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LA PSICHE DEL CONSUMO

Cap. 1 - A che gioco giochiamo


1.1 Una “psicologia dei consumi” che esiste di fatto ma ancora evanescente di diritto
Una dizione più adatta a definire la psicologia dei consumi è quella di “comportamento del consumatore”, cioè il
funzionamento psicologico delle persone nell’atto di acquistare: l’interesse è accentrato su come decidono e scelgono
tra più alternative, come vengono influenzate dalla comunicazione pubblicitaria, come si formano un atteggiamento
favorevole o meno ad una certa marca, come si può misurare e modificare il grado di fedeltà e soddisfazione verso una
certa marca,, come si può organizzare uno spazio di vendita per aumentare l’acquisto. Tutto ciò nasce dall’esigenza
basilare del marketing di ottimizzare le proprie performance. È molto fiorente la ricerca applicata e “pratica”, che
fornisce indicazioni immediatamente operative, solo nella tradizione statunitense lo studio del consumatore si ha sia in
settori accademici che in corsi di economia. In Italia mancano invece risposte a domande come “il consumatore sceglie
razionalmente o emotivamente?”, “La motivazione è funzionale o simbolica?”. Nel campo di studio troviamo due
definizioni: Consumer Behavior (comportamento del consumatore)  cerca di prevedere e controllare le azioni e le
scelte del soggetto per programmare l’azione di marketing e Consumer Psychology (psicologia del consumatore)  si
riferisce a variabili qualitative, motivazionali, ai “vissuti”, privilegia processi legati al sé. Poi c’è la Psicologia dei
consumi, che riguarda i significati psicologici che le prassi di consumo assumono nella cultura postmoderna (o civiltà
dei consumi)  c’è un’ottica focalizzata sul contesto che genera tipi specifici di individualità. Dietro questa definizione
ci sono prospettive culturali e metodologiche, ma anche una tradizione accademica che precede la riflessione
metodologica e teorica, meccanismo che rende arduo il compito di sistemalizzazione scientifica. Questa psicologia ha
prodotto una miriade di ricerche empiriche che sono inadeguate rispetto alla ricerca di leggi empiriche efficaci e
rispondenti alle attese del marketing.
1.2 La psicologia dei consumi in cerca d’identità
Ci troviamo in una fase di genesi, perché solo l’area statunitense e quella anglosassone hanno già codificato l’ambito di
ricerca e di sapere, in cui stanno emergendo proto-paradigmi di ricerca che riaprono la questione di una psicologia
“culturale” e “umanistica”. In Italia questa prospettiva incontra maggiori difficoltà perché queste prospettive sembrano
voler spostare la psicologia fuori dalle scienza oggettive. Inoltre, la psicologia dei consumi è mossa dall’urgenza di
aiutare imprese ed attività che la dinamica attiva e di mercato attiva ben prima che la riflessione scientifica sia
“pronta” a fornire chiari modelli concettuali e tecniche di indagine.
1.3 Affluenti di un fiume in formazione
Esistono molti aspetti di ricerca e molti assunti teorici che riguardano l’area di questa psicologia. Abbiamo innanzitutto
il marketing, secondo cui la comprensione dell’andamento dei fattori “economici” ha una variabile centrale nelle
reazioni del consumatore, quindi considera l’iniziativa dei soggetti. Il successo di un attore economico sta nella sua
capacità di vendere, vale a dire di indurre un desiderio e di influenzare una scelta tra le molte possibili. Si rende
necessaria una psicologia del consumatore, analizzando le variabili psicologiche, che sono come dei fattori di disturbo
rispetto alle chiare equazioni economistiche. Poi c’è il Consumer behavior, che studia i comportamenti del consumatore
per individuare le variabili che ne orientano la scelta. È un misto di psicologia comportamentista e studio empirico sul
comportamento del consumatore e sulle sue giustificazioni che ne costituiscono la razionalità. Si ispira all’uomo
economico, che decide in base ad un calcolo di convenienza, e attribuisce un valore anche alle variabili “emotive” in
modo da comprendere anche aspetti non logici. Contrasta con la tradizione di ricerca sul consumatore, per la quale ha
un ruolo importante l’approccio clinico-motivazionale che considera l’inconscio come fattore decisivo; correnti per cui
sono importanti anche il fattore estetico e di costruzione di significato. Poi c’è una non precisata “linea di ricerca
emergente”, che si fonde con la sociologia, la semantica e l’antropologia, e che in realtà è un’evoluzione della
psicologia cognitivista legata all’intelligenza artificiale. L’assunto principale è che i processi mentali attribuiscono
significato ai sentimenti che accompagnano l’azione, quindi lega la psiche individuale con i modelli di cultura,
attraverso l’interazione quotidiana con gli altri.
1.4 L’oggetto della psicologia dei consumi nella cultura postmoderna
La psicologia dei consumi non ha ancora né un metodo né un oggetto “dominanti”. Come oggetto, possiamo dire che
questo sia il consumo, un fenomeno che acquista senso e spessore all’interno della società postmoderna, dove il venir
meno del presupposto della universalità della ragione e della possibilità della consapevolezza autocosciente lascia il
posto ad una visione frammentata, fluida e contestuale della ragione e della costruzione di senso. Arriviamo al
postmoderno attraverso varie tappe: si parte dalla “fausse conscience” di Marx, Nietsche e Freud, quindi si passa per il
trionfo della tecnologia definito da Galimberti, e infine si approda all’accelerazione della comunicazione e della
globalizzazione. Ora consumare significa non solo acquistare, ma commodificare (cioè modificare la qualità della vita)
la nostra vita con beni acquistabili simbolicamente, cioè attraverso la moneta, che sostituisce oggetti e prestazioni
sganciando il consumatore dalla concretezza dello scambio materiale di “fatiche produttive”. Si passa dalla dimensione
della “carenza” (si scambia perché non si ha qualcosa) a quella della espansione narcisista. Il consumo nella realtà
contemporanea è più sintono ad un Sé che non è più l’Io razionale universale autocosciente, ma il Self emotivo,
espressivo, interattivo, fluido e relazionale. La razionalità di scelta non sta nel processo di calcolo di convenienza, sta
nella confusione che questo acquisto offre tra realtà e potenzialità, tra identicità attuale e identità potenziale.
1.4.1 Una psicologia postmoderna per un fenomeno postmoderno
Per comprendere il consumo dovremo ricorrere ad una psicologia che accoglie quanto ci aiuta a capire i processi di
fluidità, di molteplicità, di confusione tra razionale e non-razionale: le conoscenza sulle struttura logiche e linguistiche,
sulle basi biologiche, non possono essere considerate in alcun modo superate. A livello del sistema della personalità
questi processi alterano il loro modo “puro” di funzionamento e si innestano con altri processi dando luogo ad un
“sistema uomo” diverso da quello sotto condizioni di osservazioni sperimentali. Il consumo coinvolge una gamma di
processi e di livelli che forma un sistema ipercomplesso, che a sua volta genera instabilità e pertanto obbliga a
lavorare sulle “eccezioni” rispetto alla “logica razionale”. Anche la psicologia contemporanea sta superando i canoni che
ne hanno caratterizzato il primo secolo di vita, recuperando la sua anima funzionalista legata a interazione
socioculturale, simbolica, linguistica e dando vita ad un processo a cui guardare per costruire una psicologia dei
consumi, sensibile al simbolico, contestuale e interattiva, che aiuti a comprendere il processo di consumo come
fenomeno simbolico, culturale, di personalità. La società postmoderna ha prodotto anche la personalità adeguata al

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consumo, e non possiamo pretendere di comprendere la personalità che abita ed agisce la cultura del consumo con la
psicologia moderna.
1.4.2. Il self e l’identità come variabili centrali nella psicologia del consumatore
La novità del consumismo è il gioco che il consumo ha nell’interazione con il self e l’identità. Un primo assioma consiste
nella convinzione che la società dei consumi inizia quando i mezzi di produzione, grazie alle nuove tecnologie,
consentono un surplus di prodotto rispetto alla capacità di acquisto delle élites economiche cui fino ad allora era stata
diretta la proposta di acquisto: l’etica del lavoratore non è più incentrata sul sacrificio e sulla famiglia, ma sul
benessere e sulla felicità terrena. L’advertising e i mass media diventano i nuovi educatori che guidano e formano al
cambiamento assieme alla nascita degli shopping center e delle vetrine. Si delinea, nonostante gli alti e bassi dovuti a
crisi economiche generali, una visione edonistica e narcisista legata al “qui ed ora” della felicità. Nella condizione
postmoderna l’identità non è più mutuabile da valori metafisici né sostenuta da agenti educativi. Le proposte di
identità si moltiplicano, diventano fungibili e coesistenti: ancora una volta viene esaltato il principio di molteplicità e
fluidità. Spazio e tempo si frammentano nelle varie situazioni e spazi sociali: il tempo si restringe alla everyday life, il
mito americano della possibilità di ricominciare diventa il credo quotidiano, che spinge a ripartire da zero e a ricostruire
una propria identità, persino il turismo e la vacanza sono occasioni di cambiamento. Al contrario, una personalità con
una sola identità coerente e razionale dispone di un range di motivazioni al consumo limitato, perché mossa dal
principio di coerenza e della ricerca di una soluzione (quindi di acquisto) solo in caso di bisogno. Non potendo pertanto
aumentare il numero dei consumatori, bisogna moltiplicare i sé di coloro che lo sono già attraverso la creazione di una
personalità multipla, dando così vita ad un multiverso quantico. La complessità sociale rischia di essere incontrollabile
dal momento che società e scienza non sono pronte a contenerla e organizzarla. Nell’epoca postmoderna il consumo è
già ad uno stadio ulteriore, in cui il rapporto con l’oggetto acquistabile è anche e sempre un rapporto con il proprio sé.
Acquistare è sempre più simile ad andare al cinema, mi permette di accedere ad un mondo di identificazioni e di
emozioni (queste ultime sono la cifra della nuova logica del consumo). I consumi costruiscono le condizioni di identità
fluida, poichè offrono la possibilità di ricostruire il nostro sé senza rischi.
Cap. 2 Quale psicologia per comprendere il consumo?
2.1 Sedimento di diverse psicologie
La psicologia è caratterizzata dallo sforzo di superare il complesso di essere una scienza che deve occuparsi
oggettivamente della soggettività: la psicologia somma punti di vista assegnando a ciascuno di loro una sfera di
competenza specifica. È l’approccio cognitivista quello che interpreta meglio l’antropologia moderna e i progetto di un
sapere che è controllo e dominio. La psicologia della personalità considera invece come proprio oggetto specifico
l’insieme della persona.
2.2 Il ruolo delle altre psicologie nella comprensione del consumatore
Oltre a psicologia cognitivista e della personalità, nella psicologia del consumatore si fa uso di altri approcci psicologici.
Un esempio è quello della psicologia del ragionamento e della decisione, che consente e di comprendere le strategie
della decisione del consumatore nei suoi aspetti non logici, evidenziando le differenze rispetto ad un processo logico.
Queste differenze rendono conto del come il consumatore possa difendere per esempio scelte di acquisto irragionevoli
sul piano logico (cambiare automobile quando quella che ha funziona ancora bene); ci aiuta a comprendere i processi
autogiustificazione per legittimare scelte non sostenibili su un piano meramente pratico o di vantaggio economico.
Questo approccio è però inappropriato, perché non possiamo stupirci degli errori logici visto che abbiamo accettato
l’idea che la logica del consumatore sia in realtà una logica della non necessità: l’uomo non è razionale e logico, non
valuta la necessità né effettua un calcolo preciso del vantaggio economico. Oggi comunque la psicologia si affida alla
psicologia del ragionamento e al cognitivismo, per costruire le leggi e simulare i processi decisionali che guidano le
scelte del consumatore, del quale vanno analizzate alcune variabili di contenuto, per esempio il rapporto tra beneficio e
costo, e quello tra bello e utile. Se si riuscissero ad indicizzare questi valori potremmo procedere alla gestione della
mente del consumatore. Ma, ripetiamo, la visione che queste due psicologie hanno dell’uomo è ancora troppo
razionale. In realtà per rendere efficace l’approccio della psicologia economica occorre poter classificare e pesare tutti i
tipi di situazioni e di valori-criteri associati, ma è un compito infinito. Anche la psicoanalisi appare indispensabile per la
psicologia dei consumi, in particolare per il determinismo inconscio del comportamento, che determinano attrazione e
scelta di un prodotto. Però il consumatore oggi è cosciente della presenza di pressioni inconsce, il che ne fa un
soggetto non più condizionabile: va inteso come un individuo la cui psiche lavora a più livelli, e non sempre quello
inconscio è quello fondamentale. La psicoanalisi ci illumina sull’importanza dei processi di identificazione, in cui
cognitivo e emotivo si intrecciano. Dalla psicologia sociale si traggono due assunti: il legame tre identità individuale e
appartenenza ad un gruppo e l’influenza sociale e della dinamica di persuasione, però finché non si sarà adeguata alla
fluidità della personalità postmoderna il suo contributo non sarà fertile come in passato. Lo schema del riflesso (Pavlov
e Skinner) e della formazione di abitudini può aiutarci a capire i comportamenti automatici ad abituali dell’acquisto
della massa media, che di certo automatizza alcune associazioni e sequenze stimolo-risposta. La psicologia porta con
sé due opzioni fondamentali quanto discutibili dal punto di vista del soggetto postmoderno. 1) il soggetto-consumatore
è visto come un insieme di processi che possono e devono essere determinati in modo meccanicistico. 2) la
comprensione dei processi complessi nasce bottom up dalla ricostruzione dei processi basilari. Questa convinzione urta
con il riconoscimento che l’organizzazione mentale dipende anche nei suoi processi di base dal tipo di motivazione,
coinvolgimento e finalità. Per la comprensione del consumatore oggi occorre una psicologia che parte dai sistemi
globali che sorreggono il self e l’identità; la psicologia del consumatore è una sommatoria dei vari processi psichici
studiati dalla psicologia generale di cui si cerca una trasposizione sui fenomeni del consumo. Però si finisce per
considerare il consumatore come un elemento passivo, da guidare e condizionare, in contrasto con la psicologia
cognitivista e culturale, ma anche con la esperienza che il marketing va facendo di questo consumatore, che è in realtà
attivo, instabile, imprevedibile e non governabile. Invece dobbiamo ricordarci che nella postmodernità il consumo
trasforma i beni di consumo in oggetti di desiderio e che l’esperienza del consumo coinvolge non solo le sfere cognitive
e decisionali e le scelte comportamentali, ma anche le sfere emotive ed affettive, relazionali, simboliche e di making
sense.
Cap. 3 Consumi e modernità avanzata
3.1 Il significato di personalità in psicologia
Per comprendere la dinamica psicologica dei consumi è opportuno disporre di una visione sistemica della personalità
che consenta di apprezzare il gioco tra cognitivo, razionale, ed emotivo. Nella psicologia scientifica personalità indica
due diversi concetti. Nel primo si intende il cuore psicologico dell’individuo, la presenza di strutture stabili e
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riconoscibili nel tempo pur nelle diverse circostanze e nei diversi contesti: è una concezione tesa alla stabilità di aspetti
permanenti. Nel secondo caso si intende il sistema complessivo ed il modo di funzionamento della sfera psichica
dell’uomo; in sostanza la dinamica con cui le strutture psicologiche di diverso tipo reagiscono o agiscono in un
determinato contesto. La stabilità è frutto di un equilibrio durevole tra interno e esterno, individuale e sociale,
cognitivo ed emotivo: il che da luogo al fenomeno della resistenza attiva al cambiamento. È questo il modo più
adeguato di occuparsi della cultura dei consumi.
3.2 Io e Sé: la dialettica base della personalità
La psicologia adeguata allo studio del consumo e dei suoi processi deve liberarsi, come abbiamo visto, dai vincoli della
psicologia moderna. La personalità va scissa in due grandi blocchi di processi: il sistema del Sé e il sistema dell’Io.
3.2.1 L’Io: i processi cognitivi di adattamento e rappresentazione
Possiamo intendere l’Io come insieme di processi cognitivi, vale a dire capaci di garantire il nostro adattamento
attraverso apprendimento, rappresentazione e coscienza di sé. I processi cognitivi sono percezione, attenzione,
memoria, linguaggio. La “logica dell’Io”, che a noi interessa, è l’organizzatore centrale che governa l’integrazione di
queste funzioni e le finalizza ad un obiettivo sovraordinato. Siccome una condizione di irregolarità è intollerabile per gli
organismi viventi, bisogna realizzare psicologicamente la regolarità, attraverso schemi: lo schema è un plesso
organizzato di stimoli-risposte che consentono di disporre di reazioni a livello di azioni o anche a livello cognitivo (ad
es. associare Barilla alla campagna oppure Audi ad intelligenza tecnologica). Implica delle regolarità di connessione,
che possono andare da un livello di riflesso innato fino ad una ideologia socialmente sancita; il nostro sistema
cognitivo, per garantirci delle regolarità, organizza la nostra conoscenza per semplificazioni aggreganti: un esempio è
quello della organizzazione in “insiemi organici” (della Gestalt), che semplifica la percezione della realtà organizzandola
per generi. La memoria poi opera secondo un processo progressivo di semplificazione, ricategorizzazione, rimozione di
ciò che è incoerente con le aspettative e l’immagine di sé. La semplificazione si dà sempre entro una selezione e
un’organizzazione di senso. L’attenzione filtra ciò che deve venire elaborato ed arrivare alla coscienza, opera in modo
tendenzioso, favorendo l’accesso di quei contenuti che sembrano avere più pertinenza con i bisogni e con gli scopi che
l’organismo sta perseguendo in quel momento. La percezione si organizza in funzione di schemi e di aspettative,
orientate dalle finalità più urgenti, è orientata a selezionare ed organizzare il mondo in funzione di possibili linee di
azione o reazione. La tendenza ad agire per stereotipi e pregiudizi, cosa che avviene soprattutto nella fase della
lettura, è molto forte quando il sistema dell’Io si confronta con la realtà sociale. La sfera sociale è quella in cui l’essere
umano si gioca il legame con gli altri e la accettazione da parte del gruppo che costituisce una necessità biologica
prima ancora che psichica, ci tiene a salvaguardare la propria immagine. Se qualcuno ci critica tendiamo a negare
l’evidenza e a distruggere quella testimonianza, se qualcuno ci adula tendiamo ad apprezzare quella persona al di là di
ogni evidenza sulla sua reale capacità. Altro elemento che gratifica l’immagine del nostro Sé e le sue attese affettive è
la pubblicità. Il “principio di non contraddizione” o di coerenza (di Heider e Festinger) è strettamente legato con
l’esigenza di regolarità e prevedibilità. Questo principio esige che ci sia congruenza tra ciò che pensiamo, ciò che
sentiamo e le nostre azioni, quindi ogni volta che si produce dissonanza fra queste sfere deve intervenire una
giustificazione. Tende ad essere tanto più autoprotettivo e poco disponibile al cambiamento quando questo
cambiamento investe sfere profonde della nostra autostima, mentre siamo assai più disponibili quando si tratta di
elementi periferici. In sostanza, il lavoro dell’Io difende l’identità dalla crisi, anche a prezzo di gravi deformazioni della
percezione della realtà. Nel sistema dell’Io accanto a dinamiche omeostatiche (che tendono all’equilibrio e resistono al
cambiamento) esistono dinamiche antiomeostatiche (che cercano il cambiamento), biologicamente radicate ed
indispensabili, come l’eccitamento, l’emozione del rischio, la novità, che nascono dalla esigenza di modificare i propri
schemi: tutti vogliono conoscere gente nuova, posti nuovi, avere nuove esperienze, naturalmente in condizioni di
sicurezza. La novità viene colta solo sulla base di uno schema di riferimento. Questa è una delle ragioni per cui gli spot
che hanno successo sono quelli che richiamano schemi noti piuttosto che novità assolute. Inoltre i modelli di cultura ed
i mass media consentono un esercizio di esplorazione senza rischio (anche internet). L’Io, insomma, ha bisogno di
regolarità ma anche di violazione della regolarità. Il gioco è una dimensione in cui l’essere umano crea senza ansia
schemi nuovi, e può essere associato al consumo (non solo i giocattoli, ma anche il giocare - Superenalotto) o essere
un valore aggiunto (l’animazione nei villaggi turistici).
3.2.2 Il Sé: i processi di affettività, di relazione, di simbolizzazione.
Il sistema del Sé si riferisce invece ai processi affettivi e più in generale alle modalità di adattamento cui abbiamo
dovuto ricorrere per tutto il tempo in cui il sistema dell’Io non era ancora in grado di operare efficacemente, quindi
nelle fasi iniziali della nostra vita, fino ai 4-5 anni. Per Freud va sotto il nome di “inconscio”; nella visione positivista e
borghese i processi del Sé erano visti come il resto irrazionale della personalità umana, che si sottrae al dominio
dell’Io. Così lo stato di pazzia era visto come una debolezza di forza e rigorosità dell’Io, tanto da essere facilmente
confusa con una condizione di debolezza morale e di colpevolezza (nascita dell’elettroshock per curare le devianze
mentali). Anche la socializzazione, accettata l’idea che il bambino sia un piccolo selvaggio, risente di questa mentalità.
Rispetto a questa ideologia originaria è caduta l’idea di una componente “istintiva” monolitica e selvaggia, grazie allo
sviluppo dell’etologia e della genetica contemporanea: è caduta la convinzione di una necessaria conflittualità tra la
razionalità (Io) e l’irrazionalità (Sé), da Piaget in avanti si è mostrata l’integrazione tra i processi di queste due
dimensioni, sinergico e completare. Il Sé è l’insieme di quei processi affettivi di base che tendono a creare, alimentare
e mantenere un legame relazionale con quegli “oggetti affettivi” che rappresentano la garanzia di sopravvivenza
biologica prima e psicologica poi. La relazione di cura parentale dà al neonato rassicurazione ed argine all’angoscia
(processo di attaccamento), avviene attraverso segni totalmente non verbali. In questa fase se tutto va bene si crea la
“fiducia di base” che costituisce lo zoccolo duro della autostima. Progressivamente si entra nella fase della separazione
(intorno alla fine del primo anno di vita), in cui il bambino inizia a differenziarsi dalle figure parentali, a percepire il
proprio corpo come diverso da quanto sta intorno. Questo scatena l’angoscia di separazione, intollerabile perché il
bambino non dispone ancora di un appoggio interno (identità). Il bambino può sapere se c’è e chi è solo attraverso il
rispecchiamento da parte degli altri che categorizzano il bambino e gli comunicano se lui c’è e che è maschio piuttosto
che femmina, vivace piuttosto che tranquillo, ecc. ecc. Si attivano nel bambino dei processi che hanno la funzione di
proteggerlo dalla angoscia di separazione, processi di identificazione e proiezione grazie ai quali il bambino può
“portare dentro di sé” le figure parentali, realizzando quindi una “vicinanza psicologica” che sostituisce quella fisica. Ci
sono anche altri processi destinati a compensare la frustrazione per la separazione: il ricorso alla sfera di esperienza
transizionale, cioè alla confusione tra realtà e fantasia da cui si genera il gioco e la possibilità di sostituire la fantasia
alla realtà. È un’attività di carattere simbolico (come il gioco del rocchetto). Poi c’è la scissione tra oggetto buono e
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oggetto cattivo (Klein): la frustrazione genera aggressività di carattere distruttivo, il bambino scinde l’oggetto d’amore
in una parte buona e in una cattiva, identificandosi con la prima e proiettando sulla seconda le proprie fantasie
distruttive e vendicative. Terzo meccanismo, è quello di produrre fantasie compensative di controllo, di dominio, di
possesso: si cerca di controllare totalmente l’oggetto d’amore, con capricci e ricatti per evitare il pericolo di essere
abbandonato. Oltre questa fase, c’è l’avvio vero e proprio del processo di individuazione. La motricità è molto buona,
così come la sua capacità di rappresentazione, il linguaggio, il ragionamento, la memoria e l’attenzione: il bambino è
una persona vera e propria, e desidera dimostrarsi non inferiore agli adulti ed esibire le proprie competenze e capacità,
che a lui paiono grandiose e uniche. Successivamente invidia e esibizione cedono il passo a imitazione e senso di
vergogna, alla fine emergono senso della interiorità privata (distinzione fra pubblico e privato), la dinamica
prestazione/merito e i criteri di vittoria/sconfitta.
3.2.3 La dialettica Io/Sé e l’identità
la relazione tra Io è Sé inizialmente era di conflitto; l’antropologia attuale tende a rappresentarla come un rapporto
intrecciato, complementare e sinergico. La socialità e l’interazione sociale si reggono su un intreccio fittissimo di Io e
Sé, come la creatività, il gioco, la narrazione. Sono due gli elementi focali di questo rapporto: 1) principio della
permanenza; le funzioni psicologiche “successive” non annullano la presenza e il manifestarsi della modalità
psicologiche precedenti. In sostanza l’emergere del sistema dell’Io non annulla le attività del sistema del Sé. Esiste
inoltre una doppia codifica, poiché ogni messaggio che riceviamo viene codificato sia a livello dell’Io che a livello del Sé
(come nel caso del consumo, in cui è palese l’accostamento continuo di questi due registri). Le condizioni di stress o le
crisi d’identità generano un irrigidimento dei processi dell’Io e/o il subentrare dei processi del Sé, come nell’ambito
della relazione a due. Esiste una possibilità positiva di gestione dell’ansia e della crisi, ed è di nuovo il ricorso alla sfera
di esperienza intermedia o area transazionale. 2) rapporto tra Io è Sé nella costruzione della identità, che è il plesso di
self image (rappresentazione organizzata della propria persona che concilia percezione interna e esterna), self esteem
e self efficacy (dipendenti dalla somma delle autovalutazioni delle nostre prestazioni fatta dall’Io, una sorta di
autogiudizio che l’Io dà al Sé) coerenti con i feedback che il mirroring degli altri ci dà di noi stessi. La costruzione
cognitiva dell’identità è in perenne manutenzione e arrangiamento perché dipendente da questo rapporto. Abbiamo
bisogno di continue conferme alla nostra identità, che ha preso il posto delle figure parentali nel darci sicurezza; siamo
sempre in cerca di simulazioni, che ci consentono di dilatare i confini della coerenza con la rimozione di aspetti
importanti del nostro Sé.
3.3 Oltre l’Io-centrismo: la razionalità condizionata dal sistema persona
Il consumismo amplifica il vissuto egocentrico e narcisista degli individui, lascia maggiore spazio alla ricerca del
benessere individuale: per la modernità era diritto fondamentale la ricerca della felicità terrena, per la postmodernità
consumista è diritto la ricerca del piacere quotidiano. Proporre una visione in cui l’Io viene condizionato fortemente
impone un forte sospetto circa l’effettiva centralità della nostra visione del mondo, perché noi abbiamo bisogno di
crederci capaci di controllare le nostre decisioni. Però in fondo non è così, poiché diventiamo attori sociali secondo
regole, modalità e contenuti che non scegliamo, veniamo messi in un’agenda setting che non decidiamo noi.
3.3.1 Ego-centrismo
Noi pensiamo che sia la nostra auto-coscienza ad organizzare il senso dell’esperienza e il programma dell’azione.
(vedere disegno pag. 110). Ma la ricerca psicologica ha sottolineato che stabilità, coerenza e contenuti dell’Io non sono
un “dato” ma un costrutto cognitivo. La percezione ordinata della realtà è una interpretazione effettuata da processi
cognitivi di cui l’Io finale non è per nulla consapevole (vedere disegno pag. 112). Il lavoro cognitivo ha una propria
dinamica sinergica; svolge una funzione di “filtro” dell’Io, organizzando i dati in informazioni sulla base di assunti
neurologicamente prefissati e sintonizzandosi su attese, ipotesi e abitudini. Questo lavoro appare proteso alla ricerca di
due risultati: 1) cerca la regolarità per rendere prevedibile l’ambiente e di programmare l’azione in modo sicuro, per
collegare effetti a segnali anticipatori (come nel riflesso condizionato). Se nel rapporto affettivo primario manca la
regolarità il bambino non forma efficacemente i primi schemi e può non sviluppare correttamente i propri processi
cognitivi. 2) la struttura neurologica ha anche bisogno di novità, sorpresa e esplorazione, accanto a quello di
regolarità. Amiamo la novità e la variazione di uno schema noto (si vede già nei bambini).
In sostanza il filtro cognitivo cerca regolarità ma anche modificazioni, ma non stravolgenti, perché non avremmo
alcune ipotesi preliminare di comprensione. Lo studio di questo filtro costituisce oggi per la psicologia cognitivista il
campo centrale di indagine ed è strettamente collegato al linguaggio, in cui aspetti innati e acquisiti si fondono
armoniosamente.
3.2.2 La relazione sociale e i copioni situazionali come fonti degli obiettivi che orientano l’Io
La maggioranza delle esperienze quotidiane per la quasi totalità delle persone è fatta di interazioni sociali e di
attraversamento di setting sociali: l’Io è a caccia di approvazione sociale per aumentare la propria autostima. Quindi lo
schema della immagine di sé costituisce lo schema fondamentale che ispira il lavoro di selezione della informazione e
di elaborazione tendenziosa protesa a mantenere intatta l’autostima. Le persone sono disposte a “barare” in modo
eclatante, e si adeguano ai galatei di gruppo pur di mantenere un rapporto positivo almeno con una cerchia di persone
fidate. Questo bisogno deriva dalla congiunzione di un bisogno emotivo (che risale alla condizione di dipendenza
primaria di accettazione, abbiamo bisogno di non sentirci soli) e da una necessità cognitiva, cioè la costruzione di una
identità, per poter costruire una personalità. L’identità ruota attorno alla immagine di sé consapevolmente posseduta e
riconosciuta dal gruppo di riferimento: noi abbiamo quindi bisogno della relazione e del gruppo sociale non solo per
saturare un bisogno di sicurezza basilare, ma anche per alimentare, correggere e confermare l’immagine di sé che sta
al cuore della nostra identità personale. La relazione sociale filtra e indirizza la nostra autostima e la immagine di noi
stessi, e dal gruppo sociale dipendono inoltre schemi cognitivi, modelli di comportamento, valori e credenze, che
vengono appresi in parte da processi di apprendimento consapevoli, in larga parte da processi di imitazione,
identificazione, empatia. La dimensione dell’interazione funge da filtro perché i meccanismi di autoprotezione lasciano
pervenire all’Io solo i feedback sociali che non mettono troppo in crisi la autoimmagine di Sé (ved. Disegno pag. 117)
3.3.3 Il registro affettivo primario
Assieme alla decodifica razionale le esperienze assumono per l’uomo anche sempre un significato emotivo, simbolico,
abbiamo fantasie che danno un senso alla esperienza non attraverso il giudizio e la codifica logica ma attraverso
sensazioni, sentimenti, emozioni. Le cose e le esperienze non sono solo coerenti o efficaci o funzionali o utili, ma anche
piacevoli o spiacevoli, belle o brutte. La logica affettiva ha un suo linguaggio, dei suoi percorsi, e costruisce una
esperienza di significatività o non che può non essere per nulla in accordo con il versante razionale. Noi siamo abituati
a dare senso alle esperienze e percezioni attraverso il registro conscio, incardinato sull’Io cognitivo che organizza il
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senso delle percezioni e delle esperienze in base al principio di realtà. Costruisce una immagine di sé coerente e cerca
conferma a questo schema di base per la autopercezione. In sostanza il registro conscio tesse la tela del senso in
funzione della autopercezione del soggetto. Il registro inconscio, invece, risale alla fase in cui il bambino era già
animato da bisogni e desideri, ma mancava delle strutture di base cognitive e razionali. In questa fase l’obiettivo è pur
sempre quello di sopravvivere ed avere successo, possibile garantendosi la cura e l’amore di chi è intorno. Il registro
inconscio permane al di sotto di quello conscio anche quando questi si afferma e prevale, e pilota la ricerca di piacere e
di soddisfazione, intervenendo nel dare all’Io cognitivo degli ordinamenti e delle preferenze. Contenuti e modalità del
registro inconscio traggono alimento dalle forme di esperienza primarie e si determinano a seconda dell’esperienza
individuale. Il registro inconscio di una determinata persona è accessibile solo con una sensibilità alla storia personale
ed al caso individuale (quindi con metodo clinico). I nuclei di bisogni affettivi sono legati alla relazione oggettuale
primaria (attaccamento, dipendenza) e secondaria (possesso), legati all’esperienza del proprio corpo e delle sue prime
autonomie (potenza, forza), legati al narcisismo secondario (esibizione) o connessi all’ambivalenza edipica
(tradimento, amore/odio, doppio senso).
Bisogni e modalità di funzionamento producono delle “figure retoriche” che organizzano il senso della percezione e
della esperienza confrontando gli stimoli sopravvenienti con gli schemi già noti (eroe, grande distruttore, vendetta). In
sostanza, mentre il registro conscio tesse la trama di un controllo delle cose, il registro inconscio tesse una trama nella
quale il significato dell’esperienza nasce dai bisogni primari. Questo livello costituisce un grande filtro della coscienza
finale delle cose, è cronologicamente più antico e quindi posto “sotto” il livello di conoscenza (ved. disegno pag. 123).
Siccome il registro inconscio ha a che vedere con la relazione affettiva primaria, si attiva soprattutto con la sfera della
interazione interpersonale.
3.3.3.1 La determinazione culturale dell’Io
La costruzione della identità personale non è possibile al di fuori di un contesto specifico e determinato (solo così ci
spieghiamo perché un tempo non troppo lontano le persone erano disposte a morire per la patria). Ciò dipende da
come tutto è orientato e fa senso all’interno di una determinata cultura, che riesce a deflettere parte delle energie
individuali sulle istituzioni e a favore degli altri del gruppo sociale, arginando l’egocentrismo individuale e le pulsioni
asociali e irrazionali (il mito del cavaliere cristiano, frustrati per l’assegnazione del regno al primogenito, avevano un
modo utile per soddisfare i propri bisogni narcisisti). La cultura crea un terreno in cui il seme della personalità può
crescere: fuori dai condizionamenti la personalità non cresce e non si generano ego individuali. La personalità
individuale è quindi sempre determinata, legata ad un contesto specifico, innestato nei rapporti interpersonali e nella
cultura di cui si alimenta. Il linguaggio è il sistema di condensazione dei modelli di cultura e di trasmissione culturale.
Anche i modelli di identificazione (eroi, miti) fanno parte di questa azione formativa, divengono parte del nostro
personale progetto influendo sull’autostima e sull’immagine di sé. Il sistema dei media offre oggi uno strumento
enormemente potenziato per l’identificazione con personaggi e situazioni esemplari, ed il linguaggio visivo consente un
gioco di molteplicità prima impossibile nel linguaggio lineare scritto. I consumi costituiscono una vera e propria cultura
che, tra l’altro, connette i propri percorsi di senso individuali con le necessità economiche e offre concrete prassi di
socializzazione grazie anche alla comunanza dei luoghi, delle prassi di consumo e al possesso di oggetti che creano
appartenenza allo stesso gruppo. Il sistema della personalità si completa dunque con il contesto socioculturale (ved.
disegno pag. 127).
3.2.2.2 Un sistema in equilibrio dinamico ad assetto variabile
Lo schema appare però statico; in realtà la personalità vive di un continuo riequilibrio e ri-centrazione. La cultura dei
consumi favorisce un osmosi tra realtà e fantasia, un pensiero magico che scambia il possesso di oggetti con il
conseguimento di modificazioni del proprio essere. La cultura dei consumi esalta l’identità personale, ma
paradossalmente all’interno di una comunicazione di massa. Per comprendere un qualsiasi fenomeno di consumo
dovremmo valutare il senso attribuito dai soggetti al consumo integrandolo con la cultura, che ispira l’agire al consumo
di quella persona, e col gruppo di riferimento, che rende importante un certo consumo che può venire utile anche ai
fini del mantenimento della propria autostima personale.
3.4 Personalità, consumi e modelli di cultura
La soggettività consente un marketing del consumo, al contrario di un comportamento razionale che non
permetterebbe l’estensione dei consumi alla massa. L’individuo mantiene i criteri di razionalità (calcolo di convenienza)
ma amplia la rosa di motivazioni, bisogni e valori. Occorre continuamente rilevare quali nuovi valori o bisogni
emergono, non siamo però obbligati ad una micro-invidualizzazione dei percorsi di formazione: una data personalità
emerge dalla interazione sociale guidata da modelli di cultura che orientano gli equilibri possibili tra i vari aspetti della
personalità. Attualmente sono al lavoro modelli di cultura che convergono nella formazione della personalità
postmoderna, ed è già possibile coglierne alcuni aspetti centrali.
3.4.1 Il modellamento psicologico operato dalla cultura dei consumi
La cultura dei consumi nella fase postmoderna è un rapporto con gli oggetti/beni/esperienze/servizi di consumo che
eccede la dimensione razionale. Gli oggetti d’uso o di necessità si trasformano in oggetti dei desiderio, col quale
bisogna avere una relazione affettiva e a cui si attribuisce, dunque, una personalità. Si sposta la logica del calcolo
utilitaristico e del controllo razionale (la logica dell’Io) ad una dominanza della logica del Sé, ovvero dalla razionalità
moderna alla logica del desiderio postmoderna. La comprensione degli aspetti irrazionali diventa centrale per la
comprensione della psicologia del consumo. Quando una cose diventa oggetto di desiderio non vale più il principio della
non contraddizione, si fondono realtà e fantasia, c’è una casualità non lineare ma magica, la condivisione sociale è
attenuata e non vincolante. Nella logica del desiderio funzionano processi diversi dai classici processi cognitivi:
l’identificazione e la proiezione, l’associazione, l’empatia, la sostituzione simbolica. Anche l’immaginario (desiderio) ha
una sua struttura ed un suo linguaggio e segue delle leggi: è più “fondamentale” della logica razionale-strumentale, è
presente fin dalla nascita e precede il calcolo. La società dei consumi rende tollerabile la sensazione di carenza di
risposte e di senso ai propri bisogni individuali, narcisistici ed emotivi; la cultura dei consumi ci rimette nella condizione
del bambino, consente di soddisfare il registro del desiderio centrato sulla potenza e sul dominio.
3.4.2 La personalità consumista (l’inculturazione consumista)
a) Il nuovo equilibrio tra realtà e immaginario. Nella società attuale c’è una grande presenza di realtà non
coincidenti con il mondo reale (ed es. mass media, videogiochi, internet, chat, pubblicità): la funzione principale della
realtà vicaria è quella evasiva / di entertainment, svincolata dal rapporto con la realtà. Questa fuga dalla realtà appare
in contrasto con la concezione dei media negli anni 50 (quarto potere); oggi ci troviamo a parlare di
“spettacolarizzazione” della politica. Questa esperienza sposta il confine tra realtà ed immaginario, che viene orientato
5
dai mass media alla evasione e alla narrazione, una modalità sempre presente che entra nella nostra vita ormai a pari
diritto con il rapporto con la realtà, incidendo pesantemente sui percorsi di articolazione della identità. Questa
possibilità inoltre permette di sperimentare le identificazioni in modo simulativo, proiettivo e quindi di non trasferire
direttamente nella realtà le identificazioni con i personaggi, però l’esperienza reale viene comunque continuamente
contaminata dalla fantasia. Lo spettacolo massmediatico, inoltre, con la legge del “lieto fine” consente a tutti di avere
ciò che desiderano o comunque una adeguata consolazione. Siamo sospinti a violare il principio di realtà e l’esperienza
della frustrazione. Siccome la natura dei mass media fa parte della quotidianità questa fantasia acquista uno statuto di
realtà essa stessa, consentendo la fuga dalla realtà fino al limite estremo della fuga persino dalla anticipazione della
frustrazione. L’advertising massimizza la rappresentazione del lieto fine e la confusione tra realtà e fantasia, esplicita
sempre più la legge del desiderio e della non frustrazione. Assimilando il compito dei alimentare l’excitement utilizza
con facilità l’erotizzazione e la sensualizzazione; l’adv ha consentito la transizione dallo scambio basato sul calcolo di
convenienza alla logica del desiderio, che non nasce dalla semplice presenza fisica dell’oggetto. Si cerca di raggiungere
dei miti irraggiungibili, che fanno parte della rappresentazione aspirazionale di sé (eterna giovinezza, individualismo,
edonismo narcisista, lieto fine). b) La restrizione dell’orizzonte temporale e la accelerazione. La nostra società ha fatto
della velocità un mito; alla progettualità per tappe successive subentra l’agenda setting quotidiana, la produzione ed il
marketing hanno dovuto adattarsi mettendo a punto la strategia del just in time. Accelerazione e restrizione temporale
favoriscono la nascita di una personalità singolarmente adatta al consumo, poiché orientano l’equilibrazione della
personalità verso l’immediatezza, verso l’azione per impulso. Negli spot troviamo sia il contenuto che la velocità di
questo processo (30 secondi per l’Italia), modellando la forma mentis del consumatore su quella del bambino, per il
quale il raggiungimento della meta non è pensabile nella prospettiva di una sequenza di passi governata dalla logica
del merito o dell’abilità. L’immediatezza, l’ingordigia e il rapido subentrare di alternative garantiscono la rapida
saturazione del possesso di oggetti. c) Il modello di cultura della immediatezza forma un unico pattern con quello della
molteplicità simultanea. La cultura presenta come valori alcune mete e come disvalori alcune altre. Nella
postmodernità l’identità monolitica e coerente è rigida e non creativa, inadatta ad un mondo poliedrico e ricco di
opportunità; viene pertanto alimentato un ideale di personalità multipla, che si adatta ad ogni contesto di esperienza
individuale e sociale, come nel caso della giovinezza, in cui si cerca l’incontro con nuove culture, con nuove compagnie,
ognuna adatta ad un particolare scopo (quella del mare, quella di scuola, quella della discoteca), o come nel caso
delle identità sessuali (disponibilità di accesso a pattern maschili o femminile indipendentemente dal proprio sesso
biologico). d) La destrutturazione degli ancoraggi analitici. Oggi il bambino all’interno del nucleo parentale non può
contare su un livello di assorbimento delle energie e dei desideri parentali, poiché, tra l’altro, la capacità dei genitori di
sacrificare il proprio sé a quello del bambino è diminuita, quindi la necessità di trovare figure integrative o sostitutive è
forte. Le istanze analitiche passano quindi agli oggetti ed alle marche, che ci indicano quali sono i valori e gli stili di
vita, quali le cose che stano maturando, una vera e propria istituzione formazione. e) Lo spazio inusitato del tempo
libero. Il tempo libero è forse il principale dei diritti della postmodernità: la società dei consumi dipende dalla
disponibilità di tempo liberato dal lavoro, sia comune spazio di desiderio e acquisto, sia come oggetto da acquistare
(vacanze). Il tempo libero alimenta il narcisismo, lo spazio ludico, la sperimentazione di identità diverse da quelle della
normalità.
I modelli di cultura aprono uno spazio che favorisce equilibri di personalità in cui l’Io razionale moderno non ha più un
ruolo dominante, e in cui le dinamiche del Sé hanno spazio e trovano interlocutori primari nella realtà quotidiana, in cui
il Sé alimenta desideri e modelli di identificazione.
3.5 Per una psicologia del desiderio
Oggi siamo ancora disarmati nella comprensione del desiderio, che nasce dalla mancanza, o meglio dallo spazio tra la
meta rappresentata (o ricordata) e l’esperienza della frustrazione (mancanza attuale della meta). Gli istinti (pulsioni)
umani consentono lo spostamento della meta originaria a mete diverse: questo dipende dall’ampiezza e dalla
versatilità dell’apprendimento umano, che avviene nella fase di sviluppo in cui l’Io ancora non è maturo e operante
(bambino), e gode di una pressoché indefinita gamma di possibilità di scomposizione e ricomposizione della pulsione
naturale. Il desiderio è parte dell’area ludica in quanto sfrutta la possibilità di confondere e mixare realtà e fantasia. Il
desiderare implica la presenza di una aspettativa, quindi di uno schema anticipatorio che guida a scrutare il reale in
attesa di segnali anticipatori dell’apparire reale della meta. Nella fantasticheria (condizione naturale del desiderio), la
possibilità di appagamento non è condizionata dalla realtà. Gli oggetti di consumo hanno tre valenze di meta: 1) degli
affetti primari (irrazionale inconscia); 2) di autorappresentazione e di rappresentazione della nostra identità; 3) di
estensione del proprio Sé attraverso l’incorporazione di protesi che ampliano le possibilità fisiche, psichiche ed
emotive.
3.5.1 Consumi e desiderio: una comprensione genetica delle forme di desiderare sottese al consumo
Il consumatore è mosso, in una società centrata sulla comunicazione, da valori simbolici non riducibili a schemi di
calcolo razionale. I processi di scelta implicano anche il livello di autogiustificazione razionale e di calcolo dei vantaggi,
ma gli elementi più “pesanti” sono quelli extrafunzionali (di cui manca ancora un modello scientificamente gestibile),
conseguenza di un assetto socio-culturale che “spinge” il consumatore a “funzionare” secondo modalità che
permettono al sistema economico di autoalimentarsi. Tutto ciò dipende da tre macrofattori interagenti nell’attuale
contesto socioculturale: 1) saturazione delle merci e dei beni: tutti hanno tutto, quindi motivano l’acquisto da impulsi o
significati affettivi, non più attraverso un calcolo di necessità o di opportunità razionale. Questo genera anche bisogni
di servizi e di beni immateriali, fruibili attraverso significati simbolici a base affettiva e non sulla base di un calcolo
razionale; 2) la crescita esponenziale della civiltà dei mass media e della comunicazione: questo abbassa la soglia tra
realtà e fantasia, a sfavore delle modalità legate al principio di realtà. In chiave psicologica dei consumi questo implica
la dominanza di codici equivoci, allusivi, proiettivi, ciò che è in gioco sono le fantasie di appagamento del desiderio.
Acquistare è oggi più simile ad accedere ad un mondo fantastico e partecipare a emozioni e avventure, più di quanto
accada nella vita quotidiana. 3) La destrutturazione della società post-moderna: il funzionamento della personalità
viene delegato alle spinte interne di tipo emotivo ed affettivo più che ai valori interiorizzati dalla educazione
strutturata, da qui la polverizzazione dei comportamenti e dei sistemi di valore (individuazione e soggettivazione). Ne
deriva un comportamento di consumo frammentato, oscillante e senza evoluzione lineare, il principio di coerenza non è
più attivo. Più che ad una personalità centrata sull’identità, bisogna pensare ad un “Sé fluido”, che consente di
moltiplicare uno stesso consumatore, consentendo di sovrapporre i consumi.
In questo contesto acquista rilevanza un’attenzione al processo del desiderare, che ha una natura non razionale: il
desiderio ha una razionalità tutta sua, che si intreccia con quella dell’Io razionale (quindi segue la logica del Sé).
6
3.5.2 La logica del desiderio
Il compito della psicologia dei consumi è innanzitutto quello di comprendere la logica del desiderio, che si esaurisce in
tre punti: indicare perché l’uomo è desiderante, ricostruire l’evoluzione del desiderio e indicare come le forme del
desiderio alimentano il comportamento di consumo.
Risposte a queste tre domande si possono ritrovare nelle radici psicologiche del desiderio. Il desiderio nasce come una
sostituzione psichica ad una mancanza fisica, che fa seguito ad una rottura di un rapporto di attaccamento. Inoltre la
specie umana possiede una esploratività, una capacità di gioco, di fantasticheria: queste capacità favoriscono lo
sviluppo abnorme di una sfera intermedia tra realtà e fantasia, capace di alimentare una dimensione di desiderio come
autoillusione. L’interazione sociale costituisce una terza radice: processi di identificazione e proiezione alimentano la
dimensione affettiva della fantasticheria, producendo un’interiorizzazione delle figure significative attraverso cui si
elabora il primo senso della propria identità. Desiderio e dimensione “transazionale” del pensiero (cioè la modalità non-
razionale del pensiero) costituiscono il sistema di sopravvivenza del bambino quando ancora non possiede un Io
cognitivo. Ogni volta che si attivano le angosce, i desideri e le modalità di pensiero primario, si riattivano le modalità
infantili di funzionamento della personalità. L’equilibrazione in un senso o nell’altro di queste macrostrutture della
personalità dipende dl contesto socioculturale: una cultura del narcisismo spingerà a funzionare in modo “primario” in
modo più deciso di una cultura etica o razionale. Privilegiare l’analisi della dimensione del desiderio significa
considerare solo un tassello, seppur importante e decisivo, del gioco complessivo.
3.5.3 Contenuti e modalità del desiderio
Cerchiamo di delineare i contenuti del desiderio, in una schematizzazione nella quale indicheremo per ciascuna fase i
bisogni di base, i contenuti dominanti e le modalità di funzionamento mentale: parallelamente al desiderio si
sviluppano anche le linee dello sviluppo cognitivo, della socialità, del controllo motorio. Distinguiamo otto stadi nello
sviluppo del desiderio, seguendo lo schema classico di Erickson.
1. periodo peri-natale (primo anno di vita) – fase orale. Bisogni: reagire all’angoscia di separazione, ridurre
l’eccesso di stimoli esterni. Modalità: identificazione e proiezione. Prototipi di consumo: consumo come
scorciatoia per rappresentare la dipendenza rassicurante (assicurazioni – club).
2. prima infanzia (fino a tre anni) – fase anale. Bis: autonomia senza perdita dipendenza. Mod: ambivalenza.
Possesso, dominio, controllo, senso del “mio”. PdC: calcolo di convenienza (offerta speciale, raccolta punti,
sconti).
3. seconda infanzia (3-6 anni) – fase edipica. Bis: risolvere conflitto fra desiderio di essere grande e realtà di
impotenza. Mod: invidia, esibizionismo, narrazione di Sé agli altri. PdC: basato sul successo e
sull’approvazione da parte degli altri (abbigliamento, auto, vacanze dorate).
4. Fanciullezza (scuola elementare) – fase di latenza. Bis: meritare l’approvazione da parte degli adulti e dei
pari. Mod: autostima, inserimento nel gruppo, ruolo sociale, stereotipi. PdC: consumi basati sul
riconoscimento di status, di appartenenza al gruppo o di un merito (tutte le pubblicità del tipo “Anche tu puoi
avere…”, oppure consolidate e riconosciute come Mercedes)
5. pre-adolescenza (scuola media) – maturazione sessuale. Bis: affermare la propria unicità e diversità. Mod:
esibizioni e fantasticherie, complesso di Calimero, imitazione di divi ed eroi. PdC: consumo di narrazioni e
fantasie con eroi che superano la prova e si affermano (fiction)
6. adolescenza (14-18 anni) – formazione dell’identità. Bis: formare immagine di sé coerente, soddisfacente;
autonomia e indipendenza. Mod: intellettuazione, astrazione e fantasia, uso di humor e ironia per esorcizzare
angosce. PdC: basati su appartenenza ad élite e sulla ricerca di mondi simbolici protettivi (Nike)
7. Giovinezza (18-28 anni) – fase della transazione al ruolo sociale. Bis: sentire che è possibile non essere
schiacciati dalla complessità del reale. Mod: simulazione mentale e sociale, esplorazione, alternanza fra
introversione ed estroversione, espressività esibizionista. PdC: consumo ispirato all’esplorazione, innovazione,
novità (no esempi)
8. Condizione adulta – stadio della generatività. Bis: sentire che siamo sorgente di vita, in senso reale e
metaforico, apprendere ad insegnare. Mod: aver cura, allevare, senso della giustizia e del diitto universale,
creatività. PdC: consumi etologici, ma anche estetici, perché astorici.
Lo schema implica che le fasi precedenti rimangono attive anche quando subentrate altre fasi. Va inteso come una
“matrice”, sulla quale le condizioni socioculturali agiscono determinando il prevalere di alcune modalità di consumo tra
quelle possibili, che vincola tra loro dinamiche del desiderio e possibili percorsi. A queste modalità dovremmo guardare
per decodificare i riti e le mode del consumo, che devono apparirci come percorsi di attivazione e di soddisfazione del
desiderio.
Cap. 4 La pratica della ricerca sul consumatore
4.1 Tre modi di articolare la ricerca empirica sul consumatore
C’è stato innanzitutto il tentativo di descrivere il campo dei consumi trasponendo le nozioni dei processi psicologici
nate in altri settori di ricerca. Un po’ come vedere se la nostra automobile modifica il suo comportamento andando in
montagna piuttosto che in pianura. Non è possibile però catturare in questo modo la flessibilità del consumatore, che
agisce in un habitat che massimizza la fluidità, la molteplicità e la velocità perché sollecita diversi aspetti del Sé e
diverse equilibrazione di Io e Sé. Solo considerando il peculiare equilibrio possiamo prevedere se il suo processo
cognitivo tenderà a deformare l’informazione per soddisfare l’aspettativa oppure cercherà di calcolare il vantaggio
maggiore oppure tenderà a privilegiare la recita sociale e l’approvazione di chi sta intorno. Non è possibile adottare un
unico schema, che, insieme all’antropologia che sottende, è inadeguato. La validità delle osservazioni è destinata ad
essere microspecifica, lasciandosi sfuggire il senso di quello che accade. Si usa sempre meno il rigido schema
cognitivista razional-decisionista, subentra il concetto di atteggiamento. Un atteggiamento positivo verso un prodotto
non è però sintomo di prossimo acquisto da parte del consumatore postmoderno, che non è più vincolato neppure dai
propri atteggiamenti. Al momento della scelta può emergere un altro fattore, un impulso o una “scoperta”; inoltre
l’idea di mantenersi fedele ad una abitudine può irritare il consumatore nella sua ricerca di novità e di excitement, che
ama esplorare alternative e variare. Il piacere e il divertimento guidano spesso nell’acquisto, ed esigono sorpresa,
varietà, novità. Le perplessità sul rapporto tra atteggiamento e comportamento rendono di dubbia utilità il tentativo di

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comprendere l’efficacità della persuasione dell’adv attraverso il concetto di cambiamento di atteggiamento. Perplessità
analoghe nascono per quanto riguardano il “principio dell’equilibrio”: la personalità non è più coerenza di convinzioni,
sentimenti e comportamenti come vuole la psicologia accademica. Pertanto la macchina conoscitiva attivata dalla
scienze sociali è carente (vista la crisi di atteggiamento, persuasione ed equilibrio) sotto due aspetti: il consumatore
non appare coerente tra la propria ideologia dichiarata e i propri comportamenti, e diventa chiaro che lo stesso
consumatore sembra governato da assunti diversi per le diverse aree merceologiche. Anche pensare che il
consumatore è coerente con la propria personalità, visto che non lo è con i propri atteggiamenti, è sbagliato, poiché si
ignora il contesto specifico e l’assetto variabile della personalità. Il tentativo più coerente di adattarsi a questo stato di
cose è quello della ricerca stile “lifestyle”, che utilizzano variabili di diversi livelli (atteggiamenti, interessi, opinioni) e
costruiscono le tribù accumunate da un equilibrio simile tra questi diversi ordini di variabili. È così possibile inquadrare
i consumatori in “culture e identità di consumo” specifiche in un certo periodo, ad hoc per le diverse aree
merceologiche. Questa evoluzione obbliga i teorici della personalità a ripensare alcune loro premesse di base,
soprattutto alla prospettiva intra-individuale utilizzata per costruire i loro modelli. Accanto a questo sviluppo, la ricerca
del consumatore sta cercando di trovare metodi adeguati per rilevare dimensioni importanti che ancora non sono
entrate a far parte della sistematizzazione, come i concetti di involvement, emozionalità o relazione. L’aspetto più
interessante dell’involvement sembra essere il fatto che essa determina delle soglie di modalità di funzionamento del
consumatore. A basso grado di involvement il consumatore può agire casualmente (per es. in caso di promozioni)
oppure anche secondo la logica del calcolo di convenienza. Con il salire del livello di involvement il consumatore cerca
emozione, agisce in relazione agli aspetti intangibili della marca. La difficoltà sta nel riuscire a misurare in modo
attendibile questa dimensione, in compenso torna utile anche per valutare l’efficacia di un adv. L’emozionalità si
affianca all’involvement, modificando il funzionamento complessivo dell’Io e che confermando che l’emozione
interagisce con gli aspetti cognitivi determinando diversi stati di equilibrazione che confermano la visione di un
individuo ad assetto variabile che ci pare la più adeguata oggi ad affrontare il campo ipercomplesso dei consumi.
Spesso però lo sforzo della nascente “psicologia dei consumi” non le consente di rispondere alle domande fondamentali
del marketing, alle quali la psicologia del consumatore è riuscita solo a fornire risposte “ad hoc”, cioè studiando
l’immagine di determinato brand di un determinato target, senza poter pervenire a soddisfacenti generalizzazioni,
poiché in Italia la grande massa di ricerche sul consumatore è affidata a società di ricerca private che agiscono su
committenza.
4.2 Il dilemma metodologico
Bisogna inventare una famiglia di tecniche di indagine capace di sostituire o affiancare quelle codificate da una
tradizione che ha ormai un secolo alle spalle. La psicologia del consumatore costituisce il campo in cui possiamo
rinvenire la maggior quantità di ricerca qualitativa, il cui statuto è i effetti mal posto fin dalle ragioni iniziali per cui le si
attiva: infatti sembra trovare spazio soprattutto quando non sembra esistere il tempo o l’investimento per una ricerca
quantitativa. Di solito si ritiene che la ricerca qualitativa sia in grado di raccogliere il vissuto del consumatore e offrirci
una chiave di lettura dei fenomeni del consumo. Il consumatore in effetti è in grado di offrirci spiegazioni su di sé e
sugli altri, riducendo il lavoro dell’intervistatore a quello del resocontista (in particolare se noi chiediamo “Perché fai
così?”). Bisogna ricordare che il contenuto della risposta ha anche a che fare con i rapporti di autogiustificazione, di
coerenza interna, e con la negoziazione sociale che sta effettuando con l’intervistatore, però questi elementi non
saranno di per sé la causa prima o ultima delle sue scelte di acquisto, a causa del positivo desiderio del consumatore di
mantenere margini di libertà ludica e di sorpresa nelle sue scelte. Quindi l’analisi qualitativa non può non essere
interpretativa: il che suscita al contempo dubbi sull’interpretazione, inducendo a spostare la fiducia dal metodo alla
persona del ricercatore. Le teorie della motivazione guidano alla lettura dei contenuti della intervista permettendo di
ricondurli a uno schema preesistente, pregiudiziale. Solo che nel nostro caso il modello teorico pregiudiziale non è
bene esplicitato. Nella ricerca qualitativa questo tipo di procedura può essere realizzata disponendo di più punti di vista
che si applicano solo a posteriori sul materiale raccolto. Questo metodo corrisponde alla necessità di cogliere l’assetto
variabile della personalità e del rapporto tra consumatore e prodotto: i ricercatori confrontano punti di vista diversi
nell’intento di individuare quale aspetto è centrale. La riflessione dei ricercatori sulla riflessione del consumatore è il
cuore della epistemologia qualitativa, e deve conciliare i modelli interpretativi dei diversi punti di vista conoscitivi ed
essere coerente con la spiegazione “ingenua” del consumatore: rendere conto del perché il consumatore ha offerto una
certa ermeneutica della sua condizione. In questo modo la soggettività arbitraria non ha più ragione d’essere: questo
dimostra l’attitudine della ricerca qualitativa a comprendere adeguatamente il consumatore e permette di creare una
piattaforma culturale e procedurale che consenta di cumulare il proprio enorme serbatoio di dati sul consumatore. La
ricerca qualitativa, poi, dalla tradizione clinica ha ereditato un bagaglio di tecniche e di modelli dedicati ad attingere la
sfera delle associazioni e dei rimandi simbolici aggirando la razionalizzazione dell’Io: diventa importante accedere alle
dinamiche ed ai percorsi del Sé. Però ciascuno di noi non ha libero accesso al proprio Sé, perché è filtrato dall’Io,
pertanto anche nella relazione di intervista le persone tenderanno a fare “bella figura” esibendo una rappresentazione
di sé controllata dal regista Io. L’esperienza clinica ci ha fornito una serie di tecniche per aggirare l’Io ed accedere al Sé
dei soggetti: sono le tecniche proiettive e quelle di conduzione creativa, che usano l’interazione con l’intervistatore
come una condizione di allentamento dell’autocontrollo. Vi è ancora un altro aspetto specifico della ricerca qualitativa
che si può verificare nel corso di un’intervista: è facile che l’intervistatore assuma agli occhi dell’intervistato il ruolo del
prodotto: ai suoi occhi in effetti dell’intervistatore è una sorta di emissario o di ambasciatore del prodotto. Questo può
costituire una difficoltà, ma anche una ineguagliabile risorse: possiamo cogliere i modelli di interazione che
l’intervistato attiva verso il prodotto. La ricerca qualitativa costituisce dunque una forma di conoscenza unica e
preziosa, sebbene ancora immature sul piano epistemologico e metodologico. Comunque anche la ricerca strutturata è
obbligata a passaggi interpretativi “invisibili” o mascherati dalla presenza di numeri, grafici, calcoli a computer: per es.
nel costruire un questionario la scelta degli items, nella elaborazione fattoriale o nella scelta dei livelli di significatività e
soprattutto la lettura ed interpretazione dei fattori. In conclusione sia la ricerca strutturata che quella qualitativa
stanno avviandosi verso una flessibilità che scaturisce dalla comprensione di metodologie strutturate complesse e di
aspetti interpretativi, adeguandosi all’oggetto di studio che è multidimensionale e ad assetto variabile. La psicologia dei
consumi inesorabilmente deve colloquiare con altre forme di sapere come la sociologia, l’antropologia, la semiologia,
l’economia e il marketing.
4.3 Il consumatore postmoderno: self-narrative
La psicologia narrativa assume che il Sé psicologico è frutto di una costruzione narrativa nel senso che dipende dalla
disponibilità di narrazioni sul sé e nel senso che il sé esiste solo come mezzo di interazione degli scambi dialogici
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sociali. Possiamo parlare di molteplici sé: in effetti il racconto del sé varia a seconda dei contesti sociali e nel tempo.
Cerchiamo di esporre alcuni degli aspetti che risultano più evidenti dalle narrazioni di consumatori italiani
a. Il consumatore è consapevole di vivere in un sistema del consumo, e tende a crescere la sua
consapevolezza di esserne una parte centrale: il consumatore attuale è lontano dalla situazione del topino di
laboratorio che viene condizionato e che nulla sa del progetto di ricerca cui partecipa suo malgrado. Nella sua idea
il produttore deve riuscire a vendergli la merce, e quindi deve invogliarlo all’acquisto attraverso l’esercizio di
seduzione (più che di persuasione) che rende l’acquisto più piacevole e divertente. b. Il consumatore apprezza
l’aspetto ludico di questo sistema: il consumatore non si assume responsabilità ed impegni civili, preferisce
credere che a difenderlo siano le istituzioni, e comunque ha pochissima voglia di introdurre una dinamica del
sospetto, di controllo e di contrapposizione in una area che vuole vivere con rilassatezza ludica. Questo
atteggiamento acritico nulla toglie a reiterate dichiarazioni di consapevolezza che “nessuno ti regala niente”, e che
le aziende “fanno il loro interesse”, però proprio la esposizione pubblica delle aziende rende per loro pericoloso
fare “grosse mascalzonate”. c. Il consumatore manifesta u rapporto positivo con la pubblicità: il
consumatore sorride quando si avanza l’idea che la pubblicità lo condizioni, perché sa bene che la pubblicità tende
ad abbellirgli le cose e a fargli nascere desideri “inutili”: ma in compenso lo informa delle possibilità di scelta e
delle alternative, e obbliga i produttori a “impegnarsi pubblicamente”, una sorte di garanzia. La presenza pervasiva
della pubblicità non ha più un effetto irritante o disturbante, ma rassicurante: è una “presenza famigliare” e inoltre
la rappresentazione del mondo è bella, gradevole, sempre con il lieto fine. La pubblicità illumina gli spazi bui della
nostra agenda setting, così che la signora Maria non è più una massaia, ma una manager, può pensare che mille
prodotti si contendano i suoi favori. Il consumatore sta poi diventando sempre più capace di apprezzare le
componenti registiche ed estetiche della pubblicità, come il ritmo, i colori, la bravura di registi e attori, l’originalità.
La funzione principale della pubblicità agli occhi del consumatore è quella di divertire, rinviando il ruolo di
informazione ad altri momenti, secondo la sua teoria per cui prima devono nascere interesse e desiderio, poi la
ricerca di informazione per canali individuali. d. Il consumatore cerca un rapporto con la marca: questo ci
conferma che esiste una dimensione affettiva che consente di considerare la marca come una persona, una
personificazione che è già dentro di noi, nel nostro vissuto. La fiducia affettiva verso la marca indica la funzione
analitica in funzione suppletiva di altre istituzioni (statali o parastatali). La marca funge anche da organizzatore
cognitivo, fornendo le “istruzioni per l’uso” dei prodotti: uso pratico e contesti sociali, e l’immaginario che
determina il passaggio da utilizzazione a consumo. Utilizzazione  il significato del prodotto e del rapporto con
esso si esaurisce nel suo valore d’uso, il consumatore è utilizzatore razionale, calcolatore di vantaggi. Consumo 
il rapporto con il prodotto si dilata alla simulazione mentale ed affettiva di identità personale e di ruolo sociale.
L’identificazione esige una asimmetria con l’oggetto con cui si identifica (il modello); l’oggetto deve stare un poco
sopra a noi, in quanto più forte e protettivo, ma anche nel senso che deve essere oggetto di desiderio non ancora
raggiunto ma raggiungibile. La pubblicità di prodotti di marche assurte al livello di modello si circondano di
preziosità, di toni seduttivi ed intimi. Ricordiamo ancora che oggi ogni aspetto della nostra identità ha bisogno dei
suoi modelli di riferimento e dei suoi mondi. La relazione con la marca guadagna se si pone su un piano affettivo e
identificativo piuttosto che su un piano relazionale, il legame si mantiene anche trasversalmente, consentendo la
“brand extension” (Swatch ha prodotto automobili con la stessa personalità che trasmetteva negli orologi, Barilla i
sughi, Nike i capi di abbigliamento). Anche il luogo di consumo sta assumendo maggiore rilevanza, perché è il
luogo dell’excitement, in cui la centralità del consumatore e i mondi dei prodotti si incontrano. e. Il consumatore
ed i valori: un’indagine quali-quantitativa statunitense mette in luce alcuni aspetti che, seppur contraddittori,
sussistono uno accanto all’altro. Il primo aspetto è la forte adesione al principio di piacere ad al consumo come
area principale di questo diritto-consumo. Accanto a ciò sta il timore (senza soluzione di continuità) per la perdita
degli antichi valori determini uno sgretolamento sociale. Queste ansie prendono forma nella paura che la
possibilità di benessere torni ad essere riservata a quei pochi che “possono”, respingendo la maggioranza nella
stretta del bisogno. Nonostante questa coesistenza nessuno è realmente disposto a correlare i due aspetti
deducendo ce il consumismo rischia di compromettere le risorse e/o l’ecologia del pianeta. Si attribuisce la colpa a
istituzioni, governi, e sempre ci si attende dalla tecnologia ulteriori magie che risolvano il problema senza
obbligare a scelte e quindi a sacrificare qualcosa. In Italia un altro conflitto è quello tra ricerca di benessere e
atteggiamento verso l’immigrazione. Il timore è che gli immigrati peggiorino la nostra qualità di vita, ma come
possiamo loro negare la ricerca di quella felicità consumista che noi stessi cerchiamo? Anche in questo caso si
demanda tutto alle istituzioni. Gli abitanti della postmodernità hanno superato il principio di non contraddizione:
essi vogliono tutto come recitano anche alcuni claims pubblicitari (leggerezza e gusto, piacere e naturalità). La
personalità consumista potrà sussistere fino a che il livello di benessere è garantito: forse per questa ragione le
persone seguono con così tanto interesse gli andamenti economici. Anche il ritorno al darwinismo (con l’uomo che
riesce grazie alla tecnologia a crearsi un mondo su misura) è u segno di questa ricerca di rassicurazione sulla
certezza presente e futura del benessere. Anche dagli aspetti di autopercezione ed autorappresentazione appare
evidente una condizione psicologica che caratterizza la logica del consumatore attuale: la marginalità del principio
di non contraddizione e la fluidità del principio di coerenza: il consumatore tende alla fusione e confusione dei
diversi desideri e obiettivi, mirando al tutto, subito e senza pagare dazio. I consumatori sono così in grado di
bypassare l’etica del sacrificio e il principio di coerenza: cercare di inscriverlo entro i canoni della psicologia
moderna risulta dunque artificioso, difficile e deformante.
4.4 La pragmatica della ricerca sul consumatore
Bisogna focalizzare l’attenzione sulla realtà della prassi di ricerca come nasce ogni giorno nello scambio tra azienda,
istituti di ricerca ed agenzie di comunicazione pubblicitaria. La ricerca di marketing viene spiegata a partire dalla fase
di porre delle domande per poi analizzare delle risposte ed infine riferire i risultati. Il setting della ricerca di marketing
finisce per appiattirsi sempre più sulla figura dell’interrogatorio (neanche dell’interrogazione), questo processo sta
soffocando lo spazio per un reale approccio qualitativo, rimuovendo le dinamiche dialogiche che costituiscono l’essenza
dell’approccio qualitativo e la capacità di rispettare il contesto complessivo in cui la ricerca si svolge. L’effetto più
immediato è quello di rimuovere l’analisi della domanda. A seguito della crisi economica e psico-sociale del ’93 anche
le ricerche di mercato sono state coinvolte in una frenetica richiesta di velocità e di riduzione del costo. Il fattore
decisivo per l’involuzione delle ricerche a filosofia qualitativa sta probabilmente nella alterazione che le condizioni
ansiogene e ipercompetitive hanno indotto nei committenti delle ricerche. La necessità di prendere decisioni in tempi

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rapidi ed in condizioni di rischio rende naturale il ripiegare sugli schemi famigliari e rassicuranti di derivazione
economica. I committenti tendono a evitare tipologie di indagine estranee alla loro mentalità (complesse), ripiegando
su modalità quantitative ripiegate sull’idea dell’uomo che acquista secondo un calcolo razionale di costi e benefici.
Tutto ciò significa de-contestualizzare la ricerca cercando di condurla a schemi comuni, razionali, trasponibili e tradurne
le indicazioni in numeri. L’esito finale di questa sindrome regressiva da stress e ansia di insuccesso non può essere che
quello di restituire al committente proprio quello che egli si aspetta; un po’ come il terapista che minacciato da un suo
paziente con una pistola gli dà la terapia che il paziente desidera. Invece nell’ambito delle scienze umane il modello
quantitativo sta abdicando in favore di approcci qualitativi: semiologici, clinici, storici, ispirati allo studio
contestualizzato. In tal modo la ricerca accademica e la riflessione epistemologica mettono in evidenza la necessità di
contestualizzare ogni processo conoscitivo e di attivare sistematicamente riflessione e dialogicità; anche il marketing
dovrebbe fondarsi su dialogo e colloquio, ma così non è.
4.5 Le tipologie d’indagine
Abbiamo tre criteri per classificare i tipi di ricerca sul consumatore
• Tipologia classica, basata sulla distinzione di metodologie (qualitative o quantitative) e/o di tecniche di
rilevazione (questionario o intervista);
• Una classificazione dei prodotti e metodi di ricerca sul consumatore che muove dalle richieste delle aziende.
Questo elenco si cala nella mentalità e nei modelli di cultura aziendali;
• Un terzo modo (preferito da chi scrive) espone i tipi di ricerca a partire dallo schema dei livelli della
personalità e usando come criterio la adeguatezza del metodo a livello di personalità che si decide essere
centrali per il problema in oggetto
Occorre fare qualche riflessione sul secondo tra i possibili approcci, in particolare bisogna riassumere i tipi di abitudini
e richieste che il marketing rivolge agli istituti di ricerca
1) La prima esigenza che il marketing avverte in una azienda è quella di disporre di dati oggettivi atti a misurare
la potenzialità del mercato in termini di atti di acquisto e di affollamento della concorrenza. A tale bisogno
rispondono la descrizione sociodemografica dell’area interessata, i dati sulla presenza di prodotti in casa e
sulla composizione media dello scontrino della spesa in punti vendita con scanner alla cassa. In sostanza non
abbiamo nessuna dichiarazione, opinione, atteggiamento da parte del consumatore, che conta solo come
numero. Questi dati sono la base su cui si articola il piano del marketing
2) Necessità di progettare la propria strategia in termini di segmenti di popolazione e non più in chiave
universale. Non si può più cercare di vendere tutto a tutti, occorre assecondare le esigenze di un segmento di
potenziali consumatori per i quali divenire punto di riferimento. Ci sono tecniche di segmentazione basate non
solo sulle variabili sociodemografiche ma soprattutto sui valori e gli stili di vita che accumunano sottogruppi
culturalmente omogenei. In particolare il concetto di atteggiamento è stato centrale nello studio del
consumatore. Questa ricerca è basata sullo schema secondo cui le persone acquisiscono informazioni, si fanno
un’idea, valutano in chiave valoriale, assumono una propensione emotiva (accettazione-rifiuto) e si
comportano alla luce di questa sequenza logica, agendo in ogni passo secondo il principio di coerenza. Ma ciò
è opinabile perché:
• Non sempre si ha una informazionecomportamento: una volta formate delle abitudini, si tende a
selezionare l’informazione in entrata;
• Se il nucleo è legato all’immagine di sé, la disponibilità a modificarsi è debole, perché lo scopo
primario è mantenere l’autostima, non adattarsi alla realtà esterna;
• Circolano pregiudizi, che influenzano l’apparato rappresentativo a priori;
• La dimensione ludica attiva il narcisismo amplificando i processi di distorsione;
Inoltre, non è facile creare segmentazioni in Europa, data la vastità di culture, e questo urta contro le
necessità delle aziende multinazionali. Un altro limite è quello della non totale trasponibilità della
segmentazione da un’area merceologica all’altra. Si può reagire in un certo modo per l’acquisto
dell’automobile e in un altro per quello della pasta.
3) Altra esigenza delle aziende è la verifica della efficacia della comunicazione: abbiamo:
• Gli ADV-Trekking, che effettuano rilevazioni periodiche sul ricordo della comunicazione, il gradimento,
l’immagine trasmessa del prodotto: sono effettuate con questionario strutturato o semi;
• Ricerche “just in time”, destinate a misurare l’impatto di una comunicazione pubblicitaria tramite contatti
telefonici subito dopo la messa in onda: misura quante persone sono state esposte al messaggio e averne
una valutazione superficiale di comprensione e gradimento;
• Ricerche prima che il messaggio sia on air, per valutarne le potenzialità, cioè se un messaggio lavora
correttamente e quindi intervenire per ottimizzarlo. Si somministra l’adv in mezzo ad altri e si misura
l’impatto con questionari o interviste;
• Nella fase di ideazione si ricorre a dinamiche di gruppo, in cui si espongono elementi ancora non definitivi
della comunicazione, allo scopo di cogliere quali elementi lavorano meglio e quali no.
Sarebbe importante disporre di un modello in grado di identificare le variabili cruciali della comunicazione in
relazione ai processi mentali e alle reazioni comportamentali del consumatore;
4) Ricerca sui media o meglio sulla media audience; un’azienda deve sapere attraverso quali mezzi di
comunicazione riesce meglio a parlare al suo target designato, quindi bisogna identificare la audience
caratteristica di determinati mezzi (testate, canali) o parti di essi (pagine, trasmissioni). La ricerca viene fatta
attraverso interviste strutturate, con questionario, per via telefonica o face to face.
5) I product-test, o pack test, sono molto importanti per i prodotti mass market (oggetto nuovo) o con una
nuova confezione. Si tratta di testare un nuovo prodotto prima di immetterlo sul mercato, collocandolo presso
famiglie o individui che rappresentano il target per poi raccoglierne le impressioni tramite delle schede
compilate dagli stessi giorno per giorno. Una variante sono i car clinics, per le automobili.

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6) Rilevare la “customer satisfaction” nell’area dei servizi. La capacità di mantenere elevata la soddisfazione dei
propri clienti è molto importante, perché il costo per catturare un cliente nuovo è molto elevato in confronto
alla resa di un cliente “vecchio”. Si utilizzano interviste con questionario che indicano il tasso di rischio e i nodi
critici su cui intervenire.
7) Ricerche sulla brand image (aspetti profondi della immagine). Il capitale di una marca è una risorsa primaria
ed insostituibile per l’azienda; bisogna creare un legame tra il consumatore e la marca, possibile solo se il
consumatore riconosce nella marca dei valori per lui rilevanti, in grado di far vivere la marca come dotata di
personalità, per cui avere una “relazione” con essa.

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