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strutture linguistiche e grammaticali della traduzione ciceroniana, nelt ebito delle pi generali strutture espressive del "latino, per sottolineare CO~.
le presunte libert e impropriet del traduttore latino siano dovu~e s~g It
tutto alla insufficiente (rispetto al greco) struttura della lingua; 41 GUI ere
si serviva. Siffatto procedimento, che mi sembra gi discutibile in genera
riuscito del tutto sterile di risultati sul piano filosofico.
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C.
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by J. S. Reid
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103
rio, pi termini latini, presentati tutti nel tentativo di avvicinarsi il pi possibile al significato originario (Fin., 3, 4,
15). In ogni caso, osserva una volta l'Arpinate (Fin., 3, 16, 52),
re ... intellecta in verborum usu faciles esse debemus. Ma a
questo atteggiamento di pigrizia Cicerone si abbandoner raramente, come vedremo.
L'esame della terminologia filosofica di Cicerone non seguir il pi comune e pi noto ordine della tripartizione stoica (logica . fisica - etica), bens quello che Cicerone stesso si
dato nel proemio al secondo libro del De divinatione, e su
cui si opportunamente soffermato P. Boyanc', e precisamente: problema della conoscenza (Academica), etica (De finibus e Tusculanae), fisica (De natura deorum, De divinatione,
De fato); la logica, in particolare il suo aspetto di quaestio
"Ept 3UV<XTWV, si ricollega al De fato. Sarebbe, questo, un ordine che rispecchierebbe la successione di Antioco di Ascalona,
secondo il quale l'etica precederebbe la fisica.
2. La dottrina della conoscenza si basava, per gli stoici, sulla
, fantasia catalettica " che era stata oggetto, per quanto ci fa
sapere Cicerone stesso, di aspra discussione tra Zenone e Arcesilao (cf. Luc., 6, 16; Acad., 1, 12, 44 sg.) ma che fu accettata da Antioco di Ascalona. Il termine tecnico stoico di ' fantasia' reso da Cicerone (cf. Luc., 6, 18; Acad., 11, 40; ma
gi nel primo libro del Lucullus, ora perduto) con il latino
viswn. Il termine non un puro e semplice calco dal greco,
ma con esso Cicerone vuole rendere - e vi riesce con successo - il significato del termine tecnico stoico, cio l'impressione sensibile, la quale fa ' apparire' a noi la cosa esterna'.
Parallelo al termine viswn il verbo videri, che in un
ambito gnoseologico assume un significato analogo, sebbene
in parte connesso con il significato comune del verbo videri '.
4 Cf. P. BOYANC, Cicron et Ies parties de la philosophie, REL, XLIX, 1971,
127-154,
5 Non mi pare che vi sia, n in visum n in rpa,v't'ctO'(ct, l'ambiguit lamentata dal REnO (cf. M. T. CrcERoNIS, Academica, The Text revised and explained
by J. S. Reid, Landan 1885 ([Hildesheim 1966]) (ad Lucullum, 6, 18), secondo il
quale il termine pu indicare tanto la percezione fallibile (cio quella falsa,
C?rne vedremo poi) quanto quella infallibile (cio quella catalettica). Sia l'una
SI3 l'altra sono percezioni; quella catalettica si distingue da quella falsa in
virt delle sue caratteristiche ben precise, che vengono subito esposte.
6 Un esempio di questo intersecarsi di significati mi sembra chc possa
essere fornito dalla discussione di Lucullus, 33, 105, in cui Cicerone stesso
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104
C. MORESCHINI
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106
C. MORESCHINI
1to-re:W7tW(.L:Vl} Xcx.t
XO\I'ro. Per analogia con la definizione stoica, impressum sarebbe stato usato: anche da Filone, se sua la: dottrina a cui
Lucullo allude polemicamente in 11,34: ... conantur ostendere
esse aliquid perspicui, verum illud quidem et i m p re s s u m
,i n a il' i m o "a t q u e m e n t e, neque tamen id percipi ac
'comprehendi posse. Il termine usato anche per rendere in
.latino..;]a definizione peripatetica ", secondo la quale poteva
',,""ser compreso'.quod i m p r e s s u m es s e t e vero (35, 112)".
e 'cio cOn l'esclusione della clausola stoica: 01" 00" i1v yovo,"'o
-&7t '-(.L~
fm<Xpxov'TO.
107
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108
C. MORfSCHINI
percipio e cognosco, cos adsentior ha quasi del tutto sostituito adprobo (che si trova in 13,41; in 12,45 adprobare si trova
tinito con adsensione) e adsensio ha sostituito adprobatio. Contrario di adsentior e di adprobo improbo, sebbene di uso
-limitato (cf. Luc., 32,104 e 33,107) 14. L'adsensio che provoca la
rappresentazione catalettica firma et constans (Acad., 11,42).
Una volta che il visum dell'oggetto sia stato acceptum et
adprobatum
solita duplicit dei termini che serve ad indicare l'assenso), allora esso diventa comprehendibile 15 e si ha
la comprehensio 16 (cf. Acad., 11,41). A questo riguardo si pu
osservare che, nella rielaborazione degli Academica, Cicerone
si servito quasi costantemente dei termini comprehendo e
comprehensio (una eccezione, come si visto, quella di 12,
45), evidentemenxe perch li vedeva pi immediatamente corrispondenti al termine greco che lo stava interessando, vale a
dire x"or""fJ-~clVOl e x"orcl"I)<J!,, pi degli altri termini usati come
sinonimi (e forse con eccessiva profusione) nel Lucullus: percipio e cognosco in primo luogo (cf. ad esempio 22; 23; 26;
34; 40; 105; 128 ecc.) 17. Gi in Luc., 6,17; 10,31; 47,145 Cicerone aveva osservato che comprehensio la traduzione pi
esatta di x"orcl"I)<J!L, ma non aveva ancora preferito apertamente comprehensum a perceptum. Tutto considerato, si pu
dire che, se percipio indica la percezione sensibile in generale,
comprehendo vuole essere riservato alla rappresentazione catalettica. Nella rielaborazione degli Academica Cicerone ribadisce (11,41) che comprehendibile la traduzione esatta di
x"or""I)7t-r6 ", e in linea di massima da quel momento si atterr alla distinzione sopra tracciata. La rielaborazione degli
Academica ha conferito alla esposizione filologica maggiore disinvoltura e chiarezza, ma non a scapito del rigore scientifico:
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c. MORESCHINI
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104; 2,14,38; 17,46. Questa abitudine a usare indifferentemente la facolt dell'animo o l'animo o le parti dell'animo che a
quella facolt corrispondono una costante, mi sembra, del
linguaggio filosofico latino. Cf. anche il passo di Tusc., 1, lO, 20,
ove i due difetti (ira e cancupiscentia) delle due parti inferiori dell'anima secondo la tripartizione platonica sono impiegati per indicare le due parti stesse. Questo si incontrer anche in Apul., De Piat., 2,4,225-226. Accanto a rafia Cicerone
impiega anche intelligentia (che sar pi tardi sostituito, per
indicare la facolt razionale, con intellectus). Intelligentia significa anche, in senso proprio, la ' capacit di comprendere "
come in Nat. dear., 1, 19, 49 (intelligentiam capere = intellegere); Luc., 7,20 (riferito ai sensi); Nat. de or., 1,11,27: ... fugere i n t e Il i g e n t i a e n o s t r a e vim et notionem (=
vim noscendi, secondo il Pease); Tusc., 1,22,51. Ma siccome
la capacit di intellegere propria dell'animo (cio della mente) umano (cf. Tim., 3,10: ... intellegentiam in animo (= voilv
b <jJuxii Tim., 30b) animum inclusi! in corpore; Luc., 37,119:
quaedam animalis intellegentia (=il Myo stoico)), intellegentia
viene ad essere un equivalente di ratio (Tim., 4,11 e Fin., 4,5,
12: ratio et intellegentia = Myo): Tim., 6, 19 (mens atque intellegentia); Nat. deor., 1, 12,29 (sententia intellegentiaque nostra); 2, 12,32; 42-43 (sensus atque 1ntellegentia); Div., 1,32,70;
Off, 3,17,72 e 20,81; De ;',vent., 2,53,160 ecc. L'aggettivo intellegens, usato sporadicamente da Terenzio (Eun., 232), diventa comune proprio con Cicerone, anche al di fuori delle
sue opere filosofiche. Il contrario inintellegens, invece, neoformazione ciceroniana (cf. Tim., 3, lO), e deve corrispondere ad &v6'1)1'o del testo platonico (Tim., 30 b).
Quella tendenza di cui si parlato or ora, di impiegare indifferentemente la facolt dell'animo per l'effettuazione dell'attivit corrispondente, si incontra anche per quanto riguarda
la seconda e la terza parte dell'anima, secondo la divisione
platonica: c u p i d i t a s, animi levissima pars, spiega Cicerone in Fin., 2,34,115. In particolare, bisogna osservare che
lo scrittore tende a ricorrere alle perifrasi per esprimere le
due caratteristiche dell'anima, individuate dalla filosofia stoica: ea pars animi in qua inest rafia atque consiliwn (Fin., 2,
34,115) per indicare il OYLx6v; oppure rationis particeps ! ra-
j
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112
C. MORESCHINI
os~
tianis expers (cf. Tusc., 2,21,47; 4,5, lO; Nat. dear., 2,8,22;
2,13,36; quad ratione utitur Nat. dear., 2,8,21; campo.s ratianis Nat. dear., 2,8,22; 31, 78) per la contrapposizione 'A0y.Lx6v l
&oyov; oppure, per indicare l' ~YEI-'-OVLX6v degli stoici, l'Arpina.'
te ricorre alla perifrasi (et pars) quae l'rincep"s est
quaeque mens naminatur (Fin., 5, 13,36; cf. anche Tusc., 3,
5,11; Fin., 4,14,38 ecc.).
BROCHARD, O.
C.,,, 197.
(;;0nnessi (
(29,94 e 41,12
temente tlsa
t11m ELuc., 11,
. Ma abbaI]
stoica per tln
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114
C. MORESCHINI
sensu profec tum cui non adpos itum sii visum aliud quod ab
eo nihil intersi t quodq ue percip i non possit) . Il proble ma,
,
quindi , era incent rato sul concet to di vero e di falso, o, meglio
ArMa
falsa.
di rappre sentaz ione vera e di rappre sentaz ione
a
cesilao , come si ricava dallo stesso contes to (24,77 ), si riferiv
alla definiz ione di Zenon e, che approv ava nella sua formul azioi
ne (hic Zenon e m vidisse acute nullwn esse visum quod percip
quod
eo
ab
modi
posset , si id tale esset ab eo quod est cuius
non est posset esse. Recte cbnsen sit Arcesilas ad definit ionem
additu m, neque enim falsum percip i posse neque verum si esset
tale quale vel falsum), solo che ne negava la preme ssa. Rifacciamo ci al testo di Sext. Emp. (Pyrrh., 2,4, tradot to da Cicerone stesso in 6, 18, come si visto sopra) : &7t (m&pxw ro ...
eo unde
otcx ox <Xv yvOLT? cbt fJ-~ U7tCXpX0V"t'o tradot to con: ex
modo
in
esset;
non
unde
eD
ex
esset, quale esse non posset
, perfalsum
e
Verum
77.
.
al
va,
negati
forma
in
ma
analog o,
tanto, traducono tmetpxov e p.~ umxpxov in un'epo ca in cui la
lingua latina non aveva ancora coniat o il termin e ens o essentia (e s che alcune testim onianz e - Seno epist., 58,6; Calc.,
cap. 27; Sid. Apoll., Carm., 14, epist. 4 - attribu iscono proprio a Cicero ne la coniaz ione di essenti a). Bisogn a osserv are,
tuttavi a, che questa difficolt Cicero ne la sentiv a forse meno
di quanto non pensia mo, in quanto anche testi greci analog hi
ti
usavan o per la fantas ia stoica (oltre che per l'ogge tto) i concet
di (m&pxo v e l'-~ 7t&pxov: era abbast anza agevol e passar e dal concetto di oggett o vero' (nel senso di 'esiste nte ') a quello di
, fantas ia vera' (nel senso di ' veritie ra ') ". L'impi ego di verum
e di falsum , cos freque nte nel corso del Lucull us, ci sembr a che
possa confer mare quanto si osserv ato or ora, in quanto entramb i rendon o 7t&pxov e l'-~ 7tC!.Pxov della definiz ione stoica. In
effetti, la replica di Arcesi lao e degli accade mici tutti alla dottrina stoica della rappre sentaz ione catale ttica si basava sul
fatto che essi negava no la possib ilit che esistes se una 'P<X'''<X'
quod
aLtI cos confor mata oLa ox v y;VOL-rO &.rr lJ.~ 7tlXpxov-ro:
di-
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Accad
(gli
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qualia
essent,
si omnia visa eiusmo di
Si
(9,27).
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Lucull
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dichia
cunt, ut et vel falsa esse possen t,
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possen
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ricava da questa afferm azione che ut ea vel falsa
., 7, 152. Il
22 Cf. ad esempio la definizione di SEXT. EMP., Adv. Matllem
nte spesso nel
significa to di 'rappre sentazio ne veritier a' si incontra ugualme
Lucullus: cf. 27; 35; 40; 42; 48; 58; 80; 83.
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FILOSOFICO DI CICERONE
OSSERVAZIONI SUL LESSICO
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C. MORESCHINI
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se rin
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babilis)
Un
Carnea,
26 Cf. 31, 101 (la nola deve essere insignis); cf. anche 34, 110; Acad.; 8, 32:
argumentis quibusdam et quasi, rerwn notis ducibu5 ...
n Altri usi di nota nel contesto di un discorso sulla conoscenza: iudicandi
et adsentiendi nota (Nat. deor., 1, S, 12); Fin., 5, 25, 74: nomina tamquam
rerum notas; Div., 2, 6, 17; 2, 61, 128 (un contesto che richiama il Lucullus:
qllae (somnia) si alia falsa, alia vera, qua TI o t a i TI t e r TI o 5 c a TI tu r
scire sane velim).
28 Ane
a Ciceron
indicia nt
29 Giu
plieement
fatti, un
quasi, e ~
camente <
anche se
11; Div., :
movet). (
30 Pro
31
Cf.
littraire
117
Luc., 11,34: ... nullum erit iudicium, quia propl'ium in communi si g n o n o t a r i non potest; Il,36: ... est hoc quidem i Il i u s r e i s i gnu m a u t a r g u m e n t u m... sed
fieri potest ut id quod significatur aut falsum sit aut nihil sit
omnino; 22,71: ... nihil ita signari in animis nos t r i s a vero posse quod non eodem modo possit a falso 28.
Alla scepsi di Arcesilao si oppone, almeno parzialmente, il
probabilismo di Carneade. Questo termine, divenuto di uso comune per designare l'atteggiamento dell'accademico di fronte
al problema della conoscenza, ha avuto origine da p r o b a b i l e, che Cicerone impiega per la prima volta in Luc., lO,
32 per indicare il m&",vv di Carneade: volunt enim ... proba.
bile aliquid esse et quasi verisimile "; e cos ancora 47; 48;
99; 100; 103; 110; Fat., l, 1; Tusc., 1,9,17; 2,2,6; 4,4,7; Off.,
2,2, 78 ecc. 30.
E' verisimile anche che il termine probabile derivi dal
l'uso retorico "; che fosse un termine familiare a Cicerone
dimostrato dal fatto che, pur traducendo un termine greco,
egli non sente mai il bisogno di giustificare il termine latino
corrispondente: segno che per lo .scrittore non era un termi
ne insolito. In ogni caso, questo termine, di origine retorica,
, purtroppo, di impiego un po' generico in Cicerone (anche
se rimasto poi come tipico del m&",vv carneadeo): esso indica, infatti, anche]' .6oyov stoico in Fin., 3,17,58 (ratio probabilis) e Off., 1,3,8 e 29, 101 ecc.
Un secondo genere di rappresentazione probabile era, per
Carneade, quella ,x,tEp1<17t"'CITO (cf. Sext. Emp., Adv. Mathem.,
28 Anche indicium potrebbe (sebbene in tutt'altro contesto) esser servito
a Cicerone per rendere cn}l.Ldov: cf. Fin., S, 18, 48 e 20, 55 per il sintagma
indieia naturae.
29 Giustamente il Reid vede nel nesso probabile et quasi verisimile sem
plicemente un tentativo di traduzione duplicata di 1tl.act.v6". Verisimile , infatti, un termine di portata filosofica minore, piil banale, giustificato dal
quasi, e serve a chiarire il concetto di Carneade a un pubblico non filosoficamente colto. Gli altri casi dell'impiego di verisirnile si possono ricondurre,
anche se non con particolare rigore, al significato di probabile: cf. Luc., 11.
36; 31. 99; 33, 107; 41, 127128; Acad., fr. p. 21, 15 Plasberg. Il termine poi di
uso banale: cf. ad esempio Tusc., l, 4, 8; Il, 23; 2, 2, 5; 3, 9; 4, 21, 47; 5, 4,
11; Div., 2, 72, 150 eec.; e ancora Tusc., S, 29, 82 (quodcumque specie veritatis
movet). Cf. infine BROCHARD, o. C., 133 sg.
JO Probabilitas anche in Tusc., S, Il, 33.
31 Cf. CH. CAUSERET, Etude sur la langue de la rhtorique et de la critique
littraire dans Cicron, Paris 1886, 83 e 108.
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&Ji xcd &7tEpfermxo"'t'o'J xcd the:;(3EUll-v'Y}v), che Cicerone illustra (Lue.,
1'1,33) con una perifrasi, ma in modo chiaro ed esatto: ... visi6nem ... probabilem et quae non impediatur (cf. anche 18,
59-; 32, 104;- 34, 108; 31, 101) ", non manca, comunque, anche in
questo caso, l'amplificazione retorica: ... probabili ... et eo quidem expedito soluto libero nulla re implicato (33,105). ConnessFon 'probabilis sono i termini probabilitas (neoformazione ciceroniana? senza dubbio ciceroniana la accezione filosofica) (75; 100; 104) e probare, che vuole espressamente;
in'un ambito filosofico, distinguersi da adsentiri:itaque et
sensibus probanda multa sunt, teneatur modo illud, non inesse in iis quicquam tale quale non etiam falsum nihil ab eo
differens esse possit (la dottrina carneadea qui opposta a
quella stoica) ... quae nisi p r o b e t, omnis vita tollatur (31,
99); ancora con preciso significato tecnico, il termine probatio: tale visum nullum esse ut perceptio consequeretur, ut
autem probatio, multa (31,99) 33. N mancano, come al solito,
i composti approbare e comprobare, ma essi sono quasi costantemente impiegati non per esprimere il termine carneadeo,
ma come un analogo di adsentiri in ambito stoico: cf. soprattutto Acad., 11,41; 12,45; Luc., 33,108; 40,126; 45,138 ecc.
Opposto alla rappresentazione catalettica, nemmeno il probbile, tuttavia, permette una vera conoscenza, bens soltanto
una opinio; cos Cicerone traduce il greco 36~<x, termine che
una lunga tradizione risalente fino a Platone aveva canonizzato per indicare una forma inferiore e fallace di conoscenza,
in contrapposizione alla imcrn\fL~: itaque hanc omnem partem
rerum opinabilem appellabant; scientiam autem nusquam esse censebant nisi in animi notionibus atque rationibus (Acad.,
8,31-32; cf. anche 11,41-42).
La opinio, naturalmente, non possiede, come si detto,
validit scientifica in senso stretto, per cui essa pu risultare
errata: cf. Luc., 18,59 e l'ampia discussione contenuta nella
seconda parte di quell'opera, in quanto tale eventualit era
sostenuta dalla scepsi accademica, mentre era rifiutata da An32 In questo ambito dottrinale rientra anche la definizione ex circumspectione aliqua di Luc.) 11, 36.
33 Pro bare e probabilis nel significato accademico impiegato da Cicerone ancora in Div., 2, 17, 41; 63, 129; 72, 150.
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34 E'
neade arane seI
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nem bel
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35 Ac
l'origine
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Cicerone
,'
DI CICERONE
LESSICO FILOSOFICO
OSSERVAZIONI SUL
119
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opinio e opina
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La sfu
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de opinio, co ns erv ata
sa opinio (Tusc.,
4; Tusc., 1,1 3,3 0) ; fal
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1,1
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t. deor., 3,28,
es (Tusc., 3,1 ,2; cf. Na
on
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op
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4,28,6
, mala opi(Tusc., 4,1 3,2 9) ; bona
um
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o
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ssim. Non
71); co
) Tusc., lib ro terzo, pa
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31
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meno sensibile. Si
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Academica
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o no n mo lto differen
espressioni in cui op ini
at. deor., 2,2 ,5) e
me sta bil is opinio (N
e fino ai sin tag mi co
1, 14, 24) ".
artes opinabiles (Div.,
endo caopinatio, pu r non rivest
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ne ratione quidem
in Luc., 13,42: ... ut
alla ratio (ad es em pio
re connessa al sipe rc ipi po ssi t) o ap pa
res
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v., 2, 11,26; 2,7 1,1 47 )
Di
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(cf
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M
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ut eos (scl.
Nat. deor., 1,1 5,3 9: ...
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.
Cf
).
,17
1,9
(Tusc.,
mus.
id em inf or ma re possi
deos) ne co nie ctu ra qu
Carc., 24, 78 e 41, 128) che
E' .Illcerto, tuttavia, sec ond o Cicerone (Lu iente, della opinione. Cice
sap
n d
scribenti,
la pos sib ilit , per il
ea e avesse sos ten uto he in 34, 108: cre doq ue Clitomacho ifa et imma
anc
m
~ne ~~mbra ncgarlo m exa ncl atu m a Carneade, quod ut teraem et teme
ore
id est opination
n: erc~ I quend~m fab
nos tris ads ens ion em' .
SIC ex ani mis
ri~~ efuamrax
lI, 26); sula em, ext isset.
nat io (Tusc., 4, 7, 15; ervare che
nio si trova anchehe opi
si pu oss
25)
14,
l,
.,
l'Ori:. Acc~.nto .ad ~~i
Div
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(per cui cf. anc
ancheme l opm abl ils sembra ess ere sta to impiegato per la pri
qUesto termine
Ccerone
.
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I.,
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l,
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Il '
Il
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I
L'altra innovazione dottrinale operata dalla scepsi accademica quella dell' btOX~ (btx"'). Cicerone impiega, come
corrispondente abbastanza vicino ad 7toX~ ed 7tXEL', il verbo
sustinere, ma sempre (evidentemente per un desiderio di maggior chiarezza) con un oggetto specifico che lo determini: o
sustinere se ab omni adsensu (cf. Luc.,. 48;.53; 94; 107) o sustinere adsensionem (Luc., 53; 68; 98 ecc.; Acad., 12,45; Fin.,
3,9,31). Espressioni analoghe sono: retenturum adsensum
(Luc., 18,57), donde adsensionum retentio (Luc., 24,78), e cohibere adsensum (Luc., 29,94; Acad., 12, 45). 'E7toX~ si trova
solo due volte, in Luc., 18, 59 (id est adsensionis retentio) e
48,148: Cicerone, dunque, cercava di latinizzare il termine il
pi possibile; per la sua tecnicit tale termine rimasto confinato, si pu dire, al Lucullus.
Il resto della terminologia impiegata dagli accademici de( riva sostanzialmente dall'epistemologia stoica, in quanto l'avvio alla discussione di quei problemi fu dato in gran parte da
Arcesilao nella sua polemica con Zenone. Cos incontriamo
iudicium, che corrisponde a "P'"t"~plO', come ben vide il Reid
commentando Luc.,. 6, 18: hoc cum infirmat tollitque Philo
(quando nega, cio, l'essenza della rappresentazione catalettica), iudicium tollit incogniti et cogniti. [udicium un termine ben scelto per rispondere a iudico, cos come XPlTIjpLO' corrisponde a xp(VCl): la corrispondenza assai precisa, e si conserva in Luc., 7,30; 9,29; 11,33 e 34; 18,59 ecc. Fin., 3,1,3:
,.. dicit Epicurus ne argumentandum quidem esse de vo/uptate;' quod sit positum iudicium eius in sensibus... 1,7,22 ...
rEpicurus) iudicia rerum in sensibus ponit. In quest'ultimo
per, il significato di iudicium (al plurale) sembra essere alquanto diverso, vale a dire, pi vicino al significato corrente:
cf. Luc., 7, 19 (sensuum ita clara iudicia et certa sunt ); Acad.,
10,39 ( ... perturbationes ... opinionis iudicio suscipi ); Fin.,
1, 19,64; Tusc., 4,7, 14-15; 9,22; 23,51 (iudicio atque sententia); Div., 2,72, 150; iudicio susceptas (perturbationes)
(Tusc., 4,31,65 e 35,76); il termine parallelo iudicatio in Tusc.,
4,11,26; il verbo iudicari in Fin., 2,12,36 (sensibus ipsis iudicari vo/uptatem bonum esse). Questa duplicit di significati
compresa nel termine iudicium dovuta probabilmente al
fatto che, mentre il greco pu distinguere tra "p,TIjpLO' e "plal,
il latino non ha questa possibilit. Notiamo, infine, che iudi-
cium conn
cium) per il
deor., 1, 16, L
Luc., 9,29.
Termini,
sofia ciceron
lato il termil
cos in Luc.,
fa/sa esse pc
nere) e 11
t i o n e m vc
n o s c i nu/i
nota cos COl
cezione pro
notio rende
goraso crite
essa per tI
citamente al
poi ancora <:
fondamental.
128; Acad., 8
81 (species e
spiegazione c
insila et ani
gens, ave bel
to della ~WO
contesto pia'
la dottrina d,
quelle indic~
indicare una
cio la nozie
12,30; 16,43
Leg., 1,8,24)
1, 18,46). La
9,31; Tusc.,
derio di ma!
ne animi a I
lO, 33. Perfe
36
121
l
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122
C. MORESCHINI
nare, fine
come int(
sponde a:
to sempli
corrente
mente dc
tende fin
16,54; 5,
(summu"
(ultimurn
valgono,
Cicerone
sim) 39; b
bonorum
5,6,17;1
4, 10,25;
mis bone
giocare c
dendo a
una fan1
per quar
con anal
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maggion
rum (Ac
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tio per
degli stc
sono eSI
3,13). L
vivere a
nirent, c
autL~octv6'
eia amni
38 L'ag
bonorum I
dicuntur).
L'etica, come terza parte della filosofia, descritta con varie perifrasi
in Acad., 5, 19; 6, 23; 9, 34; Tusc., 3, 4, 8; Fin., 5, 4, 11 - 5, 12 ecc., con la diretta
corrispondenza di ~.&'l) con mores in Fat.} 1, l; in quest'ultimo passo si propone anche, allo scopo di auge re linguam Latinam, la fortunata neoforma
zione moralis come derivato da mores e diretto parallelo di 'l}&tx6,
39 Arrc1
guaggio te
tura?) sur.
'" Cf.
per rende
po di esse
37
123
. I
124
o,
C. MORESCHINI
dam ... ove la poco elegan te espres sione contra officiu m' equi
vale a "'lXpl T XlX&iiXOV second o il Reid. Parime nti, second o
la
dottrin a stoica si disting ue tra officia media (lltalX) e perfec
ta
(Tt)."'lX)", o, pi precis ament e, tra officiu m mediu m (XlX&ijx
OV)
e officiu m rectum (XlXT6p&WlllX) ". La distinz ione traccia
ta
on estrem a chiare zza in Off., 1,3,8 (cf. anche 3, 3, 14-15), e
si
fa apprez zare per la precis ione con cui i termin i latini corri
spond ono a quelli greci: ... rectum quod sit, id officiu m per
fectum esse definiant; mediu m autem officiu m id esse dicunt
quod, cur factum sil, ratio probab ilis reddi possi! (cf. anche
1,29,101; Fin., 3,17,5 8) ".
'1'
'.,
Cf., ad esempio, G. KILB, Ethisch e Grundb egriffe der
alten Stoa wl
ihre Uebertra gung durch Cicero, Freiburg i. Br. 1939, 58
sg.; M. POHI.ENZ,
L'ideale di vita attiva secoildo Panezio nel De Officiis di Cicerone
, trad", ita41
e:
A' questa
tempo- prima,
rezza, traducE
factum (3,18,
quello inchoal
che pure si tI
nae (3,.5, 11) (
parlan do di u
que, soltan to
da perfec tum
in 3; 18,59) , J
to. Accan to a
soltant o' recta
le rehder e XlX'.
Per illust:
trappo ngono :
re volent ieri
filosofico pree
omnes numer
sua parte; or
pi pr.eciso:
ros veritatis).
ta gi ,dal Mi
(XlXT6p&WlllX. a'
nullam habet
lXU!',"VETlX' ).
A queste
Zenon e' (Acad
nel senso del
platon ica ( i
in Acad., 8, 3
in quanto esc
ch'essa buon;
summu;n?): i
ga simple x al
norum et ma
st~: gli"sto ic
hl
45
.....
Ef!ectio
fa
125
,.
A questa dottrina stoica Cicerone si era gi rivolto poco
tempo prima, componendo il De finibus, ma con minore chiarezza, traducendo, s, XOlT6p&WflOl con rectum (4,6, 15) o recte
factum (3,18,59), ma contrapponendo all'officium perfectum
quello inchoatum: una traduzione assai meno felice di medium,
che pure si trova in quello stesso contesto. Ma nelle Tusculanae (3,5,11) Cicerone preferiva la traduzione letterale di fl<cro v
parlando di una mediocritas officiorum. Inchoatum era, dunque, soltanto un tentativo di traduzione che si distinguesse
da perfectllm (che si trova anch'esso sempre nel De Finibus,
in 3, 18,59), ma fu un tentativo infelice e, quindi, abbandonato. Accanto a rectum si trova, come proposta di traduzione,
soltanto reeta effectio, che con un certo rigore linguistico vuole rendere x6p&WcrL<; (cf. Fin., 3, 14,45) 45.
Per illustrare le caratteristiche del rectum (al quale si contrappongono i peccata in Fin., 3, 9, 32; 21, 69) Cicerone ricorre volentieri a una espressione che non possiede un aspetto
filosofico preciso: lo scrittore dice, infatti, che l'azione retta
oml1es numeros habet (Off, 3, 3, 14), cio completa in ogni
sua parte; omnes l1umeros virtutis cantinet (qui Cicerone
pi preciso: Fin., 3, 7, 24; cf. anche Div., 1, 13, 23: ... numeros veritatis). L'espressione, che sembra cos insolita, stata gi dal Madvig ricondotta a un'analoga espressione greca
~,...
n.-
n.
\ .
IX~&'J't'O:L ).
I
\
.,
126
C. MDRESCHINI
48-49; 21, 58-59; Tusc., S, 15, 43 "; 16, 48; Off., l, 4, 14); lo stesso termine, quindi, applicabile anche alla vita dell'uomo one.'.'
'sto (Tusc., 5,16,47).
Ma la caratteristica precipua della definizione stoica del
bene quella di collegarlo strettamente alla natura umana,
nella quale diffuso il logos divino. Accomodatum ad natuuim
(naturae) la definizione usuale in Cicerone per indicare il ""'TO:
-qjocnv degli"stoici: cf. Luc., 8, 24-25; Nat. deor., 1, 37, 104; Fin.;
4, 16, 43; 17,46; 20, 56 ecc.; Dff., 1, 14,42 ecc. Una sola volta
(se non erriamo) Cicerone pensa che accomodatum ad naturam debba corrispondere ad 01"e;;ov (Luc., 12, 38), e tale tra
duzione, che sembra a prima vista un po' strana, si pu com~
prendere tenendo conto che in quel passo del Lucullus sta
parlando Lucullo, che espone dottrine di Antioco, di origine,
verisimilmente, peripatetica e non strettamente stoica. NeHe
opere successive al Lucullus, tuttavia, Cicerone ha sempre riservato il termine al ""''\"o: 'l'0aLv degli stoici. Obbedendo a quel
desiderio di amplificazione retorica che si gi incontrato,
Cicerone pone accanto ad accomodatum anche aptum: cf. Fin.,
S, 6, 17; altrove aptum sostituisce accomodatum (cf. apta natume in Fin., 4,21,60; 5,9,24-25; Dff., 1,4,13; 43, 153 e 45,
l~)G.
,
. E, come nel lessico filosofico stoico si trovava 6fJ-OOYOU"
fJ-tvC -r-jj 'l'OaeL (~~v) quale equivalente di ""''\"O: 'l'0a" ", cos
Accanto a laudabile impiegato laetabile, qui e in Tusc., 4, 31, 65; s~
condo il von Arnim e l'Adler (il curatore degli indici dei SVFI, tuttavi~,
laetabile potrebbe corrispondere a XCt.p-rov, che si legge in PIut., stoico rep.,
13, 1039 C (= SVF, 3, 29). Altri attributi della virt e del sommo bene
sono l'essere praedicabilis (Tusc., S. 17, 49) e glorianda (ibidem), gloriosa
(Fin., 4, 18, 51), gloriattone (neoformazione ciceroniana) digna (Fin., 3, 8, 28;
4. 18. 50-51).
'
47 Il termine usato con significato analogo anche in Fin., 4, 28, 78 (rerun{ ad vivendwn accomodalarum). Esiste anche l'avv. accomodatissime in
Fin., 5, 9, 24.
48 Su natura si potrebbe discutere a lungo: cf. il recente studio di Ii:.
PeLLICER, Natura. Etude smantique et historique du mot latin, Paris 1966.
In questo contesto, tuttavia, ci basti osservare che Cicerone non ha mai
dubbi a rendere cpui:no; con natura in tu tte le varie accezioni filosofiche: f
ad esempio i sintagmi aptum nalurae, coniunctum naturae, ex natura (Fin.,
4, lO, 25), natura (Acad., 10,38), natura duce per indicare il xa:-r. cpu<Jw. Questo
uno dei casi in cui particolarmente forte la presenza delle possibilit retoriche della variatio ciceroniana, e precisamente in un campo di significati
abbastanza generico (pi specifico sar l'uso di natura nella fisica). La condizione originaria dell'uomo alla sua nascita indicata con initium (o initi'a)
naturae: pi dettagliatamente in Luc., 8, 24 ( ... constitui necesse est initium;
quod sapientia, cum quid agere incipiat, sequatur, idque initium esse naturae46
Cicerone
que (Fin..
8, 35); cc
naturae (
convenie"t
73; Tusc.
(3; 16, 55
&YOUO'L 't'
gli stoici.
pressione
cui signil
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Ma ~
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zione di (
sua dottr
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'sibi COi
1!].a," cio
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p-unto, al p:
2, 12. 38; 4.
~scalona), c
I11fra 143): (
rnus); 5. 15,
ligendi aliql
neremus); <
i n i t i i s,
sembra ev~j
mi sembra
perturbatiOl
gico, e quir
riservato aI:
in Nat. deo
S. 12. 35; T.
Fin., S. 26.
49 AllaH
2. 2. 222. di
testo dei m:
potrebbe A
dopo Con
zioni in: AI
127
Cicerone presenta traduzioni come conveniens consentaneumque (Fin., 3,7, 24); recta et convenientia et constantia (Off., 3,
8, 35); consentaneum (3, 17, 58); il bene in eo positum est ut
naturae consentiat (Fin., 3, 14, 45, cf. 2, II, 34); congruenter
cOlwenienterque naturae (vivere) (Fin., 3, 7, 26 e 9, 31; 22,
73; Tusc., 5,28,82). Conveniens actio, pertanto, la sapienza
(3, 16, 55) (cf. SVF, 3, 3 = 5tob. ecl., 2, 76, 16: ... ..-Jjv 6[J.Ooy[etV
tYOUO"L TtO dvetL) e convenientia (6[J.OOy[et) il telos secondo
gli stoici. La traduzione di conveniens e convenientia d l'impressione di essere una traduzione estremamente letterale, il
cui significato non immediatamente perspicuo, e Cicerone
stesso non tenta di chiarirlo meglio.
Ma per vedere come Cicerone ha divulgato nella sua lingua le difficili formule stoiche, conviene riesaminare l'esposizione di Catone nel terzo libro del De fmibus. Catone fonda la
sua dottrina sulla otxdWO"L stoica, che viene resa da Cicerone
con una serie di svariati tentativi, che palesano la difficolt
di esprimere in latino il termine greco. Il sintagma sibi commendari e commendatio naturae (Fin., 3, 5, 16; 2, Il, 34; ancor meglio: qua se ipsi diligunt: 5, Il, 33) uno di questi
tentativi (cf. anche 4, 11,26; 5,17,46 ecc.); ogni essere vivente
sibi commendatum (Fin., 4,8,19; 10,25 ecc.) ". Essa prima, cio primordiale, originaria, insita in ogni uomo (5, 14,
accomodatwn), pi brevemente in Fin. (ave la discussione dedicata, appunto, al problema di ci che conforme a natura): cf. Fin., 3, 6, 20; 6, 22;
2, 12, 38; 4, 16, 46 ecc. Analogo il concetto dei principia virtutis (Antioco di
Ascalona), che in sostanza coincide con quello dei semina virtutis (su cui vedi
inlra 143): cf. Fin., 4, 15, 40 (obliviscernurque qllae virtuti ipsi principia dederimus); 5, 15, 43 (l1am eum ita nati lactique simus ut et agendi aliquid et diligendi aliquos et liberalitatis et re!ercndae gratiae pril1cipia in nobis contineremtlS); 4, 17, 46 e 47-48; 4, 7, 18 (principiis autcm a natura datis ... h i s
i n i t i i s, ut ante dixi, e t s e m i n i bus a n a t u r a d a t i s). Nattlralis
sembra evotato in un contesto etico (l1attlralia bona non mi sembra usato;
mi sembra che si incontri solo prima naturalia in Fin., 2, 11, 34; cf. anche
perturbationes naturales - ma qui esaminato soprattutto l'aspetto psicologico, e quindi fisico, della perturbatia - in Acad., lO, 39); il termine sembra
riservato alla fisica: cf. naturalis motus in Fat., 11, 23 e 24, 47, naluralis deus
in Nat. dear., l, 13, 33. Infine, 7tp. q)UCH'V reso con contra naturam in Fin.,
S, 12, 35; Tusc., 4, 6, 11; 3, 16, 35; Dff., 3, 5, 21; ma anche aliena naturae in
Fin., S, 26, 78.
49 Allorquando Apuleio espone la dottrina stoica della 01.XLWO"L in De Plat.,
2, 2, 222, dice che l'uomo ... non modo sibimel ipsi intimatLlm ptltat: cos il
( testo dei rnss., che dal Casaubonus e altri stato corretto in sibi natum. Non
potrebbe Apuleio aver reso cjJY..e~wfLvov con intimatum, variandol0 poco
dopo Con sibi ... acceptum esse? Sul passo apuleiano cf. le nostre osservazioni in: Apuleio e il Platonismo, Firenze 1978, 102-104.
128
C. MORESCHINI
,
40 - 15, 41). Oppur e, invece di comm endati o troviam o caritas
,
umano
rivolta sia a se stesso (5, 13, 37) sia a tutto il genere
a
in second a istanza (5, 23, 6566; 3, 21, 69); ciascu no carus
se stesso (5, 11, 31; 12, 34 ecc.). Stretta mente unito a commenda tio il termin e conser vatio sui (aveva Cicero ne davanti a s un esemp lare greco in cui si legges se qualco sa di
analog o al passo di Diog. Laer., 7, 85 = SVF, 3, 178? cf. -r~v
't' 6 ,
8 7tp~TI)1J optL~1J <piXcrt -r ~iiiov !crXetv t7tt "t' "t' YJ P i: v t et U
16;
5,
3,
Fin.,
(cf.
&px'ij)
o t" t o o O" 'l lXOTiii TIj epocn:w ,h'
anate
tamen
4, 11, 27; 13, 34). Essa varia con i sintag mi perfet
loghi come se diligere (cf. 3, 5, 16; 5, 9, 24 e 26; lO, 27; 11.,
)
30-1); diligens sui (4, 13, 32), conser vatrix sui (scI., la natura
ere
intend
be
potreb
si
senso
(4,7, 16; 8, 19; 5,9,26 ). In questo
anche il passo di Off., 1, 28, 100: ... via, quae deduci t ad convenien tiam conser vation emque natura e (al telos e all'aut oconservaz ione). Infine, l'esser e applic atum alla difesa di quanto
c' di meglio in noi (4,13, 34).
Un grado succes sivo della Ot"dWO"L la concili atio che la
1,
natura produc e, in ogni uomo, sia verso il suo simile (Off.,
42,
(Luc.,
natura
o
4, 12 e 41, 149) sia verso quello che second
In ogni
131; Fin., 3, 6, 21-22; cf. anche concil iari in 3, 5, 16).
caso, il telos stoico ha origine , appun to, da questa concili atio
naturae, dalla Ot"dWO"L che l'uomo sente, per natura , verso il
suo simile 50. La repuls ione che l'uomo sente per tutto ci che
16
5,
3,
(Fin.,
contro natura definit o con il termin e alienari
di
e 18); alienu s in 3, 19, 63; esso corrisp onde ad &OTPLWO"lXL
SVF, 3, 178 = Diog. Laer., 7, 85.
Verso ci che second o natura l'uomo prova quindi una
natura lis appeti tio o appeti /io soltan to: l'agg. l1aturalis, che
non mi pare che si trovi nei testi greci, serve a sottoli neare
la sponta neit della bpll--/j, di cui appeti tio la traduz ione. cf.
Luc., 8, 24, ave il termin e presen tato per la prima volta;
successivo
so La comunanza di tutti gli uomini tra di loro, e cio il grado filosofiche
alla spinta primordiale alla oExdwar., ha larga parte nelle opere itas cum
di Cicerone. Il termine stoico di XOlV<l.)'V(r.( tradotto con commun appare
hominum genere (Luc., 46, 140); meno esplicita mente questo concetto
Ma la ben nota
anche n un testo tradotto da Panezio (Off., 1, 43, 152; 7, 20).
analoghi,
termini
altri
di
servirsi
a
e
Ciceron
spinto
ha
variatio
alla
a
tendenz
3, 20, 65; 4, 2, 4; S, 23,.
Fin.,
(cf.
hLlmani
generis
societas
alio,
congreg
quali
la societas di
65; 3, 20, 6!H>7; 21, 69; Off., 3, 12, 53). In Div., 1, 50, 110, invece,
.
vina indica la (f\)!-L1tcUkl.
Off., 2,
deor.,
la defi:
sione '
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Off., 2, S, 18; Fin., 3, 7, 23; 4, lO, 25; 13,32 e 34; S, 6, 17; Nat.
deor., 2, 22, 58; 3, 13, 33 ecc. Pura variazione di naturalis
la definizione di a natura profecta (Fin., 4,28,78); tale espressione riferita anche ai summa bona in 4, 16, 45; e, se
naturale, siffatto appetitus ingeneratus (Fin., S, 11, 33) o
primus (Fin., S, 8, 23; 9, 24). Alterna con appetitio il termine
appetitus, senza apprezzabile variazione di significato (come
tra visum e visio): cf. Fin., 2, 10,32; 5,6, 17 ecc. L'appetitio I
pulsa (XLV'''''''' in SVF 3, 169) dai sensi (cf. Luc., lO, 30), cio
dalla conoscenza che si ottiene attraverso di essi (Fin., 3, 15,
49). Il verbo corrispondente appetere (cf. Luc., 8, 25: quamodo autem maveri animus ad appetendum patest; Fin., 2, Il,
33; S, 9, 24); cf. anche salutaria appetere in 3, S, 16; res quae
primae appetuntur in 3, 5,17; valuptatem appetere l, 9, 30
(quindi anche in un contesto epicureo). Tutto ci non esclude,
naturalmente, l'impiego di appetit," e appetere in un significato pi generale, non filosofico in senso stretto. Il contrario di
appetere dovrebbe essere pro pulsare (Fin., 5,9,24), pellere (3, 6,
20), repellere (5, 7, 18), declinare (5, 7, 18; Off., 1, 4, 11; Nat.
dear., 3, 13,33); aspemari (2, 10,31; 11,33; 3, S, 16): maggiore
, dunque, la variatia l dove non vi termine tecnico. Oggetto
dell'appetito sono i prima naturae o principia naturalia (Fin.,
3, 5, 17; Acad., 6, 22 ecc.); principia naturae (3, 6, 20), prima
naturalia (Fin., 2, 11, 34), prima secundum naturam (Fin., S, 7,
18-20) corrispondono alla dottrina stoica dei 1tp(;)-roc xoc-roc 'll1.\cnv;
in ogni caso, principia qui va inteso in un senso non dissimile
da prima. Questi prima naturae sono scelti secondo la loro dignH (aestimatio in Fin., 3, 10,34; 12,41; 13,44; 14,47; 15,51;
4, 21, 58; 23, 62; Acad., lO, 36); secondo la loro oc~("', come si
legge nei testi stoici (cf. SVF, 3, 124-126)". Il seguire i prima
naturae secondo la loro aestimatio implica una scelta da parte dell'uomo, scelta implicita nel termine primo', cio una
selectio e una reiectio (Fin., 3, 6, 20; 4, 17, 46): il primo termine corrisponde a /;xoy'~, che si legge in Stobeo Ecl., 2, 79,
l sg. (= SVF, 3, 118), il secondo a OC1tEXOy.\. Sumere il termine che indica la conclusione di questa scelta: ... ea, quae
secundum naturam sunt, ipsa propter se sumenda sint con51 Cf. anche aestimabile (= &~LO'J in SVF, 3, 208) in Fin., 3, 6, 20; 15, SO; 4,
20, 56; ilwestimabile (prima attestazione in Cicerone) in Fin., 3, 6, 20. L'astratto
a.1tIX!o: reso con circonlocuzioni da Cicerone in Acad., lO, 36 e Fin., 3, 15, 51.
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c. MORESCHINI
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citati
bos ai
9; 6,
18 62 (
Gran parte dell'et ica stoica dedica ta a un approf ondimento della dottrin a delle passio ni. Il 7t&"XeLV dell'an ima normalme nte reso con affici (cf. Luc" 24,76: sentire adfici se quodam modo; Fin., S, lO, 30: quema dmodu m affecti simus) .
da
L'astra tto corrisp onden te affecti o, norma lmente precis ato
animi (cf. Fin., S, 22, 63 e 23, 65; lnv,; 1,25,3 6; Tusc., 3, S, lO;,
4, 6, 14: praese ntis autem mali sapien tis adfect io nulla est;
in:'.'
13, 29: vitiosi tas ". est habitu s aut adfect io in 'tota vita'
D
petutE
friva,
defin;
quello
et d i l e c t U ID
58 Cf. anche la variazio ne: sub i li d c i li m sapienti s
61).
[8,
cadunl (Fin., 3,
" Anche declinar e (Olf" I, 4, Il; Tusc" 4, 6, 13),
60 Cf. KILB, o. C., 66.
62 S
servazi(
~ 7t&~
~OU"lX '
con ...
61 Il
1
133
consta ns et a se ipsa dissen tiens; 30: vitia ... affecti ones sunt
manen tes; 15, 34: virtus est adfecl io animi consla ns conveniensq ue) 6l. L'esem pio di Tusc., 4, 13, 29 mostr a che Cicerone,
ricolle gando adfecl io a habilu s si stacca dal signifi cato insito
in adfci, che connes so con 7t<aXtL\I, come si detto sopra,
per accost arsi a quello di g~,. Adfecl io, dunqu e, un palhos
dell'an ima in cui per non inclusa nessun a conno tazion e negativa per quanto la riguar da; o meglio, tale palhos pu essere sia positiv o (e allora si avvicin a al signifi cato di habilu s
della virt), sia negati vo (e allora divent a viliosi las), ma, in
s e per s ,il termin e non ha conno tazion e negativ a. Del resto, anche Stobeo (Eel., 2, 70, 21 = SVF, 3, 104) classif icava
tutte le "",)d"" come a,,,,M,,.,,, ed alcune come g~eL. Le affezioni
dell'an imo in senso negativ o, invece , sono le perlur bation es,
un termin e con il quale Cicero ne vuole tradur re 7<0\1h) e che
divent er usuale dopo di lui per indica re le passio ni che scon
volgon o l'anim o umano ; questa traduz ione ricorre freque ntemente nelle Tusculanae, e Cicero ne la difend e contro quella,
eviden temen te di uso corren te, di morbu s:' cf. soprat tutto la
spiega zione che Cicero ne d in 3, 4, 7: ... perlur balion es animi
fere suni eiusmo di, quae Graeci 7<0\&'1) appell anl; ego potera m
t
m
11'lOrbos', et id llerbun1 esset e verbo, sed in consue tudine
't' 1t&.-&o '" ~ &oyo xcd 7trxp: <pUCH\I ~UX1) xhry)O"L, -~ oP!-L1J 7tEO\la
resa
che
206),
1,
~ou"", = Diog. Laer., 7, IlO; cf. anche SVF,
COn ...
affectio) .
In un altro senso il termine impiegato in Fat.) 2, 7 (astroru m
se OSo
62 Sulla esattezza della traduzione ciceroniana si leggano le minuzio
servazioni del KIl.B, o. C., 4 sg.
61
l
I
"
134
C. MORESCHINI
(
,
63 Alla dottrina stoica del pathos Cicerone torna con alcune interessanti
osservazioni in Tusc., 3, 4, 7-8 e S, 10-11. L'animi commotio, cio il 1t"&~q.o, egli
dice, una insania (= (.I.Ctvla, cf. DIOG. LAERT., 8, 124 = SVF, 3, 664; STOD.) Be!.,
2, 68, 18 = SVF, 3, 663), una mentis aegrotatio et morbu5, id est insanitas (il
nuovo termine probabilmente introdotto per distinguere l'affezione dello
stolto dalla affezione del pazzo, alla quale normalmente riservato il termine
di insania). Un'altra definizione- della pazzia, che ha tutta l'aria di appartenere
a Cicerone stesso, quella che segue: animi adtectio, lumine mentis (cio,
del .6yo) carens (5, lO). A quesfo proposito Cicerone osserva che per distinguere il pathos dello stolto dal pathos del pazzo, la lingua latina pi ricca
di quella greca, perch pu servirsi dei termini insania e turar. Non cos
avviene in greco, perch i termini corrispondenti sono fl.Ci\l[a per insania e
fl.CtYXOLCi per turar. Siffatta distinzione pi calzante in latino, in quanto
il turar non dipende solo dall'atra bilis, mentre per quest'ultimo tipo di turar
il greco non ha un termine corrispondente.
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Tusc.,
3,400
T0 SOl<
FILOSOFICO DI CICERONE
OSSERVAZIONI SUL LESSICO
13S
136
C. MORESCHINI
essa praesentium bonorum (Tusc., 4,6, 11), una Op!11lO recens boni praesentis (4,7,14), vale a dire, una 361;" "p6cr'P"TO
&y,,%oi) ""poucr,,, (cf. SVF., 3,391) 64. Ed ecco un'altra definizione, quella della libido, una cupiditas ... quae est immoderata
adpetitio opinati magni boni, rationi non obtemperans (Tusc.,
3, 11, 24; cf. 4, 6, 11 e 12; 7, 14): cf. I:",%uf"" &oyo 6PE1;, ~
3,01;, "pocr30"(f'l:vou &y,,%oi) (SVF, 3, 391; cf. anche 3, 396; 463;
386 ecc.).
Per quanto riguarda, invece, gli aspetti negativi della perturbazione, essa si divide, sempre a seconda che l'opinione riguardi il presente o il futuro, in aegritudo e in metus. La
aegritudo , detta in breve, la opinio mali praesentis (Tusc.,
3, 11, 24-25; 30, 74; 31, 75; 4, 4, 8; 30, 64). Vale a dire, essa
una 361;" "p6cr'P"TO """oi) ""poucr,,, (SVF, 1, 212 (Zenone); 3,
463 e 481; 3, 391 (Crisippo)), cio una 7t'Y). Siffatta opinione
caratterizzata anche dal fatto che animos demittunt (scl.,
gli aegri) et contrahunt, rationi non obtemperantes ... aegritudo sit animi a d v e r s a n t e r a t i o n e c o n t r a c t i o =
&oyo crUcrTO~ (SVF, 3, 391); crUcrTO~ <jJuxij &"EL%~ 6y'1' (3,
394; cf. anche 392; 386).
Si dice anche dell'aegritudo: quasi morsum aliquem doloris efficiat: la immagine del 3'lYf' attestata anche da Plutarco, de virt. mor., 9, 449 A (= SVF, 3, 439) 65. Infine, il metus, che opinio impendentis mali (Tusc., 4, 7, 14 e 3, Il, 25;
oppure: futurae aegritudinis sollicita exspectatio 5, 18, 52).
Vale a dire, il timore ('P6~o) una "pocr30"'" """oi) (SVF, 3,
407 = Diog. Laer., 7, 112). Ma esistono anche altre definizioni
del timore: esso una declinatio sine ratione et cum exanimatione humili atque fracta ... (Tusc., 4, 6, 13), cio: g""Lcr,
"Ept ",,%wv ( SVF, 3, 391; 394; 411; 445); il timore (efficiet) recessum quendam animi et fugam (Tusc., 4, 7, 15): cf. pom), "",
Et1;EL di Plut., de virt. mor., 7, 446 (=.SVF, 3,459)66.
64 Alla laetitia si contrappone il gaudium (Tusc., 4, 6, 13 = Xctpri, cf. ALEx.
APHROD., comm. in Aristat. Top., 2, p. 96 Ald. = p. 181, 3 Wallies = SVF, 3,
434), che proprio del sapiente, come osserva SEN., epist., 59, 2 (= SVF, 3,
435).
65 Un'altra importante definizione quella di Tusc., 3, 25, 61 (= SVF, 3,
485: attestata solo da Cicerone?): ipsarn aegritudinem ,tnn)'J Chrysippus
quasi solutionem totius hominis -appellatam putat ...
66 Cf. anCOl"a infraetio animi eI demissio di Tuse., 3, 7, 14. Un'altra defi
nizione che si incontra la segente: ... alti autem metum praemolestiam
appellabanI; quod esse! quasi dux cOI1.sequentis molestiae (Tusc., 4, 30, 64).
Si tratta di'una definizione di PLA~., Resp., 584 c, ave si parla di TCpoU1t~cret.
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137
Cicerone esamina poi (Tusc., 4, 7, 16 sgg.) le varie perturbazioni che si classificano sotto queste principali: lo scrittore procede seguendo senza dubbio un manuale stoico sul.l'argomento, del tipo di quelli che usarono anche Andronico
di Rodi, Diogene Laerzio, Nemesio di Emesa, Stobeo ecc., e
che si leggono nel terzo volume degli Stoicorum Veterum
Fragmenta. Nella aegritudo rientra la invidentia (4,8,16), che
aegritudo suscepta propter alterius res secundas, quae nihil
noceat invidenti (8,16), cioq>&6vo ,,'Ij o,,'.xo,"p(o, .xya&o(cf.
(cf. SVF., 3,413,416 ecc.); l'aggiunta quae nihil noceat invidenti
sembra essere stata un'aggiunta di Cicerone medesimo, che
egli poi sfrutta con l'esempio che adduce 67. La aemulatio
aegritudo, si eo quod concupierit alius potiatur, ipse careat (8,
17; cf. 20,46) = -~~o Ll7t"f) i7tt. "t'c7) "t'EPOV "t'UYX&.\lEL\I 6)\1 ct"t'
btL&Uf'EL (SVF, 3,414); la obtrectatio corrisponde, come osserva
Cicerone stesso, alla ~'ljo't"U,,(q., ex eo quod alter quoque potiatur eo quod ipse concupiverit (cf. anche 4, 26, 56) = i7tt '"0
&o, ""PXELV &. "al ~f'i:v m'PXE' (SVF, 3,414); misericordia
est aegritudo ex miseria alterius iniuria laborantis (8,18; cf.
anche 3,10,21) = ~eo U7nl 7t' &o"t'plm XlXXOi:, &VC(~ll 7t<XaxO\l"t'o xdvou; angor aegritudo premens = &X.&o UTtYj ~Cl.pU
vou"a; luctus aegritudo ex eius qui carus tuerit interitu acerbo
=' Tt~v.ao 1-U1t"/} td &:wp~ Te:EUTil ; maeror aegritudo flebilis =
b8uvYj UTtYj dcrOUVOUO'lX XlXt ~El:lX; aerumna aegritudo laboriosa =
6Sv'lj M,,'Ij ."(,,ovo(SVF, 3, 412); dolor aegritudo crucians =ov6
X'Ij", ,,'Ij "'t"EVOxwpou"a"; la sollicitudo aegritudo cum cogitatione (q>pont OY'''f' U1touf'0vou, SVF, 3,414). Per quanto
riguarda, invece, la lamentatio (y6o), la molestia (.xv(a), l'ad{lictatio, non siamo riusciti a trovare delle definizioni greche
corrispondenti a quelle di Cicerone.
Per quanto riguarda il metus, si pu osservare: pigritia
metus consequentis laboris (= 6"vo q>6~o !J.EO"'lj ""Epyela
in SVF, 3, 407-409), terrorem metum concutientem (= So '1'6~o cruvSwv), timorem metltm mali adpropinquantis (8, i9) (=
67 Un'etimologia di carattere puramente ciceroniano quella che leggiamo
in Tusc., 3, 9, 20: ... ab invidendo autem invidentia recte dici potest, ut effugiamus ambiguum nomen invidiae. In che cosa consista questa ambiguit
detto poco dopo (21): invidentia aegritudo est ex alterius rebus secundis.
68 In Tusc., 2, 15, 35 leggiamo un'altra definizione del dolore: motus asper
in eorpore alientls a sensibus. Sarebbe, secondo il POHLENZ (ad 1.), la definizione del cirenaica Aristippo: xtv'I'Ja~ "PClXeLCl tij aa:px6.
C. MORESCHINI
138
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discor dia (ira acerbi or intimo animo et corde concep ta) non
ha un esatto corrisp onden te greco; seguon o l'indig entia e il
deside rium: la prima libido inexpl ebilis = (forse) "","v.
non"'&uf'('" &TE1) (SVF, 3,397) , il second o libido eius, qui
dum adsit, vidend i = (f'EPO m&uf't" 'l'tou &1t6VTO f"t",
'
(ibidem ).
Tutte le pertur bazion i hanno ongme dalla intemp eranti a
(9, 22): questo termin e partico larmen te felice per indica re
la manca nza di ""''l'poaUv1J (resa in latino con temper antia), e
divent er acquis to durevo le del lingua ggio filosofico. Cicero ne
spiega che compi to della temper antia quello di sedare le
adpeti tiones (T 1t",pXElV Ta pf'a E"T",&Ei: = SVF, 3, 280) ut
eae rectae ratian i parean t (~yxpehEtOC oLocih:a( anv &VU7tp~C('t'o
o"t"cxt : b >UX"t"txCv "t"oc
T6lV XIX:TcX 't'v p&v ).6yov qJa.VVTWV iyx.pcx:re:
275); cf. anche pi
3,
SVF,
=
1t",pa Tv 6p&v l.6yov pf'a
ne presen ta non
Cicero
oltre (15, 34). La definiz ione che qui
3, 5, 11; 4,
O, pi breveme nte, ira (o iracund ia) ulciscen di libido (Tusc.,
si gi
che
quella
a
richiam
ia
iracund
e
ira
tra
ne
19, 44; 37, 79). La distinzio
incontra ta in Tusc., 3, 9, 20, tra invidia e invident ia.
radil
guit.
rend
PPU1
nes'
opin
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ibid.
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70
~CICERONE
139
140
C. MORESCHINI
/ Quello che Cicerone pone come alternativa meglio specifcato da Stobeo, Ee/., 2,70, 21 (= SVF, 3, 104; cf. anche 1,202):
( ol.aiMaeL (.L:v 't'cXc; xcxxtac; 7tiX(J'(xe;, !;Et<; 3: J.L6vov 't'ae; EXIX't'CXCPOptGtc;,
otov T1jv '!'1tovep(cxv ecc. Essa, dunque, si contrappone, in questo,
alla virtus, come osserva lo stesso Stobeo, ibid.
Col termine vitiositas lo scrittore vuole rendere il greco
xcxx(ex, come egli spiega poco oltre (15, 34, e come aveva detto
nche in Fin., 3, 11, 39: quas enim Graeci xcxx[cxv appellant, vitia malo quam malitias nominare) 71; comunque, nella traduzione latina sembra essere andato perduto il carattere psichico che era implicito nelle definizioni greche (cf. SVF, 3,760:
OY(XV ~ 6yo '1j!J.CXPTI)fLvO). Tutta la sezione di 29-32 assai
confusa, e non vi si riesce a cogliere un filo logico preciso:
la questione fondamentale quella del parallelismo tra i mali
e la salute del corpo e i mali e la salute dell'anima: la salute
frutto di una temperatio nell'uno e di una temperantia nell'altra. Qui lo' scrittore latino pu meglio giocare sull'assonanza delle parole, che non il greco i cui termini tecnici sono
EXPCXO'tOC e (iwcppocroV1J, nonostante che all'occasione (SVF} 3,
278) si incontri 'la applicazione di e!>xpcx<Jtcx sia al corpo sia
all'anima. In ogni caso questa sezione assai povera di termini tecnici.
Contrapposta alla condizione perturbata dell'animo quella serena e tranquilla, prodotta solo dalla sapienza, che indicata con una certa incertezza di termini. Il pi comune
constantia, che dal Reid ricondotto alla stoica 6fLOOY(CX in noI la a Luc., 8, 23: ... sapientiam, quae ipsa ex sese habeat con\ stantiam. Poich ci muoviamo in un ambito stoico, la tran'quillit dell'animo strettamente collegata alla sapienza: er~o ut constantia scientiae, sic perturbatio erroris est (Tusc.,
37, 80); ... ad rerum igitur scientiam vitaeque constantiam
!aptissima cum sit mens hominis (Luc., lO, 31); mens constans
! (Nat. deor., 1, lO, 24); aequabilis, si legge in Tusc., 2, 27, 65.
/ La constantia a cui si fa riferimento , dunque, la naturae constantia, dalla quale si allontanano coloro che sono in preda
alle perturbazioni (cf. Tusc., 4, 6, 11; 17, 38; 21, 47), e che invece desiderata dalla natura stessa dell'uomo: recta enim
et convenientia et constantia natura desiderat aspernaturque
contraria (Off., 3, 8,35). Constantia varia con moderatio (Tusc.,
f'
Vitiosus (Tusc., 4, 28, 60; 37, 81; Fin., 3, 21, 72) comincia la sua vita con
Cicerone?
71
4,17, "
Dall'e,
mi sia
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42 C!CpotreI:
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FILOSOFICO DI CICERONE
OSSERVAZIONI SUL LESSICO
141
142
C. MORESCHINI
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75 Cf.
19642, 41 ,
76 La
4, 13, 32:
nali che:
77 Cf.
termine g
143
con Epicuro, per rifiutare la sua dottrina edonistica, il cui intellettualismo nei calcoli dei piaceri e dei dolori, che eventualmente ne conseguirebbero, permetterebbe una mediocritas vitiorum (Fin., 2, 9, 27). Un'altra dottrina di origine aristotelica
quella della virt come ~&o, che Cicerone enuncia in Acad.,
5, 20 (morum autem putabant (scI. gli antichi filosofi) studia
esse et quasi consuetudinem); Fin., 5, 25, 74 ( ...consuetudine
quasi alteram quandam naturam effici ...).
Fa parte della dottrina antiochea della virt, come giustamente aveva gi indicato W. Theiler ", la concezione che in
ciascuno di noi insita fin dalla nascita una scintilla di virt,
che poi si sviluppa, nel corso della vita, fino all'et adulta ".
In questo contesto, allorch Cicerone (Fin., 5, 15, 43) dice:
... in pueris virtutum quasi scintillas videmus, il termine scintilla traduce "l&Uyl'-"'"", che riscontriamo in un testo pi tardo, che riproduce la dottrina di Antioco (Albino, Didask., p.
178,8).
Una variazione di scintilla il termine ignicu/us, che Cicerone impiega in Tusc., 3, 1, 2 (nunc parvu/os nobis dedit
ignicu/os, scl. natura) e Leg., 1, 12, 33. Per esprimere la stessa
concezione di Antioco di Ascalona (a lui essa deve essere attribuita, perch si riscontra solo nel quarto e quinto libro del
De finibus) Cicerone si serve del termine semina (Fin., 5, 15,
43: ... virtutum ... quarum in se habent semina; 4, 7, 17: de
animi bonis accuratius exquirebant in primisque reperiebant
inesse in iis i u s t i t i a e s e m i n a; 7, 18: ... his i n i t i i s 77
ut ante dixi, et s e m i n i bus a n a t u r a d a t i s , temperantia modestia, iustitia et omnis honestas perfecte abso/uta est; Tusc., 3, l, 2). In Antioco doveva trovarsi probabilmente il termine a7ttpl'-<X'"'" dato che questa sembra essere una applicazione antiochea all'etica della dottrina stoica del 1-6yo
cmEp!-LiX't'~x6_
144
C. MORESCHINI
soltanto inchoata (Fin., S, 15, 43; 21, 59; Leg., 1, 9, 26-27; lO,
30), cos come inchoatus l'uomo alla nascita (Fin., 4, 13, 3435) ". Parallelamente' alla inchoatio delle virt, anche le communis intelligentiae sono inchoatae: communis intellegentias
nobis natura effecit, easque in animis nostris inchoavit (Leg.,
l, 16,44). Ma accanto ad inchoare (forse perch non troppo elegante) Cicerone adoper anche adumbrare, senza differenze di
significato: ... haec honesta, quae intellegimus, a natura tamquam adumbrantur (Fin., 5, 22, 61).
Per definire la ctv-r""oou&l" delle virt, sostenuta dagli
stoici (cf. SVF, 3, 295 sg.) Cicerone ricorre normalmente a delle perifrasi: le virt sono, infatti, colligata atque implicata
(Off., l, 5,15), copulatae conexaeque ut ... nec alia ab alia possit
separari (Fin., S, 23, 67); nexae et iugatae (Tusc., 3, 8, 17): insomma, qui unam habet omnes habet virtutes (Off., 2, lO, 35;
cf. anche la parafrasi di Tusc., 2, 14, 32).
In modo parimenti vado, ma, sostanzialmente, univoco,
resa anche la 1tpO"01t~ stoica: progressio ad virtutem (Off.,
3, 4, 17; Acad., S, 20; Fin., 4, 24, 66-67). E ancora: virtutum
progressio (Fin., 4, 7, 17), ad virtutem procedere (4, 9, 21);
procedere et progredi in virtute ecc. (Fin., 4, 23, 64).
La sapienza definita come ars vivendi, quae ipsa ex sese
habeat constantiam (Luc., 8, 23; cf. anche sapientia ars vivendi
in Fin., l, 13,42, ave parla l'epicureo Torquato; ars vitae in
Tusc., 2, 4, 12; Fin., S, 7, 18). Siffatta definizione dsale, in ultima
analisi, ad Aristotele, come gi il Reid aveva osservato, ed aveva
avuto ampia diffusione nelle filosofie ellenistiche; se consideriamo, inoltre, che essa si trova, nel Lucullus, in un contesto
che sembra doversi far risalire ad Antioco di Ascalona, non
azzardato, forse, pensare che per siffatta definizione della sapientia (cro'P("), Antioco riprenda quella degli antiqui, cio di
Aristotele. La constantia di cui si parla dovrebbe essere la
f!ooytex, che si incontra, latinizzata in conveniens actio, in
Fin., 3, 16, 55 (v. supra, 127). Poich il contesto di Fin., 3, 16,
55 esplicitamente definito di origine stoica, si potrebbe de78 La spiegazione di tale dottrina data in Fin., S, 21, 59: etsi dedit talem
mentem, quae omnem virtutem accipere posset, i n g e n u i t q u e sine doctrina n o t i t i a s p a rv a s rerum maximarum et qu.asi i TI S ti t ui t docere et induxit in ea, qllae inerant, tamquam e 1e m e n t a v i r t u t i s. Sed
virtutem ipsam i n c h o a v i t, nihil amplius.
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82
FILOSOFICO DI CICERONE
OSSERVAZIONI SUL LESSICO
145
146
C. MORE5CHINI
zia una ... animi affectio suum cuique tribuens atque hal1c ...
societatem coniunctionis (= "OLV"'V[") humanae munifce et aeq;'e tuens iustitia dicitur (Fil1., 5, 23, 65). La prima parte della
definizione 'senz'altro la pi nota e la pi comune; Cicerone
la ripresenta poco pi oltre (5, 23, 67), in Nat. deor., 3, 15, 38,
in De inv., 2, 53, 160, mentre la seconda parte riecheggiata
in Off., 3, 33, 118: iustitia ... olnl1esque eae virlules, quae in
communitate cernuntur et in societate gel1eris humal1i. La definizione stoica suona come ~7ttcrTf)!J-"ll &7tOVEtJ-7j't"LX~ -rij &~(lX
~"cX"1~ (SVF, 3, 262 sg.): essa sembra, 'quindi, contrastare con
quella ciceroniana, che non parla di scientia, come si richiederebbe, bens di animi affectio; tuttavia, anche' Andronico
(SVF, 3,266) parla di ~~. cX1tOVEfl.1j1,,(1). Strettamente connessa
con la giustizia la sanctitas, perch questa virt regola i rapporti degli uomini con gli di nello stesso modo in cui la giustizia regola i rapporti degli uomini con gli uomini. La definizione stoica cos. suona: OO'LOTI), 8LXtOcruv7j 7tp &Eaue:; (SVF, 3,
660; cf. anche 2, 1017), riprendendo, in fondo, un'analoga dottrina platonica (cf. Euthyphr., 12 e); Cicerone rende la b"L011j
ora con sanctitas (... est scientia colendorum deorum, Nat.
deor., 1, 41, 116; cf. anche 115 e 122) ", ora con pietas (esi
enim pietas iustitia adversum deos in Nal. deor., 1, 41, 116;
Fin., 3, 22, 73), cos come nei testi stoici 6".611j alternava con
eU"<~<L" (cf. SVF, 2,1017; 3,273). Resta da esaminare, tra le
quattro virt fondamentali della tradizione platonico-stoica, la
fortitudo (&vapd,,), definita da Crisippo come scienlia rerum
perferel1darum vel adfectio animi in patiendo ac perferel1do
summae legi parens sine timore (Tusc., 4,24,53; cf. 5,14,41;
De inv., 2, 54, 163: cf. SVF, 3, 263: t",,,11)fl.1j ... 61tofl.eve1<"'v
XlXt OX U7tOfLEVE't'tW\I XlXt ou8e:-rp<v; 1. 201 (<pPO\l1)ow &v 7t0/-LYjve:1<0": : definizione di Zenone) ". La definizione stoica, quale
resa da Cicerone, sembra, dunque, pi estesa ed esauriente delle definizioni greche; altrettanto deve dirsi delle tre definizioni della fortezza secondo lo stoico Sfero, che si incontrano solamente in Cicerone (fortitudo est adfectio al1imi
- l'uso di adfectio animi si era gi incontrato a proposito delvirt degli Epicurei: il compit~ della prudenza consiste nel legere
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83 La m6't""fl resa con reIigiositas da APUL., De Plat., 2, 7, 229.
8S
Leipzi,
86
termir
147
la giustizia - legi summae (plt yo, come nella definizione di Crisippo) in perpetiendis rebus obtemperans vel conservatio stabilis iudicii in eis rebus quae formidolosae videntur, subeundis et repellendis vel scientia (= 'PP6v'),n come in
Crisippo e Zenone) rerum formidolosarum contrariarumque
aut omnino neglegendarum, conservans earum rerum stabile
iudicium (Tusc., 4, 24, 53 = SVF, 1,628; 2,266; 274).
. Strettamente connessa con la fortitudo la magnanimitas,
come si legge in Tusc., 3, 7, 15, che rende il greco fLeYlXo~uX(lX;
magnificentia in De inv., 2, 54, 163; pi frequente il nesso
magnitudo animi (cf. Fin., 3,7,25; 4,7, 17; 8, 19; Tusc., 1,26,
64; 29, 71; 2, 13, 32; 22, 53; 5, 28, 80; Off., 1, 4, 13; 19, 63-65
ecc.), che concetto tipico dell'etica romana ". Tale concetto
si trova unito a quello di excelsitas (neoformazione) in Off., 3,
5, 24 e ad excellentia in Off., l, 5, 17, per evidente amplificazione retorica; tale amplificazione ancora pi sensibile in Off.,
3,25,96: .... in animi excellentis magnitudine et praestantia ".
Ultima delle virt fondamentali dell'animo la cr",<ppocrv'),
che in latino resa, con fortunata traduzione, mediante temperantia (cf. Tusc., 3, 8, 16). Per questo termine, tuttavia, Cicerone dichiara (Tusc., 3, 8, 16) di usare (e in effetti usa: cf.
Tusc., l, 26, 64; 3, 17, 36; 4, 16,36; Off., 1,27,93; 3,25,96) anche moderatio e modestia. Sono traduzioni non peggiori della
precedente, ma vennero poi abbandonate perch temperantia
acquist sempre di pi il significato di moderazione nelle passioni, autocontrollo sui propri istinti " mentre moderatio e modestia sono di impiego pi vasto (del tutto abbandonata fu,
invece, la proposta di traduzione, avanzata dall'Arpinate nel
medesimo passo di Tusc., 3, 8, 16 di ""'<ppocrv') con frugalitas);
Cicerone stesso, del resto, abbandon questa identificazione di
""'iPpoav') con modestia nel De officiis, come vedremo subito.
Quanto alla definizione della temperanza, Cicerone insiste soprattutto sul carattere di moderazione, di freno delle
passioni, ad opera della ragione: cf. Tusc., 5,14,42 ( ... moderatio omnium commotionum); Fin., 2,19,60 ( ... moderatio cupiditatwn rationi oboediens; cf. anche Off., 1,27,93; Fin., 1,14,
47; S, 23, 67; De inv., 2, 54, 164; Nat. deor., 3, 15, 38). Siffatta
85 E' noto il classico studio di R. HEINZE, Vom Geist des Romertums,
Leipzig-Berlin 1938.
86 Si accompagna alla magnitudo animi la despicientia (Tusc., 2, 13, 32): il
termine sembra essere neoformazione ciceroniana.
148
C. MORESCHINI
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150
C. MORESCHINI
stesso (cf. Fin., 1, 11, 37; 3, 10, 35; 4, 12, 31; Tusc., 2, 7, 18; 3, 18, 40; 5, 31, 88).
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152
C. MDRESCHINI
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153
154
C. MORESCHINI
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103 I~
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155
cos come inanitas di inane, ed entram be neofor mazio ni ciceroniane; all'occ asione , Cicero ne cerca di determ inarle meglio (ma
siffatta determ inazio ne mi sembr a, tutto somm ato, infelic e)
con l'aggiu nta di lacoru m (Nat. dear., 1, 26, 73) o con la reduplic azione di innum erabili tas munda rum (nei testi epicur ei
si legge" solo: ci fl~v Ixcxl x6afloL /"mpot daIV, Epist. Herad.,
45) (ibidem : cf. anche innum erabile s mundi in Fin., 1, 6, 21)
e innum erabil itas atama rum in Nat. dear., 1, 39, 109. Si ricordi anche la famos a traduz ione di flETcxx6aflLcx (Epist . Pythacl.,
89) con interm undia (Nat. dear., 1, 8, 18). In ogni caso, solo
infinitas ha avuto una vita che si prolun gasse dopo Cicerone.
L'univ erso (T 1<iiv) reso con univer sitas (rerum ) (Nat.
dear., 1, 15, 39 e 43, 120; Tim., 2, 6: cf. l'espre ssione infinit as
rerum, che si or ora incont rata); oppur e univer sum (Tim., 5,
14). Il concet to, comun que, non di uso esclus ivame nte epicureo: nei tre passi or ora citati esso si riferis ce a Crisipp o,
a Democ rito, a Platon e. Altrov e si incont ra amne (Div., 2, 50,
103), amnia (Luc., 55, 117-118; Tusc., 1, 18, 42), amniu
m rerum discrip tia et madus (Nat. dear., 1, 11, 26). A conclu sione
di quanto risulta to finora, ci sembr a che la termin ologia filosofica di Cicero ne, per quanto attiene alla cosmo logia epicurea, abbia sentito fortem ente l'impo rtanza del preced ente del
poema di Lucrez io (che pure, come noto, l'Arpin ate non nomina mai): quasi nessun o dei termin i tecnici epicur ei reso
da Cicero ne in modo differe nte da come li rende Lucrez io, con
l'unica eccezio ne di aequilibritas, che stato ripreso solo da
Caleidio (Tim., 32), ma che ha saputo render e perfet tamen te la
(aov0l-'lcx epicur ea (cf. Nat. dear., 1, 19, 50; 39, 109), una dottrina che, tra l'altro, neppure si incontra in Lucrezio 102.
Per quanto riguar da, invece, gli daCcx essi sono resi correntem ente con imagin es (in Luc., 40, 125 e Nat. dear., 1, 12,
29; 38, 105 e 107; 43, 120, ecc. il termin e, sempr e traduz ione di
EtaCCX, rientra nell'am bito della fisica democ
ritea): cf. Nat.
dear., 1, 19, 49; 26, 73 IO'; 38, 106-107; 39, 109; 41, 114; Fin., 1,
102 La dottrina epicurea della .VTo:v(Xn~p(l)(Jr.
(cf. Epist. ad Herod., 48)
resa nel De nato dear., insistendo sulla ptar. ... OUVE:xi): cf. 1,
37, 105:
ne
que deficiat umquam ex infinitis corporib us similium a c c e
5 i o; 39, 109:
c o n t n e n t e r imagines f e r r i; 41, 114: ... cumque ex ipsoS imagine
s sem
per aflua nt.
103 Isolatam ente (Nat. dear., 2, 30, 76) Ciceron
e distingu e tra i
mocritei e le imagine s di Epicuro. Non si ancora riuscito simulac ra dea trovare una
spiegazione convincente per siffatta, isolata, distinzione.
o
156
C. MORESCffiNI
6, 21 ecc. Simulacrum talora impiegato da Cicerone in questo senso; si trova, anche rerum effigies, ma mi sembra un
impiego limitato a Nat. deor., l, 39, 110 (omnis tamen ista
rerum effigies ex individuis quo modo corporibus oritur?).
Gli di, infatti, stando alla interpretazione che Cicerone d
della teologia epicurea, sarebbero solo composti da imagines,
sarebbero privi di soliditas (I, 37, 105 e 19, 49), che spetta, invece, agli O'T'E?(.LIJ~C(.
Alla fisica epicurea, cos autonoma e compiuta anche nel
suo lessico, si contrappone la fisica stoica, che riprende, sostanzialmente, motivi e termini della fisica platonica. Preliminari alle nostre osservazioni sulla fisica platonico-stoica sono,
per, alcune considerazioni sull'uso di materia, che, come equivalente di 6,,'1, non dell'uso epicureo, ma, come termine generico, frequente anche nel poema lucreziano. "1'1, tuttavia, doveva essere, nelle filosofie postaristoteliche, di uso comune: noi ne troviamo la traduzione (materia, appunto) sia nell'applicazione alla fisica di Anassagora (Luc., 37, 118: probabilmente da un manuale dossografico), sia per quanto riguarda
la filosofia stoica (cf. materia rerum in Nat. deor., 3,25,65 e 39,
92), sia in quel particolare miscuglio di stoicismo e platonismo
che fu la fisica di Antioco. Negli Academica leggiamo che la
materia consiste nell'elemento passivo (... in eo autem quod
efficeretur - su questo termine dovremo tornare presto materiam quandam, scI. esse censebant: 6, 24); nell'essere il
sostrato (subiectam ... omnibus = UTtoxdfL"vov, cf. 7,27) lO'; priva di ogni forma (sine ul/a specie = &vd3EO) e di ogni qualit
(carentem omni qualitate = Ii.TtOLO, si noti la variatio con la prima determinazione negativa) (ibidem). Ancora, la materia
cohaerens (6, 24), cohaerens et continuata lO', cio (J1)VEX.~ (7,28).
Di essa esistono partes (fL6pl.tJ() (ibidem). La materia, formata
dalle singole specie, costituisce il corpus (= ";;;fL":: una traduzione che si imponeva da sola) (6, 24; cf. anche Tim., 28b e 31b),
da cui l'aggettivo corporatus in Tim., 2, 5 e corporeus (Tim., 4,
13); all'inverso (incorporeus) Cicerone sembra preferire le peri- .
frasi come expers ... corporis (Acad., lO, 39); oppure: nec vero
aut (
corp'
pore
della
costi
ge in
sto,
~
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cont(
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vend.
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za si
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corri
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si ve,
da ql
creta
dam,
106
to, da
spcs
107
Cf. anche l'immagine di Fin., 3, 18, 61: ... subiecta quasi materia sa
pientiae ...
IOS Qui (Acad., 7, 28), come osserya il Reid, natura equivale a ukl').
104
palior.
108
bilis
157
aut quod efficer et aliquid aut quod efficer etur posse esse non
corpus (ibidem ); sine corpor e (Nat. deor., 1, 12,30) ; carens corpare (Nat. deor., 1, 13, 33). Corpus, comun que, fa parte anche
della termin ologia epicur ea: il quasi corpus e il quasi sangui s
costitu iscono la natura degli di second o Epicur o, come si legge in Nal. deor., 1, 18, 49 e 27, 75. I compo sti atomic i, del resto, sono corpus, second o Epicur o: cf. Nal. deor., 2, 32, 82,
che segue una diffusa termin ologia lucrez iana. Il termin e O'T<to
pp.v<lx stato conser vato intatto , non tradot to, ma spiega
49:
19,
1,
deor.,
Nat.
di
contes tualme nte nella afferm azione
... ea quae iIIe (scI. Epicur o) prople r frmita lem O'T<pp.vt<" appellai.
La coppia di termin i oppost i "O"LV!"OCO'X<LV, di uso comune nelle filosofie postpla tonich e,. e presen tata in Tim., 6, 18,
resa con una certa difficolt, tipica della manca nza di un linguaggi o filosofico preciso , in Acad., 7, 26: ... aer et ignis movendi vim haben l et efficiendi, reliquae parles 106 accipi endi el
quasi palien di, aquam dico et terram. I termin i tecnici sono
efficie ndi e patien di 107, ma entram bi sono accom pagna ti da
altri due termin i, ispirat i a differe nti criteri . L'aggi unta di movendi pi un'inte rpretaz ione che una traduz ione, accipi endi
sembr ava a Cicero ne meno crudo del pi esatto palien di lO', per
cui ha credut o cpport uno aggiun gerlo. Questa stessa incerte zza si riscon tra ancora nell'am bito della medes ima esposi zione,
e cio quella di Varron e negli Academica, che deriva ta da Anlioco: in 6, 24 nuova mente impieg ato efficio, ma il suo
corrisp onden te diverso : de Ilalura autem ... ita diceballt, Lli
eam divide renl in res duas, ul altera essei efficie ns, altera autem quasi huic se praebens, ex eaque efficer elur aliquid . Come
si vede, palior anche qui evitato . Molto spesso efficio passa
da questo signifi cato pi astratt o di ' agire " a quello pi concreto di ' creare " ' produ rre ': cf. Acad., 7, 27: materi am quandam, ex qua omnia expres sa atque effecta sint; 7, 28: et illa
106 Termine
to, da un lato,
spesso usato
107 In Nat.
palior.
di uso improprio per elemenl um, ma tale uso forse dovua un desiderio di varia/io, dall'altro al fatto che element um
per indicare l'atomo epicureo.
e
dear., 3, 12, 29 analoghi di accipio sono conside rati tero
158
C. MORESCHINI
specl
nersi
stessI
tanto
rend,
cerar
era 1:
trer
leio.
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159
specie s il1 divisiol1e formae, mentr e egli prefer irebbe mantenersi fedele a forma in ogni caso. In ogni modo, Cicero ne
stesso dichia ra che con forma egli rende elSo<;, mentr e altrettanto esplici tamen te nell'Or ator (3, lO) egli sostien e che forma
rende 1Ma. Da queste afferm azioni potrem mo ricava re che Cicerone non disting ue tra dSo<; e 1So:: probab ilment e questa
era una caratte ristica di Antioc o di Ascalona, e che si riscontrer anche pi tardi, nel medio platon ismo latino, con Apuleio. Di conseg uenza, Cicero ne non ha motivo di disting uere
forma da species, che egli consid era equiva lenti nel significato,
,
se non in base a criteri linguis tici - gramm aticali , in quanto
cio (come egli spiega nel passo citato di Top., 7, 30), il plur.
di specie s non di uso comun e. Un esemp io tipico del procedimen to di Cicero ne dato da un passo di Acad., 9, 33, ove,
dopo che si era parlato delle formae di Platon e, lo scritto re
proseg ue: Aristo teles primu s species, q u a s p a u I o a n t e
... ;
d i x i, labefec tavit, quas mirific e Plato erat ample xatus
imipsas
imer
dicere
id
cos pure in Luco, 18, 58: ... 11011 vas
pressiol1es l1ihil il1teresse, sed il1ter s p e c i e s e t q u a s d a m f o r m a s e o rum; jnfine, accant o alle afferm azioni
dei Topica e dell'Orator, circa la corrisp onden za di elSo<; e tMo:
con forma, in Tusc., 1, 24, 58 e Acad., 8, 30 Cicero ne dichia ra
che egli intend e species come traduz ione latina di tSo: e in
Tim., 7, 22 traduc e elSo<; del testo platon ico con species.
Accan to a questo impieg o di tipo platon ico, sia specie s
sia fOl'lna posseg gono altre accezi oni filosofiche. Species, oltre al signifi cato, pi ovvio, di . aspett o' (cf. Tusc., 2, 22, 52;
e
4, 13, 30 e 14, 32; Off., 2, 9, 32 ecc.), in Luc., 17, 52 assum
in
quello di . immag ine' (at el1im, dum videl1tur, eadem est
soml1is species eorwn quae vigilal1tes videmu s; cf. anche Div.,
2, 62, 128): siccom e siamo nell'am bito della discus sione sulla
percez ione catalet tica, qui specie s non dovreb be essere molto
divers a da visum. Invece , in un contes to epicur eo, il medes imo termin e indica verisim ilment e gli <',S"'O:: cf. specie s divil1a
in Nat. deor., 1, 13, 34; 18, 46-47; 19, 49; 27, 75; 37, 105 (speciem dei percip i cogita tione, 11011 sel1su); 38, 107 (fac imagin es
esse quibus pulsen tur animi: specie s dumta xat obicitu r quaedam ... ); Div., 2, 67, 137 (specie s et imago). Qualco sa di pi
concre to e di pi generi co insiem e si legge in Nat. deor., 1, 27,
77: specie s istas homil1 um conlat as il1 deos, ave si parla del-
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160
C. MORESCHINI
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49. Il
FlLOSOFICO DI CICERONE
OSSERV,\ZlONI SUL LESSICO
161
162
c. MORESCHINI
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163
per indica rei pianet i; le stellae inerra ntes (Nat. deor., 2, 21,
54) o infixa. caelo. (Nat. deor., 1, 13, 34; certis infixa sedibu s
Tusc.,. 5,24, 69); per indica re le stelle fisse; le comete , definit e,
con tradui ione lettera le, cincinn atae (= l<0flij.,.<x,) in Nat. deor.,
2, 5, 14;, ir signife r orbis (Nat. deor., 2, 20, 53; Div., 2, 42, 89)
per lo zodiac o; la conver sio il movim ento di rotazio ne del
cielo (Tusc .,), 25, 62-63; 28, 68; Nat. deor., 2, 5, 15; 34, 88; 1,
9,.2l;.J ,eg.,_1 ,jlJ 2~);la humili tas l'esser e bassa sull'or izzont e
(detto di una stella in Div., 2, 43, 91). Delle stelle si sottoli nea l'aequ abilita s motus (Nat. deor., 2, 5, 15; 18, 48; 19, 49;
35, 90 ecc.; aequab ilitas isolata mente impieg ato anche per
indica re li'- manca nza di emotiv it dell'an imo in Tusc., 4, 13,
31; cf. anche 2,.27, 65). La "<X'yYEVEO"["', che ha luogo dopo la
ekpyro sis del mondo , second o gli Stoici, resa in modo assai
calzan te con renova tio mundi in Nat. deor., 2, 46, 118.
La 7tp6votrt. stoica resa norma lmente con provid entia: anche C.icerone, quindi , come gli Stoici e, pi in genera le, la filo
sofia greca, traspo ne sul piano filosofico un concet to di impiego comun e (su cui cf. ad esemp io De invent. , 2, 53, 160), sottopone ndo il termin e provid entia al medes imo sposta mento di
signifi cato che gli stoici avevan o dato a "p6vo,,,, (cf. Div., 1, 51,
117; il crudo grecism o pronoe a si incont ra in Nat. deor., 1, 8,
18 e 20e 9, 22). La equiva lenza sottoli neata da Cicero ne steso
so in Nat. deor., 1, 8, 18: Stoico rum pronoe an, quam Latine
licet Provid entiam dicere; 2, 22, 58: talis igitur mel1s mundi
cum sit ob eamgu e causam vel pruden tia vel provid entia ap'
pellari recte passit (Graece enim "p6vo,,,, dicitur ) ... Divina
provid entia espres sione comun e nel second o libro del De
natura deorum (un testo che godett e di larga diffusi one presso
gli scritto ri cristia ni)"(cf . 2, 34, 87; 38, 98 ecc., Tim., 3, lO); si
incont ra anche provid entia natura e (2, 56, 140). Esso parve
forse. a Cicero ne un termin e tecnico esclusi vo degli Stoici, s
che, fuori di J,lil contes to stoico, lo scritto re usa volent ieri
delle perifra si: .ad esemp io, vis, cum pruden tia et consili o scilicet, quae finxerit, vel ... quae fabricata sit homin em (Luc., 27,
87); divinu m consil ium per indica re la "p6vo,,,, si incont ra in
un contes to analog o (Luc., 40, 126). Torna ndo al passo di Nat.
deor., 2, 28, 58, si pu osserv are che Cicero ne consid era ugualmente valido in latino (e giustif icato, certo, dalla etimol ogia,
alla quale l'Arpin ate presta va sempr e attenz ione nella sua tra-
164
C. MORESCHINI
duzione dei termini tecnici greci) l'impiego di prudentia (invece di providentia) per 7tp6VOL<:<. Questo fatto confermato
anche da Nat. deor., 2,31,80 (omnia regi divina mente atque
prudentia) e da Acad., 7, 29 ( ... uim ... quasi prudentiam quandam, procurantem caelestia maxime, deinde in terris et quae
pertineant ad homines). Tuttavia, la traduzione di 7rp6VOL<:< con
prudentia non poteva avere molta fortuna, data la sua ambiguit (ch 'Pp6VYJ,n quasi costantemente tradotto con prudentia), e successivamente il linguaggio filosofico latino abbandoner completamente prudentia in favore di providentia.
Un altro termine caratterizzante della filosofia stoica la
"UfL7r"~et<:<, che si deve all'insegnamento di Posidonio, e che
Cicerone affronta nelle opere che contengono sicuramente dottrine posidoniane. La traduzione di "UfL7r"~et<:<, tuttavia, appare
tra le meno felici di Cicerone, perch lo scrittore non quasi
per niente riuscito a rendere il significato di 7r""'lELV, presente
nelle varie parti del tutto, ma ha quasi sempre insistito sulla
comunanza, sul legame che unisce le parti stesse e che fa riecheggiare il 7r""'lm dall'una all'altra. La traduzione pi calzante mi sembra essere quella di Div., 2, 14,33 e Fat., 2,5 (contagio naturae) o contagio rerum (Fat., 4, 7). Accanto a questa
se ne trovano altre, tutte ugualmente proposte: convenientia
naturae (Div., 2, 60, 124), coniunctio 11aturae (Div., 2, 14. 34;
58, 119; 60, 124; 69, 142), COl1sensus naturae (Div., 2, 14, 33;
Nat. deor., 3, 11, 28). Ancor pi generico naturae socielas
(Div., 2, 71, 147); n mancano le perifrasi, svolte con la usuale abbondanza di parole, quibus abundabat Cicerone, in Nal.
deor., 2, 7, 19 (
tanta rerum consentiens, conspirans, continuata cognatio ; continuatio naturae Div., 2, 69, 142).
Il logos, la forza divina, percorre (8d)xet) tutto l'universo,
secondo gli Stoici; questo processo reso da Cicerone con
permanare in L'le., 37, 119 un termine che esprime molto felicemente il processo di diffusione della forza divina nella materia (a tale termine purtroppo nuoce l'accostamento, dovuto
alle solite esigenze di reduplicazione retorica, di un secondo
termine, di significato analogo ma pi generico: transeat).
Purtroppo, questo termine poi abbandonato per uno pi impreciso in Div., 2, 15, 35 (vim quandam sentientem atque divinam, quae 1010 confusa mundo sit): confusa insiste pi sulla compenetrazione (quasi una xp"",) della forza divina che
sulla di
6yo )
15, 39.
sa e fc
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Pel
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zione (
fLE6n,
939). A
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126): ..
sini et
SVF,2
165
sulla diffusi one di essa nella materi a; cos pure animu s (qui ~
l,
6yo ) infus s fu Nat. deor., l, 11, 28; fusio in Nat. deor.,
precis,
spiritu
lo
che
15, 39. Siffatt a vis ... divina non altro
sa e fortun ata traduz ione (non necess ariame nte cicero niana)
del "veufL"" stoico (cf. Nat. deor., 2, 7, 19: ... nisi ea uno divino
et contin uato spiri/u contin erentu r).
Per termin are queste consid erazio ni sui termin i tecnici
dello stoieis mo; notiam o che Cicero ne ripren de dalla filosofia
greca il: termin e divina tio (fLO(VT'X~; gli stoici avevan o scritto
vari trattat i sulla mantic a), assegn andole anche una definizione, sempr e di origine stoica: praese nsio et scienti a rerum futuraru m (Div.,_ l, l, 1; cf. anche l, 3, 5; S, 9; 2, 7, 19); definizione che corrisp onde a una analog a stoica: ... fLlXvnx~v Ti},v
!.1oV' t'W\I
cXitetV"C'Cv
dVlXt
&e:WP"tl"t'LX~V
TE X:1X1 7tPOCXYOPEUTLX-fJ'I,/
(SVF, 2,
"t'wv
cruV"t'Et-
della
V6VTWV (SVF, 3, 654). Incont riamo anche una definiz ione
scienz a che interp reta i sogni: esse vim cernen tem et explananlem quae a dis homin ibus signifi cantur in somni s (ibidem ).
Stretta mente connes so con il proble ma della divina zione
quello del fato.__
I vari termin i del determ inismo stoico sono resi da Cicerone con una serie di definizioni molto precise . Del fato data
una definiz ione in Div., 1, 55, 125: ... ordine m seriem que causarum , cum causae causa nexa rem ex se gignat. Ea est ex
amni aetern itate f1uens veritas sempit erna. Cicero ne riconn ette
dfLIXP~I:V'l ad dpofLl:V'l come in SVF, 2, 914, 917, 918, 920 ecc.,
e insiste sull'as petto dell" essere vero ab aelern o', che impliciio nel concet to di fato (cf. anche Nal. deor., 3, 6, 14:
quod autem sempe r ex amni aetern itate verum fuerit, id esse
fatum; l, 15,40; 20, 55; De fato passim : ex aetern itate verum ).Un'alt ra definiz ione data, sempr e nel De divina tione O, 55,
126): ... causa aetern a rerum cur et ea quae praete rierun t facta
sint et quae instan l, fiant et quae sequu nlur futura sinI. In
SVF, 2,913 (Stob., Ec/., 1, 79, 1 sg.) si parla di 6yo, non di
166
al'orto:: d(LapfJ.\I"t) a'dv
C. MORESCHINI
o 'TOO
prosegue: 16yoc; XIX&' &v -rd: fL:v yeyovo-ret yYOVEV, -rd: 8: ytVOf.LEVO: ytve-rat, -rd: 3: yev"tJcr6j.LE:va. ye:v~cre:Tat. Di fronte a fatum si trova
167
parimenti il principio del libero arbitrio: in questo atteggiamento . Crisippo. doveva opporsi sia al determinismo as
.soluto della scuola megarese sia alle insostenibili scappa
patoie escogitate da Epicuro. All'inizio della discussione con
. tenuta nel De fato'-incontriamo le' causae naturales et antece
d'entes (5.-9; d, 14, 32). Siffatto termine, che dovrebbe corri.'spondere, a .qualcosa come 'i'u(nx~ ext~["" non ha, ch'io sappia,
-corrispondentI nei testi greci: naturalis potrebbe essere una
esegesi dello scrittore latino, in quanto essa dovrebbe indicare l'incidenza del mondo fisico sull'agire umano (concepita
in termini di "Ul'-""&"') (S, 9), o, semplicemente come la causa
che prodotta dalla successione naturale dei fatti (14, 32),
Naturales, quindi, una reduplicazione di antecedentes:
d., infatti 14.; 31--32, ove, dopo aver parlato delle causae antecedentes, Cicerone conclude: multum enim differt utrum
causa naturalis ex aeternitate futura vera effieiat, an etiam
sine aeternitate naturali futura quae sint, ea vera esse possint
intellegi. Accanto ad antecedentes Cicerone impiega, per va
riatio, causae praepositae (14, 33), antepo5itae (18, 41-42),
antegressae (9, 19; lO, 21; 19, 45); externae (11, 23-25), cos
come i testi greci parlano di ",t~("" "PO)("'~"'~E~'l!-'<V"" (Alessandro di Afrodisia, de fato, 12, p, 180, 27 Bruns), di ",h,,,, "poyqov6~", (22;.p, 192-, 14 = SVF, 2, 945), di ",t~("" 1tpoU""PXou"""
(11, p., 178, 9) 117, E" sconcertante che proprio una discussione
cos tecnica come quella sul fato mostri questa insolita variet di termini latini e greci, parallelamente.
Nell'ambito pi generico delle causae antecedentes si distinguono le causae principales (5, 9: ut enim et ingeniosi et
tardi ita nascantur antecedentibus causis itemque valentes et
imbecilli, non sequitur tamen ut etiam sedere eos et ambulare el rem agere aliquam principalibus causis definitum et
constitulum sii). Esse si identificherebbero con le ",t~("" "P 0'lYO!-'EV"" secondo lo Yon "': sono quelle che si incontrano in
SVF, 2, 912 .. .La causa principale, dunque, sarebbe quella che
produce, effettivamente, un fatto: essa dovrebbe corrispondere alla causa effieiens (9, 19; lO, 20; 14, 33: erat hoc quidem
verum ex aeternitate (e quindi aveva una causa antecedente),
sed causas id efficientis non habebal; 15, 34: itaque non sic
117 Cf. A. YON, Cicron, Trait du Destin, Paris 1950, 32.
118 Cf. ibidem, XXIX.
I
il
'168
C. MORESCHINI
(iFat., 9, 2
pisem J
gFeco si ti
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i:l pFoblel
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so rise
(13, 30),
risponde:
sit di al
anch'essi
falso, ist
rientrare
trio dell'
Alla
t del si
preciso:
testas, p
arbitrio
124 Cf.
sitas 1, 20,
veritatel11.
U5 Cos
25, 69),
126
Ext
169
(Fat., 9, 20 sgg.; 14,31; 16,38; 17,39 ecc.) 114 sia che si trovi il
pi semplice necessitas, senza ulteriori determinazioni, come in
greco si trova<iv&Y"~: cf. Acad., 7, 29. Cos, necessarius riferito
alla forza del fato nell'opera omonima (passim) e, per estensione, al movimento degli atomi, che sarebbe dovuto a una gravitas naturalis ac necessaria (11, 23) 115 Tale concezione, che era
tipica di Democrito, del quale noto il determinismo, fu rifiutata, invece, da Epicuro. Il termine usato, analogamente,
anche nell'ambito della logica, ma in stretta connessione con
il problema del fato, perch i megarici sostenevano la necessit del fato in base al principio di non contraddizione, per
cui era necessarium che, di due eventualit, l'una fosse vera,
l'altra falsa (cf. Nat. deor., 1,25,70; Fat., 9, 19). Connessa con
questa necessit logica la necessitas di cui si parla in Luc.,
36, 116 (rationes ... quae ... Ilullam adhibent persuadendi necessitatem), cio la forza per cui un determinato ragionamento persuade. A questo ambito logico, su cui insistevano partIcolarmente i megarici, appartiene anche il cosiddetto <ipy
Myo , che reso letteralmente con ignava ratio in Fat., 12, 28,
e il cui titolo spiegato dal fatto che se seguiamo il ragionamento dei megarici, che ogni cosa predeterminata dal fato,
nihil omnino agamus in vita (cf. anche poco oltre, 13, 29). Esso risolto da Crisippo col ricorso al concetto di confatale
(13, 30), neoformazione ciceroniana di cui non chiaro il corrispondente greco; tale concetto di confatale implica la necessit di altri elementi, nella vita umana, che, per quanto voluti
anch'essi dal fato, non sono per impliciti nel dilemma verofalso, istituito dai megaresi, e pertanto ci che confatale pu
rientrare nella distinzione delle cause che salva il libero arbitrio dell'uomo.
Alla necessit del fato e delle cause si contrappone la libert del singolo, che in Cicerone non espressa da un termine
preciso: lo scrittore latino ricorre all'espressione nostra potestas, per cui in nostra potestate indica la libert del nostro
arbitrio (cf. Fin., 4,6,15; Tusc., 4,7,14; 31,65; Fat., passim) 116.
124 Cf. necessilas rerum futurarum in Nat. dear., l, 15,
sitas 1,20,55; ... fatalem necessilalem appel1ant sempilernam
veritatem (I, 15, 40; cf. anche l, 20, 55).
125 Cos, quod esset earwn mottlS cerltls et 11ecessaritls
25, 69).
126 Extra nostram poteslatem (Fin., 4, 14, 36), tuttavia,
indica }'impossi-
170
C. MORESCHINI
La spiegazione di Fin., 3, 21, 72 mi sembra un ampliamento e una parafrasi di tipo esegetico della definizione suddetta,
mentre in Fin., 4, 4, 10 si illustra soprattutto il rapporto tra
dialettica e retorica, rapporto che mi sembra concepito secondo i termini delle scuole retoriche: cumque duae sint artes quibus perfecte rat~o et oratio compleatur, una i n v e -
niend
pica, 2,
sizione"
sizione,
mini tel
numero:
relativo
pubblicI
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l'ocU/n),
(..._ hae,
anco.ra l
disputai
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Fin., 3"
(cf. Luc
vehemel
111;_ Na
vale;ca! .
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Cor
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Esso eq
opportu
per sign
26, 83 (
128 Bis
oytxf, ne
distinti i
}29 SUI
cerone: d
130 Esi
i .sumend,
bilit di controllare un determinato fatto, non il determinismo, quale negazione dcI libero arbitrio.
127 Animi mottls voluntarius (Fat., 11, 23-24) pu essere ricollegabile al ca
rattere che posseggono le virt, di essere voltll1lariae (cf. supra 149).
131 Cf,
equivale 2
np6cr'yjnl
2,144 sg.,
171
nien di, altera disse rendi (=.S''''y,er,'t,,(); 118 cf. anche Topiea, 2, 6. A Cicerone, del resto, era ben nota la contra pposizione, di antica origine , tra dialett ica e retoric a, contra pposizione che enunci a brevem ente anche in Fin., 2, 6, 17. I termini tecnici relativ i alla dialett ica non sono partico larmen te
numer osi nelle opere filosofiche di Cicero ne, dato l'intere sse
relativ o che tale scienz a aveva per Cicero ne stesso e per il
pubbli co roman o, soprat tutto (ma si pu dire, in fondo, che,
delle tre parti della filosofia, la logica fu sempr e quella meno studia ta anche in ambie nte greco) .
Equiva le probab ilment e a ,'t'erL (come osserv a il Reid, ad
locum) , il termin e propo situm che si incont ra in Luc., 13, 42
(... haec duo propos ita non praete rvolan t ... ) e che si legge
Acade micoru m contra propo situm
ancora nel De fato (2, 4:
disput andi consue tudine m ) e in Topica, 21, 79. Per quanto
riguar da il ragion ament o, si incont ra sumer e (o adsum ere in
Fin., 3, 8, 29) nel signifi cato di . assum ere', . presup porre' 129
(cf. Luc., 14, 44: ... haec duo pro congru entibu s sumun t tam
vehem enter repugnantia; cf. ancora 16, 50; 21, 68; 30, 95; 34,
111; Nat. deor., 1, 31, 89; 35,98; Fin., 4, 18, 50 lJo. Esso equivale al greco "fL~(b",; un caso pi specifico, second o il Reid,
tra quello di Luc., 13, 41, ave si incont ra una perifra si per
durre '~fLfL"T" (quae autem sumun t ut conclu dant id quod
volunt ), reso poi con sumpt iones in Div., 2, 53, 108 Ili.
Ccrrel ativo di sumer e dare (cf. Luc., 21, 68: sin autem
omnin o nihil esse quod percip i possit a me sumps ero et,
quod tu mihi das, accepero ...; cf. anche 26, 83; Fin., 4, 18,49-50).
Esso equiva le a S,SOV"L, come osserv a il Reid, il quale indica
opport uname nte, come equiva lente di erun",?i;;v (ed analog o
per signifi cato) il termin e concedere, che impieg ato in Luc.,
26, 83 (horum quattu or capitu m secund um et tertium omnes
traduzione di
128 Bisogna osservare, tuttavia, che disseren di ratia la
tiene ben
non
dunque,
e,
Ciceron
L
l,
Fat.,
di
passo
citato
O'(~X~ nel gi
logica.
della
e
a
dialettic
della
campi
distinti i due
retorici dello stesso Ci129 Sumere di uso comune anche nei trattati
orator, 35, 122.
cerone: citiamo solo, a mo' di esempio , De ora t., 2, 39, 163;
i: cf. Acad., lO, 36-37, ave
BO Esistono , tuttavia, alcune accezion i different
,I
,';
l
;.,'
I
i sumend a sono i 7tP07}YfLM..
, che
sumplio
tra
e
distingu
e
Ciceron
ove
108,
53,
2,
Div.,
anche
131 Cf.
rende
o,
preverb
del
valore
sul
o
insistend
che,
tio,
adsLlmp
e
equivale a 1)flfllZ
SEXT. EMP., Pyrrh.,
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OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE
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174
C. MORESCHINI "":""
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che SIano statI postI: poster um quoda m modo
detto di quanto si verific a nelle arti (il termin e, osserva Ci;
cerone st,esso in Fin., 3, 9, 32, equiv'ale a &7t~YEW1j~c~:rlx6v; per
quanto nguar da poster um con questa accezi"one, si incontra
anche il nesso poster ius ... superi us e prius in Fin., 3, 23, "~
Luc., 14" 44; cf. ancora consen tanea et. consequentia 1\. F.in.
3, 15, 48 (cf. 4, 17, 48) e consec utio in Fin., 2, 14,45 (che ce.
der il posto a conseq uentia ). Nel significato di '.conseguen
logica mente ' Cicero ne impieg a anche ~ congru ens (Luc., 14, ~),
ma anche questo termin e usato varie' volte (anzi, molto pi:
spesso che nell'al tra accezi one) nel render e il 'secon do na.tura' degli stoici (cf. Acad., 6, 23; Fin., 5, 23, 66 ecc.) (cf. su,
pra 127). Neofo rmazio ne cicero niana Ce non molto felice) per'
indica re il 7t"p.x3o~ov degli stoici l'agget tivo consectarius, che'
si legge in Fin., 3, 7, 26 e 4, 18, 48.
Di deriva zione retoric a sono anche; probab ilment e, i termini argum entum e conclusio. Il primo viene impiegato nel
l'ambi to di una dimos trazion e filosofica in Luc., 15,47; 22,71;
Acad., 8, 32; Nat. deor., 1, 23, 64; 31, 89 (argumenti senten,tiam conclusisti); Fin., 4, 4, 8-9; 5, 4, 9 (argumentatio); Tusc.,
3, 6, 13 (astrin gere argum enta); Fin., 4, 5, 13 (qua ex amni
copia plurim a. et certiss ima argum enta sumun tur ad cuiusque rei natura m explic andam ) ecc. 137. Come si vede da alcuni
di questi esemp i, argum entum natIIra lmente unito al tennl.,
ne conclu dere (e conclu sio (&7t63E,~,): cf. Luc., 8, 26; 9, 27;
10,30; 13,40-41; Div., 1,32,7 1 ecc.). Si posson o osserv are Lnessi subti/i ter conclu sum (Tmc., 1,23,5 5) O. conclu duntur contartius (Tusc., 3, 10,22) , per indica re le conclu sioni degli stoici e
il dispre giativo fallaces conclu siuncu lae(Lu c., 24, 75) per UJ>;
dicare i crocp(ertJ-Gt-ro:: la traduz ione ciceron iana non si consex:
vata neHa lingua latina, mentr e vi penetr ata la pura e semplice transli tterazi one. Altre caratte risti6h e dei sofismi sono
quelle di essere inexpli cabi/es (Luc., 29.- 95 e 30, 97), che, se
condo il Reid, corrisp ondere bbe a &7tOp"; di essere captiosa;_
(cf. Luc., 15, 46; 16, 49; Fat., 13, 30; Fin., 1, 7, 22; 3, 21,72;
ntr
a tale termin e corrisp onde il sostan tivo captio, che si incones;
,
in Luc., 14, 45; 15, 46; Fin., 2, 6, 17 (dialecticae captlO
'.
Fat., 13, 30, e che significa, parime nti, sofisma
di uso retorico:
lJ7 Anche il tennine argume ntum senza dubbi~
citare le attestaz ioni di De orat., 2, 19, 80; 76, 307; 81, 332 ecC.
175
176.
C. MORESCHINI
con COri
conexU1
tement(
il verbe
niunctic
tem nu
Et ~J1.p'
2,:215-2
133 Cf. SEN., Epist., 117, 13: non corpus est, quod nune loquor, sed enun.
tialivum quiddam (= ::<a:T'J)y6Pl'JIUl?) de corpore, quod alii effa/um vocant, alii_
enuntiatum, alii die/um; PSEUD. APUL., De interpr., 1: ... set1tentiarn .. quam
vocat Sergitls effattlm, Varro proloquiwn, Cicero enuntiatum, Graeci rrp6't'Clow
tum &#OOIlCt:, ego verbum e verbo tum protensionem tum rogamentum; fami,.
.
."
liarius tamen dicetur propositi.
139 Aio in' senso logico (' affetrrio ') si incontra anche in Top., lI, 49.
IJDi
e4.7,18
141 In
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FILOSOFICO DI CICERONE
OSSERVAZIONI SUL LESSICO
177
lO, 33
ificato di coni unel io in Fin., 3,
Diverso , naturalmente, il sign
e 4, 7, 18 (' societ umana 'l.
odab iles sono le soaltri termini significativi: inen , fr. 75 RrnnEcK); la
141 Indichiamo alcuni
Ace.
18;
9,
Fat.,
(cf.
fato
del
lema
izio coni tmcluzioni di Epicuro al prob
14, 57) si presenta quando il giud autem,' non
Coniunctionum nega ntia (Top .,
hoc
;
illud
et
hoc
et
non
a negativa:
~I~~ pres enta to in form
m hoc; illud igitu r.
Igtlur illud, e vjceversa: non aute
140
178
C. MORESCHINI
Vi
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tori e f
il feste
politan
pidum
poma,
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cui si
dinia e
Aldina
1595: f
per nOI
ladio. ]
Agrario
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Paris 1971
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