Autobiografia
e pensiero narrativo
Autobiografia
e pensiero narrativo
Lempowerment del paziente diabetico
INDICE
Premessa
Introduzione come invito
Lapproccio narrativo in Diabetologia
pag. 5
pag. 7
pag. 13
STIMOLI
Pensiero logico e narrativo
Come fatta una storia
La narrazione autobiografica
METODOLOGIE
La conversazione autobiografica
Redigere una autobiografia
Narrative Therapy
La conversazione terapeutica
pag. 17
19
29
39
APPLICAZIONI
Il modello dellempowerment
Lavorare sul racconto
Lautobiografia formativa di un diabetologo
Un racconto autobiografico formativo
pag. 89
91
105
115
127
pag. 135
Bibliografia
pag. 141
pag. 47
53
67
71
83
PREMESSA
Cosa questo libro? Perch proporre alla Diabetologia italiana una riflessione su temi quali la Psicologia narrativa o lautobiografia formativa? Rispondere alla seconda domanda facile:
i componenti dei Team diabetologici, sia delladulto sia pediatrici, hanno una consapevolezza particolare delle molteplici dimensioni che la patologia assume, riassume e in parte nasconde, sanno bene quale ruolo attribuire ai vissuti del paziente (e della sua
famiglia) e hanno imparato a conoscere e gestire i continui rimandi fra il versante per cos dire fisiologico e quello psicologico della condizione cronica.
Ignorando o considerando residuali questi aspetti difficile ottenere quel livello di adesione del paziente alla terapia che passa
attraverso un buon autocontrollo glicemico, pilastro insostituibile
della terapia del diabete.
I Team diabetologici sono pi esposti allentusiasmo nei numerosi successi e allo scoraggiamento nei casi opposti. Dagli insuccessi la Diabetologia spesso riuscita a trarre collettivamente e
nellesperienza del singolo lo stimolo a una comprensione pi
ampia e profonda della relazione fra paziente e Team Medico.
nata cos lEducazione Terapeutica: un approccio sul quale Roche Diagnostics ha creduto molto, creando occasioni di contatto, di incontro e di studio. Linteresse che lEducazione Terapeutica ha riscosso, ora anche in ambito pediatrico, conferma la fertilit di questa direzione di ricerca. In molti sensi la riflessione sulla
narrazione in generale e sulla autobiografia in particolare pu essere considerata il naturale proseguimento dellEducazione Tera-
peutica. una riflessione svolta in anni piuttosto recenti fatta propria da scuole psicologiche diverse. Riteniamo che la Diabetologia italiana rappresenti un terreno particolarmente adatto a cogliere questi stimoli. Soprattutto ora.
Torniamo ora alla prima domanda. Cosa vuole essere questo libro? Non una metodologia belle pronta da mettere in atto domani mattina nei Centri di Diabetologia pediatrica o delladulto
e nemmeno un elenco di ricette complementari o alternative da
utilizzare come tali nella prassi del dialogo che si instaura fra la
persona con il diabete e il Team.
Pi che un elenco di ricette questo libro la descrizione di alcuni
utensili di cucina, utensili che potrebbero risultare utili sia in Diabetologia Pediatrica (nella gestione dellansia della famiglia e poi
del paziente adolescente) sia nella Diabetologia internistica (nella gestione del paziente non compliant).
Ritengo che Alberto Pattono, direttore editoriale di Modus e Pediatria e Diabete, sia riuscito a rendere in maniera chiara e articolata seppur per forza di cose sintetica, lo spazio teorico aperto
dalla riflessione sul pensiero narrativo e sullautobiografia, sia le
metodologie che da questa discendono.
A Francesco Dammacco poliedrico e instancabile ricercatore di
stimoli e approcci va il duplice merito di aver dato origine al nostro interesse verso questi temi e di aver approfondito, le possibili modalit di utilizzo dellautobiografia formativa in un contesto diabetologico.
Ci quanto sta dietro a questo libro. E oltre? Oltre occorre
ne siamo ben coscienti unopera di riflessione e di messa a punto che solo la Diabetologia italiana pu compiere, metabolizzando e facendo suoi se lo ritiene questi input. Occorre un dialogo, una riflessione comune. La disponibilit di Roche Diagnostics
a organizzarne le forme massima, anche se queste sono ancora da valutare e dipenderanno dallascolto che tali suggerimenti avranno.
Massimo Balestri
Roche Diabetes Care
messe, insomma tutto linsieme di significati con i quali abitualmente attribuiamo un senso al nostro mondo e alla nostra
vita? A usare un linguaggio pi colto, ma per significare la
stessa cosa, diremmo che ciascuno di noi si formata una
teoria soggettiva della conoscenza che supporta e motiva il
nostro agire.
E non altrettanto credibile che il complesso di conoscenze
di ciascuno di noi si sia costituito, e continuamente si rimodelli, nel corso delle esperienze soggettive di vita? come
dire che la teoria soggettiva di conoscenza viene elaborata in
parallelo con lo sviluppo del S personale.
E risalendo indietro, questultimo pu essere considerato
come un sistema, a molte dimensioni e anche multiplo, di
rappresentazioni e di significati che si venuto formando nel
processo continuo di interazione dellindividuo con il sistema
di significati del contesto culturale. Il S personale, quellIo
che mi affascina considerare come multiplo, come tanti io
da riscoprire e tesorizzare, la risultante di un processo sociale di costruzione durante lintero ciclo vitale.
Se ridiscendiamo il sentiero in senso inverso, constatiamo che
il S personale e la teoria soggettiva di conoscenza hanno
una storia di formazione comune e che entrambi, poi, influenzano lidea che ci costruiamo della nostra attivit e di conseguenza dello stesso nostro agire professionale (S professionale). E tutto sempre e di nuovo reciprocamente.
Ma perch queste considerazioni su quanto il senso comune
ci dice, riscritte, poi, con parole pi forbite? Che importanza
possono avere per noi, per la nostra professione e a cosa e
dove ci invitano?
A me hanno dato un ulteriore insight formativo, un invito a
guardare dentro per vedere finalmente ci che prima il
semplice guardare non mi consentiva di notare.
E cio che, detto in modo diretto, nella mia attivit professionale in ambito diabetologico, come terapeuta e come
educatore allautogestione, devo ri/conoscere di essere guidato dalla mia visione di terapeuta e di educatore. E che questultima si formata nel corso della mia vita professionale in
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Questo, in estrema sintesi, consentono di fare il pensiero narrativo, la narrazione, il racconto, che luomo utilizza per attribuire significati e quindi un senso alla propria vita e al mondo
in cui vive.
Ma ritorniamo alla domanda iniziale per non disperderci in
questi affascinanti territori del pensiero con i loro seducenti
richiami culturali.
A che possono servire lautobiografia formativa e il pensiero
narrativo e le loro applicazioni nella formazione del terapeuta diabetologo o addirittura al paziente con diabete? A questo punto, per, bisogna, almeno, noi diabetologi, essere
coerenti, se prima non lo si era stati.
La parola imperante in questa fase della Diabetologia :
Educazione Terapeutica.
Tutti si fanno il dovere di proclamarla. E quindi di ammettere
che il diabetologo, o chi in generale coinvolto nella clinica
del diabete, oltre che il terapeuta in senso stretto deve avere
capacit educative. Il che significa semplicemente che il diabetologo deve formarsi anche una vocazione e capacit educativa specifica per educare il suo paziente diabetico allautogestione.
NellEducazione Terapeutica, linterazione terapeutica consiste
essenzialmente in uneducazione allautogestione. Non solo
fornire conoscenze specifiche, non solo usare strategie comportamentali per migliorare la compliance, ma soprattutto un
intervento integrato che consenta al paziente di fare scelte
informate per lautogestione della sua condizione.
Ma tutto questo possibile nellambito di una visione del trattamento del diabete che considera il paziente partner paritario, come lempowerment.
Non solo il diabetico deve essere educato allautogestione, ma
anche il diabetologo non pu esimersi da una formazione
pedagogica personale per essere in grado di educare il diabetico allautogestione. Il diabetologo deve condividere in questo caso la teoria educativa dellempowerment, con la quale
deve confrontare la propria teoria soggettiva delleducazione,
che si formato nel corso della sua attivit professionale.
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LAPPROCCIO NARRATIVO
IN DIABETOLOGIA
Mille anni sono stati pi che sufficienti. Dalla Scuola salernitana alla fine dello scorso secolo la medicina occidentale
moderna ha raffinato sempre pi il suo paradigma: combattere le patologie acute costruendo e individuando modelli
oggettivi sempre pi dettagliati dellorganismo e della patologia.
Cartesio nel primo Seicento non fece che razionalizzare e
spiegare quanto la scienza stava gi facendo: cercare dietro
ogni soggettivit una oggettivit; dietro ogni organismo un
meccanismo. A questa cesura radicale dobbiamo lo straordinario sviluppo di quelle che oggi si chiamano scienze della
vita e delle relative tecnologie.
Alla fine dei suoi mille anni di storia la medicina moderna e
occidentale ha il pieno controllo della porzione di realt che
si era assegnata. Gran parte delle patologie acute oggetto
e modello della medicina occidentale e moderna sono
debellate o curabili, soprattutto nei Paesi avanzati.
Proprio per questo il nuovo millennio si apre con la sfida della
patologie croniche anzi delle condizioni croniche.
A questo punto chiaro che i paradigmi sono da rivedere. I
diabetologi sono stati i primi a sentire disagio, a capire che
non solo quanto avevano imparato allUniversit ma i presupposti stessi della scienza medica si stavano rivelando insufficienti o, per meglio dire, inappropriati.
Quando parliamo di patologie croniche, di condizioni, un
approccio cartesiano e meccanicistico serve a poco. Lo stesso pensiero logico razionale non ha voce in capitolo quando
la terapia consiste nel modificare le abitudini dei pazienti.
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Elementi utili per una rivalutazione del pensiero narrativo e della sua pari dignit con il pensiero causale-logico
che caratterizza la scienza e il fare Medico.
Riflessioni sulle caratteristiche strutturali di quella particolare forma di narrazione che lautobiografia.
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Alle sezioni del 2 capitolo, che intendono incentivare la riflessione proponendo in forma estremamente sintetica alcuni stimoli culturali provenienti dalla ricerca psicologica e filosofica, si accompagnano quattro proposte metodologiche
pi o meno formalizzate come tali.
La conversazione autobiografica. Utilizzando fonti diverse (di
scuola sociologica e psicologica) si sono delineate le condizioni di possibilit di un intervento nel quale un terzo invita
una persona a scrivere un racconto autobiografico.
Redigere unautobiografia. Sulla scorta soprattutto del lavoro di Duccio Demetrio si accennato al vissuto della persona
che si appresta a redigere una autobiografia e sugli effetti
formativi che questa attivit pu avere.
La Narrative Therapy. Questo approccio psicoterapeutico
gi stato sperimentato con lo scopo di favorire una narrazione alternativa dei termini del problema, aprendo la strada a
comportamenti differenti.
La conversazione terapeutica. Sulla base dello studio di
Francesco Dammacco si accennata una metodologia di
counseling tesa a intervenire sulla narrazione che il paziente
fa di una condizione per lui problematica.
Sarebbe arbitrario e riduttivo trovare fra queste metodologie
qualcosa di pi di unaria di famiglia, mentre il loro rapporto
con le riflessioni proposte come introduzione pi diretto Al
termine di ogni sezione sono indicate alcune letture consigliate, scelte fra i libri pi accessibili (nel senso letterale e
traslato). In bibliografia sono riportati comunque i testi di riferimento a livello scientifico. Alcune citazioni sono state riportate con alcuni interventi di editing che non ne alterano il
senso ma permettono di inserirle meglio nel contesto e rendono pi agevole la lettura.
Lultima parte del libro riporta le riflessioni di Francesco
Dammacco sulla autobiografia come esperienza formativa e
un esempio di autobiografia formativa.
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STIMOLI
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PENSIERO LOGICO E
PENSIERO NARRATIVO
Ospedali, Universit, Centri di ricerca, Aziende sono istituzioni che devono la loro stessa esistenza al pensiero logico/paradigmatico. Tutti noi per utilizziamo nella vita quotidiana un
approccio diverso: quello che sulla scorta dei lavori di Jerome
Bruner si iniziato a chiamare pensiero narrativo.
Il pensiero narrativo non un pensiero minore o illogico, n
una semplice modalit della comunicazione. Il pensiero narrativo una forma di comprensione della realt parallela a
quella logica e di pari dignit. Di questo ci si rende conto
ormai da tempo anche in ambito scientifico: Gli sviluppi
metodologici della ricerca e la riflessione epistemologica hanno reso in gran parte infondata e obsoleta [...] lopposizione fra
spiegazione storico clinica (narrativa) e spiegazione naturalistica (causale) (Battacchi, 1997). Basti pensare solo per fare un
esempio a quanto scriveva Thomas Kuhn (1962) sul ruolo delle
metafore nello sviluppo delle concezioni scientifiche.
Andrea Smorti (Smorti, 1994 p.92), docente di Psicologia
dello sviluppo a Firenze, ha riassunto con un interessante
schema il confronto fra il pensiero logico (da lui definito
paradigmatico) e quello narrativo.
PENSIERO PARADIGMATICO
PENSIERO NARRATIVO
Il pensiero paradigmatico tipico del ragionamento scientifico e consiste nel mettere sempre in relazione un caso individuale con categorie generali secondo un processo verticale di subordinazione o di sovraordinazione (Smorti, 1994,
p. 92).
Nella prassi di un Centro di Diabetologia, ad esempio, la condizione di una persona con la glicemia alta ascritta (cio
inserita nellambito pi ampio) alla condizione pi generale
diabete. Le particolarit di quella persona sono residuali: il
fare scientifico procede per induzione, privilegia le comunanze
e le somiglianze fra i vari fenomeni.
Al contrario il pensiero narrativo approfondisce quanto avviene in quella persona, in quel diabete.
attraverso il linguaggio si collega al magazzino della conoscenza e delle procedure di una cultura.
In questo senso il linguaggio non puro mezzo. Le parole
che il bambino trova e impara non sono neutre, ma gi cariche di connotazioni culturali, di significati assegnati dalla
comunit nella quale il bambino (ma lo stesso vale per chi da
adulto si inserisce in un contesto nuovo) si inserito. In questo senso corretto dire che quando noi usiamo il linguaggio, questo e altri sistemi simbolici a loro volta mediano il
pensiero e imprimono il proprio marchio sulle nostre rappresentazioni della realt (Bruner, 1990, p. 17).
Crossley (Crossley, 2000, p. 26) dicendo che un tema centrale del postmodernismo l'idea che la conoscenza non sia
data dalla logica o dalla razionalit, ma dalle curve e dai
movimenti del linguaggio. Per quanto noi ci si creda i padroni del linguaggio pi corretto dire che il linguaggio si impadronisce di noi.
La psicologia bruneriana arrivata a questi esiti partendo
dalla rivolta allo sperimentalismo psicologico degli anni 40 e
50 accusato di non saper render conto dei significati.
Approfondendo il concetto di significato, Bruner colse come
la sua costruzione non semplicemente il prodotto dellattivit cerebrale, qualcosa che il cervello computa quando
viene fornito linput adeguato ma piuttosto unattivit interpretativa socialmente condivisibile (Olson, 1999).
Da questo principio discendono due conseguenze. La prima
la centralit dei significati.
Ci che viene scambiato in una cultura e ogni contesto
sociale ha una cultura: una Nazione, una Professione, un
Ospedale, un Ambulatorio proprio la attribuzione di significato. Dietro ogni azione, conscia o inconscia, c sempre
magari sottaciuta una narrazione che la sola a spiegare il
perch, la ragione ultima che presiede a una istituzione (il tal
Centro di Diabetologia), a una azione (la terapia del Diabete),
al fatto che una persona ne sia coinvolta.
La seconda conseguenza il primato del senso rispetto alla
tradizionale divisione posta da ogni psicologia classica: cio
la divisione fra interno ed esterno di un soggetto o fra una
persona e laltra diventano permeabili. una astrazione
razionale, cartesiana quella che vede da una parte un S
pienamente compiuto, legislatore e re del suo mondo, e dallaltra un contesto esterno pi o meno importante.
Questo S nasce e vive avvolto in una cultura, che attraverso
il linguaggio propone ai singoli soggetti delle valorizzazioni e
lo fa tramite delle narrazioni cariche di significati, le storie
appunto. Ovviamente ciascuno di noi ha spazi di azione ampi
nei confronti degli stimoli e delle attribuzioni di significato
che riceve. Ciascuno di noi produce e mette in circolo nuove
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25
Letture consigliate
Andrea Smorti
Il pensiero narrativo: Costruzione
di storie e sviluppo della conoscenza
sociale.
Giunti (Smorti 1994)
Psicologo particolarmente attento ai
contributi della filosofia e dellantropologia (vicino in questo alla sua maestra Ada
Fonzi), Andrea Smorti autore di alcune
fra le poche ricerche sperimentali sul
pensiero narrativo svolte in Italia. Il suo
libro, non complesso e capace di potenti sintesi, oltre a essere centrato sulla questione del pensiero narrativo rappresenta unottima introduzione ai temi trattati in questo
volume.
26
Approfondimenti
BETTELHEIM, B. (1975)
Il mondo incantato delle fiabe.
Feltrinelli, Milano 1977.
CHOMSKY, N. (1968) Language and mind.
Harcourt, Brace & World, New York.
HARR, R., GILLETT, G. (1994)
La mente discorsiva.
Raffaello Cortina Editore, Milano 1996.
HEIDEGGER, M. (1927)
Essere e tempo.
Longanesi, Milano 1976.
KANEKLIN, C., SCARATTI, G. (a cura di) (1998)
Formazione e narrazione.
Raffaello Cortina Editore.
LEVI-STRAUSS (1962)
Il pensiero selvaggio.
Il Saggiatore, Milano 1979.
MC INTYRE, A. (1981)
Dopo la virt.
Feltrinelli, Milano 1988.
VYGOTSKIJ, L.S. (1934)
Pensiero e linguaggio.
Laterza, Roma-Bari 1990.
WOOD, D. (1991)
Paul Ricoeur: Narrative and interpretation.
Routledge, London.
27
Fabula e sjuzhet
Nei decenni centrali del Novecento, diverse scuole si sono
poste lobiettivo di ritrovare delle costanti nella produzione
narrativa sia alta che popolare.
La ricerca sul pensiero narrativo individua in particolare due
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I copioni
Dallo strutturalismo americano invece la psicologia culturale
ha preso una analisi proposta da Kenneth Burke (1945) secondo la quale i racconti di buona fattura risultano composti da
cinque elementi: un attore', una azione, uno scopo, una
scena, uno strumento. A questi Bruner aggiunge un sesto
elemento: il problema, che consiste in almeno uno squilibrio
fra i cinque elementi. Lattore vuol compiere una azione per
uno scopo in una scena ma manca di uno strumento, o lazione non raggiunge lo scopo, o esiste una azione ma non se
ne conosce lattore e cos via.
pensabile un racconto privo di problemi che descriva solo
la pentade di Burke? La risposta s, anzi i racconti senza vio30
Canone e violazione
Quella di Queneau una provocazione in quanto il copione
non un buon racconto. Non lo perch annoia, ma soprattutto perch, raccontando di situazioni canoniche, banali e
culturalmente note e accettate non offre dei significati. Un
copione un racconto che non ha nulla da fare.
Una buona narrazione prevede infatti una violazione del
copione. E di questo il bambino si accorge subito: I bambini di quattro anni possono non sapere molto sulla loro cultu31
bambini di un asilo nido venivano proposte gli inizi di possibili storie e venivano invitati a continuarle. Le storie non canoniche producevano rispetto alle altre un abbondante flusso di
invenzione narrativa, una elaborazione dieci volte maggiore.
Bruner si collega alle spiegazioni della mitopoiesi effettuate
dalla scuola filologica tedesca (Paideia di Jaeger) e francese
(gli studi di Jean Pierre Vernant) cos come dallantropologia
culturale, proponendo la narrazione come forma di reintegrazione della violazione nel corpo sociale, sottolineando la
propensione dell'uomo a comunicare storie di umana diversit e a rendere le interpretazioni congruenti con le pi diverse
scelte di morali e gli obblighi istituzionali predominanti in
ogni cultura (Bruner, 1990, p. 74).
Volendo riassumere in una formula, potremmo dire che davanti a una violazione, mentre la scienza disegna, come insegna la teoria di Kuhn una nuova teoria o rivede quella esistente, il pensiero narrativo elabora una storia. Tutte le teorie cos come tutte le storie derivano, quindi, dallo scontro fra
una norma e una violazione e dal desiderio di liberare la
prima dalla minaccia della seconda.
re la memoria alla ricerca degli antecedenti, quelli che la retorica latina definiva gli exempla. Laddove questi non saltino
subito allocchio (se cos fosse la situazione non sarebbe problematica) si utilizza un ragionamento analogico per trovare
nel passato una coppia situazione-comportamento simile per
qualche aspetto alla coppia presente e nella quale il legame
chiaro e plausibile (Smorti, 1994, p. 126).
Analizzando i monologhi di una bambina a due-tre anni,
Emily, Carol Feldman ha rintracciato processi cognitivi tesi a
rendere ragione di un comportamento attraverso nessi narrativo-casuali ed arrivata a ipotizzare (Feldman, 1989, pp.
102-103) che il ragionamento logico in realt dipenda da o
cresca sulla base di quella che si ritiene essere la sua antitesi:
la forma narrativa del linguaggio.
Opacit referenziale: In una narrazione non si pu parlare di verit o falsit, ma solo di verosimiglianza e questa risulta dalla coerenza del racconto.
Scomponibilit ermeneutica: La narrazione sempre prodotta a partire da un determinato punto di vista del narrante ed recepita in base al punto di vista dellascoltatore. Il significato della narrazione non dipende dunque
solo dai segni e dalla loro organizzazione ma anche dagli
interpretanti.
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Appartenenza a un genere: Sebbene particolare e concreta, la narrazione pu essere inserita in un genere o tipo
sia per quanto riguarda la fabula sia il suzhjet cio il modo
di raccontare.
Il doppio paesaggio
Queste ultime due caratteristiche ci rimandano a un aspetto
della narrazione. La composizione pentadica infatti rende
conto della trama del racconto. Ma un buon racconto prevede sia la trama, sia lintenzionalit, vale a dire laspetto
affettivo, la donazione di significato che i personaggi mettono in atto. Bruner (1986) (1990b) al riguardo parla di doppio
scenario, o paesaggio duplice.
Secondo Bruner nel racconto si delineano due tipi di scenari; lo scenario dellazione composto dagli elementi che costituiscono l'azione stessa (ad esempio lagente, lo scopo etc) e
lo scenario della coscienza che prende in considerazione ci
che i personaggi e il narratore pensano, provano, percepiscono (Groppo, 1999).
Fra questi due elementi vi deve essere una discordanza. I racconti infatti non si occupano di come sono andati i fatti (a differenza dei referti, delle cronache, delle ricostruzioni, delle
esposizioni), ma di come i protagonisti interpretano le cose e
di quali significati le cose hanno per loro (Bruner, 1990, p. 61).
35
Bruner (1990, p. 61) sottolinea come levoluzione della letteratura in questo senso coincida nel Novecento con la detronizzazione del narratore onnisciente, a conoscenza sia del
mondo cos come era, sia delle modalit attraverso le quali i
personaggi lo stavano trasformando.
Nel racconto il paesaggio interiore reso nella narrazione in
molti modi, per esempio con quelle che Bruner (1986) definisce trasformazioni congiuntivizzanti'. Si tratta di usi lessicali
e grammaticali che mettono in evidenza gli stati soggettivi, le
circostanze attenuanti, le possibilit alternative. I fatti non
sono separati dalle opinioni, ma immersi in esse.
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Letture consigliate
Jerome Bruner
La ricerca del significato.
Per una psicologia culturale.
Bollati Boringhieri 1992
Della sterminata bibliografia di Jerome Bruner
stata tradotta soprattutto la parte strettamente pedagogica. Questo saggio (o il pi
recente ma meno incisivo La fabbrica delle storie. Diritto, letteratura e vita (Laterza 2002)
rende conto non solo delle teorie della psicologia culturale ma del
loro radicamento nelle filosofie pi avanzate dellultima parte del 900.
Con maestria e abilit (c chi lo paragona in questo a Freud) Bruner
si sposta dalla filosofia allantropologia, alla letteratura.
37
Approfondimenti
ARISTOTELE
Poetica. Rizzoli, Milano.
BAMBERG, M.G.W. (1997)
Narrative development: six approaches.
Mahwan, N.J., Erlbaum.
CIPRIANI, R. (a cura di) (1987)
La metodologia delle storie di vita.
Dallautobiografia alla life history. Euroma, Roma.
ECO, U. (1994)
Sei passeggiate nei boschi narrativi.
Bompiani, Milano.
JAEGER W. (1986)
Paideia: La formazione delluomo greco.
La Nuova Italia, Firenze
LEVI STRAUSS, C. (1963)
Structural anthropology.
Basic Books, New York.
PROPP, V. (1988)
Morfologia della fiaba. Einaudi, Torino.
RODARI, G.(1997)
Grammatica della fantasia.
Introduzione all'arte di inventare storie. Einaudi, Torino.
SHANK, R.C., ABELSON, R.P. (1977)
Scripts, plans, goals and understanding.
An inquiry into human knowledge structures.
Erlbaum, Hillsdale.
VERNANT J.P. (1971)
Mito e pensiero presso i greci. Einaudi, Torino
38
LA NARRAZIONE AUTOBIOGRAFICA
Autobiografia e cultura
Guardiamo un attimo a questo secondo aspetto. Scrive
Veronica Ornaghi (Groppo, Ornaghi et al., 1999, p. 77) che la
funzione finale dellautobiografia lauto-collocazione: attra39
verso lautobiografia collochiamo noi stessi in un mondo culturale simbolico; ci identifichiamo con una comunit e indirettamente in una cultura pi ampia.
Questo aspetto non immediatamente intuitivo. Lauto-biografia potrebbe apparire un atto solipsistico. Un S che si
interroga e si narra a se stesso (fra le tante definizioni di S ne
proponiamo una derivata da Bruner: il S ci che ci permette di definire una continuit fra la persona che si addormentata ieri sera e quella che si svegliata stamattina).
In realt la nostra visione di noi stessi profondamente
mediata da elementi interpersonali. La conversazione nella
quale narriamo di noi stessi un momento di questa mediazione: il modo con cui parliamo agli altri del nostro passato
viene interiorizzato, diventando cos il modo con cui ne parliamo a noi stessi (Haden, Fivush et al., 1997).
Bruner parla al riguardo di S distribuito, riferendosi proprio al fatto che il S non solo dentro la persona, ma anche
al di fuori di essa, e cio in quei 'blocchi' contestuali, in quei
pezzi di mondo che la narrazione si incarica di portare 'dentro' il soggetto (Smorti, 1997, p. 31).
Una seconda modalit di influenza culturale data dai generi letterari stessi. Noi non possiamo che leggere la nostra vita
sulla base di uno dei modelli letterari che troviamo a disposizione nella cultura: il Bildungsroman, lepopea personale, il
racconto intimista, la tragedia e cos via.
Trzebinski (1997) ha approfondito la retroazione della cultura
nella autorappresentazione, parlando di Sistemi narrativi sul
S che definisce come le trasformazioni creative dei modelli narrativi prodotti da una cultura i quali forniscono le particolari condizioni entro le quali gli eventi possono essere interpretati.
Per fare un esempio, nel Novecento una cultura satura di
valorizzazioni in merito allimportanza della competizione
edipica ha fatto rientrare nellautobiografia episodi che nel
secolo precedente non sarebbero stati letteralmente nemmeno percepiti.
Ancora un secolo prima la nascita di un figlio o aspetti relati40
Il patto autobiografico
In un certo senso quindi la narrazione autobiografica pura
fiction. Linsegnante in terza media potrebbe non essere
stato affatto severo. Questo non toglie assolutamente valenza al racconto autobiografico. Raccontarsi di se stessi
come inventare una storia su chi e cosa siamo, su cosa accaduto e perch facciamo quello che facciamo, scrive nel suo
pi recente libro Bruner (Bruner, 2002, p. 64).
Eppure lautobiografia si presenta come il racconto vero.
Chi propone una riflessione autobiografica non negozia assolutamente le asserzioni di fatto che devono solamente essere
verosimili (requisito richiesto a ogni produzione narrativa).
Philippe Lejeune (1986) analizza con attenzione lautobiografia data alle stampe e il complesso contratto che lautore e
il lettore sottoscrivono. In questo patto autobiografico lautore si impegna a svolgere su di s un discorso veridico. Che
questo sia poi tale questione che interessa allo storico non
al lettore: Scrittore autobiografico non chi dice la verit su
se stesso, ma chi dice di dirla (Lejeune, 1986, p. 33).
42
Il tempo dellautobiografia
Con amabile paradosso Kierkegaard (citato in Alheit, Bergamini, 1996 p. 21) scriveva nei Frammenti filosofici che La vita
pu essere capita solo allindietro. Nel frattempo deve essere vissuta in avanti. In realt le cose sono pi semplici: lautobiografia un racconto sempre fatto al presente. Questo
vero sia in senso letterale (Bruner scrive di non aver mai trovato un resoconto autobiografico nel quale almeno un terzo
dei verbi non fossero al presente) sia in senso traslato.
L'autobiografia ha una curiosa caratteristica, scrive Bruner
(Bruner, 1990, p. 117). un resoconto fatto da un narratore
nel qui ed ora e riguarda un protagonista che porta il suo
43
stesso nome e che esistito nel l e allora e la storia finisce nel presente quando il protagonista si fonde con il narratore.
Questo spiega la contemporaneit del racconto autobiografico. Luso del passato non deve trarre in inganno. Scrive
Schfer (Schfer, 1980, p. 31): Spesso le storie che noi raccontiamo su noi stessi sono storie di vita o autobiografiche;
noi le collochiamo nel passato. Per esempio possiamo dire:
Fino a quindici anni ero fiero di mio padre o ho avuto una
infanzia assolutamente infelice. Queste storie sono racconti
di ora. Noi cambiamo molti aspetti di queste storie su noi
stessi o sugli altri man mano che cambiamo, in peggio o in
meglio, le domande implicite o effettuate delle quali queste
storie rappresentano le risposte.
Lautobiografia quindi la risposta ambientata nel passato
di una domanda e di una necessit di significazione presente, anzi in qualche modo futura.
Il ruolo del futuro centrale nellautobiografia (specialmente
del giovane). Nellautobiografia, scrive una studiosa relativamente autonoma della scuola Bruneriana come la Calamari
(Calamari, 1995, p. 109): Il passato viene ricostruito in funzione del presente, delle esigenze e delle capacit cognitive
attuali (...) Non solo il presente dipende dal passato ma il passato dipende dal futuro.
Precisamente la Calamari definisce il passato, o meglio lultima versione del passato, come lo sfondo su cui possono
stagliarsi limmagine di s attuale e la prospettiva temporale
sul futuro (Calamari, 1995, p. 11). La prospettiva sociologica
su questo punto del tutto convergente. Alheit e Bergamini
(Alheit, Bergamini, 1996, p. 29) citano Osterman quando afferma che la memoria del passato diventa una illusione retrospettiva determinata egualmente dal passato, dal presente e
dal futuro. A parlare non solo la persona che diventata al
momento in cui la storia di vita comincia a essere narrata, ma
anche la persona che vorrebbe essere (nel futuro).
Lautobiografia quindi un racconto impregnato di futuro. Sia
nel senso di ritrovare nel passato precisamente gli aspetti che
44
ci si prepara a cogliere, sia nel ricercare allinterno di se stessi un' intelaiatura mentale ottimale per costruire sia dei 'possibili scenari' in cui inserire gli eventi futuri, desiderati o indesiderati, sia anche immagini, ruoli, attivit future del S
(Trzebinski, 1997). Ed questo aspetto sia detto per inciso
che rende cos interessante sollecitare narrazioni autobiografiche in contesti formativi, per esempio con adolescenti o
con giovani adulti.
Il S individuale e il S collettivo
Lautobiografia mette in scena il S. A differenza della poesia,
del gesto artistico o della meditazione per, questo S
posto in relazione con quanto lo circonda. Lo storico legge
volentieri le autobiografie anche se lo fa con uno sguardo
opposto rispetto a quello del terapeuta. Si interessa poco
allindividuo e molto alla maniera con la quale lindividuo
condivideva valori e significati comuni.
Alheit e Bergamini, (Alheit, Bergamini, 1996, p. 33) citano al
riguardo Habermas (1981). Le persone [...] possono formare
una identit personale soltanto se riconoscono che la
sequenza delle proprie azioni costituisce una biografia descrivibile in modo narrativo e possono formare una identit
sociale soltanto se riconoscono di mantenere, attraverso la
partecipazione alle interazioni, la propria appartenenza a
gruppi sociali.
Ma che rapporto c fra il soggetto autobiografico in quanto
gettato in un mondo e il suo essere in s, per usare un linguaggio heideggeriano.
Il filosofo francese Paul Ricoeur (1990) propone una interessante distinzione al riguardo fra lIdem, cio ci che il soggetto
ha in comune con gli altri, e lIpse: ci che il soggetto riconosce come individuale. Ricoeur sottolinea come lIpse invece di
essere immerso in un Idem (cio in una cultura, una nazione,
una ideologia) ne sia in qualche modo definito. In altre parole
lIdem propone delle costanti (dei copioni, delle grandi narra45
Levoluzione del S
Analizzando un ricordo dinfanzia di Leonardo da Vinci (Freud,
Opere, vol. 6, pp. 229-230) Sigmund Freud fu il primo a slegare il ricordo autobiografico da ogni legame fattuale. Al pari
del sogno o dellatto mancato, i ricordi autobiografici dinfanzia non vengono fissati e ripetuti a partire dallepisodio
vissuto, come avviene per i ricordi coscienti della maturit,
ma ripresi in un periodo successivo quando linfanzia gi
trascorsa e quindi modificati, falsati, posti al servizio di tendenze posteriori, cos che in linea del tutto generale non possono essere rigorosamente distinti dalle fantasie.
Nel testo ricordato Freud propone un paragone con la storiografia: finch un popolo piccolo e debole non pensa
certo a scrivere la sua storia; la memoria cosciente che un
uomo ha dei fatti della sua maturit assolutamente paragonabile a quella storiografia e i ricordi d'infanzia corrispondono realmente, quanto a origine e attendibilit, alla storia
tardivamente e tendenziosamente rielaborata dellepoca primitiva di un popolo.
46
Lesperienza autobiografica
Chi si d il compito di redigere una autobiografia si colloca in
un contesto particolare che potremmo definire esperienza
autobiografica. Lesperienza autobiografica vicina in parte
alla meditazione, in parte alla produzione di una opera artistica e comporta un certo distanziarsi dal flusso abituale delle
cose, un immergersi in qualcosa daltro che paradossalmente
il proprio essere. Demetrio fra gli autori che in questi anni
sottolineano il valore formativo e in un certo qual modo terapeutico dellesperienza autobiografica. Si tratta prima di tutto
di una sorta di ginnastica mentale: Lautobiografia obbliga il
nostro cervello ad analizzare, smontare e rimontare, classificare e ordinare, a collegare, a connettere, a mettere in sequenza cronologica o financo a inventare (Demetrio, 1996, p. 192).
In un certo senso, lesperienza autobiografica somiglia a un
esercizio spirituale: Leducazione allautobiografia contribuisce quindi alla creazione sia di una mentalit filosofica e scientifica, sia di una sensibilit maggiore alla solidariet per gli
altri, sia infine di un habitus intellettuale i cui effetti si riverberano in campi diversi (Demetrio, 1996, p. 194). Sotto il profilo
formativo lautobiografia pu contribuire grazie alla sua
facolt relazionale [...] ad alleviare solitudini, prevenire disagi, prevedere esiti, restituire agli altri il legittimo bisogno di
sapere come li stiamo curando, li stiamo educando, li stiamo
amando. Lautobiografia ci migliora e quindi, un poco, ci
cambia. (Demetrio, 1996, p. 193). In un contesto differente,
simile a quello del counseling (Trzebinski, 1997) sottolinea
come la possibilit di immaginare in maniera narrativa il proprio ruolo e le proprie decisioni riguardo ad avvenimenti presenti o futuri, rafforza l'impegno della persona nello svolgimento dei propri compiti, riduce quello stato di paralizzante
conflittualit che precede le decisioni, mobilita e dirige lattenzione e pertanto potenzia e stabilizza le attivit.
Una buona capacit di simulare mentalmente eventi possibili,
rende pi efficaci le attivit di programmazione ed esecuzione dei piani.
47
Letture consigliate
Philippe Lejeune,
Il patto autobiografico.
Bologna, Il Mulino, 1986
Questo testo ripercorre levoluzione storica e teorica dellautobiografia affrontandola dal punto di vista storico, psicologico
(poich lautobiografia coinvolge la memoria dellindividuo, la costruzione della
personalit e lautoanalisi) e soprattutto
formale: La particolarit dellautobiografia risiede nel fatto che pi di altri generi
essa esibisce il suo contratto di lettura
nota Lejeune che analizza i possibili e impliciti patti autobiografici
che lautore stringe con il lettore.
48
Approfondimenti
CASTIGLIONI, M. (2002)
La ricerca in educazione degli adulti.
L'approccio autobiografico. Unicopli, Milano.
DEMETRIO D., ALBERICI A. (2002)
Istituzioni di educazione degli adulti.
Vol. I: Il metodo autobiografico. Guerini Scientifica.
GEERTZ, C. (1973)
Interpretazione di culture. Il Mulino, Bologna 1987.
GERGEN, K,J. (1991)
The saturated self. Basic Books, New York.
GERGEN, K.J. (1979)
Il s fluido e il s rigido. In: GIOVANNINI, D. (a cura di)
Identit personale teoria e ricerca. Zanichelli, Bologna,
pp. 12-26.
JACOBSON, E. (1954)
Il s e il mondo oggettuale. Martinelli, Firenze 1974.
LEVI, P. (1963)
La tregua. In: Se questo un uomo. La tregua.
Einaudi, Torino 1989.
PIAGET, J. (1950)
Autobiography. In: BORING, E.G. et al. (a cura di)
A history of psychology in autobiography.
Clark University Press, Worcester, MA, vol. IV.
SCARATTI, G., CONFALONIERI, E. (2000)
Storie di crescita. Approccio narrativo e
costruzione del s in adolescenza. Unicopli, Milano.
SPENCE, D.P. (1984)
Verit narrative e verit storica.
Martinelli, Firenze 1987.
SPENGEMANN, W. (1980)
The form of autobiography.
Yale University Press, New Haven.
49
METODOLOGIE
La conversazione autobiografica
Redigere una autobiografia
Narrative Therapy
La conversazione terapeutica
51
LA CONVERSAZIONE AUTOBIOGRAFICA
Registratore e taccuini
La conversazione autobiografica prelude in genere a una attivit di analisi di quanto detto. Va quindi registrata. Il registratore pu essere posto in un luogo visibile ma non troppo vicino ai due interlocutori e non deve attirare lattenzione n del
paziente n dellintervistatore. Al contrario delle videoregistrazioni, che possono falsare landamento dellincontro, la
presenza di un audio registratore pesa sulla spontaneit
della conversazione solamente allinizio. Conviene quindi non
far coincidere linizio della registrazione con quello della narrazione, meglio accendere lapparecchio prima ancora che il
paziente entri nello studio o comunque nella fase preliminare alla narrazione vera e propria. Il registratore pu condizionare alcuni soggetti. [...] Limportanza del registratore va
sminuita, dicendo, per esempio, che la registrazione servir
per essere pi precisi nelle fasi successive della ricerca
(Alheit, Bergamini, 1996, p. 56).
Limpiego del registratore permette di concentrarsi sullintervista, ma non esime lintervistatore dal prendere alcune note
sullandamento del colloquio. In questo modo possibile:
segnare informazioni che possono non risultare dalla registrazione;
annotare alcune affermazioni (o vuoti nella narrazione) che
potrebbero essere oggetto di un approfondimento.
interessante notare come prendendo appunti lintervistatore partecipi alla narrazione. Spesso scrivere serve per riempire le pause di silenzio della conversazione, per non far
pesare lattesa, sottolinea (Alheit, Bergamini, 1996, p. 57)
mentre il ricercatore scrive brevi note, lintervistato si sente
55
Il ruolo dellintervistatore
Quale ruolo deve svolgere colui che sollecita e/o ascolta una
narrazione autobiografica?
Disponibilit allascolto
La conditio sine qua non da parte di chi si impegna in una
conversazione autobiografica ovviamente un atteggiamento di disponibilit e di interesse. Demetrio, ma con molta pi
energia Silvia Kanizsa, sottolineano la necessit di una pratica dell'ascolto che significativamente Silvia Kanizsa propone
nell'insieme delle relazioni fra curante e paziente: La lunga
pratica di comunicazione che ciascuno di noi fa continuamente fa s che spesso non ascoltiamo ci che ci viene detto
presumendo gi di saperlo. In sostanza noi udiamo solo ci
che vogliamo udire e ascoltiamo solo ci che coincide con i
nostri obiettivi mentre cessiamo di ascoltare non appena
abbiamo incasellato le persone. [...] Questo atteggiamento di
non ascolto proprio non solo delloperatore sanitario ma
anche del malato. Quest'ultimo, avendo altrettanto sommariamente valutato chi gli sta innanzi, potrebbe non osare dire
ci che prova o pensa o alterarlo per paura di far brutta figura o tentare di dire o fare le cose che pensa ci si aspetti da lui
nell'ambiente ospedaliero.
Loperatore deve essere conscio di questa possibilit di distorsione nella comunicazione derivante dai tentativi del malato
di difendersi e di apparire nella miglior luce possibile scegliendo, fra le cose da comunicare, quelle che gli sembrano
migliori per loccasione (Kanizsa, 1988, pp. 71-72).
56
Una raccomandazione simile a quella di Francesco Dammacco che suggerisce al terapeuta (Dammacco 2000, p. 143) di
non partecipare allincontro con pregiudiziali attitudini, prevenzioni, etichette o informazioni [...] che possano compromettere una sincera, onesta e comprensiva interazione.
Coscienti dell'asimmetria
Posti questi paletti, la natura privata e informale della conversazione autobiografica rende facile cadere nell'errore
opposto: un atteggiamento amichevole. Fra chi sollecita
una narrazione autobiografica e chi la propone vi soprattutto in un contesto terapeutico una asimmetria. Kanizsa
(1988, p.77) cita ancora C.R. Rogers: Nel rapporto fra i due
protagonisti ce n uno, loperatore che deve essere cosciente del processo che intende instaurare per aiutare l'altro, il
cliente, a modificare costruttivamente la propria personalit.
fonda, spontanea, durante la quale le pause si fanno pi lunghe, ma senza pesare, il tono della voce pi basso. (Alheit,
Bergamini, 1996, p. 55).
Se questo non accade, si pu far tesoro di alcuni consigli dati
da Kanizsa (Kanizsa, 1988, p. 142) parlando dellintervista non
direttiva. L'intervistatore delimita il campo con alcune frasi
che centrano il problema ma permettono allintervistato di
iniziare a parlare scegliendo il punto da cui partire. [...]
importante che le domande stimolo siano sufficientemente
ampie per permettere al malato di orientare la risposta.
La struttura
Generalmente i pazienti organizzano i loro capitoli in maniera quasi cronologica, partendo dallinfanzia. Con altre persone funziona meglio una suddivisione tematica: pu esserci
un capitolo sulle relazioni, uno sulla scuola e il lavoro e cos
via, afferma Crossley (Crossley, 2000). Interessante al riguardo il canovaccio di intervista proposto da (McAdams 1993)
nel decimo capitolo del suo libro.
1)
2)
3)
4)
5)
Ansie e problemi.
Descrivi due aree della tua vita caratterizzate da uno
stress significativo o un conflitto o un problema difficile o una sfida. Per ciascuna area spiega in dettaglio
il problema e fornisci una breve storia di come si sviluppata e il piano per gestirlo in futuro.
6)
Ideologie personali:
convinzioni religiose,
orientamenti politici,
valori pi importanti della vita.
7)
Tema principale.
Guardando alla tua vita come un libro, puoi identificare un tema centrale, un messaggio o una idea che
attraversa il testo?
Le domande dellintervistatore
Mc Adams il pi normativo fra gli autori che si sono occupati di conversazione autobiografica. Egli stesso afferma comunque che il protocollo indicato non deve essere considerato un modulo da riempire, n come una check-list di tematiche che devono risultare tutte affrontate nella conversazione. Si pu considerare come una griglia di domande o temi
che possono essere proposti alla riflessione qualora, pi per
stanchezza che per inibizioni o per la difficolt di mantenere
un andamento cronologico, la conversazione autobiografica
si incagli. Generalmente sconsigliabile interrompere la narrazione con delle domande, a meno che il paziente non abbia
60
Metodologie di trascrizione
In alcuni contesti la narrazione registrata il punto di partenza di una analisi attenta. In questo caso importante definire
e adottare degli standard di trascrizione dellintervista stessa.
Alheit (Alheit, Bergamini, 1996, p. 60) consiglia di iniziare con
una trascrizione grezza del testo, individuando pause,
sospiri, risate ecc. Cambi di tono, conclusione di periodi e
incisi vanno riportati nel testo con limpiego della relativa
punteggiatura interpretativa e altri segni grafici definiti.
La metodologia richiede che si vada a capo non solo a ogni
atto vocale (utterance) ma anche a ogni unit di significato, variazione di tempo, di luoghi e di persone. Trattandosi
di trascrizione di un testo parlato, difficile lindividuazione di
unit di significato ben definite, secondo le regole grammaticali. I criteri da seguire per andare a capo possono essere: mantenere il ritmo del parlato, isolare gli incisi, individuare frasi contrastanti, cambiamenti nelle unit di tempo e
nei soggetti/protagonisti della storia ecc. nota Alheit (Alheit,
Bergamini, 1996, p. 61).
Le righe del testo vengono poi numerate per poterle individuare con facilit durante le successive fasi dellanalisi del
testo. Una volta giunti a una trascrizione fedele del testo si
pu iniziare lanalisi del contenuto, andando alla ricerca di
parole chiave, temi e passi significativi. In una seconda fase si
assoceranno a questi punti dei commenti. Solo in una terza
fase si andr a costruire una categorizzazione con la scelta di
un numero limitato di macro-concetti o categorie ciascuno
dei quali sussume pi concetti.
puntini di sospensione
63
Conclusione
Vale la pena di citare un passo dal libro di Duccio Demetrio
(1996) Raccontarsi: lautobiografia come cura di s: Nella conversazione biografica chi ha parlato di pi ha fatto molte cose
ha rievocato episodi che sembravano dimenticati;
ha sperimentato una libera associazione di idee e ci che significa saltare da un ramo allaltro dellalbero o della giungla
della propria vita;
ha potuto fruire della presenza di uno sconosciuto che, probabilmente non rivedr pi o in ben altre circostanze per
sfogarsi;
ha osservato se stesso agire al passato e ha sentito come se
tutto ci fosse accaduto a un altro;
ha rivisto alla moviola momenti accanto ai quali non si era
soffermato pi di tanto;
ha collegato episodi, scoperto nessi fra una circostanza e laltra;
ha detto di s soltanto una parte di quel che avrebbe potuto dire e ha saggiato la possibilit di proseguire anche da
solo;
ha reagito a stimoli inusuali in rapporto alle poche domande
chiave che gli le sono state rivolte.
E molto altro ancora (Demetrio, 1996, p. 182).
64
Letture consigliate
Silvia Kanizsa
Che ne pensi? Lintervista nella pratica didattica.
Carocci Editore 1988
Allieva di Riccardo Massa, ricercatrice allIstituto di
Pedagogia e docente alla Scuola universitaria di
discipline infermieristiche di Milano, Silvia Kanizsa
si interessa da tempo al rapporto fra operatori sanitari e utenti del servizio sanitario. Il libro sicuramente da consigliare, non ultimo per la sua semplicit e chiarezza, anche se a volte esuli dal tema, risente troppo della
scuola rogersiana alla quale la Kanizsa legata e non entra nello specifico delle patologie croniche.
Approfondimenti
BALINT, M. (1961)
medico, paziente, malattia. Feltrinelli, Milano.
DE LILLO, P. (a cura di) (1971)
Lanalisi del contenuto. Il Mulino, Bologna.
DEMETRIO, D. (1997)
Il gioco della vita. Kit autobiografico.
Trenta proposte per il piacere di raccontarsi.
Guerini e associati, Milano.
FREIDSON, E. (1977)
Il controllo del cliente e la pratica professionale del medico.
In: MACCACARO, G.A., MARTINELLI, A.
Sociologia della medicina. Feltrinelli, Milano.
GALIMBERTI, C. (1992)
La conversazione. Prospettive sullinterazione psicosociale.
Guerini, Bologna.
KAHN, R.L., CANNEL, C.F. (1968)
La dinamica dellintervista. Marsilio, Bologna.
LAI, G. (1980)
Le parole del primo colloquio. Boringhieri, Torino.
LUMBELLI, L. (1972)
Comunicazione non autoritaria. Franco Angeli, Milano.
QUADRIO, A., UGANZIO, V. (a cura di) (1980)
Il colloquio in psicologia clinica e sociale.
Prospettive teoriche e applicative. Franco Angeli, Milano.
SEMI, A.A. (1985)
Tecnica del colloquio. Raffaello Cortina Editore, Milano.
66
Da dove iniziare?
Come esporre una autobiografia? Uno schema pu essere
utile. Demetrio (1996, p. 159) propone questa strutturazione
Incipit (la mia vita ha inizio, dispongo di...)
ricordi evidenti di cose (oggetti, volti, rumori ecc.)
riflessioni d'apertura
figure che mi hanno aiutato
antefatti, fatti
Ruit (la mia vita ha avuto un corso e corre attraversando...)
educazione ricevuta
la mia famiglia
ambienti di vita e dinfanzia
figure adulte
coetanei
giochi
crisi, rotture, scoperte, attese, abbandoni
bilanci, tappe, desideri, apogei
fughe, incontri, amicizie, passioni
69
Exit (la mia vita si conclude a questo punto, almeno per ora)
risultati raggiunti
risultati non conseguiti
capacit
scopi ulteriori
programmi (con laggiunta degli eventi riconducibili a tutto
quanto contrassegna il nostro ruit dellultimissimo periodo).
Letture consigliate
Duccio Demetrio
Raccontarsi: lautobiografia
come cura di s
Raffaello Cortina 1996
Quello di Demetrio, docente di Educazione
degli adulti presso lIstituto di pedagogia
dellUniversit di Milano sicuramente il
primo nome italiano che viene citato parlando di autobiografia. Il testo di piacevole lettura, colto e leggero nel senso che
Calvino avrebbe dato al termine.
Lautobiografia, anzi fare autobiografia,
proposto (soprattutto agli anziani) come gesto prevalentemente
individuale, come dono da fare a se stessi. uno dei pochi testi in
italiano e in assoluto che tratta dellautobiografia come pratica
formativa per i terapeuti.
70
NARRATIVE THERAPY
La Narrative Therapy una metodologia di psicoterapia adottata a partire dai primi anni 80 in Australia e in Nuova
Zelanda per opera di Michael White e David Epston, che
enfatizza limportanza delle storie e del linguaggio nello sviluppo e nellespressione di problemi intrapersonali ed interpersonali (Shapiro, Ross, 2002).
interessante notare come nella terapia narrativa lintervento consista quasi unicamente in continue ridescrizioni del
problema proposto inizialmente dal paziente o dalla famiglia.
Lesternalizzazione
A questo punto parte il primo momento della Narrative
Therapy. Al problema, cos individuato e nominato, viene
data una vita propria.
Attraverso una operazione squisitamente semantica, il terapeuta ripropone quanto ascoltato dalla famiglia cambiando
punto di osservazione e mettendo in scena da una parte un
Problema come se il sintomo avesse una vita propria e non
fosse in nessun modo sotto la volont e il controllo della persona (Telfener, 1992), dallaltra un cliente (persona o famiglia) che oggetto degli attacchi o comunque infastidito dal
Problema. Se si volesse cercare un genere letterario sarebbe quello dei racconti dellhorror in cui una famiglia o una
casa invasa dai fantasmi.
Nel lavoro con i bambini encopresici [White] ha inventato la
figura della Subdola Pup, un interlocutore dispettoso e
separato dal bambino. Ha poi riunito lintera famiglia facendola combattere contro tale figura, dipingendola come il
comune nemico, dispettoso, sporco, scomodo. Questa tecnica gli permetteva di non criticare i bambini, di non farli demoralizzare e di escludere ogni possibilit che i genitori si sentissero colpevoli o dessero la colpa al figlio (Telfener, 1992).
White non teme di descrivere cos gli episodi di encopresi
come lazione di una Subdola Pup su una famiglia, lansia
come Paura blu e cos via. A cosa serve lesternalizzazione?
In primo luogo, scrive White consente alle persone di differenziarsi dalle storie dominanti che hanno strutturato la loro
vita e le loro relazioni.
74
Linfluenza relativa
Il secondo passo (ma in realt una modalit che serve a proporre e introdurre la descrizione esteriorizzata del problema
laddove questa non venga colta al volo) consiste nel sollecitare ai componenti della famiglia una descrizione il pi possibile dettagliata della maniera in cui il Problema incide sulla
loro vita. Sollecitare queste descrizioni ha due obiettivi:
Chiedere alla famiglia delleffetto che il problema ha sulle
relazioni fornisce informazioni sul modo in cui i componenti della famiglia hanno partecipato alla perpetuazione
del problema (Bateson 1972).
Permettere al/ai clienti di privare una descrizione esteriorizzata del problema.
Questo processo viene avviato fin dal primo colloquio e le
persone vengono immediatamente coinvolte nellattivit di
separare la loro esistenza e le loro relazioni dal problema
(White, 1992, p. 37). La descrizione dellinfluenza relativa rischia di risultare stereotipata e a tinte fosche, restituendo e
rafforzando limmagine di una famiglia o di una persona
sostanzialmente arresa al problema. In questa direzione il
terapeuta pu utilizzare il suo status di esperto inteso non
come esperto del problema ma esperto di storie e far capire di aver sentito narrazioni simili. Su questa base aiutano
affermazioni del tipo poteva andare molto peggio o come
mai sei riuscito ad evitare certi errori che secondo la mia
esperienza con altre famiglie sarebbero potuti essere commessi?. Pu anche essere utile chiedere di esprimere linfluenza relativa del problema in termini percentuali.
Le situazioni uniche
Dopo questa prima serie di domande, che incoraggia le persone a delineare linfluenza che il problema ha nella loro vita,
una seconda serie le incoraggia invece a delineare la propria
influenza sulla vita del problema (White, 1992, p. 38). Siamo
76
Quello che il terapeuta non deve assolutamente fare sollecitare il cliente a ripetere queste situazioni uniche. La narrazione che il terapeuta restituisce non quella edificante in
cui la situazione unica rappresenta il primo passo di una serie
di cambiamenti, ma quella aperta in cui la situazione unica
apre uno squarcio nella storia condivisa della famiglia e ne
fa intravedere una diversa. Il terapeuta deve sollecitare il
cliente a descrivere quale futuro si colleghi a queste ridescrizioni uniche (White, 1992, p. 72) ma deve stare molto
attento a non parteggiare per la soluzione alternativa. White
molto preciso al riguardo.
Un incoraggiamento vi deve essere, e in questo la Narrative
Therapy esce dallambito puramente narrativo, non procede
unicamente a livello cognitivo, troppo astratto, ma incoraggia
un comportamento fattuale ed emotivo alternativo di tutti nei
confronti del problema (Telfener, 1992), ma il terapeuta deve
essere estremamente cauto nel motivarle. Anzi laddove nel
prosieguo della terapia (che consta generalmente di tre o
quattro sedute) il cliente raccontasse di nuove situazioni uniche o prendesse impegni formali ad aumentarle, il terapeuta
dovr mostrarsi scettico (sempre sulla base della propria
esperienza con altre famiglie), cos come sempre pi stupito
dei risultati raggiunti. White non si perita di aprire la porta
dello studio e chiamare colleghi invitandoli a partecipare del
suo stupore. Remare contro dichiarandosi scettici o stupiti
serve anche a creare un contesto narrativo nel quale la famiglia pu inserire le ricadute. Il significato attribuito alle ricadute dipende dal contesto ricevente. Nel contesto della rete
dei presupposti di famiglia, le ricadute sono spesso spiegate
come un ritorno al punto di partenza. In periodi di tensione
come quelli delle ricadute i componenti della famiglia sono
particolarmente inclini a riprendere le vecchie idee programmate e a seppellire le nuove. Questa tendenza pu essere
contrastata se il terapeuta contribuisce alla creazione di un
contesto nel quale le ricadute siano eventi previsti nel nuovo
corso di vita (White, 1992, p. 118). Devono quindi essere presentate ex ante e non ex post come aspetti inevitabili.
78
Pratiche di reincorporazione
White ed Epston sulla scorta di una attento studio della letteratura antropologica relativa ai riti di passaggio, hanno
dedicato molta attenzione allultimo momento dellintervento terapeutico, quello teso a stabilizzare e confermare il
nuovo comportamento.
Per questa ragione, il dialogo non assume pi una dimensione privata, interpersonale, ma pubblica. Le porte dello studio si spalancano (spesso letteralmente) trasformando lultima seduta in una pratica di reincorporazione. Si tratta di
approcci che implicano lindividuazione e attivazione di un
pubblico per lautenticazione del cambiamento e per la legittimazione delle conoscenze alternative, spiega White che
elenca alcune possibilit:
Celebrazioni, premi e riconoscimenti di fronte a persone
significative
Attestati e lettere di referenze
Consultazione delle persone in senso formale in relazione
alle conoscenze che hanno permesso loro di liberare la propria vita.
White produce (e pubblica orgogliosamente) attestati firmati
da Societ per la lotta ai fantasmi dellEmisfero Australe e
altre semi-serie istituzioni che certificano lo status acquisito,
sollecita i clienti a esporli e farli conoscere, o invita allultima
seduta persone fino a quel momento rimaste esterne al setting (suoi collaboratori, insegnanti o figure di riferimento per
il bambino).
Lobiettivo proprio mettere in scena una re-inclusione del
cliente in un contesto nel quale il Problema non ha pi alcun
potere perturbante (o in cui il suo potere perturbante stato
notevolmente ridotto).
anche significativo che lultimo momento della terapia preveda il cambio di status del cliente che diviene consulente
(attraverso la richiesta di poter utilizzare lesperienza fatta dal
cliente per aiutare altri clienti alle prese con gli stessi problemi).
79
81
Letture consigliate
Michael White
La terapia come narrazione.
Proposte cliniche.
Astrolabio 1992
Questa ben ordinata raccolta di saggi
finora lunico testo tradotto in lingua italiana del fondatore della Narrative
Therapy, e tutto sommato offre unidea
abbastanza chiara dellapproccio e delle
sue possibilit cliniche.
82
LA CONVERSAZIONE TERAPEUTICA
versazione terapeutica scatta, quindi, se il paziente o la famiglia non mostrano un deficit di conoscenze n di motivazione
ma fanno risalire la non compliance a un problema.
Il paziente che convinto di non poter dare altra lettura di
una situazione e che i comportamenti conseguenti sono gli
unici possibili, in genere non in grado di apportare dei
cambiamenti ove fossero necessari. Lesistenza di un pensiero esclusivo (either / or thinking) impedisce la ricerca di
punti di vista alternativi e quindi la ricerca di altre soluzioni(Dammacco, 2000).
Circuiti limitanti
Per quel che riguarda i circuiti interattivi rigidi e limitanti, lazione del terapeuta pi proattiva. Il terapeuta deve mettere in evidenza come entrambi i partner contribuiscano a perpetuare il circuito e quindi a mantenere la situazione da cambiare. Per liberarsi dal circuito interattivo, entrambi i partner
devono apportare dei cambiamenti ai propri punti di vista e
comportamenti. Il caso classico quello delladolescente che
non rispetta le prescrizioni per reazione al controllo esercitato dai genitori e viceversa i genitori controllano ladolescente perch non rispetta le prescrizioni.
In questo caso lintervento del terapeuta oltre a sottolineare
linadeguatezza di ambedue i comportamenti e la loro interdipendenza pu risolversi nel proporre contratti e rapporti
nuovi fra le persone.
86
Le eccezioni
La conversazione terapeutica fa sua la riflessione di White
sulle situazioni uniche. Anche qui il terapeuta dovr dare
risalto o sollecitare la narrazione di situazioni eccezionali
nelle quali il circuito interattivo limitante non scattato, o la
significazione bloccante non ha dato il risultato abituale.
Lesperienza di Dammacco sovrapponibile a quella di White
nel sottolineare come questi elementi possano passare inosservati. Il paziente non si rende conto dellesistenza di
aspetti e comportamenti, modalit di lettura che contraddicono i racconti [...] in realt il cambiamento costante e la
stabilit una illusione. Sono sempre in corso piccoli cambiamenti che non sono sempre evidenti. Queste situazioni o
comportamenti unici restano ignorati a meno che non si crei
un contesto adatto a evidenziarsi (Dammacco, 2000). Il ruolo
del terapeuta allora evidenziare quei risultati unici passati
inosservati e che mettono invece in evidenza capacit, possibilit e forze positive del paziente-famiglia (Dammacco,
2000). Il terapeuta inviter allora giovane e famiglia a descrivere le condizioni che hanno consentito il risultato positivo e
in cosa consista la differenza fra la situazione che ha consentito le eccezioni e le condizioni di insuccesso.
Qualora queste eccezioni non siano evidenziabili nellesperienza, il terapeuta invita a immaginare le condizioni che consentirebbero il verificarsi di questi risultati positivi.
Libert di decidere
Lobiettivo della Conversazione Terapeutica quello di proporre o immaginare lavorando sui significati e valorizzando
le eccezioni una nuova versione del racconto che il paziente e la famiglia fanno di se stessi e delle situazioni identificate. Il ruolo del terapeuta si fra proattivo, con un domandare
terapeutico anche serrato fino a quando questa possibilit
non viene aperta e tratteggiata dal paziente stesso e dalla
87
Letture consigliate
Francesco Dammacco
Il trattamento integrato nel Diabete di
tipo 1 nel bambino e nelladolescente
(II)
Caleidoscopio italiano, 143, aprile 2000
In questa agile monografia il diabetologo pediatra propone la conversazione
terapeutica inserendola allinterno di un
approccio integrato nel quale diverse
metodologie sono utilizzate per trasferire al paziente le informazioni chiave, per
rinforzare i comportamenti corretti e per
garantire o facilitare lempowerment.
88
APPLICAZIONI
Il modello dellempowerment
Lavorare sul racconto
Lautobiografia formativa di un diabetologo
Un racconto autobiografico formativo
89
IL MODELLO DELLEMPOWERMENT
Principi dellempowerment
Nella attivit quotidiana di un Team diabetologico, gli approcci e le metodologie illustrate nelle pagine precedenti si
inscrivono allinterno del macro-obiettivo fondante e caratteristico nella terapia di questa patologia cronica: quel processo di responsabilizzazione del paziente definito ormai con
il termine di empowerment.
A differenza delleducazione sanitaria, che il Medico e il Team
erogano al paziente e che non richiede se non una competenza didattica, lempowerment sollecita e mette in questione
i presupposti e lautorappresentazione non solo del paziente,
ma anche di ogni singolo componente del Team.
Lempowerment quindi un processo che richiede al Medico
un lavoro su se stesso. Questo lavoro condotto soprattutto
attraverso una continua riflessione del Medico sulla sua autobiografia formativa e sulla sua attivit quotidiana.
In sintesi, fare empowerment significa aiutare il soggetto con
il diabete a rendersi conto di avere e poter usare capacit proprie per gestire la propria condizione diabetica. In primo
luogo quindi occorre mettere la persona con il diabete in condizione di acquisire conoscenze e capacit specifiche e sufficienti per lautogestione del diabete. Questa autogestione
efficace vale a dire garantisce insieme un migliore controllo
metabolico e una maggiore qualit di vita solo quando il
diabetico e il terapeuta si considerano e interagiscono come
partner nella conduzione della condizione diabetica.
91
Riflessioni autobiografiche:
Come descriverei ruolo e responsabilit del paziente e delleducatore nel trattamento del diabete?
Il contesto professionale in cui opero si attende
che il terapeuta sia responsabile delle decisioni
prese dal paziente?
Che sensazione mi suscita questo tipo di attesa?
Che significa per me stabilire una partnership con
il soggetto con diabete?
Sulla base di questi scambi, il paziente finisce con lo sviluppare una autonoma capacit di problem solving.
Riflessioni autobiografiche:
In che misura penso che il diabete sia una malattia
fisica?
In che misura ritengo che la relazione con il paziente debba basarsi sullesperienza del terapeuta?
In che misura ritengo che spetti al terapeuta identificare problemi e necessit del paziente?
In che misura ritengo che il terapeuta sia responsabile della diagnosi, della risoluzione dei problemi e
dei risultati?
In che misura ritengo che una ridotta compliance
rappresenti un insuccesso del paziente?
In che misura ritengo che una ridotta compliance
rappresenti un insuccesso del terapeuta?
In che misura una ridotta compliance il risultato di
obiettivi discordi tra paziente e terapeuta?
Educazione terapeutica
LEducazione Terapeutica una acquisizione relativamente
recente nella Diabetologia. Vi quindi la tentazione di considerarla una dimensione aggiuntiva della relazione di cura, un
qualcosa in pi che si potrebbe mettere in atto, sempre che
se ne abbia il tempo o la possibilit.
In realt lEducazione Terapeutica un altro nome che pu
essere dato allinsieme della relazione fra paziente e Team.
Nellempowerment del diabete, leducazione e il trattamento
del paziente non devono infatti essere considerati disgiunti.
Ambedue questi piani vanno affrontati allinterno dellinterazione con il paziente. In altre parole la relazione tra terapeuta
e paziente non deve essere un po terapeutica e un po educativa, n prima terapeutica, poi educativa ma allo stesso
tempo terapeutica ed educativa. Questo significa che ogni
93
Riflessioni autobiografiche:
Quanto sono abituato a far riflettere il diabetico
sulla sua esperienza per consentirgli un apprendimento utile allautogestione?
Quante opportunit ho di riflettere sulla mia pratica di educatore?
In che misura la riflessione sulla mia attivit mi aiuta
nella crescita personale e professionale?
Di cosa penso gli altri abbiano realmente bisogno
per conoscere qualcosa su di me?
Cosa significa per me conoscere qualcuno?
Cosa ho bisogno di conoscere sul diabete dei miei
pazienti?
Quali strategie uso per aiutare i miei pazienti diabetici ad avere migliore consapevolezza della loro
condizione diabetica (valori, convinzioni, obiettivi,
etc.)?
Latteggiamento di empowerment
Darsi come obiettivo lempowerment richiede a paziente e
terapeuta una profonda modifica di paradigmi e approcci
abituali. Il terapeuta dovr spogliarsi dal suo habitus interpretativo e in fondo dalla sensazione di sapere gi (del diabete, del paziente). A ogni incontro con il paziente il terapeuta dovr porsi con un atteggiamento di non conoscenza
97
(not knowing) nel quale vengono sospese tutte le ipotesi precostituite che egli ha fatto o potrebbe fare su quel paziente
(in base alla conoscenza pregressa o alla sua esperienza di
diabete teorico). Come avviene nellanamnesi al primo
incontro, tutto ci che il terapeuta sa del paziente emerge dal
racconto che egli fa del suo diabete reale.
Se si sar stati capaci di creare un clima di ascolto e accettazione, nel quale il paziente non teme atteggiamenti di rimprovero e critica da parte del terapeuta e si sente anzi motivato a esprimere liberamente sentimenti ed emozioni, il racconto sar ricco di spunti e indicazioni che il terapeuta potr
approfondire, non dando risposte n tantomeno criticando
comportamenti che gli paiono inadeguati, quanto sollecitando il paziente con domande che gli consentano maieuticamente di trovare da s le risposte che la situazione richiede.
Mentre fa questo il terapeuta dovr auto-osservarsi, per riconoscere leventuale emergere dellantico modello in base al
quale il Medico responsabile al posto del e non di fronte
al paziente. Il terapeuta dovr anche saper riconoscere lemergere di proprie ansie o reazioni negative e in questo caso
dichiararle candidamente, lasciando per al paziente la libert di decisione nelle scelte.
Il racconto di un paziente contiene spesso la narrazione di
uno scacco, di un problema. La reazione del terapeuta non
consister nel considerare irrilevante e nemmeno nel risolvere deus ex machina il problema, quanto nel proporre punti
di vista o interpretazioni alternative, agendo sui significati e
sulle parole chiave utilizzate dal paziente. Nel dialogo, quindi, il contributo del terapeuta consiste pi nellaprire possibilit e interpretazioni che favoriscono il cambiamento e la crescita personale e meno nel prescrivere soluzioni. In questo
lavoro cos come nellinsieme della relazione di empowerment necessario mantenere il pi possibile allorizzonte
quel momento oggettivo che la valutazione dei risultati
(specialmente dellemoglobina glicata che si presta a svolgere il ruolo di un giudice inappellabile della salute del paziente o della sua obbedienza alle cure).
98
Premesso che la terapia del diabete in quanto patologia fisica passa per forza di cose attraverso il raggiungimento di un
equilibrio normoglicemico, lattivit di Educazione Terapeutica va effettuata senza condizionarla immediatamente ai
risultati.
Come un buon banchiere il terapeuta far credito al paziente, consentendogli di mantenere il conto scoperto laddove
ravvisi un processo positivo di evoluzione che sul lungo termine non potr che dare dei risultati.
Riflessioni autobiografiche:
Che differenza ha per me sentirmi responsabile
per il paziente, rispetto a sentirmi disposto a rispondere al paziente?
In che misura sono in grado di creare un contesto
nel quale il paziente si sente libero di riferire le sue
esperienze e i suoi vissuti anche negativi nei conronti del diabete?
Come gestisco le ansie e i sentimenti negativi che
mi capita di provare nellincontro con un paziente?
In che misura ritengo i risultati glicemici centrali nel
valutare la relazione di empowerment?
99
Valutare le strategie
Unaltra maniera per valutare la pratica dellempowerment
assegnare un punteggio alle strategie messe in atto: il punteggio positivo assegnato alle strategie che favoriscono
lempowerment del paziente. Lanalisi pu essere fatta assegnando un punteggio alle risposte del terapeuta alle domande-espressioni del paziente e poi ricavando un valore medio.
STRATEGIA
Ho posto lattenzione sulle sensazioni del paziente
Ho posto lattenzione sugli obiettivi scelti dal paziente
Ho esplorato i problemi da lui posti
Ho proposto delle soluzioni al paziente
Ho espresso giudizi sul paziente
PUNTEGGIO
+2
+2
+1
1
2
102
Letture consigliate
Anderson B., Funnel M.
The art of empowerment: Stories and
Stategies for Diabetes Educators.
American Diabetes Association,
Alexandria, Virginia, 2000
il testo pubblicato dalla American
Diabetes Association il quale rappresenta
la lettura necessaria per il terapeuta che
voglia conoscere lempowerment nel diabete.
Con stile convincente invita il terapeuta a
una autobiografia formativa e allesercizio della riflessione sullesperienza come pratiche formative e educative personali e per il paziente.
103
Riflessioni autobiografiche:
Quale procedimento ho seguito per identificare e
stabilire priorit per i miei obiettivi?
Cosa provo se penso che mio compito stabilire
obiettivi con, piuttosto che per, il paziente?
4. Concordare un piano dazione
Il passo successivo allindividuazione degli obiettivi quello
di stabilire un piano dazione, inteso come una sequenza di
procedure per realizzare gli obiettivi. Ancora una volta il
paziente il punto di partenza. Rispondendo a domande quali
Cosa pensi di fare per realizzare questo obiettivo?, Con
quale strategie pensi di iniziare?, C qualcosa che intendi
fare subito dopo questincontro? il paziente elabora una
lista di alternative.
Ancora una volta il terapeuta non d risposte ma pone
domande al paziente per la scelta delle strategie da mettere in
atto interpellando l'esperienza stessa del paziente: Che cosa
e stato / non stato utile in altre occasioni?.
Il piano di azione cos definito deve essere realistico, e prevedere quindi cambiamenti graduali, realizzabili dal paziente, in un arco di tempo stabilito. Questo piano pu essere
oggetto di un vero contratto, scritto o orale, che prevede
delle possibili ricompense.
importante, per, che le ricompense siano legate non tanto
ai risultati ottenuti quanto allimpegno dimostrato. Per fare
un esempio, pi interessante concordare lobiettivo, e
complimentarsi per limpegno dimostrato, di un continuo
ancorch gradualissimo miglioramento nellemoglobina glicata, che non definire un valore da raggiungere a ogni costo.
Riflessioni autobiografiche
Ho stabilito da solo o con laiuto di altri le mie strategie?
Cosa provo se penso che mio compito individuare strategie con, piuttosto che al posto del
paziente?
111
5. Valutare i risultati
Quello illustrato un ciclo che va inserito allinterno di un
processo continuo. Lempowerment non qualcosa che si
raggiunge una volta per tutte ma una serie continua di esperimenti, di cui bisogna valutare i risultati utili per le successive esperienze.
Latteggiamento utile per lempowerment non quello di
considerare i risultati ottenuti come successo o insuccesso.
Ogni esperienza, sia positiva che negativa, va intesa come
una opportunit di apprendimento per ladeguamento del
proprio comportamento. Per questa ragione la valutazione
dei risultati non solo una fase notarile o un epilogo, quanto il punto di partenza per ricominciare il processo del cambiamento, riscrivendo il racconto del proprio diabete. In questo senso quale che sia stato lesito il terapeuta rinforza,
con riconoscimento, limpegno comunque messo in atto dal
paziente e sollecita la sua opinione con domande del tipo
Che insegnamenti puoi ricavare da questa esperienza?
Che cosa faresti in maniera differente / simile in unaltra
occasione?.
Riflessioni autobiografiche:
Come ho utilizzato le mie esperienze, sia efficaci
che inefficaci, per nuovi programmi?
Lesperienza mi servita per una migliore conoscenza delle mie capacit?
Come rispondo ai pazienti con risultati positivi / negativi?
Quali strategie di rinforzo uso con i miei pazienti?
112
Letture consigliate
Anderson B. J., Rubin R.R.
Practical Psychology for Diabetes
Clinicians.
American Diabetes Association.
Alexandria, Virginia, 1996
un manuale utile per lapplicazione delle
strategie comportamentali, di ristrutturazione cognitiva e di empowerment per le
diverse problematiche in ambito diabetologico.
113
LAUTOBIOGRAFIA FORMATIVA
DI UN DIABETOLOGO
Alcuni anni fa in un incontro con colleghi Pediatri diabetologi mi sono sentito ri/coinvolto nel campo delleducazione del
bambino con diabete. Non nella sua pratica quotidiana ma,
pi specificamente, nella definizione e organizzazione degli
interventi che attualmente vengono intesi come Educazione
Terapeutica. Il percorso di riconsiderazione del processo educativo mi ha riportato nellambito pedagogico da cui ero partito agli esordi della mia attivit di pediatra interessato ai problemi endocrinologici e diabetologici. Ed stato un affascinante ritorno per scoprire sentieri prima non notati o che
forse non ero, in passato, disposto a seguire.
derson, Funnell 2000]: un argomento e una strategia educativa di cui avvertivo importanza e necessit in ambito diabetologico pediatrico ma della quale, pur avendo letto quel libro,
non ero ancora riuscito ad avere una chiara visione n a
vederne lapplicazione pratica e formativa. Nel volume si insisteva sulla formazione degli educatori attraverso il racconto e
la riflessione sulle loro esperienze formative.
La rilettura di entrambi i libri me ne ha svelato i collegamenti
che la lettura dei singoli libri non mi aveva consentito di vedere. La prima parte del libro sullempowerment si intitola
What we do is who we are, mentre il filo conduttore del libro
di Baldassarre la presenza di una storia comune fra S personale e S professionale.
Mi sono convinto che la riflessione sul significato e sulle
modalit di svolgimento dellEducazione Terapeutica devono
indurre il diabetologo a riconsiderare non solo le proprie
modalit di interazione con il diabetico ma anche le proprie
convinzioni in ambito professionale e ancora pi nel profondo la propria formazione personale. Elementi che si sono
modellati in parallelo e sono inestricabilmente in relazione.
Allora, scrivere la propria autobiografia formativa una
maniera, e forse la pi efficace, per un riconoscimento di se
stessi, con la possibilit di ri/definizione e di ri/progettazione
della propria vita professionale.
S personale e S professionale:
la teoria professionale soggettiva
Nella formazione pedagogica si assume che il S personale e
il S professionale abbiano una storia comune. Lindividuo si
forma, magari inconsapevolmente, attraverso ripensamenti e
rielaborazioni personali dei sistemi di significato sovra-individuali con cui interagisce (la cultura scientifica e istituzionale)
una personale teoria della sua professione (S professionale), legata alla sua teoria di se stesso e del suo rapporto con
la realt (S personale).
116
Lautobiografia formativa
per la consapevolezza del S
Visto che la mia teoria professionale, cio la concezione che
ho della mia professione, pu influenzare la mia pratica professionale, per operare in maniera consapevole ho necessit
di conoscere la mia teoria professionale. Ma poich questultima si formata nel corso della mia vita, se in una certa fase
117
Lautobiografia cognitivo-formativa
nellempowerment per il diabete
Il venire a conoscenza di queste strategie formative mi ha entusiasmato. come se si fosse aperta una seconda porta nella
stanza che pensavo ormai allestremit della mia abituale resi119
denza di pediatra coinvolto nei problemi assistenziali e educativi dei bambini con diabete. Questa porta si era aperta per
caso, senza consapevole intenzione, come per un urto accidentale di un mobile appoggiato alla parete.
Lo sviluppo cognitivo-professionale si svolge in genere gradualmente, ma pu avvenire anche per svolte improvvise, per
importanti incidenti critici e fasi critiche nella storia professionale e personale (Baldassarre et al 1999).
La memoria autobiografica porta quindi alla consapevolezza
i punti nodali del proprio percorso cognitivo-formativo (incontri, eventi, esperienze, incidenti critici, passaggi, decisioni, scoperte, contesti, progetti, occasioni, coincidenze, atteggiamenti, figure significative, etc).
Al momento del racconto si affianca quello della interpretazione: nel racconto autobiografico formativo, infatti, il soggetto ri/costruisce un percorso interpretativo della propria
vita ri/chiamando, re/interpretando e ri/collegando i personali punti nodali, di volta in volta secondo una specifica prospettiva di senso e significato.
Un esempio classico di svolta nella biografia formativa
stato proprio questo evento critico professionale (lincontro
con i Colleghi sulla definizione e sulla possibilit di formazione dellquipe diabetologica allEducazione Terapeutica).
Lesplorazione delle strategie formative mi aveva portato a
conoscere il campo della psicologia culturale con luso della
narrazione e dellautobiografia formativa, che mi ha offerto la
possibilit di visitare un altro intero edificio di conoscenze,
con percorsi affascinanti di formazione personale e professionale.
Come era stato in passato tutte le volte che mi ero trovato a
confrontarmi con situazioni professionali nuove, avvertivo la
necessit di riflettere sulla mia professione.
Definito che il pediatra diabetologo che volesse formarsi
allempowerment, come filosofia di base per lEducazione
Terapeutica, avrebbe dovuto seguire questo stesso percorso
formativo, restava da decidere quale prospettiva autobiografica adottare: la biografia cognitiva (per la storia di come si
120
La biografia cognitiva
Lapproccio cognitivo alla biografia prevede che il soggetto
sia un attivo costruttore della propria conoscenza e vede
nella conoscenza un processo continuo di ristrutturazione di
schemi rappresentazione del mondo.
Il soggetto insomma inventa o re/inventa di continuo la realt che pi utile rappresentarsi.
Ogni nuovo stimolo o nozione fa s che il soggetto ricostruisca in maniera differente la precedente rappresentazione
della cosa. Da ci discende che insegnare qualcosa a qualcuno significa indurre quella persona a modificare la visione che
gi aveva della cosa.
In questo senso la trama che organizza gli eventi di una biografia cognitiva deve consentire al soggetto di ripercorrere le
esperienze educative in cui ha sviluppato la modalit di funzionamento della mente, cio come ha appreso a compiere
operazioni astratte, ma anche come ha appreso a prendere
decisioni per risolvere i problemi pratici, interpersonali, emozionali.
Riflessioni autobiografiche:
C stata evoluzione nel mio stile di apprendimento?
In quale maniera il mio stile di apprendimento influenza il mio stile dinsegnamento?
C stata unevoluzione nel mio stile di insegnamento?
A quali stili di insegnamento o di insegnanti rispondo meglio?
A quali stili di insegnamento o di insegnanti rispondo negativamente?
121
Apprendimento dallesperienza
Nellapprendimento concettuale acquisisco conoscenze da
varie fonti (letture o conferenze, ecc.).
Nellapprendimento esperienziale invece acquisisco conoscenze direttamente riflettendo sulle mie esperienze in un
processo circolare. La seconda forma ingloba la prima in
quanto lesperienza la totalit delle sensazioni ricevute, dei
pensieri stimolati e della loro consapevolezza relativa a un
avvenimento.
Lesperienza non in s apprendimento. Lo diventa quando
lesperienza oggetto di una riflessione che ne comprende
complessit, significato, valori e conseguenze (Cos? Come
funziona? Cosa significa? Cosa voglio? Cosa intendevo fare?)
Guardare allesperienza con la riflessione pu condurre allinsight, al vedere nuovi significati, modelli, relazioni, possibilit, presenti nellesperienza ma di cui non si aveva consapevolezza prima della riflessione.
A sua volta linsight pu portare al cambiamento di comportamenti o di nuove attitudini e convinzioni che inducono a
modifiche comportamentali. Lapprendimento esperienziale
viene favorito da interazioni educative in cui lesperienza della persona viene riconosciuta e valorizzata. Si realizza in un
clima di rispetto, verit, accettazione.
Riflessioni autobiografiche:
Quanto il mio stile dapprendimento si conforma
al modello dapprendimento esperienziale?
Quanto il mio stile di educatore viene influenzato dallapprendimento esperienziale?
Quali altri metodi dinsegnamento ho impiegato? Quanto sono risultati efficaci?
Con quale frequenza rifletto sulla mia pratica
professionale?
Quanto la riflessione sulla mia attivit professionale mi di aiuto per la mia crescita professionale e personale?
123
Letture consigliate
Baldassarre V.A. , Di Gregorio L.,
Scardicchio A.C.
La vita come paradigma.
Lautobiografia come strategia di
Ricerca-Form-Azione.
Edizioni dal SUD, Modugno, Bari, 1999
un testo utilizzato nella formazione nel
corso di laurea in Scienza delleducazione. un libro per una lettura affascinante nel campo dellautobiografia formativa.
Demetrio D., Fabbri D., Ghepardi S.
Apprendere nelle organizzazioni.
Proposte per la crescita cognitiva in et
adulta.
La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1994
uno dei testi maggiormente citati nel
campo della formazione attraverso il
metodo autobiografico.
126
UN RACCONTO AUTOBIOGRAFICO
FORMATIVO
Ora mi tocca fare memoria della mia esperienza di diabetologo e scrivere questo capitolo di riflessione per me pubblicamente, come in tutti i racconti in cui scrivi agli altri per te
stesso. E non il caso di chiedere quanto sia durata nel tempo questa esperienza per giudicarne la validit, sia per non
contarne gli anni e sia perch non la durata che rende valida unesperienza quanto lintensit con cui stata vissuta.
Una preliminare riflessione: mi ero convinto anni fa che non si
dovesse guardare indietro a rivedere i ricordi per non correre
il rischio di fermarsi e non voler o saper pi andare avanti.
Ora, nello scrivere questa autobiografia, voglio, invece, sperimentare le possibilit del ricordo: per ri-vivere il passato e riappropriarmi del tempo vissuto, per verificare se in esso
contenuto il mio presente, se posso svelare gli Io che sono
stato, identificare gli Io che non ho saputo ascoltare e che
posso ancora realizzare, per ri/programmare con entusiasmo
il tempo che ancora resta della mia professione. E ancora mi
conferma T.S. Eliot (Quattro quartetti):
Il tempo presente e il tempo passato
Son forse presenti entrambi nel tempo futuro,
E il tempo futuro contenuto nel tempo passato.
Se tutto il tempo eternamente presente
Tutto il tempo irredimibile.
Ma mi chiedo: da quale prospettiva devo riguardare la mia
esperienza passata di Pediatra dietologo? E perch? Con
quale finalit? Che cosa o chi mi spinge ora a fare memoria?
Lho detto allinizio di questo capitolo: il venire a conoscenza
127
129
Diabete giovanile
Bambino diabetico
Bambino diabetico e famiglia
Bambino con diabete
Bambino che racconta il suo diabete.
La
134
139
BIBLIOGRAFIA
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Costruzione delle storie e sviluppo della persona. Giunti, Firenze, pp.
277-307.
146
148
149
00056980301 1207
Autobiografia
e pensiero narrativo