispettata da tutti.
Rattazzi, il rappresentante del Piemontesismo, nel cattivo
anzi pessimo significato della parola, amaramente dolevasi
che ad altri fosse toccato il retaggio del conte di Cavour.
Circondato da una mano di intriganti, cominci una guerra
delle pi sleali al gabinetto. Tutte le arti pi codarde fu
rono adoperate , nissuna eccettuata. La storia giudicher
molto severamente cotesta fazione!

A forza di astuzie e di sottigliezze il barone Ricasoli vide


mancarsi il terreno sotto. Uomo franco e leale, vide che egli
non era fatto per le posizioni equivoche, e si dimise insi

stendo presso il Re per venir sollevato dal peso degli af


fari,

ll barone Ricasoli l'unico uomo in Italia, che sia ca

pace di continuare l' opera del conte di Cavour; la nazione


deve a Urbano Rattazzi e alla sua sordida clientela di aver

perduta nei momenti di maggiore necessit la forte coope


razione direttrice dell'onorevole cittadino.

Ma la iniquit maggiore di Rattazzi fu questa. Ben sa

pendo che Garibaldi una potenza colla quale conveniva


contare in Italia , volle assicurarsene lo appoggio per su
perare la prima ostilit dell' opinione e del Parlamento. A
questo provvide eccellentemente l'entrata nel cerchio mini
steriale di Agostino Depretis, amico del generale ed ex
scapigliato democratico del Parlamento piemontese. Chi po

teva dubitare di Depretis avversario implacabile di Cavour,

12

chi poteva credere che la giubba del convenzionale si pre


stasse cos bene a farne la uniforme ricamata di un mini

stro! Eppure l'amico di Garibaldi, colui che abbiam veduto


a Palermo esercitare il potere , chiamatovi dal generale
stesso, doveva con fronte di meretrice giuocar la indegna
commedia della ipocrisia per finire poi col cinismo dell'apo
stata soddisfatto.

Me fortunato che questo librettino andr disperso come

i suoi predecessori per mille e mille mani onde bene si ap


prenda in seno al popolo nostro il disprezzo e la vergogna
verso nomi che ricordano cos fatte codardie!

Fortuna invidiabile del proletariato della penna che vince


i cannoni da cui non pu essere vinto mai !

pertanto di importanza istorica che i nostri lettori odano


come lo stesso Rattazzi osasse parlare al Parlamento quando
sui primi di marzo di quest'anno si present succeduto al
barone Ricasoli,
Ho l'onore, disse, di annunziare alla Camera che il signor barone
Ricasoli, presidente del Consiglio dei ministri nel cessato gabinetto,
avendo rassegnato nelle mani del re la dimissione sua e di tutti i suoi
colleghi, e avendo insistito nella medesima, venni dalla fiducia del
re incaricato della formazione del nuovo ministero, il quale rimane
cosi composto:

Presidenza del Consiglio e affari esteri coll'interim degli interni, io;


Finanza, l'onorevole Sella;
Guerra, il conte Petitti;

Marina, il conte ammiraglio Persano;


Agricoltura, industria e commercio, il marchese Gioachino Pepoli;
Lavori pubblici, Agostino Depretis;
Istruzione pubblica, il sig. avv. Mancini;
Grazia e giustizia, Filippo Cordova.
E infine il signor senatore Poggi ministro senza portafoglio.
Signori, i nostri precedenti e la nostra condotta politica passata

sono abbastanza noti perch possiate dubitare della nostra condotta

13

avvenire. facile formulare un programma, grandioso, ardito, vago


per e indeterminato, ma pur facile che al programma non corri

spondano i fatti. debito mio dichiarare anzitutto che non fu amore


del potere, o altra meno nobile ambizione che qui ci ha condotti, ma
amore sincero, verace del nostro paese, e desiderio e speranza di gio
vargli con tutte le forze nostre e di ottenere, merc gli stabili ordina
menti interni e l'accrescimento delle nostre forze, che le provincie an
cora divelte dalla madre comune vengano, nel consorzio della comune
famiglia, a partecipare della indipendenza, dell'unit, della libert che
sar nostro cmpito, nostro scopo continuo di mantenere ed accre
Scere,

Nella politica estera il governo si propone di cattivare anzitutto le


alleanze con tutte le potenze civili, perch da quelle ne dovr risul
tare il maggior consolidamento dello stato attuale di cose. L'isolamento
sarebbe fatale, impossibile diverrebbe l'opera nostra. Se il piccolo
Piemonte ha potuto cos arditamente e con tanta fortuna discutere ed
operare il favore dei principi dell'italiana indipendenza, ci lo deve
in modo particolare alle alleanze che ei seppe coltivare con tutti i
paesi liberali d'Europa, e nell'aver preso parte a tutti i grandi avve
nimenti che negli ultimi tempi potevano direttamente o indirettamente
influire sui destini della sua italiana politica. Star quindi sempre a
cuore del governo di coltivare le alleanze colle potenze estere e sopra
tutto colla Francia e colla Inghilterra.
Alleanza colla Francia, poich dobbiamo ricordare che al sangue
versato dai generosi suoi figli particolarmente dovuto il nostro risor
gimento; alleanza colla Francia i cui destini sono ai nostri in gran
parte collegati. Ma alleanza che non ci far dimenticare il rispetto alla
nostra indipendenza, alla nostra dignit, ai nostri diritti, poich nel
nostro cuore e in cima di ogni cosa, sta l'amore e l'onore del nostro
paese. Bando dunque ad ognisospetto che si potesse a questo riguardo
nutrire. Alleanza, ma indipendenza. Alleanza coll'Inghilterra, che
sempre ci ha assistiti e confortati col suo potentissimo appoggio
morale.

Dopo ci dobbiamo costituirci, ordinarci fortemente, e quando sa


remo in grado di far valere i nostri diritti, tutti li riconosceranno,
poich forti,uniti, costituiti e ordinati, daremo alle altre potenze il

14

pi solido pegno dell'ordine e della tranquillit. ll programma del

governo anzitutto nelle deliberazioni del Parlamento. Sulle questioni


di Roma e di Venezia i voti solenni della Camera saranno il pro
gramma del ministero. Circa a Roma vi sono i mezzi morali e i mezzi
politici. La verit sconosciuta per molto tempo si gi fatta strada, e
la intangibilit del potere temporale non pi che nella fede di po
chi. Il progresso stato grande in questa quistione, e non poche po
tenze hanno smessa la paura in cui si tenevano circa alla causa tem
porale del papa. Il progresso constatato anche dalle discussioni del
senato francese, poich sar facile a ciascuno rilevare le notevoli dif

ferenze delle discussioni dello scorso anno da quelle che ebbero luogo
or ora, e come quello che prima era difeso accanitamente, ora appena

appena venga sostenuto. E l'Italia e noi tutti dobbiamo riconoscenza


all'augusto oratore che con tanta eloquenza e con tanta fermezza di
fese la nostra causa e sostenne i veri principi della pi larga libert.
A Roma si deve andare colla Francia, queste furono le delibera
zioni, questi i voti del Parlamento. La Francia ha il pi grande degli
interessi a che la questione di Roma sia risolta, ma spetta a noi il
maturarne l' esecuzione. E Roma e Venezia avremo, ma coll'ordina

mento, colla unificazione delle leggi, con poderoso armamento, in pro


spero stato, perch all'ora ci presenteremo con giusto titolo dinanzi
all'Europa.

Circa all'ordinamento interno mente del governo di valersi di


tutte le capacit, qualunque sia il campo liberale a cui appartengono.
Il governo desidera e vuole la concordia; e la formazione stessa del
ministero, il quale composto d'uomini tolti da tutte le parti della
Camera, ne la prova migliore. E qui debbo smentire talune voci o
calunnie, del tutto infondate, sulla poca omogeneit del ministero. No,
il ministero concorde nei grandi principi che informano la sua con
dotta; concorde nei mezzi onde attuarli (bene).
Nella distribuzione degli impieghi noi seguiremo l'equit e le norme

precise della giustizia distributiva per tutte quante le provincie della


penisola. giusto che se tutte in egual modo concorrono ai gravami
e ai sacrifici nella stessa misura debbano godere dei benefici. Il go
verno non poser mai fino a che, come ora nell'esercito, non si dica
pi l'ufficiale Toscano, Napoletano, Lombardo o Ligure, ma l'ufficiale

15

Italiano; cos invece dell'impiegato Piemontese, Toscano, o Lombardo,


si dica, l'impegato Italiano (bravo).
Il goveruo non poser fino a che tutti abbiano dimenticato a quale

provincia appartengono per ricordarsi soltato che tutti siamo dell'Italia


(bravo, bene). E qui prendo occasione per dichiarare che io sono par
tigiano del discentramento amministrativo, e che respingo l'accusa di
grande accentratore che mi stata ingiustamente lanciata.
La legge del 59, argomento di accusa per molti, per chi la legge,
per chi la medita e la intende, ne la prova pi ampia e convincente.
Taluni caratteri di quella legge non ponno servire di regola a sano
giudizio, poich quella legge venne fatta in momenti gravissimi e al
lora che si trattava pi che tutto di unificare.
Io dunque sosterr e propugner il discentramento amministrativo,
ma soltanto sino ai limiti oltre ai quali sarebbe scomposta l'unit po
litica. Le finanze formeranno il primo oggetto delle nostre cure. Sulla
bandiera di quel ministero star scritto: economia (bravo). Econo
mia strettissima, poich con questo solo mezzo noi potremo ottenere
il credito che tanto ci necessario. Noi inviteremo la commissione pel
bilancio del 62 ad essere severa investigatrice delle spese portate e
fatte, e a sopprimere o a modificare tutto quanto non sembrasse dalla
necessit richiesto assolutamente. Noi prendiamo obbligo fin d'ora di
presentare il bilancio del 63 e presentarlo in modo da provarvi come
si sia rifuggito da ogni spesa per quanto piccola che gli interessi del
paese e delle finanze non ammettevano. Noi infine prendiamo obbligo
di cohchiudere l'ra delle maggiori spese o supplementari, a meno
che non ne sia dimostrata l'assoluta irrefutabile necessit (bravo,
bene).

Le leggi di finanza gi presentate verranno discusse nel Parlamento


e le altre gi elaborate e che volevansi presentare ci saranno lume
e scorta per quelle che noi stessi avremo l'onore di proporvi.
Vengo all'esercito. All'esercito saranno rivolte le nostre cure, e per
l'armamento del paese soltanto non dimenticheremo l'economia, poich
nell'armamento che riposto il nostro avvenire.Forti ed armati noi
otterremo il rispetto di tutti (bene). E l'armamento fa cos parte vitale

del nostro programma che noi daremo esecuzione leale a tutte le leggi
di armamento, che votate dal Parlamento rimasero ineseguite, e per

16

fino a quegli ordini del giorno che all'armamento si riferiscono (ap


plausi).

Il governo non deve lasciare a nessuno il cmpito dell'armamento.


quello il suo dovere e il suo diritto. Se lo lasciain altre mani egli deve
cadere (bravo). Circa ai lavori pubblici dir che i nostrisforzisaranno
particolarmente e prima rivolti alla Sardegna e alle provincie neridio
nali, poich sono quelle le provincie e le parti d'Italia che pi ne ab
bisognano (benissimo). La marina, come l'esercito, sar oggetto delle
nostre sollecitudini per guisa da presentare tra breve un piano orga
mico della marina militare.

Nell'agricoltura e commercio sar praticato il medesimo zelo, rivolto


sopratutto a stringere trattati di commercio colle estere potenze.

Circa alla istruzione pubblica noi prima e specialmente ci preoccu


peremo dell'insegnamento elementare.
Grave il cmpito nostro, o signori, e ci conforta di poter raggiun

gere il nostro scopo col sostegno del Parlamento, la saviezza, l'ordine


e il patrottismo d'Italia. E davanti ai nostri atti che dovranno cadere
le calunnie, le accuse e i sospetti; davanti ai nostri atti che noi
aspettiamo di essere gindicati; davanti ai nostri atti che si former

quella conciliazione, quella concordia, che la prima base de'nostri


destini (applausi).

Lanza dice che non vuole promuovere discussioni, poichl'ampiezza


degli argomenti non glielo permette subito; ma verr tempo e presto
in cui si discuter la consistenza del programma esposto dal capo del
nuovo gabinetto, l'omogeneit del nuovo ministero, e quanta sia la cor
relazione del programma ora esposto e la possibilit della sua attua
zione con altri programmi svolti da deputati che ora sono ministri.
Ma vuole soltanto notare che la caduta del gabinetto Ricasoli av
venne in modi insoliti, in modi extra-parlamentari, in modi che quasi
feriscono la legalit e per nulla ponno raffermare il nuovo gabinetto,

il quale non parlamentare, non una derivazione della maggioranza,


poich il ministero fu costretto a dimettersi l'indomani del giorno in
cui il signor Ricasoli otteneva un voto di fiducia dalla Camera quasi
unanimemente. Forse vi saranno stati dissensi, forse altre cause estrin

seche produssero la crisi, e i dissensi interni sarebbero per avventura


confermati, poich vediamo un ministro che faceva parte dell'antico

17

gabinetto sedere ora nel nuovo.Sarebbe necessario onde togliere do


lorose incertezze che l'antico o il nuovo presidente del consiglio des
sero qualche spiegazione.

Ricasoli. Signori, io per rispondere non uscir dalla sfera dei fatti
parlamentari. La caduta del ministero giunta improvvisamente, ma
le cause erano note a molti e da tempo sussistenti. In seguito delle
famose interpellanze,il governo ottenne vari ordini del giorno, fusi poi
in uno solo, che approvava l'operato del governo. Ma dopo mi avvidi
che difficolt gravi si affacciavano, e che l'omogeneit ne'miei colleghi,
intento a cui mirava, non era conseguita.
Il Parlamento si ponga una mano alla coscienza, e dica se egli ci
accord quella fiducia piena ed intera, senza la quale un governo non
ha motivo di essere. Ebbi dopo la contentezza di esporre le mie teorie
sulle libert della nazione, e ne ottenni approvazione; ma anche quel
voto fu dopo snaturato e sminuito ad arbitrio.
Fiera opposizione si ebbe pure la legge sulla Corte deiconti in seno
del Senato. Dopo un bisbiglio misterioso, arcano,correva in tutti i de
putati ed era che il ministero non era omogeneo.
Una discrepanza avvenne, allorch sulla presentazione dei codici,
tutti i ministri toscani respinsero la pena di morte che non videro pplicata nel loro paese, gli altri si opposero.
Altra discrepanza sorvenne circa la discussione sulla legge relativa
al corso dell'oro. Il governo doveva inoltre completarsi e questo non
-

poteva farsi, poich ciascuno esitava di farne parte, ciascuno parteci


pando al dubbio che era comune. Perci io ho vedutounauscita nella
dimissione, giacch io per gli equivoci non sono fatto (bravo, bravis
simo, applausi). Io ho offerto la dimissione mia e de'miei colleghi al
re, il quale ebbe la bont di non accettare consigliandomi a consultare
la Camera; ma io ho insistito, poich non avevo pi bisogno di con
sultarla, e nell'equivoco io non poteva durare. Non ho altro da aggiun
gere in risposta alle domande del deputato Lanza (applausi univer
sali e prolungati).

Rattazzi (presidente del Consiglio). Faccio omaggio alla lealt colla


quale il signor Ricasoli espose i fatti avvenuti, lealt e schiettezza che
sono fra le pi belle doti del suo carattere.
MISTRALI. Da Caprera ad Aspromonte, ec.
2

18

Egli rendeva omaggio a Ricasoli! ci sovviene delle lacrime


che dicono versa il coccodrillo sulle ossa della vittima che
ha divorato.

Pure in quella memorabile giornata ci fu una lezione che


se Rattazzi fosse diverso da quello che avrebbe subito
compresa.

Le lunghe sue parole ebbero freddo e scarsissimo plauso,


quelle brevi e concise di Ricasoli furono invece accompa
gnate da una vera ovazione.

Il vincitore era il caduto e

sulla faccia livida dell'Alessan

drino legulejo si leggevano le stimmate della vergogna e forse


del rimorso.

Ill. -

9rima di procedere innanzi ci conviene accompagnare il

generale a Genova dove per opera dei Comitati di provve


Cimento si era convocata un'assemblea generale di rappre
sentanti associazioni politiche ed operaje allo scopo (chiara
mente confessato in una lettera del dottor Bertani) di con
trapporre alla rappresentanza moderata del Parlamento una
rappresentanza pi radicale.

Questo disegno di radunare in una le Associazioni italiane


non era nuovo. Esso avea fatta la sua comparsa al Congres

so, cos detto di Operai, tenutosi in Firenze dove la bella e


santa instituzione di quelle annuali Agapi fraterne s'era con
vertita in una brutta copia di convenzione anarchico-terro

rista per opera di pochi furfanti matricolati e di alcuni esal


tati di buona fede,

ll generale Garibaldi a cui si agita dattorno quella tur

bolenta fazione onde servirsi del suo gran nome a' suoi mali
intenti avea consentito a presiedere la radunanza per veder

modo di impedire che le caricature robespierrine non ecce


dessero; sciaguratamente neppure la presenza dell'eroe valse
a metter senno in certi capi, e il deputato Francesco Crispi
venne guardato quasi moderato e tiepido patriota dai fanul
loni parolai che non hanno mai fatto e non faranno mai
nulia che gracidare e colare immonda bava di impotente in
vida rabbia.

Ma la costituzione della Societ Emancipatricc ha una


troppo grande importanza sugli eventi futuri perch non si
debba da noi riprodurre le relazioni della sessione del pseudo
parlamento genovese.
La lettura delle parole pronunciate da Garibaldi basta a
convincere della diruttezza di quell'anima di integrit antica
che, pur troppo, giudicando il prossimo da s medesimo
non avverte, il pi delle vo
le miserabili gare che gli si
muovono dattorno.

il cinque marzo 1862: facciamoci strada ed entriamo nella gran


sala del dibattimento, per farvi assistere cronisti fedeli i lontani lettori
nostri e quanti non poterono presenziare il fatto.
La riunione nel teatro Paganini, i rappresentanti delle varie asso
ciazioni prendono posto nelle panche della platea. Sul proscenio un
tavolo semicircolare, al cui centro siede il generale,abbigliato colla ca
ratteristica sua camicia rossa, ammantato nel tradizionale suo puncho e

coperto del solito cappelletto catalano.


Due minori tavoli posti all'estremit del banco presidenziale sono
due tavoli pei segretari, e dalle parti due banchi sono per le commis
-

S Onl,

l palchi sono animati da varie signore e da buon numero di in


vitati.

Viene intanto in mezzo ad un animato cicaleccio distribuito il pro

getto di regolamento per l'unione delle associazioni democratiche ita


liane preparato dalla commissione eletta il 13 dicembre 1861.
Alle 1a etrano a prendere posto i membri del comitato.
Il generale si leva (silenzio profondo).

20

Io mi sentoveramente fortunato e credo che ognuno che assiste


a questa assemblea deve sentire la stessa fortuna, deve sentirela stessa
soddisfazione, che quella di vedere qui riuniti i rappresentanti di un
popolo libero, diun popolo che ha avuto la felicit di vedere la sua con
dotta approvata dalla intera umanit, di cui ha coraggiosamente ab
bracciato i principi.
S, io sono fortunato di trovarmi qui in mezzo ai rappresentanti del
l'intero popolo italiano. abbench le attuali circostanze non permet
tessero ad alcune provincie di essere rappresentate, pure abbiamo tra
noi anche i rappresentanti di fratelli che abbiamo giurato di redimere
(salve di prolungati applausi. S, si).

Oggi il principale oggetto per cui il comitato centrale delle associa


zioni di provvedimento ha convocato l'assemblea stato per coordi

nane in un solo centro tutte le associazioni liberali. Scopo santo,

che deve portarci a conseguire l'adempimento dei destini del nostro


paese.

Sono attorniato da uomini che conoscono la storia assai meglio di


me, ma non fa bisogno di conoscere tutta la storia per conoscere come
sono sempre state le dissensioni fra gli Italiani la causa principale,
unica dei mali della nostra patria.
Mi permetterete quindi che faccia un plauso alla nobile idea che ha

avuto il comitato centrale di riunire questa assemblea per intenderci,


per coordinarci.
L'idea di riunire in uno tutti gli elementi liberali del paese, di fare
-

una societ sola delle societ liberali tutte, credo debba meritare la

approvazione di tutti i rappresentanti che si trovano in quest' as


semblea.

Riunirsi e coordinare insieme tutte le nostre forze la mia opinio

ne. Io sono di opinione di tutto raggranellare formare il fascio


romano. (prolungati applausi).

. Fascio davanti a cui si inchineranno tutte le prepotenze. (salve


di prolungati applausi).

Mi pare di avere emesso il mio concetto per ci che riguarda il


nostro paese ho emesso ed emetto ancora, sottoponendolo alla vo
stra determinazione, che il concetto di riuuire in una tutte le forze po
polari, si estendesse anche ad altri popoli, andasse anche oltre la pe
nisola (bene, bravo, bene).

21
Vorrei che gli Italiani porgessero la mand agli schiavi del mondo
intero!! (applausi prolungatissimi. Evviva l'uomo provvidenziale.
Evviva il capitano del mondo.

Prolungati applausi fanno eco a questi

evviva).

Resta a scegliere una denominazione che possa rendere il concetto


che ho emesso (bene, bravo).

La seduta aperta.
Campanella, membro del comitato, prende la parola per dire che
le parole del generale annunzieranno all'Europa che la concordia re

gna nel campo della democrazia. Mostra come l'assemblea destinata


a gettare le fondamenta di quelle formidabili falangi popolari che ope

rarono i portenti del 1848 e meravigliarono ai nostri giorni colla mar


cia dalla villa di Quarto a Gaeta.

A capo della falange deve essere il gran capitano.


Ringrazia i rappresentanti del numeroso concorso; dice fu carit
cittadina la sollecitudine a rispondere all'appello del comitato che di
strugge la speranza dei nemici, i quali sperarono coll'assemblea del
15 avere reso impossibile ogni altra riunione.
Continua a mostrare come non fosse supponibile che il cap itano de
popolo non si mettesse a capo della democrazia. Gli uomini della de
-

mocrazia sono fermi, e non cederanno mai (bravo , bene), ma sanno


altres accordare alla concordia. Noi tutti vogliamo l'attuazione del ple
biscito, noi tutti vogliamo Italia una con Vittorio Emanuele re costi
tuzionale.

A raggiungere questo scopo dobbiamo armarci. Non vogliamo porci


in lotta col governo, vogliamo rafforzarlo quando sinceramente ed at
tivamente voglia l'unit.

Parla della codarda teoria del lasciar fare che nocque al paese ed

al governo, e come i nemici nostri si prevalgono di questo a mettere


in dubbio le tendenze popolari. Cita il fatto delle parole di Antonelli
e la continua spedizione della feccia dell'umanit a travagliarci. Se con
24 milioni di voci diremo che Antonelli ha mentito, se manderemo 24

milioni di maledizioni al potere temporale, e se alle parole succedano


i fatti di preparare un milione di fucili come vuole Garibaldi e porli
in mano ai garibaldini, che tanto bene sanno maneggiarli, cesseranno

le prepotenze straniere che ci insultano. Dobbiamo, nei limiti dello

22

Statuto, organizzarci ed amarci e mostrare al mondo che l'Europa non


avr pace finch l'Italia non abb a la sua capitale (applausi).
Propone di formare l'ufficio della presidenza, e per ovviare il ri
tardo che porterebbero leschede segrete, propone di deferire al pre
sidente le nomine.

La proposta approvata per acclamazione.


Garibaldi si leva e nomina:

Vice-presidenti: Dolfi,Mordini, Crispi, Montanelli,Carbonelli,Cam


panella, Brofferio (applausi).
Come segreto ri:Saffi (applausi) Guastalla, Corte,Savi (applausi),
Sacchi, Cadolini, Asproni e Pianciani (applausi generali).
Sono soddisfatto che le nomine sieno dei vostro aggradimento (ap
plausi).

Generale. Si passi alla lettura del processo verbale della seduta del
15 dicembre p. p.
Savi legge il verbale. Giunto alla deliberazione che avea per iscopo

il richiamo di Mazzini un prolungato battimani interrompe la lettura.


Si passa alla discussione del progetto distribuito. Il presidente rac
comanda agli oratori di dare il loro nome e di essere laconici.

Bertani prende la parola per esporre l'operato della commissione,


accennando essere stati dalla commissione introdotti emendamenti che

si trovano nel progetto distribuito.


Savi legge il progetto.
Il pres. Avanti di cominciare la discussione del progetto, d la pa
rola al signor Sacchi per dare la lettura della relazione del comitato
dimissionario.

Sacchi legge la relazione, nella quale annuncia che dai 15 dicembre


fino a questo giorno 30 nuove associzioni furono fondate.

Arrivando a parlare di Mazzini e di Cattaneo, vivi applausi inter


rompono la lettura.
Domandano la parola Michele Cavalleri, Bellisomi Aurelio e altri
due dei quali non ci giungono i nomi.
Cavalleri prende la parola per proporre un attestato di pubblica ri
conoscenza al comitato centrale per l'iniziativa presa della presente as
-

semblea, e depone al banco della presidenza un ordine del giorno pel


quale l'assemblea ringrazia il comitato di provvedimento per l'opera sua
patriottica e conciliatrice.

- -

23

L'ordine del giorno approvato all'unanimit e quindi applaudito.


Crispi legge un altro ordine del giorno trasmesso dai signori Bar
goni, Regnoli, Virgilio, Curzio, Calvino, Miceli Salomone, nel quale
si propone di adottare per ora senza discussione il proposto regola
mmento.

Regnoli svolge l'ordine del giorno al quale cogli altri sottoscritto.


Per esaurire ogni parte dell'ordine del giorno generale crede non po
tersi entrare nella discussione del regolamento, che riferendosi a con

dizioni fondamentali, occuperebbe pi d'una seduta.


Sineo prende la parola mostrando la necessit di evitare gli equivoci
e crede che senza una sanatrice dichiarazione, approvando il regola
mento qual , darebbe luogo ad un equivoco coll'art.9 nel quale
fatta facolt ai deputati dell'opposizione di intervenire.
Egli si riserva di proporre che invece di deputati dell'opposizione
si dica quei deputati che aderiranno ai principi d'associazione. Il di
scorso di Sineo pi volte interrotto da applausi.
Saffi dichiara che l'espressione di opposizione democratica parla
mentare si riferisce alle condizioni di fatto dell'attuale opposizione par
lamentare. Ad evitare l'equivoco la commissione accettal'emendamento
-

Simeo senza objezioni.

Crispi mette ai voti l'ordine del giorno coll'emendamento Sineo.


Carcassi osserva che l'emendamento non venne formulato.

Lefevre propone un altro emendamento, che cio si dicesse deputati


dell'opinione democratica.
Carcassi combatte Sineo perocch crede indispensabile l'opposizione
in qualunque governo. Opposizione non significa che spinta a progre
dire,

Il rappresentante delle Societ Operaje di Milano si oppone alla


votazione dell'ordine del giorno a proposito dell'art. 17, che porta ob

bligatoria per ogni socio una contribuzione mensile di centesimi 3.


Crispi risponde ai molti che domandano la parola sui vari articoli,
invocando l'ordine della discussione.

Marcora si oppone all'ordine del giorno.


Bellisomi osserva che molti rappresentanti possono avere, come egli
ha, mandati condizionati, cio di non accettare senza discussione il re
-

golamento.

24

Dopo alcune brillanti parole di Sineo, si grida ai voti. Alcuni vor


rebbero parlare. Messo ai voti l'ordine del giorno per alzata e seduta,
viene dichiarato approvato dal banco della presidenza.
Si domanda la controprova per appello nominale.
Saffi dichiara che la commissione pronta a sostenere la discussio
ne, che anzi la crede utile.

Crispi insiste per la votazione.


Regnoli ritira il suo ordine del giorno, oggetto del contrasto, e la
discussione generale aperta.
Stampa propone un nuovo ordine del giorno, che viene respinto.
Sulla discussione generale, nessuno prendendo la parola, si apre la
discussione degli articoli.
Garibaldi prende la parola sul primo articolo. Essendo il primo ar
ticolo un programma, il programma che tutti abbiamo accettato, il
plebiscito, proporrei che tutte le associazioni avessero un nome di ca
sa, un nome unico, e che quella di Genova avesse nome di associa
zione centrale, ma non per avere sempre sede in Genova, ch noi ab
biamo un altro centro che tutti conosciamo (applausi).

Unione un bel nome, ma mi pare sia stato un tantino profanato.


Mi suonerebbe assai bene che l'associazione italiana si chiamasse As

sociazione emancipatrice italiana (applausi generali).

Brusco si oppone a che sia messo ai voti il primo articolo col sem

plice emendamento di nome proposto dal generale.


Vorrebbe che col nome si determinasse anche la fondazione di una
unica societ.

De Boni non crede si possa accettare la proposta di una societ


unica in considerazione dei vari mandati che possono avere i vari
rappresentanti.

Crispi dichiara pel generale che egli non intese mutare l'essenza del
l'articolo, solo il nome.
Messo ai voti l'art. 1, approvato.

Non essendosi esaurito l'intero ordine del giorno, l'assemblea con


vocata per il domani.
La discussione procedette calma ed ordinata; nessun inconveniente
venne a turbarla. Il generale Garibaldi all'uscire dall'assemblea fu di
nuovo salutato da applausi entusiastici, fra cui si udirono frequenti i
-

25

nomi di Roma e Venezia, ed il popolo, staccati i cavalli della sua


vettura, volle ricondurlo all'albergo delle Quattro nazioni.

Il giorno appresso il generale Garibaldi entra nella platea del teatro


Paganini alle ore 11 45, e tra le acclamazioni pi entusiastiche va a
prender posto al banco della presidenza.
La seduta aperta alle ore 12 meridiane.
L'ordine del giorno porta la elezione della rappresentanza centrale.
Asproni propone che il presidente sia eletto per acclamazione; la
proposta accettata all'unanimit dal grido: Garibaldi!
Olivieri propone di dare un attestato di affetto a Mazzini, procla
mandolo benemerito dell'associazione.

Garibali si alza e dice: Fo intiera adesione a questa proposta, e


desidero che questo attestato non gli si dia qui soltanto ma nell'Italia
intiera.

Olivieri propone che si legga una lettera di Mazzini. e subito.


Crispi (vice-presidente) lo chiama all'ordine del giorno.
Si passa all'appello nominale per la elezione della rappresentanza
centrale. Al nome di Garibaldi, l'assemblea prorompe in applausi.
Mentre si fa lo scrutinio, si passa al secondo articolo dell'ordine del
giorno: rapporto della commissione incaricata di ottenere il richiamo
dell' esule (triplice salva di applausi).

Mordini (relatore della commissione) ha laparola. Dice che la com


missione andata da Ricasoli ne ebbe ottime promesse, tra cui quella
che il decreto da sottoporsi alla firma del re sarebbe stato degno del
l'uomo cui si riferiva. Il 1 marzo poi dichiar di aver superato gli
ostacoli diplomatici ed essere disposto a sottomettere il decreto alla
sanzione del re; tuttavia esser dolente che per la sua dimissione non
gli spettava pi curarsene.
Rattazzi, nuovo presidente, promise ultimamente alla commissione
che avrebbe esaminata la quistione dal lato politico con Ricasoli, dal
legale col ministro di grazia e giustizia.
Il relatore, proseguendo nel suo ragionare ed elevandosi alla specu
lazione dei principi per cui Mazzini ha operato e patito, riscuote ap

plausi frequenti. Conchiude che la commissione dolente di non es


ser riuscita nell'intento, e chiede che l'assemblea emancipatrice italiana

persista con tenace volont nel proposito, e si rivolga, non al re, non

26

al ministero, ma al potere legislativo, che solo pu venire ad un atto


degno di Giuseppe Mazzini.
Floriani pronunzia un lungo discorso in lode di Mazzini, insistendo

sul fatto di perturbata morale e di disordine logico in coloro che av


versano la sua venuta in patria. Dice che Mazzini strapp 22 milioni
d'Italiani al'a tirannia austro-borbonico-duchista. Si dichiara gratissimo
alla commissione.

Montanelli, vice-presidente, lo ammonisce a restringersi per ragion


di tempo. L'oratore protesta che parlando di Mazzini debba essere
consentito il parlare anche per ventiquattr'ore.
Campanella prende la parola per combattere le conclusioni della
commissione. Non parla per Mazzini, conoscenoo quell'anima fiera e
sdegnosa che disprezza il beneplacito ministeriale; ma per l'Italia che
in Mazzini offesa. Si meraviglia che quell'anima piccina e da legu
lejo di Urbano Rattazzi abbia fatto d'una quistione s grande, una
quistione di codice di procedura. I ministri vogliono dunque condurc
a portar la quistione in piazza? lo faremo, s, ma prima occorre dar
un'ultima lezione a questi storditi ministri. lo so che quell'anima ge
nerosa del generale Garibaldi ha intenzione di chiedere egli stesso il
richiamo di Mazzini; vedremo se vi sar un ministro tanto insolente

da negare un tal favore a Garibaldi che ha aggiunto 10 milioni d'uo

mini al regno d'Italia, da respingere il richiamo di Mazzini, senza di


cui Vittorio Emanuele non sarebbe re d'Ita lia.

Inutile il voto parlamentare. Se Garibaldi non riesce, faccian tutt.


sacramento di portar la quistione sulla piazza (applausi frenetici).
Garibaldi (il silenzio si ristabilisce). A quelli che non avessero bene

inteso, dichiaro che m'incarico volentieri della missione.


Crispi spera molto dell'opera di Garibaldi, dell'uomo di cento bat
taglie. dolente di alcune parole di Campanella che potrebbero pa
rere offesa alla commissione.

Il richiamo di Mazzini implica due quistioni, una politica e l'altra


legale. L'oratore entra qui a provare come lo Statuto non permetta
neppure al re di abolire le sentenze contumaciali. Vuole legalit (dene
gazioni da ogni parte e vociferazioni diverse).

Crispi continua imperterrito. Se dovessimo fare appello ai nostri


sentimenti, nessuno si vedrebbe contrario al richiamo di Mazzini. Fa

27

l'elogio di Mazzini e ricominciano i segni di approvazione; vien quindi


alla quistione costituzionale e difende la commissione che,composta di
deputati, non poteva far diversamente da ci che ha fatto.
Cumpunella spiega le sue parole nel senso di aver voluto biasimare

soltanto il ministro. Passa quindi a maravigliarsi che Crispi non sappia


trovare un mezzo legale che giustifichi il richiamo.
Crispi ribatte, e conchiude perch si aspetti tutto dall'opera di Ga
ribaldi.

Si apre la discussione sulla proposta di incaricar Garibaldi.


Lagorara dice che Mazzini non deve aver grazia; lui che dee
graziar gli altri.

Si grida alla chiusura, che viene accettata con l'approvazione della


proposta alla quasi unanimit (interruzione di parecchi minuti).

Haug (generale tedesco) dice di aver indirizzato alla presidenza una


lettera delle signore dello Holstein che mandano una spada in dono a

Garibaldi. Legge un brano di quella lettera, che bellissimo di sen


plicit, e che applaudito.
Garibaldi. Che io sia stato fortunatissimo uomo mi provato da
molte circostanze, ma specialmente da questa lettera di signore germa
niche. Una parola di gratitudine ad esse.
Ora lasciatemi dire ura parola sul generale Haug. Eglifu compagno
mio nella gran giornata del 39 aprile a Roma; ed un vero campione
della libert. Ha combattuto in Germania e viene ora per brandire
-

un'arma qualunque in servizio d'ltalia (applausi lunghissimi).

Haug presenta la spada. una spada romana; da un lato porta


il motto defende palrium, dall'altro protege justum. In capo porta il
simbolo del sacrificio, la croce; non la croce dei papi, ma quella di
Cristo. In hoc signo vinces. L'oratore grida contro il papato e con
tro la ostinazione di un insano delirante a cui non rimase altro uso di

favella che per dire: non possumus. L'oratore segue su questo tono, e
dice che non all'augure di Roma dobbiam muovere guerra, sibbene
all'imperatore di casa d'Absburgo. Garibaldi entrer un giorno, non

in testa della sua armata, ma dei popoli tutti, a Vienna, ove si pro
clamer l'alleanza di Germania e d'Italia.

Montanelli propone un saluto alla democrazia germanica, un saluto


che distingua l'austriaco ladro dal tedesco libero pensatore. Da queste

28

citt donde Balilla lanciava il sasso fatale contro l'austriaco, da questa


citt deve partire il saluto che stringa i popoli nel patto della demo
crazia universale.

Besana propone un indirizzo in questo senso, che viene approvato


Si passa all'art. 7 dell'ordine del giorno: Lettura e discussione della
petizione pel voto universale.
Savi legge questa petizione.
Montanelli dice che pei membri dell'associazione emancipatrice non
pi quistione di suffragio universale che implicato nella sua vita
medesima; n pu essere altrimenti quistione per gl'Italiani, l'unit dei
quali fu fondata dal plebiscito. Domanda che l'associazione si ponga
-

sentinella avanzata a propugnare il suffragio.

Guerrazzi pronuncia a difesa del suffragio universale un lungo e


magnifico discorso. La sua ornata parola si ascolta con molta atten
zione. Dice che il consenso del popolo fu sempre mai l'origine d'ogni
potere, anco dei dispotici. Una prova della possanza di simile consenso
si trova in questo, che la monarchia di Savoja era in relazione d'ami

cizia con tutti i principi esautorati d'Italia, eppure dovette prendere il


territorio da essi governato, perch il popolo ve la forz e lo prese
per lei.

Nega che non s'abbia da andar subito a Roma. Roma vuole e i


piviale del papa: se opponga questi, che gli venne donato da due im
peratori, rispondasi: ti donarono cosa che tua non era.
Venendo a parlare dei vari plebisciti di Toscana, d'Emilia e di Na
poli, nota l'abnegazione di tutte queste provincie per formare un solo
paese.

Domanda tre cose per formar buoni deputati, probit, pro


bit, probit. I buoni deputati non possono venire che dal suffra
gio universale.
Domanda in qual modo, con quali norme s'abbia ad ottenere il suf
fragio.

Grillenzoni d'ce che lo Statuto non fu fatto da una costituente, ma


largito da un principe che pu farvi aggiunte (denegazioni).
Si domandi al re l'aggiunta del suffragio universale.

Crispi riduce la quistione nei termini della proposta petizione. Ri

spondendo poi a Grillenzoni, dice che per 17 milioni d'Italiani lo Sta

--------------------

29

tuto non fu largizione di principe ma conquista di popolo, ma patto


d'unione liberamente accettato. Per lo Statuto intangibile. Le rifor
me non possono farsi che dai tre poteri riuniti, Camera, Senato ed au
torit regia. Esorta quindi l'assemblea a tenersi nei limiti della discus
SlOne.

Sono le ore 3, la seduta continua.

Dopo Crispi, il cui discorso respira un'aura della pi stretta costitu


zionalit, sorgono Sineo ed Asproni a parlare in favore del suffragio
universale.

da notarsi che Montanelli nel suo discorso su questo argomento


avea gi ottenuta la universale approvazione stabilendo l'inutilit di
provare teoreticamente la bont del suffragio universale. Il discorso di
Asproni non fa che provare ci che era stato provato, ed offre appi
glio alle proteste di Cadolini. Ma l'oratore non si sgomenta, e segue
a ragionare sulla utilit del suffragio universale, conchiudendo... con la

dimanda di uno stipendio pei deputati al Parlamento nazionale.


Montanelli (vice-presidente) riconosce esser tutti d'accordo nel dise
gno di riformare la legge elettorale. Ora, chiede egli, si ha da volgere
una petizione al re perch faccia nuove eleziozi col suffragio univer
sale, oppure alla Camera? Io propongo di lasciare il sistema delle pe
tizioni; noi dobbiamo in un modo o in un altro affermare i principi

che l'opinione pubblica trasforma in legge. Propone il seguente ordine


del giorno:

L'assemblea dichiara che i rappresentanti del popolo debbano es


sere eletti a suffragio universale.
Gettiamo quest'ordine del giorno nella pubblica opinione; essa far
il resto.

Astengo propone di fare anche la petizione, perch l'uno non gua


sta l'altra, e bisogna mettere il governo nella necessit di dire la sua

opinione, e di averne biasimo, se contraria al suffragio.


Crispi (vice-presidente) mette ai voti la proposta pregiudiziale Mon
tanelli, notando che se sar approvata, rimarr naturalmente esclusa
la proposta Astengo. La proposta pregiudiziale viene approvata.

In questo momento sorge Foldi a protestare contro. Crispi, perch


non ha spiegato il modo di quella votazione.

Crispi se ne appella al banco presidenziale e a tutti gli astanti, i

50

quali dichiarano di avere udite le sue spiegazioni nel senso da noi


esposto.

Foldi mantiene la sua proposta e vuol tornare alla votazione.

Crispi gli toglie la parola; e qui nasce una controversia di s e di


no, a cui si uniscono alcuni rappresentanti con mille vociferazioni di
verse, armonizzate dal suono continuo del campanello.
L'incidente minaccia di assumere un carattere di personalit.
Garibaldi si alza in piedi; l'assemblea impone silenzio.
Garibaldi. Dinanzi alla maest dell'assemblea ogni quistione di per

sone debbe assolutamente sparire. (Queste parole son coperte di ap


plausi e l'ordine prontamente ristabilito.)
Essendo l'articolo 8 dell'ordine del giorno reso inutile dalla propo
sta fatta dal deputato Cairoli in Parlamento, intorno al diritto di cit
tadinanza della emigrazione veneta e romana, si passa all'art. 9.
Lettura delle proposte pervenute al comitato centrale, ecc.
Pianciani svolge con calde parole una sua mozionetendente a scio
gliere i comitati di provvedimento, perch non surti dal voto popola
re, e a fonderli nelle altre associazioni.

Besana si oppone perch gli avvenimenti incalzano, e l'opera belli


gera dei comitati pu tornare utilissima.
Pianciani ammette la gravit della situazione, ma vede che lo scopo
dei comitati gi compreso in quello di altre societ, per torna
inutile.

Besana, Devalasco e Legnazzi presentano una mozione tendente alla


rielezione del comitato centrale di provvedimento. La lettura di que
sta mozione accompagnata ed interrotta da un mormorio generale.
Garibaldi vuole che l'assemblea pronunzi se debbasi continuar la
lettura.

Mordini crede che ogni mozione debba esser letta ed ascoltata,


salvo respingerla poi. Il suo consiglio accettato e la lettura pro
segue.

Garibaldi. Credo che sia inutile persuadere agli Italiani quanta sia
la necessit di concordia. Pi tenderemo ad essa, pi assicureremo

l'unit della patria. Io sono per l'unit di denominazione, poich per


uomini vulcanici come noi siamo in Italia, anche le parole hanno la loro

importanza. Unit di parole ed unit di propositi; di tal guisa soltanto


vinceremo i nostri nemici (applausi generali).

3 ,
Un rappresentante, di cui non ci dato intendere il nome, sorge a
parlare di concordia e di ajuto che l'associazione dovr dare alla edu
cazione delle classi artigiane.

Garibaldi, commosso da questo appello , si alza in piedi e dice con


accento inspirato: Io sono lieto d'aver trovato chi interpreti i miei

sentimenti. S, o cittadini, lo scopo dell'associazione emancipatrice


debbe rivolgersi con cura particolare all'operajo, all'uomo della gleba.
Costoro dobbiamo educare all'intelletto della libert. Solo i ricchi che

hanno centomila lire di reddito non hanno bisogno d'indipendenza e


di libert. Ma queste due debbono essere appunto le ricchezze del
povero.

-(Questo breve discorso interrotto ad ogni frase da applausi pro


lungati).

I membri del comitato centrale scaduto, propongono un rendimento


di grazie all'impresario Sanguinetti che accord il locale, gli arre
di, ecc.

Savi (del comitato) svolge la proposta, accusando di codarda paura


la Giunta municipale che avea ricusato l'uso del ridotto del teatro
Carlo Felice. Fa l'elogio del patriottismo di Sanguinetti e conchiude
col voto che la nuova adunanza generale dell'associazione possa te
nersi in Campidoglio.
La proposta accettata all'unanimit.
Altri propone un saluto a Genova, patria di Mazzini, ove si te

nuta questa adunanza. La proposta accettata con plauso unanime, al


grido di Viva Genova, viva la citt italiana.

Garibaldi. Essendo l'ora tarda, annunzia la chiusura di questa se


duta. Colgo questa occasione per congedarmi da voi, ringraziandovi in
nome d'Italia per l'opera che avete prestato in questi due giorni. La
condotta vostra mi prova che siete veri discendenti di quei valorosi
che quando fermamente vollero, conquistarono il mondo alla civilt.
Tenetevi uniti, amatevi. Addio.

32

IV.

Garibaldi muoveva da Genova e venuto a Torino confe

riva lungamente con Rattazzi.


Agli amici suoi che lo ammonivano a diffidare di quel
l'uomo fatale e fallace, il generale sorridendo rispondeva:
Date il vostro voto al ministero. Depretis veglier!
E i voti della sinistra parlamentare salvarono da una ce
lerissima e certa fine il malnato all'orto dell' avvocato Rat
tazzi.

Depretis veglier, avea detto l'eroe.


Come diffidare di una sentinella che avea conmbattuto lun

ghi anni nelle file della democrazia? come diffidare del pro
dittatore di Sicilia?
Oh! il disinganno doveva essere ben amaro!

Depretis tradiva il suo passato per un portafogli , egli


smentiva tutta la sua vita di opposizione, rinnegava s me
desino.
Intanto cominciava la via trionfale che doveva condurre

il Messia nuovo al nuovo Golgota. L'Osanna precedeva al


solito il crucifige.
Inebriamoci un po' alla memoria di quei giorni di
trionfo: troppo presto ci toccher di piangere, e di qual
pianto!
Udiamo come la nostra Milano accogliesse il liberatore.
-

I giornali, e il municipio avean avvertito il pubblico che il generale


Garibaldi non sarebbe arrivato che l'indomani, ingannati forse dallo
stesso generale che avrebbe voluto togliersi alle ovazioni d'un po
polo che idolatra per lui.

Ma verso le sei ore del giorno 21 marzo la voce si sparse che il ge


nerale sarebbe giunto verso la mezzanotte coll'ultimo convoglio da

--------

33

Tonito, e, in un baleno, tutta Milano fu aparte della lieta notizia. La


pioggia persisteva, ma gi verso le dieci ore di sera la stazione, i

bastioni, il corso di Porta Comasina s'andavano affollando di gente, le


case s'illuminavano lungo tutta la via fino all'albergo della Ville dove

stava aspettando sotto la pioggia altra folla di gente e il corpo di


musica della guardia nazionale.

Alle undici precise arrivava il convoglio col generale Garibaldi. Ri


nunziamo a descrivere l'entusiasmo e la ressa della folla: anche de' pi
robusti se ne ritirarono spaventati di rimanere soffocati. Appena di
sceso, Garibaldi, visto quel mare di gente come agitato dalla tempesta,
la prima cosa espresse ilsuo timore che si volesse ripetere la scena
di Genova. Mi si farebbe ungran torto, diss'egli, se misi staccassero
i cavalli. E la sua previsione non era senza fondamento: alla car
rozza che dovea riceverlo si trovarono tagliate le cinghie.
A potere uscire appena dalla stazione ci volle un buon quarto d'ora:
intanto altre persone del suo seguito poterono precederlo, e per ben
due volte la popolazione tratta in inganno le accolse e festeggi di en
tusiastici applausi e la folla stipata dinanzi all'albergo della Ville chie
deva a grandi grida che il generale comparisse al balcone, e pi volte
la banda intuonava gli inni nazionali, mentre il generale era ancora in

via. Chi non fu testimonio dello spettacolo difficilmente pu farsene


un'idea, n noi pure possiamo immaginare a che punto sarebbe cre
sciuto il delirio se il tempo e l'ora avessero favorito quell'entrata, e
centuplicato il numero degli spettatori. Pi di un'ora stette ilgenerale
a recarsi dalla stazione all'albergo: lo precedevano fiaccole, trasparenti,
bandiere, banda musicale; e un muro vivente d'uomini circondava la

carrozza che solo a gran fatica e lentamente poteva procedere innanzi.


Era un sol grido, una sola acclamazione che di quando in quando
l'inno di Garibaldi veniva a mutare in uno scoppio indescrivibile d'en
tusiasmo.

A mezzanotte il generale entrava finalmente nell'albergo, discendeva


in mezzo alla folla che avea invaso la corte e si faceva schiacciare per
toccar coila mano un lembo almeno delle sue vesti, e chiamato da

nuovi e ancor pi forti applausi, pochi minuti dopo appariva al bal


cone nella sua magica camicia rossa.

Egli si appoggi col braccio sinistro al parapetto,si cav colla de


MISTRALI. Da Caprera ad Aspromonte,ec.
3

54

stra il suo berretto catalano e guardando placidamente alla folla che


lo acclamava fece cenno ripetutamente colla mano di far silenzio.
Vi fu un momnto in cui si sarebbe sentito volar una, mosca.

E allora si ud la voce limpida, metallica, sonora, affascinante del


generale che alle sue pause si vedeva come esprimesse i pensieri a
mano a mano ch'ei li attingeva improvvisamente alla sua mente o al
SUIO CUOIT62,

Vi saluto, popolo delle cinque giornate.


Io mi felicito di trovarmi in questa citt, ov'io conto molti com
pagni d'armi.
Popolo di Milano. Salute!
Or fa alcuni anni voi imp caste all'Italia... come si sbarazza della
canaglia.

Queste parole c'e abbiamo sottolineate le disse rapidamente dopo

aver cercato invano per un momento altra espressione. evidente che


all'idea sola degli Austriaci e d'ogni nemico dell'Italia, l'anima di Ga

ribaldi divampa, e pi non gli consente altra scelta di termini che


quella che gli suggerisce il suo sdegno. l'impressione per cos dire
fotografica che ne abbiamo riportata.
Milanesi, riprese Garibaldi in mezzo a continue interruzioni, io
mi felicito con voi: oggi mi sembrate un popolo capace di fare non
solo cinque giornate. ma venticinque.
E qui udendo le grida di Roma e Venezia che s'alzavano da tutte
le parti.
Si, Roma e Venezia, prosegu egli, agitando sempre ilsuo berretto
e con voce commossa: s Roma e Venezia. Chi crede che noi le ab

biamo dimenticate... s'inganna assai.

Milanesi! voi non sarete gli ultimi (una voce No, i primi) anzi
voi sarete l'avanguardia per liberare le sorelle schiave.
Le interruzioni, le grida che toglievano pi volte di afferrar il senso
delle parole di Garibaldi non cessavano:
Un'ultima parola, continu egli, perchfa freddo, piove e non ho
-

VOC6,,.

Oggi sono fra voi per organizzare il tiro alla carabina.


Ho nella mia missione di propagare il tiro. esercitatevi, Milane
si, alla carabina... bench sappiate maneggiar bene la bajonetta, eh?

35

impossibile riprodurre l'accento, il significato d'intelligenza ch'ei


diede a queste parole. Gli Austriaci l'hanno provato pi volte,
voleva egli dire.

Esercizio e tiro... (continu egli). Milanesi, io vi raccomando que


st'istituzione perch resta ancora molto sudiciume da spazzare. Noi
sappiamo quel che dobbiamo fare ancora. Addio.
E agitato nuovamente il berretto, Garibaldi si ritir fra strepitosi
applausi d'una folla che non volea dipartirsi e si lusingava di veder
anche una volta quel volto, e udir quella voce che s'imprimeva nel
cuore. A ogni parola che gli usciva di bocca, era mirabile il vedere

come ognuno se la ripeteva l'un all'altro e malediceva agli interrut

tori. Ogni parola che non si potesse udire rincresceva pi d'una mo


neta d'oro che andasse perduta. Il rumore, la confusione dei gridi che
si alzavano a un tempo stesso dalla folla ci tolse di distinguerli; qual
cuno grid: Garibaldi Cristo, i pi erano Roma e Venezia.

Il d successivo fin dalle prime ore del mattino una folla di popolo
sta dinanzi all'albergo della Ville, mandando le grida di viva Garibaldi
e aspettando il momento che il generale uscir per condursi a fregiare

di sua mano i volontari dell'esercito meridionale colle medaglie loro


conferite dal re.

La folla cresce a ogni momento, e il generale ai ripetuti scoppi di


applausi costretto a mostrarsi. Egli saluta col berretto, e dice alcune
parole che vengono coperte dal fragore delle acclamazioni. Egli si ri
tira tosto, ma il popolo non mai sazio di vederlo non si diparte, n
cessa gli applausi.

Il generale appare di nuovo e invita il popolo a ritirarsi colle parole


grazie, grazie e ci vedremo un altro momento.
Le botteghe vanno chiudendosi come in giorno di festa,

quasi un'ora, e la folla che continuamente si rinnova davanti al


l'albergo non cessa di alzare assordanti acclamazioni con impeto s
prepotente che il generale nuovamente costretto a comparire. Egli
saluta e si ritira immediatamente. La folla si disperde, ma per rifarsi
ancora pi compatta e rumorosa. Un'ultima volta compare Garibaldi,
ma il suo volto manifesta il poco gusto ch'ei trova a queste ovazioni.

Accenna colla mano di voler parlare e si capisce ch'ei sta per ri


volgere al pubblico una di quelle maschie parole che caratterizzano

---

--- ---

56

l'uomo d'azione, e che cadono assai acconcie a ritemprare un troppo


facile entusiasmo.

Vi sono riconoscente, diss'egli a voce bassa e con grande ritenu


tezza, ma vi prego di lasciarmi in riposo perch ho da fare. D'altron
de il popolo di Milano deve essere non un popolo di dimostrazioni
ma di fatti.

A un'ora i due battaglioni di guardia nazionale, comandati per ac


crescere decoro alla festa movono verso il bastione di porta Venezia
insieme all'onde di popolo che come un mare ricopre tutte le vie.
I due battaglioni passano sotto le finestre del generale Garibaldi che
compare immediatamente sul balcone. L'entusiasmo indescrivibile,
quando Garibaldi saluta le bandiere cavandosi il berretto e posandolo
sul balcone.

Alla guardia nazionale tengon dietro le corporazioni degli operaj


cofle loro bandiere e una banda musicale che suona l'inno di Gari
baldi.

Abbreviamo per poter dare al lettore, per quanto ce lo permettano


i pochi minuti che ci rimangono, una idea del mirabile e imponente
spettacolo che presentavano igiardini pubblici ove da pi ore, e da
tante direzioni seguitavano ad affluire fiumi di gente. Fin dove l'occhio

poteva arrivare sui bastioni, sul corso, nei giardini era una massa fit
tissima di popolazione ove in ispecie il bel sesso era splendidamente
rappresentato.

Tutti gli alberi erano popolati d'una nuova specie di frutti e come
grappoli eranvi sopra gruppi di ragazzi che faceano caratteristica cor
nice a quel quadro incantevole. I due battaglioni di guardia nazionale
erano schierati in quadrato , la cui fronte era formata dalla scalinata
che mette al bastione. Su quel ripiano stavano un tavolo e sedie; die

tro le bandiere delle varie corporazioni, le bande musicali, lo stato


maggiore della guardia nazionale, e i volontari che dalle mani stesse

di Garibaldi dovean ricevere le medaglie del valor militare.


Alle due precise il fragor degli applausi, una ressa indescrivibile,
annunziarono l'avvicinarsi del generale.
E Garibaldi fra i concenti delle bande che intuonarono il suo inno

comparve infatti discendendo dal bastione sul ripiano della scalinata


accompagnato dal sindaco e da molte persone del suo seguito.

37
Fu un momento di fanatismo, di delirio: quel mare di teste si agi
tava per poterlo vedere come un campo di spiche. La gioja che ani
mava tutti i volti, le esclamazioni che la candida e venerabile fisono

mia dell'eroe di Caprera strappava a tutti, la imponente figura del ge


nerale che colla mano destra inarcata sul fianco e la sinistra appoggiato
sul tavolo ove stavano le decorazioni si toccava il berretto e accennava

alsole,quasi chiedendo gentilmente scusa alla assembleapopolare di non


potersi scoprire e corrispondere alla gentilezza de'Milanesi che si to
glievano il cappello, son cose impossibili a rendere adequatamente in
un cenno di fuga come il nostro.
Primo il sindaco aperse la cerimonia con un acconcio discorso, che
-

fu pi volte interroto dagli applausi, e poscia prese la parola Garibaldi.


Il silenzio si fece al solito per incantesimo. La prima ricompensa,
dice egli, la soddisfazione della propria coscienza.
Un tuono d'applausi venne dietro a queste parole che involgevano
un di quei vigorosi e santi concetti con cui agevolmente si pu dipin
gere a larghi tratti il generale Garibaldi.
Questo segno d'onore, prosegu il generale, non deve dunqne ser
vire n a bassa gelosia n a vanagloria, ma bens di sprone a voi e
agli altri.

Non potevasi render meglio il significato in quella cerimonia a cui


lamentiamo profondamente che non si trovassero presenti anche le
truppe di presidio.
Si procedette quindi immediatamente alla distribuzione delle meda
glie. Un ufficiale di stato maggiore leggeva i nomi, e a mano a mano
comparivano i volontari a ricevere dalle mani delgenerale le medaglie
e i brevetti. A tutti il generale rivolgeva affettuose parole: il popolo
commosso applaudiva ora al mutilato, ora alla guardia nazionale che
gi avea sul petto varie medaglie, ora al giovanetto imberbe, ora al
rozzo popolano, ora all'elegante damerino. Quasi un terzo de'decorati
furono guardie nazionali. Molti nel ricevere le medaglie cercavano di
baciar la mano al generale,ma egli lievemente sorridendo se nescher
miva abilmente, e a molti stringeva la mano. Quanti in quell'istante
lamentarono al certo di non aver esposta cento volte la propria vita
per esser a parte di tanto onore!
Alle due e mezzo la cerimonia era finita e Garibaldi pigliava com
miato salutando e agitando il suo berretto.

38

Tornato all'albergo assisteva dal balcone allo sfilar della guardia na


zionale e delle corporazioni degli operaj. E prima di ritirarsi e sot
trarsi agli avidi sguardi della folla si volse a tutti gli angoli del balco
ne, a tutti volgendo un cordiale saluto.
Dalle tre in su il popolo concesse un po' di riposo al generale; ma
verso sera, onde accontentare una nuova folla digente, ei comparve sul
balcone un'altra volta, compatendo al desiderio di chi forse non l'avea
ancor visto. Egli avea del resto dato ordine che si schiudessero tutte le

porte del suo appartamento, e che a tutti senza distinzione che aves
sero bisogno di parlargli, fossero anche scalzi, restasse concesso l'adito
a lui. Le sue sale erano vaghe e profumate di mazzi e corone di fiori
inviatigli in dono.
Al pranzo a cui Garibaldi raccolse molti suoi compagni d'armi e
uffiziali dell'esercito si alzarono brindisi a Roma e Venezia, all'esercito

e a Vittorio Emanuele. Durante la giornata anche il prefetto Pasolini


erasi condotto a visitare il generale, con cui si trattenne in lungo col
loquio.
La sera, mentre le vie andavano illuminandosi, la popolazione traeva
in massa a Porta Vittoria ove il Municipio avea disposto una ricca
macchina di fuochi d'artificj figuranti un altissimo tempio colla scritta:
marzo 1848. Tutto il corso di Porta Vittoria, cominciando dalla colon

na, ove sono iscritti i nomi dei caduti di marzo, e la quale per inge
gnoso pensiero dell'illuminatore mostravasi tutta ornata a vessilli e
pennoncelli di fiamme a tre colori, e, anzi che parere artifizio di luce,
rendeva illusione di ben disposti trofei di vere bandiere tricolori a
luce di giorno; tutto quel corso era illuminato da doppia fila di alberi
e festoni a globi di fuoco. Il tempio allegorico ergevasi in fondo, alla
barriera, e veniva incendiato alle 8 ore, un po' prima che non fosse
nel disegno del pirotecnico. Ma il salnitro delle stelle cadenti de'razzi
appicc fuoco ad alcune miccie e gli ultimi furono i primi e i primi
gli ultimi, e il proverbiale bouquet de' francesi inaugur in cambio
di chiuderlo lo spettacolo, improvvisando fin da bel principio sotto al
firmamento, un altro firmamento di stelle, e di stelle colorate, solita
ma ultima sorpresa d'ogni fuoco artificiale.
Ci che dobbiamo sopratutto notare in questa memorabile giornata
l'esemplare e edificante contegno del popolo milanese, l'ordine, di

39

cui volle mostrarsi modello agli occhi del generale Garibaldi e degli
stranieri che forse aspettavano che in tale occasione la popolazionesa
rebbe trasmodata a eccessi di partiti. E notiamo pure il tatto politico
che govern ed i discorsi del generale Garibaldi e le grida del po
polo.
La giornata del resto non fin colla sera, ma si protrasse fino a tar
dissima ora di notte.

Il generale Garibaldi recavasi verso le 8 e mezzo al teatro della


Scala in un palco di seconda fila e vi si tratteneva fino alle undici.
Non diremo degli applausi che ciascuno si immagina: ma piuttosto non
taceremo come anche alla scena della Venezia e al ballabile irresisti

bile de' bersaglieri, a cui il re Vittorio Emanuele batt con trasporto

cordiale le mani, rimanesse affatto impassibile. Appena se al lanciarsi


dell'agile battaglione sulla scena si diffuse sul suo volto una lieve tinta
di gioja. La stessa impassibilit conserv egli per tutto il tempo che
rimase in teatro, pur interessandosi allo spettacolo a cui pareva ripo
sarsi dall'incessante assedio delle dimostrazioni popolari.
Ricondottosi all'albergo, ivi lo attendevano nuove sorprese. L'or
chestra della Scala venne a piantarsi sulla piazzetta di S. Carlo e a
vicenda con una compagnia corale che postossi sotto il balcone del ge
nerale eseguirono varie suonate e cantate di circostanza in onore di
Garibaldi; e del nuovo inno eseguito dall'orchestra della Scala con as
sieme dei cori di quel teatro si volle la replica e meritamente tanto
per la mirabile esecuzione quanto pel valore e la squisitezza della
posizione musicale.
-

La sinfonia del Guglielmo Tell chiudeva la serenata, e alle accla

mazioni del pubblico comparve il generale Medici a rispondere con


queste parole: Il generale Garibaldi porta in cuore il suo bravo po
polo milanese, ma egli dolente di non poter corrispondere al suo
desiderio, perch trovasi alquanto indisposto.
Anche la giornata appresso fu tutta una continua ed entusiastica ova
zione pel generale Garibaldi. Fin dalla mattina il popolo si affoll di
nanzi all'albergo della Ville e non ci fu invito n esortazione che va
lesse a farlo sgombrare. Era una folla continuamente rinascente.
Ed abbiamo quindi dovuto convincerci (scrivono le Gazzette) che
tanto entusiasmo non punto una vana dimostrazione, ma lasoddisfa

40

zione di un prepotente bisogno del cuore,un sentimento universale che


ha specialmente le sue radici nella bont, nella magnanimit, nella pu
rezza e sublimit d'animo delgenerale Garibaldi piuttosto che nelle sue
virt guerresche. Capitani forse pi grandi di lui non arriveranno al
certo mai all'altezza della sua riputazione e non eserciteranno mai al
trettanto prestigio.
Epper non dubitiamo che ove egli comparisse in terra straniera in

mezzo a popoli oppressi ecciterebbe il medesimo fanatismo che in Ita


lia. Questo fatto dovrebbe da solo far tremare i nostri nemici.

Alla mattina il generale ricevette una deputazione dell'emigrazione


veneta,trentina e istriana e indirizz loro le seguenti parole:
Ci che importa sopratutto l'armamento. Non ch'io respinga
le alleanze in generale, e in particolare quella della Francia, no; ma
bisogna fare in modo che le alleanze non divengano dipendenze. Sa

rebbe un grave torto quello di non mostrare sufficientemente fiducie


nelle forze e nello slancio della nazione. Io lo conosco il popolo ita
liano, e so quanto sia esso capace. Se si facesse pel suo armamento il
terzo di quanto si potrebbe fare, l'Italia opererebbe miracoli. Tutto
sta dunque nel disciplinare le forze. Fui accusato di non amare la di
sciplina ma a torto. I miei commilitoni sanno com'io la faccio osser
vare; io ho sempre pensato che la disciplina forza, ma alle regole
disciplinari ho cercato d'aggiungere l'inspirazione del dovere.
Parl poi dei Tiri, e soggiunse:
Il giorno in cui ogni italiano sapr maneggiare una carabina, non
avremo forse pi bisogno di guerra per rivendicare tutto ci che no
stro, anzi saremo al caso di intimare ai nemici di restituire anche ci

che hanno tolto agli altri.


A un'ora il generale, sempre in mezzo a entusiastici applausi e fra
una siepe di gente che affollava tutte le vie ch'ei dovea percorrere si
condusse in carrozza scoperta al palazzo del Marino, a discutere lo
statuto della societ del tiro provinciale. Ne fu eletto presidente il si
gnor Francesco Simonetta.

Alle tre ore il generale conducevasi dal palazzo del Marino al ber
saglio della guardia nazionale in piazza d'armi,ove fin da mezzogiorno
erasi radunata un'immensa quantit di popolo. Il generale fece due
tiri, uno de'quali stupendo, e rimasto col una mezz'ora, verso le

41

quattro facea ritorno all'albergo della Ville. La folla che, per l'ora del
corso, era cresciuta a proporzioni straordinarie fe'udire cos strepitose

acclamazioni che il generale si alz in piedi e ringrazi tutti affettuosa


mente.

Durante la sera si dov pi volte invitar la folla a disperdersi, ma


non era che una tregua di pochi istanti. Alle otto il generale andava ad
assistere alla rappresentazione del teatro Filo-drammatico ove un bacile
raccoglieva le offerte dei generosi per gli abitanti della Torre del Greco.
Garibaldi si conduceva anche sul palco scenico ove da parte di tutti
gli allievi era l'oggetto d'una ancor pi commovente ovazione.
La sala e per il numero e per le toilettes delle signore presentava
un aspetto incantevole, e quando il generale comparve fu un tale scop

pio d'applausi che l'inno Garibaldi suonato da un'orchestra di 40 parti


non s'udiva menomamente. E' pareva che il teatro crollasse. Dopo l'inno
fu declamato da un allievo una canzone popolare di carattere napole

tano; e quando si fu alla bellissima strofa:


Lo Garibaldi nostro popolano
E porta il cuor sul palmo della mano;
Ha l'anima gagliarda e senza fiele

amico di Vittorio Emanuele,


fu un vero fanatismo, un delirio che sfida ogni descrizione. Era il sen

timento politico d gli Italiani interpretato ed espresso in tutta la sua

verit, era la soddisfazione del voto pi caro d'ogni patriota, e Gari


ribaldi ne rimase assai commosso.

Ritornato all'albergo della Ville soddisfattissimo, la notte vi si ripe


teva una serenata per parte d'una compagnia corale, e

solo a mezza

notte il rumore acquietossi: quiete,tuttavia interrotta anche la notte


da brigate di gente che si succedevano acclamando a Garibaldi,nel pas
sar sotto il suo balcone.

Al mattino il generale riceveva una deputazione della Societ ti


pografica che gli indirizzava le seguenti parole:
Generale, la societ tipografica milanese, da noi rappresentata, ci
affid l'incarico di porgervi i pi vivi ringraziamenti per le nobili pa
role colle quali rispondeste al suo indirizzo, accettando in pari tempo
di farne parte come socio onorario.

42

Gli artisti tipografi, o generale, non ultimi tra ifigli del lavoro, vi
rinnovano la promessa di trovarsi nei giorni dell'ultima riscossa, come
voi asseveraste di tener conto, presenti all'appello.

Il generale rispose:
Vi riograzio. Voi siete la parte di operaj pi istruita; quindi in
combe a voi istruire gli altri, e son certo che lo farete, perch conosco
-

il vostro patriottismo; ci ve lo dico a nome del paese. Cos operando,

un poco l'uno, un poco l'altro spingeremo innanzi la barca,


Salute, o fratelli.
V.

A questi giorni furono pubblicati i due proclami seguenti


che Garibaldi dirigeva al sacerdozio italiano. Sono due stu
pende pagine del libro glorioso che la vita dell'eroe, vita

per tanti punti sonigliante a quella del Redentore che dal


suo Golgota bandiva al mondo una legge di amore e di fra
tellanza.

Oh! quando in mezzo alla folla del popolo milanese si udi


vano le grida Garibaldi Cristo! quelle voci traevano
il concetto loro da una sfera elevatissima di idee pi che da
una plebea amplificazione. Cristo l'umanit nel bene. Ga
ribaldi una delle pi splendide manifestazioni della divi
nit umana.
Ai sacerdoti italiani !

Incombe ai veri sacerdoti di Cristo una missione sublime. Essi,


senza falsare la loro coscienza d'Italiani non ponno rimanere complici
di quanto si opera in Roma a detrimento della causa santa del nostro
paese. Che si alzino dunque coraggiosi suila breccia dei diritti della
umana razza. Che scendano nel fondo del loro cuore emanazione

di Dio e lo consultino sui loro doveri e che gettino finalmente


tra le moltitudini la sacra parea della religione del Vero. Essi an
dranno superbi domani di aver fatto il bene e la patria riconoscente
incider i loro nomi tra gli eroici figli suoi che la redensero.
Torino, 5 dicembre 1861.
G. GARuALDI.

43
Ai sacerdoti italiani!

Io non parler di colpe. Quando mi dirigo alle moltitudini cito


loro le parole del Vangelo: Chi non ha colpe getti la prima pietra.
Quindi concordia anche con voi se volete. Ma operate il beue.

Sinora voi operaste il male. Voi avete fatto di Roma un covile


di fiere anelanti la distruzione d'Italia. Io sono convinto purtroppo
che voi non potete strappare i cardinati dalla perdizione. Ma se lo po
tete, fatelo. Se no, gridate ai quattro venti della terra che non
volete solidariet con malvagi che siete Italiani che volete imitare

almeno il sacerdozio dell'Ungheria, della Polonia, della Grecia, della


China, dei selvaggi dell'America, ove il sacerdote non rinnega la sua
culla i suoi parenti i suoi concittadini, ma combatte alla fronte
di quelli per l'indipendenza del suo paese.
Che il sacerdote italiano tuoni dal pergamo la santa parola di reden
zione patria e di reprobazione all'inferno del Vaticano. Egli comin
cer ad avere per intiero la coscienza del suo benefatto, e quindi il
plauso e la gratitudine dei milioni. Far rivivere il cristianesimo an
tico che proclamava l'abnegazione, il perdono reciproco ed il sacro
dogma della eguaglianza degli uomini ecco il titolo con cui possia
mo noi accogliervi fratelli.
Genova, 12 marzo 1862.
G. GARIBALDl.

VI,

Ma il popolo non d ancor riposo al generale Garibaldi. E


mentre esso si affolla continuamente dinanzi all'albergo ad
aspettare per ore intere di poterlo vedere anco per un solo
istante, un altro spettacolo ancor pi interessante e caratte
ristico presentano le sale del generale. Qui pure una con
tinua folla di gente d'ogni et, d'ogni sesso cui cento di
versi motivi attrae alla presenza del grande patriota italia
no. Son le deputazioni degli operai, che vengono a rinno

44

vare la loro promessa di trovarsi pronti alla suprema chia


mata per le battaglie dell'indipendenza, son i corpi scienti
fici che anelano di testimoniare la loro ammirazione, son le

direttrici de' collegi femminili che presentano i voti candidi


e ardenti delle loro allieve, pi graditi al generale del pi
vago mazzo di fiori; la madre, la consorte, la sorella ,
che vestite in gramaglia accorrono a ricevere una parola di

conforto e di simpatia dal eapitano sotto le cui bandiere


perdettero il figlio, lo sposo e il fratello.

questo forse il quadro pi commovente che sia dato


vedere; quelle donne, come giungono dinanzi al generale
smarriscono la voce, troncata loro dalla commozione, ed

allora che la parola del generale risuona pi dolce, pi af


fettuosa e cade come un balsamo sulle profonde ferite di

quelle infelici. Garibaldi non soltanto il capitano che ac


cende alla pugna, l'uomo che consola, uno di quei grandi
attributi che l'umanit ascrive alle nature divine. Ma la ve

dova che esce col ciglio rasciutto dalle sale di Garibaldi non
ne rivela ancora che un aspetto: quei genitori che gli con
ducono i loro piccoli bambini perch ne ricevano un bacio,
un bacio che rimarr come la pi sacra tradizione di quelle
famiglie, un bacio che il bambino racconter un giorno alle
future generazioni , son forse la pi vasta espressione del
l'essere di questa grande individualit in cui l'arte ha rav
visato i lineamenti cui si sempre ispirata per rendere le
ideali immagini di Cristo.
Da quanto avviene a Milano, possiamo predire che la gita
che Garibaldi, con evidente annegazione , come quegli che
abborre da ogni dimostrazione, da ogni onore, sta per fare
in tutta ltalia, riuscir a portentosi effetti, perocch non v'ha
propaganda che resista alla sua: egli trascina l'incerto, l'in
differente e perfino l'ostile in un istesso entusiasmo, e ben
pochi resistono a convertirsi a una causa che produce si
mili campioni.
-

45

La devozione, il sentimento di sagrificio, l'onest, l'eroismo


ch' egli inspira ci ricorda l' arte con cui il celebre Vecchio
della Montagna otteneva dai suoi seguaci che a un suo cenno

si gettassero dall'alto d'una torre. Ci che quell'astuto eapo


otteneva pe' suoi fini egoistici, col far pregustare agli ingan
nati suoi seguaci le delizie d'un paradiso terrestre, Gari
baldi lo otterr dal popolo italiano per l'estrema battaglia
dell'indipendenza, col solo fascino del proprio esempio.
VII.

Alle undici ore il generale Garibaldi si recava a Monza


a inaugurarvi la societ del tiro mandamentale. Alla sta
zione lo accolsero un drappello di garibaldini, la guardia
nazionale, e un'immensa folla di popolo. Vi si rinnovarono
quelle scene di entusiasmo e di delirio che ormai sono si
nonimi coll'arrivo di Garibaldi, e alle tre ore il generale era
gi di ritorno a Milano. Poco dopo egli si conduceva a vi
sitare lo studio di Gerolamo Induno, l' artista soldato che a
Roma rimase crivellato di ferite.

E la accoglienza lieta, l'entusiasmo immenso, indescrivi


bile prorompente dal core seguiva dovunque i passi dell'e
ITO6,

Seguitiamo ancora alcune tappe della via trionfale: via

sacra di gloria Osanna (lo dicemmo) che precedeva il


Calvario.

Monza, la citt dei re Longobardi, stava da pi giorni coll'animo


elettrizzato dalla presenza nella vicina Milano del Duce dei Mile: alla
fine un telegramma sorprendeva i Monzesi coll'annunzio che al mattino
del 24 marzo il generale Garibatdi sarebbe venuto a inaugurare il tiro.
La notizia istantaneamente fece vibrare tutti i cuori dei cittadini che
ansanti anelavano il momento di abbracciar quell'uomo che porta in
s l'anima d'ltalia.

46

ll grande italiano giungeva in compagnia de' suoi figli, dei generali


Bixio, Trr, del colonnello Missori ed altri suoi compagni d'armi.
Alla stazione,fra un mare di popolo, stava schierata la guardia na
zionale, il corpo dei carabinieri monzesi specialmente costituiti e le
autorit civili e militari, le rappresentanze dell'associazione emancipa
trice di Monza, le societ operaje colla loro bandiera, e una parte del
corpo degli 800 volontari monzesi che appartennero all'esercito gari
baldino, portanti alcuni la magica giubba rossa delle gloriose campa
gne: contingente che Monza forn insieme colla somma di 25 mila
franchi.

L'onda del popolo plaudente trasport galleggianti i personaggi nei


numerosi e ricchi equipaggi forniti spontaneamente dal mastro di posta
e dai ricchi proprietari monzesi, e nel vicino albergo deila Brianza si
fermarono.

Alle parole del Sindaco che l'accolse, rispose: Grazie, o Monzesi,


io venni fra voi, perch ben rispondeste con numero i volontari quan
do il cannone tuonava in Sicilia; io sono commosso del vostro affetto, e

questo sar per me una prova sicura del vostro patriottismo nel mo
mento della tenzone, e queste ultime parole furono coperte dai: viva
Garibaldi, viva l'Italia una.

La folla immensa del popolo, al di fuori strepitava, ed il generale

s'affacci al balcone ove parl nell'istesso senso patriottico, ed alle pa


role non mancherete al vicino invito della patria ilpopolo prorup
pe: siam pronti e subito alla chiamata.
Dopo il djeuni venne fatto un brindisi al Generale il quale rispose
con un altro e diretto specialmente all'armata regolare rappresentata
dai degni ufficiali presenti.
Ma lo scopo del Generale era rivolto al bersaglio per l'inaugura
zione del quale il corpo dei Carabinieri monzesi era gi appostato sul
luogo per il tiro.
La comitiva di numerose carrozze s'avvi fuori della citt parata a
festa e prima di recarsi al besaglio venne fatta una piacevole gita nel
Parco, ed arrivata sul luogo, il Generale salut cordialmente il corpo
dei Carabinieri, e circondato da questi e da'suoi compagni inaugur
il tiro con colpi felici, poscia assistette all'esercizio, operato dai Cara
binieri i quali acquistarono l'approvazione del gran maestro.

47

Compita questa patria cerimonia, Garibaldi si accommiat contento


facendo plauso al patriottismo monzese, dirigendosi a Milano. Monza

serber un ricordo eterno al grande uomo che la onor della sua pre
S6enZa,

--

Due giorni dopo il Duce dei Mille soddisfava agli ardenti voti degli
abitanti di Malegnano di contemplare il venerabile volto di quell'uomo
provvidenziale. Giunto da Milano col convoglio diretto per Lodi, do
vette, dietro vive istanze delle autorit locali, discendere dalla carroz

za, ed intrattenersi per alcuni minuti, che spese nel raccomandare il


tiro mandamentale, e nell'acogliere le felicitazioni e lestrette di mano
di chi era fortunato di poterlo avvicinare. La gran quantit di popolo
accorso e le entusiastiche grida fecero spuntare qualche lagrima di com
mozione sugli occhi del Generale, dal cui volto pareva trasparisse l'in
tima persuasione che anche la popolazione della campagna informata
a quei sentimenti di patriottismo e di libert, che dovranno dar mano
a compiere ed a consolidare l'unificazione della patria.
Lo stesso giorno il generale Garibaldi entrava in Lodi fra le accla

mazioni entusiastiche della popolazione.


Il Generale si rec al Palazzo municipale, 'al cui balcone disse po
che ma cordiali e sentite parole, come egli solo sa dirle, al popolo che
lo interruppe a pi riprese con grida unanimi di adesione e di evviva.
E qui accadde uno di quei fatti in cui tutta intera l'anima del
grande italiano. Uscendo dal sontuoso Collegio delle Grazie lesse sopra
una porta quasi dicontro le parole: Orfanotrofio femminile, e ve
dendo che la carrozza percorreva altra direzione, disse al Sindaco:
Ora che mi avete condotto dalle ricche, conducetemi anche dalle

povere. Fu obbedito, e trov le semplici e modeste fanciulle appunto


sedute alle frugali mense; sorprese da quella inaspettata apparizione,
non possibile descrivere la scena che ne nacque. Garibaldi disse al
cune parole di incoraggiamento e parti; quella scena per lo ha s pro
fondamente commosso, che non cess dal parlare delle orfanelle e
raccomandarle alle cure del Sindaco. Al pranzo, allorch si rec in
tavola una vistosa torta, egli si alz e chiese al Sindaco la licenza di
inviarla alle orfanelle. Finalmente, alla stazione della ferrovia, nel sa

lire in vagone, raccomand ancora ai signori che lo accompagnavano,


ma particolarmente all'amore delle signore col affollate, di occuparsi
delle orfanelle ed aj'arle in ogni modo possibile.

48

Da Parma pure quel generoso popolo gli fu largo di accoglienza


veramente trionfale: ci giunge tuttora l'eco delle inspirate parole:
Sono stato veramente addolorato di non poter essere con voi il
giorno 29, come era mio desiderio. Circostanze imperiose me lo im
pedirono: oggi finalmente ho ilgrandissimo contento d'essere fra que
sto bravo popolo, fra cui veggo tanti prodi miei compagni d'armi.
(Evviva Garibaldi, viva l'Italia).

Non la prima volta che il popolo di Parma ha date prove di eroi


smo, e quando l'occasione si presenti, sono persuaso che queste si cen
tuplicheranno (si, si; rispondeva il popolo).
S, a migliaja sorgeranno coloro che di nuovo verranno con me e

col nostro prode esercito a togliere il velo a quella bandiera (additando


la bandiera dell'emigrazione veneta).

S, noi toglieremo il velo dalla bandiera di Venezia. S, Venezia la


redimeremo fra le sorelle, o vedremo una volta chi saranno gli inso
lenti che calpesteranno la terra nostra. Alla prodezza degli Italia ai non
v' nulla di aggiungere.
Tutti in armi, tutti destri alle armi (si, si, il popolo ripet tutto ad

una voce), perch, persuadetevi, se oggi ci dato di liberamente par


lare, ci non per volere degli oppressori, ma perch siamo forti.
In armi dunque, in armi tutti, e tutte le questioni del nostro paese
spariranno. Sparir quella di Roma, sparir quella di Venezia; spa
riranno tutte e senza il soccorso della diplomazia.
La diplomazia la faremo noi colle nostre armi; la faremo colle no
stre carabine.

La missione principale del mio giro quella di vedervi e di istituire


il tiro nazionale, onde esercitarvi al maneggio della carabina.

Bench io sappia che sapete bene maneggiare la baj netta, desidero


anche che sappiate colpire il nemico come si deve. Colla carabina e
destri a maneggiarla, noi otterremo tutto (evviva Garibaldi; evviva
l'Italia).

Popolo di Parma, io vi ringrazio della vostra viva accoglienza, e vi


saluto.

Gli studenti dell'Universit, del Liceo, e dell'Istituto, rappresentati


per ciascuna classe da una commissione, si recavano dal generale Ga
ribaldi, cui presentarono un indirizzo. Il Cendale li accolse colla in
nata sua benevolenza, e loro disse :

49
Bravi. Bravi. Grazie, voi avete fiducia in me e credete ch'io

non vi verr meno la Provvidenza spero che esaudir i nostri voti


voi,giovani, siete la speranza della patria noi gi cominciamo a
declinare, ed io conto molto sopra di voi nelle armi sta il gran se
greto dell'emancipazione.
Non dico che voi abbandoniate gli studje vi occupiate astrattamente

delle armi gli studj e le scienze edificano l'uomo: ma ora primo


studio siano le armi con queste tutti gli ostacoli spariranno.
Vi sono ancora schiave sorelle. S'incolpa il governo, ed altri in
dividui ma la colpa nostra in gran parte nostra.
Quando gli altri Stati d'Europa si troveranno sulla gran via uma
nitaria, non vi saranno pi eserciti stabili, non pi flotte, ed i grandi
capitani che distruggono gli oppressori per opprimere altri popoli si
invertiranno a pro delle classi povere.
Io vengo qui delegato all'istituzione del tiro al bersaglio bersa
glio ve lo raccomando fatevi accettare nella Societ di quel tiro
provvedetevi d'una carabina d'u fcile d'un'arma qualun

que atta ad ammazzare un nemico; chi vuole un'arma, tenetelo bene


a mente, ha un'arma potrei darvi molti esempi: e ne volete una
prova? ho visto il villano mancare persino d'un tozzo di pane, ma
avere un'arma, perch la voleva.
Addestratevi adunque alla carabina sappiate colpire un nemico a
200 passi e colpirlo come si deve voi lo farete iove lo con
siglio io gi vi conosco voi mi avete gi dati molti compagni
d'armi, e spero che sarete d'esempio alle altre classi.
Marciamo come uomini forti calmi uniti tranquilli. Nelle
armi,ve lo ripeto, sta la potenza sta la forza e quando vi sa
remo addestrati nessun prepotente oser conculcare i nostri diritti.
Salutate i vostri compagni e dite loro che sono riconoscente per
la fiducia che hanno riposta in me addio addio.
VIII.

E qui fermiamoci un momento per constatare una volta


di pi la iniquit di Urbano Rattazzi fedifrago sempre e
MISTRALI. Da Caprera ad Asprom0nte, ec.
------------

50)

mendace-costante nella sua iniquit da Novara ad Aspro


InOnte,

Noi non siamo Mazziniani. Prima di tutto perch non

crediamo alla possibilit di una repubblica in Italia. in se


condo luogo percn riconoscendo in Mazzini l'apostolo an
tico dell'unit italiana e il core pi onesto di un vero pa
triota, noi non lo crediamo uomo politico nella pratichezza
del possibile. Mazzini per poter far della sua teoria dei fatti
della vita reale bisognerebbe che cominciasse dal rifabbri

care il mondo da capo. L'umanit quale essa non potr


mai entrare nell'armonia della societ come la vagheggia
Giuseppe Mazzini. Una repubblica oggi sarebbe domani:
O la servit straniera e la divisione;

O la dittatura di un uomo pi fortunato o pi destro


da mutare la presidenza nel consolato e il consolato nel
l' impero.
A questo dilemma noi preferiamo una monarchia nazionale
forte e omogenea, rispettata fuori e amata dentro quando
-

non la funesti un Rattazzi.

Ma, ci si domander dai Mazziniani, come si fa a libe


rarsi dai colpi di Stato? come si prevengono gli arbitri di
Napoli? come si lava il sangue della guerra civile?
Si fa tutto questo ed altro ancora mandando al Parlamen
to quattrocento patriotti, davvero. Quattrocento uomini che
non entrino nell'aula della rappresentanza nazionale, come
in un'anticamera d'onde uscir poi cavalieri o governatori.
Quattrocento uomini di core che imitino l'esempio dei de
putati prussiani, che abbiano il coraggio civile di accusare il
Ministero di alto tradimento in faccia alla nazione.

Ma Rattazzi scioglier un tale Parlamento!


Ebbene; noi lo rieleggeremo.
Ecco la potenza che abbiamo nelle mani; ecco l'arma di
cui i popoli civili e liberi devono sapersi servire all'occorren
za. ll sangue di Garibaldi versato indarno chiama vendetta
e l'avr.

-- -

-*-*-- -------------------------------------------------------...

Vittorio Emanuele non un re feudale ma un galantuo


mo; la nazione lo sa e lo ama e lo rispetta dal core: alla
nazione per via del suo Parlamento tocca ora liberare la
monarchia dalle ombre del ministero che la storia chiamer

con incancellabile infamia: il ministero di Aspromonte, il


ministero di Giuda.

La sera del 31 marzo il generale Garibaldi, accompagnato dal sena


tore Plezza, dal generale Bixio, dal deputato Crispi, da Bellazzi si rec
al teatro San Giovanni ove era raccolta la societ degli operaj. Al suo
apparire, unanimi e frenetici applausi lo accolsero nella sala delle se
dute: disse parole calde e patriottiche che furono accolte da ripetute
grida di viva Garibaldi. Eccone il sunto:
Egli protest prima di tutto che non uso n capace di fare un di
scorso lungo, ma vuole tracciare la storia della nostra emancipazione.
Divise questa storia in tre epoche: quella di Dante, quella di Machia
velli e la nostra. L'epoca di Dante fu segalata, ci disse, da quel no
me grande, immortale: quest'uomo pose il fondamento dell'unificazio
ne italiana in tempi peggiori de' nostri, ove piccole repubbliche, gare
municipali, piccoli tiranni, gelosie individuali straziavano l'Italia,
pens unificarle con un imperatore straniero. Non avendo potuto tro
vare un individuo italiano per formare il fascio, avrebbe pur preso il
diavolo perunificare il suo paese, nol trov, e scelse un imperatore
tedesco. Dante adunque capiva la necessit dell'unione.
La seconda epoca quella di Machiavelli non meno caro e grande.
Ei pure conobbe il bisogno della unificazione,gli si present una ca
naglia, Cesare Borgia, la cui vita non che un intreccio di delitti e di
vizi che l'onest del luogo non permette di dire; vide Machiavelli in

quest'uomo un temerario, un ambizioso, sperava con esso unire le


sparse membra d'Italta e scelse un Borgia.
La terza epoca, la nostra, avr il nostro nome, questa ra di rige
nerazione, di emancipazione: i tiranni non ci faranno pi retrocedere.
Noi siamo fortunati perch concretammo l'idea, l'aspirazione - pi
felici ingegni di venti generazioni italiane, noi unificheremo questo po

polo. Molte difficolt per abbiamo pur noi. Molta canaglia gelosa

32

di noi e cerca trattenerci; dicono che siamo indisciplinati. Ahl per


Dio, siamo capaci di far pi di loro. l miserabili sono gelosi di noi;
essi tentano sturbare le nostre cose, ma noi proseguiremo concordi e
costanti il sentiero tracciato, il sentiero che deve condurci alla com
pleta emancipazione.

Io vi spiegher le condizioni presenti. Io sono repubblicano


bench molti credano farsi un delitto il dirlo, non lo nascondo. (Alle
grida che s'innalzavano nella sala, soggiunge :) Ricordatevi che sia

mo forti, ma i forti sono tranquilli e calmi e colla calma faremo fatti.

lo voglio farvi un'ipotesi: supponete che siamo qui in 100, se sono


80 che vogliono un governo e 20 un altro, i 20 che violentano la vo
lont degli 80 sono despoti, sono tiranni. Ma quegli ottanta sar il
governo del popolo, quello sar la mia repubblica. Ora dunque ab
biate in mente la concordia, lasciamo da parte i torti ricevuti per la
causa italiana. Io posso esser certo che quando in nome della pa
tria e del re vi chiamer tutti, verrete (si ! sil prolungati). Ora tor

nando all'ipotesi,gli ottanta hanno accettato quel programma col quale


dal Ticino ci accampammo alle falde del Vesuvio, voi ben lo cono
scete Italia e Vittorio Emanuele e mentre noi esprimiamo ii
nostro principio noi seguiremo quel programma. Chi non siegue quel

programma deve essere considerato come nemico della patria. Siamo


leali: se l'abbiamo accettato, seguiamolo: ricordiamo la concordia.
Al grido di viva Mazzini disse che incaricato di parlare a Rattazzi e
al re per il richiamo di Mazzini il fece, e spera che non vi sieno seri
ostacoli, non essendovi ormai che un punto legale da sciogliere che
egli non saprebbe spiegare. (Al grido di viva Mazzini, egli ripet:)
Io vi accompagno, ma io ve l'ho detto: il popolo forte deve essere
calmo e concorde. Viva Vittorio Enanuele. (Si ripeterono le grida
viva Vittorio Emanuele.(

Ho fatto un discorso,esso concluse, che passa molto la mia capacit;


ma colla vostra fisonomia marziale e franca mi avete dato l'energia di
parlare. Vi saluto con affetto, o degni figli del lavoro; vi raccomando
la concordia, nella concordia sta la salute della patria. Mantenetevi
buoni - sar con voi sino alla morte.

53

CAPITOLO SECONDO,

I.

Ci avviciniamo all'ora in cui Giuda sta per compiere il


misfatto atroce consegnando la vittima.
Garibaldi ritiratosi a Trescorre sulla terra lombarda pros

simamente alle giogaje dello Stelvio si apprestava a compiere


una spedizione non ignorata da Rattazzi (Se lo onorevole
deputato Crispi non ha mentito, e noi fra l'avvocato Urbano

e il valoroso siciliano non mettiam neppure dubbio).


ll Generale teneva radunati a Trescorre i capi del partito
pi avanzato ed ecco come annunciava all'Italia con parole
sante, la concordia di tutti i suoi figli.
Trescorre, 6 maggio 1862.

Nel 5 maggio in Trescorre, ho potuto corroborarmi nel concetto che


si meritano i miei correligionari politici confermarmi che non vi
pu essere democrazia senza onest d'intendimento e rispetto alla vo
lont nazionale.

Non pi diffidenze dunque in un paese che deve trovarsi compatto


nelle ultime battaglie dell'indipendenza. I membri del consiglio dell'As
sociazione emancipatrice, eletti nell'adunanza generale di Genova, che
si componeva dei delegati di tutte le associazioni liberali d'Italia, con
fermarono in questo solenne anniversario il patto fondamentale,su cui
posa l'avvenire della patria; il concerto che lega questa nazione, che
vuole risorgere tutta, al suo re leale e galantuomo.
I nostri convincimenti furono trovati da noi tutti consentanei al no

bile plebiscito siculo-napoletano, al programma glorioso delle nostre


vittorie:

Italia e Vittorio Emanuele l... Ecco la nostra bandiera, ecco


il voto consacrato dalle moltitudini, proclamato oggi dall'entusiasmo

per il re guerriero di mezzo milione di popolo, a cui fanno eco tutte


le popolazioni della penisola. Ecco la meta a cui devono tendere
tutte le aspirazioni. Ecco finalmente il vangelo politico, su cui po
sero la destra, jeri, uomini che mi onoro di chiamare fratelli, uomini
che l'Italia ed il re troveranno sempre cooperatori sulla via che con

duce alla intera nazionale rigenerazione.

G. GARIBALDI.

Ma dopo pochi giorni una impensata nuova piomba sul


l'ali del telegrafo.
Il 13 maggio perviene mandata da Federico Bellazzi la
seguente communicazione.
-

Alla direzione del giornale la GAzzETTA DI MILANo.

Il colonnello G. B. Cattabene, valoroso ufficiale coperto di nobili ci


catrici, di condotta sempre intemerata, venne arrestato senza forma
litprescritte dalle leggi nella scorsa notte in questa casa, e tradotto
a Milano come un malfattore.

Io ricordo al paese che se il Governo ha l'obbligo di far rispettare

la giustizia, ha pure l'obbligo di rispettare la dignit dei cittadini, e


principalmente dei benemeriti della patria.
G. GARIBALDI.

Sui giornali si leggeva ripetuto il motivo dell'arresto se


condo le sobillazioni ministeriali:
Nulla abbiamo di nuovo sull'arresto del colonnello Cattabene. Fra

molte altre voci, corre anche quella che lo stesso per una spedizione
progettata per la Grecia, avesse qualche tempo addietro noleggiata la
stessa tartana o brick, l'Amor di Patria, che fu da poi noleggiato da
gli autori del furto Parodi, e che essendosi trovato fra le carte del ca
itano il primo contrato, il Cattabene venisse per questo motivo ar
1 estato,

ln ansiosa aspettativa di ulteriori schiarimenti sopra un fatto che ha


destata la generale sorpresa, noi diamo intanto con riserva anche que
sta versione ch si presenta per ora fra le pi verosimili.

55

Il signor Cattabene, gi conosciuto negli avvenimenti del 1848, du


rante l'emigrazione visse a lungo fuori d'Italia, e serv sotto al gene
rale Garibaldi nelle recenti guerre. Corre voce che l'arresto sia deri
vato da requisitoria del tribunale di Genova. Aspettiamo con vera an
siet le spiegazioni di questo grave e spiacevole avvenimento.

Quanta infamia! Ma pure il valoroso uomo fu tradotto


per mesi e mesi di carcere in carcere; calunniato gesuitica

mente come ladro e assassino complice del furto Parodi (!)


dalla falange dei giornali venduti, poi alla fine ... . .. rila
sciato come innocente ll

Pochi giorni dopo iI telegrafo ci recava altra funesta e


pi erudel parola: sangue italiano era versato per mani ita
liane, e non doveva esser l'ultimo. Nessuna colpa neppur
lontana pu ricadere sul valoroso esercito, ma quale aggra
vio di anatema su Caino-Rattazzi!

ll giorno 15 maggio i carabinieri arrestavano a Palazzuolo


il tenente-colonnello Nullo ed il signor Ambiveri di Berga
mo, e sequestravano un carro d'effetti militari. Il mag
giore dei carabinieri ne avvertiva tosto il prefetto di Brescia
barone Natoli per mezzo del seguente telegramma: Se
questro di effetti militari a Palazzuolo. Il tenente-colon
nello Nullo e Ambiveri di Bergamo in arresto a Palazzuolo.
Domandate informazioni al prefetto. Autore di spedi
zione di effetti Nullo mazziniano. Parte degli avventu
rieri partiti per Alzano non abbiamo truppa per inse
guirli. Il generale ne domanda parto per Milano.
Fatto consapevole di ci il generale Garibaldi, che si tro
vava a Trescorre, recossi tosto a Bergamo, ove dietro il suo
invito il prefetto Duca di Cesar spediva a Torino il seguente

56

dispaccio, allo scopo di rettificare l'errore delle autorit che


tentavano di fare del colonnello Nullo, un avventuriere maz
ziniano la cui azione fosse del tutto indipendente dal gene
rale Garibaldi. Bergamo, 15 Maggio, alle ore 11 cir
ca. Si presenta in questo momento il signor generale
Garibaldi e dice la riunione in queste parti , e il trasporto
armi essere per sua disposizione. Se male, lui solo, e
non altri, responsabile si chiede determinazione dal
governo.

A questo dispaccio rispondevasi tosto da Torino, ed il pre


fetto di Bergamo inviava tal risposta al generale Garibaldi,
mediante una lettera cos concepita : Bergamo 16 Maggio

1862. Appena giunta jeri sera la risposta del ministro rela


tivamente all'arresto del signor colonnello Nullo e compagni,
il sottoscritto si faceva premura di far verificare se la S. V.

si trovasse ancora presso il sindaco, signor Camozzi, per far


gliene la comunicazione. Essendo la S. V. gi ripartita
chi scrive si d la premura di parteciparle questa mattina
nella sua integrit l'avuta risposta Rincresce al governo
di non poter ammettere il modo di vedere del generale Ga
baldi circa le conseguenze dei fatti avvenuti. Nel portare
quanto sopra a di lei cognizione, voglia signor Generale, ac
cogliere, ecc., ecc. Devotissimo servo Duca Cesar.
Ma tal fatto, gi triste per s, doveva produrre tristissima
conseguenza per l'inettezza e l'incuria di coloro cui era affida
to in Brescia il governo della citt.
li luogotenente Nullo, appena giunto a Brescia veniva tras
ferito alle carceri della Pretura Urbana.

Saputosi ci dai cittadini, essi radunavansi in crocchi per


le vie, tentando di scoprire l'ignota cagione per la quale tale
arresto fosse avvenuto.

In capo a non molto, tali riunioni s'erano fatte cos nu


merose, che il colonnello della guardia nazionale sig. Gero
lamo Fenaroli recavasi dal prefetto. e chiedevagli istruzioni.

- ----

57

Il prefetto rispondeva che a tutto aveva egli provveduto.


Verso le ore 8 circa pom. riunitisi gli sparsi gruppi di
popolo, procedevano in colonna di poche centinaja, prece
duti da giovanotti, da ragazzi anzi, e si avviavano verso il
palazzo del prefetto onde avere schiarimenti ed ottenere, se
possibile, la liberazione del carcerato. Nessun grido di morte
n di minaccia, per; tutti inermi. Il sig. Prefetto intanto
pensava bene di non lasciarsi trovare, e, bench in casa, fece
rispondere ch'ei non v'era. La pioggia intanto cadeva dirotta:
la gente coll'ora pi tarda s'era gi sminuita; separatasi la
folla, parte portavasi al teatro Guillaume, ove entrata nel
l'andito chiedeva del Prefetto i soldati schierati, l'arma a

riposo, non furono n insultati, e nemmeno avvicinati.


Non trovato il Prefetto, la pacifica dimostrazione procedeva
verso le carceri, dove (e questo quanto fece il sig. Prefetto
per l'ordine pubblico) un sedici soldati eran stati spediti di
rinforzo una mezz'ora prima. Cosa sorprendente , essi vi si
rinchiusero tosto arrivati, n diedero altro segno di vita, pri
ma che il misfatto avesse luogo. Le grida di Vogliamo
INVullo Libert all' amico del generale Garibaldi , viva
Garibaldi , raddoppiarono in quel mentre , e cinque o sei
fra quelli che stavano innanzi si diedero a bussare. Non

ottenendo risposta, cominciaron a spingere e a urtare.


Nessuna intimazione di sperdersi fu udita; non una voce
rispose, o almeno se il fece, fu coperta dal tumulto. Ma non
poteva l'ufficiale di guardia salire ad una finestra, e di l
fare la intimazione d'uso?

ll fatto sta che mentre una imposta del portone cadea


scassinata, mentre, altri dicono, anche lo sportello era stato
aperto, una scarica di fucilate gett la morte fra i primi
che avvicinavano la porta. Dapprima nessuno si sgoment,
tutti credendo che fosse uno sparo a polvere per isbigottire
i giovanetti che si trovavano innanzi. Ma al grido doloroso
dei feriti la folla indietreggi, e diedesi a fuggire, lasciando

58

i miseri colpiti dalle palle, stesi sul terreno. Ora ecco la


parte pi orribile della triste scena alcuni soldati, uscendo
inseguirono a fucilate i fuggenti ci che vien compro
vato da una ferita riportata nella schiena da uno dei citta
dini. Tre di quegli infelici morirono nella notte stessa.
Redondi Stefano anni 19 facchino.

Ghidini anni 40 operajo stampatore.


Scolari anni 29.

Un quarto, lo Zanardelli di anni 16 giaceva morente


allo spedale la sera del 16, ed forse da noverarsi ora fra
i morti.

Appena compiuto l'atroce fatto, vari cittadini di Brescia, fra


i quali si possono nominare i signori avvocati Grana e Guz
zetti, recaronsi tosto dal Prefetto, che accolseli freddamente
chiedendo loro: Che cosa vogliono? chi sono? Voglia

mo, rispose un d'essi, ch'ella impedisca almeno nuovi orro


ri. Con che veste si presentano essi ? Potrei non ascoltarli.
Colla veste di cittadini. Allora il Prefetto scorgendo

il signor deputato Guzzetti riprese: parlo con loro perch il


signore deputato; altrimenti avrei anche potuto negare di
dar loro ascolto. Dopo alcune altre poche parole il signor
Prefetto fin col dire: Signori, io so morire al mio posto.
Allora sarebbe gi morto , risposegli uno, poich il suo
posto era fra i cittadini nel pericolo, non nelle sue stanze.
Ma poco approfittava il signor Prefetto dell'avviso datogli,
poich altro non faceva che pubblicare un manifesto il quale
irrit vieppi il popolo di Brescia.
Ora udiamo le menzogne ministeriali:
La Gazzetta Ufficiale del Regno, pubblicava la seguente nota:
Da parecchi giorni il governo era informato come si stesse prepa
rando una spedizione di volontari al di l dei confini dei regno. Egli
conosceva come a tal uopo si facessero arruolamenti clandestini e si
radunassero armi.

59

In conseguenza di questo, aveva preso tutte le disposizioni oppor


tune perch la legge venisse rispettata. Il giorno 15 venivano in Palaz
zolo da un capitano dei regi carabinieri posti in arresto i signori Nullo
e Ambiveri , ex-ufficiali dell'esercito meridionale, fortemente indizati

come capi della sconsiglia impresa.


Nella notte del giorno stesso, in Sarnico, si arrestarono pure 55 in
dividui, che doveano formar parte d'una colonna di volontarj ed altri
44 erano arrestati ad Alzano Maggiore nel mattino del giorno di jeri.
In Bergamo, nello stesso giorno 15, ebbe luogo una dimostrazione,

la quale in breve si sciolse pacificamente senza disordine alcuno.


Il colonnello Nullo ed alcuni compagni, tradotti momentaneamente
nelle carceri di Brescia, diedero occasione ad una dimostrazione po
polare. Fu fatto un tentativo per invadere le prigioni e mettere gli ar
restati in libert: la guardia dovette porsi sulla difesa, e nello scontro
tre fra gli aggressori rimasero feriti ed uno estinto.

L'autorit giudiziaria sta procedendo su questo fatto.


Tutti gli arrestati si trovano ora nella cittadella d'Alessandria.

Furono prese le pi energiche misure per guardare dovunque il


confine ed impedire qualsiasi tentativo.

Le notizie che arrivano dalle provincie sono ora completamente ras


sicuranti.

Lo stesso foglio recava la seguente Circolare diretta dal


Ministero dell' interno ai signori Prefetti:
Torino, 15 maggio.
Il governo venuto in cognizione che in varie parti dello Stato al
cuni sconsigliati facciano apparecchi militari e promuovano arruola
menti clandestini per una spedizione che vorrebbero far credere in
trapresa, se non consenziente, connivente il Governo stesso.
A giustificare simile impresa si pone innanzi un nome caro al paese
e tenuto in grande considerazione dal governo, e si tenta con ci in

durre credenza che l'insensato tentativo venga dal medesimo eccitato


e diretto.

Il governo crede avere giusti motivi per riputare insussistente qua


lunque compartecipazione dell'illustre generale ad imprese di simil

60

fatta, le quali ad altro non potrebbero condurre che a compromettere


gravemente quanto finora colsenno e col valore l'Italia ha conseguito.
Ella pertanto, signor Prefetto, con quella intelligenza e zelo per la
pubblica cosa di cui gi diede distinte prove, procurer di convincere
i suoi amministrati come il Governo, lungi dal tollerare, condanni que
sti deplorabili tentativi, e come sia risoluto a non recedere da alcun
mezzo per impedirli e per reprimerli, mantenendo salda l'autorit della
legge.
Il sottoscritto confida che la S.V. anche in questa circostanza user
della massima vigilanza affine di venire in cognizione di quanto in co
desta provincia si potesse tentare per tradurre in atto simili disegni,

nulla ommettendo per impedire coi consigli e, quando occorra, colla


forza, ogni fatto tendente a mettere in pericolo l' ordine pubblico ed
il rispetto dovuto alle leggi.

Informandosi a queste istruzioni, la S. V. vorr sollecitamente porre


in uso i mezzi ch'ella riterr pi acconci all'uopo per recare a cono
scenza del pubblico la ferma volont del Governo su questo argo
mento,
Pel ministro

Il direttore generale FontranA.

Quanto a Garibaldi il suo grido di dolore fu ruggito di


leone ferito (e a tradimento). Dall'animo esulcerato sgorg
un'amara parola e fu una protesta dove invitava l'Italia a
levare un monumento al russo Papoff che ruppe la spada a
Varsavia per non infierire su un popolo oppresso. I venduti
si organizzarono per calunniare le in enzioni di Garibaldi, e
per far credere con ipocrita compunzione che l'eroe volesse

gittar discordia fra popolo ed esercito. Vili! Vili!"infami sem


pre!

Ma Garibaldi dirigeva alla Gazzetta di Milano la seguente


lettera colla data del 21 di maggio.
La mia protesta pubblicata nel Diritto, stata da alcuni male in
terpretata.

Soldato italiano, non ebbi, non potei avere intenzione di lanciare

61

contumelie all'esercito italiano, che gloria e speranza della nazione.


Volli solamente dichiarare colle mie parole, che il dovere dei soldati

italiani di combattere i nemici della patria e del re; non gi di


uccidere e ferire i cittadini inermi. Se questa massima fosse inse
gnata e praticata, come lo fu gi a Palermo ed a Bergamo da due dei

pi valorosi capi del nostro esercito; se il comandante delle truppe a


Brescia fosse stato libero di provvedere secondo gli impulsi del suo
cuore non avremmo da maledire oggi a chi fu causa della strage

di Brescia non avremmo da lamentare le vittime di quel popolo


generoso.

Alla frontiera, e sui campi di battaglia le milizie. L, e non


altrove, il loro posto.
G. GARuALDI.

III,

Dopo ci che dire? Rattazzi presentatosi alla Camera dei


Deputati con fronte di bronzo come ebbe sempre, seppe s
bene giuocare lo spettro rosso in faccia agli onorevoli 443
rappresentanti l'Italia che un voto di fiducia lo mand as
solto; seppe uscire per dai soliti equivoci. Garibaldi allora
part per la Sicilia, anzi per Caprera, perocch nessuno pro
sumeva ancora che l'eroe volesse ritentare s presto il mi
racolo dei Mille.

Quanto ai disegni tenebrosi del Ministero dove l'apostasia


e il fratricidio si davano la mano, essi non sono ancor ben

chiari. Par certo per che il celebre Capriolo, segretario e


factotum di Urbano Rattazzi avesse pensato di liberarsi colla
spesa di un milione da tutti i rompicolli garibaldini man
dandoli in Grecia. Ma Garibaldi e i suoi amavano troppo
l'Italia per mettersi a simili patti che dovevano, sempre
nella vasta mente Capriolana, far libere le loro eccellenze

dalla incomoda pressione rivoluzionaria. Un po' le palle tur

62

che un po' la provvidenza, tutto si accomodava nella mag


giore tranquillit e la compagnia Rattazziana poteva concor
rere a tutte le croci e a tutte le decorazioni dell'Austria,

della Russia e della Prussia, per grazia di Dio.

Ma Dio che quieto serbava a costoro un ultimo trionfo,


fatale trionfo onde hanno marcata la fronte delle stimate
di Caino.

CAPITOLO), TERZO.

I.

Garibaldi in Sicilia! Ecco il grido che fa impallidire i


Seidi di Rattazzi e i birri del patriota Depretis. Egli ha

parlato e ha gittato fiamme contro gli oppressori della patria.


Come importantissimi documenti riportiamo di seguito la
corrispondenza telegrafica cambiata fra il Prefetto di Paler
mo e il Ministero di Torino. L'animo di Rattazzi ci dentro
tuttO.

Al Prefetto di Palermo - 16 giugno.

Ricevuto di lei lettera 9 corrente e dispaccio.Usila necessaria ener


gia per prevenire ogni disordine, e non dubiti che sar approvato.
Per Pantalleria s'intenda coll'autorit militare per inviare la forza suf
ficiente a reprimere.
Temo che ai partiti avversi si aggiunga quello d'azione; indispen
sabile che sia sorvegliato, e quando occorra contenuto.
U. RATTAzzi.

Al Prefetto di Palermo 16 giugno.

Medici accetta comando Guardia nazionale, Partir fra tre o quattro


giorni. Non dubitate che nei provvedimenti energici troverete ogni
appoggio.
-

U. Rattazzi,

63
Al Prefetto di Palermo 10 luglio.

Il Governo dolente del discorso di Garibaldi contro l'Imperatore,


e non comprende come le autorit locali abbiano assistito senza nulla
osservare, trattandosi di un'offesa diretta contro il capo di una nazione
alleata. Attendo da Lei pi precisi ragguagli per vedere ci che dovr
farsi. Quanto agli arruolamenti, di cui si parla, mi sembra che non do
vrebbero occorrere istruzioni. La legge non permette ad alcuno di
fare arruolamenti, il cui dritto spetta esclusivamente al Governo. A Lei,
come a tutti i funzionari, incombe lo stretto dovere di far rispettare la
legge ed impedire che venga in qualunque modo violata.
U. RATTAzzi.

Al Prefetto di Palermo 14 luglio.

Faccia sequestrare il numero dell'Unit Italiana che riferisce il di


scorso di Garibaldi contro l'Imperatore: uguale sequestro dovr ordi
narsi contro gli altri giornali che per avventura stampassero lo stesso
discorso.

U. RATTAzzi.

Al Prefetto di Palermo 14 luglio.


Si concerti coll'autorit militare, e provvedano in modo efficace a

che in qualunque evento, nella temuta dimostrazione di domani, presti


forza alla legge.
U. RATTAzzi.
Al Prefetto di Palermo 22 luglio.

Non pu esitarsi a promuovere il processo per gli arrolamenti, se

ve n' materia; questo un dovere indeclinabile dell'autorit giudizia


ria. Non credo che questo processo possa dar luogo a disordini; in
ogni caso, il ministro della guerra invier cost un rinforzo di truppe
per qualunque evenienza,
U. RATTAzzi.
-

Al Prefetto reggente Deferari

a Palermo

e al Prefetto di Trapani.

Torino, 27 luglio 1862.

In vista delle voci che corrono di prossime spedizioni per Roma,


sar conveniente ch'ella pubblichi un proclama, nel quale dica essere
informato il Governo di queste mene e sentire l'obbligo di prevenire

gl'illusi, che si useranno tutti i mezzi per impedire che si compro


metta cos l'ordine pubblico. Intanto, se ella scorger che realmente si

64

tenti di fare un imbarco per le coste pontificie, od in qualunque modo


per recarsi nel territorio ora soggetto al Papa, converr che cerchi
ogni via per opporvisi. Quando non si potesse impedire l'imbarco, la
nostra flotta dovr esserne tosto avvertita, affinch arresti le navi.
U. RATTAzzi.

Il prefetto-reggente rispondeva che la pubblicazione del


proclama temeva potesse dar luogo a gravi inconvenienti. E
il Ministero gli telegrafava cos:
Torino, 28 luglio 1862.
Al Prefetto reggente Palermo.

Se crede poco conveniente il proclama nel senso indicato, se ne


astenga; ma necessaria somma vigilanza: come pure si deve impe
dire ogni imbarco d'uomini armati.
U. RATTAzzi.

In riscontro, il prefetto Deferrari mandava il seguente di


spaccio:

Non manca n energia n risolutezza, ma sommetto, che ordinando


arresti, incontreremo urti e resistenza assai forte, e far bisogno venir
all'uso delle armi con molto spargimento di sangue. Domando mi si
dica netto, se ho da spingere le cose a questo estremo.
DEFERRARI.

E il Ministero rispondevagli:
Torino, 31 luglio 1862.
Al Prefetto di Palermo.

Lo spargimento di sangue si eviter, mostrando energia e risolu


tezza. Il furto dei 220 fucili della Guardia nazionale, l'attruppamento
di 900 uomini al bosco di Ficuzza sono fatti che non si possono tol
lerare in nun modo, senza che l'autorit proceda e vi ponga rimedio,
anche cogli arresti, e venendo, ove occorra, all'uso delle armi. Del re
sto, quanto alle riunioni in pubblico ed agli attruppamenti, la legge
indica chiaramente la via che deve seguire l'autorit di pubblica sicu
rezza per impedirli e scioglierli: non vi quindi ragione di esitare,
Cugia parte oggi per Genova, sar a Palermo sabbato.
Si assicura che una Casa inglese prepari cost 300 camicie rosse;
riconosca se vero, ed occorrendo sequestri.
U. RATTAzzi.

(65

Ma le popolazioni si levarono entusiaste alle parole del


l'eroe e noi non possiamo riportar che qualche cenno delle
accoglienze avute dal generale Garibaldi, avvegnach a dir
tutto ci vorrebbe un volume. Fra tanti diremo, che percor
rendo i dintorni di Palermo pronunci dovunque parole ec
citatrici a scuotere l'ignavia codarda con qual frutto
dir la storia. Parole ardenti profer contro lo Impera
tore dei Francesi, e l'avvocato Boggio fu sollecito di ripeterle
in Parlamento per provocare da Rattazzi (valuta intesa) una
ossequiosa dichiarazione. Ecco le parole come le trovo ne
gli atti parlamentari seguite dalla pappalata dell'avvocato
Boggio, il bottolo che ringhia alle calcagna del gigante.
Il padrone della Francia il traditore del 2 dicembre colui
che vers il sangue dei fratelli di Parigi sotto il pretesto di tutelare
la persona del papa, di tutelare la religione, il cattolicismo, occupa
Roma. Menzogna, menzogna! egli mosso da libidine, da rapina, da
sete infame d'impero,egli il primo che alimenta il brigantaggio. Egli
si fatto capo di briganti, di assassini.
Popolo del Vespro, popolo del 1860, bisogna, necessario che
Napoleone sgombri Roma. Se necessario si faccia un nuovo Vespro.

Ma, o signori, siamo noi tornati al 1848? Eppure anche allora non
mordevamo almeno la mano ai nostri benefattori.

Rispetto al prefetto Pallavicino, vero che egli soffr per la patria,


ma questo non gli d il diritto di compromettere il Governo.
pur necessario sapere se il Governo prese provvedimenti contro
ogni genere d'iniziativa individuale.
Riassumo i miei quesiti:
1. Se il Governo conosceva con quali intenzioni Garibaldi si recava
a Palermo.

2. Se il Ministero approva la condotta di Pallavicino.


5. Se il Ministero ha provveduto a che non si facesse mai nessun

tentativo d'iniziativa non legale (bravo, bravo).


Io non approvo le parole di Garibaldi rispetto a Napoleone
poich anche a mio avviso offendono almeno indirettamente
MISTRALI. Da Caprera ad Aspromonte, ec.

66

la nazione francese; ma intemperanza per intemperanza io


sto con la generosa ira di Garibaldi e ripudio i concettini
velenosi dei retori inbelli.

Meglio ci talenta applaudire alle ferme parole che l'eroe


pronunciava la sera del 1. luglio nel teatro di Palermo al
popolo affollato e plaudente.
Viva il popolo del Vespro Siciliano. L'Italia spera che ne far un
secondo se ne avr il bisogno.

Dopo una breve pausa nella quale l'entusiasmo divenne delirio, si


alz di nuovo e parl:
Quando ho chiamato il popolo siciliano popolo dalle grandi ini
ziative non ho fatto che palesare ci che sentiva nel profondo del cuo
re. un popolo generoso come questo ben pu dirsi ch' il popolo
delle grandi iniziative.

Con ci non intendo per derogare in nulla al nostro programma,


ma rammentare quella iniziativa popolare che ci fece liberi, che ci
condusse di gloria in gloria, che rannod gl'Italiani in unica famiglia.
Il programma che ci rese vittoriosi fin oggi, io ve ne assicuro,
ci render vittoriosi in appresso.
Esso : Italia e Vittorio Emanuele.

Coloro che vogliono sostituirvi un diverso programma cercano la


disunione, suscitano le gare municipali, essi vi conducono al dispo
tismo.

Il fascio romano che noi abbiamo formato il simbolo per cui


sorsero le legioni romane, che passeggiarono sul mondo vittoriose.
L'Italia conta adesso 25 milioni. essa pi forte di quanto lo
possono credere i nostri potenti vicini.

Essa non passeggier pi conquistatrice come Roma; ma abba


stanza forte per reclamare i suoi propri diritti e quelli ancora di tutti
i popoli oppressi, perch i principi d'Italia sono soldati con quelli
dell'umanit. .

E una vergogna che con 25 milioni d' Italiani vi sieno ancora


de'fratelli schiavi. Si, una vergogna, ma per coloro che ci ten
nero inerti fin qui... E noi, noi libereremo Roma e Venezia... ve ne
rispondo l

67

E, quantunque avanzato in et, spero anche di coadjuvare alla li


berazione degli altri popoli oppressi l
E noi anche con voi, proruppe il popolo, con voi a Roma, con
voi a Venezia, con voi per tutto il mondo.
-

cAPrToLo QUARTo.
I.
A

Intanto Garibaldi nella sua grande anima non aveva di


menticato quel profondo concetto di unit che il punto di
partenza dei nuovi tempi la stella dell'avvenire: Fratel
lanza universale; solidariet dei popoli che camminano in
vitti e concordi sulla via della civilt.

I baldi figli di Arad, i forti Madgyari, bagnano di pianto


Ie feconde pianure dove la mandra cavallina corre sfrenata
calpestando la polvere degli eroici Honuvedi.
L'ombra sinistra dei patiboli si projetta come uno spettro
sulla terra vestita a gramaglia.
Le ossa dei prodi biancheggiano insepolte come l'austriaco
carnefice le abbandon; il silenzio delle tombe domina la

solitudine e gli echi del Danubio chiedono invano il festivo


suono dell'hourr 1 vittorioso.

Piangi o Ungheria, piangi perocch tu sei quella che hai


salvata l'austriaca tirannide quando gli era sopra la scimi
tarra ottomana, ed ecco la moneta di cui pagano i tiranni:

polvere, piombo, ferro e corda.


Infelici noi che anco uomini di nome italiano impararono

la gratitudine austriaca; Urbano Rattazzi e l'apostata Ago

68

stino Depretis son degni di sedere nel sinedrio dove si mol


tiplica al cento per uno il danaro di Giuda. Buon pr fac
cia loro per Iddio! buon pr! Ma badino, avvegnach Giuda
fin impiccato, e della corda e della ficaje ce ne ha tuttora.
Badino perocch lddio non paga il sabato ed il popolo che
gli fa da banchiere. Anzi Dio misericordioso fa da banchiere
al popolo e cumula i tesori delle sue lagrime, poi paga a
precisa scadenza le cambiali; e quella che Rattazzi ha accet
tata ad Aspromonte deve tirare da sola a una bancarotta
ben strapazzata!
Udiam le parole dell'eroe:
Che fa l'Ungheria?

Questa nobile nazione, che gi il vittorioso Ottomano vide sorgere


d'un tratto tutta armata a difendere la civilt dell'Europa, quella na
zione a cui supplici si inchinarono i superbi imperatori di Habsburgo,
chiedendo misericordia ed ajuto, dorme dunque e per sempre?
Fratelli Ungheresi ! La rivoluzione ai vostri confini. Aguzzate lo
sguardo, e sulle mura di Belgrado vedrete sventolare la bandiera della
libert; porgete attento l'orecchio, e udirete le schioppettate dei Serbi
che, levati in arme a difesa dei propri diritti, francamente combattono
un abborrito dispotismo.

E voi che fate? Voi popolo forte, che non avete la sventura che ebbe
un tempo l'Italia di essere divisa fra sette tiranni; voi popolo di guer
riri, che aspettate oggimai? Avete dunque spezzate le vostre spade?
Avete dimenticato i vostri martiri, rinnegato i vostri giuramenti di
vendetta ?

O fidereste nelle artificiose promesse dei vostri oppressori? Crede

reste a chi vi consiglia di accettare le insidiose offerte dell'Austria, che


oggi par disposta a concedervi i vostri diritti, ma gi si prepara a tra

dirvi e a ritogliervi per forza o per frode ci che a malincuore vi d?


Ptreste forse sperare buona fede e lealt da un governo ladro e tra
ditore, che dopo la sventura di Vilagos, defraud un'intera nazione
delle sue ricchezze? O ascoltereste chi meno impudente, ma del pari

colpevole, vi lusinga della folle speranza di compiere il vostro riscatto

69

cogli espedienti della legalit, ormai provati insufficienti a redimere i


popoli; o peggio, vi esorta di aspettare ajuti stranieri?

Guai all'Ungheria, guai a tutti i popoli oppressi se voi obbediste


a quei consigli fallaci e codardi, se credeste possibile altro patto fra
voi e l'Austria che l'odio e la guerra.

Oh! non vi lasciate, o fratelli, fuggire un'occasione propizia. I Serbi


combattono per la libert, per l'emancipazione di tutta una razza op
pressa ed avvilita. E voi pure siete oppressi ed avviliti, ed avete
pi che diritto, dovere di rialzarvi a quel grado che meritano le vostre

glorie, le vostre virt ed i servigi che rendeste alla civilt. I Serbi e


i Montenegrini combattono contro il dispotismo; e voi pure opprime
un dispotismo feroce. Voi pure avete sul cuore, come sasso che vi
tronca il respiro, l'Austria, a cui salvaste pi volte l'impero, a cui fo
ste scudo coi vostri fortissimi petti, e che in mercede, viol le vostre
leggi, vi tolse i vostri statuti, tent abolire il vostro linguaggio, po
pol dei vostri migliori le terre d'esilio,empi di patiboli tutte le vo
stre citt.

Vi mancherebbe forse la fede in voi stessi, nelle vostre forze, nel


vostro valore?Ma non dimenticate che nel 48voi, purch avestepro
seguito arditamente il vostro cammino fino a Vienna, avreste spezzato
per sempre il vecchio trono insanguinato degli Habsburgo. Ed ora

pi propizi volgono i tempi: ora la Russia non istender la mano soc


corritrice all'Austria per opprimere i vostri sforzi: ne fu pagata di
troppa ingratitudine; n la Prussia, antica rivale dell'impero, la difen

der dai vostri assalti. Coraggio! Voi siete forti, purch sappiate
osare. Non ascoltate le parole di chi vi consiglia la pazienza dell'igno
minioso servaggio; ma la voce della vostra coscienza che vi grida:
Sorgetel Imitate la Servia, il Montenegro; e imitate chi gi sta per
riaccendere in altri punti d'Europa il fuoco della rivoluzione. .
L'Italia che vi ama come fratelli, che ha giurato rendervi la mer
cede del sangue che i vostri prodi spasero per lei su venti campi di
battaglia; che memore applaude e benedice alla santa memoria di
Tuckery morto per lei; l'Italia vi chiama a partecipare delle sue nuove
battaglie e delle sue nuove vittorie contro il dispotismo; v'invita a
nome della santa fratellanza dei popoli, per la causa della comune
salute.

70
Figli di Arpad, vorreste voi tradire i vostri fratelli? Vorreste man
care al convegno delle nazioni quando elleno si schiereranno a batta
glia contro il dispotismo? La libert, abbandonata da voi correrebbe
grave pericolo; ma la vostra fama sarebbe perduta per sempre. I
martiri di Arad vi maledirebbero come figli degeneri.
Oh! io vi conosco! Io non dubito di voi. L'Ungheria troppo a
lungo ingannata da perfidi amici, si sveglier al grido di libert che
oggi le giunge da oltre Danubio, domani le giunger dall'Italia. E
quando l'ora solenne dei popoli suoni, io vi incontrer, neson certo,
invincibili falangi, sui campi dove si combatter il mortale duello fra
la libert e la tirannide, la civilt e la barbarie.
G. GARIBALDI.

II.

Ad un tratto ecco suona un'altra voce. Alea jacta est.

Garibaldi ha sguainata la invitta spada e procede. Capriolo,

il Seida di Rattazzi, dicono (e io non nego n affermo) di


cono che volesse dargli un milione per mandarlo a insur

rezionare la Grecia.Cos il fido Acate del Caino legulejo


avrebbe per poco danaro liberato s e i suoi dall'incubo di
quei rompicolli di camicie rosse che danno loro tanta noja.
ll disegno era bastevolmente bene inteso ma, se fu conce
pito, lddio lo svent. ll Generale poich ebbe palesemente
adunate armi e volontari dintorno a s senza che da Torino

si ponesse veruno ostacolo lanci al mondo maravigliato il


suo grido di guerra:
-

ai ci

co
Italia e Vittorio Emanuele - Roma o morte.
a

ORDINE DEL GIORNO


''i

Ficuzza, 1 agosto 1862.

, Miei giovani commilitoni,

Anche oggi ci riunisce la causa santa del nostro paese;

anche oggi, senza chiedere che si fa? dove si va? e quale

71

sar la ricompensa delle vostre fatiche? voi siete accorsi


col sorriso sulle labbra, colla gioja sulla fronte, al banchetto

delle battaglie, sfidando i prepotenti dominatori stranieri, e get


tando la scintilla divina del conforto nell'anima dei nostri fra
telli schiavi,

Che la Provvidenza mi mantenga all'altezza della vostra fidu


cia: ecco ci che fu il mio desiderio di tutta la vita, e che rias
sume l'ardente mio desiderio d'oggi.

Fatiche, disagi, pericoli, sono le solite mie promesse; e quelle


promesse che spaventerebbero anime deboli, o mercenarie, sono
uno stimolo io lo so per i coraggiosi uomini che mi ac
compagnano.

Io vi conosco bene, resti mutilati di gloriose battaglie; e co


nosco bene l'animosa giovent che mi segue. A voi dunque

superfluo sarebbe chiedere valore nelle pugne. Devo per da


questa stessa giovent chiedere la disciplina, senza la quale non
pu esistere armata, e che noi dobbiamo curare non meno degli
eserciti stanziali. Ricordiamoci, che fu colla severa loro di
sciplina che i Romani poterono padroneggiare il mondo.
Anche l'affetto delle popolazioni che visiteremo, noi dobbiamo

procurarci; la gloriosa nostra impresa verr dal buon contegno

verso di quelle agevolata assai; e l'ultima nostra campagna del


1860 n' ben una prova.

Noi, riuniti al nostro prode esercito, daremo un ultimo saggio


del valore italiano col realizzare al fine la patria

ed i valorosi figli della Sicilia saranno

unificazione

anche questa

volta i pre

cursori de' grandi destini a cui chiamato iI nostro paese.

,
G. GARIBALDI.

Come a Pontida pochi prodi chiusi in un tempio angusto


la Cattedrale di Marsala avevano giurato di redimere

72

la patria o di morire. Ma udite al giuro come rispondesse


Rattazzi dalla regal Torino:
La Gazzetta Ufficiale del Regno recava la seguente relazione a Sua
Maest.
Sire!

Il generale Garibaldi, posti in dimenticanza i doveri del cittadino,


ha alzato in Sicilia la bandiera della ribellione. Il vostro nome e quello
d'Italia stanno ancora ad illusione dei semplici su questa bandiera, ma
non servono pi che a velare gli intenti della demagogia europea, al
servizio della quale egli sembra aver oggi posto il suo braccio e la sua
rinomanza.

Il grido di Roma o morte e le insensate contumelie contro il glo


rioso vostro alleato, accolto con plauso dai soli nemici della libert e
dell'unit d'Italia, divengono sulle sue labbra la causa che pi ritarda
il momento in cui, secondo il voto solennemente espresso dalla nazio
nale rappresentanza, la sede del governo italiano sar stabilita nella
citt eterna.

Pertinacemente sordo alla voce del dovere, egli non si commosso


al pensiero di accendere la guerra civile in seno alla patria sua; la
vostra parola, un d si rispettata, stata senza effetto sopra di lui.
Un'azione pi energica divenuta necessaria.
I rappresentanti del governo in Sicilia, meno facili ad obliare i ser
vigi resi da questo Generale, in omaggio ai sentimenti del paese verso
di lui, e sopratutto in considerazione della singolare benevolenza onde

era onorato da V. M, hanno usato a suo riguardo di una tolleranza


che in altri casi sarebbe stata riprovevole.
1 mezzi di repressione ordinaria che bastarono ad impedire i tenta
tivi onde non ha guari fu minacciata a pi delle Alpi tirolesi la sicu

rezza e la pace dell'Italia sono oggi inadeguati al fine. Ora che ogni
speranza di ravvedimento venuta meno, e che la ribellione aperta,
il governo fallirebbe alla vostra fiducia ed a quella che cogli ultimi suoi
votigli manifestava il Parlamento, ove non ponesse V. M. ingrado difar

forza ai propri sentimenti e di adoperare tutti i mezzi cui, in virt

7o

delle leggi e per la naturale ragione delle cose, l'autorit reale for
nita, al fine di rintuzzare su tutti i punti l'audace rivolta e per instau
rare l'impero delle leggi depresse od oltraggiate in tutta l'isola.
Si tratta, o Sire, di serbare incolumi, contro tutti i nostri nemici, i

principi proclamati nei plebisciti, di assodare l'unit del Regno, e di


mantenere aperta all'Italia la via de'suoi alti destini. Sarebbe colpa

il recedere dinanzi alle esigenze di simile posizione. obbligo inde


clinabile dei vostri ministri di provvedere a questi intenti. Gli im
minenti pericoli, e l'indole delle offese ond' minacciata la patria le
gittimano di per s stessi i provvedimenti che essi sottopongono alla
vostra approvazione. Alzando una bandiera contro la vostra, ar
mando i cittadini contro le vostre fedeli truppe, il generale Garibaldi
si posto contro lo Stato. Egli e quanti lo seguono si sono messi in
aperta ostilit colla legge, d'onde la necessit di trattare il paese che
occupano come un paese tenuto o minacciato

dal nemico.

Eppertanto

vi proponiamo, o Sire, di mettere l'isola di Sicilia in istato d'assedio


per tutto il tempo in cui vi durer la ribellione,fino a che le condizioni
dell'ordine non vi sieno ristabilite.

Il vostro Consiglio assume francamente la responsabilit di questi


provvedimenti eccezionali perch scorge in essi il modo pi sicuro di
ristaurare pi prontamente nelle provincie sconvolte dai ribelli il re
gno delle leggi e della libert, come di farvi cessare le terribili ansie
cui danno cagione i pericoli e le minacce della guerra intestina. Essi
varranno altres, o Sire, a tutelare la Monarchia rappresentativa che
tutti abbiamo giurato di mantenere, a rimovere un gravissimo ostacolo
al compimento dell'unit italiana, ed a rassodare tutti gli elementi della
gloria e della prosperit nazionale.
U. Rattazzi - G. Durando - A. Petitti - R. Conforti - C. Matteucci Depretis - Di Persano - Quintino Sella.

Contemporaneamente, coprendosi colla augusta persona del


Re, i ministri lanciarono il seguente Proclama agli
ltaliani !

Nel momento in cui l'Europa rende omaggio al senno della na


zione e ne riconosce i diritti, doloroso al mio cuore che giova

74
ni inesperti ed illusi, dimentichi dei loro doveri, della gratitudi

ne ai nostri migliori alleati, facciano segno di guerra il nome di


Roma, quel nome al quale intendono concordi i voti e gli sfor
zi comuni.

Fedele allo Statuto da me giurato, tenni alta la bandiera del


l' Italia, fatta sacra dal sangue e gloriosa dal valore de' miei po
poli. Non segue questa bandiera chiunque violi le leggi e mano
metta la libert e la sicurezza della patria facendosi giudice dei
suoi destiui.

Italiani, guardatevi dalle colpevoli impazienze e dalle improv


vide agitazioni. Quando l'ora del compimento della grande ope
ra sar giunta, la voce del vostro Re si far udire fra voi.
---

Ogni appello che non il suo un appello alla ribellione, al


la guerra civile.

La responsabilit ed il rigore delle leggi cadranno su coloro


che non ascolteranno le mie parole.

Re acclamato dalla Nazione, conosco i miei doveri. Sapr con


servare integra la dignit della Corona e del Parlamento per
avere il diritto di chiedere all'Europa intera giustizia per l'Italia.
Torino, 5 agosto 1862.
Firmato: VITTORIO EMANUELE.
Controfirmati: Rattazzi - Durando - Pettiti - Sella - Matteucci -

Conforti - Persano - Depretis - Pepoli.

Si diceva che il governo inglese avesse dato danaro per


la spgdizione. Non vero. E il popolo di quel libero paese
che concorreva con entusiasmo a fornire a Garibaldi i mezzi

di compiere la sua generosa impresa. Gli Inglesi si addimo

75

stravauo in questa occasione pi italiani degli Italiani. Amara


lezione eppur meritata!
ll Morning Star, del 22 agosto, pubblic le seguenti lettere:

All'editore dello Star.

Signore.

Degnatevi, se vi piace, inserir la seguente lettera che ho ricevuta


da Garibaldi, e alla quale io rispondo con gioja, soscrivendo per mille
lire sterline (25,000 fr.).

Io ricever qualunque altra sottoscrizione.


Elm House, Seaforth, presso Liverpool.
Londra, 21 agosto.
Palermo,

Caro amico Stuart,

Mi abbisogna per Roma un imprestito di 20,000 lire (500,000 fr.)


Vi spedisco i titoli.
Io lo dimando all'Inghilterra perch in Italia l'operazione non pu
farsi oggi, senza mettere in pericolo il segreto, che necessario a' miei
piani. Io per lo far seguire da un altro imprestito in Italia.
Ho fiducia che i miei amici in Inghilterra m'ajuteranno in ci, e so
vra tutti, ho fiducia in

voi

Tutto vostro.
Firm. G. GARIBALDI.

IV.

Fu vivamente sentita la proclamazione dello stato d'asse


dio nelle provincie meridionali e cos ne trascegliamo qual
che impressione dai giornali di Palermo.
Riceviamo oggi alcuni giornali di Palermo, in data del 20 e 21, ma
nessuno, nemmeno il Giornale ufficiale, accenna alla proclamazione
dello stato d'assedio n alle conseguenti misure di esecuzione. Bens
troviamo nella Forbice, in data del 20, la seguente notizia:

76

Ordini positivi, a quanto generalmente affermasi, erano stati im


partiti alle truppe nazionali raccolte in Adern, perch avessero impe
dito, anche, occorrendo, coll'uso della forza, l'avanzarsi del generale
Garibaldi sopra Catania; venuti questi ordini a conoscenza della trup
pa,trentasette valorosi uffiziali la maggior parte dei quali si coperse
di gloria nella guerra di Crimea e in tutte le battaglie dell'italica re

denzione, protestando che essi non si batteranno mai contro i propri


fratelli, avanzarono le loro dimissioni. Senza che queste venissero in
quel momento n respinte n accettate, quei generosi vennero tosto
condotti a Catania, dove furono imbarcati per Genova.

Il piroscafo che li aveva a bordo tocc stanane le nostre acque. In


un baleno si sparse per la citt nostra la nuova del loro arrivo. A tale
annunzio, pi che seimila persone accorrono alla marina, dove inco

minciano colle pi entusiastiche espansioni a gridare: Viva Vittorio


Emanuele! Viva l'esercito italiano! Viva i trentasette uffiziali! Viva

Garibaldi! Un gran numero di cittadini invase allora la cala, e git


tandosi in un centinajo di piccole barchette, mosse verso il vapore,
dove restavano i trentasette uffiziali. Il piroscafo venne tosto circonda
to, e qui, tanto da parte del popolo che da quella degli uffiziali, si al
ternarono le pi calde dimostrazioni di affetto.
Intanto dal bordo del piroscafo si facevano dei segnali verso la Ma

ria Adelaide, ed alla risposta che se ne ottenne, dopo dieci minuti, il


vapore salp.
La popolazione, rientrata in citt, percorse, sempre alle stesse gri
da, il corso Vittorio Emanuele. Al suo passaggio, tutti i balconi furono
come per incanto imbandierati, e la popolazione, che trovavasi sparsa
nella via, nelle botteghe e nelle case, corrispose a quelle entusiastiche
acclamaziani con fragorosissimi battimani.
V.
Le testimonianze di riconoscente affetto non erano man

cate all'eroe, ma, sciaguratamente, erano parole.


La giovent di Girgenti aveva sottomesso a Garibaldi un indiriz
zo tutto affetto e gratitudine pregandolo di visitare quella classica citt.

77

Garibaldi rispose con lettera, 2 luglio nel modo seguente:


Alla giovent di Girgenti!
Degni di giovent colta e generosa come voi siete, i sentimenti
espressi nel vostro indirizzo mi confermano nel proposito di visitare
cotesta antica e famosa citt da cui si diffuse tanta luce della prima
civilt greco-italiana.

Persistete nei vostri magnanimi propositi: mantenetevi sem


pre fedeli al programma che gi ci condusse di vittoria in vittoria, e
che se sappiano serbarci concordi ci condurr a Venezia e a Roma.
Quanto a me vi sono grato dell'amore e della stima che mi serbate, e
vi saluto come fratello.
Vostro G. GARusALDI.

Vl.

Si accusa l'eroe di avversare la fede cristiana e di com

battere il clero. Niente di pi falso, niente di pi iniqua mente calunnioso.

Tutte le volte che il cittadino illustre si trov a contatto

con qualcuno di quei veri ministri di Dio che ebbero nome


Ugo Bassi, Gusmaroli, Verit, egli si inchin alla maest del
sacerdozio cristiano e domand alla croce, simbolo eminen

temente democratico, di precedere le squadre de' suoi po


polareschi soldati, apostoli di libert.
Ma egli abborrisce i farisei della Curia; sepolcri imbian
cati dentro cui sta lezzo e putredine; egli maledice all'ipo
crita ammantarsi che fanno di una fede di amore per iniqui
fini di odio e di vendetta. Egli venera s l'umile prete del
Vangelo, ma freme allo spettacolo lascivo dei truculenti e
ricchi epuloni in sottana e in rocchetto. Cos egli parlava nel
prorompere del nobile disdegno al popolo di Mazzara :
Tutti quei preti che non fanno altro che impinguarsi con la roba
altrui,succhiando sempre il sangue dei poveri, formandosi in tal guisca

78

un vasto patrimonio, questi sono i preti cattivi. Io non ho inteso


mai, che un apostolo di G. C. avesse 14 m. onze (e additava al pa
lazzo vescovile) all'anno di rendita e si mantenesse carrozze, cavalli ed
altro. Al Re di Roma si son fatti milioni di petizioni perch la
sciasse il potere temporale, ma tutto inutilmente. Napoleone un.,
non fa altro che...
Ora non ci resta altro che il ferro. Farem valere i nostri di

ritti col ferro (voci: Si, si, col ferro. A Roma e Venezia). Si

Roma e Venezia, prima Roma e poi Venezia. (O Roma o Morte,


allora unanime il popolo, ed era il tremendo giuramento che ripeteva
l'eco dell'eroica e vicina Marsala). Ora, io vi saluto popolo mio Mar
salese, io vi ho a cuore. A rivederci. Addio.

VII.

Prendiamo ora a prestanza alcune parti di una relazione


che il nostro amico A. Dumas ha pubblicata sulla via croce

da Palermo ad Aspromonte. un valoroso volontario unghe


rese che parla, un compatriota del martire Tukery che dor
me sotto la zolla di Milazzo. Uno di que' madgyari che non
avevano risposto al proclama di Garibaldi col silenzio o col
l'amara parola del ripudio.
a notarsi un fatto: lungo la via della Ficuzza, a quindici mi
glia da Palermo, a sinistra di questa via, sopra una piccola col
lina era accampato un battaglione di truppa di linea, che, unal
grado le camicie rosse e le armi portate visibilmente e da quelli
che viaggiavano in vettura e da quelli che viaggiavano a piedi,
non ci mosse alcuna domanda.

Partiti la sera a mezzanotte, giungemmo la domane a mezzo


giorne.
Trovammo Garibaldi a capo di 1200 volontari gi riuniti.

Garibaldi, riconoscendo i suoi fedeli ungheresi, 'diresse loro


queste parole:

79

un buon augurio per me che voi siate venuti i primi: il


giorno della vostra patria finalmente giunto.

Egli s'inform dei bisogni della nostra truppa; Garibaldi non


aveva danaro; sino a Catania, a parte i viveri presi lungo la
via, noi non ricevemmo alcuna paga; tutto, tranne i viveri, si
faceva a nostre spese.
Rimanemmo alla Ficuzza solo una notte. Non si aveva assolu

tamente che del pane, e un po' di vino; tutto il rimanente ,


mancava, persino l'acqua.

Generosi soldati di libert! sempre uguali a voi medesi


mi, sempre niseri e pur sempre pronti ad affrontar le palle
nemiche e la domestica ingratitudine.
ll 4 agosto, Garibaldi part alle 9 del mattino con Menotti e
con tutto il suo stato uaggiore, del quale faceva parte fra Pan
taleo.

Il battaglione Menotti e la colonna Corrao lo

seguivano ; egli

prese la direzione di Mezzochiuso.


lo non lo rividi che a Santa Caterina.

Noi partimmo in quello stesso giorno a mezzod colla colonna


Bentivegna. Gli Ungheresi erano montati sopra muli e cavalli; i

fanti camminavano a piedi; una gran parte non era armata.


Tutti erano allegri e pieni di speranza. Si cantava l'inno di

Garibaldi, la canzone dei bersaglieri, e tutte le canzoni nazio


Bali della Sicilia.

Si giunse lo stesso giorno a Corleone, a 4 ore pomeridiane.

Il viaggio era durato 4 ore soltanto, poich, avendo preso la


via della montagna, lo si era raccorciato di quasi dieci migIia.
A Corleone fummo accolti con entusiasmo. Gli abitanti ci ven

nero incontro con bandiere e colla musica della guardia nazio


male che cantava l'inno di Garibaldi.

A Corleone ci furono distribuite scarpe e camicie rosse. Una


sentinella della truppa regolare mont la guardia alla porta dello

stato maggiore; dopo tali segni di simpatia, noi dovevamo cre


dere che Garibaldi procedesse coll'assenso del governo.
Tuttavia, quanto a me, personalmente, avendo letto la sera della

mia partenza due affissi , l'uno recante un decreto del prefetto


Cugia, l'altro un proclama del governo alla popolazlone sicilia
na, ambedue disapprovanti la spedizione di Garibaldi e vietanti
gli arruolamenti , io avevo perduto quella fiducia che animava

quasi tutti i miei compagni, e gi alla Ficuzza avevo parlato loro


francamente.

Come spiegher questi fatti Caino?

Che cosa risponder egli alla voce del popolo, voce di


Dio che lo incalza domandando:

Che hai tu fatto del fratello?


Passammo la notte a Corleone, accampati in due conventi. La

mattina a tre ore si part. Era notte oscura, ogni battaglione por
tava una lanterna in testa; la strada era deserta, essendo di
quelle praticate soltanto dalle persone del paese.

A Corleone avevamo gi ricevuta la notizia che s'avvicinavano


truppe dell'esercito regio. Discorrendo per via di questa notizia
che ciascuno commentava a seconda de' suoi dubii e delle sue

speranze si giunse a sei ore del mattino a Chiuso.


Trovammo la maggior simpatia fra la popolazione di questa

piccola citt di 10 mila abitanti in circa; quivi facemmo sosta.


Si part alquanto dopo mezzanotte recando sempre ogni
battaglione la sua lanterna per Palazzo d'Atriano, villaggio

albanese, in cui pi di met della popolazione greca. La stessa


mattina era ivi giunta una compagnia della truppa regolare.

Essa alloggiava in un convento in fondo al villaggio.


Questa compagnia ci fece accoglienze da camerata.
Domandai ad un soldato se sapesse a quale scopo la sua com

pagnia fosse stata mandata a Palazzo d'Atriano; rispose di non


saperlo; gli officiali dal loro canto discorrevano amichevolmente
OIl IlOl,

31

Noi prendemmo alloggio nelle case.

Ad un'ora e mezza del mattino, ci riponemmo in via accre


sciuti di una quindicina di volontari, per alla volta di Santo Ste
fano. Nessuna precauzione erasi presa; noi marciavamo senza

avanguardia n retroguardia, e senza esploratori sui nostri fian


chi; molti volontari stanchi si coricavano lungo la via; i meno
stanchi continuavano la strada appoggiati sulle bacchette di ferro
dei loro fucili come sopra bastoni.
Met della piccola truppa rimase in addietro; l'altra giunse a
-

Santo Stefano a undici ore del mattino.

La popolazione ci accolse non solo senza gioja, ma cupa e tri


sta; ci che formava un grande contrasto coll' accoglienza avuta

dalle popolazioni per mezzo alle quali eravamo fin'allora pas


sati.

Si lasciarono in libert gli uomini, per il pasto e per il son


no; tutti avevano i loro quartieri, eccetto una parte del batta
glione Frigyesi e tutto il battaglione Cairoli che si acquartiera
rono in una chiesa situata nel centro del villaggio.

Verso le 4 e mezza la truppa regolare era venuta ed aveva


occupato l'estremit del villaggio, ponendo sentinelle d'avampo
sti: era il primo movimento ostile che vedevamo.

Verso le cinque meno un quarto, tre o quattro carabinieri,


penetrarono nel villaggio. Pareva non avessero altra intenzione
che quella di passeggiare.

Riconoscendo nel vilaggio un disertore, del quale si erano


loro dati i contrassegni, essi vollero arrestarlo; il disertore chia
m al soccorso.

I volontari corsero e ridomandarono il loro compagno con

energia; i carabinieri si ricusarono, mostrarono anzi di volerlo


condur seco; i volontari insistettero; uno dei carabinieri fece
fuoco sovr'essi col suo revolver e fer un volontario nel braccio.

I volontari si ritirarono strappando il disertore di mano ai ca


rabinieri.

MISTRALI, Da Caprera ad Aspromonte, ec.

82
Ma tutti i volontari che erano ne'loro quartieri, udito il colpo
di fuoco e il rumore, che l'aveva seguito, si slanciarono nella via
colle loro armi.

Dal loro lato una quindicina d'uomini della truppa regolare,


di guardia agli avamposti, si avanzarono e disarmarono un cen
tinajo di volontari.
Quelli che non si erano lasciati disarmare cominciarono il fuoco
sopra la truppa; il rimanente della truppa regolare venne a tam
buro battente in soccorso ai soldati impegnati nella lotta. Un

luogotenente dei volontari, di nome Tronconi, pose il suo fazzo


letto bianco ad una canna e si avanz verso la truppa come par
lamentario; la truppa fece fuoco su di lui e una palla lo colpi
nella mano con cui portava la bandiera; egli prese questa nella

mano sinistra e continu ad avanzarsi; la truppa prosegu il suo


fuoce. Tronconi fu costretto a riparare in una casa.
Il colonnello Bentivegna e il maggiore Cairoli accorsero co
mandando ai loro uomini di cessare il fuoco. L'ordine fu pronta

mente eseguito, e la truppa dal suo canto cess anch'essa il


fuoco.

ll capitano della compagnia regolare domand il disarmo di

Bentivegna e di Cairoli: essi diedero tosto i loro due revolver,


le sole armi che avevano.

Il colonnello Bentivegna chiese allora che venissero restituiti i

fucili ai volontari: questa domanda fu respinta.


Dopo un colloquio di pi di un quarto d'ora, si separarono
senza ottener risultati. Bentivegna e Cairoli ritornarono all'alloggio del maggiore Frigyesi, assai eccitati ambidue, e Cairoli in
ispecie: domandarono consiglio al maggiore sul da farsi: Frigyesi
usc tosto con loro.

Alla chiesa, vale a dire a cinquanta passi dal sito in cui era

avvenuta la collisione, egli trov sui gradini della chiesa i vo


lontari in quella acquartierati e che ne erano usciti. Egli disse
loro: Aspettate la truppa nella chiesa, aspettate colle ba

83

jonette sulla cima dei fucili, ma senza far fuoco:poich l'ordine


del generale Garibaldi prima di partire da Ficuzza fu, che in
nessun caso si avesse a far fuoco sopra la truppa regolare.
I volontari gridarono: Viva Garibaldil e Frigyesi con Bentive
gna e Cairoli, essi tre soli, a rischio, d'essere fatti prigio

nieri recaronsi a rinnovare all'officiale della truppa regolare


la domanda di restituire i fucili, promettendo che i volontari
che avevano fatto fuoco sarebbero stati puniti.
-

A tutte queste domande fu risposto con un rifiuto assoluto e


coll' intimazione che i volontari abbandonassero tosto il vil

laggio.

Molti volontari, fin dai primi colpi di fucile avevano lasciato


il villaggio e si erano ritirati sulla montagna.
, ,, i
Frigyesi propose al colonnello Bentivegna di riprendere i fu
cili che erano stati deposti, in fasci con una sentinella a ciascun

fascio: il colonnello Bentivegna respinse la proposta e ordin si


abbandonasse il villaggio per evitare un combattimento tra fra
telli; e di vero il vantaggio del numero dalla parte nostra, non

lasciava alcun dubbio sui motivi di questa determinazione, i


Si part da Santo Stefano alle sei di sera, lasciando tre morti
che si erano trasportati in una casa e quattro feriti affidati alle
cure del Sindaco.
.

ll primo sangue era versato. Mani cittadine armate, con


tro mani cittadine aveano combattuto. ltaliani contro ltalia
ni! Rattazzi contempla la opera tua. Guardati le mani o

Caino! Esse grondano sangue, sangue fraterno! Guarda l'in


chiostro che scrive i tuoi decreti, esso sangue. Parla

menti, e Consigli, e Diplomatici potranno assolverti e ti as


solveranno forse, ma non ti assolver la giustizia di Dio.
ll tuo posto nella cerchia che Dante chiam Caina, Ma
maldo ti aspetta.

------ - -

84
VIII.
Al momento della partenza si era saputo che la truppa rego

lare aveva occupato Castel Termini; la notte sopraggiunse quando,


noi gi eravamo a 4 miglia dalla citt; ci trovavamo in luo
ghi completamenie deserti, e non avendo avuto il tempo di pren
dere guide, smarrimmo tre volte la via tre volte facemmo
sosta e simulammo un piccolo accampamento; eravamo costante
mente ritornati sui nostri passi.
La mattina, a 4 ore e mezza, scorgemmo venirsene a noi due
paesani a cavallo; proponemmo loro di servirci di guide, pagan

doli, ed essi rifiutarono; allora li prendemmo a forza e li costrin


gemmo a condurci a Castel Termini. Lasciato il corpo della spe
dizione nella montagna e circondatolo di avamposti, noi conti
nuammo la nostra via - il colonnello Bentivegna, il maggior

Cairoli, il maggiore Frigyesi, io, quattro ungheresi e due ordi


nane,

I quattro ungheresi indossavano l'uniforme della legione.


Noi entrammo a dieci ore del mattino nel villaggio e ci tro
vammo a fronte, sulla piazza, una compagnia di truppe regolari.
Il tamburo batt la ritirata: la compagnia fece fronte indietro,
e, lasciandoci libera la via, part a tamburo battente. ll co

mandante della guardia nazionale aveva dichiarato al capitano


della compagnia che n egli n i suoi uomini avrebbero prestato
soccorso alle truppe regolari contro Garibaldi e che la popola
zione voleva ricevere i volontari con sentimenti di affetto e sim
pati.

Era questa dichiarazione che aveva deciso l'officiale della


compagnia a battere in ritirata.

Ci valse a rianimarci alquanto: per che la freddezza degli


abitanti di Santo Stefano ci avesse agghiacciati.

Ivolontari giunsero a mezzo giorno: la popolazione tutta li

-----------------

85

attendeva alla porta. Essi furono ricevuti con grida fanatiche:


sventolavano bandiere a tutte le finestre.

I biglietti d'alloggio furono inutili: ciaschedun proprietario


di casa, secondo la capacit di questa, prese seco due, tre, quat
tro volontari; neppure si tratt di razioni di pane o di vino:
tutto ci fu offerto gratis.
Si era ricevuta la notizia che due carri carichi di camicie

rosse e di fucili erano stati confiscati, all'uscir di Palermo, dai


carabinieri regi, ma che la sera stessa erano stati rilasciati in li

bert. La cosa era vera, ma i carri non ci raggiunsero mai.


La sera del secondo giorno poich, essendo stati cos bene
ricevuti a Castel Termini noi vi rimanemmo due giorni - la

sera del secondo giorno, in mezzo ad auguri di buon viaggio


per noi, di buon successo per Garibaldi, e a maledizioni per gli
abitanti di Santo Stefano, noi lasciammo Castel Termini verso le
dieci, ben muniti di guide e prendendo la direzione di Misilmeri
villaggio greco dominato da un castello saraceno. Ivi giungemmo
la mattina a nove ore; la popolazione ci accolse piuttosto male

che bene: solo la musica della guardia nazionale ci venne in


contro suonando l'inno di Garibaldi. Noi bivaccammo in una
chiesa e in un convento.

Credevamo di avere a partir per Girgenti e quivi imbarcarci;


la sera a otto ore lasciammo il villaggio e con una marcia forzata,
la domane, 9 agosto, raggiungemmo il generale Garibaldi a Santa
Caterina.

Quivi trovammo non solo il generale Garibaldi, ma anche il


generale Corrao, colla sua brigata siciliana, mista a molti diser
tori di Palermo; Menotti, co' suoi cacciatori delle Alpi, e il bat
taglione di Bedeschini; gli officiali di stato maggiore Basile,
Corte, Basso, Guicciardi, Bruzzesi, Guastalla, Albanese, Lusiada,

Burattini, fra Pantaleo e il capitano Kowascz di nazione unghe


reSe,

Tutti i volontari di Corrao e di Garibaldi avevano cappotti

---

- -

- -

86

militari ed erano armati di fucili prussiani, ben calzati e meglio


disciplinati che non la colonna Bentivegna.
La citt era adorna di bandiere e la sera precedente eravi
stata illuminazione in onore del Generale.

Garibaldi, quasi non avesse aspettato altri che noi, part una
mezz'ora dopo il nostro arrivo , vale a dire verso le 8 del mat
tino in vettura, senza che si sapesse per dove.
La domane, alle nove del mattino, noi partimmo a nostra volta
nell'ordine seguente:

Avanguardia battaglione Menotti.


Seconda guardia battaglione Bedeschini.
Corpo d'armata colonna Corrao.
Retroguardia colonna Bentivegna, ecc.
Noi potevamo avere allora 3500 uomini.

Giunti a Villa Rosa, per dove il generale Garibaldi non era


passato, fummo ricevuti dalla popolazione e dalla guardia nazio
nale con entusiasmo; ivi rimanemmo sino alle tre del mattino
alla qual'ora ci incamminammo per la strada maestra la prima
da noi battuta per alla volta di Castro-Giovanni, nido d'aquile'
sulla cima di una roccia, che forma il centro della Sicilia. I pae

sani la chiamano ancora coll'antico nome saraceno, Hennah.


questa una forte posizione, nella quale 5000 uomini potrebbero
sostenere un assedio contro 15,000.
Fummo accolti con entusiasmo, all'ingresso del villaggio, dalla

pepolazione, dalla guardia nazionale e dalla musica; l'incertezza


della nostra posizione di fronte al governo si faceva sentire pi
e pi; il fatto di Santo Stefano aveva gi scoraggiato un buon
numero di volontari, ed io manifestai di nuovo a' miei compa

trioti l'opinione che avevo gi emessa nel partire dalla Ficuzza:


il Re non con noi.

A Leonforte si ebbe notizia che il generale era partito la mat


tina a sette ore, senza che si sapesse per dove. In quest'ultima

citt si giunse a 11 ore di sera; tutta la citt era illuminata, e

87

la guardia nazionale, con tutti gli attestati possibili di simpatia


condusse i volontari ai loro quartieri. ll Generale non si era ve
duto.

Si pass la notte ed una parte del mattino del giorno appresso


a Leonforte, donde si part alle tre pomeridiane. La marcia fu
disordinata, ma solo per negligenza degli officiali.

Si giunse la sera a otto ore a San Filippo, piccola citt di 8 a


10 mila abitanti. Ivi si ebbe la migliore accoglienza da parte
della municipalit, della guardia nazionale e della popolazione.
Facemmo il nostro ingresso nella citt illuminata, preceduti dalla
musica della guardia nazionale.
Garibaldi era quivi giunto il giorno innanzi , di mattina, ed
aveva preso alloggio in casa del Sindaco.
Io ero alloggiato in casa di un barone di cui non ricordo il
nome del resto in Sicilia ed in Catania tutti i proprietari
sono baroni. Egli ci raccont che era giunta da Messina al pre .
fetto di Catania una lettera, la quale ne racchiudeva quattro al

tre, indirizzate, l'una al Sindaco di Catania, l'altra al Sindaco di


Patern, la terza al Sindaco di San Filippo, che era amico del
barone presso cui avevamo alloggio, e la quarta infine, con un
suggello reale di cera rossa, al generale Garibaldi, ma senza
luogo di destinazione.

Mi si narr pi tardi che il generale dopo aver ricevuta que


sta lettera aveva allegramente annunciato a' suoi officiali esser

egli sicuro oramai di raggiungere lo scopo della sua spedizione,


poich la lettera da lui ricevuta conteneva un ordine diretto
alla truppa di obbedirgli.

Qual questo mistero? Noi non presumiamo neppur per


ombra di sollevare il velo; voglia la buona sorte della pa

tria Italiana che la luce intiera si faccia nei prossimi dibat


timenti parlamentari.

Tacere sarebbe render complice la rappresentanza del


paese della codardia Rattazziana.
-

---

---

---

tre-

--

88

Che Garibaldi abbia potuto ricevere un messaggio reale


non mi sorprende, ma non possiamo credere alla interpre
tazione che qui si da.

lmporta che la nazione esca da queste dubbiezze che ti


rano al disfacimento dell'ordine costituzionale.

La tromba della truppa regolare dava gi il segnale di avan zarsi. Ad un tratto, la truppa regolare si ferm; il generale Ga
ribaldi in persona si avanz allora verso gli avamposti della li
nea, e present all' officiale una lettera; questi la lesse, poi or
din alla truppa di rimaner fermi. Il Generale ritorn e ordin
si prendesse il cammino a sinistra della linea: dopo una mez
z'ora di marcia si occuparono, in faccia a questa, dei giardini

appartenenti ai proprietari della citt. In quella posizione la


truppa non ci poteva scorgere, essendo noi lontani da essa pi
di due chilometri.

Nessuno di noi pu dire che cosa vi fosse nella lettera: ma

tutti possiam dire qual fosse il risultato della sua lettura. La


voce corsa a San Filippo che il Generale avesse ricevuto una let

tera col suggello del Re, ci conform viemaggiormente nella


credenza che quella lettera fosse davvero di Vittorio Emanuele.

Ci ne sembrava tanto pi verosimile in quanto che Garibaldi


era venuto solo a Patern, era entrato solo nel villaggio, occu
pato dalle truppe, e quivi aveva dato i suoi ordini perch si re

casse al campo del pane e del vino. Ora, come fu che la truppa
regolare, la quale occupava il villaggio, non siasi impadronita
di Garibaldi?. Essa avrebbe cos risparmiato il doloroso fatto

di Aspromonte ed avrebbe agito secondo le regole di buona


guerra.

Durante la marcia, ci sopraggiunse la notte; quella marcia si

comp in un disordine indescrivibile; noi ci lasciavamo addietro


lo stradale coperto di dormienti; gli officiali facevano avanzare
gli uomini per forza, dicendo che i carabinieri facevano prigio

89

nieri quelli rimasti addietro; era rotto ogni vincolo d'ordine e


disciplina; la stanchezza fomentava la resistenza; non si voleva
pi andare innanzi e pure si era ormai a sole dieci miglia da
Catania.
r
Verso un'ora dopo mezzogiorno , un convoglio della truppa

regolare, di 14 carri in circa, s'imbatt sulla nostra via.


Noi lo lasciammo passare senza inquietarlo menomamente.
li Generale con una porzione dei battaglioni Menotti e Bede
schini era entrato la mattina del 18 agosto verso le 4 ore in Ca
tania.

ll Comandante della piazza ed il Prefetto si erano ritirati a


bordo della fregata il Duca di Genova che stazionava nel porto.
La truppa che occupava Catania era uscita anch'essa ed erasi
accampata a 5 miglia dalla citt.
Catania acclam Garibaldi con entusiasmo. Vuolsi dire che una

parte della popolazione appartenente alla nobilt aveva lasciato


la citt sino dal giorno addietro, alla notizia dello avvicinarsi
di Garibaldi.

La casa ov'era il circolo degli operai, era costantemente asse


diata dalla popolazione, la quale vedendo Garibaldi per la prima
volta, non poteva stancarsi di rimirarlo. Ad ogni momento, egli
era costretto a comparire al balcone; egli si mostrava, pronun

ciava alcune parole sempre freneticamente accolte, poi si ritira


va; ma non si ritirava la folla che attendeva senza posa una
nuova apparizione.

Si pubblicarono affissi sollecitanti gli arruolamenti: si cre


una legione catanese formata di soli cittadini di Catania; si or
din inoltre che quanti trovavansi dei mille, fra i volontari, for
massero una compagnia a parte sotto il nome di Superstiti dei
mille. Io ebbi l'onore di farne parte, avendo combattuto nella

prima campagna di Sicilia. Tutti questi affissi e decreti por


tavano in testa le parole: Roma o morte e finivano colle stesse
parole: Roma o morte,

99

Il terzo giorno si organizz definitivamente il corpo deivolon


tari; si diedero loro nuovi fucili giunti per la guardia nazionale
di Catania e vi si incorporarono i disertori col titolo di istrut

tori. lnfine si fece una certa scelta di uomini sicuri e gi noti


per offerte prove di s.

Si distribuirono inoltre a ciascun milite cinque franchi, agli


officiai cinquanta, ed agli officiali superiori fino a duecento.
Tutti questi pagamenti vennero fatti in soldi nuovi coll'effigie di
Vittorio Emanuele. Questo danaro veniva da Torino per essere
scambiato coll'antica moneta.

Non v'era tesoro generale, ma solo cassa di compagnia , di


battaglione e di reggimento.
Il 24 a tre ore del pomeriggio, ricevemmo l'ordine inatteso di
prepararci alla partenza; si lasciarono indietro tutti i capi di

vestiario e tutte le scarpe ordinate e si marci verso il porto.


Un po' prima delle tre ore, l'Abbattucci ed il Dispaccio erano en
trati nel porto provenienti da Messina : dal loro

arrivo era stato

motivato l'ordine di partenza.

Con una cannoniera che avesse tirato un sol colpo di cannone


e inviata una palla da 12 in mezzo ai volontari si sarebbe im
pedito questo imbarco che ebbe luogo in un disordine indescri

vibile. Il Generale faceva il possibile per porre un po' d'ordine


in quel caos e per distribuire gli uomini nei due vapori : si en
trava dalle baracche dei bagni a rischio che tutto si rompesse
sotto i nostri piedi e fu un miracolo che alcun sinistro non avesse
luogo. Una gran parte della popolazione assisteva a questo spet
tacolo, desiderosa di veder partire i volontari per uscire da que
sto dubbio: Garibaldi cammina o non cammina d'accordo col

governo ? Si era fatta una certa scelta tra i volontari e si erano


lasciati a Catania tutti quelli di cui si diffidava, non conducendo

che gli uomini i quali avevano dato prova di lealt e di coraggio.

Fra questi erano quasi tutti i volontari del 1860, un gran nu


mero di veneti e quasi tutti i disertori della truppa in numero

91

di 400 circa, compresi quelli che si erano raccoiti da Palermo a


Catania.

l volontari e persino la maggior parte degli ufficiali ignora


vano la destinazione per la quale erano imbarcati; nello stato
maggiore di Garibaldi si poteva notare un ufficiale greco, col
suo elegante costume di palicaro; ci che faceva credere ad al
cuni che si avesse a partire per la Grecia.
e

I due vapori partirono senza accender fuochi di posizione, ca


richi a rischio di colare a fondo. Siccome le navi erano piene di
munizioni, fu proibito di fumare; il bastimento aveva un tal
rullio che gli uomini erano costretti a calcolare tutti i loro mo
vimenti per mantenere l'equilibrio. Il generale stesso aveva preso
il comando del Dispaccio. Pulsky, Missori, Mordini, Nicotera,
Nullo e tutto lo stato maggiore di Garibaldi si trovava col Ge
nerale a bordo del Dispaccio. Dopo una traversata terribile, nella
quale il Dispaccio serviva di guida, si giunse in vista di terra
alle 4 ore ed un quarto del mattino.
Si sbarc a Pietrofalcone; uno dei vapori, l'Abbattucci, aveva
sofferto una piccola avaria avvicinandosi di troppo alla spiaggia;
si assicurarono i vapori alla spiaggia per mezzo di corde; il Ge

nerale sbarc il primo e immediatamente si pose in cammino a


piedi seguito da alcuni ufficiali alla volta di Melito, villaggio
a due miglia circa di distanza.
Nella sua assenza, si oper lo sbarco.
Indi a due ore, noi lo vedemmo ritornare accompagnato da
un' amazzone francese e dal Sindaco di Melito, come pure da al

cuni abitanti di questo villaggio i quali ci confermarono che il


mattino stesso, come per farci luogo, la truppa aveva lasciato
Melito. Erasi assicurato al generale che in Calabria egli avrebbe

trovato tutto pronto e battaglioni di volontari gi formati a Mon


teleone, a Cosenza e a Catanzaro. La cosa era vera.
Si entr a Melito: ma Melito non era approvigionato di nulla.

Ivi si afferm al Generale che egli avrebbe trovato nella monta

92

gna tutto il necessario per la sua truppa, armi e viveri. La truppa


accamp parte nel villaggio, parte nel letto della fiumana disec
cata che passa ad un miglio da Melito. Si posero avamposti sopra
la grande strada di Reggio.

Da questa prima sosta non si mangi pi.


A tre ore del mattino, le trombe diedero il segnale della par

tenza per Sannazaro, dove si fece sosta di nuovo ; una deputa


zione era venuta da Reggio; la componevano un certo numero

di cittadini, fra cui riconobbi un sacerdote di mia conoscenza, di


nome Francesco Pontieri : questa deputazione veniva a dire

che la popolazione di Reggio, fedele al Re ed allo Statuto,faceva


chiedere a Garibaldi che cosa egli desiderasse, e lo avvertiva che
la truppa regolare era pronta a difendere a mano armata i din
torni di Reggio; vedendo i quali preparativi ostili da parte del
militare, la popolazione pregava il Generale a risparmiarle il
triste spettacolo di una lotta. Cialdini era giunto la mattina
stessa; era rimasto un quarto d'ora a Reggio e ne era ripartito

togliendo alla citt ogni speranza.


Il Generale rispose:
Io sono passato per tutta la Sicilia senza essere inquie

tato; domando solo di traversar Reggio e di ricevere viveri per


i miei uomini.

IX.

Le nubi si diradavano, ma per lasciar scoperto un cielo di


maggiori e pi terribili tempeste. Rattazzi vedeva riuscita pie
namente la sua infernale disposizione; egli da Torino calco
lava a poco a poco le supreme angoscie della grande ani
ma di Garibaldi, e,se ci lecito una volgare similitudine,

ci pare di veder nella figura del perfido legulejo chiuso nei


penetrali del suo gabinetto ministeriale uno di quegli enor
mi ragni velenosi del tropico che avvolgono nella insidiosa

93

rete della tessuta bava l'insetto dalle variopinte ali e il co


libri dalle penne d'oro. Anco la comparazione del serpente
potrebbe farsi, ma quanto a Garibaldi , egli, cedendo alla
ineluttabile fatalit, non ignorava di quanto fosse capace il
suo nemico, e, come Cristo alla Cena, egli sapeva chi do
veva trarlo alle angoscie del Calvario.
Una fregata corazzata, la Maria Adelaide; erasi allora mostrata

(il nostro campo trovavasi a cento metri circa dalla spiaggia) ed


avea cercato il punto favorevole per tenerci sotto il tiro del suo
cannone. ll generale Garibaldi, con tutto il suo stato maggiore e
il battaglione Menotti, trovavasi, passando sulla via al passo di

marcia, in faccia alla fregata e direttamente sotto il suo fuoco.


Nello stesso istante si videro i fianchi della nave coprirsi del fumo
de'suoi cannoni, si ud il rumore della fucilata, ma le palle da
cannone e da fucile passarono di sopra le nostre teste come una

salva d'onore: il Generale rispose a quella salva salutando colla


sua sciabola, ma tuttavia per maggior precauzione si fecero mar
ciare gli uomini sopra una sola fila.
Si marci col ventre vuoto sino alla fiumara Valessidi : la no

stra guida erasi collocata presso il Generale e marciava allato


a lui.

Ci accampammo nel letto medesimo del fiume; faceva orribil


mente freddo; molti di noi presero la febbre, tutti erano abbat

tuti ed affranti; ad un miglio da noi si scorgevano i fuochi delle


truppe regie.

Del resto a Santo Stefano si venne a sapere una cosa della


quale noi gi dubitavamo, che cio esisteva un'altra via oltre
quella da noi presa, una via perfettamente libera che conduceva
da Sannazaro a Santo Stefano in dodici ore, mentre per varcar

lo stesso spazio noi avevamo impiegato due giorni e due notti.


lira impossibile d'altronde il dire quale distanza noi avessimo

percorsa, nel mentre la truppa, meglio informata di noi, aveva


preso la via pi breve e pi comoda.

-----

------------------

94

In un attimo, tutto quello che Santo Stefano ci pot fornire,


fu divorato.

A tre ore, noi partimmo, col Generale alla testa, La guida era
rimasta a Santo Stefano, senza dubbio per avere la sua ricom
pensa.

Ci voleva anche il traditore volgare, la spia, il compro


Giuda. Vorremmo sapere per consegnarlo alla vendetta della

istoria anco il nome di costui. Vorremmo sapere la moneta


che gli avranno pagata sul bilancio delle spese segrete per

aver condotto nell'agguato l'eroe. Eppure no. pietoso di


visamento della Provvidenza risparmiare un nome italiano
alla maledizione della posterit. La giustizia di Dio punir

l'atroce colpa e pagher anche questo ignoto fratello di


Caino.

CAPITOLO QUINTO.

,
r1
,

I.
-

Ed ecco l'ora del sacrificio.

Dio misericordioso, deve aver detto l'Eroe, allontanate

dunque da me questo calice di amarezza ! ' '

'

L'ora fatale del martirio crudele all'uomo che instin

tivamente rifugge dal soffrire.


.
Dalla partenza di Reggio in poi pi di ottocento uomini
avevano abbandonata la spedizione. In tutto, Garibaldi non
contava pi di 1800 volontari.
La stracchezza era tale che al comando del Generale per
raccoglier legna nessuno rispose.
Vedo che tocca a me a dar l'esempio, disse Garibaldi, e

tratta la sciabola si incammin al bosco. Tutti lo seguirono.

95

Codest'uomo ha, come Cristo, il dono di trascinar seco


le genti. l posteri forse lo chiameranno Santo e Messia;
quale apoteosi sar pi meritata?
l miseri erano traditi. La deputazione di Reggio avea
promesso che sulla piana di Aspromonte avrebbero trovato
viveri, soccorsi, provvisioni trovarono la solitudine de
serta!

Senza schermo contro la piova fitta e fredda che tutta


la notte dur costante, senza pane da sfamarsi aspettaron
l' alba, e l'alba venne ma collo scoraggiamento della di
sperazione.
La tromba suon a raccolta. ll generale sal sulla mula
nera che lo aveva condotto da Santo Stefano e sulla porta
dell' abituro parl; erano le ultime parole del Cristo che
si avviava al Golgota :

lo so bene che non posso domandarvi una disciplina


militare; ma ancora pochi giorni e noi avremo vinti gli
ostacoli: tutto riprender allora il suo cammino regolare, e
come ho promesso, malgrado ogni cosa, noi raggiungeremo
la nostra meta: Roma o morte !

Ed ora per narrare la dolorosa giornata lasciamo la pa


rola a que' fidi incrollabili uomini che furono compagni al
l'Eroe nella prospera come nella avversa fortuna.
Il mondo officiale, i seidi di Rattazzi, i venduti servitori

della pagnotta dieder loro compenso polvere e piombo, car


ceri, catene, ma il mondo vasto della umanit, il mondo

dell'avvenire e della istoria dar loro, e gi diede, premio


di immortale gratitudine; il nome loro non morr, ma nei
cuori italiani vivr eternamente benedetto.

96
Li 51 agosto 1862.
A bordo della piro-fregata Il Duca di Genova, partita da Scilla

(Calabria) jeri alle ore 4 pomerediane.


La colonna comandata dal generale Garibaldi fu costretta,
dalle condizioni in cui versava, e dai difficili tragitti di mare, di
lasciare addietro buona parte della gente. Altra molta ne per
dette, estenuata dalla fame, dalle fatiche, dalle marcie lunghe e
disastrose.

La sera del 28 agosto 1862 si radunava e si accampava sopra

gli altipiani di Aspromonte, a nord-ovest, provincia di Reggio


di Calabria, e propriamente nel luogo denominato i Forestali.
La forza della colonna era ridotta a circa 1500 uomini.

Garibaldi aveva formato il suo quartiere generale in una ca


mera angustissima, in una delle due casupole che sorgono sole

in mezzo a quella vasta pianura.

La notte del 28 al 29 scorse fredda e piovosa. A lunghi inter


valli la pioggia cadeva dirotta, accompagnata da vento fortissimo.
I volontari potevano appena mantenere i fuochi, che con molto
stento avevano acceso.

La sera del 28, e la mattina del 29, si distribuirono alcune


scarse vettovaglie, giunte dai paesi circostanti.
Serrati, come ci trovavamo, dalle truppe regolari, la colonna
era ancor troppo forte di numero per poter percorrere, come era
necessario, onde evitare un incontro con le truppe, i sentieri
montuosi e gli alvei dei torrenti; era troppo numerosa, per po
tersi procacciare lo stretto bisognevole per la vita dai piccoli
paesi pochi e poveri, occupati ormai quasi tutti da coloro che
ci inseguivano.
Il generale Garibaldi aveva divisato di dividere la colonna in

due, per farle marciare, con istruzioni che avevano unit di


scopo e di intendimento, per vie diverse.

Ma intanto le truppe regolari erano giunte il giorno 28 ad

97

Arci, quando i volontari, in parte, trovavansi ancoraa Pedargoni


ed a Santo Stefano.

Eravamo divisi da una marcia, o da due tutt'al pi. Le truppe


arrivavano in un paese, quando i volontari ne uscivano; alcune
volte ne raggiungevano dei drappelli, ed allora si aveva l'aria di

fare dei prigionieri. di guerra? Qual guerra? Nessuno aveva


combattuto.

I volontari avevano ordini espressi e formali di non assalire,


di non difendersi, di camminare rapidamente; ecco tutto.
Il 29 agosto, poco avanti mezzogiorno, il Generale fece togliere
il campo dai Forestali di Aspromonte. Le truppe erano arrivate,
sino dalla sera, a Santo Stefano. Non avevano pi che a marciare
un pajo d'ore per guadagnare lo stesso altipiano occupato da
noi.

Nell'intento sempre di scansare un incontro con le truppe, il


Generale ordin di passare un piccolo fiume e di muovere, verso
nord, alla collina.
Ci arrestammo a mezza costa, e precisamente dove incomincia
una fittissima foresta di pini.

La colonna, giunta col,fece fronte alle truppe che gi mar


ciavano verso di noi, che gi cominciavano ad apparire sulle al
ture dirimpetto.
Noi non lasciammo avamposti.
. Non furono occupate le due case dei Forestali. Ci mettemmo alla foresta.

Era quindi pi che evidente, non essere intenzione di Garibaldi di


combattere voler anzi, come sempre, impedire un'altra volta
l'incontro con le truppe.
-

Garibaldi stava sul centro del tratto di costiera occupato dalla


nostra colonna.

Mandava degli ufficiali su tutta la nostra fronte a rinnovare

gli ordini formali di non far fuoco, ed osservava da ogni parte


col suo cannocchiale.

MISTRALI. Da Caprera ad Aspromonte, ec.

98

Le truppe avanzavano sempre; i bersaglieri in testa a passo


di corsa, la linea dietro.
Dal centro si spiegavano a destra ed a sinistra ; e senza in

terrompere la marcia di fronte, accennavano chiaramente a cir


condarci. Sapevamo anzi che una colonna, spingendosi dalla loro
destra, mirava, per le alture, a porsi alle nostre spalle.

Le prime catene di bersaglieri erano gi giunte a tiro : si


erano gi appostate.
Tutta la colonna

osservava

in silenzio.

De'nostri e de' pi valenti, essendo determinati di non combat

tere, s'erano internati nella foresta.


Non un grido, non una fucilata. Solo il Generale che ritto
in piedi stava pure osservando, vestito dcl suo ampio mantello

grigio-chiaro, foderato di rosso, rovesciato sulle poderose spalle,


si volgeva di quando in quando ad ordinare Non fate fuoco.
Gli ufficiali ripetevano l'ordine Non fate fuoco.
Ma gli ordini di assalirci ai comandanti delle truppe erano
invece positivi.

I bersaglieri rompono il fuoco si avanzano.


Non fu trasmessa nessuna intimazione preventiva.
Non venne inviato nessun

parlamentario.

La fucilata si fa pi e pi fitta. Udiamo il notissimo fischio

delle palle che passano fra i cespugli, e vanno a conficcarsi negli


alberi intorno a noi.

Sventuratamente alcuni inesperti giovanetti non sanno resistere


allo spettacolo, nuovo per loro, di questo terribile giuoco, e ri

spondono con rare e pi inesperte fucilate, che pur troppo co


stano sangue. Gli altri non si muovono. Chi in piedi, ri
mane in piedi. Chi seduto rimane seduto.
Tutte le trombe, indistintamente, suonano il segnale per far
cessare il fuoco. Tutti gli ufficiali danno con la voce lo stesso or

dine. Tale la risposta che noi mandiamo alla truppa , , la


quale suona l'avanzata, accompagnandola da un fuoco ben nu
trito,

99
Ul Generale, dal suo posto, in piedi, in mezzo ad una densis
sima pioggia di palle, torna a gridare: Non fate fuoco ln
quel mentre due palle lo colpiscono una stanca, alla coscia
della gamba sinistra un'altra a tutta forza nel collo del piede
della gamba destra.

La ferita della coscia lieve quella del picde grave e


complicata.

--

Garibaldi, nell'istante che fu ferito non solo si resse in piedi,


ma si atteggi maestosamente. Si scopr il capo, e agitando in
alto. con la manca il cappello, grid ripetutamente: Viva l'Italia
non fate fuoco.

Alcuni ufficiali, i pi vicini a lui, lo trasportarono e lo adagia


rono sotto un albero. L, calmo della sua solita calma, seguit
a dare degli ordini. I pi precisi furono sempre questi: Iascia
teli appressare non fate fuoco.
Sopra tutta la nostra fronte il fuoco era cessato.
Da l a poco si conduce Menotti, il quale colpito pure da
una palla morta nel polpaccio della gamba sinistra, che gli ca

giona una dolorosissima contusione. Non pu reggersi in piedi.


Il padre ed il figlio sono adagiati tutti due sotto lo stesso albero.
Intorno al Generale si fa un cerchio di ufficiali e soldati. Ac

cende uno zigaro e si pone a fumare. Egli replica a tutti: Non


combattete.

Gli ufficiali sono interrogati con la voce e con lo sguardo dai

soldati. La risposta per tutti la stessa: Non combattete .


Anche le trombe seguitano a suonare i segnali di alto e ces
sate il fuoco non gi per i nostri, ma per le truppe, che piu

e pi si avvicinano facendo fuoco, e che gi sono arrivate. .


Volontari, bersaglieri e linea si trovano ad un punto confusi
gli uni cogli altri.

Dalla prima fucilata a questa scena di confusione scorse ap


pena un quarto d'ora.
E la confusione viene maggiormente accresciuta da uno spet
tacolo degno di considerazione.

100

Degli amici, dei fratelli, dei cugini, dei conoscenti, dei com
pagni di recenti battaglie combattute a pro della patria, s'in
contrano e si riconoscono. Gli uni indossano la camicia rossa,
gli altri l'assisa regolare. uno scambio prolungato di baci, di
strette di mano e di saluti, misti a vicendevoli e severe ram

pogne. Ma le pi severe partono dalle camicie rosse, che si af


faticano a protestare e dichiarare c Non volere che Roma.

Odonsi delle discussioni tra ufficia(i ed ufficiali, tra soldati e


soldati, di carattere assai pi politico che militare.
Le grida di Viva l'esercito italiano si fan sovente risuonare
dai nostri, e sono accolte da chi con indifferenza, da chi con
fronte dimessa.

Un luogotenente di stato maggiore si spinge avanti pi degli

altri. condotto davanti al Generale, che lo sguarda e gli ordina


di deporre la spada.
Il luogotenente obbedisce, ma osserva essere venuto come par
lamentario.

Ma perch non venne prima ?


Il Generale, con piglio dignitoso, lo ammonisce in questi sensi:
So da trent'anni, e meglio assai di voi, che cosa sia la guerra:
apprendete che i parlamentari non si presentano in cotal guisa.
Altri ufficiali dei bersaglieri e della linea sono condotti sotto

l'albero ove adagiato il Generale ; egli ordina di togliere loro


la spada. Ma, dopo qualche tempo, ordina che a tutti sia resti
tuita, e l'ordine viene eseguito.
Tutto ci ha luogo in brevissimo spazio di tempo, e intanto
che i medici esaminano e fasciano le ferite del Generale, che

seguita a fumare. Egli insiste perch le si mantengano bagnate,


e viene apportata dell'acqua da un luogo vicino.

Domanda ripetutamente ai medici se caso di amputazione;


se lo di non esitare, di operarla immediatamente. I medici ri
spondono: Ion essere caso di amputazione.

ll Generale incarica poscia il suo capo di stato maggiore di

far chiamare il comandante del corpo d'attacco.

101

Si spedisce con tale officio il luogotenente di stato maggiore


a tutta prima, che parte e che torna dopo venti minuti col co
lonnello Pallavicino.

Le istruzioni del generale Garibaldi sono di trattare, perch


noi non vogliamo combattere coll'esercito italiano.
Il colonnello Pallavicino, che incontra esso pure dei vecchi co
noscenti, dichiara in primo luogo aver egli ricevuto ordini po
sitivi di attaccarci in qualunque modo, in qualunque luogo.
Chiede se riconosciamo il re. Rispondiamo non occorrere dichia
razioni, bastare il programma di Garibaldi, bastare il suo ultimo
scritto da Catania.

ll colonnello Pallavicin si fa a parlare di resa. Rispondiamo


non poter trattare di resa, non avendo avuto luogo combatti
mento; non avere opposto difesa alle offese. I pochissimi morti

e feriti della truppa regolare doversi imputare ad un momenta


neO errOre,

Il colonnello Pallavicino fu condotto al Generale; si present

a capo scoperto e si espresse con parole rispettose. Indi a poco


si allontan, ed alcuni ufficiali dello stato maggiore del generale
Garibaldi andarono a proporgli il disarmo della colonna. Ver

rebbe affidata, cos disarmata, alla scorta delle sue truppe; a lui
in particolar modo verrebbe raccomandata.
Rispose il Pallavicino esser opinion sua che dopo 24 ore, tutti
sarebbero rimandati alle proprie case.
Fti convenuto:

Che il generale Garibaldi, con un seguito di ufficiali di cui


avrebbe fatto presentare l'elenco, ed ai quali verrebbe lasciata
la spada, sarebbesi recato a Scilla;
Che, lungo lo stradale, si sarebbe potuto fermare ove meglio
a lui piacesse per riposarsi e curare le ferite;
Che a Scilla avrebbe chiesto un legno inglese per salirvi a
bordo co' suoi;
-

Che il convoglio sarebbe stato scortato da un battaglione di


bersaglieri in distanza.

102

In quanto all'imbarco sopra il legno inglese, il colonnello


Pallavicino osserv non aver nulla, in quanto a lui, ad obbiet
tare; ma essere obbligato di chiedere in proposito istruzioni dal
Governo.

Il corpo di truppa che ci assal constava:

Del 4 reggimento, comandante Eberhardt, presente;

Del 1 battaglione del 29 reggimento;


Del 4. battaglione del 57 reggimento;
Del 6 battaglione bersaglieri;
Di
due presente;
compagnie del 25 bersaglieri, comandante Pinelli
Macedonio,
r

Comandante in capo del corpo il colonnello marchese Pallavi


cino di Priola.

Dalla provincia di Catanzaro avevamo notizia muovere verso

di noi da 25 ai 50,000 uomini, notizia confermata in seguito


dallo stesso Pallavicino.

Diversi legni da guerra e mercantili si trovavano a Scilla.


Il generale Cialdini era a Reggio.
Il contrammiraglio Albini comandava la flotta.
I morti da una parte e dall'altra sono pochissimi; pochissimi
i feriti,

Disarmi, accompagnati da atti e da parole brutali negli istanti


di confusione, pur troppo ne avvennero. Ne siamo dolenti, ed as

sai pi per chi li commise. Non possiamo nvogliamo registrarl


distesamente, ritenendoli suggeriti da sentimenti tutt'affatto in
dividuali.

Quasi tutti i bagagli andarono smarriti: vero che nessuno

pensava a custodirli. vero altres, che alcune borse furono fatte


restituire che il colonnello Pallavicino si assunse, per quanto
lo riguardava, di fare intracciare che dispose nel tempo stesso,

pel modo di farli riavere.


Per parte nostra, abbiamo fatta restituire una carabina che
era stata levata ad un bersagliere.

105
Abbiamo gi detto che anche le spade, fatte deporre ad alcuni
ufficiali, furono rimesse.
Il disarmo si effettu.
Cominciava ad imbrunire.

Improvvisammo una barelia per trasportare il Generale. Il

trasporto doveva essere triste e doveroso incarico degli ufficiali


e dei soldati che lo accompagnavano; i quali, sebbene fossero in
maggior numero di quelli dati in elenco, non vennero fatte dif
ficolt.

I bersaglieri comandati dal maggiore Pinelli, venivano in coda


al convoglio.
Per un cammino faticoso e pieno di accidenti, dop un'ora circa
di marcia, giungemmo ad un casolare dove erano raccolti dei
feriti.

Fu chiesto al Generale se desiderava di arrestarsi col durante


la notte.

Rispose che preferiva andar pi oltre in qualche capanna, o


in qualche pagliajo, onde rimaner solo.

Lungi un buon tratto di strada, ed alla nostra destra, un po'pi


al Nord, dovevamo trovare , come infatti trovammo, la capanna
del pastore Vincenzo, conoscenza vecchia di alcuni nostri , che

primi passarono in Calabria, nell'agosto del 1860.


Riprendemmo il cammino; fu pi lungo ed ancor pi disage
vole del primo tratto.
Le scosse prodotte dalle sinuosit e dagli scoscendimenti della
via, erano per noi tanti dolori, pensando ai dolori che dovevano
cagionare al generale.
Non udimmo un gemito n un lamento, mai!
Mandammo avanti, per maggior certezza , degli esploratori , i
-

quali fecero accendere dei fuochi, per guida di coloro che segui
vano appresso.

Chi si pose avanti ed arriv prima alla capanna, fece com


porre, con della paglia e dei cappotti, un letto alla meglio,

---

--- ---

104
Il

convoglio raggiunse la capanna dopo tre

ore e pi di cam

mino, a notte molto alta. La luna splendeva tristamente.


Il silenzio era profondo, interrotto solo di tratto in tratto dai
lunghi latrati dei cani dei pastori. Alla capanna facemmo pre
parare dell'acqua per la bagnatura delle ferite.
Facemmo preparare del brodo con dell'unica carne di capra.
I medici si posero a compiere l'ufficio loro. Era gi mez
zanotte.

A giorno ci ponemmo a comporre una barella, possibilmente


pi comoda e pi solida.
Movemmo per Scilla alle ore 6 antim.

inutile dire di nuovo e lungamente del cammino. Marciam


mo quasi sempre di dirupo in dirupo.
A dei casolari, a cui S. Angelo d il nome, decidiamo di far
sosta mezz'ora, onde lasciar riposare il Generale.
I medici rinnovano le fasciature e i bagni: gli prepariamo e
gli facciamo pigliare un sorso di brodo. Il Generale sorride e ci
ringrazia.
Quando il sole cominci ad essere cocente , gli componemmo
un ombrello con dei rami di lauro.

Finalmente, alle 2 pomerid., arrivammo al paese di Scilla.


Credevamo di trovar preparata una casa per deporvi il Gene
rale a riposare, nella parte alta del paese. Non fu cos. Ci si
disse la casa essere stata preparata nella parte bassa, alla spiag
gia del mare.
Il colonnello Pallavicino erasi reso a Scilla fino dalla sera an

tecedente (29). Venne ad incontrarci. Seppimo che le istru


zioni, ricevute dal Governo, erano severissime.

Le parole di jeri del colonnello, facevano tanto pi risaltare


la brutale severit delle disposizioni governative.
Non si acconsentiva di lasciar imbarcare il Generale sopra un
legno inglese.

Non si acconsentiva di lasciarlo accompagnare dagli ufficiali


dati in elenco il giorno avanti.

105

Quando il Generale lo seppe, non mostr meraviglia. Disse


solo, e benignamente ai suoi ufficiali : Ah l voi mi avete in
gannato !
Le disposizioni governative erano:
Che il generale Garibaldi s'imbarcasse a bordo della piro-fre

gata : Il Duca di Genova, con suo figlio;


Che potessero accompagnarlo dieci de'suoi ufficiali soltanto.
Si chiesero alcune ordinanze.

Il Generale non volle riposarsi nella casa che era stata appre
stata. Prefer di imbarcarsi tosto. La piro-fregata era pronta
per la partenza.
Fu dato avviso di mandare le barche, le aspettiamo; e frat
tanto depositiamo la barella che porta il Generale, sopra un bar
cone tirato a terra sulla spiaggia.
Il convoglio rimane chiuso tra i bersaglieri ed il mare.
Dopo venti minuti, le due barche arrivano. I marinai sono
tutti armati come in presenza al nemico.

Ci imbarchiamo, e ci avviamo verso il legno destinatoci. Pas


siamo davanti al vapore la Stella d'Italia. Stavano sul ponte, in

assisa militare, il generale Cialdini, il contr'ammiraglio Albini e


diversi altri ufficiali superiori.
Nessuno saluta Noi passiamo oltre senza salutare.
La barca che porta il generale Garibaldi si lascia andare libe
ramente.

La seconda viene fatta arrestare dal contr'ammiraglio Albini.

A quei signori parve forse che vi fossero due ordinanze di


pi, ed il contr'ammiraglio Albini in persona,ci era venuto dietro
in una terza barca, per ordinare assai

bruscamente,

a nome del

generale Cialdini, che le si facessero scendere.


Un contr'ammiraglio era venuto portatore di ordini cotanto
importanti, di un generale.

Rispondemmo, che le aspre maniere non convenivano, giacch,


se eravamo saliti in barca, ci eravamo saliti in piena regola,
cio, chiamati.

106

Soggiunse , dover egli far eseguire gli ordini del generale


Cialdini.

Le due ordinanze furono fatte scendere in una quarta barca,


che doveva condurle a terra.

La barca sopra cui stava il Generale fu posta sopra di un pa


ranco, e questo sospeso a delle funi , lo si fece elevare nello
spazio sin oltre l'altezza della coperta della fregata, ad una certa
distanza da quella, sopra il mare. Poscia fu fatto discendere, av
vicinare ed entrare in coperta.
Il Generale stava seduto sopra la barella reggendosi ad una
corda con le mani, la testa alta, e dando egli stesso qualche or

dine, per regolare la sciagurata manovra. I marinai lo guarda


vano attoniti, e come in ammirazione.
Un altro istante, e fummo tutti a bordo.
Accompagnano il generale i tre medici :
Albanesi , Basile , IRipari. Suo figlio Menotti. Il suo
confidente Basso Bruzzesi Bideschini Corte Catta

bene Cairoli Frigyesy Guastalla Manci Malato


Nullo.

Dopo pochi minuti che eravamo a bordo, arrivarono le due or


dinanze respinte. Avendo i due giovani osservato che il colon

nello Pallavicino non s'era opposto al loro imbarco, il generale


Cialdini si degn di permetterlo alla sua volta.
Il distacco degli amici fu commovente; tutti si scoprirono gri
dando Viva Garibaldi A Roma ! a Roma 1
Il Generale salutava con la mano.

Noi andammo a bordo i nostri compagni andarono in ca


stello nel castello di Scilla. Ci si disse per un' ora soltanto :
dopo, dovevano essere imbarcati essi pure. Per dove? Vedremo.
A bordo del Duca di Genova siamo trattati con isquisita cor
tesia.

Dove andiamo ?

Ci si dice alla Spezia.

107
E dopo?

Vi sono dei pieghi governativi tuttora suggellati, contenenti,


ci si dice, delle istruzioni che ci riguardano.
Firmati all'originale:
Bruzzesi Bideschini Corte Cattabene Cairoli

Guastalla Manci - Ripari Nullo

- Albanese Turillo

Malato Basile Frigyesy Basso.

CAPITOLO SESTO.

I.

Ed ora seguiamo la superba nave che reca il prigioniero


illustre. Gioisce il funesto Rattazzi, ma breve la gioja del
l'empio lo disse Iddio. Gioisce l'apostata Depretis,
ma la disperazione serbata al suo delitto. Ecco gli incan

tevoli monti che fanno cintura al pi bel golfo del mondo.


Alle ore 10 di mattina del giorno 1 settembre la fregata il
Duca di Genova giunse nel golfo della Spezia, e si attese la notte
per isbarcare gli illustri prigionieri. Il generale Garibaldi venne
posto sopra una lettiga, ed accompagnato dai medici fu condotto
fino a terra, e di l due robusti marinai con ogni riguardo lo
trasportarono nel suo appartamento. Al principio del trasporto
ebbe a soffrire alcun poco, poi nulla. Il generale Garibaldi fece
tosto telegrafare a Genova dalla Spezia per avere un valente chi
rurgo che visitasse la sua ferita. Il dottor Negri accett l' onore
vole incarico, e part subito alla volta della Spezia. Il figlio Ric
ciotti col signor maggiore Canzio si recarono essi pure presso il
Generale,

108
lI.

Udiamo da un testimonio oculare la descrizione di quell


stanza del dolore:

Il generale Garibaldi giace in un letto di ferro in una piccoli


alcova dalla quale esce per i due terzi fuori di essa. Egli st
quasi seduto, e le spalle sono sorrette da vari cuscini, alcuni
dei quali in gutta-percha enfiati d'aria. La gamba offesa ripos
sopra un ingegnoso apparecchio di pannilini, e perch le coltric
non abbiano a toccarla si posto un altro apparecchio a semi

cerchio sollevato, in legno o in ferro che sia, che lo tiene so


speso. Il Generale veste sempre la camicia rossa , dimagrato
pallido, ha qualche cosa del Nazareno nella sua imperturbabili

serenit. Nel momento della medicatura per, che ha luogo du


volte al giorno, talvolta i muscoli del suo viso gli si contraggon

leggermente, conservando per quel dolce sorriso a lui proprio


Presso di s tiene un volume di Tacito ed ha pure moltissim
giornali ed altri stampati. Talvolta per sollevarsi senza muover
la gamba ferita si appiglia ad una corda tesa da una parte al
l'altra dell'alcova e a portata delle sue mani.
Nel mezzo della camera havvi una tavola rotonda sopra l
quale stanno molte carte, libri, ampolle, bende, ecc. Il Gene
rale vede molto volontieri i suoi amici, ma le visite di compli

mento lo annojano. Quando viene uno di quelli, gli stende pe


lo pi la mano; una volta disse ad uno di essi: era sicuro chi
venivi, t'aspettavo sai. Pareva commosso ma ben pi lo era co

lui che la mano gli stendeva, e che in mezzo a lagrime repress


non sapeva proferire verbo. Sto meglio, sai, e come sta il mi
figlioccio? diceva, e chiedeva di questo e di quello e di molte
cose ancora. Rifiutava il danaro offertogli e lo voleva destinat

ai garibaldini feriti. Il figlio maggiore del Generale, Menotti, ha

---

---

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---

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una piccola ferita di poco rilievo alla gamba destra, che non

gl'impedisce di essere allegro, di mangiare con appetito, bere


con gusto, e di aver, come egli dice, un eccellente sonno. Fra le
prime visite che il Generale ricevette fu quella di Ricciotti suo
secondo figlio, di sua figlia col suo bambino, e del signor Canzio
suo marito. E per completare la descrizione della stanza diremo
che vi sono due armadioni, un altro tavolino, e di fianco all'al
cova due piccoli stazini, in uno dei quali si conservano gli og
getti come frutta, dolci, conserve, ecc., che da varie parti ven
gono inviati al Generale. Il pavimento in terra cotta, la tap
pezzeria delle pareti macchiata e in vari siti sdruscita.
III.

N in mezzo ai dolori egli scordava la sua missione; pri


ma di tutto volle in poche parole narrare al popolo italiano
per qual che somma di spasimi egli fosse passato; la sua
lettera fu sequestrata dal liberale Rattazzi e non possiamo
riprodurne che i periodi non sequestrati.
Cg

Io percorreva la fronte della nostra linea, gridando che non


si facesse fuoco, e dal centro alla sinistra , ove la mia voce e

quella dei miei ajutanti poteva essere udita, non usc un solo
colpo. Cos non fu di chi attaccava giunti a dugento metri,
cominciarono una fucilata d'inferno e la parte dei bersaglieri
che si trovavano dirimpetto a me, dirigendo a me i loro tiri
mi colpirono con due palle una alla coscia sinistra, non gra
vemente l' altra al malleolo del piede destro, cagionandomi
una grave ferita.
Siccome tutto questo succedeva al bel principio del con

flitto - ed essendo stato trasportato sull' orlo del bosco dopo

110

ferito io non potei pi veder nulla, essendosi fatta una folla


fitta intorno a me, mentre mi si medicava. Ho per la coscienza
di poter assicurare che sino alla fine dalla linea che era alla

portata mia e de'miei ajutanti non usc una sola fucilata.


Non facendosi fuoco per parte nostra fu agevole alle truppe
di avvicinarsi e mischiarsi coi nostri ; e siccome mi si disse che
pretendevano disarmarci risposi si disarmassero loro. Eran
per cos poco ostili le intenzioni de' miei compagni - che sol

tanto pochi ufficiali e soldati regolari io pervenni a far disar


mare nella folla. Cos non succedeva alla nostra destra. As

saliti i Picciotti dalla truppa regolare, risposero facendo fuoco


l vi furono molte fucilate che non durarono per pi d'un
quarto d'ora.
Le mie ferite cagionarono alquanto scompiglio sulla nostra
linea. I nostri militi, non vedendomi, cominciarono a inter
narsi nel bosco, di modo che, poco a poco si diradava la folla
ch'io aveva intorno, e non rimasero che i pi fidi.
A questo punto seppi che si trattava tra il mio stato mag
giore e il colonnello Pallavicino, il quale comandava la truppa
regolare:
1. Che io ero libero col mio stato maggiore di ritirarmi

ove mi piaceva (io risposi a bordo di un legno inglese);


2 Che giunto alla costa del mare, il resto de' miei com

militoni sarebbe stato posto in libert.

Il colonnello Pallavicino si condusse da capo valoroso ed in


telligente in tutte le sue mosse militari e non manc mai di ri
guardi cortesi verso me e verso la mia gente. Egli mostr il
suo dolore di dover versare sangue italiano; ma aveva rice
vuto ordini perentori e doveva obbedire.
Le mie disposizioni erano state meramente difensive, ed io
avevo sperato poter evitare un conflitto riguardo alla fortis
sima posizione che Gccupavo, e con la speranza che ordini meno
sanguinosi avessero le truppe regolari.

111

Ov'io non fossi stato ferito da principio, e dove la mia gente

in ogni circostanza, non avesse avuto ordini di evitare qualunque


collisione con le "truppe regolari la zuffa tra uomini della
stessa

famiglia

avrebbe potuto riuscire tremenda


e

e,

G. GARIBALDI.

IV.

Poco dopo il Morning-Post pubblicava il seguente indi


rizzo che Garibaldi mandava al popolo dal quale aveva avuta

le prove maggiori di simpatia. Il giornale inglese vi premet


teva queste parole:
Il seguente indirizzo ci fu dall'autore mandato dal Varigna

no. Vi sar, senza dubbio, qualche divario di parere intorno ad


alcune delle sue opinioni; ma della veracit e vivezza de'suoi
sensi verso di questa nazione, non vi pu esser dubbio veruno;

e l'espressione della sua gratitudine sar certamente accolta con


animo cos benigno, com' quello che l'ha dettata.
ALLA NAZIONE INGLESE :

Sofferente sotto raddoppiati colpi morali e fisici, l'uomo pu


con ragione sentire pi perfettamente il bene e il male: riget
tare quindi alla maledizione i fautori del male, e consacrare ai
benefattori affetto e gratitudine senza limite.
- Ed io ti debbo gratitudine, o popolo inglese, e la sento, quan

to capace di sentirla l'anima mia, Tu mi fosti

amico nella buo

na, e mi continui la preziosa tua amicizia nell'avversa fortuna.

Che Dio ti benedica!. E la mia gratitudine tanto pi intensa,


o buon popolo, ch'essa s' innalza debitamente al disopra del sen
timento individuale, e si sublima del sentimento generale de'

dopoli, di cui tu rappresenti il progresso.

1 12

S! tu meriti la gratitudine del mondo, perch tu offri un asilo


sicuro all' infortunio, da qualunque parte ti giunga, e tu l'iden

tifichi con la sciagura altrui la compatisci Ia sollevi. Il


proscritto francese o napoletano trova nel tuo seno un rifugio

contro la tirannide trova simpatia trova ajuto, perch pro


scritto perch infelice.
E gli Haynau, i ferrei carnefici dell'autocrata non saranno sor
retti dal suolo della tua libera patria, e fuggiranno impauriti lo

sdegno tirannicida dei generosi tuoi figli. E che saremmo noi in


Europa senza il tuo generoso contegno ? L'autocrazia colpisce i
suoi proscritti nelle altrui contrade, ove la libert bastarda

ove la libert menzogna!


Ma si vada a cercare nella sacra terra di Albione ! Io, come
moltissimi, vedendo la causa della giustizia conculcata in tante
parti del mondo, pendo alla disperazione del progresso umano.
Ma rivolgendo a te il mio pensiero, mi tranquillo; dal tranquill
e impavido tuo procedere verso la meta, ove sembra chiamata la
razza umana dalla Provvidenza. Prosegui il tuo cammino , o na
zione invitta, imperturbata, e sii meno restia nel chiamare le
sorelle nazioni sulla via umanitaria.

Chiama la nazione francese a cooperatrice tua. Ambe siete de


gne di marciare, dandovi la mano, alla vanguardia dell' incivili
mento umano. Ma chiamala. In tutti i tuoi meetings risuoni la

parola di concordia delle due grandi sorelle, Chiamala! Chiamala


pure in ogni modo, con la tua voce e con la voce de' suoi grandi

proscritti del suo Vittor Hugo il Pontefice della fratellanza


umana! Dille che le conquiste sono un'aberrazione del secolo -

un'emanazione di mente non sana! E perch dovremmo noi con


quidere la terra altrui, quando tutti dobbiamo essere fratelli?
Chiamala ! e non curarti se dessa sia temporariamente padroneg

giata dal genio del male. Essa risponder debitamente se non


oggi domani l - se non domani dopo - alla parola tua

generosa e rigeneratrice. Chiama e subito i forti figli del

1 15

l'Elvezia, e stringili al tuo seno, indissolubilmente. l bellicosi fi


gli delle Alpi. Le Vestali del fuoco sacro di libert nel con
tinenle europeo saranno teco. E che contingente l
Chi ama la grande repubblica americana essa finalmente

tua figlia, sorta dal tuo grembo ed essa - comunque sia


si affatica oggi per l'abolizione della schiavit, da te generosa
mente proclamata. Ajutala a sollevarsi dalla terribile lotta, che
le suscitarono i mercanti di carne umana.

Ajutala e poscia falla sedere al tuo lato nel gran consesso


delle nazioni opera finale della ragione umana.
Chiama a te quanti popoli hanno libero il volere e non
tardare un sol giorno.
La iniziativa! che ti appartiene oggi, potrebbe non esser pi
tua domani. Che Iddio non permetta codesto l Chi pi gagliarda
mente afferr quell'iniziativa quanto la Francia del 1789? Essa
in quel punto solenne diede al mondo la Dea Ragione, rovesci

nella polve la tirannide, e consacr tra le nazioni la libera fra


tellanza.

Dopo quasi un secolo essa condotta a combatter la libert


dei popoli protegger le tirannidi, e sulle rovine del tempio

della Ragione, essa si affatica a puntellare quella mostruosit


nefanda immorale che si chiama papato ! Sorgi dunque
o Britannia! e non perder tempo. Sorgi con la fronte alta e ad
dita alle nazioni la via da percorrere.
Non pi guerre possibili, ove un congresso mondiale possa

giudicare delle differenze insorte tra le nazioni ! Non pi eserciti


stanziali , con cui la libert impossibile. Che bombe ! Che co

razze l Vanghe e macchine da falciare ! Ed i miliardi sprecati in


apparati di distruzione, vengano impiegati a fomentare le in
dustrie e a diminuire le miserie umane. Comincia, o popolo in

glese, e per amor di Dio comincia la grande ra del patto


umano, e benefica le presenti generazioni con tanto dono.
Oltre la Svizzera, il Belgio , che aderiranno subito al tuo in
MISTRALI. Da Caprera ad Asprom0nte, ec.
8

1 14

vito, tu vedrai gli altri Stati, spinti dal senno de'popoli, accor
rere all'amplesso tuo ed aggregarsi.

Sia Londra, per ora, la sede del congresso, che sar scelto di
poi con mutuo intendimento e convenienza.
Io ti ripeto, che Dio ti benedica! e a te possa rimeritare i be
nefizi a me prodigati. Con gratitudine ed affetto, tuo
Varignano, 28 settembre 1862.
G. GARIBALDI.

V.

La opinione pubblica si commuoveva.


Ad onta dello stato d'assedio; ad onta delle repressioni al
l'Austriaca ; ad onta delle violenze innumerevoli di cui si

faceva reo il Ministero, tanto reo che, chiamati a giudicarlo,


noi non esiteremo ad applicargli la pena dei traditori; ad
onta delle arti inique di tutta la infame congrega, la nazione
si commuoveva; e se il tentativo di Aspromonte fu univer
salmente disapprovato per s, si cominci a indagare le ca
gioni che lo avevano prodotto, e la condanna di Rattazzi e
de' suoi ne usci pi forte, pi unanime, pi terribile.
Si affollavano alla Spezia le deputazioni che recavano al

ferito eroe il voto e l'obolo del popolo italiano.


Riportiamo qui una scrittura vivacissima dello ingegno
potente che Francesco Domenico Guerrazzi, scrittura che
tocca alla pi intima corda del core per la via del senti
mento e dell' onore.
AGLI OPERAI D'ITALIA.
Date obolum Belisario.

Esci, prorompi, pensiero ardente dal cuore prima che il soffio


degli anni o il gelo della prudenza venga a troncarti le ale. Corre
antico il detto: dei pensieri essere sempre migliore il primo.

1 15

Oggi la vicenda si fece anco pi trista: tale, che di clta concep


un pensiero capace di condurlo al Campidoglio; per poco che
sosti sentir gorgogliarsene un altro nell'anima, capace di con
durlo alla forca.

ll primo pensiero raccoglie l'affetto per foggiarlo a spada,spa


vento dei nemici; il secondo agguanta la vilt e lo riduce in ma
netta, dolore degli amici.

Ah! perch mentre ci arrideva la speranza di posarci in pace


ci troviamo costretti a ripigliare il doloroso pellegrinaggio? Per
ch, stesa appena la mano al bastone, ci tocca buttarlo via ed
impugnare da capo la penna? La penna ai giorni della nostra
giovent,figlia dell'ala, memore della sua origine, sovveniva il
pensiero a poggiare in alto, dove la fede leva gli occhi per im
plorare Dio; adesso poi, nata dal ferro, inchina le voglie ed i
concetti gi nell'inferno dove regna Plutone, Dio dei dannati e
dei banchieri.

La pi parte di coloro che ci hanno succeduto, male recan


dosi a tedio i documenti di Grecia e di Roma, e la santa volutt
della bella fama, si piacquero delle scuole ove appresero l'arte di

mettere il proprio e l'altrui danaro, ma pi l'altrui che il proprio,


nel lanzichenetto, e sperdere la verecondia e la salute nei lupa

nari: la febbre dei subiti guadagni li divora (e a Dio piacesse


che come subiti fossero onesti!); vendono a premi presenti od a
future rapine, concetti di zucca confettati in aloe di malignit.
Bene i Romani appellarono miserabile quel retaggio il quale

raccoglievano dai propri figliuoli defunti, e pure cento volte


pi infelice per noi strappare la penna di mano ai malnati fi

gliuoli nostri; almeno in cotesti si spense la vita del corpo, men


tre noi dobbiamo deplorare nei nostri spenta la vita dell'anima.
Noi strappiamo la penna dalla mano di questi ualnati, imper

ciocch tu non sappia se menino maggiore strazio della libert,


sia quando avvisano offenderia, o quando la difendono: chiamano
essi libert mutare servit: promuovere la patria, arrolars i gla

1 16

diatori di tale che li paghi, o li paghi di pi: contendono dello


impero sopra la fossa del vivere civile oramai trapassato: per
quale dissenta anco un capello da loro posseggono calce viva di
vituperi, e peggio: le infamie proprie negano, quelle degli emuli
nello esercizio della tirannide correligionari, tirano a profitto

della propria e, non potendo a meno, della comune tirannide; la


sfrontatezza stimano scienza, o se non la istimano essi, conten

tansi che altri la tenga per tale: nomi confondono e cose, sicch i
deboli o gli ignari gran ventura se trepidando tra il vizio e la
virt diventano inerti, mentre la maggior parte, seguendo false
immagini di bene, precipita a perdizione. Donde ipocrisia che

ammorba; ritegno nessuno ai tirannelli di seconda mano, ch i


gatti moltiplicano sempre pi dei lupi; cresciuto allo infinito il
novero di coloro a cui giova servire uno o pochi per istraziare i
molti.

Perversi tempi questi, pei quali ormai chi sa, dispera trovare

rimedio: non mica gi che, straripando, il fiume non fia che rin
venga alla fine un letto per correre di nuovo al mare, bens per
ch agli uomini prudenti parve in ogni et desiderabile che le
riforme, ed anco le trasformazioni accadessero senza scompiglio

o con poco,potessero almeno in parte governarsi, non tracollas


sero in eventi i quali si mostrano pieni di danni, di ambagi e ad
un punto di pericolo. N calunnio di certo i tempi io, se affermo
che s rei non li vide Roma di Tiberio. Chi legge consideri: Ti
berio, quel Tiberio, sotto il quale giudicarono delitto di lesa mae

st recare scolpita in moneta od in anello la effige dello impera


tore alla latrina, non immagin neanco per ombra che potessero
somministrare argomento di perduellione le armi e i trofei che i

discendenti degli Emili, dei Metelli, e degli Scipioni, a causa di


onoranza, serbavano nelle proprie case: tanto vero questo, che in

parte andarono perduti nello incendio fatto appiccare da Nerone


a Roma. Cos in Roma imperando Tiberio. Ai d nostri, adesso,
quale rizz trofeo di poche armi svariate, dodici o quindici,

117

schioppo e daga da milite nazionale, archibugio da cacciatore (e


paga per usarlo) due stuzen e uno squadrone raccolti sul campo
di battaglia, la propria sciabola intaccata sul cranio del capitano
bavarese, che il nuovo perduelle spacci, la sciabola spoglia opi
ma del nemico spento, quattro pistole , e non so che altro, di
sposto in bell'ordine, in vista di tutti da tempo lunghissimo, con

la immagine di Garibaldi in mezzo, prima danno argomento di


levare il pane quotidiano al padre e alla famiglia , e cacciarli
per la via di punto in bianco, comech il nuovo perduelle non
sia ufficiale governativo, bens locatore di Opere in virt di con
tratto ad istituto di municipale beneficenza, poi di processarlo
pel delitto di ammasso di armi contro la sicurezza dello Stato!!l

Io per me giudico che non i futuri o longinqui, bens i pros

simi e viventi negheranno fede che occorra contrada nel mondo


in cui queste enormezze succedono, eppure accadono, e accadono
in contrada che si vanta felicitata dall'aura di libert. N si
opponga che il Governo le ignora, ch questo non ha luogo sa

pendone altre non meno mostruose e potendole e commentan


dole egli medesimo, di cui il racconto sconforta l'anima e la

precipita a disperare se la libert sia fiore che possa attecchire


mai in questi nostri terrestri roveti.
Ripigliamo la penna per fuggire vergogna. Che direbbe il mon
do di noi, se a noi cadesse meno dei nostri eroi che allo stra

niero? Ed altres la ripigliano per fuggire danno, imperciocch


la ingratitudine sia morte vera del popolo. Un popolo pu man
giare, bere, dormire e vestire panni, ma se, mettendogli la mano
sul cuore, senti che non palpita pi di riconoscenza, va franco;
il corpo suo fatto sepolcro; l'anima ci sta dentro come cada
vere.

Il popolo in Inghilterra si commosso, si aduna, ribolle, e


manda saluti al Garibaldi perch dalle sue mani scende perenne
il benefizio. Molte sono le arti con le quali si dominano i popo

li, e la storia le ha registrate tutte: ognuno adopra quelle che gli

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talentano meglio: anco il Garibaldi esercita imperio, e merita e

sercitarlo; ministri suoi solo due: benefizio e amore: il secondo


non lo abbandoner mai; a noi sta operare in modo che non gli
venga meno la facolt.

Il popolo in Inghilterra povero cos, che talora vi muore di

fame, e tuttavia non nega il soldo al Garibaldi perch sa, che i


milioni dei soldi del popolo hanno fatto cose stupende a pari, e

pi delle ghinee del ricco; e questo un d sapevamo anco noi.


Ne porgono solenne testimonio Santa Riparata e il campanile di
Giotto, vorremo forse dimenticarcelo adesso?

ll popolo in Inghilterra sa che tutti i popoli del mondo sono


un eco solo dalle voci milioni e milioni di volte replicate: e
questo non sapemmo mai noi: quando lo sapremo, la causa del
la libert sar vinta anco in Italia.

E per ho detto, il popolo in Inghilterra, non gi d'Inghilterra;


per che il popolo di tutto il mondo abbia una patria sola i potenti
della terra sostengono che si chiami miseria; ma il popolo la
saluta col nome di umanit: staremo a vedere chi dei due abbia

ragione.
Conoscete la razza dei Lombrichi cui natura, assegnando le

braccia, ne don due di troppo, e munendo di gambe, ne larg


novantotto di meno? Questi Centogambe, strisciando lasciano una
bava nera sopra fogli bianchi, che poi battezzano Diarii e sono
lenzuoli funerali del senno, e dell' onore del popolo che ha la
colpa di vederli crescere e non iscarpiciarli; questi Centogambe

plebe accattona e maligna arrangolandosi sempre a calunniare il


popolo, morde lo inglese perch non ci soccorse prima contro

l'Austria n ci sovverrebbe adesso. Bugiardi! Ilpopolo finora non


fu padrone che di darsi un padrone: qual parte ha nei governi?
Da per tutto o con fraude, o con legge si sente respinto dall'a
ministrazione della cosa pubblica. Chi fu ch'ebbe cuore di cac

ciare l'Haynau, a mo' di belva scappata dalla gabbia e fustigarlo


come schiavo della pena? Chi costrinse i suoi aristocratici reggi

119
tori a mutare favella e consigli per l'Austria, e per noi? E ora

non chiede egli per noi Roma e Venezia? Non lo leggete stampato?
Certo per qualcheduno di voi supporrei che non sapesse leggere,
n parrebbe strano; ma torna pi sicuro credere che non sapete
e non saprete mai essere onesti.
lntanto salute a Te, o capitano, rimasto fedele al popolo donde
sei uscito. Tu lo sai quanto me, meglio di me, questo che adesso
dicono vituperio gli accattoni, cui il popolo sfama di seconda

mano, un giorno sar il titolo pi luminoso della tua gloria;


quando al cessare degli astri che tramontano, tutto dintorno an
dr sepolto nelle tenebre , tu splenderai di propria luce nel fir
mamento della storia, e la incorrotta fedelt al popolo far che
la tua stella risplenda anco a lato di quella di Washington.

Consolati, Eroe, con teco ferita la patria; sul medesimo letto


giacete, e sul medesimo letto alternate dolori e disegni di finale

redenzione. Chi non si inchinato a veruna altezza, a te s'inchina;


la fanciullesca et ti offre, dopo Dio, voti o preghiere; i giovani

gli affetti e il sangue; gli uomini maturi riverenza; gli ardui


ingegni la lode, divina se data da generosi a generosi. La lode ,
che imbalsama la fama come i timiami i corpi; lode, che per te
soro non si compra n per paura si estorce; per che innanzi di
laudare la tragedia al tiranno Dionisio Filosseno disse ai sergen
ti: riconducetemi alle miniere. Tutte le polveri vanno disperse
nell'oblio, o dalla amorosa ricordanza dei viventi, tranne quella
dove Dio ha impressa la sua orma santissima; per erra chi af

ferma, che la potenza di nocere sia orma di Dio: solo la potenza


di beneficare pu dirsi orma del Padre delle cose. Un giorno an

tiquarii industri leggeranno a fatica sopra frammenti di metallo


il nome di cui ha posseduto l'empia virt di far piangere, e dopo

molte indagini verranno a sapere chi uccise, da chi fu ucciso;


chi lo esecr vivo e morto lo maledisse; ma te semprevivo atte

ster il palpito del popolo. Tu, bello della luce del santo, com
parirai ai pi tardi nipoti, ch Alessandro pu invidiare ad
Achille Omero, non toglierlo a lui n acquistarlo per s.

120

Tu fosti, e rimarrai sempre, o Garibaldi, un'anima romana ri


masta sopra la terra inavvertita dalla morte, per perpetuo il
tuo anelo a Roma; ch paura di arsione non dissuade la farfalla
dallo amore del fuoco, e meglio vale morire sotto le mura di

Roma, ehe vivere a pi dell'Alpi.


La tua fortuna tanto onore ti ha serbato, che quei dessi i

quali si tolsero il carico infelice di biasimarti, ti esaltano; apri


rono la bocca al vitupero, e la voce n' uscita in tuono di lode;
cos Balaam, chiamato a maledire lsdraele, lo benedisse, tra le
altre cose proclamando: Dio non iscorge iniquit in Jacob, e
non perversit in Isdraele: il Signore Dio suo con lui e fra

esso vi un grido di trionfo reale. ecco si erger come un leo


ne: egli non si coricher finch non abbia divorata la preda.
Affermano i tuoi emuli, ed vero, Roma necessit di vita per
la Italia; adesso capo separato dal tronco, e quantunque avul
so, ella non se lo tiene n manco pei capelli, come Beltramo da

Bormio il suo; ora necessit non patisce legge: questo sa, e que
sto sente l'universo popolo. Garibaldi rappresenta la coscienza del

popolo; il quale non poser perch il suo eroe mettendo un pi

sopra cosa lubrica sdrucciolato: anco cavalli di battaglia stra


mazzarono talora per un guscio di baccello ! Questa necessit con

fessata col sangue vuole essere soddisfatta; dove venga respinta


imperverser pi veemente di prima, e innanzi di perire per
essa, con essa intendiamo o vincere o morire. Dunque la ragione
tua o capitano del popolo sia nel concetto, sia nel modo di do
verlo significare.
Pure, gli avversi tuoi continuano dicendo: a lui non istava

giudicare la opportunit del moversi. Rispondo per te: dal pas


sato si chiarisce ch'egli seppe giudicarla bene, voi altri no;
adesso se il colpevole impaziente non vi avesse proprio costretto
a scrivere cosi, avvertite bene che l'ultimo scritto vostro suona

in questo altro modo : a Roma doversi andare con partiti mo

rali e negoziando; n subito, bens a bell'agio, se tra quattro

121
mesi o sei non potersi dire; sempre poi col consenso, e d'accordo
con la Francia. Ora se il Garibaldi non era, avreste saputo per

suadervi dell'ardue neeessit? Vi sareste attentati a scrivere: vo


gliamo Roma e subito,altrimenti a nostra posta: o Roma o morte?
Ah! Ah voi avete acceso il vostro povero moccolo alla torcia del

Garibaldi ed ora gonfiate le gote a soffiarci su perch conpaja


il vostro lumicin, che sembra spento. Insistono gli avversari :

oggimai che ad altra mano fu commessa la difesa dello Stato, il


Garibaldi aveva a posare; ed io : ditemi, non era per l' appunto

cos anco nel 1860? E se cos, perch gli deste laude allora e
gradiste i suoi benefizi, ed oggi lo pigliate?... Tanto , la mano
trasalisce scrivere a che cosa vi bast il cuore di pigliarlo voi :
a me non riesce altro eccetto ripetere il voto umanissimo di un

fratello francese : possa il sangue del Garibaldi come quello


del Divino Redentore salvare la causa per la quale fu versato !
Gli avversari da capo: ci che una volta fu tollerato o piacque,
non pu concedersi di regola in reame bene ordinato. Qui si ri
sponde: vero; ma se pericolo di ruina ci stava veramente so
pra; se ogni via di salute chiusa, tranne quella nella quale si

avvent il Garibaldi; e se n per cenni, n pervoci, n per pre


ghiere, n per minaccie altrui voleva seguitarla, ditemi, la sal
vezza comune non fa legge suprema per tutti ?
E questo quello che rimane a vedersi, gli emuli vanno re
plicando. Sia cos; ma si risponde per noi: voi dunque non
vivete sicuri del partito contrario? Ora prudenza dl Stato inse

gna, che tra due partiti di esito incerto, il pi sicuro il gene


roso: ma ci mettiamo da parte, e ripeto con voi : questo rimane
a vedersi.

E se la prova dar ragione a Garibaldi? Se la pazienza nostra


abusata oltre il confine supremo diventasse furore, e a voi emuli
suoi fosse mestiero levare la spada, che dir quel giorno il Ga

ribaldi contro di voi ? Egli accuser i suoi accusatori; egli, tra


lui e gli avversari invocher due tribunali, quello della coscien

122
za pubblica, e quello di Dio. So troppo bene che il primo
tribunale pu agguindolarsi, ma per poco; e so ancora che pel
tempo che corre se si ostenta da un lato ossequio al Papa, dal
l'altro se non si nega, almanco s'ignora Dio: non importa: chi

ricus accogliere Dio come lume de'suoi passi oggi, lo sentir


domani come chiodo nel cuore. E caso mai avvenga cotesto
giorno, ponetemi mente, che a me tocca favellarvi per via d'im
magini: ditemi, il Bardo che spezz le corde pi sonore dell'arpa
potr intonare terribile l'inno di guerra? Il guerriero che ruppe
le spade dei suoi pi prodi, potr sperare di vincere le battaglie

della patria? Giove stesso per vincere i Titani chiam per


ajuto Briareo, e noi potremo superare i nemici d'Italia senza il

popoIo, briareo della storia? E il popolo chiamato verr? Sverr,


perch in quel giorno il Garibaldi non accaser persona, ma
rinnovando l'esempio di Vittore Pisani esclamer: apritemi il
carcere tanto, che io venga col popolo a conquistarvi l' Italia

poi torner a ripigliare le mie catene.


A me non lo disse il Garibaldi, ma io lo so, egli vorrebbe

piantare primo la bandiera italiana sopra le mura di Roma , e


poi morire; imperciocch comprenda come non al poeta solo
Dio abbia detto: tu non avrai premio alcuno sopra la terra

da me; io non posso che baciare la tua anima quando salir in


cielo. Cos l'Eterno disse a tutti coloro cui dopo aver ali
tato il suo spirito nelle nari, invia grandi, generosi e infelici a

pellegrinare fra gli uomini, ma la sua corona di gloria non si


compone di gemme, n di stelle, no, bens di anime di illustri
sventurati, che ritornano a Lui.
Ti sieno propizi i miei voti, e se, (ci Dio distorni) non do

vessero adempiersi, consolati sempre; il tuo era braccio di po


polo, n la bandiera che ti fu commessa cadde per terra: perun
braccio reciso al popolo ne nascono milioni che si avventano a
sostenere il sacro vessillo della libert. Il popolo viene da Oriente,

viene da Occidente, e gi muove da Settentrione per pigliare in

123

caso di pericolo il suo Labaro e portarlo sempre in giro, e sem


pre in alto : per che se mai lo piantasse in terra e vi si asso
pisse sotto verrebbero gl'ipocriti, i moderati, i bugiardi, i palto
nieri che hanno l'anima nella pentola e i pubblicani che l'hanno
negli ugnoli, i quali staccato fraudolentemente il vero gonfalone
ci surrogherebbero il falso, e allora la mendace Libert, dopo
aver aggirato in diuturni errori il popolo, lo avvierebbe al sub

bisso. Dal vessillo della Libert bugiarda piovono sugli uomini

influssi pi maligni del macinelliero, l'albero velenoso che mette


la mora a cento miglia intorno da s.
Il gonfalone della Libert non pu per ora drappellarsi mae

stoso e trionfale nel cielo sereno: adesso le procelle gli fanno


guerra, tutti i venti si legano contro di lui, rinascono gli odi a
squarciarlo, le ree passioni si rinnovellano per metterlo in pezzi;
non per questo egli procede meno terribile, che i suoi brandelli
flagellati fischiano in mezzo alla tempesta come rombo di ale di

Nemesi, che corra alla vendetta o di falce di Angiolo che


mieta la messe della iniquit. Ogni passo che avanza, egli perde
un lembo, tutta la terra va ingombra dei suoi frusti; e non per
tanto percosso non vinto, sbranato non logoro , sempre e pi

sempre procede in alto, ch nuova stoffa gli tramano perpetua


mente la virt e il martirio del popolo; n il popolo mai si stanca
da portarlo; ei lo ama troppo, gli costa tante lacrime ! lo ha
bagnato con tanto sangue l Corrono secoli e secoli, che gli dicono
come chiamati da codesto gonfalone verranno ad albergare i suoi
tabernacoli due consolatori Sapere e Potere, ed egli continua

a crederci, e gli aspetta sempre. Qualcheduno del popolo non


gli aspetta pi, ma non lo dice ad anima viva, e sta rassegnato
al pensiero, che, militando fedele sotto cotesta bandiera, possa
un giorno trovare pace nel seno del suo Creatore; imperciocch
sia novella pretta dei preti di Roma, che il Cielo, si apra con due

chiavi, l'una di oro e l'altra di argento; le porte del Cielo s i

aprono con una chiave sola, e questa chiave si chiama : dolore

124

Fratelli operai, nel chiudere queste pagine, mi di sollievo


annunziare che gli operai genovesi inviarono, promettendone al
tri, un tributo al capitano Garibaldi perch lo adoperi secondo
il suo cuore. Chiudete gli occhi, e immaginate che la sem

bianza magnanima di Garibaldi vi stenda la mano in sollievo


dei suoi; vorrete negare un po' di pecunia a chi non ba mai
negato la suavita alla patria? Vi baster l'anima di essere avari
di un pezzo di rame a cui si mostr prodigo di tutto il proprio
sangue? A questo scongiuro, parmi vedere i vostri soldi saltare
su in groppo per iscapparvi di tasca, mentre miro dall'altra parte
i moderati abbottonarsi le tasche; il cuore essi non ebbero
aperto mai.

Il Garibaldi non Dio, ma importa che possa esercitare in pr


di quelli che patirono per la patria sotto la sua condotta , la
virt onde l'uomo maggiormente si avvicina a Dio.
Ora interrogato Pitagora in che l'uomo potesse meglio acco
starsi a Dio, rispose : nel benefizio, e questo pare anche a me.
Per quanto dunque sta nel popolo, dalle mani del Garibaldi stilli
balsamo sopra i patimenti dei suoi compagni di colpa l ln

ogni fortuna la parte del Capitano del popolo sia quella di be


nefattore: il soccorso del popolo inglese non umilia perch testi
monia l'amore pel fratello; peggio poi di umiliare lapiderebbe se
il popolo italiano non rispondesse allo invito.

Prego quindi la Commissione permanente delle societ operarie

ad eccitarle in questa pratica: credo possa il Presidente pigliarne


il carico senza formalit e subito, perch tre grazie arrivate tardi
sommano una disgrazia; ad ogni modo se pensasse abbisognargli

consenso, da parte mia come uno dei componenti la Commissione


glielo trasmetto intero.
Anco un motto e poi cesso. Quando con Pompeo cadde in Far

saglia la libert romana, prevalendo la fortuna di Cesare, fu


detto che la causa vincitrice piacque agli Dei, la vinta a Catone.

N io n altri me stima Catone davvero; pure io innamorai gio

125
vane e vecchio m'innamoro delle cause vinte, avendo conosciuto
a prova come con esse vada quasi sempre la giustizia, non mai

la vilt.
Livorno, 24 settembre 1862.
F. D. GUERRAzzi.
--

La Direzione del giornale Lo Zenzaro di Firenze mandava


al Generale alcune copie di questa scrittura. A questo invio
cos rispondeva Garibaldi:
Varignano, 30 settembre 1862,
Alla Direzione del Diario Lo Zenzero:

Nobili parole sono le vostre degne dei gloriosi tempi di


Roma e ve ne sono riconoscente

Ho nel mio cuore una Italia il cui pensiero mi strazia, pi che


non il projettile, le ossa rotte
Oh l Patrial -

Con affetto sempre vostro


G. GARIBALDI.

VI.

Gli operai, figli robusti del lavoro che non hanno il core
mascherato e corrotto dalla ipocrisia risposero concordi al
l'appello dell'italiano scrittore e allo esempio della associa
zione genovese.
Gli operai di Genova sempre primi al sacrificio ed agli esempi
di patriotismo, mandavano un saluto al loro presidente e L. 500

quale offerta al ferito socio delle loro societ,generale Gari


baldi.

Molte altre societ seguirono l'esempio degli operai genovesi,


e cos essi ebbero il merito dell'iniziativa di quest'atto patriotico.
Ora il signor C. A. Vecchi, dirige al signor Felice Casaccia la se

1926

guente lettera di Garibaldi, da far ostensibile a tutte le societ


operaje genovesi:
Compagni ,

Vi sono grato pel denaro che mi faceste tenere. Ed io lo man

der dove si soffre, per alleviare le pene dei miei poveri fratelli
d'arme.

Grazie anche una volta per cotesto nobile impulso del vostro
C1Ore,

Varignano, 23 settembre 1862.


Con affetto sempre vostro
G. GARIBALDI.

VII.

fatto certo che il dottor Bertani quantunque richiesto

ripetutamente da Garibaldi non lo pot visitare. fatto certo


che le maggiori angherie furono usate coi prigionieri gari
baldini. fatto che i Seidi di Rattazzi infierivano come aiz

zati mastini addosso alla preda.


Udiamo come l'organo ufficiale del governo rispondesse
al pubblico sdegno :
La notizia dei fatti d'Aspromonte giunse al Ministero della
guerra nella notte dal 29 al 50 agosto. Postergata ogni altra co
sa la prima disposizione che eman dal Ministero in quella stes

sa notte fu un telegramma al colonnello Pallavicino per ordinare


che anzitutto si provvedesse alla cura della ferita del generale
Garibaldi con tutti i riguardi dovuti alla sua persona.
Il giorno 50 il generale Garibaldi imbarcato sul Duca di Ge
nova part alla volta della Spezia dove con tutta premura dal
Genio militare si provvedeva a disporre per lui il forte di Santa

Maria, mentre altri locali erano preparati per gli altri prigio
nieri,

127

ll Ministero contemporaneamente prescriveva che tutti questi


prigionieri fossero trattati con umanit soggiungendosi che fra
gli arrestati vi sono persone le quali per la loro posizione in

societ sono assuefatte agli agi della vita, ed intendimento del


Ministero che questi siano possibilmente separati dagli altri e
meglio alloggiati, come pure che si ottemperi alle loro domande

affinch mediante pagamento possano procurarsi un sostentamento


consentaneo alle loro abitudini.

In quanto a Garibaldi personalmente si erano date le seguenti


istruzioni: Il generale Garibaldi e le persone alle quali il
Governo permetter di coabitare con lui dovranno essere trattate
col massimo riguardo; essere

alloggiate

in camere decentemente

mobigliate, avere un servizio di tavola conveniente; tutto ci a


spese del Ministero di guerra.
Frattanto il Duca di Genova approdava alla Spezia alle ore 1

pom. del 1 settembre, e siccome al forte Santa Maria eravi un de


posito di polveri della marina che si dovettero trasportare, ci
aveva cagionato un ritardo per cui l' allogio pel generale Gari
baldi non era ancor pronto.
Ad evitare al ferito maggiori disagi si credette opportuno sta
bilire che fosse trattenuto a bordo, visto che fra due giorni al
pi l'alloggio sarebbe stato allestito.
Se non che Garibaldi il giorno 2 settembre espresse il deside

rio di essere sbarcato, ed immediatamente si ordin che fosse


trasportato al Varignano, dove fu posto a sua disposizione l'al
logio stesso del comandante, prescrivendosi al luogotenente co
lonnello comandante il distaccamento delle truppe col stanziate
di presiedere allo stabilimento di Garibaldi, rinnovando le rac
comandazioni che fosse trattato con tutti i riguardi dovuti alla
sua persona ed al suo stato di ferito.
Pu essere avvenuto nel primo momento che ivi non si rinve
nissero tutti i desiderati medicinali, e che mancasse talun og
getto di mobiglio per le persone del seguito; ma in quelle re

128

pentine circostanze niuno potr in buona fede far colpa di ci al


Ministero, il quale senza dilazione fino dal primo di settembre
aveva dato ordine che ogni cosa necessaria fosse provveduta nella
vicina citt della Spezia, e mand il giorno 2 il colonnello Santa
Rosa ed un funzionario dell' intendenza militare colle pi ampie
facolt.

--

In breve tempo, tenuto conto delle non faciii comunicazioni ,


tutte le esigenze furono soddisfatte e crediamo che lo stesso Gari
baldi ebbe a lodarsi, sia del colonnello Pallavicino, sia del co
mandante del Duca di Genova, sia delle autorit della Spezia.
Si detto che i

prigionieri erano tenuti sotto esagerata e troppo

dura custodia; ed invece, che sotto questo riguardo le autorit


abbiano usato eccessiva larghezza anzich severit, si arguisce

dal fatto che Garibaldi ed i compagni suoi poterono scrivere lettere che furono stampate sui giornali.
Si disse che a Garibaldi era negata ogni comunicazione, che

non gli fu concesso ancora la visita de' suoi intimi; ed invece il


Ministero accord a molte persone il permesso di coabitare con
lui e fra gli altri ai suoi figli, al suo genero signor Canzio, al
cavaliere Deideri e sua moglie, alla signora Sckwabe, ec.
Moltissimi ottennero di visitarlo e basti citare il generale Trr,
il generale Bixio, il signor Augusto Vecchi, il marchese Giorgio
Pallavicino e la signora sua consorte, ec., ec.
Certamente non fu permesso a quanti medici non chiamati o

quante persone sconosciute si presentarono, di poter accedere


presso Garibaldi, ma Garibaldi stesso intento alla cura della sua
ferita ebbe a dire al colonnello Santa Rosa di voler pure essere

severo, giacch per suo conto non poteva negare di ricevere gli
accorrenti, ma la troppa folla di visitanti gli era di aggravio.
ll Ministero della guerra su cui cade la risponsabilit delle

date disposizioni, sicuro sulla sua coscienza di aver conciliato


tutti i riguardi di umanit colle cautele da usarsi verso chi in

condizione di poter essere assoggettato ad un processo.

129
VIII,

Ed ora alle melate parole del venduto servitorame, dei


leccai, leccazampa , clienti, controponiamo fatti. Leggasi la
seguente lettera che ci dispensa da ogni commento. Per
stigmatizzare la fronte di chi ordina tali infamie sarebbe
poco anche il marchio del carnefice.
a Egregio signor Direttore.
Dal carcere penitenziario di Alessandria, 16 settembre 1862,
Poveri garibaldini, a quante durissime prove sono assoggetta
ti l Ve ne dico una che vale per tutte. Onde abilitare i custodi

delle carceri, che da parecchi giorni ci si condanna a percorre


re, ad usare verso di noi estremi rigori, il Prefetto di Genova,

sigmor d'Afflitto, si degn trasmettere la lista dei nostri nomi al


le autorit subalterne, coll'indicazione che siamo camoristi (ci

sapemmo dal brigadiere che ci scort da Genova ad Alessandria,


e dall'ispettore delle carceri cellulari di Alessandria), e cos au
torizz i carabinieri ad ammanettarci, ed i direttori delle carce
ri a confonderci cogli assassini ed a lasciarci languire d'inedia.
Il mal gioco non era difficile ad eseguirsi, in quanto che fum

mo imprigionati senza alcun mandato d'arresto, n peranco ci si


sottopose a verun esame.

questo un calcolo? questo un errore? In un modo o


nell'altro duopo che la stampa indipendente se ne occupi, per

isbrogliare la matassa. Che i garibaldini si assoggettino ad ogni


maniera di torture, per aver mille volte rischiato la vita, onde
riunire l'Italia sotto lo scettro di Vittorio Emanuele, ci sta be
ne; ma che si oltraggino, questo non soffriremo mai.

Desiderate ora conoscere i nomi di questi gran scellerati?


eccoli:

Rosario Begnasco, scultore.

D. Salvatore Tinnaro, avvocato fiscale.


MISTRALI, Da Caprera ad Aspromonte, ec.

150
Numa Palazzini, maggiore.
Mario Palmieri, studente.
Sebastiano Gigante, architetto.
Antonio Caracciolo, negoziante.
Sacerdote Gaetano Pagliaro, cappellano.
Alessandro Borg, professore nell'Istituto Garibaldi.
Questi infelici presentarono l'unita rimostranza al signor Pre

fetto d'Alessandria, il quale la restitu senza emanare alcun prov


vedimento.

Egregio signor Prefetto

di

Alessandria.

Non le parliamo in nome di leggi scritte nei codici, che pur


troppo sono facilmente obliate. Le parliamo in nome di leggi
scritte nel cuore d'ogni uomo onesto.

Gli ragionevole, gli giusto, che uomini, non le dir in


nocenti, ma di nulla accusati, e giammai sentiti in giudizio, e

posti in prigione senza alcun mandato di arresto si condannino a


passare di carcere in carcere, straziati da orribili patimenti, dei
quali il maggiore quello di vedersi confusi con ladri o capi
assassini?

E per tutta discolpa a tanto arbitrio, dagli agenti del potere


si sparge la voce ch'essi sono camoristi l

Camoristi noi, che tutto sacrificammo per il bene della pa


tria nostra?

L'insulto grave, signor Prefetto, e bisogna sia riparato.


E per ripararvi ricorriamo alla V. E. Ill., chiedendo anzitutto
che ci si tolga di una prigiene, nella quale non entrano che de
linquenti, riserbandoci per l'avvenire di far valere le nostre

ragioni, onde siamo resi liberi alle nostre famiglie.


Dal carcere penitenziario di Alessandria, 16 settembre 1862,

151
IX.

E or vediamo come Napoleone III rispondesse a Rattazzi,


benemerito di avere assassinato Garibaldi.

Gli antichi Romani seppellivano sotto gli scudi i traditori.


Napoleone Ill per rispondere all'infamia del Giuda piemon
tese licenziava il ministro Thouvenel che era ritenuto favore

vole alla Italia ed eleggeva l'avversissimo Drouyn de Lhuys.


Ma quello che caratterizza l' iniqua stoltezza di Rat
tazzi che dopo l'assassinio di Garibaldi egli rivendicava il
suo programma e scriveva a Parigi blasfemando in tuono
di falsetto il Roma o morte!

Ma quel grido proferito dall'eroe facea tremare i despoti,


proferito da voi pare una di quelle cabalette belligere can
tate da un contraltino stonato che sono una parodia.
Udiamo come il nuovo ministro di S. M. Napoleone III
rispondesse al Roma o morte!' di Rattazzi.
Costui, aveva promesso assai per l'interno e assai per
l'estero.

All'interno egli ci di Aspromonte, all'estero la nota che


riportiamo.
Per finire la sua vita con un' ombra onesta non rimar

rebbe all'avvocato Urbano che un partito solo. Far testa


mento ed appiccarsi domandando perdono all'Italia del male

fatto da Novara ad Aspromonte. sventuratamente le buone


ispirazioni non sono facili in quel cervellino rachitide; Rat
tazzi vivr per sua vergogna e per sciagura nostra. E
Cavour morto!!!

Parigi, 26 ottobre 1862.


Signore. Sin dalla mia venuta nel ministero delle cose stra
niere, mi sono studiato di ben conoscere il presente stato d'Italia,

e lo stato delle vicissitudini che hanno partorito il nuovo ordi

132
namento di quella nazione. Ed il tener noi occupate con l'armi

le provincie romane stato l'oggetto del mio pi accuratostudio


per quel che riguarda i nostri rapporti con l'Italia.
Due recenti documenti furono soprattutto oggetto del mio stu

dio: voglio dire la Circolare del generale Durando, data il 10 di


settembre passato, e un dispaccio, da Sua Eccellenza diretto il

d 8 di questo mese, al ministro d'Italia in Parigi, il quale era


gi stato fatto confidenzialmente conoscere al mio antecessore.
Il cav. Nigra, secondo le sue istruzioni, me lo lesse e ne lasci
la copia. Ricevendolo dal ministro d'Italia, io ebbi ad astenermi

da ogni parola ufficiale intorno ad esso, riservandomene la ri


sposta per poterla meglio considerare e ricevere gli ordini dal
l'imperatore.

Ed oggi ho da significarvi l'esito di questo studio,e mostrarvi


l'ordine delle idee che io dovr seguitare per rispondere alla nota
del governo italiano, secondo gli ordini di S. M.

Affine di chiaramente mostrare la condizione del governo im


periale e i doveri, secondo i quali egli da quattordici anni ope
ra e partecipa nelle cose d'Italia, mi convien ricordare i prin
cipali fatti di questi agitati tempi, raccogliere i concetti che
hanno in ogni congiuntura guidato il governo della Francia, e
mostrare il fine al quale esso sempre mir.
Quando papa Pio IX, dopo avere cominciato la liberazione d'I
talia, fu dall'impeto della rivoluzione cacciato da Roma, il mondo
cattolico si commosse, e richiese ai grandi Stati che vi s' inge
rissero. N il governo delle Tuileries ha dimenticato che il re
Carlo Alberto, fra i travagli delle sue eroiche imprese, vide il
suo ministero, presieduto dal signor Gioberti, proporre un di
segno d'accorde con la Francia per guarentire gli Stati della
Chiesa, e, al bisogno, proteggere con l'armi piemontesi i diritti
-

della Santa Sede.

La Francia inizi quest'opera; ed ebbe l'onore di rialzare in


Roma l'autorit del Santo Padre; onde gli altri Stati, pieni di

133

fede nella sua forza e nella sua lealt, a lei lasciarono il carico
di compir l'opera, della quale alcuni di loro aveano desiderato
essere partecipi.

Il governo dell'Imperatore sent d'avere degnamente adempiuto


la commissione assuntasi, e poich essa era pressoch finita, era
in procinto di levare i suoi soldati da Roma, quando per la
guerra sorta fra l'Austria e il Piemonte, nacquero nuovi doveri.
L'utile della Francia e insieme il favore dell'Imperatore verso
l'ltalia l'indussero a intraprendere una guerra che dovea dare a
quella nazione la sua indipendenza.

La Francia desider acquistare all'Italia tale indipendenza,


pure osservando i diritti altrui, per quanto almeno gli eventi
della guerra lo consentivano.

E l'indipendenza d'Italia, secondo il parere dell' lmperatore,


era assicurata col trattato di Zurigo, ed era per essere rassodata
per una lega intima degli Stati italiani. Ma quando il governo di
Torino, piegando ad influenze che potevano metter a pericolo
l'esito del 1859, deliber prendere la guida degli avvenimenti

spinti dalla rivoluzione, ed aggreg i ducati, il governo dell'Im


peratore ricus ogni comunanza con politica divenuta diversa
dalla sua.

E mostrato al suo collegato i pericoli e le malagevolezze nelle

quali s'imbatterebbe su questa via, non volle farsene malleva


dore. In un dispaccio, diretto il 24 di febbrajo 1860, al rappre
sentante dell'Imperatore a Torino, e mostrato al conte Cavour,
il mio antecessore diceva :

Ho io bisogno di molti dettagli per spiegare quale sarebbe


la nostra attitudine se il gabinetto di Torino, libero nella sua

opinione, preferisce correre tutti gli azzardi che ho segnalato,


scongiurandolo di evitarli? L'ipotesi della quale il governo di
S. M. Sarda non avrebbe a contare che sulle sue forze sole si

sviluppa in qualche maniera da s, e mi sarebbe penoso il fer


marsi pi oltre. Io mi limito dunque a dirvi che, per ordine

13,
dell'Imperatore, noi non sapremo a nessun prezzo assumere la
responsabilit d'una simile situazione. Qualunque siano le sin
patie per l'Italia e principalmente per la Sardegna, che ha con
giunto il suo al nostro sangue, S. M. non esiterebbe a testimo

niare la sua ferma ed irrevocabile risoluzione di prendere gli


interessi della Francia per guida unica della sua condotta. Il

gabinetto di Torino pass oltre su questi consigli, ed accett per


lui solo la responsalit di questa sua determinazione.
Bentosto dopo, cionnullameno, l'impresa di Garibaldi, trasci
nando il gabinetto di Torino ad intervenire nell'Italia meridio
nale, andava ad impegnarsi in un conflitto armato col governo
del Santo Padre, ed obbligava noi stessi a sconfessare solenne

mente degli atti attentatori alla sovranit che noi coprivamo


della nostra protezione.
Il 10 settembre 1860 il signor barone di Talleyrand riceveva

l'ordine di dirigere al signor conte di Cavour la nota seguente:


c ll sottoscritto.... ha l'onore d'annunziare a S. E, il conte

di Cavour, che ha ricevuto l'ordine di dichiarare a nome dell'Im

peratore che se non gli data assicurazione che la nota diretta dal
governo Sardo alla corte di Roma non avr alcun seguito, e che
l'armata Sarda non attaccher le truppe pontificie, la Francia si
vedr nella necessit di rompere le sue relazioni diplomatiche
col gabinetto di Torino, e di sconfessare cos pubblicamente una

politica che ella giudica pericolosa per il riposo dell' Europa, e


funesta per l'avvenire dell'Italia.

Questa nota, non avendo modificata la risoluzione del governo


italiano, il signor Thouvenel scriveva il 15 settembre al signor
de Talleyrand:
Signor barone; ho l'onore di annunciarvi che l'Imperatore
ha deciso che voi lascerete immediatamente Torino, a fine di

testimoniare cos la sua ferma volont di declinare ogni solida

riet con atti che i suoi consigli, dettati dagli interessi


non hanno sventuratamente potuto prevenire, s

d'Italia,

135

Passer rapidamente sugli avvenimenti che seguirono l'annes


sione delle provincie napolitane e la costituzione del regno d' l
talia. Questi avvenimenti non potevano modificare le apprezza
zioni del governo dell'Imperatore. Ma una grande sventura col

piva l'Italia. La morte dell'uomo di stato eminente, che dirigeva


il gabinetto di Torino, e l'autorit personale con cui contribu
possentemente ad arrestare nella penisola l'irruzione delle pas
sioni anarchiche, poteva aggravare di molto la posizione, e avere
per la pace generale le pi funeste conseguenze. Io non ho ad
esporre nuovamente le considerazioni che determinarono allora
il governo dell'Imperatore a riconoscere il Re d'Italia, io voglio
solamente ricordare le riserve colle quali fu accompagnato quel
l'atto per ci che concerne specialmente la quistione romana.
L'Imperatore, rispondendo a S. M. il re Vittorio Emanuele, che

gli aveva domandato di riconoscerlo col suo nuovo titolo, scri


veva il 12 luglio 1861:
Io devo dichiarare francamente a V. M., che, riconoscendo
il nuovo regno d'Italia, io lascer le mie truppe a Roma, finch
ella non si sar riconciliato col papa, o che il Santo Padre sar
minacciato di vedere gli Stati che gli restano invasi da una
forza regolare od irregolare.
Notificando all'incaricato degli affari di Francia a Torino la ri
soluzione dell'Imperatore, Thouvenel diceva:
-

Il gabinetto di Torino si render conto de'doveri che la no


stra posizione crea verso la Santa Sede, e io crederei superfluo

d'aggiungere che stringendo rapporti ufficiali col governo ita


liano, noi non intendiamo nulla dimeno di affievolire il valore

delle proteste formulate dalla corte di Roma contro l'invasione


di varie provincie degli Stati pontifici. Non pi di noi, il governo
del re Vittorio Emanuele saprebbe contestare le potenti conside

razioni di tutte le specie che si attaccano alla quistione romana

e dominano necessariamente le nostre determinazioni, e com


prender che riconoscendo il re d'Italia, noi dobbiamo continuare

156

l'occupazione di Roma, sinchgaranzie sufficienti non copriranno


gl'interessi che l'hanno provocata.
ll governo dell'Imperatore ebbe adunque premura di spogliarsi
d'ogni malleveria, e bene determinare la natura della sua deli

berazione. In pari tempo egli sperava che, riallacciando le re


lazioni diplomatiche col governo di Torino, potrebbe meglio ado
perarsi alla conciliazione, donde egli credeva dovesse derivare il
rassodamento del presente ordine di cose in Italia.
La sua benevolenza verso l'Italia, la sua sollecitudine per la
Santa Sede, e soprattutto la sua responsabilit verso la Francia,

gli davano l'obbligo n di disanimarsi per opposizione incresce


vole, n di stancarsi per soperchie impazienze; ma di ostinata
mente continuare l'opera sua, il cui fine di soddisfare tutti
gl'interessi compresi nella controversia romana.
L'Imperatore, in una lettera, poco fa pubblicata nel Moniteur,
mise in luce tutti i principi che guidano il suo governo, mo

strando il fine ch'egli desidera ottenere s per l'Italia che per la


Santa Sede.

E dacch l'Imperatore cos dimostr le malagevolezze della sua


impresa e le condizioni della riuscita, il suo governo non si ri
stette dall'adoperarsi per riaccostar gli animi, mitigar le pas
sioni e tornar, a coloro che ne patiscono, la pace e la sicurt.
L'esito non ha insino ad ora risposto all'aspettazione; ma, se
da un lato vediamo l'opposizione della Corte romana immutabile,
e se essa ricusa cercare insieme con noi i modi d'un accordo

accettevole; d'altro lato vi sono importanti fatti che non son da

tacere, e che, rendendo quella Corte pi ferma nella sua oppo


sizione, perch giustificano la sua diffidenza, procacciano mag
giori difficolt al governo dell'Imperatore.
Il generale Garibaldi, arrogando a s stesso l'opera regolare
del potere officiale, apparecchi una spedizione vlta contro noi;
il fine essendo d'assalir con l'armi la citt di Roma da noi guar
data. Il governo del Re, sono sollecito di dirlo, con risolutezza e

137
vigore, che son prova onorevole della lealt sua, felicemente re
presse l'impresa.
Ma il disegno del generale Garibaldi, e l'aver esso avuto un

principio, svegli in Italia passioni anarchiche; e lo stato delle


cose per ci peggior. Nel medesimo tempo seguivano in un paese
vicino dimostrazioni rivoltose, che miravano a forzare le deli
berazioni dell'Imperatore.
Mi pare inutile di qui ridire che la bandiera francese non in
dietreggia mai innanzi ad alcuna minaccia ; e credo ancora inu
tile rammentare che il Governo del mio paese non patisce sti
moli stranieri.

Adunque i fatti, che non mi pare dovere ricordare, non ebbe


ro alcun potere sopra le deliberazioni del Governo imperiale, n

di disviarlo dal fine propostosi, cio la conciliazione de'due gran


di principi che si trovano a fronte in ltalia,
La circolare del generale Durando del 10 del mese passato, la

sua presentazione d'officio e la pubblicazione, non ci tolgon la


speranza di ottenere un giorno una transazione che il Governo
d'Italia oggi ricusa, e ehe noi sapremo attendere.
E veramente il generale Durando, ricordata la repressione del
l'impresa di Garibaldi, si accosta al suo programma, e domanda,

come Garibaldi, che sia sgombrata Roma, e la decadenza del


Santo Padre.

Innanzi a questa dichiarazione aperta, e a questa domanda, a


noi sembra inutile il discutere, o cercare un termine medio.
Il Governo di Torino per le sue dichiarazioni senza riserva, si
messo in una via nella quale la Francia, per le sue tradizioni

e per gl'interessi suoi, non pu seguitarlo.


Conosco benissimo la forma anichevole e regolare del docu

mento presentatomi dal ministro d'Italia; ma vi cerco invano gli


elementi di negoziati, sui quali noi possiamo concordare.

I negoziati, secondo la nostra opinione, non posson aver per


fine che la conciliazione di due principi, i quali, bench fra loro

158

contrari, hanno fondamento tanto rispettabile che noi non vor


remmo sacrificare l'uno all'altro.

ll Governo di Torino sa che noi siamo pronti ad esaminare con

cura e con buon volere tutte le proposizioni che ci vorr fare, e


ci sembreranno favorevoli e ci accosteranno al fine al quale mi -

riamo, e al quale speriamo prevenire, n mai ci rimarremo di


pricercare.

Leggerete questo dispaccio al signor ministro delle cose stra


niere d'Italia, e gliene darete la copia.
DRouTN DE LHUrs.

X,

Dopo Aspromonte non ci era che una sola via aperta al


Governo per farsi vedere moralmente puro del sangue ver

sato. Tutta la stampa, tutto il paese gridarono concordi:


Amnistia! Amnistia ! Tutto il paese gridava: noi siamo rei,
noi siam complici tutti, pel senso unico dell'anima, di quel
generoso attcntato. Ma Rattazzi persist nel suo sistema di
altalene, di doppiezze, di menzogne. Oh! chi sa come a
qualcuno sorrideva l'idea di potere appiccar Garibaldi !
Dopo tergiversazioni infinite, dopo aver compromesso la
magistratura, dopo aversi fatto maledire dai nemici, abban
donare dagli amici non venduti, finalmente, persuaso che
il processo non si poteva fare e che l'opinione pubblica sa
rebbe insorta in massa per giudicare alla sua volta la per
fidia degli assurdi giudici, il ministero parl spontaneo e
generoso la pacifica parola !!!
Udiamo il linguaggio ufficiale di codesta immonda bocca:
Relazione a S. M. in udienza del 5 ottobre 1862.
Sire l

Le cause per cui il Vostro governo si vide finora costretto a


consigliarvi di resistere ai generosi impulsi del Vostro animo

139

verso il generale Garibaldi ed i suoi complici sono cessate,


L'impero delle leggi si va dovunque assodando; la fiducia nella
franca quanto prudente politica da Voi iniziata ha temperate le
impazienze che spinsero questo Generale per la via della ribel

lione alla catastrofe di Aspromonte, dove ha potuto accorgersi,che


se combattendo in Vostro nome i nemici della patria e della li

bert pot compiere prodigi, non era cos quando dimenticati i


suoi doveri, impugnava, qualunque ne fosse il fine, le armi con
tro i vostri diritti.

Da questo deplorabile esempio sorge un salutare insegnamento


per noi tutti.
Ora l'Italia rassicurata contro le improntitudini delle fazioni,
e nemore dei servigi resi dal generale Garibaldi alla causa

dell'unit nazionale, desidera ardentemente di dimenticare che


vi fu un momento in cui egli si fece sordo alla voce del dovere,

aiVostri ammonimenti ed alla legge. A questo voto del paese fan


eco dovunque nel mondo civile quanti caldeggiano la causa
della libert ed unit dell' Italia e nulla tanto temono per lei
quanto il ritorno delle intestine discordie, che la tennero per

cos lungo tempo divisa e la resero s facile preda alle straniere


ambizioni,

L'oblio che da ogni parte s' implora per l'autore principale


si chiede con tanto maggior ragione in favore di coloro che tra
scinati dal prestigio che circonda il suo nome, lo seguirono nella
malaugurata intrapresa.
Non pi necessario resistere a codesti voti. Dal loro esaudi
-

mento acquister vigore l'indirizzo del governo, senza che ne


scapitano le condizioni dell'ordine politico che ha posto nelle vo
stre reali mani la facolt di soddisfare al sentimento nazionale

ed a quello del Vostro cuore, senza scalzare le leggi sulle quali

riposa la pace pubblica.


Quando si trattava di rintuzzare la ribellione, di restituire

l'impero alle leggi oltraggiate e di assodare le ragioni dell'or

446)

dine, il Vostro consiglio non esit a proporvi i provvedimenti pi


energici; ogni pericolo essendo svanito, si fa di buon grado oggi
l'interprete del voto generale, ed implora da Vostra Maest un
atto di clemenza che, cancellando la memoria di uno degli epi
sodi pi dolorosi del nostro risorgimento nazionale, abbia per
risultato di non lasciar sussistere che il ricordo dei 2rvigi resi
alla patria ed alla dinastia.

Soli i nemici d'Italia a cui arridevano le minaccie di guerra


civile, vedranno con dolore quest'atto destinato a mantenere

unite ed incolumi tutte le forze come tutte le glorie della na


zione.

ll Vostro governo avrebbe bramato che l'amnistia fosse intera,


e che tutti coloro che all'occasione dell'intrapresa, repressa nei
campi di Aspromonte sono incorsi nelle pene comminate dalle

leggi fossero prosciolti da ogni debito verso la giustizia


Senonch la necesit di confortare in ogni incontro il senti
mento degli alti doveri che a sicurezza di tutti i diritti e di tutte
le libert sono imposti alle milizie, non permette di compren

dere nel novero degli amnistiati i soldati di terra e di mare, che


in questa occasione violarono le leggi che particolarmente li ri
guardano, o fallirono alla fedelt dovuta al principe.
L'onore della nostra bandiera ci vieta di ravvisare nei fatti

che loro sono imputati, le circostanze attenuanti che stanno in


favore di coloro che non erano stretti nei vincoli del servizio
militare.

I vostri ministri non si dissimulano quanto l'eccezione che

propongono e nella quale insistono, debba costare al paterno


Vostro cuore.

Questo indulto, o Sire, non senza precedenti nei nostri or


dini liberi.

Il consenso tacito, che il Parlamento e la pubblica opinione

diedero in altri tempi a consimili atti, persuadono il consiglio


della corona a proporvi un decreto, che faccia fede all'Italia ed

141

all'Europa della vostra magnanimit, della forza del governo e


dello spirito di concordia onde sono animati i popoli che van
lieti di avervi a un tempo per padre e per re.
VITTORIO EMANUELE II

per la grazia di Dio


e per volont della Nazione
aE D' ITALIA
Visto l' art. 8 dello Statuto:

Sulla proposta del presidente del consiglio, ministro dell' in

terno ed interinalmente incaricato di reggere il ministero di gra


zia e giustizia;
Sentito il consiglio dei ministri ;
Abbiamo decretato e decretiamo quanto segue:
Art. 1. Gli autori e i complici dei fatti e tentativi di ribellione
che ebbero luogo nello scorso mese di agosto nelle provincie me
ridionali, e non colpevoli di reati comuni, sono prosciolti da

ogni debito incorso per questo titolo verso la giustizia.


Art. 2. Sono per eccettuati dal benefizio di questo indulto i
militari di terra e di mare.

l nostri ministri sono incaricati ciascuno per la parte che lo


concerne, dell'esecuzione del presente decreto che ordiniamo sia
inserito nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del regno

d'Italia, mandando a chiunque spetta di osservarlo e farlo osser


vare,

Dato a Torino, add 5 ottobre 1862.


VITTORIO EMANUELE
U. Rattazzi.

CAPITOLO SETTIMO.

Tutti sanno come Urbano Rattazzi sia maestro di ingan


ni. I morti non tornano. Questo opportunamente pensando,
egli volle crearsi lo appoggio del conte di Cavour e fece
disseppellire e stampare certe vecchie lettere che il grande
uomo, non avverso a lui gli dirigeva, quando, per un mo
mento, pot crederlo un galantuomo.
Ma l'avvocato aveva fatti i conti senza l'oste. Ecco il ni
pote ed erede del defunto ministro, il quale, indignato di
veder cos falsata la mente del morto, fa stampare la se
guente lettera che bene dimostra come anche Camillo Ca
vour fosse arrivato a conoscere la perfidia del suo ex collega.
Noi la riferiamo e rimarr una pagina indelebile contro

quest'uomo che per tre volte il demonio impose all'Italia.


ce 26 dicembre 1859.

Non vi narrer la storia della mia scelta a rappresentante

nostro al Congresso. Tutti gli intrighi, tutti i raggiri i pi bassi


furono posti in opera per renderla impossibile. Di questi sono
innocenti Dabormida e Lamarmora.

Vi sar facile l'indovinare chi ne fossero gli autori. Se que


sti non riuscirono nel loro intento, giunsero tuttavia a rendere
pi ardua la difficilissima mia missione col far chiare le antipa
tie, gli asti e le basse gelosie di cui sono onorato da taluni.
Ci nondimeno ho accettato, perch rifiutando doveva per ne

cessit proclamare un antagonismo fatale all'Italia; ma, accettan

-----

ta

143

do, credo d'aver fatto il maggior sacrificio che un uomo pubblico


possa fare al suo paese, non solo col consentire a sopportare in
silenzio crudeli ingiurie, ma accettando un mandato da un go
verno che non m'inspira n stima, n fiducia.
C. CAvoUR. n

II,

Finalmente dopo inaudite tergiversazioni il Parlamento


si apre e il Ministero si presenta al tribunale dei rappresen
tanti della nazione. La voce pubblica lo accusa, la coscienza
lo condanna, chi lo difender?

L'avvocato Boggio lo difender, e non ci sorprende. Ma,


chi il crederebbe, lo difender anco il veterano della de

mocrazia; vedremo Brofferio difendere Rattazzi! Tanto pu


l'onest del core che non lascia credere le perfidie altrui.
Seguiamo le prime fasi del dibattimento e riproduciamo
la splendida arringa del napoletano Massari accusatore ine
sorabile e giusto delle male opere ministeriali.
MAssARI. Quando nel mese di marzo il Ministero espose alla Ca

mera il proprio programma, ed invit il Parlamento a volere


aspettare per giudicarlo i fatti mediante i quali avrebbe data
piena ed intera attuazione a quello stesso programma, io fui di
quella minoranza che neg di aver fiducia bastante negli uomini
che componevano il gabinetto per crederli in grado di mantenere
le speciose loro promesse.
E per parte mia non si trattava solo di sfiducia, ma era in
me un triste presentimento che mi avvertiva come questo governo

fosse per esser funesto alla patria. Ed io e gli altri che votarono
meco fummo accusati di fare una opposizione personale. In mio
nome e nel nome dei miei amici protesto altamente contro si

mile accusa. Qualunque fosse la nostra antipatia contro gli uo

144

mini che ora siedono al potere, se noi li giudicassimo veramente


capaci di fare il bene del paese, come incapacissimi pur troppo
li giudichiamo (risa) li sosterremmo ad ogni patto.
La vera ragione della insufficienza della debolezza del Ministero

ve la indic jeri con molta autorit l'onorevole Boncompagni. Il


Governo debole perch non appoggiato dal Parlamento. Ognun
sa l'origine del gabinetto. Per sorgere, si procur uno strano ac
cozzo, una coalizione di voti sui quali cerc un puntello. La
scio pensare ad ognuno se quella sia una solida base sovra la
quale possa un Ministero innalzarsi. Vi ricordate la legge sulle
associazioni? egli non seppe sostenerla. Ora non avendo so
stenuta la legge, come aveva il diritto di sciogliere quelle stesse
associazioni? Eppure lo fece. Ecco i suoi atti.

Il deputato Lafarina quando sorse a parlare in favore del Mi


nistero, disse che la politica di esso, non era altro che la conti

nuazione di quella del conte di Cavour. Ora voi sapete qual'era


la politica di quel sommo uomo di Stato: l'alleanza della tradi
zione con la rivoluzione. Vi par egli che tale sia la politica de
gli uomini che siedono al banco ministeriale? S, gl'Italiani deb
bono essere rivoluzionari fintanto che Roma e Venezia non sa

ranno riunite all'Italia. L'onorevole Lafarina dir egli ancora che


i ministri attuali continuano la politica del conte di Cavour? Sa

pete qual' la politica del Governo: quella di tentare di appog


giarsi sulle dissensioni intestine.

Egli inizi questo sistema politico fin da quando si appoggi


sui voti degli onorevoli Crispi e Cavour Gustavo.
CRIsPI. Domanda la parola per un fatto personale (risa).
MassAa. Questo sistema, dico, tendeva a seminare la discordia

e metteva corpo alla guerra civile (approvazione). Io non rimpro


vero al Governo di non aver saputo metter riparo ai mali che
affannano lo Stato; lo rimprovero d'esser egli stesso la cagione

vera e immediata di questi mali: non da dimenticarsi che il


conte di Cavour chiam a s Garibaldi , e mise cos ai fianchi
del trono costituzionale, la spada della rivoluzione (bravo)

145

E malgrado i dissentimenti insorti fra Cavour e Garibaldi, Ca


vour mai non si pent di quell'atto; e di quei dissensi fe'giu
dice, chi? Il Parlamento. Ma sotto l'amministrazione del conte di
Cavour, non sarebbe mai e poi mai avvenuto il luttuoso fatto di
Aspromonte. Quindi il dico e il ripeto, come ebbi occasione di
rarlo, quando ebbe luogo in quest'aula il dibattimento a propo
sito degli eventi di Sarnico, la vera, la sola causa della dolorosa
posizione in cui si trova il paese e il Governo.
Quanto alla politica estera, basta esaminare i documenti che
furono depositati dal ministro degli affari esteri, per persuadersi

della opinione che si acquistata all'estero l'attuale ammini


strazione.

La sua debolezza ci ha resi deboli in Europa ; e fu perci che


in Francia si giunse persino a pubblicare appositi opuscoli con
tro l'unit italiana.

S, la debolezza dell'attuale governo diede campo ai nemici

d'Italia di sostenere dottrine cos invereconde e cos turpe (bene).


Anche il mutamento del ministero di Francia non sarebbe ac

caduto, se su quei banchi sedessero altri uomini (rumori). Io


non diedi troppa importanza a quel mutamento; ma sono con

vinto che se avessimo avuto un altro governo, un governo forte,


con un programma riciso, e risoluto a voler ricuperare la sua

capitale, la politica francese non si sarebbe punto mutata a no


stro riguardo.

L'oratore legge il brano della nota del ministro Drouyn de


Lhuys che accenna alla frase della circolare Durando, colla quale
il ministro si appropria il programma di Garibaldi.
Se questo brano sia benevolo verso il nostro governo, io lascio
giudicarlo al criterio della Camera.

Io non ho bisogno di fare dichiarazioni sul carattere del ge


nerale Durando, di cui ben conosco l'interezza. Ma non so co
m'egli potesse venire alla Camera a pronunciare parole di fiducia
e di speranza. Si direbbe quasi uno scherno,

MISTRALI. Da Caprera ad Aspromonte, ec.

10

146
Passando ora alla politica del ministero all'interno, ricorder

com'egli incominciasse dall'inviare in Sicilia il venerando Palla


vicino, il quale annunci d'instaurare un nuovo sistema di go
verno sotto gli auspici del generale Garibaldi.
Le popolazioni si persuasero fin d'allora che piena intelligenza
corresse tra il generale Garibaldi ed il ministero.
Poco dopo il generale Garibaldi pass in Sicilia, e l'opinione

pubblica si persuase che ci fosse d'accordo col governo, tanto


pi che ivi pure eransi recati gli augusti figli del nostro Re.
Nel frattempo si raccoglievano armi su tutti i punti dell'Isola
e si facevano impunemente arruolamenti per Garibaldi. Final
mente si raccolsero alcuni armati al bosco della Ficuzza, senza

che alcuni vi si opponesse: e quindi molti giovani andavano a


riunirsi col, nella persuasione che ci fosse pure nel desiderio
del governo.

E tale opinioni consolidavasi ognor pi in quelle popolazioni.


Ma poco dopo la scena si muta. Il marchese Pallavicino ri

chiamato, sostituito interinalmente dal Ferrari che pubblic


un rigoroso manifesto.
Pi tardi fu spedito il generale Cu gia con apposite istruzioni.

Frattanto il generale Garibaldi continuava la sua marcia, fa


cendo dovunque credere sussistente l'accordo suo col governo.

Si parl cheilsuo ingressoa Catania sarebbe stato impedito. E qui


devo accennare ad un fatto, pel quale vorrei vedere al suo posto

il ministro della guerra. Parlo di quegli ufficiali che invitati a


dichiararsi se volevano battersi contro Garibaldi, o ritirarsi, ot
tennero in luogo della chiesta dimissione, la loro condanna.
Ma l'equivoco continuava, e Garibaldi entrava in Catania.
Si disse allora che il naviglio era pronto ad impedirgli l'u

scita; ma pure Garibaldi uscito senza contrasto, e sbarc tran


quillamente in Calabria.
Io domando se con tutto ci le popolazioni non dovevano cre
dere che le misure prese contro Garibaldi non fossero che una

commedia (bene)

147

A togliere il lungo equivoco ci voleva il tristissimo fatto di


Aspromonte.
Ma anche dopo quel fatto, il Ministero si trov imbarazzato.
L'amnistia era nel voto del paese, ma il governo non aveva il

coraggio di sottoporne il decreto alla firma reale. Di qui quella


serie dolorosa d'incertezze, di contraddizioni, di ondulazioni tra
il processo e l'amnistia, ch'era nel desiderio e nei voti della na
zione.

Taccio sull'incidente della Corte di cassazione di Napoli, sul


quale avr a trattare chi pi fondato di me su tali materie.
Ma ove pi dolorosamente si manifesta la debolezza e l'insuf

ficienza del governo nelle provincie napoletane.


lo vengo da poco da esse, ho uditi i loro lamenti, ho raccolti

i loro voti, e la mia voce non ora che la voce del mio povero
paese.

Nessuna sicurezza pubblica, nessuna amministrazione, malcon


tento generale, nessuna fiducia del governo.
Bisogna per rendere al Ministero questa giustizia; ci sono dei
mali inseparabili della condizione naturale delle cose, ma vi sono

mali dipendenti dalla debolezza e dall'insufficienza dell'attuale


amministrazione.

Le misure da esso adottate segnarono un vero regresso. Il mio

paese consider lo stato d'assedio come un insulto. Capisco che


in qualche provincia, per le gravi circostanze del momento, po

tessero abbisognare misure eccezionali; ma nelle altre provincie


perch?
ll caos regna nell'amministrazione; l'autorit militare in
vestita di pieni poteri; nascono conflitti d'ogni genere colle au
torit civili, e si possono facilmente calcolare le conseguenze.
Ma almeno collo stato d'assedio si fosse distrutto il brigantag

gio; in quella vece il brigantaggio non ebbe mai proporzioni


pi gigantesche l

Pur troppo, in alcune provincie il brigantaggio ci fu sempre

148

ma ora esteso dappertutto. l briganti depredano, assassinano


impunemente, e vanno persino nelle citt ad approvigionarsi.

Per esempio, nella citt di Teramo, i briganti vanno e ven


gono a loro talento.
ARA. E gli abitanti ?
MAssARI. Gli abitanti furono disarmati collo stato d'assedio.

Furono i soli briganti che rimasero armati (applausi).


Quali sieno le condizioni del commercio e dell'agricoltura po
tete immaginare : intere provincie sono ridotte alla miseria.

Questi sono fatti, fatti positivi, ed irrefragabili;e quando leggo


nella Gazzetta ufficiale le relazioni sul brigantaggio, mi par ve
ramente di sognare.

La polizia, si pu dire non esista affatto. - Quando un pre


fetto trasmette degli ordini ai suoi subordinati, tutt'al pi se
si eseguiscono durante due giorni di seguito. L'unit d'azione
nuanca affatto. - Se si fa in una provincia una spedizione con

tro i briganti, la provincia limitrofa non ne neppure avvertita,


quindi i briganti cacciati dalla prima si rifugiano nella seconda.
Vi domando s'egli con tali mezzi che si pu distruggere il bri
gantaggio. Bisogna pur dire che le forze che esistono nelle
provincie meridionali non sono affatto sufficienti.
So che il signor ministro della guerra mi citer delle cifre
delle statistiche. Ma io insisto nell'affermare che le forze sono

insufficienti. Altre sono le truppe che figurano sulla carta, altre

quelle che si trovano effettivamente sui luoghi. Certo, i valorosi


nostri soldati fanno ampiamente il loro dovere, e fa piet il ve
dlere quei prodi cos sacrificati,fa piet l'udire i dolorosi casi di

macello che ogni giorno avvengono, nei quali gl'intrepidi difen


sori delle patrie frontiere cadono vittima di un inonorato con
flitto. Non ho che a ricordare il massacro dei 40 avvenuto ulti

pmamente nella provincia di Molise.


Ma se i mezzi materiali sono insufficienti, mancano anche af
fatto i mezzi morali. Il brigantaggio cresce a misura che aumenta

149
la depressione degli spiriti, e questi non possono certo rialzarsi
fintantoch le popolazioni non abbiano piena e intera fiducia nel

governo del Re, fintantoch non sapranno questo governo rispet


tato e temuto, non blandire e premiare come ha fatto fin qui
gli agenti borbonici (bravo).

Voi avete udito il Presidente del consiglio dirvi che non si


pu impedire a Francesco secondo di stare a Roma. Ma ditemi
un poco, cosa accadrebbe in Francia se ad Avignone si trovasse
il Papa scortato da truppa spagn uola, e che accogliesse il duca
di Chambord, che inviasse per tutto i suoi agenti?
Ditemi se l'imperatore di Francia potrebbe soffrirlo un mo

mento (bene)
Ora la bandiera francese copre a Roma una sentina di malfat
tori e di assassini che vengono a recare il ferro e la strage nelle
nostre provincie, e noi dovremo soffrirlo in pace? (bravissimo).
L'oratore prende qualche riposo. La seduta interrotta.

SELLA (ministro delle finanze). Presenta quattro progetti di


legge.

MAssARI (continuando). L'onorevole Spaventa mi ricorda che ho


dimenticato di citare alla camera il fatto doloroso accaduto nella

provincia di Avellino, in cui molti impiegati della stradaferrata


caddero vittima dei briganti.
Un governo che non pu guarentire al paese la sicurezza pub

blica pu egli sostenersi? degno di governare?


L'oratore viene a parlare dello stato d'assedio e prova, contra
riamente a quanto asseriva jeri il Presidente del consiglio, che
le guarentigie costituzionali erano violate. Ricorda che oltre l'a

ver vietato la pubblicazione dei giornali dell'opposizione nelle


provincie meridionali, proib anche l'introduzione in esse dei
giornali la Gazzetta di Torino, La Stampa, Il Diritto, L'Opinio
ne, ecc.

Cita poi vari esempi di perquisizioni domiciliari e di arresti

quali accadevano al tempo del governo borbonico.

50

Io stesso, aggiunge l'oratore, durante il tempo che rimasi a


Bari, fui denunziato come appartenente al partito d'azione (ila
rit generale) L'onorevole Brofferio che rimproverava al mini
stero Ricasoli di non far miracoli deve esser contento di questa

amministrazione che ha fatto il miracolo di convertir me da con

servatore in repubblicano (risa).


BRorrERIo domanda la parola per un fatto personale.
MAssARI. Il deputato Mordini riport jeri le parole del conte di

Cavour che affermava che avrebbe rinunciato a governare anche


bene quando dovesse farlo con lo stato d'assedio.
Che cosa si dir di questo Governo che ha provato che si pu

governar male anche con lo stato d'assedio?(approvazione, risa).


L'oratore viene a parlare dell'arresto del Mordini e altri, loda
la moderazione con cui jeri narr il fatto e assicura che quello
valse a produrre la pi deplorabile impressione nelle provincie
meridionali, che avezze agli abusi di un governo arbitrario, ne
credono tornati i tempi, e dicono che se Rattazzi trovasse oppo
sizione nel Parlamento metterebbe tutta Italia in istato d'assedio

e farebbe arrestare tutti i deputati (risa, approvazione).


Il Ministero aveva scritto sulla sua bandiera, assicurava esso, la

parola Economia, e poi il Sella venne con quel suo sorriso fine
e pungente che lo caratterizza (risa) ad annunziare che le spese
erano in ogni ministero sestuplicate. Il deputato Boncompagni

disse jeri una parola che lo commosse altamente; quella parola


alludeva al discredito che questo Ministero faceva ricadere sulla
nobile provincia di Piemonte. Si tranquillizzi l'onorevole Bon
compagni: questo Ministero non gode la fiducia pubblica, non

perch oriundo di Alessandria o di Casale, ma perch insuf


ficiente sotto ogni rapporto.
L' oratore ternina dicendo:

L'Italia ha bisogno di un governo riparatore e forte. Lo il


Governo attuale? No. Io dar un consiglio al presidente del Con
siglio (risa). Lo respinger senza dubbio (risa). Gli dir : Ritira

15

tevi perch il paese non vi vuole (ilarit). E se trovate che l'ab


bandonare il portafogli un gran sacrificio, fatelo per amor di
Dio, avrete diritto alla benemerenza del paese. La Camera mi
permetter di ricordare che gli sguardi di tutti gl'Italiani son
volti sovr' essa, e che la patria aspetta con estrema ansiet la sua
decisione.

Colleghi, quand'anche l'atto che state per fare dovesse esser


l'ultimo della vostra vita politica, compitelo onde redimere la
pericolante salute del paese (applausi).

III.

Per dare intanto una idea vera delle conseguenze fatali


che la presenza di quell'uomo al potere rec alla patria,
riportiamo un articolo del giornale inglese inspirato da lord
Palmerston che delinea con mano maestra la situazione crea

ta all'Italia dagli ultimi eventi.


Non ci vorr che la impudenza di Rattazzi per venire alla
Camera a dirci che nulla mutato nella politica francese ,

non ci vorr che la sua impudenza riconosciuta per vantarsi


di diplomatici allori.
lo che scrivo non sono nemico personale di nessuno e
meno del signor Rattazzi, ma sedoniani dovessi sedere in
un tribunale destinato a giudicarlo certamente non esiterei
a dare il mio voto per condannarlo alla pena dei parricidi,
e la mia coscienza non mi rimprovererebbe nulla riguardo al
sangue di cotesto uomo che io ritengo autore di quelle scia
gure non solamente che abbiam patite ma delle molte
eziandio che dobbiamo attraversare ancora.

cessato, per quanto io ritraggo, ogni carteggio tra' governi


di Roma, Francia e l'Italia rispetto a quella citt. L'avere il signor
Drcuyn di Lhuys ripreso l'officio delle cose straniere ha almeno

152

conferito a rimuovere ogni dubbiezza intorno a questo subbietto;

e la diplomazia straniera, la stampa parigina, il popolo francese


a ragione credono il proposito dell' imperatore Napoleone esser
di conservare Roma. I ministri del re Vittorio Emanuele forse

oggi stesso avranno a raccomandare ai Deputati italiani la mode


ranza e la calma, non mai pi che ora necessaria all'ltalia, la

quale sar in breve, com'io credo, costretta a difendere s stessa


e i domini posti sotto la signoria costituzionale del re Vittorio
Emanuele. Ma prima che questo succeda, altri cambiamenti hanno

da seguire nel ministero francese. L'Imperatore licenzi Thou


venel, Benedetti, Lavalette e il venerabile ambasciator di Londra,
il signor Flahaut, quantunque niun cambiamento sia avvenuto
nell'animo dell'Imperatore rispetto all'Italia ed a Roma. Ma quei
che tuttavia rimangono nel ministero hanno convenuto di non
ritener l'officio, se altre mosse retrive avessero dentro o fuori a
succedere. Convien adunque aspettare altri cambiamenti di mi
nistri, affine che le camere, riadunandosi, trovino un governo
tutto concorde ne'suoi propositi verso la controversia romana, la

quale sar la prima e principale nella vergente sessione. Ed io


so che gli amici del fu granduca di Toscana, e degli esigliati
principi di Modena e di Parma e dei Borboni, stimano esser ora
assai vicino il ritorno nelle loro antiche residenze italiane. E ve

ramente quando noi avremo un ministero francese tutto d'unanimo.


noi sentiremo riparlare di Villafranca e di Zurigo, non sola

mente ne'diarj clericali, come ora avviene, ma in luoghi ufficiali.

Certo la Francia, che riconobbe l'Italia, non vorr esser la prima


ad impugnar la spada contro a quella, distruggendo tutti gli ef
fetti delle sue vittorie sui piani di Lombardia, ma se il disordine

s'allargasse nel Napoletano, se i popoli della Toscana, delle Le


gazioni e degli altri ducati fossero discordi ; se il Santo Padre
gridasse che ancor la fede in pericolo, l'imperatore Napoleone
credete voi che vorrebbe

impedire all'Austria di farsi innanzi

ri

conducendo gli sbanditi principi c invocati dai sospiri de' popo

153

li? Tale il giuoco che sar tentato. La Francia risoluta a


tenere il suo esercito in Roma ; ma lo statu quo non a lei pos
sibile; essa obbligata a farsi o innanzi o indietro. Roma grida
perch le sieno rendute le sue tolte provincie, e i principi fuo
rusciti hanno pi amici nella Corte di Francia, che non Vittorio
Emanuele, coi suoi ministri, ed esso principe Napoleone. Quan

d'anche l'Italia rassegnasse la sua domanda per Roma, il Papa e


gli altri principi non si rimarranno dal far ogni opera per ria

vere i loro stati e distruggere l'Italia costituzionale. adunque


di sommo e principalissimo momento all'Italia il mostrarsi con

corde e comandare al governo d'essere posta in rigoroso stato di


difesa. N l'Italia s'aspetti ajuti dalla Francia o dall'Inghilterra,
ma piuttosto ricordi che ella ha nemici potenti per tutto e anco
ne' palagi imperiali, dove la reazione entrata vincitrice. Quegli
che desiderano specolare ne' segni de'tempi, leggano le lettere

che vengono tutti i d d'Italia. E dappoich la Francia dive


nuta non favorevole a quel popolo, il brigantaggio infierisce pi
di prima negli Stati napolitani. La bandiera francese a Roma n'

mallevadrice; perch, secondo il detto de' diplomatici francesi,


il Papa deve essere padrone in casa sua. n

IV.

Finalmente dopo molto esitare e dopo che dal Varignano


fu trasportato il ferito sotto il mite e clemente cielo di Pisa,

la palla che lo aveva colpito ad Aspromonte fu estratta.


Palla dissi, e doveva dire invece la moneta Rattazziana.

Riportiamo alcuni cenni sulla avvenuta operazione. Quan

ot alla palla io ne farei l'uso che un signore castigliano fa


ceva di un pezzo d'oro per rinfacciare alla moglie colpevole
il commesso adulterio.

lo vorrei che quotidianamente ponendosi a desco Sua Ec


cellenza il Commendatore Rattazzi trovasse dinanzi a s,
sul suo piatto, la palla di Aspromonte.

15,

Questo sarebbe il segno della giustizia di Dio. Il traditore


finirebbe probabilmente come fin Giuda e sarebbe testi
monianza al mondo che Dio , vede e provvede.
Per me confesso che diventerei ateo se dovessi vedere

Urbano Rattazzi impunito, e se vedessi Depretis non aver


il meritato guiderdone degli apostati. Ma ho troppa fede
nella immutevole coscienza che la giustizia eterna per du
bitare menomamente.

Ecco i cenni sulla estrazione del piombo Rattazziano dalla


ferita del Generale.

Intorno all'operazione chirurgica fatta al generale Garibaldi,


e della quale un telegramma particolare ci annunziava l'esito fe
licissimo il giorno stesso dell'operazione, scrivono da Firenze,
25 novembre, al Diritto:
ll telegrafo oggi vi ha dato una buona notizia, io ve la con
fermo dandovi qualche schiarimento.

La palla che colpiva ad Aspromonte il generale Garibaldi , fu


estratta questa mattina colla manovra la pi semplice del mondo.
Gioved scorso, si fecero delle esplorazioni minuziose, e fu

constatata la esistenza del projettile a 4 112 centimetri di pro


fondit, sulla estremit inferiore della tibia. Lo specillo del pro

fessore Nlaton a punta di porcellana rugosa fu l'istrumento che


diede la certezza: infatti oltre alla resistenza, la porcellana erasi

colorata in nero, e queste macchie, esaminate chimicamente dal


professore Tassinari, diedero la convinzione a tutti della esistenza
della palla, perch evidentemente fu dimostrata la presenza del

piombo. Da quel giorno stesso ne fu decisa la estrazione, e jeri


si applic della spugna preparata per ditatare il tramite della
ferita.

Questa mattina, alle ore 10 ant., il professore Zannetti era

presso il Generale; fu tolta quindi la spugna, e sulla estremit


della stessa stava attaccataunascheggia ossea bastantemente gros

155

sa, della lunghezza di 2 centimetri e pi, scheggia ossea, che


trovandosi situata al davanti della palla, avea tante volte impe
dito di sentirla, e ne avea mascherato l'esistenza, scheggia che
fu toccata col dito, il giorno 29 ottobre nell'ultimo consulto,
dal professor Porta, e che nel penultimo esame col Cipriani e col
Tommasi fu avvertita mobile.

Tolta la spugna fu nuovamente introdotto lo specillo Nlaton,


che nuovamente fu ritirato colorato in nero; allora il professore
Zannetti senza alcuno indugio presa una pinzetta a medicatura
ordinaria, l'introdusse nella ferita, ed afferrata a 4 1 12 centime
tri la palla per una estremit, la tir fuori senza produrre al
cuna lacerazione, e colla massima facilit , perch la palla, seb
bene incuneata nella estremit inferiore della tibia, era per
mobile.

Il Generale non sofferse nulla della breve e felice operazione,

e quando fu interrogato rispose aver sofferto di pi quando fa


ceansi le esplorazioni.

Per tolta la palla, non significa esser guarito; la guarigione


si far ancora aspettare qualche giorno. Ma levato un fomite

di suppurazioni, e presto, a parer mio, entrer la ferita nella


fase della riparazione.

Presto si applicher uno apparecchio inamovibile, fenestrato


dal lato della ferita. Con ci si otterr il doppio scopo dell' im

mobilit assoluta dell'arto, e la facilit dei movimenti dell'intero


corpo, colla possibilit di farlo alzare qualche volta dal letto
dove giace da tre mesi.
V.

Il Ministero non ancora caduto e pur troppo non si


pu essere sicuri che cadendo abbia finito di assassinarvi
questa misera patria.

La tempesta della pubblica indignazione eccheggia in

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Parlamento. Non sono i demagoghi, non sono gli anarchisti


che imprecano al fatale Rattazzi, ma sono gli uomini del
l'ordine come noi, sono i moderati, coloro che hanno im
mutevol fede nel Re e che non falliscono alla fede giurata,

sono coloro infine che nella fortezza e nella gloria della mo


narchia vedono la salute d'Italia.

Un Boncompagni, un Farini, un Massari, uomini che


dettero tante guarentigie di senno e di moderazione al
paese, sono gli accusatori pi terribili dell'infesto Governo.
Egli l impavido, parla lungamente da legulejo, e quando

la ragione non gli suggerisce pi schermo si rifugia nella


prepotenza e insulta la Nazione insultandone i rappresen
tanti.

Dire alla Camera dei Deputati che non l'ha convocata


dopo Aspromonte perch i Deputati non sarebbero accorsi

al loro posto un oltraggio sanguinoso. Il core dei rappre


sentanti onorati d'Italia deve ribellarsi a simili accuse.

Noi non siamo oppositori di sistema, noi non vogliamo ve

der piuttostol'uno che l'altro ministro al potere, ma vogliamo


che la bandiera della indipendenza non sia trascinata nella
sanguinosa melma di Aspromonte, vogliamo che i fasti di
un uomo politico chiamato a reggere i destini d'Italia non
si chiamino Novara, ecco perch in Rattazzi non metteremo
giammai ombra di fidanza.

Noi gli avremmo ancora accordata la onest degli inten


dimenti quando dinanzi alla prevalente opinione lo avessimo

veduto chinare il capo e ritirarsi dolente, ma quando lo


vediamo colla fronte alta, col portamento altero, col gesto

provocatore, coll'accento ironico, sedere su quel banco ,


che per lui banco di accusato, egli ci fa l'effetto di un
criminale indurito per lunga consuetudine nella colpa che
sorride imperterrito al pubblico di quella Corte di Assise
che lo deve mandare al patibolo.
L'audacia di Rattazzi un'audacia di cattivo genere, noi
non possiamo onorarla col nome di coraggio.

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Il coraggio non sfida le rovine n scrolla da insensato le

colonne del tempio sotto cui andar sepolto.


ll coraggio vero del patriottismo sta nel sapere a tempe
vincere gli impeti inconsiderati della propria ambizione e
s acrificarli sull'altare della patria. Rattazzi non ha avuto
questo coraggio. Tanto peggio per lui. Egli poteva cadere
con onore, cadr con infamia,

Questo libro era scritto quando il ministero Rattazzi, senza


aspettare il voto del Parlamento, annunci di ritirarsi. Non
costume nostro infierire sui vinti.

Parcere subjectis Debellare superbis.


Ecco il nostro sistema. Siamo stati severi verso il Mini

stero caduto e la nostra coscienza non ci rimprovera nulla.

Facciam voti perch questo avvenimento sia di scuola, agli


uomini e ai partiti e perch tutti imparino che ci ha una
potenza, alla quale nessuno pu resistere la pubblica
opinione.

FINE,

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