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© L’Osservatore Romano - 9 aprile 2010

Il ruolo fondamentale dei cristiani dell’isola di Gozo

QUEI CRISTIANI SOPRAVVISSUTI ALLA


DOMINAZIONE ARABA
di Stanley Fiorini

L’isola di Melita, dove secondo gli Atti degli Apostoli (27-28) naufragò l’apostolo Paolo, viene
comunemente identificata dagli esperti con Malta, l’isola più grande nell’arcipelago a cento
chilometri a sud della Sicilia, anche se altre isole, in particolare Mljet, sulla costa della Dalmazia,
hanno in passato contestato questa identificazione. Comunque, come nelle altre parti dell’Impero
romano, il cristianesimo si manifestò apertamente nelle isole maltesi con la benedizione data da
Costantino il Grande alla nuova religione.
Evidenze archeologiche e documentarie testimoniano tale presenza: dal complesso estensivo di
ipogei per la sepoltura cristiana del primo periodo, alle successive liste di vescovi soggetti a Roma
che hanno retto la comunità locale.

All’apice della controversia iconoclasta, nella prima metà dell’ottavo secolo, le isole, insieme
con la Sicilia, la Calabria e l’Illyricum, vennero sottratte all’influenza di Roma dal Basileus e
integrate nella Chiesa bizantina. Per circa un secolo, fino alla cacciata dei bizantini per mano degli
arabi tra l’869 e l’870, la Chiesa in queste isole era greca.
Quel che accadde dopo, però, non è altrettanto chiaro.

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In questi ultimi
cinquant’anni, ricercando la
scarsa documentazione che si
riferisce al periodo della
dominazione araba, gli
studiosi sembrano inclini a
convergere verso la
descrizione di uno scenario
piuttosto austero, di quasi
totale spopolamento delle
isole, implicante una rottura
etnica praticamente totale col
primo millennio. Tale frattura
porterebbe con sé la mancanza
di continuità in fatto di
presenza cristiana. E a
sostegno di questa posizione
sono state avanzate alcune
ragioni forti, ivi compreso il
fatto che i primi due secoli
dopo l’870 si sono finora
dimostrati relativamente sterili
dal punto di vista
archeologico, forse a motivo
di una sanguinosa
eliminazione dell’opposizione
bizantina da parte dei
musulmani. Lo dimostrano: la
presenza del vescovo di Malta
in catene a Palermo poco più
tardi; l’iscrizione tunisina che
riporta come Qasr Habashi
venne costruita con le pietre
della chiesa di Malta; e i segni
di bruciature nella basilica
bizantina a Tas-Silg, sulle cui
rovine venne edificata una moschea.

La prova decisiva per questa teoria “della frattura” era un testo di Al-Himyari – rinvenuto di
recente – che conferma lo scenario di desolazione e parla di un totale spopolamento per circa
centosettanta anni, prima della nuova ondata di incremento demografico portata dagli arabi. Inoltre
la lingua, come pure le evidenze toponomastiche e antroponimiche sopravvissute fino al presente
sono essenzialmente di origine araba.
Più di recente, però, qualche nuova evidenza è venuta alla luce sotto forma di un lungo poema in
versi bizantini dodecasillabici. Si trova nella Biblioteca Nacional a Madrid e, analizzato a fondo,
dimostra che esisteva uno scenario alquanto diverso. Il poeta, esiliato dal re Ruggiero di Sicilia per
circa nove anni nell’isola di Gozo (Melitegaudos) inter alia descrive – dal proprio punto di vista – le
gesta del sovrano, compreso il suo attacco nel 1127 a Gozo, dove il sovrano ha trovato una
comunità di cristiani col loro vescovo.
Questa informazione completamente nuova è convalidata da altre asserzioni, come il fatto che
Ruggiero abbia cacciato dall’isola gli sceicchi musulmani con i loro familiari e molti schiavi,

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sostituendo le loro moschee con chiese affidate a sacerdoti che avevano “adorato la Santissima
Trinità dal tempo dei loro antenati” (patrothen). Le parole usate per descrivere la comunità cristiana
- hostis kinetheis dexias pros tes ano, cioè chi aveva fatto rottura col patto del passato - hanno una
portata particolare. Il “patto del passato” poteva essere soltanto la dhimma, che implica come questi
cristiani a Gozo fossero sempre stati soggetti ai loro padroni musulmani, attraverso un patto che
come cittadini di seconda classe garantiva la pratica relativamente libera della loro religione dietro
pagamento di un tributo, la gizja.
Ci si dovrebbe domandare allora come abbiano potuto due isole così vicine – Malta e Gozo –
avere una sorte così diversa sotto gli arabi. Per la risposta ci vengono in soccorso due medaglie del
periodo bizantino: una di Teofilatto, archon di Gozo, e l’altra di Nicetas, archon kai droungarios di
Malta. Questo implica che un droungarios a capo di un contingente di circa tremila soldati
probabilmente oppose resistenza agli arabi. La risposta di questi ultimi fu severa, secondo le
abitudini del tempo, con la conseguente devastazione dell’isola più grande di Malta. Dall’altro lato,
non aveva molto senso resistere per l’isola più piccola di Gozo, che di conseguenza capitolò
firmando il succitato patto di sudditanza.
Oltre al fatto che Al-Himyari non parla mai di Gozo, lo scenario è convalidato dall’informazione
importante – di un secolo dopo l’attacco di Ruggiero – contenuta nei dati di un censimento delle
popolazioni delle isole sotto il re Federico II. Dimostra che i numeri relativi alle popolazioni
musulmane e giudaiche per Malta erano all’incirca quattro volte superiori a quelli per Gozo (come
era da aspettarsi), ma il contrario si verificava per la popolazione cristiana di Gozo, che risulta di
ben quattro volte maggiore di quella di Malta.

Affinché la solida ipotesi “della continuità” possa essere accettata, occorrerebbe ricercare tracce
della sopravvivenza della Chiesa greca. E questa ricerca premierebbe lo studioso: è noto, infatti, che
anche nel tardo Cinquecento la stragrande maggioranza dei santi venerati in queste isole erano
greci. Di più: viene alla luce con sempre maggiore evidenza che le date di celebrazione delle
festività di gran parte di essi – Elena, Basilio, Ciriaco, Venera – fino a tempi molto tardi erano

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quelle del rito greco, e non di quello latino. Anche l’amministrazione dei sacramenti mostra
elementi residuali del rito bizantino, come il battesimo per immersione, la comunione sotto le due
specie e il rito del matrimonio attraverso l’incoronazione.
Su questo sfondo si può correttamente reinterpretare quanto venne detto in passato da eminenti
studiosi di alcuni termini liturgici maltesi che ricordano il rito greco.
Tale nuova evidenza implica che, mentre Malta potrebbe aver sperimentato una rottura della
propria tradizione cristiana risalente ai tempi apostolici, Gozo sembra aver mantenuto vivo un
sottile “istmo” di fede che collega i due millenni.
Stanley Fiorini
Università di Malta

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