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OSSER VAZIO NI SUL LESSI CO FILOSOFICO DI CICER ONE

1. Da alcuni decenn i la critica cicero niana ha supera to


i
vecchi pregiu dizi ottoce ntesch i che pesava no sulle opere filosofiche di Cicero ne, consid erate poco pi che frettol ose compilazio ni da testi greci, mal compr esi e, soprat tutto, mal tradotti. Paradi gmatic o , a questo riguar do il giudiz io di uno
studio so, per altro grandi ssimo, Herma nn Usener , giudiz io assai noto a tutti gli studio si di Cicero ne fi'osof o (cf. Epicur ea,
LXV); in ogni caso, l'Usen er non faceva altw che ripeter e, conferman dola con la sua autori t, la commu nis opinio . Poi (ma
non il caso di ripeter e cose ben note), il giudiz io sulla attivit filosofica di Cicero ne si fatto pi articol ato e meno
schem atico: certa rimane , natura lmente , la sua manca nza di
origina lit (alla quale, del resto, neppu r egli aspira va), ma apparve sempr e pi chiaro , un passo dopo l'altro, quali valori
di human itas, di cultura , di sensib ilit civile racchi udesse ro
quelle opere tanto disprez zate. Pi recent emente , due studi
diversi ssimi per impost azione e per ampiez za, quello di A.
Traina sulle traduz ioni latine (Vorti t Barbare, Roma 1970) e
quello di A. Tragli a sulle traduz ioni cicero niane da Epicur o
e da Platon e (Note su Cicerone tradut tore di Platone e di Epicuro, in " Studi in onore di Vittor io de Falco ", Napol i 1971,
307-340) hanno posto in rilievo l'origin alit artisti ca e i valori cultura li di un lavoro non mecca nico o impers onale, da
un lato, n arbitra rio dall'al tro, risolve ndo nel termin e vertere
tutto un attegg iamen to intelle ttuale che fu tipico degli scrittori latini nei confro nti dei greci e di Cicero ne stesso in non
piccola misura . La stretta interdi penden za tra il vertere e
l'aemulari confer isce alla traduz ione latina tutti quei pregi
che noi siamo soliti riunire sotto la definiz ione pi genera le
di traduz ione artistic a '. Ora, per quanto riguar da la. attivit
filosofica di Cicero ne, siffatti criteri di valuta zione sono senza
dubbio calzan ti: l'Arpin ate per primo non nega certo la vali-

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C. MORfSCHINI

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dit di una rielaborazione retorico-letteraria deile sae 0E.


filosofiche, soprattutto in polemica con gli epicurei cne
rielaborazione trascuravano di proposito (cf. in particolare:;
ripetuta polemica contro le traduzioni dell'epicureo Am
in Acad., 2, 5; Tusc., l, 3, 6 sg.; 2,3,7 sg.; 4,3, i-7); in Fin.,
15 Cicerone dichiara che la rielaborazione retorica egli no
considera indispensabile in filosofia, ma senza dubbio non.
ritiene superflua o inutile. Assai significativo anche quello
egli afferma in Off., l, l, 2, rivolgendosi al figlio Marco:
scrittore non vede uno iato' tr la sua atti~it di' filosofo
qella di oratore, perch rivendica a s (e a bon diritto, c
me egli ritiene) anche nelle opere filosofiche q6d est oraeo~
proprium, apte, distincte, ornate dicere.
'"
E' necessario, quindi, vedere se questa elaborazione re
rica danneggia la precisione del tradurre in lingua latina
concetti e, soprattutto, la terminologia filosofica greca; o, s
non stato d'impaccio alla creazione di un linguaggio flosQ'
fico latino, in qual modo i termini tecnici si siano adattati aIJj
esigenze retoriche. Da questo punto di vista, si' potrebbe dI
che la traduzione ciceroniana oscilla da un polo! di maggione;
elaborazione retorica all'altro polo, di scrupolo, di rigore.
lologico: una affermazione di Fin., 3, 5, 19 contraddice pa
zialmente, infatti, quanto si letto or ora nella- 'citazione '
Off., l, l, 2: istius modi autem res dice re ornate velle puerili
est, piane autem et perspicue expedire posse docti et intelfe'
gentis viri. Esiste, insomma, il problema della 'fedelt'
l'originale, una esigenza che pu anche contrastare con il co cetto di aemulatio, con il significato che si attribuisce a ve
tere J. La traduzione, in Cicerone, implica la coniliazione tr
il rigore tecnico e scientifico dello studioso di filos'ofia ~se n0
filosofo) e le sue immense ~apacit espressive ecl'-artisticfie.
Una volta messo da parte il vieto pregiudizio di un Cicerone
verboso interprete dei filosofi greci, secondo una acczione esageratamente negativa del malfamato OC1tOYplX'l'lX sunt ecC. (tan
l

Il presente lavoro non vuole seguire, infatti, i criteri applicati

ale:

anni orsono da R. PONCELET ,(Cicron traducteur de Platon, Pari.s 1957)

strutture linguistiche e grammaticali della traduzione ciceroniana, nelt ebito delle pi generali strutture espressive del "latino, per sottolineare CO~.
le presunte libert e impropriet del traduttore latino siano dovu~e s~g It
tutto alla insufficiente (rispetto al greco) struttura della lingua; 41 GUI ere
si serviva. Siffatto procedimento, che mi sembra gi discutibile in genera
riuscito del tutto sterile di risultati sul piano filosofico.

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

101

to malfamato quanto il famigerato o fortunatam natam ecc....),


c' da domandarsi se le esigenze artistiche e retoriche, sempre vive anche in opere letterariamente meno elaborate, come
quelle filosofiche, possano avere influito negativamente sulle
capacit di Cicerone come traduttore di filosofia.
C' poi da tenere presente il fatto che anche Cicerone, come quindici anni prima Lucrezio, sente il problema dell'inopia
della lingua latina di fronte alla necessit della formazione di
un linguaggio filosofico (e la filosofia ellenistica, alla quale
si rivolge Cicerone, era molto pi ricca di termini tecnici e
pi sorda alle esigenze letterarie che non Platone o l'Aristotele giovanile): cf. Fin., 3, 12, 40; 15, 51. Di fronte a questa
mancanza di strumenti linguistici, anche Cicerone, come gi
Lucrezio, si pone il compito di augere linguam Latinam (Fat.,
1, 1); compito non impossibile, egli osserva, perch il latino
possiede dignit sufficiente a esprimere i concetti della filosofia greca (Fin., 1, 3, 10; Nat. deor., 1, 4, 7-8). Ma possiede anche le capacit espressive necessarie? Quali sono i risultati,
sul piano filosofico, della attivit traduttrice di Cicerone? La
sua terminologia tecnica pu corrispondere in modo adeguato
alla terminologia greca? E' giustificata la affermazione, fre
quentemente ripetuta, ma non verificata se non per pochi termini di uso pi comune, che Cicerone stato il creatore della
terminologia filosofica latina? A questi problemi vogliamo cercare di dare una risposta nelle pagine che seguono, premettendo, tuttavia, questa avvertenza: che il lessico delle opere filosofiche di Cicerone particolarmente ampio, e che questo
studio non una specie di glossario in cui si trovino registrati tutti i termini di valore filosofico: chi desidera la completezza deve sempre compulsare il Merguet. Un'altra avvertenza: non tutti i termini filosofici sono carichi dello stesso significato o della stessa tecnicit, al punto che potremmo dare
facilmente l'impressione di avere omesso alcuni termini che
ad altri sembrano, invece, degni di considerazione: ad esem
pio,l'eccellente commento di A. Grilli al secondo libro delle
~usculanae (Torino, 1955) incline a vedere una accezione fio
~osofica in molti termini che, invece, a noi sembrano essere
Impiegati 11 un livello di lingua d'uso, e quindi non corrispon~ere a una analoga terminologia greca. L'esame stesso, inoltre,
In queste pagine, costituisce un primo assaggio di un campo

'!

I, .

102"

C.

M~RESCHINI

linguis tico partico larmen te ricco: gli studi dedica ti in passat o


a siffatto proble ma sono, a nostro parere , di assai scarsa utilit ': queste pagine vogliono essere uno studio sulla termin ologia filosofica di Cicerone, non preten dono di esauri re l'argomen to, ma speran o di essere integr ate da ricerch e successive.
Per tornar e a Cicero ne filosofo, da osserv are che, se lo
scritto re mostra numer ose volte di avere coscienza" della novit della sua opera, assai pi parco di afferm azioni relativ e
ai criteri da lui seguiti nel suo lavoro ; verisimilmente-, egli si
affida pi alle sue capaci t lettera rie che non a una rifless ione
medita ta sui princip i da applic are in campo filosofico.
Il suo proble ma princip ale quello di presen tare un'ope ra che sia all'alte zza della specul azione greca, anche
per ribattere a coloro che, pur non dispre zzando la sua attivit filosofica
in lingua latina, la giudic ano inutile in quanto le person e colte avrebb ero potuto beniss imo rivolge rsi diretta mente agli originali greci (cf. Acad., 2, 4; Fin., l, 2, 4; Nal. deor., 1,4, 8).
Egli vuole pertan to ribadi re la legitti mit delle sue neofor mazioni o dell'us o di termin i ricava ti da altri campi linguis tici:
cf. Acad., 7, 25; IFin.., 3, l, 3 sg. In ogni caso, anche l'uso sporadico di termin i greci deve essere giustif icato, non meno di
cert~" termin i, appun to greci, che sono divent
ati di impieg o
comun e nella lingua latina (ad esemp io, philosophia, rhelorica, physica, dialeclica) (cf. Acad., 7, 25; Fin.., 3, 2, 5); comunqu e, essi devono essere usati l dove sia del tutto impossibile trovar e gli equiva lenti latini (Acad., 7, 25; Fin., 3, 4, 15;
16, 55) '. A un termin e greco posson o corrisp ondere , se necessa2 -Cf. ad esempio C ATZERT, De Ciceron e interpre te Graecor
um, diss. Got
tingen 1908 (un titolo ingannatore, 'perch la disserta zione
non si occupa di
Ciceron e filosofo); CH. CAUSEREI, Etudes sur la langue
de la rhtoriq ue et
de la critique littrair e dans Cicron., Paris 1886; A. FONT, De
Cicerone Graeca
vocabul a usurpan te, Paris 1894; G. Ku.B, Ethisch e Grundbe griffe
der alten Sloa
und Otre Uebertra gung durch Cicero, diss. Freibur g i. Br.
1939; M. LISCU,
Elude sur la lallgue de la philosop he morale chez Cicron,
Pars 1930.
J Un esempio pu esserci dato, proprio all'inizio
del nostro studio, dal
tennine piacere e placitum (cf. Luc., 99; 103; 104; 106; 133;
143 ecc.), impie
gato per indicare l'opinio ne di un filosofo. Siffatta op'inion
e era espressa
del gr. 36'(~, per cui, accanto a piacere e placitum , Ciceron
per primo) il termine decretu m (Luc., 9, 27-29; Tusc., 2, 4, e adopera (forse
11; 5, 29, 84; Fin.,
2, 9, 28; 31, 99): cf. poi ApUL., De Plat., l, 4, 189, che user
invece consultu m.
Orbene, sporadi camente Cicerone ricorre, certame nte per
maggior sempli
cit e per fretta, anche al crudo grecism o dogma (cf. Luc.,
43, 133; Fin., 2, 32,
105).

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127-154.
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by J. S. Reid
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OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

103

rio, pi termini latini, presentati tutti nel tentativo di avvicinarsi il pi possibile al significato originario (Fin., 3, 4,
15). In ogni caso, osserva una volta l'Arpinate (Fin., 3, 16, 52),
re ... intellecta in verborum usu faciles esse debemus. Ma a
questo atteggiamento di pigrizia Cicerone si abbandoner raramente, come vedremo.
L'esame della terminologia filosofica di Cicerone non seguir il pi comune e pi noto ordine della tripartizione stoica (logica . fisica - etica), bens quello che Cicerone stesso si
dato nel proemio al secondo libro del De divinatione, e su
cui si opportunamente soffermato P. Boyanc', e precisamente: problema della conoscenza (Academica), etica (De finibus e Tusculanae), fisica (De natura deorum, De divinatione,
De fato); la logica, in particolare il suo aspetto di quaestio
"Ept 3UV<XTWV, si ricollega al De fato. Sarebbe, questo, un ordine che rispecchierebbe la successione di Antioco di Ascalona,
secondo il quale l'etica precederebbe la fisica.
2. La dottrina della conoscenza si basava, per gli stoici, sulla
, fantasia catalettica " che era stata oggetto, per quanto ci fa
sapere Cicerone stesso, di aspra discussione tra Zenone e Arcesilao (cf. Luc., 6, 16; Acad., 1, 12, 44 sg.) ma che fu accettata da Antioco di Ascalona. Il termine tecnico stoico di ' fantasia' reso da Cicerone (cf. Luc., 6, 18; Acad., 11, 40; ma
gi nel primo libro del Lucullus, ora perduto) con il latino
viswn. Il termine non un puro e semplice calco dal greco,
ma con esso Cicerone vuole rendere - e vi riesce con successo - il significato del termine tecnico stoico, cio l'impressione sensibile, la quale fa ' apparire' a noi la cosa esterna'.
Parallelo al termine viswn il verbo videri, che in un
ambito gnoseologico assume un significato analogo, sebbene
in parte connesso con il significato comune del verbo videri '.
4 Cf. P. BOYANC, Cicron et Ies parties de la philosophie, REL, XLIX, 1971,
127-154,
5 Non mi pare che vi sia, n in visum n in rpa,v't'ctO'(ct, l'ambiguit lamentata dal REnO (cf. M. T. CrcERoNIS, Academica, The Text revised and explained
by J. S. Reid, Landan 1885 ([Hildesheim 1966]) (ad Lucullum, 6, 18), secondo il
quale il termine pu indicare tanto la percezione fallibile (cio quella falsa,
C?rne vedremo poi) quanto quella infallibile (cio quella catalettica). Sia l'una
SI3 l'altra sono percezioni; quella catalettica si distingue da quella falsa in
virt delle sue caratteristiche ben precise, che vengono subito esposte.
6 Un esempio di questo intersecarsi di significati mi sembra chc possa
essere fornito dalla discussione di Lucullus, 33, 105, in cui Cicerone stesso

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104

C. MORESCHINI

Il punto di contat to tra l'accezione filosofica e quella della


lingua d'uso si trova probab ilment e allorqu ando il filosofo
esamin a second o il canone della gnoseologia stoica determinati visa, ai quali manca no le caratte ristich e peculi ari (quali,
ad esempio, la perspicuitas) per poter divent are visa con valore scientifico. Esemp i di tali visa che ci danno soltan to Una
conoscenza parzia le e non scientifica sono quelli che ci. appaiono nel sonno (cf. Lucul1us, 15,47; 16,49 e 51 ecc.). Parallelo a visum visio, che indica l'atto del vedere nelle sue varie implicazioni (stoiche): la visio veri falsique'(Luc., 11,33 e
28,90) e le visiones inanes (Luc., 16,49), che indica no quel particolar e tipo di visum falsum (sul termin e torner emo poi); che
si hanno nel sonno 7. Fuori della contro versia che oppon e Ch
cerone agli stoici a propos ito della fantas ia catalet tica, 'visio
viene impieg ato per descrivere la conosc enza degli di secondo la dottrin a epicur ea in Nat. Deor., 1,38,109: fluentium frequente r transitio fit visionum, dichia ra Cotta, rifacen dosi (non
si sa quanto felicemente, come noto '), al famoso passo di 1,19,
49. In tal caso, il termin e visio, che si era rivelato felic per
esprim ere la fantas ia catale ttica degli stoici, appare inad'eguato per render e gli eidola epicur ei e la loro dottrin a specifica
della conosc enza degli di.
Dei visa, alcuni sono falsi (cf. Tusc., 2,18,42, oltre a quelli
dei quali si parlat o sopra, le vision i dei pazzi, le visioni 'che
si hanno in sogno), altri sono veri. Il visum vero era definito
dagli stoici anche come . catale ttico' (X"'T"''I)7tT<X1) <p"'\IT"'ci("'),
qualor a esso fosse impres sum effictu mque ex eo unde esset,
quale esse non posset ex eo unde non esset (Luc., 6,18). l' termini impres sum effictu mque esprim ono la confor mazio ne 'del
visum stesso, che riprod uce nella nostra mente l'oggetto esterno di cui abbiam o la fantasi a. La definizione cicero niana ~en
de senza dubbio una analoga definizione greca; non sappia mo
con precisi one quale fosse quella di Antioco, dalla cui opera
(il Soso?) Cicerone ha tradot to' il Lucul1us; non doveva,. cospiega il termine videri per indicare la ' fantasia ' che non
diviene ' fant'asia
catalettica','
'<
7 In Divin., 2, 58, 120 visio assume il normale significato della
lingua d'uso
(externa et adventic ia visione).
8 Ci conferma la nostra precedente ipotesi (Du.e fonti sulla teologia
, epicurea, PP, 1961, 342-372), che Cicerone non abbia compreso
la dottrina degli
di secondo Epicuro.

os~

rounque, esser
Emp. (cf. Pyn
'it.'t'~)(.~ tP.lXlJ't'iXq~o:

!,E!''''W'VlJ x",l
v-ro). La tradu
za l'ispida. fon
.
aveva notato l
perifrasj:if.a, di
parte import ai

' ",ip'Xoy. K 1
Dia, dovuta ali

rone rimedi ere


s-i c li t es se
Secondo il Rei
cerone v()rrebl
delle eventuali,
che la fantas ia
quella che la f:
ha leggermente
cupandosi ancl
deva (uno sCOI
fica degli Stoic
tanto pi che
non posset ex
escludere J'eve,
Ma su qu<
e di falsum, d,
gnificato 9.i. ve,
I due tern
Emp. (Pyrrh .. E
I

y,t\ll)

X<X.L t\l<X.7t~a

grande precisic
si legge impre5
mente, in 7,22 I
come osserva il
8& tp<X.VTClcrto: ~. <l'7t(
9 Cr., del res"to
si id tale esset ab
esse.
lO Essa rjpett
pi discorsivo: cf.

',T' .....

105

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

munque, essere molto differente da quella fornitaci da Sext.


Emp. (cf. Pyrrh. Hypotyp., 2, 4; Adv. Math., 7, 248: )(lX~lX't

.,.,

fJ-EfJ-Ct.ytJ.Vf)

xcxl

vo:.m:crcpPCt.YLcrtJ.Vf),

oLa ox

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U7t~PXOV EVa7tO-

7tTLX"l} epaVTaaLa OUO') (XitO U7tapXOVTo xo::-r (XUTO 'TO

etV yVOL"rO a.1t fJ-~ U1tetpXO-

V1:0). La traduzione di Cicerone rende con una certa spigliatez-

za l'ispida formulazione stoica; in essa va osservato, come gi


aveva notato il Reid, che ex eo unde esset rende in maniera
perifrastica, di necessit, cl7t urcapxovTo, mentre omessa una
parte importante della definizione, e precisamente )(lX~' o:u~
~ !l7tcfpxov. A tale omissione, che fu probabilmente involontaria, dovuta alla difficolt di rendere il sintagma greco, Cicerone rimedierebbe poco pi oltre: visum ... ex eo quod esset,
s i c u t es s e t , impressum et signatum et effictum (24,77).
Secondo il Reid, con la definizione decurtata di Luc., 6,18 Cicerone vorrebbe escludere dalla fantasia catalettica una sola
delle eventualit possibili nel caso che essa fosse falsa, e cio
che la fantasia fosse impressa in noi da una cosa diversa da
quella che la fantasia stessa riproduce. Secondo noi, Cicerone
ha leggermente semplificato la faticosa definizione stoica, preoccupandosi anche degli effetti letterari a cui la sua opera tendeva (uno scopo che esulava totalmente dalla attivit filosofica degli Stoici e da quella dei filosofi ellenistici in generale),
tanto pi che la seconda parte della definizione (quale esse
non posset ex eo unde non esset) poteva essere sufficiente per
escludere l'eventualit di cui parla il Reid '.
Ma su questa definizione IO, e sul suo concetto di verum
e di falsum, dobbiamo tornare pi oltre, a proposito del significato di verum e di falsum.
I due termini della definizione che si legge presso Sext.
Emp. (Pyrrh. Hypotyp., 2,4; Adv. Mathem., 7,402): tVlX1COf'Ef'lXYjJ.v'r) xed VlX7tzcrepPOCYLcr(.LV1]l sono resi dallo scrittore latino con
grande precisione mediante impressum effictumque; ma in 77
si legge impressum et signatum et effictum; impressum solamente, in 7,22 e 35,112: la forma pi ampia corrisponde forse,
come osserva il Reid, alla formula di Diog. Laer., 7, 50: VOd~lX'
8~
' . \. ,
, \.,.
,
\.
<PCXVTlXC1LO: 1] a'l'tO U1tOCPXOVTO X(XTlX TO U7tapxOV Eva1tOfLEfl(XYtJ.EV1] XOCL EV(X. .9
SI

t'l
Il
!
t

l
I

Cf., del resto, la medesima semplificazione proprio nel contesto di 77:

Id tale esset ab eo, qLlod est, ut eiusdem modi ab eo quod non est posset

esse.

. , IO Essa ripetuta, ma con


PIU discorsivo: cf. 112; Fin., S,

minor ri.gore scientifico, anche in un contesto


26, 76.

il'
'I

-"'--

106

C. MORESCHINI

1to-re:W7tW(.L:Vl} Xcx.t

ha.1te:acppaytGf!brf)) o~oc ox ~v yvot'TO fX7t (.L~ U7tetp-

XO\I'ro. Per analogia con la definizione stoica, impressum sarebbe stato usato: anche da Filone, se sua la: dottrina a cui
Lucullo allude polemicamente in 11,34: ... conantur ostendere
esse aliquid perspicui, verum illud quidem et i m p re s s u m
,i n a il' i m o "a t q u e m e n t e, neque tamen id percipi ac
'comprehendi posse. Il termine usato anche per rendere in
.latino..;]a definizione peripatetica ", secondo la quale poteva
',,""ser compreso'.quod i m p r e s s u m es s e t e vero (35, 112)".
e 'cio cOn l'esclusione della clausola stoica: 01" 00" i1v yovo,"'o
-&7t '-(.L~

fm<Xpxov'TO.

Un ulteriore impiego del participio impressum si trova


.nella" illustrazione del processo successivo della conoscenza
stoica. Le n o t i o n e s re rum, cio le ~wo,'" (vedi oltre, '
p .. 121), sono, a loro volta, ' impresse' nell'animo grazie all'imo
pressione dei visa: questo il resoconto della dottrina stoica
che Cicerone presenta in Luc., 7,22 (quod si essent falsae no'
titiae ... aut eius modi v i s i S 12 i m p re s s a e ...) e Acad., Il',
42 (unde postea notiones rerum i n a n i m i s i m p r i m e
ren tur)B
-,,, . Analogo a quello di impressum l'uso di s i g n a r i, im'
piegato"'in Luc., 24,77: visum ... ex eo quod esset sicut esset
i'm p re 's s u m e t s i g n a t u m e t e ff i c t u m; 22, 71:nihil ita s i g n a r i in animis nostris a vero posse quod non
eodem modo possit a falso; De fato, 19,43: ... v i s u m o b i e c
tJln i m p r i m e t illud quidem et quasi si g n a b i t i n
a n i m o suam speciem (definizione di Crisippo); analogo, ma
in un contesto meno specifico, l'uso di Tusc., 1,25,61. Il sostano
tivo impressio usato una sola volta da Cicerone nel conte
sto della fantasia catalettica (Luc., 18,58); avr pi fortuna:,
P?i, cn i platonici, per indicare la forma 'impressa' nella
materia (cf.' Apul., De Plat., 1,6,193; 7,194; Calc., 222; 284; 327).
-,
Il significato che stato individuato nel verbo videri, in
,teso secondo la dottrina stoica della conoscenza, e nel termine
visum, che ad esso si riconnette, si mantiene costante in turo
i~~ 11 Come tale, almeno, la presenta Cicerone, ma quale: sia l'originale greco
.
non fhile dire.
>C.c. 12 Strumentale, come spiega giustamente il Reid. ad t.
, l~ .~ull'~spressione impressum in animo atqtle mente (Acad., 11, 34); mnti
sub~tlltas Impressa cf, la discussione di V. BROCHARD, Les Sceptiques gr~cs;
Pans, rist. 1959, 194 sg.

OSSERVAZIONI SUL LESSIO) Fil

to il Lucullus e nelle restanti opel


termine visum sembr appropriat
pieg anche nella rielaborazione e
il termine tradotto presentato n
fiche con maggiore semplicit e cl:
zione di 'l'''V'rM('' spiegato 'l.uae
extrinsecus, che sostanzialmente
pi 'sul contenuto della fantasia chI
quae \!isa, sunt et quasi accepta se,
L'impressione dei visa alla 1
\<0 stoico. La fantasia, infatti, pr<
appetitio, come spiegato da Cicf
Ma normalmente corrisponde ad '
slliega in Luc., 8,24, e sia PI'-~ sia
risvolto gnoseologico (la reazione
impressione della fantasia) sia il r'
una determinata cosa, in seguito, le
come si \(edr esaminando i terr
L'appetitio, dunque, ha luogo in s
zione: id appetimus quod est visu
vet prius oport~t videri eique cre
32,104: moveri; 33,108). Appetitio
stici, con appetjJus in F at., 17,40
sembra essere una traduzione di u
La appetitio, a sua volta, pu
sia o O'UYX<X't'ci.~EO'L), come si ricav::
fato ora citato, e dal Lucullus pi
mine greco nel suo contenuto (no
altro volte, un calco) mediante ad,
cuna variazione di significato. Il t
perch rende adeguatamente l'atto
reagisce ai visa; il verbo , natura:
impiegato da <;;icerone con i suoi
credat, adfirmet (Luc., 41,128): il
tere retorico dell'ampliamento: a
bas (Luc., 46,141: trikolon allitteJ
spesso usato come sinonimo di adsl
m sinonimo di, adsensio (Luc., 12,:
comprehendo (come vedremo) ha
grazie alla Sua tecnicit, che riJ

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

107

to il Lucullus e nelle restanti opere filosofiche di Cicerone. Il


termine visum sembr appropriato allo scrittore, che lo impieg anche nella rielaborazione degli Academica. Ivi (11,40)
il termine tradotto presentato nelle sue implicazioni filosofiche con maggiore semplicit e chiarezza, visum quale traduzione di <p1>.V1:o:a[1>. spiegato quaedam quasi impuisio obiata
extrinsecus, che sostanzialmente esatto; oppure, insistendo
pi sul contenuto della fantasia che sulla sua definizione, haec,
quae visa sunt et quasi accepta sensibus (ibid.).
L'impressione dei visa alla base del processo conoscitivo stoico. La fantasia, infatti, provoca immediatamente una
appetitio, come spiegato da Cicerone in Luc., 10,30. Appetitic normalmente corrisponde ad Pf'~, come Cicerone stesso
spiega in Luc., 8,24, e sia Pf'~ sia appetitio possono avere i!
risvolto gnoseologico (la reazione jlsichica conseguente alla
impressione della fantasia) sia il risvolto etico (i! desiderio di
una determinata cosa, in seguito, logicamente, ad una fantasia,
come si vedr esaminando i termini dell'etica ciceroniana).
L'appetitio, dunque, ha luogo in seguito ad una rappresentazione: id appetimus quod est visum ... illud autem quod movet prius oportet videri eique credi (Luc., 8,24-25; cf. anche
32,104: moveri; 33,108). Appetitio varia, per puri motivi stilistici, con appetitus in Fat., 17,40 - 18,41, in un contesto che
sembra essere una traduzione di un passo stoico.
La appetitio, a sua volta, pu suscitare l'assenso (adsensio o crUYXI>.TOC-&<crt.;), come si ricava dallo stesso passo del De
fato ora citato, e dal Lucullus pi volte. Cicerone rende il termine greco nel suo contenuto (non eseguendo, cio come fa
altro volte, un calco) mediante adsensus o adsensio senza alcuna variazione di significato. Il termine latino ben scelto,
perch rende adeguatamente l'atto volontario della mente che
reagisce ai visa; il verbo , naturalmente, adsentiri, anch'esso
impiegato da Cicerone con i suoi ampliamenti: adsentiatur,
credat, adfirmet (Luc., 41,128): il trikoIon sottolinea i! carattere retorico dell'ampliamento: adsciscis, adsentiris, adprobas (L'le., 46,141: trikoIon allitterante). Dunque, approbo
spesso usato come sinonimo di adsentior, e cos adprobatio com sinonimo di adsensio (Luc., 12,37). Negli Academica, come
comprehendo (come vedremo) ha quasi del tutto sostituito,
grazie alla sua tecnicit, che rimasta poi ben consolidata,

I,

I,

,.

....... ,

108

C. MORfSCHINI

percipio e cognosco, cos adsentior ha quasi del tutto sostituito adprobo (che si trova in 13,41; in 12,45 adprobare si trova
tinito con adsensione) e adsensio ha sostituito adprobatio. Contrario di adsentior e di adprobo improbo, sebbene di uso
-limitato (cf. Luc., 32,104 e 33,107) 14. L'adsensio che provoca la
rappresentazione catalettica firma et constans (Acad., 11,42).
Una volta che il visum dell'oggetto sia stato acceptum et
adprobatum
solita duplicit dei termini che serve ad indicare l'assenso), allora esso diventa comprehendibile 15 e si ha
la comprehensio 16 (cf. Acad., 11,41). A questo riguardo si pu
osservare che, nella rielaborazione degli Academica, Cicerone
si servito quasi costantemente dei termini comprehendo e
comprehensio (una eccezione, come si visto, quella di 12,
45), evidentemenxe perch li vedeva pi immediatamente corrispondenti al termine greco che lo stava interessando, vale a
dire x"or""fJ-~clVOl e x"orcl"I)<J!,, pi degli altri termini usati come
sinonimi (e forse con eccessiva profusione) nel Lucullus: percipio e cognosco in primo luogo (cf. ad esempio 22; 23; 26;
34; 40; 105; 128 ecc.) 17. Gi in Luc., 6,17; 10,31; 47,145 Cicerone aveva osservato che comprehensio la traduzione pi
esatta di x"orcl"I)<J!L, ma non aveva ancora preferito apertamente comprehensum a perceptum. Tutto considerato, si pu
dire che, se percipio indica la percezione sensibile in generale,
comprehendo vuole essere riservato alla rappresentazione catalettica. Nella rielaborazione degli Academica Cicerone ribadisce (11,41) che comprehendibile la traduzione esatta di
x"or""I)7t-r6 ", e in linea di massima da quel momento si atterr alla distinzione sopra tracciata. La rielaborazione degli
Academica ha conferito alla esposizione filologica maggiore disinvoltura e chiarezza, ma non a scapito del rigore scientifico:

(la

14 Altri usi di adsentior si incontrano in Div., 1, 4, 7; Off., l, 6. 18; Fin., 3,


S, 18. Non {ieri adsensiones sine praecursione visorum si legge in Fat., 19, 44.
15 Su Xa:TtXl'j1tTOV cf. BROCHARD, O. C., 198199; 202, 2. Per il termine con
trario (xa:'t"&:"fJ1t't"o\l) Cicerone ricorre, invece, a una perifrasi in Luc., 6, 18.
16 Siffatta accezione filosofica del termine comprehensio presentata come nuova in Lue. 6, 17. Del resto, il Lucullus era la prima delle opere pi
strettamen1e filosofiche di Cicerone, dell'ultimo periodo dello scrittore.
17 Percipio e comprehendo e i loro derivati sono impiegati sescenties nelle
opere filosofiche di Cicerone, ma senza che il loro uso presenti problemi esegetici particolarmente significativi.
18 Comprehel1dibilis presentato con molta circospezione da Cicerone
come sua neoformazione; sostituito poi da compreJzensibilis a partire da Celso e Seneca filosofo.

anzi, forse
omessa ql
aveva illw
tica (Luc.,
lo poche I
"Ma a
giore esat
negli Acad
cessive: si
cazion re

prehendo,
te in co~
Nat. Deor.
cognitum
te compre
(Nat. deo
(Fin., 2,2,
quali il v,
non alfa
espressam
,Anche
importanz.
sti alla me
glia distin
gnificato
entrambi

Luco, 6,17;
mini (e cio

a compre~
meglio"ris]
31, 9<)'i du
genera vis
percipi' po.
Dunql
sensi, che
pr{,de '. I
dignit fili
Osservare:
te' !'ast'ratl
lui, si serv

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

109

anzi, forse proprio per questo motivo negli Academica stata


omessa quella vivace descrizione di come Zenone lo stoico
aveva illustrato come si formava la rappresentazione catalettica (L'le., 47,145): in Acad., 11,41 Cicerone ha conservato solo poche parole, che hanno tutte sapore filosofico.
Ma a questo maggiore rigore, a questa esigenza di maggiore esattezza filosofica, che ci sembrava di poter cogliere
negli Academica, Cicerone non rimarr fedele nelle opere successive: si ha l'impressione che la usuale tendenza alla duplicazione retorica sommerga la differenza tra percipio e comprehendo, per cui troveremo i due termini usati singolarmente o in coppia con altri, senza alcuna differenza di significato in
Nat. Deor., 1,29, 80; 2,59,147; Fin., 3,5,17; oppure i sintagmi
cognitum comprehensumque animis (Nat. deor., 2,2,5); mente comprehendere (Nat. deor., 3,8,21), comprehendere animo
(Nat. deor., 3,25,64); concepta animo atque comprehensa
(Fin., 2,2,6), comprehensio summi boni (Fin., 5, 16,45), nei
quali il valore della rappresentazione catalettica degli stoici
non affatto presente; infine, in Fat., 6, 11 e 8, 15 percepta
espressamente indicato come corrispondente di a<"'p-i)fJ.OCTCI(.
Anche perceptio e comprehensio (due termini divenuti di
importanza primaria nella filosofia occidentale) sono sottoposti alla medesima oscillazione: talora sembra che Cicerone voglia distinguerli, riservando alla comprehensio soltanto il significato di XOCTOC'1<jlL, talora, pi spesso, Cicerone li adopera
entrambi senza apprezzabili differenze di significato. Cos in
L'le., 6,17; Fin., 3,5,17 comprehensio conclude una serie di termini (e cio cognitio e perceptio) che devono rendere X<XTOC'1<jJ(:
a comprehensio attribuito il valore di essere il termine che
meglio risponde a una fedele ed esatta traduzione. Ma in L'le.,
31,99 i due termini si equivalgono: duo pIacet esse Carneadi
genera viSOrUl11.: in uno hanc divisione1n, alia visa esse quae

percipi possint, alia quae non possint ...


Dunque, secondo gli Stoici la conoscenza ha origine dai
sensi, che producono la opfJ.-i), e si attesta nell'animo, che' comprende '. Frequente in Cicerone l'uso di sensus, assunto a
dignit filosofica gi da Lucrezio; su questo termine si pu
osservare soltanto che mentre il greco usa quasi costantemente l'astratto <xtcr&'1",, Cicerone, e la filosofia latina dopo di
lui, si serve di un termine, come sensus, che, anche quando si

il'I

I
i

'CO:


110

c. MORESCHINI

colora prevalentemente di una accezione astratta (come in


Fin., 3, S, 16: ... sensum habere sui; Nat. deor., 1, 11,26: ... motum sensu iunctum), mantiene pur sempre una sua connotazione concreta. Una accezione tutta particolare, e non molto
perspicua, mi sembra, quella che incontriamo in un passo
del De divinatione 0,49,110), ave si parla di un aeternus se~
sus nel mondo: ivi, secondo il Pease (ad. l.), Cicerone vorrebbe
indicare qualcosa di analogo alla mens divina. Ci .non mi
sembra. esatto: della mens si parla .poco <dopo (si tratta di un
contesto che risale probabilmente alla tradizione del primo
Aristotele e a Posidonio) e quindi verisimile che ,divihus
sensus indichi la capacit sensitiva del mondo (o dell'anima
cosmica), considerato un essere animato; ci confermato anche dalla dossografia di Nat. deor., 1,13,33, ave, riferendo le
dottrine teologiche del primo Aristotele, l'epicureo Vellero si
domanda: quomodo autem c a e l i d i v i n usi Il e se nsu s in celeritate tanta conservari potest? Per indicare, invece, la facolt umana che attua la conoscenza razionale, Cicerone impiega, di fronte all'unico termine sensus una molteplicit di traduzioni. Il termine specifico , senza dubbio, ra.
tio (= 6ya.;) (cf. ad esempio ratio et cognitio et scientia in
Fin., S, 12,34, ave i termini indicano semplicemente la 'conoscenza razionale '; silfatta conoscenza razionale indicat dalla traduzione del. Timeo, 2,7 con ... quod r a t i o n e s a]i i e nt i a q u e (= 6ya.; ,,<xl 'l'p6v'I),n.; 29 a) comprehenditur); molto spesso, per, Cicerone alterna ratio (cio la attivit- conoscitiva) con l'organo che esplica siffatta attivit: e precisamente con animus 19 (cf. Luc., 7,21: ... a n i m o comprefzensa,
non s e n s i bus; 7,22: a n i m i perceptionibus ecc.) 0, con
maggior precisione, con mens: cf. m e n s a t q u e r a t i o e
r a t i o m e n t i s in Fin., 5,14,40; Nat. deor., 1,35,98; 37,
19 La connotazione semantica di animus e anima tra le pi amb~gue in
Cicerone, e non per sola sua colpa, ma in quanto la lingua latina nel suo COID:
plesso non ha mai distinto in modo rigoroso i due termini. La affinit del
due termini manifestata dallo scrittore stesso in Tusc., 1, 9, 19; nonn~
mente, poi (vale a dire, in difformit dai passi Qui citati), animu~ coro
sponde a ~ux1), sia come o/ux4J umana, sia come tVUxi) cosmica (cf. Nat. dear.,
1, 11, 28): l'esempio palmare dato dalla traduzione di Plat., Phaedr., 245'c
sg., presentata in Tusc., 1, 23, 53 sg. (= Resp., 6, 27), conclusa in 23, 55 con
le seguenti parole: sentit igitur a n i ID U S se moveri. Altrove (Tusc:;' 1, 20,
46) animus pu corrispondere a vo come nella traduzione da Eraclito (cf.
SEXT.} Mathem., 7, 129): ... eas partis, quae quasi fe'~estrae sin t animi} 'quibu S
tamen sentire nihil queat mens (= vo:: si noti la reduplicazione!). -:

OSSER

10~; 2,14,38; 171


te la fac0lt de
quella facolt c
linguaggio filosol
ove i due difett
riori delIanima
gati per indicar<
Ghe in Apul., DI
impiega, anche ii
indicare la faco]
JL',:;:;~:.";:' guifica anche, in
"M'.J"'O;>'l come in N al. de
gere); Luc., 7,20
gere i n t e U i g
vim noscendi, SI
la capacit di in
te) umano (cf. Ti
~v lIruxii Tim., 30)
quaedam animai
viene ad esse,e
r2: ratio et in1e
tellegentia); Na,
~tra.); 2, 12,32; 4
Off., 3,17,72 e i
tellegens, usato
venta comune }j
sue opere filoso)
formazione cice
te ad cXvo"l);ro del
Ql1ella tend,
dilferenfemente~
trvit corrispon,
la seconda e la!
platonica: c u h
rane in Fin., 2,
lo scrittore ten,
due caratteristi<
ca: ea. pars an
34, 115) lPer indi

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

111

104; 2,14,38; 17,46. Questa abitudine a usare indifferentemente la facolt dell'animo o l'animo o le parti dell'animo che a
quella facolt corrispondono una costante, mi sembra, del
linguaggio filosofico latino. Cf. anche il passo di Tusc., 1, lO, 20,
ove i due difetti (ira e cancupiscentia) delle due parti inferiori dell'anima secondo la tripartizione platonica sono impiegati per indicare le due parti stesse. Questo si incontrer anche in Apul., De Piat., 2,4,225-226. Accanto a rafia Cicerone
impiega anche intelligentia (che sar pi tardi sostituito, per
indicare la facolt razionale, con intellectus). Intelligentia significa anche, in senso proprio, la ' capacit di comprendere "
come in Nat. dear., 1, 19, 49 (intelligentiam capere = intellegere); Luc., 7,20 (riferito ai sensi); Nat. de or., 1,11,27: ... fugere i n t e Il i g e n t i a e n o s t r a e vim et notionem (=
vim noscendi, secondo il Pease); Tusc., 1,22,51. Ma siccome
la capacit di intellegere propria dell'animo (cio della mente) umano (cf. Tim., 3,10: ... intellegentiam in animo (= voilv
b <jJuxii Tim., 30b) animum inclusi! in corpore; Luc., 37,119:
quaedam animalis intellegentia (=il Myo stoico)), intellegentia
viene ad essere un equivalente di ratio (Tim., 4,11 e Fin., 4,5,
12: ratio et intellegentia = Myo): Tim., 6, 19 (mens atque intellegentia); Nat. deor., 1, 12,29 (sententia intellegentiaque nostra); 2, 12,32; 42-43 (sensus atque 1ntellegentia); Div., 1,32,70;
Off, 3,17,72 e 20,81; De ;',vent., 2,53,160 ecc. L'aggettivo intellegens, usato sporadicamente da Terenzio (Eun., 232), diventa comune proprio con Cicerone, anche al di fuori delle
sue opere filosofiche. Il contrario inintellegens, invece, neoformazione ciceroniana (cf. Tim., 3, lO), e deve corrispondere ad &v6'1)1'o del testo platonico (Tim., 30 b).
Quella tendenza di cui si parlato or ora, di impiegare indifferentemente la facolt dell'animo per l'effettuazione dell'attivit corrispondente, si incontra anche per quanto riguarda
la seconda e la terza parte dell'anima, secondo la divisione
platonica: c u p i d i t a s, animi levissima pars, spiega Cicerone in Fin., 2,34,115. In particolare, bisogna osservare che
lo scrittore tende a ricorrere alle perifrasi per esprimere le
due caratteristiche dell'anima, individuate dalla filosofia stoica: ea pars animi in qua inest rafia atque consiliwn (Fin., 2,
34,115) per indicare il OYLx6v; oppure rationis particeps ! ra-

j
i;

112

C. MORESCHINI

os~

tianis expers (cf. Tusc., 2,21,47; 4,5, lO; Nat. dear., 2,8,22;
2,13,36; quad ratione utitur Nat. dear., 2,8,21; campo.s ratianis Nat. dear., 2,8,22; 31, 78) per la contrapposizione 'A0y.Lx6v l
&oyov; oppure, per indicare l' ~YEI-'-OVLX6v degli stoici, l'Arpina.'
te ricorre alla perifrasi (et pars) quae l'rincep"s est
quaeque mens naminatur (Fin., 5, 13,36; cf. anche Tusc., 3,
5,11; Fin., 4,14,38 ecc.).

Ma quali sono i visa a cui attribuire l'assenso? S6ho s010


quelli che posseggono, per cos dire (quaedam) una dlarati
(~vocPYEt<x) della cosa di cui essi sono rappresentazion, ci' clanno, cio, una chiara rappresentazione dell'oggetto,come'sosten~
gana gli stoici (Acad., 11,41). Siffatto uso di declaratia sembra
essere limitato, tuttavia, a quel passo degli Academica:"j)i br""
quentemente Cicerone usa perspicuitas (cf. Luc., 6, 17).~Quest0
termine designa, presso Cicerone, la chiarezza propria dell", C0.
noscenza sensibile, ed applicabile per tutte le scuole fil0sofiche: per gli epicurei (Luc., 14,45: Epicurus ... dix.it ... sapientis esse apinianem a perspicuitate seiungere), per gli stoi;
ci (e Antioco con essi), che la collegavano alla rappresentazione catalettica (cf. Fin., 4, 4, 8). Probabilmente il termine
!VOCPYELIX era usato anche da Filone di Larissa, il quaJ!,. se ne
serviva per sostenere la sua dottrina della rappresentazione,
in polemica con quella stoica della rappresentazione' 'iitalet,
tica: simili in errore versantur cum convicio veritatiS"oactf
perspicua a perceptis valunt distinguere 20 et canantur' QsMn,
dere esse aliquid perspicui, verum illud quidem et impussum:
in animo atque mente '" (Luc., 11,34). Pi in particolite, perspicuum il visum che permette la rappresentazione atale!;
tica, cf. Luc., 12,38; la perspicuitas manca, invece, aiVa che
ci appaiono nei sogni, i quali sono, come abbiamo visto. sopra
(cf. 16,51), falsa, ed tipica della conoscenza sensibile'( COInessa con i sensi in 27,87 e 31,99). Accanto a perspictlitas s~
incontra anche evidentia in Luc., 6,17 (secondo l'usmrl l'fa'
cedimento di redllplicazione: perspicuitatem aut evid~ntiam _
... oratianem nullam putabant illustriarem ipsa evideitiia reperir/ passe). Probabilmente evidentia ed evidens (6, 18: .. , evi:
dentium rerum; 14,45)' hanno ceduto, in Cicerone, di frohte a
perspicuitas.
, .,
20

Su questa differenza tra perspicua e percepta cf.

BROCHARD, O.

C.,,, 197.

(;;0nnessi (
(29,94 e 41,12
temente tlsa
t11m ELuc., 11,
. Ma abbaI]
stoica per tln
miGa ptl esse
q,l!le1l0 di Arce
~0tI0SCenZa di
tllisce una cer

femica con Cri


mC0nosciuto C
s010 in rnnzi
di qnella epicu
t0 cOD0scevarr

sima cii termii


ql!lasi esclusivi
La scep'si'
12, 45 (cL ancl
anclie in terni
. non di'scnss,
dei l'restlppos
que affirmare
bereque sempI
tum. esset i'ns
retur, neque
perceptifmi as
ti il pr0ced~r
s0fici). Il Lud
del FaHo clie
fazione catale meglio illui
nella seconda
che incubui!
tale eSSe vi'sut
si't esse ~24', T

21

I!.e percezio

P~rcezioni, seconl
n.t come incognit

(Euc., 29, 94), con

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

113

Connessi con perspicuus sono clanlS (Luc., 14,45), illustris


(29,94 e 41,128), perspicere (Luc., 14,44; 17,53); pi frequentemente usato certum (Luc., 8,24; 33,107; 39,124) e incertum (Luc., II,34; 17,54; 34,110)21.
Ma abbandoniamo, per ora, il contesto della gnoseologia
stoica per un esame di quella accademica. La scepsi accademica pu essere divisa, come noto, in due stadi: il primo,
quello di Arcesilao, in stretto rapporto con il criterio della
conoscenza di Zenone; il secondo, quello di Carneade, costituisce una certa forma di probabilismo, che si sviluppa in polemica con Crisippo. Si pu affermare, quindi (come gi aveva
riconosciuto Carneade stesso), che la scepsi accademica esiste
solo in funzione della gnoseologia stoica e, in minor grado,
di quella epicurea. La terminologia ciceroniana conferma quanto conoscevamo dalla lettura dei testi, poich essa poverissima di termini tecnici della filosofia accademica e si incentra
quasi esclusivamente sulla discussione di quella stoica.
La scepsi di Arcesilao esposta compiutamente in Acad.,
12,45 (cf. anche Luc., 5,1415) con chiarezza e semplicit, ma
anche in termini assai generali: la sua polemica con Zenone
non discussa in concreto e si riduce solo a una negazione
dei presupposti stoici: ... nihil oportere neque profiteri neque affirmare quemquam neque assensione approbare, cohibereque semper et ab omni lapsu continere temerilalem, quae
lum .essel insignis cum aut falsa aut incognita res approbarelur, neque hoc quicquam esse turpiLlS quam cognilioni el
perceptioni assensionem approbalionemque praecurrere (si noti il procedere mediante la reduplicazione dei termini filosofici). Il Lucullus un poco pi preciso, perch ci informa
del fatto che Arcesilao si rifiutava di accettare la rappresentazione catalettica di Zenone (Luc., 6, 16), ma tale rifiuto non
meglio illustrato neppure dalla replica di Cicerone stesso
nella seconda parte dell'opera: sappiamo solo di pi preciso
che incubuit autem in eas disputaliones ut doceret nullum
lale esse visum a vero ut non eiusdem modi etiam a falso possit esse (24,77; cf. anche 26,83: nullum esse visum verum a
pere'; ~enlpercezioni n<:,n cataJctt~c~e, secondo gli .stoici, o comunque, tutte .le
c Z10 : secondo gli AccademICI, sono caratterIzzate da alcune connotazlo,
(L o~~ mcognitum (Luc., 6, 18; 35, 113; 36, 114; 43, 133; 45, 138), obscurum
uc., ,94), COntroversum (Div., 2, SO, 104); dubium (Div., 2, SO, 104; 106).

ni

I
,
I

I
iI

I, I

114

C. MORESCHINI

sensu profec tum cui non adpos itum sii visum aliud quod ab
eo nihil intersi t quodq ue percip i non possit) . Il proble ma,
,
quindi , era incent rato sul concet to di vero e di falso, o, meglio
ArMa
falsa.
di rappre sentaz ione vera e di rappre sentaz ione
a
cesilao , come si ricava dallo stesso contes to (24,77 ), si riferiv
alla definiz ione di Zenon e, che approv ava nella sua formul azioi
ne (hic Zenon e m vidisse acute nullwn esse visum quod percip
quod
eo
ab
modi
posset , si id tale esset ab eo quod est cuius
non est posset esse. Recte cbnsen sit Arcesilas ad definit ionem
additu m, neque enim falsum percip i posse neque verum si esset
tale quale vel falsum), solo che ne negava la preme ssa. Rifacciamo ci al testo di Sext. Emp. (Pyrrh., 2,4, tradot to da Cicerone stesso in 6, 18, come si visto sopra) : &7t (m&pxw ro ...
eo unde
otcx ox <Xv yvOLT? cbt fJ-~ U7tCXpX0V"t'o tradot to con: ex
modo
in
esset;
non
unde
eD
ex
esset, quale esse non posset
, perfalsum
e
Verum
77.
.
al
va,
negati
forma
in
ma
analog o,
tanto, traducono tmetpxov e p.~ umxpxov in un'epo ca in cui la
lingua latina non aveva ancora coniat o il termin e ens o essentia (e s che alcune testim onianz e - Seno epist., 58,6; Calc.,
cap. 27; Sid. Apoll., Carm., 14, epist. 4 - attribu iscono proprio a Cicero ne la coniaz ione di essenti a). Bisogn a osserv are,
tuttavi a, che questa difficolt Cicero ne la sentiv a forse meno
di quanto non pensia mo, in quanto anche testi greci analog hi
ti
usavan o per la fantas ia stoica (oltre che per l'ogge tto) i concet
di (m&pxo v e l'-~ 7t&pxov: era abbast anza agevol e passar e dal concetto di oggett o vero' (nel senso di 'esiste nte ') a quello di
, fantas ia vera' (nel senso di ' veritie ra ') ". L'impi ego di verum
e di falsum , cos freque nte nel corso del Lucull us, ci sembr a che
possa confer mare quanto si osserv ato or ora, in quanto entramb i rendon o 7t&pxov e l'-~ 7tC!.Pxov della definiz ione stoica. In
effetti, la replica di Arcesi lao e degli accade mici tutti alla dottrina stoica della rappre sentaz ione catale ttica si basava sul
fatto che essi negava no la possib ilit che esistes se una 'P<X'''<X'
quod
aLtI cos confor mata oLa ox v y;VOL-rO &.rr lJ.~ 7tlXpxov-ro:
di-
emici)
Accad
(gli
isti
qualia
essent,
si omnia visa eiusmo di
Si
(9,27).
o
Lucull
ra
dichia
cunt, ut et vel falsa esse possen t,
t
possen
esse
ricava da questa afferm azione che ut ea vel falsa
., 7, 152. Il
22 Cf. ad esempio la definizione di SEXT. EMP., Adv. Matllem
nte spesso nel
significa to di 'rappre sentazio ne veritier a' si incontra ugualme
Lucullus: cf. 27; 35; 40; 42; 48; 58; 80; 83.

corri~

mxpx

sunt,
XOVTO

percil
non c
id 011'.
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44; l:
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7, 13-1
L
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Reid)
tra, ,

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(59); J
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11, 36:
non prc
(cio il
avviene
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25 A,
venit fa

!
I

FILOSOFICO DI CICERONE
OSSERVAZIONI SUL LESSICO

115
&1t p.~

o - a OtC( oux &'1


corrisponde - sul piano negativ
um qua e vid ent ur alia ver a
eor
u""pxo'J'to. E anc ora (13 ,40 ):
gon o, i visa, gli uni ei"6 u"eipsun t alia falsa (e qui ndi pro ven
id
XOVTO) et quo d fals um est,
XOVTO, gli altr i ei"6 Il~ u"&'P
li
qua
ai
visa
ni, che son o dei
percipi non pot est (co me i sog
est,
m
visu
quo d aut em ver um
non cor risp ond e un ogg etto ) 23;
di fals um etia m pos sit vid eri
id om ne tale est, ut eiu sde m mo
una cos a che si pre sen tan o ai
(cio i visa falsa son o visa di
a) ". Qui si osc illa , dun que ,
nos tri occ hi com e visa di un' altr
ati che , fin dai tem pi del Teedal l'un o all' altr o dei due sign ific
uat i nel con cet to di Il~ u,,&,pteto pla ton ico , era no stat i ind ivid
che non una cos a, ma un'a lXOV: 'ci che non esi ste ' e 'ci
ni del sin tag ma gre co Cic ero ne
tra '. Per tutt e e due le acc ezio
ano il term ine fals um: cf. ane l'us o ling uist ico lati no imp ieg
om nib us quae visa sin t ver is
cor a 13, 42 (vo lun t efficere ii;
nih il diff era nt ... ); e anc ora 14,
adi unc ta esse falsa qua e a ver is
ae
132 (pe cca t Sto icu s rei fals
44; 18,5 9; 21,6 7; 34, 111 ; 43,
s
ien
sap
ipse
m
eni
; 17, 53 (at
adsentiens, cf. anc he Div., 1,4 (7)
2;
6,1
.,
Fat
et falsa pro veris);
sus tine t se in furore, ne app rob
7, 13-14; 9,17 -18 ecc. ".
ile e sicu ra (co mpr ehe nLa rap pre sen tazi one che sia stab
m: 8,2 3 = I3l3cxLoV "cxl eillEsion em ... stab ilem ... et imm uta bile
Ma them ., 7,2 53, com e oss erv a il
'T&."T"',,"OV di Sex t. Em p., Adv.
rist ich e, si dist ing ua da un'a lReid) e, per que ste sue car atte
pre sen tazi one cata lett ica; nestra, , sec ond o gli stoi ci, la rap
sec ond o gli acc ade mic i, diSuna rap pre sen tazi one , invece,
er per me tter e la con osc enz a
ver sa dall e altr e in mo do da pot
diff eren za, neg ata dag li accasensibile. Per esp rim ere que sta
ini trat ti dal la ling ua d'us o:
demici, Cic ero ne si serv e di term
c., 33; 36; 40; 41 ecc.); dist are
differre (3LCX<pp"V) e inte ress e (Lu
sap ien te, che dist ing ue tra le
(59) ; per ind icar e l'at tivi t del
(25 ; 33; 40 ecc.); inte rno sce var ie rap pre sen tazi oni , disc ern ere
e (32 ; 44; 48 ecc.); dist inc tio
re (22; 33; 47-48 ecc.); dist ing uer
yVO LTO

Ii

l!

'!

'I.l'
;

l
I

I
i
'

l,, .

I
I

pa anch e in Div., 2, 60, 124 sg.


: Dei v~sa som nior um ci si occu
spec ifica ti in
ntaz ioni fals e' sono meg lio
.Questl d~e tipi di . rapp rese sign ifica tur aul falsu m sit (cio il visu m
11
, 36. sed fien pote st ul id quod
nihil si! omn ino
da cui sem bra prov enir e) aut
~~~P;ovi~ne da. quel l'ogg ettosolo
un ogge tto reale, com e
da
e
enir
prov
a
senz
,
da
avv. 1 VISum 51 form a
15, 47: mul ta poss e
i o neUe visio ni dei folli: cf.
vid le~e nel caso dei sognnull
.
ecc.)
sint
a
e~1 esse, quae omn ino
falso rum (7, 22); nem o inte: non poss ibile la mem oria
ve... ' tAnalOgamen
alsa (8, 26).
.. l

',I

116

C. MORESCHINI

(43;48 ecc.) (a,,,,,,plvL'I) senza alcuna apprezzabile differenza,


ma in base a quella variet di termini che caratterizza il linguaggio tecnico-filosofico ciceroniano.
Il vero si distingue dal falso (o meglio, il viSUln vero da
quello falso) grazie a una sua particolare caratteristica, che
Cicerone indica con nota: veritatis nota (Luc., 11,33); veri et
falsi nota (ibidem); cf. ancora 18,58; 22,69; 26,84; 32, 103.
Secondo il Reid, nota traduce il greco <nJf'iLOV, e questa ipotesi
resa probabile dal fatto che nello stesso contesto (11, 34) si
osserva: si erit communas cum falso, nullum erit iudicim,
quia proprium in communi signo n o t a r i non potest. Tale
nota il segno distintivo di ciascuna rappresentazione (o, per
traslato, di ciascuna cosa); eius rei ... certa et propria nota (11,
35); cum ei res similes occurrant quas non habeat dinotatas
(18,57), ave dinotatus (che hapax) significa' essere distinto
da un'altra cosa grazie a una nota '. Pertanto tale cosa pu
essere oggetto della rappresentazione catalettica, secondo gli
stoici (22,71) ".
Quando la nota non particolare di una sola rappresentazione, essa communis con un'altra (Luc., 11,33: ut enim
illaoculis modo agnoscuntur, sic reliqua visis, sed propria
veri non communi veri et falsi nota), cos come la rappresentazione vera pu essere communis (cio indistinta) con quella
falsa. Analogamente, non esiste iudicium (cio \ criterio', come si vedr subito) del vero, se esso commune con -quello
del falso, e Antioco nega per bocca di Lucullo (17,54) che vi
sia una communitas indistinta tra due o pi cose 27. Oppure,
le rappresentazioni possono essere caratterizzate da somiglianza o dissimiglianza (similitudo, Luc., 30; 43; 54; 57; 84; Nat.
dear., 1, 5, 12; o dissimilitudo (Luc., 43 e 103)).
Tuttavia, nota non il solo termine che indichi il "~f'ii:ov
proprio di una rappresentazione. Un termine pi preciso e corrispondente signum, come si ricava dal gi citato passo di

Luc., 11
mun s
dem il
fieri pOI
omnno;
st ris
AlI<
probabi
mune,p
al prob
b i l e,
32 per j
bile ali<
99; 100;
2,2, 7-8
E'
ruso re
dimostr
egli nor
corrispe
ne insol
, purtr
se rin
dica, in
babilis)
Un
Carnea,

26 Cf. 31, 101 (la nola deve essere insignis); cf. anche 34, 110; Acad.; 8, 32:
argumentis quibusdam et quasi, rerwn notis ducibu5 ...
n Altri usi di nota nel contesto di un discorso sulla conoscenza: iudicandi
et adsentiendi nota (Nat. deor., 1, S, 12); Fin., 5, 25, 74: nomina tamquam
rerum notas; Div., 2, 6, 17; 2, 61, 128 (un contesto che richiama il Lucullus:
qllae (somnia) si alia falsa, alia vera, qua TI o t a i TI t e r TI o 5 c a TI tu r
scire sane velim).

36; 31, 99;


uso- bana:

28 Ane
a Ciceron
indicia nt
29 Giu
plieement
fatti, un
quasi, e ~
camente <
anche se

11; Div., :
movet). (
30 Pro
31

Cf.

littraire

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

117

Luc., 11,34: ... nullum erit iudicium, quia propl'ium in communi si g n o n o t a r i non potest; Il,36: ... est hoc quidem i Il i u s r e i s i gnu m a u t a r g u m e n t u m... sed
fieri potest ut id quod significatur aut falsum sit aut nihil sit
omnino; 22,71: ... nihil ita signari in animis nos t r i s a vero posse quod non eodem modo possit a falso 28.
Alla scepsi di Arcesilao si oppone, almeno parzialmente, il
probabilismo di Carneade. Questo termine, divenuto di uso comune per designare l'atteggiamento dell'accademico di fronte
al problema della conoscenza, ha avuto origine da p r o b a b i l e, che Cicerone impiega per la prima volta in Luc., lO,
32 per indicare il m&",vv di Carneade: volunt enim ... proba.
bile aliquid esse et quasi verisimile "; e cos ancora 47; 48;
99; 100; 103; 110; Fat., l, 1; Tusc., 1,9,17; 2,2,6; 4,4,7; Off.,
2,2, 78 ecc. 30.
E' verisimile anche che il termine probabile derivi dal
l'uso retorico "; che fosse un termine familiare a Cicerone
dimostrato dal fatto che, pur traducendo un termine greco,
egli non sente mai il bisogno di giustificare il termine latino
corrispondente: segno che per lo .scrittore non era un termi
ne insolito. In ogni caso, questo termine, di origine retorica,
, purtroppo, di impiego un po' generico in Cicerone (anche
se rimasto poi come tipico del m&",vv carneadeo): esso indica, infatti, anche]' .6oyov stoico in Fin., 3,17,58 (ratio probabilis) e Off., 1,3,8 e 29, 101 ecc.
Un secondo genere di rappresentazione probabile era, per
Carneade, quella ,x,tEp1<17t"'CITO (cf. Sext. Emp., Adv. Mathem.,
28 Anche indicium potrebbe (sebbene in tutt'altro contesto) esser servito
a Cicerone per rendere cn}l.Ldov: cf. Fin., S, 18, 48 e 20, 55 per il sintagma
indieia naturae.
29 Giustamente il Reid vede nel nesso probabile et quasi verisimile sem
plicemente un tentativo di traduzione duplicata di 1tl.act.v6". Verisimile , infatti, un termine di portata filosofica minore, piil banale, giustificato dal
quasi, e serve a chiarire il concetto di Carneade a un pubblico non filosoficamente colto. Gli altri casi dell'impiego di verisirnile si possono ricondurre,
anche se non con particolare rigore, al significato di probabile: cf. Luc., 11.
36; 31. 99; 33, 107; 41, 127128; Acad., fr. p. 21, 15 Plasberg. Il termine poi di
uso banale: cf. ad esempio Tusc., l, 4, 8; Il, 23; 2, 2, 5; 3, 9; 4, 21, 47; 5, 4,
11; Div., 2, 72, 150 eec.; e ancora Tusc., S, 29, 82 (quodcumque specie veritatis
movet). Cf. infine BROCHARD, o. C., 133 sg.
JO Probabilitas anche in Tusc., S, Il, 33.
31 Cf. CH. CAUSERET, Etude sur la langue de la rhtorique et de la critique
littraire dans Cicron, Paris 1886, 83 e 108.

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l'

I
II

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118

C. MORESCHINI

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7;'1'66: ... 7tpoaC(fL~&IJl.\l -rYjV 't'E 7tL&C(.'J~\l q>CtV"C'o:aklV X/Xt '!1jV 7tL-&C(')~V
&Ji xcd &7tEpfermxo"'t'o'J xcd the:;(3EUll-v'Y}v), che Cicerone illustra (Lue.,
1'1,33) con una perifrasi, ma in modo chiaro ed esatto: ... visi6nem ... probabilem et quae non impediatur (cf. anche 18,
59-; 32, 104;- 34, 108; 31, 101) ", non manca, comunque, anche in
questo caso, l'amplificazione retorica: ... probabili ... et eo quidem expedito soluto libero nulla re implicato (33,105). ConnessFon 'probabilis sono i termini probabilitas (neoformazione ciceroniana? senza dubbio ciceroniana la accezione filosofica) (75; 100; 104) e probare, che vuole espressamente;
in'un ambito filosofico, distinguersi da adsentiri:itaque et

sensibus probanda multa sunt, teneatur modo illud, non inesse in iis quicquam tale quale non etiam falsum nihil ab eo
differens esse possit (la dottrina carneadea qui opposta a
quella stoica) ... quae nisi p r o b e t, omnis vita tollatur (31,
99); ancora con preciso significato tecnico, il termine probatio: tale visum nullum esse ut perceptio consequeretur, ut
autem probatio, multa (31,99) 33. N mancano, come al solito,
i composti approbare e comprobare, ma essi sono quasi costantemente impiegati non per esprimere il termine carneadeo,
ma come un analogo di adsentiri in ambito stoico: cf. soprattutto Acad., 11,41; 12,45; Luc., 33,108; 40,126; 45,138 ecc.
Opposto alla rappresentazione catalettica, nemmeno il probbile, tuttavia, permette una vera conoscenza, bens soltanto
una opinio; cos Cicerone traduce il greco 36~<x, termine che
una lunga tradizione risalente fino a Platone aveva canonizzato per indicare una forma inferiore e fallace di conoscenza,
in contrapposizione alla imcrn\fL~: itaque hanc omnem partem
rerum opinabilem appellabant; scientiam autem nusquam esse censebant nisi in animi notionibus atque rationibus (Acad.,
8,31-32; cf. anche 11,41-42).
La opinio, naturalmente, non possiede, come si detto,
validit scientifica in senso stretto, per cui essa pu risultare
errata: cf. Luc., 18,59 e l'ampia discussione contenuta nella
seconda parte di quell'opera, in quanto tale eventualit era
sostenuta dalla scepsi accademica, mentre era rifiutata da An32 In questo ambito dottrinale rientra anche la definizione ex circumspectione aliqua di Luc.) 11, 36.
33 Pro bare e probabilis nel significato accademico impiegato da Cicerone ancora in Div., 2, 17, 41; 63, 129; 72, 150.

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4,28,61
71); cc
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espreSE
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Afl
rattere
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gnifica;
(Tusc.,
deos) l
34 E'
neade arane seI
Herculi
nem bel
ritatem,
35 Ac
l'origine
anche q
Cicerone

,'
DI CICERONE
LESSICO FILOSOFICO
OSSERVAZIONI SUL

119

pr es en te l'erroacch ne ll'o pin are era


tioco e dagli sto ici . Gi
r il sapiente ".
ind eg no e as su rd o pe
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esclusivamente:
att rib ui rsi a Cicerone
tur a latina, no n da
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ia greca, vedere
no sc en za della filosof
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80<~ELV po tev a ess
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ron e se ne se rv e senza
sivo) il fat to ch e Ci ce
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ni e se nz a far e att en
mi
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ro la gr ec a di uso insoli
e possiesta tra du ce nd o un a pa
sci
l pia no cono tivo, ch
su
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tiv
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a
tur
ma
La sfu
me deorum opian ch e in es pr es sio ni co
de opinio, co ns erv ata
sa opinio (Tusc.,
4; Tusc., 1,1 3,3 0) ; fal
7,4
1,1
,
or.
de
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(N
nio
t. deor., 3,28,
es (Tusc., 3,1 ,2; cf. Na
on
ini
op
ae
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pr
0);
4,28,6
, mala opi(Tusc., 4,1 3,2 9) ; bona
um
on
ini
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pti
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ssim. Non
71); co
) Tusc., lib ro terzo, pa
,65
31
;
14
e
,11
4,6
nata (Tusc.,
esque concordant
res sio ne iudicia opinion
sempre, pe r: ne ll'e sp
meno sensibile. Si
lor e ne ga tiv o assai
va
il
0)
3,3
4,1
,
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del gr up po co sti tui to
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giunge,
no log ia filosofia pi rig
mi
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Academica
te da iudicium
o no n mo lto differen
espressioni in cui op ini
at. deor., 2,2 ,5) e
me sta bil is opinio (N
e fino ai sin tag mi co
1, 14, 24) ".
artes opinabiles (Div.,
endo caopinatio, pu r non rivest
a
all
e
o
ini
op
a
all
e
Affin
si oppone
la coniectura, l dove

o,
nic
tec
ne
mi
ter
rat ter e di
ne ratione quidem
in Luc., 13,42: ... ut
alla ratio (ad es em pio
re connessa al sipe rc ipi po ssi t) o ap pa
res
a
ull
ra
ctu
nie
co
et
e di probabile
v., 2, 11,26; 2,7 1,1 47 )
Di
.
(cf
",
M
di
ato
gnific
ut eos (scl.
Nat. deor., 1,1 5,3 9: ...
e
ch
an
.
Cf
).
,17
1,9
(Tusc.,
mus.
id em inf or ma re possi
deos) ne co nie ctu ra qu
Carc., 24, 78 e 41, 128) che
E' .Illcerto, tuttavia, sec ond o Cicerone (Lu iente, della opinione. Cice
sap
n d
scribenti,
la pos sib ilit , per il
ea e avesse sos ten uto he in 34, 108: cre doq ue Clitomacho ifa et imma
anc
m
~ne ~~mbra ncgarlo m exa ncl atu m a Carneade, quod ut teraem et teme
ore
id est opination
n: erc~ I quend~m fab
nos tris ads ens ion em' .
SIC ex ani mis
ri~~ efuamrax
lI, 26); sula em, ext isset.
nat io (Tusc., 4, 7, 15; ervare che
nio si trova anchehe opi
si pu oss
25)
14,
l,
.,
l'Ori:. Acc~.nto .ad ~~i
Div
ma volta da
(per cui cf. anc
ancheme l opm abl ils sembra ess ere sta to impiegato per la pri
qUesto termine
Ccerone
.
J4

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I.,
I .

l,

I '
Il '
Il

I
I

L'altra innovazione dottrinale operata dalla scepsi accademica quella dell' btOX~ (btx"'). Cicerone impiega, come
corrispondente abbastanza vicino ad 7toX~ ed 7tXEL', il verbo
sustinere, ma sempre (evidentemente per un desiderio di maggior chiarezza) con un oggetto specifico che lo determini: o
sustinere se ab omni adsensu (cf. Luc.,. 48;.53; 94; 107) o sustinere adsensionem (Luc., 53; 68; 98 ecc.; Acad., 12,45; Fin.,
3,9,31). Espressioni analoghe sono: retenturum adsensum
(Luc., 18,57), donde adsensionum retentio (Luc., 24,78), e cohibere adsensum (Luc., 29,94; Acad., 12, 45). 'E7toX~ si trova
solo due volte, in Luc., 18, 59 (id est adsensionis retentio) e
48,148: Cicerone, dunque, cercava di latinizzare il termine il
pi possibile; per la sua tecnicit tale termine rimasto confinato, si pu dire, al Lucullus.
Il resto della terminologia impiegata dagli accademici de( riva sostanzialmente dall'epistemologia stoica, in quanto l'avvio alla discussione di quei problemi fu dato in gran parte da
Arcesilao nella sua polemica con Zenone. Cos incontriamo
iudicium, che corrisponde a "P'"t"~plO', come ben vide il Reid
commentando Luc.,. 6, 18: hoc cum infirmat tollitque Philo
(quando nega, cio, l'essenza della rappresentazione catalettica), iudicium tollit incogniti et cogniti. [udicium un termine ben scelto per rispondere a iudico, cos come XPlTIjpLO' corrisponde a xp(VCl): la corrispondenza assai precisa, e si conserva in Luc., 7,30; 9,29; 11,33 e 34; 18,59 ecc. Fin., 3,1,3:
,.. dicit Epicurus ne argumentandum quidem esse de vo/uptate;' quod sit positum iudicium eius in sensibus... 1,7,22 ...
rEpicurus) iudicia rerum in sensibus ponit. In quest'ultimo
per, il significato di iudicium (al plurale) sembra essere alquanto diverso, vale a dire, pi vicino al significato corrente:
cf. Luc., 7, 19 (sensuum ita clara iudicia et certa sunt ); Acad.,
10,39 ( ... perturbationes ... opinionis iudicio suscipi ); Fin.,
1, 19,64; Tusc., 4,7, 14-15; 9,22; 23,51 (iudicio atque sententia); Div., 2,72, 150; iudicio susceptas (perturbationes)
(Tusc., 4,31,65 e 35,76); il termine parallelo iudicatio in Tusc.,
4,11,26; il verbo iudicari in Fin., 2,12,36 (sensibus ipsis iudicari vo/uptatem bonum esse). Questa duplicit di significati
compresa nel termine iudicium dovuta probabilmente al
fatto che, mentre il greco pu distinguere tra "p,TIjpLO' e "plal,
il latino non ha questa possibilit. Notiamo, infine, che iudi-

cium conn
cium) per il
deor., 1, 16, L
Luc., 9,29.
Termini,
sofia ciceron
lato il termil
cos in Luc.,
fa/sa esse pc
nere) e 11
t i o n e m vc
n o s c i nu/i
nota cos COl
cezione pro
notio rende
goraso crite
essa per tI
citamente al
poi ancora <:
fondamental.
128; Acad., 8
81 (species e
spiegazione c
insila et ani
gens, ave bel
to della ~WO
contesto pia'
la dottrina d,
quelle indic~
indicare una
cio la nozie
12,30; 16,43
Leg., 1,8,24)
1, 18,46). La
9,31; Tusc.,
derio di ma!
ne animi a I
lO, 33. Perfe
36

Sul cara t"

5, 21, 5960; 23,

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

121

cium connesso anche con regula (cognitionis regula et iudi- ~


cium) per' indicare il ,,<xv"'v epicureo in Fin., 1, 19,64; Nat.
deor., l, 16,43; pi in generale: regula totius philosophiae in
Luc., 9,29.
Terminiamo con due termini di grande rilievo nella filosofia ciceroniana e latina in generale: notio e notitia. Da un
lato il termine natio equivale a nota, di cui si parlato sopra:
cos in Luc,,_9, 27 (si omnia visa eius modi essent ... ut ea vel
falsa esse .possent neque ea posset u Il a n o t i o d i s c e r .
n e r e) e 11,33, (:... quae ista regula est veri et falsi, si n 0t i o n e m veri et falsi propterea quod ea non possunt i n t e rn o s c i nul/am habemus?): in questi casi natio equivale a
nota cos come visio equivaleva a visum. Ma questa prima accezione provvisoria e circoscritta al Lucul/us; generalmente
notio rende ~wo,<X: se tale traduzione non basata su un rigoroso criterio etimologico, che altre volte segue Cicerone,
essa per tra le pi felici. Che natio equivalga ad ~WOL<X espli
citamente affermato in Tusc., 1,24,57; il termine si incontra
poi ancora 'assai spesso in Cicerone per indicare un concetto
fondamentale della nostra conoscenza, immediato: cf. Luc., 41,
128; Acad., 8,32; 11,42; Fin., 1,9,31; Tusc., 1,36,88; Off., 3,20,
8L(species et forma [= .r3o] et natio viri boni). Cf. ancora la
spiegazione che ne d Cicerone in Top., 7, 31: ea (SCUWOL<X) est
insita et animo praecepta cuiusque cognitio enudationis indigens, ove bene vien presentato il carattere aprioristico e innato della ~WOL<X stoica lO. Il termine si trova soprattutto in un
contesto platonico-stoico, come in Tusc., 1,24,57, ove illustra,
la dottrina del Menone; notiones comuni a tutti gli uomini sono
quelle indicate in Tusc., 4,24,53; 5, 10,29; oppure anche per
indicare una delle nozioni fondamentali della natura umana,
cio la nozione della divinit (deorum natio in Nat. deor., l,
12,30; 16,43; 2,5,13; 17,44-45; 3,7,16; notitia dei si legge in
Leg., 1,8,24); queste di dio sono primae notiones (Nat. deor.,
1,18,46). La notio , infatti, insita nel nostro animo (Fin., l,
9,31; Tusc., 1,24,57; impressa in Acad., 11,42). Per un desiderio di maggior concretezza Cicerone aggiunge la precisazione animi a notio in Acad., 8) 32; Nat. deor., l, 14,37; Fin., 3,
lO, 33. Perfettamente analogo a notio il termine notitia, per
36 Sul carattere innato (ingenitus) della notio o notitia, cf. ancora Fin.,
5, 21, 59-60; 23, 66.

l
"

"
"

i
'I

,i
,l

i"

l'l

122

C. MORESCHINI

il quale, veramente, Cicerone era' stato preceduto da Lucrezio


(5, 124; 182 ecc.); comunque sia, Cicerone dichiara esplicita.mente che notitia la traduzione di fvvo,,,, in Luc., 7,22; cf.
anche 7,21: notitiae rerum (l'uso del concreto res, congiunto,a notitiae, parallelo a quello, osservato or ora, del concreto animi, congiunto a natio: esso si ripresenta in 12,38,
unitamente all'analogo natio rerum di Tusc., 5,39, 114); Esiste,
dunque, la boni notitia o boni natio, come si legge in Fin., 3,
10,33; assai significativo, infine, per illustrare il significato di
notitia, e il suo contesto platonico-stoico, l'uso che ne fa Cicerone in Fin., 5,21, 59-60, l dove illustra la dottrina antiochea delle nozioni innate della virt; cf. anche Orator, 33,
116, la cui definizione richiama quella di Top., 7,31, sopra
osservata.
Tuttavia l'uso di questo termine in Cicerone deve comprendere anche la 7tp6'I)<Jio epicurea, che soltanto simile all'apparenza, ma non identica alla fvvoo", stoica (essendo quella
derivata dalla esperienza pi volte ripetuta, questa insita nell'animo umano). Orbene, Cicerone, non avendo a disposizione un termine pi preciso che renda la 7tp6'I)<Jio epicurea, costretto a ricorrere anche per essa a natio / notitia; cf. Luc.,
47,142: (Epicurus) omne iudicium in sensibus et i n re rum
aot.i tH s et in voluptate constituit; Top., 7,31: notionem
appello quod Graeci tum fvvo,,,,v tUln 7tp6'I)<Ji'v; Nat. deor., 1, 16,
43-17,44 (natio e praenotio); 2,17,45 (notione praesentire); 1,
18,46 (primae notiones); informatae notiones in 2,5,13; mentre in Nat. deor., 1,16,43 tenta una perifrasi (id est anteceptam animo dei quandam informationem); 27,76 (... informatum anticipatumque mentibus nostris; cf. 1,36,100: evidentemente anche Cicerone si era accorto che notitia era insufficiente a rendere la 7tp6'I)<Ji, epicurea, ma non pot trovare
altro che una perifrasi). Un altro termine della gnoseologia
epicurea l' m~o~ T~ 3,,,,vo[,,,, che espressa dalla locuzione se iniciens animus di Nat. deor., 1,20,54.

nare, fine
come int(
sponde a:
to sempli
corrente
mente dc
tende fin
16,54; 5,

(summu"
(ultimurn
valgono,
Cicerone
sim) 39; b
bonorum
5,6,17;1
4, 10,25;
mis bone
giocare c
dendo a
una fan1
per quar
con anal
ti come
maggion
rum (Ac
unito COl
tio per
degli stc
sono eSI
3,13). L
vivere a
nirent, c
autL~octv6'

eia amni
38 L'ag

3. Nell'ambito del problema del bene e del male (quaestio


quae de bonis et malis appellatur: Fin., 3,12,41) 37 prelimi-

bonorum I
dicuntur).

L'etica, come terza parte della filosofia, descritta con varie perifrasi
in Acad., 5, 19; 6, 23; 9, 34; Tusc., 3, 4, 8; Fin., 5, 4, 11 - 5, 12 ecc., con la diretta
corrispondenza di ~.&'l) con mores in Fat.} 1, l; in quest'ultimo passo si propone anche, allo scopo di auge re linguam Latinam, la fortunata neoforma
zione moralis come derivato da mores e diretto parallelo di 'l}&tx6,

39 Arrc1
guaggio te
tura?) sur.
'" Cf.
per rende
po di esse

37

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

123

nare, fino a confondersi con esso, il problema del finis, che,


come intende Cicerone stesso (Fin., 1,12,42; 3,7,26) ", corrisponde al telos delle filosofie ellenistiche: un esempio molto semplice, eppure significativo, di come un termine di uso
corrente nella lingua latina assuma, con Cicerone e normalmente dopo Cicerone, una accezione flosofica. L'Arpinate intende finis tome punto estremo' (extremum: Fin., 1, 12,42;
16,54; 5,9,26 e 15,43; Luc., 9,29, ecc.), come' punto pi alto'
(summum: Fin., 1, 12,42; 16,54 ecc.), come 'punto ultimo'
(ultimum: Fin:; 1, 12,42; 3,6,22; 4,13,32-33): i termini si equivalgono e vengono impiegati indifferentemente, come dichiara
Cicerone stesso in Fin., 3,7,26. Quindi: summum bonum (passim) "; bonorum extremum (Fin., 4, 10,26; 5,6, 15);ultimum
bonorum (4,17,46) <O; extremum et ultimum (Luc., 8,24; Fin.,
5,6,17; Tusc., 5,25,71); finis ille summi boni atque ultimi (Fin.,
4, 10,25; 5, 14,40; 15,41); quaestio de finibus et quasi de extremis bonorum et malorum (Fin., 5,8,23). Cicerone sembra voler
giocare con questi termini di uguale significato, pi che obbedendo a una esigenza di variatio, quasi cercando di ottenere
una fantasmagoria di definizioni. Nelle filosofie ellenistiche,
per quanto mi dato vedere, il telos difficilmente variato
con analoghe definizioni: tutt'al pi si incontrano degli astratti come &x.pO\l ed axoct'o\l. Extrelnum pu essere unito, per
maggiore chiarezza (e un po' di banalit) a rerum expetendarUm (Acad., 5,19; Fin., 5, 13,37); anche terminatio (parimenti
unito con rerum expetendarum: Fin., 5, lO, 27) un'altra variatio per indicare il fine, l'extremum. La mania classificatoria
degli stoici present addirittura tre definizioni del telos: esse
sono esposte da Cicerone in Fin., 4,6, 14-15; 2, 11,34 (= SVF,
3,13). La prima cos Suona: il vivere secondo natura significa
vivere adhibentem scientiam earum rerum quae natura evenirent, cio (SVF, 3, 12) xoc-r' fL7r:tptOC'll TWV XOCTtX Tj\l g'l}\I q>.JCl'LV
"ufL~'m6VT{v ~'iiv; il secondo significato sarebbe quello di officia omnia aut pleraque servantem vivere (SVF, 3, 19-20, p. 264:
38 L'aggettivo "':t:lx6c;, invece, reso con una perifrasi in Fin., 3, 16, 55:
bonorwn aUa sint ad illud ultimum pertinentia (sic enim appello quae 'TElxl:
dicuntur).
39 Anche summa bonorum in Fin., 4, 16, 43; 17, 46. Si riferiscono al lino
guaggio tecnico del summum bonum alcune locuzioni come constitutio (= natura?) summi boni (Fin., 5, 16, 45) ed explicatio summi boni (Fin., 5, 24, 72).
40 Cf. ultimum in bonis in Fin., 5, 9, 26. Ultimum usato anche da solo
per rendere 't'o, nell'ambito di determinate arti, per indicare, cio, lo scopo di esse.

. I

124

o,

C. MORESCHINI

7t(X\I't'G( 't'OC xa&lp'ov't'Ct 7tL't'tOUV't'cx. ~'ijv) definizione di un' oscuro


stoico, Arched emo); infine, omnib us aut maxim is rebus
iis
quae secund um natura m sint fruent em vivere. Quest' ultima '
sembr erebbe essere una definiz ione di Zenon e: cf. SVF, l, 184
(= 3, 16): EUalX'IlOv(lX (= u).o) a'icr-rtv EGpOtlX {3(ou.
Dei beni non si danno suddiv isioni, se non quelle della
contro versia peripa tetico. stoica: oltre ai beni dell'an imo (OCYlX&; "'Ept <jIux~v) si discut e sul valore dei bona extern a (Fin.,
3,
13,43; 5,24,6 9 ecc.) oppur e extrins ecus (Tusc" 5,17,5 11
'"
quae sunt extra (Fin., 5,23,6 8), che la termin ologia greca indic
norma lmente con Tl ~!',w
To. iXT6. Sulla traduz ione del XlX&iixov stoico con officiu m si gi scritto molto ". Qui
voglia.
mo aggiun gere solo alcune consid erazio ni a propos ito della
latiniz zazion e del termin e. Negli Acade mica (10,37 ) leggiam
b
che Zenon e inter recte factum (XlXT6p&wll"')' atque peccat um

(OCIl"pT'I)IllX) officiu m et contra officiu m media locabat


qua;'

dam ... ove la poco elegan te espres sione contra officiu m' equi
vale a "'lXpl T XlX&iiXOV second o il Reid. Parime nti, second o
la
dottrin a stoica si disting ue tra officia media (lltalX) e perfec
ta
(Tt)."'lX)", o, pi precis ament e, tra officiu m mediu m (XlX&ijx
OV)
e officiu m rectum (XlXT6p&WlllX) ". La distinz ione traccia
ta
on estrem a chiare zza in Off., 1,3,8 (cf. anche 3, 3, 14-15), e
si
fa apprez zare per la precis ione con cui i termin i latini corri
spond ono a quelli greci: ... rectum quod sit, id officiu m per
fectum esse definiant; mediu m autem officiu m id esse dicunt
quod, cur factum sil, ratio probab ilis reddi possi! (cf. anche
1,29,101; Fin., 3,17,5 8) ".
'1'
'.,
Cf., ad esempio, G. KILB, Ethisch e Grundb egriffe der
alten Stoa wl
ihre Uebertra gung durch Cicero, Freiburg i. Br. 1939, 58
sg.; M. POHI.ENZ,
L'ideale di vita attiva secoildo Panezio nel De Officiis di Cicerone
, trad", ita41

liana di M. Bellincioni, Brescia 1970, 3136 e la bibliografia ivi


citata.
"
42 Perfectu s la normale traduzio ne di d),eLo
(cf. Fin., 3, 18,
cos come perfecti o io di 'tELOTl') (Fin., 4, 14, 37). Entram 59; 4, 14,,3,7),
bi i termitii designano solitame nte la condizione' del sapiente; gli uomini comuni
sono '_~'1Or
perfecti (Fin., 5, 24, 69). Non diverso da perfectu m absolutu
contra nella definizione del sommo bene, attribui ta a Diogene m, che si in
(Fin., 3, 10, 33 = SVF, DIOGENE 3, 40: ... bonum ... id quod esset di BabiloHia
natura abso[tum. Id autem sequens illud etiam, quod prpdess et - w<piJ,l'lfLC
t enim .sic
appellem us - motum aut statum esse dixit' natura absoluto
).
bra che siffatta definizione corrisponda piename nte a quella Non mi semdei testi grci
(SVF, DIOGENE 3, 44-46: OIOG. 1..AER., 7, 88 e STOB., Eel., 2, 75, 11):
),OYLG'T'dv f'I
TfI .wv xa:'Tet q>UOLV eXoyn xa:t rXTt"xoyfi
'. :
.
..
43 Rectum conserv a, naturalm ente, anche
il significato della lingua d:uso.
44 Per l'origine della definizione ciceroni ana, cf.
DIOG. !AER., 7,
1, 230); STOB., Eel., 2, 85, 14 Wachsmuth (SVF, ibidem): ... K(X~l}1jxov107 (= SVF,
<pa.Q"Lv e:!VClL

e:

a 7tpax.oiv EUO"(OV (crxl c1t'OoYL0I-l0v.

A' questa
tempo- prima,
rezza, traducE
factum (3,18,
quello inchoal
che pure si tI
nae (3,.5, 11) (
parlan do di u
que, soltan to
da perfec tum
in 3; 18,59) , J
to. Accan to a
soltant o' recta
le rehder e XlX'.
Per illust:
trappo ngono :
re volent ieri
filosofico pree
omnes numer
sua parte; or
pi pr.eciso:

ros veritatis).
ta gi ,dal Mi
(XlXT6p&WlllX. a'

cf. Stob., Ed.


tutti i numer i

nullam habet
lXU!',"VETlX' ).

A queste
Zenon e' (Acad
nel senso del
platon ica ( i
in Acad., 8, 3
in quanto esc
ch'essa buon;
summu;n?): i
ga simple x al
norum et ma
st~: gli"sto ic
hl

45

.....

Ef!ectio

fa

vedi anche oltre

125

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

,.
A questa dottrina stoica Cicerone si era gi rivolto poco
tempo prima, componendo il De finibus, ma con minore chiarezza, traducendo, s, XOlT6p&WflOl con rectum (4,6, 15) o recte
factum (3,18,59), ma contrapponendo all'officium perfectum
quello inchoatum: una traduzione assai meno felice di medium,
che pure si trova in quello stesso contesto. Ma nelle Tusculanae (3,5,11) Cicerone preferiva la traduzione letterale di fl<cro v
parlando di una mediocritas officiorum. Inchoatum era, dunque, soltanto un tentativo di traduzione che si distinguesse
da perfectllm (che si trova anch'esso sempre nel De Finibus,
in 3, 18,59), ma fu un tentativo infelice e, quindi, abbandonato. Accanto a rectum si trova, come proposta di traduzione,
soltanto reeta effectio, che con un certo rigore linguistico vuole rendere x6p&WcrL<; (cf. Fin., 3, 14,45) 45.
Per illustrare le caratteristiche del rectum (al quale si contrappongono i peccata in Fin., 3, 9, 32; 21, 69) Cicerone ricorre volentieri a una espressione che non possiede un aspetto
filosofico preciso: lo scrittore dice, infatti, che l'azione retta
oml1es numeros habet (Off, 3, 3, 14), cio completa in ogni
sua parte; omnes l1umeros virtutis cantinet (qui Cicerone
pi preciso: Fin., 3, 7, 24; cf. anche Div., 1, 13, 23: ... numeros veritatis). L'espressione, che sembra cos insolita, stata gi dal Madvig ricondotta a un'analoga espressione greca
~,...

n.-

n.

(xex-r6p&wfLiX a E~Vex~ E'oum )(a.'I71JXOV 1tIXv't'ae; E7tEX,0V 't'aue; a.p~vtLue;:


. cf. Stob., Eci., 2, 93, 14 = SVF, 3, 500): se il bene' possiede
I

\ .

tutti i numeri osserva anche Cicerone, crescendi accessionem


nul/am habet (Fin., 3, 14, 45; cf. lO, 34; 5, 28, 83: augeri =
I

IX~&'J't'O:L ).

A queste caratteristiche del bonum si aggiunge, secondo


Zenone CAcacl., lO, 35) quella di essere simplex, che va intesa
nel senso del greco ci7touv. Il termine sembrerebbe di origine
platonica ( impiegato dallo stesso Cicerone, cio da Antioco,
in Acad., 8, 30 per caratterizzare !'idea platonica, la species),
in quanto esclude ogni cosa, ogni componente che non sia anch'essa buona (come potrebbe, altrimenti, il bonum essere
summwn?): in un significato affine, in fondo, Cicerone impiega simplex anche per definire le caratteristiche del finis bonorum et malorum (Off, 3, 33, 119). Del bonum e del honestum gli stoici dicono anche che esso laudabile (Fin., 4, 18,
4S Effectio fa parte di un gruppo di termini derivati da efficio, sui quali
vedi anche oltre 158.

I
\

.,

126

C. MDRESCHINI

48-49; 21, 58-59; Tusc., S, 15, 43 "; 16, 48; Off., l, 4, 14); lo stesso termine, quindi, applicabile anche alla vita dell'uomo one.'.'
'sto (Tusc., 5,16,47).
Ma la caratteristica precipua della definizione stoica del
bene quella di collegarlo strettamente alla natura umana,
nella quale diffuso il logos divino. Accomodatum ad natuuim
(naturae) la definizione usuale in Cicerone per indicare il ""'TO:
-qjocnv degli"stoici: cf. Luc., 8, 24-25; Nat. deor., 1, 37, 104; Fin.;
4, 16, 43; 17,46; 20, 56 ecc.; Dff., 1, 14,42 ecc. Una sola volta
(se non erriamo) Cicerone pensa che accomodatum ad naturam debba corrispondere ad 01"e;;ov (Luc., 12, 38), e tale tra
duzione, che sembra a prima vista un po' strana, si pu com~
prendere tenendo conto che in quel passo del Lucullus sta
parlando Lucullo, che espone dottrine di Antioco, di origine,
verisimilmente, peripatetica e non strettamente stoica. NeHe
opere successive al Lucullus, tuttavia, Cicerone ha sempre riservato il termine al ""''\"o: 'l'0aLv degli stoici. Obbedendo a quel
desiderio di amplificazione retorica che si gi incontrato,
Cicerone pone accanto ad accomodatum anche aptum: cf. Fin.,
S, 6, 17; altrove aptum sostituisce accomodatum (cf. apta natume in Fin., 4,21,60; 5,9,24-25; Dff., 1,4,13; 43, 153 e 45,
l~)G.
,
. E, come nel lessico filosofico stoico si trovava 6fJ-OOYOU"
fJ-tvC -r-jj 'l'OaeL (~~v) quale equivalente di ""''\"O: 'l'0a" ", cos
Accanto a laudabile impiegato laetabile, qui e in Tusc., 4, 31, 65; s~
condo il von Arnim e l'Adler (il curatore degli indici dei SVFI, tuttavi~,
laetabile potrebbe corrispondere a XCt.p-rov, che si legge in PIut., stoico rep.,
13, 1039 C (= SVF, 3, 29). Altri attributi della virt e del sommo bene
sono l'essere praedicabilis (Tusc., S. 17, 49) e glorianda (ibidem), gloriosa
(Fin., 4, 18, 51), gloriattone (neoformazione ciceroniana) digna (Fin., 3, 8, 28;
4. 18. 50-51).
'
47 Il termine usato con significato analogo anche in Fin., 4, 28, 78 (rerun{ ad vivendwn accomodalarum). Esiste anche l'avv. accomodatissime in
Fin., 5, 9, 24.
48 Su natura si potrebbe discutere a lungo: cf. il recente studio di Ii:.
PeLLICER, Natura. Etude smantique et historique du mot latin, Paris 1966.
In questo contesto, tuttavia, ci basti osservare che Cicerone non ha mai
dubbi a rendere cpui:no; con natura in tu tte le varie accezioni filosofiche: f
ad esempio i sintagmi aptum nalurae, coniunctum naturae, ex natura (Fin.,
4, lO, 25), natura (Acad., 10,38), natura duce per indicare il xa:-r. cpu<Jw. Questo
uno dei casi in cui particolarmente forte la presenza delle possibilit retoriche della variatio ciceroniana, e precisamente in un campo di significati
abbastanza generico (pi specifico sar l'uso di natura nella fisica). La condizione originaria dell'uomo alla sua nascita indicata con initium (o initi'a)
naturae: pi dettagliatamente in Luc., 8, 24 ( ... constitui necesse est initium;
quod sapientia, cum quid agere incipiat, sequatur, idque initium esse naturae46

Cicerone
que (Fin..
8, 35); cc
naturae (
convenie"t
73; Tusc.
(3; 16, 55
&YOUO'L 't'

gli stoici.
pressione
cui signil
stesso no
Ma ~
gua le di
zione di (
sua dottr
cqn una
di esprirr
mendari
cor megl
tentativi I
'sibi COi
1!].a," cio
accomodatu
p-unto, al p:

2, 12. 38; 4.
~scalona), c
I11fra 143): (
rnus); 5. 15,
ligendi aliql
neremus); <
i n i t i i s,
sembra ev~j
mi sembra
perturbatiOl
gico, e quir
riservato aI:
in Nat. deo
S. 12. 35; T.
Fin., S. 26.
49 AllaH

2. 2. 222. di
testo dei m:
potrebbe A
dopo Con
zioni in: AI

OSSERVAZIONI SUL LESSICO fILOSOFICO DI CICERONI!

127

Cicerone presenta traduzioni come conveniens consentaneumque (Fin., 3,7, 24); recta et convenientia et constantia (Off., 3,
8, 35); consentaneum (3, 17, 58); il bene in eo positum est ut
naturae consentiat (Fin., 3, 14, 45, cf. 2, II, 34); congruenter
cOlwenienterque naturae (vivere) (Fin., 3, 7, 26 e 9, 31; 22,
73; Tusc., 5,28,82). Conveniens actio, pertanto, la sapienza
(3, 16, 55) (cf. SVF, 3, 3 = 5tob. ecl., 2, 76, 16: ... ..-Jjv 6[J.Ooy[etV
tYOUO"L TtO dvetL) e convenientia (6[J.OOy[et) il telos secondo
gli stoici. La traduzione di conveniens e convenientia d l'impressione di essere una traduzione estremamente letterale, il
cui significato non immediatamente perspicuo, e Cicerone
stesso non tenta di chiarirlo meglio.
Ma per vedere come Cicerone ha divulgato nella sua lingua le difficili formule stoiche, conviene riesaminare l'esposizione di Catone nel terzo libro del De fmibus. Catone fonda la
sua dottrina sulla otxdWO"L stoica, che viene resa da Cicerone
con una serie di svariati tentativi, che palesano la difficolt
di esprimere in latino il termine greco. Il sintagma sibi commendari e commendatio naturae (Fin., 3, 5, 16; 2, Il, 34; ancor meglio: qua se ipsi diligunt: 5, Il, 33) uno di questi
tentativi (cf. anche 4, 11,26; 5,17,46 ecc.); ogni essere vivente
sibi commendatum (Fin., 4,8,19; 10,25 ecc.) ". Essa prima, cio primordiale, originaria, insita in ogni uomo (5, 14,
accomodatwn), pi brevemente in Fin. (ave la discussione dedicata, appunto, al problema di ci che conforme a natura): cf. Fin., 3, 6, 20; 6, 22;
2, 12, 38; 4, 16, 46 ecc. Analogo il concetto dei principia virtutis (Antioco di
Ascalona), che in sostanza coincide con quello dei semina virtutis (su cui vedi
inlra 143): cf. Fin., 4, 15, 40 (obliviscernurque qllae virtuti ipsi principia dederimus); 5, 15, 43 (l1am eum ita nati lactique simus ut et agendi aliquid et diligendi aliquos et liberalitatis et re!ercndae gratiae pril1cipia in nobis contineremtlS); 4, 17, 46 e 47-48; 4, 7, 18 (principiis autcm a natura datis ... h i s
i n i t i i s, ut ante dixi, e t s e m i n i bus a n a t u r a d a t i s). Nattlralis
sembra evotato in un contesto etico (l1attlralia bona non mi sembra usato;
mi sembra che si incontri solo prima naturalia in Fin., 2, 11, 34; cf. anche
perturbationes naturales - ma qui esaminato soprattutto l'aspetto psicologico, e quindi fisico, della perturbatia - in Acad., lO, 39); il termine sembra
riservato alla fisica: cf. naturalis motus in Fat., 11, 23 e 24, 47, naluralis deus
in Nat. dear., l, 13, 33. Infine, 7tp. q)UCH'V reso con contra naturam in Fin.,
S, 12, 35; Tusc., 4, 6, 11; 3, 16, 35; Dff., 3, 5, 21; ma anche aliena naturae in
Fin., S, 26, 78.
49 Allorquando Apuleio espone la dottrina stoica della 01.XLWO"L in De Plat.,
2, 2, 222, dice che l'uomo ... non modo sibimel ipsi intimatLlm ptltat: cos il
( testo dei rnss., che dal Casaubonus e altri stato corretto in sibi natum. Non
potrebbe Apuleio aver reso cjJY..e~wfLvov con intimatum, variandol0 poco
dopo Con sibi ... acceptum esse? Sul passo apuleiano cf. le nostre osservazioni in: Apuleio e il Platonismo, Firenze 1978, 102-104.

128

C. MORESCHINI

,
40 - 15, 41). Oppur e, invece di comm endati o troviam o caritas
,
umano
rivolta sia a se stesso (5, 13, 37) sia a tutto il genere
a
in second a istanza (5, 23, 6566; 3, 21, 69); ciascu no carus
se stesso (5, 11, 31; 12, 34 ecc.). Stretta mente unito a commenda tio il termin e conser vatio sui (aveva Cicero ne davanti a s un esemp lare greco in cui si legges se qualco sa di
analog o al passo di Diog. Laer., 7, 85 = SVF, 3, 178? cf. -r~v
't' 6 ,
8 7tp~TI)1J optL~1J <piXcrt -r ~iiiov !crXetv t7tt "t' "t' YJ P i: v t et U
16;
5,
3,
Fin.,
(cf.
&px'ij)
o t" t o o O" 'l lXOTiii TIj epocn:w ,h'
anate
tamen
4, 11, 27; 13, 34). Essa varia con i sintag mi perfet
loghi come se diligere (cf. 3, 5, 16; 5, 9, 24 e 26; lO, 27; 11.,
)
30-1); diligens sui (4, 13, 32), conser vatrix sui (scI., la natura
ere
intend
be
potreb
si
senso
(4,7, 16; 8, 19; 5,9,26 ). In questo
anche il passo di Off., 1, 28, 100: ... via, quae deduci t ad convenien tiam conser vation emque natura e (al telos e all'aut oconservaz ione). Infine, l'esser e applic atum alla difesa di quanto
c' di meglio in noi (4,13, 34).
Un grado succes sivo della Ot"dWO"L la concili atio che la
1,
natura produc e, in ogni uomo, sia verso il suo simile (Off.,
42,
(Luc.,
natura
o
4, 12 e 41, 149) sia verso quello che second
In ogni
131; Fin., 3, 6, 21-22; cf. anche concil iari in 3, 5, 16).
caso, il telos stoico ha origine , appun to, da questa concili atio
naturae, dalla Ot"dWO"L che l'uomo sente, per natura , verso il

suo simile 50. La repuls ione che l'uomo sente per tutto ci che
16
5,
3,
(Fin.,
contro natura definit o con il termin e alienari
di
e 18); alienu s in 3, 19, 63; esso corrisp onde ad &OTPLWO"lXL
SVF, 3, 178 = Diog. Laer., 7, 85.
Verso ci che second o natura l'uomo prova quindi una
natura lis appeti tio o appeti /io soltan to: l'agg. l1aturalis, che
non mi pare che si trovi nei testi greci, serve a sottoli neare
la sponta neit della bpll--/j, di cui appeti tio la traduz ione. cf.
Luc., 8, 24, ave il termin e presen tato per la prima volta;
successivo
so La comunanza di tutti gli uomini tra di loro, e cio il grado filosofiche
alla spinta primordiale alla oExdwar., ha larga parte nelle opere itas cum
di Cicerone. Il termine stoico di XOlV<l.)'V(r.( tradotto con commun appare
hominum genere (Luc., 46, 140); meno esplicita mente questo concetto
Ma la ben nota
anche n un testo tradotto da Panezio (Off., 1, 43, 152; 7, 20).
analoghi,
termini
altri
di
servirsi
a
e
Ciceron
spinto
ha
variatio
alla
a
tendenz
3, 20, 65; 4, 2, 4; S, 23,.
Fin.,
(cf.
hLlmani
generis
societas
alio,
congreg
quali
la societas di
65; 3, 20, 6!H>7; 21, 69; Off., 3, 12, 53). In Div., 1, 50, 110, invece,
.
vina indica la (f\)!-L1tcUkl.

Off., 2,
deor.,
la defi:
sione '
natura

primw
appeti i
tra vis
pulsa I
dalla c
49). Il
modo,
33; 5, .
prima

(quind
natura
_to pi

appete
20), re

deor., :
, dUll!

dell'ap
3, 5, 1"
l'latura

18-20) ,
in ogni
da pril
gnit (
4, 21, ~
legge r
natura .

te dell
select
mine c
1 sg. (
mine (
secund
SI

Cl

~o, 56; ir.


<X1ta:~kx.

'

OSSERVAZIONI SUL tESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

129

Off., 2, S, 18; Fin., 3, 7, 23; 4, lO, 25; 13,32 e 34; S, 6, 17; Nat.
deor., 2, 22, 58; 3, 13, 33 ecc. Pura variazione di naturalis
la definizione di a natura profecta (Fin., 4,28,78); tale espressione riferita anche ai summa bona in 4, 16, 45; e, se
naturale, siffatto appetitus ingeneratus (Fin., S, 11, 33) o
primus (Fin., S, 8, 23; 9, 24). Alterna con appetitio il termine
appetitus, senza apprezzabile variazione di significato (come
tra visum e visio): cf. Fin., 2, 10,32; 5,6, 17 ecc. L'appetitio I
pulsa (XLV'''''''' in SVF 3, 169) dai sensi (cf. Luc., lO, 30), cio
dalla conoscenza che si ottiene attraverso di essi (Fin., 3, 15,
49). Il verbo corrispondente appetere (cf. Luc., 8, 25: quamodo autem maveri animus ad appetendum patest; Fin., 2, Il,
33; S, 9, 24); cf. anche salutaria appetere in 3, S, 16; res quae
primae appetuntur in 3, 5,17; valuptatem appetere l, 9, 30
(quindi anche in un contesto epicureo). Tutto ci non esclude,
naturalmente, l'impiego di appetit," e appetere in un significato pi generale, non filosofico in senso stretto. Il contrario di
appetere dovrebbe essere pro pulsare (Fin., 5,9,24), pellere (3, 6,
20), repellere (5, 7, 18), declinare (5, 7, 18; Off., 1, 4, 11; Nat.
dear., 3, 13,33); aspemari (2, 10,31; 11,33; 3, S, 16): maggiore
, dunque, la variatia l dove non vi termine tecnico. Oggetto
dell'appetito sono i prima naturae o principia naturalia (Fin.,
3, 5, 17; Acad., 6, 22 ecc.); principia naturae (3, 6, 20), prima
naturalia (Fin., 2, 11, 34), prima secundum naturam (Fin., S, 7,
18-20) corrispondono alla dottrina stoica dei 1tp(;)-roc xoc-roc 'll1.\cnv;
in ogni caso, principia qui va inteso in un senso non dissimile
da prima. Questi prima naturae sono scelti secondo la loro dignH (aestimatio in Fin., 3, 10,34; 12,41; 13,44; 14,47; 15,51;
4, 21, 58; 23, 62; Acad., lO, 36); secondo la loro oc~("', come si
legge nei testi stoici (cf. SVF, 3, 124-126)". Il seguire i prima
naturae secondo la loro aestimatio implica una scelta da parte dell'uomo, scelta implicita nel termine primo', cio una
selectio e una reiectio (Fin., 3, 6, 20; 4, 17, 46): il primo termine corrisponde a /;xoy'~, che si legge in Stobeo Ecl., 2, 79,
l sg. (= SVF, 3, 118), il secondo a OC1tEXOy.\. Sumere il termine che indica la conclusione di questa scelta: ... ea, quae
secundum naturam sunt, ipsa propter se sumenda sint con51 Cf. anche aestimabile (= &~LO'J in SVF, 3, 208) in Fin., 3, 6, 20; 15, SO; 4,
20, 56; ilwestimabile (prima attestazione in Cicerone) in Fin., 3, 6, 20. L'astratto
a.1tIX!o: reso con circonlocuzioni da Cicerone in Acad., lO, 36 e Fin., 3, 15, 51.

I
I, I'

IIIi [
,

'

I
I
I
,I

,I

c. MORESCHINI

130

trariaque item reicienda ... (Fin., 3, 6, 20). Pertanto le cose che


sono secondo natura sono sumenda, cio CIj7t'rct (cf. SVF, 3,
123; 131; 142), quelle contro natura reienda = ii~mlX (Stob.,
Ed., 2, 82, 21) (SVF, 3, 142). Il termine, che rende abbastanza
bene il corrispondente vocabolo greco, purtroppo usato da
Cicerone anche per i "P01)Yl-'tVlX, come vedremo poi, e questo
non favorisce certo la chiarezza della terminologia. Difronte
ad appetere, che indica l' 6pl-'~, sembrerebbe che expetere indicasse piuttosto il desiderio, l'impulso naturale verso le cose
che il nostro essere richiede, in particolare il bene: in questo,
infatti, si distinguerebbe da sumere, che quello riguarda il
bene, questo riguarda i prima naturae. Siffatta distinzione
tracciata da Cicerone in modo esplicito in Fin., 3, 6, 22, ave
si contrappone nettamente expetere a seligere, che si era visto
riguardare i sumenda, i prima naturae; e soprattutto in 4, 14,
39. Cos si legge Fin., 4, 7, 16: cumque eorum utrumque (se\.,
l'anima e il corpo) per se expetendum esse dixissent (scI., i
peripatetici), virtutes quoque utriusque eorum per se expetendas esse dicebant; 2, 3, 6: fnis rerum expetendarum; 2, lO, 32:
voluptatem natura expeti; 3, 3, lO; 3, 6, 22; Acad., 6, 22: ,ipsa
per sese expetenda. Pertanto, se i sumenda sono i ~"Tct, vale
a dire i prima naturae e i "po~Yl-'tv<Y., il nesso per se expeienda
rende i xa;&' (,(u'!a cdpe-ret , cio i 1tp:rt'(X XlX-r: epuaLv (anche~per
ch difficile distinguere in pratica i secundum naturam dai
prima naturae).
Isolatamente, purtroppo, questa distinzione non rigoro
samente osservata: cos in 4, 8, 19: ... cum ex animo constaremus et corpore, et haec ipsa et eorum virtutes per se esse
s u m e n d as (lo strano che questo passo riprende quello di
4,7, 16, che abbiamo or ora citato), e poco dopo (4,8,20) si ripete: ... stulte antiquos dixisse per se esse expetenda; sum e n d a potius quas e x p e t e n da. Nel passo di 4,7, 16 expetenda per le virtutes del corpo detto dal punto di vista degli antiqui, e questo ripetuto e distinto, dagli stoici in 8,20;
in 8,19, invece, Cicerone passa inavvertitamente dall'uso peripatetico a quello stoico ". Troviamo, quindi, il nesso res expetendae in Fin., 5,7,20; 13,37; Off., 3,23,12; o il neutro expeUn esempio di questo abbandono della tecnicit del termine appetere
fornito da Fin., 2, 14, 4S (hominem hominum adpetentem), ove il termine
non indica pi la bpfJ-i}, ma la o[xe:twal..
S2

tenda in,
aut omn
ne c fu
sono indi
53: quod
ve indiff
(Fin., 3, 1
36). Oppl
ne stoica
Parla
non cons:
in quella
I-'tVlX (sull
formazior
del Kilb)
anche in )
ramente,1
scrittore J
Fin:, 5,30
47), trop~
sporadica
Fin., 4,26
9,23; 26, ~
parte, re
Acad., lO,
to del do
eligendun(Fin., 4, 2~
ciendum (
J:ambito (
53 L'astr:

47; 5. IO. 30
54

Anche

29. 89).
55 Si PU(
stilistica del
con cOmmol
95, 58). Geli
impiega _
(Noct. Alt
56 Con"'q

praepositio
57 Unito

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

131

tenda in Fin., 5,23,68. Contrario a expetere fugere: ... cetera


aut omnw nihil habere momenti aut tantum ut nec expetenda
n e c fu g i e n d a (Fin., 2, 12,38). Con questa definizione si
sono indicati if.l'''''' , cio gli indifferentia (cf. anche Fin., 3,16,
53: quod sit i n d i f f e r e n s cum aestimatione mediocri, dove indifferens detto corrispondere ad &a,,"epopov) o media
(Fin., 3,11,39; 16,53 e 18,59; interiecta et media in Acad., lO,
36). Oppure, come si legge in Fin., 3, 15, 50-51, la tripartizione stoica espressa con aestimabilia, contra e neutrum 53.
Parlando delle cose' medie' e indifferenti " non si pu
non considerare i due ben noti termini stoici, che rientrano
in quella categoria: intendiamo dire i 7tpo'r)'Yf.l'vO( e gli &7t07tpo'r)'Yf.l'vO( (sulle asprezze linguistiche contenute in queste due neoformazioni di Zenone di Cizio vedi la discussione riassuntiva
del Kilb) 54. Sono due termini difficili non solo in greco, ma
anche in latino, e Cicerone li rende non in un unico modo (puramente translitterati in Fin., 3, 4, 15). Faceva difficolt allo
scrittore latino il calco puro e semplice (producta e reducta in
Fin., 5,30,90; pl'oducta da solo in Fin., 4,26,72; Tusc., 5,16,
47), troppo lontano dall'accezione comune, e quindi impiegato
sporadicamente ". Ad essi Cicerone preferisce (malo, dice in
Fin., 4,26,72) praeposita (Acad., 10,37; Fin., 3,4,15; 4,8,20;
9,23; 26,73) 56, praecipua (Fin., 4,26,72; Tusc., 5, 16,47), da una
parte, reiectanea (hapax?) (Fin., 4,26,72), reiecta (Fin., 3,4,15;
Acad., 10,37), dall'altra. Oppure lo scrittore insiste sull'aspetto del dover essere che non compreso nel termine greco:
eligendum, connesso, logicamente col seligere esaminato sopra
(Fin., 4,25,71), praeponenda ed eligenda (5,29,88; 30,90), reiciendum (Fin., 4,25,71; 5,26,78; 29,88 "; Tusc., 2,12,29). Nell'ambito di questa categoria di valori (o meglio, di indifferen53 L'astratto &'Sl.Clepop(a: reso con alcune perifrasi in F1., 3, 9, 31; 4, 17,
47: 5. lO. 30.
501 Anche Cicerone sottolinea la novit di questi termini tecnici (Fin., S,
29, 89).
55 Si pu osservare ancora che Seneca, molto sensibile alla buona riuscita
stilistka della sua terminologia filosofica, ha sostituito i termini ciceroniani
con commoda e incommoda (cf. Benef., S, 13, 2; epist., 87, 29, 36-37; 92, 16;
95, 58). Gellio, invece, esponendo la dottrina del platonico Calvisio Tauro,
impiega _
certo per influsso ciceroniano - productiones et reiectiones
(Noce. Alt., 12. 5. 7).
56 Con questo significato si trova (un'accezione del tutto isolata) anche
praepositio (Fin.} 3, 16, 54); praepone.re in 4, 23, 63.
57 Unito ad aspera, incommoda ed aliena l1alurae.

132'

. C. MORESCHINI

ti: ed nota la critica serrat a che Cicero ne mosse a siffatta


dottrin a stoica) rientra no i comm oda e gli incom moda, che
X
lo scritto re fa corrisp ondere a 'e(,XP'l"TIj"lX~lX e 8u"Xp~"~,,lX~l
autem
m
omniu
9:
(Fin.; 3,21,6 9; cf, anche 3, 13,43; 4,21,5
eorum commo dorum ;' quibus non illi (scl, gli antich i filosofi)
p/us tribuu nt, qui ilIi bona esse dicunt , quam Zeno, qui negat;'
5,30,9 0: cum omnia quae ilIi comm oda certe dicunt esse et
sumen da et eligenda et praepo sita; Tusc., 5,41,1 20: nam, cum
quaecUirique bona Peripa teticis, eadem Stoicis commo da vi-

derent ur "'; Off" 2,25,8 8).


Anche l'azion e compr esa nei due termin i greCi non espres sa da coppie fisse di verbi, ma variab ili: sumer e (che sapr
si visto essere differe nte da expete re in Fin., 4, 8, 20 e 14, 39)'
in Acad., 10,36-37; Fin" 3, 17, 57; 4, 21, 60; S, 29, 88; eligere
(Fin" 2, 12, 38; S, 29, 88; 30, 90) e /egere (4, 15,40; 26,72; 17,
46) "; secern ere (Fin., 4, 26, 72), che contra pposto a expete re,
38
termin e usato per il raggiu ngime nto del bene, in Fin" 2, 12,
e a optare (un po' infelic e, ma sembr a essere impieg ato nello
stesso signifi cato) in 4, 26, 72. Viceve rsa, fugere (Fin., 4, 26, 72;
,
Tusc., 4, 6, 12) ", reicere (Fin., 2, 12,38; 3, 15, 51; 4, 15,40) . Esialquesta
di
ste, natura lmente , una classif icazion e nell'ai nbito
i'
ternati va tra 7tPO'ly"vlX ed &7t07tP0'lY"EVlX: tra gli eligend a e
ricien da vi sono anche gli omnin o neg/egenda, cio le cose
'
che tu non cures, Si trova, dunqu e, una distinz ione di dignit
la
con
za
attinen
tra 'le varie cose che non hanno diretta
virt 60.

* * *

const,
mane;
nienSI

ricolll
in ad
per al
dell'a,]
gativa
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della
s e l
sto, a
tutte
dell'al
un te:
diveni
volgOl
mentE
evider
spieg,
fere s
morI
nostrt.
I

haec (
ration
citati
bos ai
9; 6,
18 62 (

Gran parte dell'et ica stoica dedica ta a un approf ondimento della dottrin a delle passio ni. Il 7t&"XeLV dell'an ima normalme nte reso con affici (cf. Luc" 24,76: sentire adfici se quodam modo; Fin., S, lO, 30: quema dmodu m affecti simus) .
da
L'astra tto corrisp onden te affecti o, norma lmente precis ato
animi (cf. Fin., S, 22, 63 e 23, 65; lnv,; 1,25,3 6; Tusc., 3, S, lO;,
4, 6, 14: praese ntis autem mali sapien tis adfect io nulla est;
in:'.'
13, 29: vitiosi tas ". est habitu s aut adfect io in 'tota vita'

D
petutE
friva,
defin;
quello

et d i l e c t U ID
58 Cf. anche la variazio ne: sub i li d c i li m sapienti s
61).
[8,
cadunl (Fin., 3,
" Anche declinar e (Olf" I, 4, Il; Tusc" 4, 6, 13),
60 Cf. KILB, o. C., 66.

62 S
servazi(

~ 7t&~

~OU"lX '

con ...
61 Il
1

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

133

consta ns et a se ipsa dissen tiens; 30: vitia ... affecti ones sunt
manen tes; 15, 34: virtus est adfecl io animi consla ns conveniensq ue) 6l. L'esem pio di Tusc., 4, 13, 29 mostr a che Cicerone,
ricolle gando adfecl io a habilu s si stacca dal signifi cato insito
in adfci, che connes so con 7t<aXtL\I, come si detto sopra,
per accost arsi a quello di g~,. Adfecl io, dunqu e, un palhos
dell'an ima in cui per non inclusa nessun a conno tazion e negativa per quanto la riguar da; o meglio, tale palhos pu essere sia positiv o (e allora si avvicin a al signifi cato di habilu s
della virt), sia negati vo (e allora divent a viliosi las), ma, in
s e per s ,il termin e non ha conno tazion e negativ a. Del resto, anche Stobeo (Eel., 2, 70, 21 = SVF, 3, 104) classif icava
tutte le "",)d"" come a,,,,M,,.,,, ed alcune come g~eL. Le affezioni
dell'an imo in senso negativ o, invece , sono le perlur bation es,
un termin e con il quale Cicero ne vuole tradur re 7<0\1h) e che
divent er usuale dopo di lui per indica re le passio ni che scon
volgon o l'anim o umano ; questa traduz ione ricorre freque ntemente nelle Tusculanae, e Cicero ne la difend e contro quella,
eviden temen te di uso corren te, di morbu s:' cf. soprat tutto la
spiega zione che Cicero ne d in 3, 4, 7: ... perlur balion es animi
fere suni eiusmo di, quae Graeci 7<0\&'1) appell anl; ego potera m
t

m
11'lOrbos', et id llerbun1 esset e verbo, sed in consue tudine

noslra m non caderei. Nam misereri, invider e, geslire, laelari,


haec omnia morbo s Graeci appell anl (cio m'&'I)), motus animi
ralion i non oblem peranl is, nos aulem hos eosdem molus concilali animi recle, ul opinor , perlur balion es dixerim us, morbos aulem non salis usilale ...; cf. ancora Tusc., 3, lO, 23; 4,
9; 6, 13; 4, 5, IO; Acad., lO, 38-39; Fin., 3, lO, 35; Off., 2, 5,
18 62 ecc.
Della perlur balio Cicero ne d pi definizioni, pi volte ripetute , in confor mit con la dottrin a stoica, che per essa offriva, appun to, pi formul azioni . Si posson o raggru ppare le
definiz ioni (e traduz ioni cicero niane) in tre gruppi . Il primo
quello relativ o alla definizione di Zenon e (cf. SVF, 1, 205:

't' 1t&.-&o '" ~ &oyo xcd 7trxp: <pUCH\I ~UX1) xhry)O"L, -~ oP!-L1J 7tEO\la
resa

che
206),
1,
~ou"", = Diog. Laer., 7, IlO; cf. anche SVF,
COn ...

aversa a ratione contra natura m animi comm otio (Tusc.,

affectio) .
In un altro senso il termine impiegato in Fat.) 2, 7 (astroru m
se OSo
62 Sulla esattezza della traduzione ciceroniana si leggano le minuzio
servazioni del KIl.B, o. C., 4 sg.
61

l
I

"

134

C. MORESCHINI

4" 21, 47) o: aspematio rationis aut adpetitus vehementior


(4, ,27, 59); '" cum amnis perturbatio sit animi motus vel rationis expers vel rationem aspernans vel rationi non oboediens
(un trikolon per il semplice 1to:pd. Myov, reso con aversa a ratio.ne, molto alla lettera, in 4, 21 ,48, come si visto sopra) 63
(Tusc., 3,11,24). Accanto a questo gruppo si incontra quello,
che derivato dal primo, delle definizioni pi correnti e meno
rigorose: morbi et paturbationes (le due parole, delle quali
una, contestata da Cicerone, come si vista sopra, per rendere 1t&&l'j) ex aspernatione rationis eveniunt (Tusc., 4, 14, 31;
cf, 28, 61); esse sono turbidi animorum concitatique motus
aversi a ralione (Tusc., 4, 15, 34); perturbati motus (3, 5, lO);
motus animi nimii ralioni non obtemperantes (Off., 1,38,136);
motus animi adpetentes (Tusc., 3, 8, 17); commotiones animorum (Tusc., 4, 28, 61) ecc. Vi , infine, un terzo gruppo di definizioni (che, comunque, presso Zenone e presso Crisippo coesistevano con le altre), che considerano le perturbazioni come
un errore del nostro giudizio: 36~o:, xo:l xp(cr., 1tovl'jpo:l (Plut.,
virt. mor., 3, 441 C = SVF, 3, 459), vale a dire opiniones ac
iudicia levitatis (Fin., 3, lO, 35); ". voluntarias (scI. esse perturbaliones) opinionisque iudicio suscipi (Acad., 10,39); cf. anche Top., 17,64; Tusc., 3, 11,24; 27, 64; 4,7, 14; 38, 82-83 ecc.
Avvenendo in seguito a un giudizio, e, pi precisamente a un
giudizio errato (errore [ieri in Tusc., 4, 17, 39 = SVF, 1, 208
... Myou xp(cr.. ~I-'O:pT~I-'<Vo: (cf. 209) (Zenone); SVF, 3, 461:
.. xp(cr., nvd., ... TOU oy,crnxou (Crisippo)), la perturbazione pu
nche essere definita una imbecilla adsensio (Tusc., 4, 7, 15),
~io una &cr,&.v~ crUYXO:T&&.cr, (SVF, 3, 172; 378). Se vogliamo
OrmUlare un giudizio riassuntivo di queste definizioni cicero-

(
,

63 Alla dottrina stoica del pathos Cicerone torna con alcune interessanti
osservazioni in Tusc., 3, 4, 7-8 e S, 10-11. L'animi commotio, cio il 1t"&~q.o, egli
dice, una insania (= (.I.Ctvla, cf. DIOG. LAERT., 8, 124 = SVF, 3, 664; STOD.) Be!.,
2, 68, 18 = SVF, 3, 663), una mentis aegrotatio et morbu5, id est insanitas (il
nuovo termine probabilmente introdotto per distinguere l'affezione dello
stolto dalla affezione del pazzo, alla quale normalmente riservato il termine
di insania). Un'altra definizione- della pazzia, che ha tutta l'aria di appartenere
a Cicerone stesso, quella che segue: animi adtectio, lumine mentis (cio,
del .6yo) carens (5, lO). A quesfo proposito Cicerone osserva che per distinguere il pathos dello stolto dal pathos del pazzo, la lingua latina pi ricca
di quella greca, perch pu servirsi dei termini insania e turar. Non cos
avviene in greco, perch i termini corrispondenti sono fl.Ci\l[a per insania e
fl.CtYXOLCi per turar. Siffatta distinzione pi calzante in latino, in quanto
il turar non dipende solo dall'atra bilis, mentre per quest'ultimo tipo di turar
il greco non ha un termine corrispondente.

niane,
esse si
e chial
denti.
E'

.le qua
lanae,
da inv
In
che ha
natis r.
-rI: rc&,s
the so
da 1'01
sua pi
dere il
non er
va ber
vrebbE
ticolar
prendE
motior
poteva
titia n
lorqua
ben di
Cicero
l'animi
punto,
dell'an
tanto,
volupt
parte
zione (
nizioni
e proI
caratt,
Tusc.,
3,400
T0 SOl<

FILOSOFICO DI CICERONE
OSSERVAZIONI SUL LESSICO

13S

dei test i stoi ci, mi sem bra che


nia ne, cor risp ond ent i a que lle
nos tro scr itto re per pre cisi one
ess e sian o tra le pi felici del
term ini esa ttam ent e cor risp one chi are zza e per la sce lta dei
den ti.
sing ole per turb atio nes , alE' opp ortu no ora esa min are le
o e qua rto libr o dell e Tuscule qua li Cic ero ne ded ica il terz
r de force che non ha nie nte
/anae, in un ver o e pro prio tou
trat tati stoi ci.
da inv idia re alla min uzi osit dei
stoi ca del la per turb atio ,
Inn anz itut to, la qua drip arti zio ne
is bon is ... et ex duo bus opiche ha orig ine ex duo bus opi nat
, 3, 386: ... ye" "&, ,, I-'<v y"P
nat is ma/ is (Tusc., 4, 6, 11): cf. SVF
turbazioni
&y&ou xcd xo:xou. Tra le per
't'l: 7tCHh) ... aL' tI7t61J~t'J
cos e buo ne, la /aetitia rigu arche sor gon o per una opi nio ne di
(il term ine opi nio pos sied e la
da l'op inio ne dei ben i pre sen ti
con test o): ess a dov reb be rensua pie na fun zio ne in que sto
pro pos ito, ver ame nte , Cic ero ne
der e il gre co ~8ov~. A que sto
e sue sce lte. Egli com pre nde non era stat o sem pre sicu ro nell
Fin., 2, 4, 13, che ~8ov~ dova ben e, infa tti, com e spie ga in
as; la par ola si pre stav a par vre bbe cor risp ond ere a vo/ upt
com~8ov~ epi cur ea, per ch
tico larm ent e ben e a ren der e la
ne, /ae titia m in ani mo, compre nde va, oss erv a sem pre Cic ero
in corpore; vo/ upt as, infa tti,
mo tion em sua vem iuc und itat is
pia cer e del l'an imo , me ntre /aepot eva ess ere det to anc he del
ai pia cer i del cor po. Ma altitia non pot eva ess ere app lica to
e la ~8o~ deg li Sto ici, che era
lorq uan do ave va dov uto ren der
epi cur ea (Fin., 3, 10, 35) , allo ra
ben div erso con cett o da que lla
, che rife rita sola men te alCic ero ne pre fer imp ieg are laetitia
ieg and o ~8ov~, imp ieg ano , apl'an imo , me ntre gli stoi ci, imp
and ar ben e sia per il pia cer e
pun to, un term ine che pot reb be
cor po. Nel le Tus cuia nae , per del l'an imo sia per il pia cer e del
. La iae titia , dun que , una
tan to, Cic ero ne par ler di iaetitia
s (Tusc., 3, lO, 23): la prim a
vol upt as ani mi efata et ges tien
a a riba dire que lla pre cisa par te del la definizione ded icat
man ca, log icam ent e, nell e defizione che gi abb iam o vist o, e
invece, ded icat a alla ver a
nizi oni gre che ; la sec ond a par te,
Cic ero ne ins iste r sem pre sul
e pro pria definizione gre ca (e
nel la iaetitia: cf. Fin., 3, 10,3 5;
car atte re del gestire com pre so
66; 32, 68; 5,1 5,4 3): cf. SVF.,
Tusc., 4,4 ,8; 6,12-13; 16,3 6; 31,
'
~ ... o<oyo 6to: p", 'P' o:lPE
3,4 00 (= Diog. Laer., 7, 114): ~8ov
ia,
gio
la
nto rigu ard a l'og get to del
Te;; 80XOUVTt 1ttlPXEtV. Per qua

136

C. MORESCHINI

essa praesentium bonorum (Tusc., 4,6, 11), una Op!11lO recens boni praesentis (4,7,14), vale a dire, una 361;" "p6cr'P"TO
&y,,%oi) ""poucr,,, (cf. SVF., 3,391) 64. Ed ecco un'altra definizione, quella della libido, una cupiditas ... quae est immoderata
adpetitio opinati magni boni, rationi non obtemperans (Tusc.,
3, 11, 24; cf. 4, 6, 11 e 12; 7, 14): cf. I:",%uf"" &oyo 6PE1;, ~
3,01;, "pocr30"(f'l:vou &y,,%oi) (SVF, 3, 391; cf. anche 3, 396; 463;
386 ecc.).
Per quanto riguarda, invece, gli aspetti negativi della perturbazione, essa si divide, sempre a seconda che l'opinione riguardi il presente o il futuro, in aegritudo e in metus. La
aegritudo , detta in breve, la opinio mali praesentis (Tusc.,
3, 11, 24-25; 30, 74; 31, 75; 4, 4, 8; 30, 64). Vale a dire, essa
una 361;" "p6cr'P"TO """oi) ""poucr,,, (SVF, 1, 212 (Zenone); 3,
463 e 481; 3, 391 (Crisippo)), cio una 7t'Y). Siffatta opinione
caratterizzata anche dal fatto che animos demittunt (scl.,
gli aegri) et contrahunt, rationi non obtemperantes ... aegritudo sit animi a d v e r s a n t e r a t i o n e c o n t r a c t i o =
&oyo crUcrTO~ (SVF, 3, 391); crUcrTO~ <jJuxij &"EL%~ 6y'1' (3,
394; cf. anche 392; 386).
Si dice anche dell'aegritudo: quasi morsum aliquem doloris efficiat: la immagine del 3'lYf' attestata anche da Plutarco, de virt. mor., 9, 449 A (= SVF, 3, 439) 65. Infine, il metus, che opinio impendentis mali (Tusc., 4, 7, 14 e 3, Il, 25;
oppure: futurae aegritudinis sollicita exspectatio 5, 18, 52).
Vale a dire, il timore ('P6~o) una "pocr30"'" """oi) (SVF, 3,
407 = Diog. Laer., 7, 112). Ma esistono anche altre definizioni
del timore: esso una declinatio sine ratione et cum exanimatione humili atque fracta ... (Tusc., 4, 6, 13), cio: g""Lcr,
"Ept ",,%wv ( SVF, 3, 391; 394; 411; 445); il timore (efficiet) recessum quendam animi et fugam (Tusc., 4, 7, 15): cf. pom), "",
Et1;EL di Plut., de virt. mor., 7, 446 (=.SVF, 3,459)66.
64 Alla laetitia si contrappone il gaudium (Tusc., 4, 6, 13 = Xctpri, cf. ALEx.
APHROD., comm. in Aristat. Top., 2, p. 96 Ald. = p. 181, 3 Wallies = SVF, 3,
434), che proprio del sapiente, come osserva SEN., epist., 59, 2 (= SVF, 3,
435).
65 Un'altra importante definizione quella di Tusc., 3, 25, 61 (= SVF, 3,
485: attestata solo da Cicerone?): ipsarn aegritudinem ,tnn)'J Chrysippus
quasi solutionem totius hominis -appellatam putat ...
66 Cf. anCOl"a infraetio animi eI demissio di Tuse., 3, 7, 14. Un'altra defi
nizione che si incontra la segente: ... alti autem metum praemolestiam
appellabanI; quod esse! quasi dux cOI1.sequentis molestiae (Tusc., 4, 30, 64).
Si tratta di'una definizione di PLA~., Resp., 584 c, ave si parla di TCpoU1t~cret.

turI
ton
l'arJ
di J
che
Fra
al
noc
(cf.
serr
egli
aeg:
17;
&7t~il

Ccl

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est
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VQUC

= 1
3U..

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giam
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6

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zionf

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

137

Cicerone esamina poi (Tusc., 4, 7, 16 sgg.) le varie perturbazioni che si classificano sotto queste principali: lo scrittore procede seguendo senza dubbio un manuale stoico sul.l'argomento, del tipo di quelli che usarono anche Andronico
di Rodi, Diogene Laerzio, Nemesio di Emesa, Stobeo ecc., e
che si leggono nel terzo volume degli Stoicorum Veterum
Fragmenta. Nella aegritudo rientra la invidentia (4,8,16), che
aegritudo suscepta propter alterius res secundas, quae nihil
noceat invidenti (8,16), cioq>&6vo ,,'Ij o,,'.xo,"p(o, .xya&o(cf.
(cf. SVF., 3,413,416 ecc.); l'aggiunta quae nihil noceat invidenti
sembra essere stata un'aggiunta di Cicerone medesimo, che
egli poi sfrutta con l'esempio che adduce 67. La aemulatio
aegritudo, si eo quod concupierit alius potiatur, ipse careat (8,
17; cf. 20,46) = -~~o Ll7t"f) i7tt. "t'c7) "t'EPOV "t'UYX&.\lEL\I 6)\1 ct"t'
btL&Uf'EL (SVF, 3,414); la obtrectatio corrisponde, come osserva
Cicerone stesso, alla ~'ljo't"U,,(q., ex eo quod alter quoque potiatur eo quod ipse concupiverit (cf. anche 4, 26, 56) = i7tt '"0
&o, ""PXELV &. "al ~f'i:v m'PXE' (SVF, 3,414); misericordia
est aegritudo ex miseria alterius iniuria laborantis (8,18; cf.
anche 3,10,21) = ~eo U7nl 7t' &o"t'plm XlXXOi:, &VC(~ll 7t<XaxO\l"t'o xdvou; angor aegritudo premens = &X.&o UTtYj ~Cl.pU
vou"a; luctus aegritudo ex eius qui carus tuerit interitu acerbo
=' Tt~v.ao 1-U1t"/} td &:wp~ Te:EUTil ; maeror aegritudo flebilis =
b8uvYj UTtYj dcrOUVOUO'lX XlXt ~El:lX; aerumna aegritudo laboriosa =
6Sv'lj M,,'Ij ."(,,ovo(SVF, 3, 412); dolor aegritudo crucians =ov6
X'Ij", ,,'Ij "'t"EVOxwpou"a"; la sollicitudo aegritudo cum cogitatione (q>pont OY'''f' U1touf'0vou, SVF, 3,414). Per quanto
riguarda, invece, la lamentatio (y6o), la molestia (.xv(a), l'ad{lictatio, non siamo riusciti a trovare delle definizioni greche
corrispondenti a quelle di Cicerone.
Per quanto riguarda il metus, si pu osservare: pigritia
metus consequentis laboris (= 6"vo q>6~o !J.EO"'lj ""Epyela
in SVF, 3, 407-409), terrorem metum concutientem (= So '1'6~o cruvSwv), timorem metltm mali adpropinquantis (8, i9) (=
67 Un'etimologia di carattere puramente ciceroniano quella che leggiamo
in Tusc., 3, 9, 20: ... ab invidendo autem invidentia recte dici potest, ut effugiamus ambiguum nomen invidiae. In che cosa consista questa ambiguit
detto poco dopo (21): invidentia aegritudo est ex alterius rebus secundis.
68 In Tusc., 2, 15, 35 leggiamo un'altra definizione del dolore: motus asper
in eorpore alientls a sensibus. Sarebbe, secondo il POHLENZ (ad 1.), la definizione del cirenaica Aristippo: xtv'I'Ja~ "PClXeLCl tij aa:px6.

C. MORESCHINI

138

8Ei:f'''' 'l'6~o 'l'oP"'f'vou), pavore m metum mente m loco moven


exami,
Oe:LVOU)
ab:
cpocv't'oc
ou
ocau\l~&
tem (= ~x1tl)1;t ep6~o vexoc

nation em metum subseq uentem et quasi comite m pavori s


(= X"'TIX7t1J~, 'l'6~o x f'd~ovo 'l'''VT""(,,,); le definizioni greche
corrisp onden ti alla contur batio e alla formid o manca no.
Seguo no le classif icazion i della volupt as (9, 20): malevolentia volupt as ex malo alteriu s (= 7tlX"'PEX"Xt", ... -Jj80-N) 7tt TOL
suo
TWV 1t"' &TUX1Jf''''''LV SVF, 3, 401-402) sine emolu mento
s
auditu
(aggiu nta cicero niana? ); delecta tio volupt as suavita te
animu m deleniens, et qualis est haec aurium , tales sunt oculorum et taction um et odora tionum et saporu m (= Tpo/, -Jj80-N)

, -.1.

at 0't'EW

.
11 .at, 'ai(0'Yje:;;

X1)'1)crt...

'
1}oo'V1j

.
o:xo1}C:;
at"

PrYl

xa:tpV

btLTIJpouaoc dc:; -np.wpLlXv);

la

uJlc:
imm
pi
la c;
SVF
~ou".

);
xoc-rax"I) DUGa

iactatio est volupt as gestien s et se efferen s insolen tius: non


trovo un corrisp onden te greco; sembr a una rie1abo razione della definiz ione di Fin., 3, lO, 35. Segue (9, 21) la libido. Ira libido poenie ndi eius qui videat ur laesisse iniuria (= 6prYi ",excan&Uf'('" Tlf'",pt",_ TOO ~8,x1Jxv"" 80XOOVTO, SVF, 3,395-397) ",
la
ne:
descen tia ... ira nascen s et modo existen s (redup licazio
definiz ione stoica &uf' (= &6f'",,,. in Cicero ne, ibidem ) 6py~
dc:; 1toccdwatv
vapX0f!V't]l odium ira inveter ata (= f!ljvu; Pr1l
ans (= x6observ
s
&1tOTl&Ef'V1j), inimic itia ira ulcisce ndi tempu
't'ac:;

semi
temi
da f
gire
to u

definizione della

discor dia (ira acerbi or intimo animo et corde concep ta) non
ha un esatto corrisp onden te greco; seguon o l'indig entia e il
deside rium: la prima libido inexpl ebilis = (forse) "","v.
non"'&uf'('" &TE1) (SVF, 3,397) , il second o libido eius, qui
dum adsit, vidend i = (f'EPO m&uf't" 'l'tou &1t6VTO f"t",
'
(ibidem ).
Tutte le pertur bazion i hanno ongme dalla intemp eranti a
(9, 22): questo termin e partico larmen te felice per indica re
la manca nza di ""''l'poaUv1J (resa in latino con temper antia), e
divent er acquis to durevo le del lingua ggio filosofico. Cicero ne
spiega che compi to della temper antia quello di sedare le
adpeti tiones (T 1t",pXElV Ta pf'a E"T",&Ei: = SVF, 3, 280) ut
eae rectae ratian i parean t (~yxpehEtOC oLocih:a( anv &VU7tp~C('t'o
o"t"cxt : b >UX"t"txCv "t"oc
T6lV XIX:TcX 't'v p&v ).6yov qJa.VVTWV iyx.pcx:re:
275); cf. anche pi
3,
SVF,
=
1t",pa Tv 6p&v l.6yov pf'a
ne presen ta non
Cicero
oltre (15, 34). La definiz ione che qui
3, 5, 11; 4,
O, pi breveme nte, ira (o iracund ia) ulciscen di libido (Tusc.,
si gi
che
quella
a
richiam
ia
iracund
e
ira
tra
ne
19, 44; 37, 79). La distinzio
incontra ta in Tusc., 3, 9, 20, tra invidia e invident ia.

radil
guit.
rend
PPU1

nes'

opin
tend
00)(0;

tra:
12, ;
ad s
ctUl

cilli!
422}
eis

fens
aegr
't'o<:;

la
7tt&1
muli
trovo

ibid.
l'odi
vitio
et a

UJ

70

OSSERVAZIONI SUL LESSrCO FILOSOFICO DI

~CICERONE

139

sembra essere quella tipica dello stoicismo, che definiva la


temperanza come la scienza delle cose da scegliere e di quelle
da fuggire e di quelle che non sono n da scegliere n da fuggire (SVF, 3, 262 sgg.); forse Cicerone (o la sua fonte) ha fatto una sintesi di due definizioni non riconosciute come quelle
ufficiali dello stoicismo. Va osservato anche che quello che
immediatamente prima vien detto della intemperantia sembra
pi essere tipico dell'affectus (come si visto sopra), che del
la causa di esso; est tota mente a recta ratione defectio cf.
SVF, 3, 377-378; PI'-~ ~"'l'Ep0I'-."'l "", OC1tELMJ, 6y'1'; PI'-~ 1tEOVOC~ouO'cx xcxr. &7te:~&1I'; 't'i;) CXLPOU\l't't 6ycp.
Parallelamente a quanto avviene nel corpo, in cui i difetti
radicati producono le malattie, cos nell'animo sorgono, n seguito alle passioni, dei veri a propri morbi, con cui Ciceron
rende vocr~I'-"~" (10,23); il VO"'lI'-"'- infatti, una 801;" ~1tl&ul'-l"
~ppu1j"u,,, El, e;tV (SVF, 3, 421; cf. 422), e cos le aegrotationes (= &pp(cr"~I'-"~")'Esse sono meglio definite poco pi oltre;
opinatio vehemens de re non expetenda, tamquam valde expetenda si t, inhaerens et penitus insita (11, 26) = ot1jcrt<; crep08p"
8oxouv~o, ,,[pETOU, in SVF, 3, 422. Nelle aegrotationes si incontra sempre una predisposizione (proclivitas), come si legge in
12, 28; haec igitur proclivitas (= EEI'-1t~(crl" in SVF, 3, 421) 10
ad suum quodque genus a similitudine corporis aegrotatio dicitur; oppure; aegrotationem appellant morbum cum imbecillitate (13,28; cf. 14,32) (= v6"'11'-" fLE~" "cr&Evd", in SVF, 3,
422). Accanto ai morbi di un certo tipo sorgono ea quae sunt
eis morbis contraria, quae habent ad res certas vitiosam of'
fensionem atque fastidium (10,23); altrettanto avviene per le
aegrotationes: cf. SVF, 3, 421: e:!vcx~ S 't'~va xo:r. t'/(X.V't'[a -rou-ro~<;
't'oZ \lOcr1jf.1-C(O'~1 xcx-r 1t"poO'X01t"~V y~v6f.1-e;va. Un esempio di malattia
la avaritia, che sorge ex libidine (cf. SVF., 3, 397; eptoXP1jI'-"~["
~1tl&ul'-[" iffL"~po, XP'~I'-,h(v); esempi di aegrotationes sono la
mulierositas (neoformazione ciceroniana per ep<oyuvl", che si
trova presso Stob., ecl., 2,93,1 = SVF, 3,421), la misoginia (cf.
ibid.), e cio odium mulierum, la misantropia (cf. ibid.), cio
l'odium in universum hominum genus.
In Tusc., 4, 13, 29 incontriamo anche la definizione della
vitiositas, che habitus aut adfectio in tota viIa inconstans
et a se ipsa dissel1tiens. Si tratta di una ~1;, o di una &'&&Ecr".
10 Poco pi oltre inveteraverit corrisponde a ivE<T'..<.tPP(,)!J... .1) di SVF, 3, 421.

140

C. MORESCHINI

/ Quello che Cicerone pone come alternativa meglio specifcato da Stobeo, Ee/., 2,70, 21 (= SVF, 3, 104; cf. anche 1,202):
( ol.aiMaeL (.L:v 't'cXc; xcxxtac; 7tiX(J'(xe;, !;Et<; 3: J.L6vov 't'ae; EXIX't'CXCPOptGtc;,
otov T1jv '!'1tovep(cxv ecc. Essa, dunque, si contrappone, in questo,
alla virtus, come osserva lo stesso Stobeo, ibid.
Col termine vitiositas lo scrittore vuole rendere il greco
xcxx(ex, come egli spiega poco oltre (15, 34, e come aveva detto
nche in Fin., 3, 11, 39: quas enim Graeci xcxx[cxv appellant, vitia malo quam malitias nominare) 71; comunque, nella traduzione latina sembra essere andato perduto il carattere psichico che era implicito nelle definizioni greche (cf. SVF, 3,760:
OY(XV ~ 6yo '1j!J.CXPTI)fLvO). Tutta la sezione di 29-32 assai
confusa, e non vi si riesce a cogliere un filo logico preciso:
la questione fondamentale quella del parallelismo tra i mali
e la salute del corpo e i mali e la salute dell'anima: la salute
frutto di una temperatio nell'uno e di una temperantia nell'altra. Qui lo' scrittore latino pu meglio giocare sull'assonanza delle parole, che non il greco i cui termini tecnici sono
EXPCXO'tOC e (iwcppocroV1J, nonostante che all'occasione (SVF} 3,
278) si incontri 'la applicazione di e!>xpcx<Jtcx sia al corpo sia
all'anima. In ogni caso questa sezione assai povera di termini tecnici.
Contrapposta alla condizione perturbata dell'animo quella serena e tranquilla, prodotta solo dalla sapienza, che indicata con una certa incertezza di termini. Il pi comune
constantia, che dal Reid ricondotto alla stoica 6fLOOY(CX in noI la a Luc., 8, 23: ... sapientiam, quae ipsa ex sese habeat con\ stantiam. Poich ci muoviamo in un ambito stoico, la tran'quillit dell'animo strettamente collegata alla sapienza: er~o ut constantia scientiae, sic perturbatio erroris est (Tusc.,
37, 80); ... ad rerum igitur scientiam vitaeque constantiam
!aptissima cum sit mens hominis (Luc., lO, 31); mens constans
! (Nat. deor., 1, lO, 24); aequabilis, si legge in Tusc., 2, 27, 65.
/ La constantia a cui si fa riferimento , dunque, la naturae constantia, dalla quale si allontanano coloro che sono in preda
alle perturbazioni (cf. Tusc., 4, 6, 11; 17, 38; 21, 47), e che invece desiderata dalla natura stessa dell'uomo: recta enim
et convenientia et constantia natura desiderat aspernaturque
contraria (Off., 3, 8,35). Constantia varia con moderatio (Tusc.,

f'

Vitiosus (Tusc., 4, 28, 60; 37, 81; Fin., 3, 21, 72) comincia la sua vita con
Cicerone?
71

4,17, "
Dall'e,
mi sia
motus
sia in
piego
deor.,
care l:
42 C!CpotreI:
securii
qua vi
che, c,
incost:
fatto,
euthyr
diverso
loca al
4, S, 1C
D,
bilo d
tetica.
veni
tiones
t~&e:cn

O'\/OC/-LL\

rebbe
princij
raro
(evidel
{3[ov

(~

D,
mente
fezion,
finitur

nrr
mus teT

7JA
fisio (TI

tratta d
165), di
2, 112, l

FILOSOFICO DI CICERONE
OSSERVAZIONI SUL LESSICO

141

) sen za diff eren ze di sign ific ato.


4,1 7,3 7; 3,8 ,17 ; Off., 1,2 9, 102
l' &"&~LO:, resa con sedatio aniDal l'eq uili brio psic hic o disc end e
Off., 1,2 7,9 3; Tuse., 5,1 5,4 3;
mi sia in un con test o stoi co (cf.
e t se da r e Tuse., 3,8 ,17 ),
mo tus ani mi adp eten tis re g e r e
., 1,1 9,6 4). Non div erso l'imsia in un con test o epi cur eo (Fin
ra del l'ep icu reo Velleio in Nat.
pieg o di seeuritas ani mi ad ope
imp ieg ato anc he per indideor., 1, 20, 53. Il term ine , per ,
Fin., S, 8, 23 "; in Tuse., S, 14,
car e la E&UfL(O: di Dem ocr ito in
ion e del la see urit as animi, che
42 Cic ero ne pre sen ta una def iniz
ne stes so per la sua gen eric it:
pot reb be anc he risa lire a Cic ero
vae uita tem aegritudinis, i
see urit ate m aut em nun e appello
sto stes so am bito di pen sier o,
qua vita beata posita est. In que
dal l'Ar pin ate con una not evo le
che , com e si det to, esp ress o
per , alm eno in par te anc he al
inc osta nza di term ini (do vut a,
la ata ras sia o la apa tia o la
fatt o che, qua nto al sign ific ato,
ariv ano , a pri ma vist a, mo lto
eut hym ia dei test i gre ci non app
sto am bito di pen sier o si col
div erse l'un a dal l'al tra) - in que
uni ta alla eon stan tia in Tuse.
loc a anc he la tran qui /lita s animi,
0, 69 e 21, 72 ".
4, S, lO, alla securitas in Off., 1,2
ero ne si occ upa nel l'am
Della definizione del la virt Cic
trin a stoi ca e su que lla per ipa bito dell e disc uss ion i sull a dot
i o ani mi c o n s t a n s c o nteti ca. La virt una a d f e c t
4; om "es reetae ani mi adfeeve n i e n s q u e (Tuse., 4, 15,3
43): ess a , dun que , una
tio" es virt ute s app elle ntu r 2, 18,
v -rtvGt XGtL
,""YEP.OVtXO Tljc; ~uxlj La&e:crL
ta&e:cn: ... T~V &pE't""~V 'TO
): sau (SV F, 1,20 2; 3,1 97 e 459
3'<XfL," YEYEVl)fL/;''l' " Myo
eeti o
adf
o
"tis
me
o
dire adfeeti
reb be stat o pi esa tto, dun que ,
non
s
men
per
cuo di a"i mu s
principalis, ma que sto uso pro mis
e
squ
ie"
Ecr, e011Stans eo" ve"
raro in Cic ero ne. Siff atta 3'&&
-r,
... crfL'P""oV <xu-rn "Ept 81.ov
(ev ide nte men te con se stes sa):
~(o, (SV F, 3,2 62 e 293).
insi ste, inv ece , esse nzia lUn altr o gru ppo di def iniz ion i
la virt , ess end o ess a la per me nte sull 'asp etto raz ion ale del
e rationis ab s o l u t i o defezione del la men te: virt us, qua
virt us per fect a ratio Leg., 1,
finitur (Fin., S, 14, 38); est eni m
con ani~
unita ad $u(.l~kt, che tradotta
72 In Fin., 5, 29, 87 secu ritas
a anim i con
mus terro re liberus.
dell'animo la fidentia, id est firm
7l Appartiene alla tranquillit
3, 8, 29). Si
Fin.,
e
14
7,
3,
e
anch
rina. cf.
.fsio (Tusc., 4, 37, 80; per la dott o term ine (cf. anch e De inv., 2, 54, 163 e
prim
tratta di una neof onn azio ne il rendono rr(o'TtC; di SVF , 3, 548 (= S108 ., Eel.,
165), di un hapax il secondo, che
2, 112, 1-12).

142

C. MORESCHINI

16, 44; (Zeno) omnes (virtutes) i n r a t i o n e ponebat Acad.,


. lO, 38; ipsa virtus n. r e c t a r a t i o (p& 6yo) dici potest
Tusc., 4, 15, 34; cf. anche 5, 13, 39. Cicerone vuole rendere
1
definizioni stoiche del tipo: 6yov o6a",v ""lTJjv o[LoOYOU[LE"OV
(SVF, l, 202; 3, 197), per quanto attiene il suo aspetto razionale; ~EEtTIJ ~ij xoca~ou 'l'oaE", (SVF, 3, 257), allorquan)
do illumina la perfezione che essa apporta alla natura dell'uomo (cf. anche, per questo aspetto, Leg., l, 8, 25: est autem
virtus nihil aliud nisi perfecta et ad summum perducta natura; Acad., 5, 20: n. virtus quasi perfectio naturae). Con questo aspetto, della perfezione della natura umana, si riconnette un'altra definizione, per la quale, ch'io sappia, non esiste
un preciso corrispondente greco: ipsam etiam virtutem tuentem volunt esse earum rerum quae secundum naturam sunt
(Fin., 4, 14, 39).
Di origine aristotelica, ma ben radicata anche nell'insegnamento stoico, la definizione della virt come habitus
(Fin" 3, 14, 48; 4, 14, 37; Acad., lO, 38), cio come g~, (cf, la
vitiositas in Tusc., 4, 13, 29). A Cicerone va attribuito il merito di aver trovato per il termine greco un corrispondente latino che sar poi cos valorizzato dalla speculazione successiva. Cf. SVF, 3, 97: ... ~tt ttpE~tt xcd ~tt a7touSed"' g~EC; tra i
beni dell'anima sono E~e:~, e nonaLC{.{tcrE~, gli 7t~TYj3EU!J.ct.'!IX, 'TWV
v axcrEL 't'a fJ.:v XIXt v EEL dVctL, 010\1 't'ac; apE'!& (SVF, 3, 111).
Connesso con l'habitus della virt , naturalmente, il suo
usus (xpija,), cf. Acad" 5, 21 e 10, 38 en virtutis usum n.);
Fin., 2, 6, 19; 5, 21, 58 en ratio reliquaeque virtutes et actiones n, quae honesta dicimus; ad quorum e t c o g n i t i o n e m e t u s u m iam conroborati natura ipsa praeeunte deducimur).
Siamo, quindi, oramai nell'ambito delle definizioni aristoteliche. Innanzitutto, la dottrina della mediocritas, termine divenuto canonico anch'esso per indicare la [LEa6TIJ, che caratteristica essenziale della virt: cf. Luc., 44, 135; Off., 1,25,
89. Il termine mediocritas per usato polemicamente da Cicerone anche per rifiutare la [LETpW1tOC&"" dei peripatetici (mediocritas passionum), come in Tusc., 3, 10, 22; 31, 74; 4, 20,
46; 26, 57; Off., l, 25, 89 "; una volta usato anche in polemica
)

74 Come esempio di mediocritas detto in Tusc., 4, 19, 43: eam


quam
lenitatem nos dicimus, vitioso lentitudinis nomine appellant. Con la distino
o

con Epi
tellettua
mente r
tiorum (
quella
5, 20 (n
esse et
quasi al
Fa i
mente c
ciascune
che poi
In ques
in PUI
tilla tra
do, che
178,8).
Une
cerone
igniculo
concezic
tribuita,
De finib
43: ... V;
animi b
inesse il
ut ante
rantia
o

f
J

~.

l
,

'1

fa est; J

te il ter
plicazio:
O'7tEp!J.lX:n

La'
zione tra
rendere la
i viz da .
75 Cf.
19642, 41 ,
76 La
4, 13, 32:
nali che:
77 Cf.
termine g

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

143

con Epicuro, per rifiutare la sua dottrina edonistica, il cui intellettualismo nei calcoli dei piaceri e dei dolori, che eventualmente ne conseguirebbero, permetterebbe una mediocritas vitiorum (Fin., 2, 9, 27). Un'altra dottrina di origine aristotelica
quella della virt come ~&o, che Cicerone enuncia in Acad.,
5, 20 (morum autem putabant (scI. gli antichi filosofi) studia
esse et quasi consuetudinem); Fin., 5, 25, 74 ( ...consuetudine
quasi alteram quandam naturam effici ...).
Fa parte della dottrina antiochea della virt, come giustamente aveva gi indicato W. Theiler ", la concezione che in
ciascuno di noi insita fin dalla nascita una scintilla di virt,
che poi si sviluppa, nel corso della vita, fino all'et adulta ".
In questo contesto, allorch Cicerone (Fin., 5, 15, 43) dice:
... in pueris virtutum quasi scintillas videmus, il termine scintilla traduce "l&Uyl'-"'"", che riscontriamo in un testo pi tardo, che riproduce la dottrina di Antioco (Albino, Didask., p.
178,8).
Una variazione di scintilla il termine ignicu/us, che Cicerone impiega in Tusc., 3, 1, 2 (nunc parvu/os nobis dedit
ignicu/os, scl. natura) e Leg., 1, 12, 33. Per esprimere la stessa
concezione di Antioco di Ascalona (a lui essa deve essere attribuita, perch si riscontra solo nel quarto e quinto libro del
De finibus) Cicerone si serve del termine semina (Fin., 5, 15,
43: ... virtutum ... quarum in se habent semina; 4, 7, 17: de
animi bonis accuratius exquirebant in primisque reperiebant
inesse in iis i u s t i t i a e s e m i n a; 7, 18: ... his i n i t i i s 77
ut ante dixi, et s e m i n i bus a n a t u r a d a t i s , temperantia modestia, iustitia et omnis honestas perfecte abso/uta est; Tusc., 3, l, 2). In Antioco doveva trovarsi probabilmente il termine a7ttpl'-<X'"'" dato che questa sembra essere una applicazione antiochea all'etica della dottrina stoica del 1-6yo
cmEp!-LiX't'~x6_

La virt, quindi, come data agli uomini dalla nascita,


zione tra lenitas e lenlitudo (neoformazione?), Cicerone vuole verisimilmente
rendere la differenza tra &.1t"&ELO: e &.opY7Ialo:: quest'ultima era classificata tra
i vizi da ARIST., Eth. Nicom., 1126a3.
7S Cf. W. THEILER, Die Vorbereitwzg des Neuplalonismus, Berlin-Ziirich
19642, 41 sg.
76 La . formazione' della natura di ogni individuo una inslitutio (Fin.,
4, 13, 32; 15, 41; 5, 9, 24), che d alla natura stessa le caratteristiche embrionali che svilupper poi in segui to.
n Cf. poco sopra: principiis autem a natura datis. In entrambi i casi il
termine greco doveva essere &.pxcd; esso varia con elementa in Fin., 5, 21, 59.

144

C. MORESCHINI

soltanto inchoata (Fin., S, 15, 43; 21, 59; Leg., 1, 9, 26-27; lO,
30), cos come inchoatus l'uomo alla nascita (Fin., 4, 13, 3435) ". Parallelamente' alla inchoatio delle virt, anche le communis intelligentiae sono inchoatae: communis intellegentias
nobis natura effecit, easque in animis nostris inchoavit (Leg.,
l, 16,44). Ma accanto ad inchoare (forse perch non troppo elegante) Cicerone adoper anche adumbrare, senza differenze di
significato: ... haec honesta, quae intellegimus, a natura tamquam adumbrantur (Fin., 5, 22, 61).
Per definire la ctv-r""oou&l" delle virt, sostenuta dagli
stoici (cf. SVF, 3, 295 sg.) Cicerone ricorre normalmente a delle perifrasi: le virt sono, infatti, colligata atque implicata
(Off., l, 5,15), copulatae conexaeque ut ... nec alia ab alia possit
separari (Fin., S, 23, 67); nexae et iugatae (Tusc., 3, 8, 17): insomma, qui unam habet omnes habet virtutes (Off., 2, lO, 35;
cf. anche la parafrasi di Tusc., 2, 14, 32).
In modo parimenti vado, ma, sostanzialmente, univoco,
resa anche la 1tpO"01t~ stoica: progressio ad virtutem (Off.,
3, 4, 17; Acad., S, 20; Fin., 4, 24, 66-67). E ancora: virtutum
progressio (Fin., 4, 7, 17), ad virtutem procedere (4, 9, 21);
procedere et progredi in virtute ecc. (Fin., 4, 23, 64).
La sapienza definita come ars vivendi, quae ipsa ex sese
habeat constantiam (Luc., 8, 23; cf. anche sapientia ars vivendi
in Fin., l, 13,42, ave parla l'epicureo Torquato; ars vitae in
Tusc., 2, 4, 12; Fin., S, 7, 18). Siffatta definizione dsale, in ultima
analisi, ad Aristotele, come gi il Reid aveva osservato, ed aveva
avuto ampia diffusione nelle filosofie ellenistiche; se consideriamo, inoltre, che essa si trova, nel Lucullus, in un contesto
che sembra doversi far risalire ad Antioco di Ascalona, non
azzardato, forse, pensare che per siffatta definizione della sapientia (cro'P("), Antioco riprenda quella degli antiqui, cio di
Aristotele. La constantia di cui si parla dovrebbe essere la
f!ooytex, che si incontra, latinizzata in conveniens actio, in
Fin., 3, 16, 55 (v. supra, 127). Poich il contesto di Fin., 3, 16,
55 esplicitamente definito di origine stoica, si potrebbe de78 La spiegazione di tale dottrina data in Fin., S, 21, 59: etsi dedit talem
mentem, quae omnem virtutem accipere posset, i n g e n u i t q u e sine doctrina n o t i t i a s p a rv a s rerum maximarum et qu.asi i TI S ti t ui t docere et induxit in ea, qllae inerant, tamquam e 1e m e n t a v i r t u t i s. Sed
virtutem ipsam i n c h o a v i t, nihil amplius.

durn
unite
(

della
2,35
esse
que (
laghi
uso i
36, 1
pieni
cerOI
acce2
cf. Iv.

tia
prati
Stoic
V1J",

pena
cultu
siffat
tuira
43, 1:
que.
2, lO

za
XW\l :

modI
rum
deor.
noru
79

cum

esse!
eum l
contin

.,

Pi o
sicoru
81

una le
vis sii
82

FILOSOFICO DI CICERONE
OSSERVAZIONI SUL LESSICO

145

nto si legg e nel Luc ullu s) ha


dur re che Ant ioco (sta ndo a qua
lich e e stoi che .
uni to insi eme dot trin e aris tote
anc he la def iniz ion e stoi ca
Cic ero ne, com unq ue, con osc e
SVF ,
&V&pW7tLVWV7tpaYIJ.OCTW'J: cf.
della sapienza (:7tt(]"t'~tJ.1j &e:fCv )(aL
tiam
ien
sap
in Tusc., 4, 26, 57: ...
2, 35), che trad uce fed elm ent e
rum scie ntia m cog niti one m
esse rer um div ina rum et hum ana
si trov a in altr i con test i ana
que (un a red upl icaz ion e, che non
., 2, 12, 37; Tusc., 5, 3, 7)" . Un
log hi, qua li Off., 1,4 3, 153; Fin
ine sap ien tia que llo di Luc.,
uso inso lito , in lati no, del term
dis trib uta sap ien tia est. Qui sa36, 116: in tres igit ur par tis ...
ientiae, per '1"o"0'l'tc< che Cipie ntia imp ieg ato per am or sap
e Off., 2, 2, 5. Ma anc he que sta
cer one imp ieg a in Tusc., 4, 3, 5
ulti ma ana lisi , ad Ari stot ele:
acc ezio ne di sap ien tia risa le, in
b 9; 996 b 9 ecc . Se la sapiencf. Metaph., l, 981 b 28; 2, 982
den tia ('l'P6v'I)",) la sap ien za
tia la sap ien za teo reti ca, la pru
con giu nte , com e pre sso gli
pra tica : le due virt si trov ano
iva len za di pru den tia con 'l'p6Sto ici, in Off., 1,5 ,15 "'. La equ
stes so in Off., 1,4 3,1 53 ( qui ap
V'I)"' ind ica ta da Cic ero ne
nto sia sta ta sign ific ativ a, per la
pen a il cas o di sott olin ear e qua
diff usio ne in am bito lati no di
cul tura filosofica suc ces siva , la
i cui cor risp ond ent i lati ni cos tisiff atti term ini filosofici gre ci,
l,
ica in ling ua lati na) . In Off.,
tuir ann o il fon dam ent o del l'et
maru
um exp ete nda rum fug iend
43, 153 ess a def init a com e rer
SVF,
'l't'ov )(aL OU 7tot1j't'ov (cf.
que scie ntia = :7tto"dlIJ.'l WV 7tOt'
sen z'al tro ine satt a. La pru den 2, 1005; 3, 262 sg.), trad uzi one
com e b""TIjI-"~ cXyc<ltwv xd xc<za def init a dag li Sto ici anc he
e 266), che Cic ero ne ren de nel
xwv Xc<t ouae-rpwv (SV F, 3, 262
qua e con sta t ex scie ntia 81 remo do seg uen te: (pr ude ntia ) ...
bon aru m nec ma lar um (Na t.
rum bon aru m et ma lar um et nec
160; ... pru den tia in dilectLl bodeor., 3, 15, 38); De inv., 2, 53,
67; Off., 3, 17, 71) ". La giu stinor um et ma lor um (Fin., 5, 23,
17): sed
izione (di Antioco?) (Fin., 4. 7,
nt, quae
79 Si incontra anche un'altra defin
velle
esse
m
rice
urat
proc
et
cust odem
cum sapi enti am totiu s hom inis hoc sapi enti ae mun us esse dicebant, ut cum
esse t natu rae com es et adiu trix,
iuva ret eum ac
anim o et corp ore, in utro que
eum tuer etur qui cons tare t ex
cont iner et.
cf. POHLENZ, ad l.).
vale a sapi enti a (Tusc., 1, 4, 7:
80 Altrove il termine equi
2, 4, 11: phyDiv.,
di
ione
ress
l'esp
ve
muo
si
Pi o meno nello stes so amb ito
sico rum est ista prudentia.
to sott o la forma di
etico della prudenza pres enta
&1 Que sto aspe tto teor
legem, cuius ea
esse
am
enti
arbi tran tur prud
una legge in Leg., l, 6, 19: ...
vete t delinquere.
vis sit, ut rect e tace re iubeat,
dere le presunte
rone in Off., 3, 33, 117, per deri
&2 Cf quan to scrive Cice

146

C. MORE5CHINI

zia una ... animi affectio suum cuique tribuens atque hal1c ...
societatem coniunctionis (= "OLV"'V[") humanae munifce et aeq;'e tuens iustitia dicitur (Fil1., 5, 23, 65). La prima parte della
definizione 'senz'altro la pi nota e la pi comune; Cicerone
la ripresenta poco pi oltre (5, 23, 67), in Nat. deor., 3, 15, 38,
in De inv., 2, 53, 160, mentre la seconda parte riecheggiata
in Off., 3, 33, 118: iustitia ... olnl1esque eae virlules, quae in
communitate cernuntur et in societate gel1eris humal1i. La definizione stoica suona come ~7ttcrTf)!J-"ll &7tOVEtJ-7j't"LX~ -rij &~(lX
~"cX"1~ (SVF, 3, 262 sg.): essa sembra, 'quindi, contrastare con
quella ciceroniana, che non parla di scientia, come si richiederebbe, bens di animi affectio; tuttavia, anche' Andronico
(SVF, 3,266) parla di ~~. cX1tOVEfl.1j1,,(1). Strettamente connessa
con la giustizia la sanctitas, perch questa virt regola i rapporti degli uomini con gli di nello stesso modo in cui la giustizia regola i rapporti degli uomini con gli uomini. La definizione stoica cos. suona: OO'LOTI), 8LXtOcruv7j 7tp &Eaue:; (SVF, 3,
660; cf. anche 2, 1017), riprendendo, in fondo, un'analoga dottrina platonica (cf. Euthyphr., 12 e); Cicerone rende la b"L011j
ora con sanctitas (... est scientia colendorum deorum, Nat.
deor., 1, 41, 116; cf. anche 115 e 122) ", ora con pietas (esi
enim pietas iustitia adversum deos in Nal. deor., 1, 41, 116;
Fin., 3, 22, 73), cos come nei testi stoici 6".611j alternava con
eU"<~<L" (cf. SVF, 2,1017; 3,273). Resta da esaminare, tra le
quattro virt fondamentali della tradizione platonico-stoica, la
fortitudo (&vapd,,), definita da Crisippo come scienlia rerum
perferel1darum vel adfectio animi in patiendo ac perferel1do
summae legi parens sine timore (Tusc., 4,24,53; cf. 5,14,41;
De inv., 2, 54, 163: cf. SVF, 3, 263: t",,,11)fl.1j ... 61tofl.eve1<"'v
XlXt OX U7tOfLEVE't'tW\I XlXt ou8e:-rp<v; 1. 201 (<pPO\l1)ow &v 7t0/-LYjve:1<0": : definizione di Zenone) ". La definizione stoica, quale
resa da Cicerone, sembra, dunque, pi estesa ed esauriente delle definizioni greche; altrettanto deve dirsi delle tre definizioni della fortezza secondo lo stoico Sfero, che si incontrano solamente in Cicerone (fortitudo est adfectio al1imi
- l'uso di adfectio animi si era gi incontrato a proposito delvirt degli Epicurei: il compit~ della prudenza consiste nel legere

O"

la gi
ziOllt:
serve
turI'

Crisi
aut

iudic
COffi{

magi
magI
64; 2
ecc.)
si tr<
5, 24
ne n
3,25,
1

che i
peral
ceror

Tusc
che I
precI
acqu:
sioni
desti.
invec
medI
Cicel
""''l'P
(

ste s
passi
lio o
ditat
47; 5

volup

fates.
83 La m6't""fl resa con reIigiositas da APUL., De Plat., 2, 7, 229.

8S

Questa definizione frequentemente citata: cf. ad esempio Fin., 5, 23.


67; Ott" 3, 33, 117; incerta l'origine della definizione di Off., 1, 19, 62: .. eam
virtutem esse dicunt prOptlgnantem pro aequitate.
84

Leipzi,
86

termir

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

147

la giustizia - legi summae (plt yo, come nella definizione di Crisippo) in perpetiendis rebus obtemperans vel conservatio stabilis iudicii in eis rebus quae formidolosae videntur, subeundis et repellendis vel scientia (= 'PP6v'),n come in
Crisippo e Zenone) rerum formidolosarum contrariarumque
aut omnino neglegendarum, conservans earum rerum stabile
iudicium (Tusc., 4, 24, 53 = SVF, 1,628; 2,266; 274).
. Strettamente connessa con la fortitudo la magnanimitas,
come si legge in Tusc., 3, 7, 15, che rende il greco fLeYlXo~uX(lX;
magnificentia in De inv., 2, 54, 163; pi frequente il nesso
magnitudo animi (cf. Fin., 3,7,25; 4,7, 17; 8, 19; Tusc., 1,26,
64; 29, 71; 2, 13, 32; 22, 53; 5, 28, 80; Off., 1, 4, 13; 19, 63-65
ecc.), che concetto tipico dell'etica romana ". Tale concetto
si trova unito a quello di excelsitas (neoformazione) in Off., 3,
5, 24 e ad excellentia in Off., l, 5, 17, per evidente amplificazione retorica; tale amplificazione ancora pi sensibile in Off.,
3,25,96: .... in animi excellentis magnitudine et praestantia ".
Ultima delle virt fondamentali dell'animo la cr",<ppocrv'),
che in latino resa, con fortunata traduzione, mediante temperantia (cf. Tusc., 3, 8, 16). Per questo termine, tuttavia, Cicerone dichiara (Tusc., 3, 8, 16) di usare (e in effetti usa: cf.
Tusc., l, 26, 64; 3, 17, 36; 4, 16,36; Off., 1,27,93; 3,25,96) anche moderatio e modestia. Sono traduzioni non peggiori della
precedente, ma vennero poi abbandonate perch temperantia
acquist sempre di pi il significato di moderazione nelle passioni, autocontrollo sui propri istinti " mentre moderatio e modestia sono di impiego pi vasto (del tutto abbandonata fu,
invece, la proposta di traduzione, avanzata dall'Arpinate nel
medesimo passo di Tusc., 3, 8, 16 di ""'<ppocrv') con frugalitas);
Cicerone stesso, del resto, abbandon questa identificazione di
""'iPpoav') con modestia nel De officiis, come vedremo subito.
Quanto alla definizione della temperanza, Cicerone insiste soprattutto sul carattere di moderazione, di freno delle
passioni, ad opera della ragione: cf. Tusc., 5,14,42 ( ... moderatio omnium commotionum); Fin., 2,19,60 ( ... moderatio cupiditatwn rationi oboediens; cf. anche Off., 1,27,93; Fin., 1,14,
47; S, 23, 67; De inv., 2, 54, 164; Nat. deor., 3, 15, 38). Siffatta
85 E' noto il classico studio di R. HEINZE, Vom Geist des Romertums,
Leipzig-Berlin 1938.
86 Si accompagna alla magnitudo animi la despicientia (Tusc., 2, 13, 32): il
termine sembra essere neoformazione ciceroniana.

148

C. MORESCHINI

definizione non corrisponde alla pi nota definizione stoica:


"""",III':'! CX[pETWV xocl epEUXTWV xcxl O8ETp",v (cf. SVF, 3, 262 sg.).
Essa probabilmente riprende la dottrina platonica (cf. Repubblica, 432 a; 442 c d), che attribuisce alla temperanza la funzione di tenere in equilibrio le varie parti dell'anima. Cf. infatti quanto si legge in Cicerone stesso: ut enim corporis temperatio, cum ea congruunt inter se e quibus constamus, sanitas
sic animi dicitur cum eius iudiciaopinionesque concordant
(Tusc'., 4, 13,30: qui Cicerone riconnette la temperantia alla
temperatio corporis). E' verisimile che questa ripresa della definizione platonica della temperanza sia da attribuire al ritorno ai 'filosofi antichi' propria di Antioco di Ascalona: essa
riappare del resto nel medioplatonismo (cf. Apul., De Platone
et eius dogma te, 2, 6, 229), sul quale sappiamo quanto sia stato forte !'influsso 'di Antioco. E cf. comunque, per gli Stoici,
SVF, 3, 274.
Per quanto riguarda la modestia, Cicerone -ne d, nel De
officiis O, 40, 142) una definizione nell'ambito di un contesto
che comprende anche l'ordo: la modestia, quindi, si riferisce
soprattutto al campo pratico, e in questo essa corrisponde alla
ETcx!;loc, quale sottoc1assificazione della ""''l'Pomi",!: deinceps de
ordine rerum et de opportunitate 'temporum dicendum est.
Haec autem scientia continentur ea, quam Graeci ETCX!;[CXV nominant, non hanc, quam interpretamur modestiam, quo in verbo modus inest, sed illa est ET'itE,[CX in qua intellegitur ordinis
conservatio. IIaque, ut eandem nos modestiam appellemus,
sic definitur a Stoicis ut modestia sit scientia rerum earum,
quae agentur aut dicentur, loco suo collocandarum. [Ita videtur eadem vis ordinis et collocationis fore: nam et ordinem
sic definiunt, compositionem rerum aptis et accomodatis 10cis.] Locum autem actionis opportunitatem temporis esse dicun!; tempus autem actionis opportunum Graece EXCtLp[Cl, Latine appellatur occasio. Sic fit ut modestia haec, quam ita
interpretamur, ut dixi, scientia sit opportunitatis idoneo rum
ad agendum temporum (cf. anche Fin., 3, 14, 45). Cicerone distingue, dunque, la modestia (= ET<X!;(CX) nel senso di 'temperanza' (che quella riscontrata nelle Tusculanae) dalla modestia (= ETCX!;tCX), che qui, nel De officiis, Cicerone intende come
'mantenimento di un ordine'. Questa ultima definizione, come quella della opportunitas e della occasio, corrisponde ad'

alcun
crrIJ!'-'l
>tpli!;E'

P
virt.
ricoru

non t
be' es
a con
lis an
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molo!
Il
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Stob.,
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beo o:
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to era
da sol
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cetto I
polem
87 Si
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Falco ,
88 C

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

149

alcune definizioni greche : cf. SVF, 3, 264:' ...{,.,.,,,l',(,,,v 3 h,,


O'T~I-l't)V "rDU

1to-re: 7tpcxx-riov xcxl -rt lLe:-roc -rt xlXl xcx&oou -rYj -roc~e:C -rwv

"p.xI','(4V; 3, 272; 3, 276.

l'oche consid erazio ni per termin are questa sezion e sulle


virt. Incont riamo nelle Tuseu/ anae (3, 8, 16) un tentati vo di
riconn~ttere la innoee ntia a un termin e greco,
che Cicero ne
non trova: egli osserv a, infatti , che il termin e eX~.x~<L'" potreb be' essere il corrisp onden te richies to (in base eviden temen te,
a consid erazio ni etimol ogiche : nam est innoee ntia adfeet io ta/is alii';'i quae noeea t nemin i), ma, in sostan za, non : Cicerone sapeva bene, infatti , che, nonost ante il paralle lismo etimolog ico, eX~.x~<L'" non corrisp onde ad innoeentia.
Infine, osserv iamo che un passo del De fmibus (5, 13, 36)
dedica to alle doti natura li dell'in dole, che sono consid erate
dagli stoici come dei "PO'l)Ylltv"" ma non posseg gono la dignit della '1irt vera e propri a. T'ali doti hanno , in Antioc o (cf.
Stob., Bel., 2, 80, 22 = SVF, 3, 136) il titolo di ,'f''''''''; Cicerone le riassu me sotto la definiz ione di ingeni um, che abba'stanza 'ilPpro priata per indica re, appun to, l'indol e di queste
virt non vo/untariae, ma natura li; tra di esse si trova la memoria, come osserv a anche Antioco (1lvi)1l'l), nel passo di Stobeo ora citato) .
Per quanto riguar da l'etica epicur ea, essa assai povera
di. definizioni e di tecnici smi, corrisp onden temen te a quella
chiare zza e (appar ente) sempli cit, grazie alla quale gli epicurei Italiam totam oeeupa verunt ; ne conseg ue che anche le
traduz ioni cicero niane sono norma lmente assai agevol i ". Non
che lo scritto re latino affron ti senza impeg narsi il compi to di
render e nella sua lingua il lessico dell'et ica epicur ea; anzi, il
De finibus (2, 4, 13-14) contie ne una discus sione propri o sul significa to fondam entale, quello di ~30v~ = vo/upt as. Ma il fatto era che la equiva lenza di ~3ov~ con vo/upt as si impon eva
da' sola "; anzi, si era certam ente gi impos ta e diffusa prima
di Cicero ne. Si potreb be dire, invece, che, di fronte a un concetto filosofico appare nteme nte cos ovvio, Cicero ne che, per
polem ica, cerca di darne una accezi one ridutti va e semplifi87 Su tali traduzio ni, cf. il gi citato studio di A. 1'RAGUA,
rone tradutto re di Platone e di Epicuro, in o: Studi in onore diNote su Cice
Vittorio De
Falco , Napoli 1971, 307-340.
,88 Cf. le osservaz ioni del KILB., o. c., 21 sg.; 32 sg.

150

C. MORESCHINI

catrice, riconducendo - contro le proteste degli epicurei, che


sostenevano non essere la loro ~8ov-lj quella che comunemente veniva intesa, cio il volgare piacere dei sensi (cf. Fin., 2, 4,
12 e 23, 75; Tusc., 3, 20, 49) - la vo/uptas epicurea esclusivamente al piacere sensibile. A questo scopo Cicerone insiste
su alcune particolarit linguistiche del concetto di 'piacere'.
Innanzitutto, per distinguere il piacere epicureo, esclusivamente sensibile, secondo lui, da quello stoico, che di carattere intellettuale, egli riserva al primo il termine vo/uptas, al secondo
il termine /aetitia (cf. Fin., 2, 4, 13-14) ". In secondo luogo, Cicerone, per mostrare che non esiste un piacere intellettuale
che consista nella pura assenza dal dolore, sottolinea pi volte la differenza tra 'piacere' (vo/uptas) e 'non dolere' (indo/entia = &VlXy'I)"(lX), concetto tipico del peripatetico Ieronimo di Rodi "'. Indo/entia presentato in Fin., 2,4, Il; 6,19;
Tusc., 5,30,85; Off., 3,3,12. Tuttavia, il termine, che sembra
essere neoformazione di Cicerone, non usato sempre con la
medesima accezione. Nel gi citato passo di Off., 3,3, 12 esso
sembra indicare la &VlXY'l)"/lX di Ieronimo, mentre la apatia di
Pirrone definita un ne sentire quidem in Luc., 42, 130. Inoltre,
il termine era apparso forse troppo duro allo stesso Cicerone,
che lo ha pi volte parafrasato con vacuitas d%ris (cf. Fin.,
2, 5, 16; 4, 11, 27; 13, 35 sg.; 5, 5, 14; 7, 17 ecc.), con non do/ere
(Fin., 2,4,11), nihi/ do/ere (Fin., 2,5,8), d%re vacare (Tusc.,
2, 6, 15), vitatio d%ris (Fin., 5, 7, 20), vacuitas ab angoribus
(Off., 1,21,73).
Per tornare al piacere epicureo, Cicerone ne illustra le
caratteristiche pi comuni ". Innanzitutto, la distinzione tra
piacere catastematico (stabilis, stabi/itas) e piacere cinetico
(in motu) (cf. Fin., 2, 4, 16; 23, 75 e 77); la affermazione che,
una volta eliminato il dolore, l'aggiunta di un piacere procura il variari, non augeri vo/uptatem (Fin., l, lI, 38; 2, 3, lO;
23, 75) (= 1tO<X(E"&lX<jbtlXU!;E",'}lX' in Ratae Sent., 18); il piacere una privatio d%ris (Fin., l, 11,37-38; 2,9,28) (=~ 1tavT TOU &YOUVTO o1tE!;dpE",, Ratae Sent., 3). La distinzione
epicurea (cf. Ratae Sent., 29) tra vo/uptates natura/es e neces89 E cos Cicerone impiega laetari in Fin., 1, 20, 67 e mentis laetitia in
Tusc.} 3, 18, 41 per designare la +,ao\lY) catastematica epicurea.
90 Cf. G. ARRIGHETTI, Ieronimo di Rodi, SCO, III, 1953, 111-128.
91

Il derivato voluptarius ha diffusione, a quanto sembra, con Cicerone

stesso (cf. Fin., 1, 11, 37; 3, 10, 35; 4, 12, 31; Tusc., 2, 7, 18; 3, 18, 40; 5, 31, 88).

san
Fin.
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('t"tX
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sica

1, 4

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOfICO DI ICERDNE

151

sariae (<pUrrLX',,( Xoot <XVOOYXOO'OOL) e quelle che non lo sono (cf.


Fin., 1, 13, 45; Tusc., 5, 33, 93). E' caratteristica del piacere
epicureo l'obscurari saepe et obrui da un altro (Fin., 4, 12,
29 = fr. 441 Us.): la terminologia dovrebbe corrispondere, come osserva l'Usener ad locum, al termine <XfLooup6, impiegato
da Epicuro per il piacere, e contro il cui uso e il cui significato
dottrinale avrebbe polemizzato Galeno nel suo "Ept -r'ij XOOT'
'E7ttxoopOU c(!-LlXUPOU ~80V~, come osserva Galeno stesso in De
libris suis, 17, 19, p. 48 Kiihn. Un altra caratteristica della voluptas il titillare (YOOPYOOt~ELV) (Fin., 1, 11,39; Tusc., 3, 20, 47;
Nat. deor., 1, 40, 113). Le ricchezze che producono i piace'i
necessari sono parabi/es (= E\m6perrToL), cf. Fin., 2, 28, 90-91
(= Sent., 15; Epist. Menec., 130).
Le KOpLOOL t>61;oo" a cui Cicerone attinge per queste dottrine sono maxime ratae (Fin., 2, 7, 20); una descrizione di esse,
non una traduzione, si pu leggere in Nat. de01-.; 1, 30, 85. In
Fin., 2, 31, 100 tradotta la seconda Massima Capitale: pu
avere un lieve aspetto di tecnicismo la seconda parte di essa:
T Y<XP 8LooU~V <xvoo,rrlhJTE' (quod enim dissolutum sit, id esse
sine sensu).
4. Con initia rerum Cicerone dedica la sua traduzione al termine greco di <XPX~ (Nat. deor., 1, lO, 25: Thales ... aquam dixit
esse initium rerum; Fin., 5, 4, 9; Tusc., 5, 24, 69; Div., 2, 4,
11), di 'principio' nel senso fisico ". Si tratta, comunque, di
un termine di significato abbastanza generale, non particolarmente specifico della dottrina fisica di una particolare filosofia; esso non di impiego nell'etica, come vedemmo a suo
tempo. In Acad., 7, 26, tuttavia, Cicerone aveva impiegato initia come equivalente di rrTo,x",oV, termine per il quale egli proponeva, contestualmente, la traduzione di elementum (cos intendo, contrariamente al Reid, il passo in questione: illa ini92 Termine di uso abbastanza comune e immediatamente comprensibile
doveva essere gi da tempo physictls; per indicare la scienza fisica, tuttavia,
non di uso comune il termine astratto corrispondente a lPucmo), tanto
vero che in Acad., 7, 2S Cicerone propone physica (femminile), e lo ripete poi,
come osserva il Reid, in Fin., 3, 21, 72. Il termine, per, non ha avuto un successo immediato con Cicerone, il quale continua a impiegare il neutro physica
(,l. lPuO"lxli) in Luc., lO, 30; Nat. deor., l, 21, 60; Fin., 3, 22, 73 e la perifrasi cognitio naturae (Fin., 4, 4, 8) e explicatio naltlrae (Fil1., 4, 5, 11). Accanto a physica si trova il termine pi raro physiologia (Nat. deor., l, 8, 20; 15, 41; Div.,
1, 41, 90), e quindi spiegato come naturae rario.

152

C. MDRESCHINI

solida
leve et
questa
tanto i
in Luc.
L'urto
aUT"'PO\
cursus

tia et, 'lt e Graeco vertam, e/ementa dic'lnt'lr si riferisce ai


quattro eleme;nti empedoclei, ed initium invece di e/ementum
usato ancora in 11, 39, sempre con riferimento ai quattro
elementi); principium = e/ementum empedocleo in Tusc., 1,
10, 22. E/ementum usato nel significato grammaticale in Luc:,
28, 92 (e/ementa /oquendi) e, sempre oscillando tra il significato di initium, che si visto sopra, e il significato etico,
usato in Fin., 5, 15, 43 (p"ima e/ementa naturae equivale, in
sostanza, a principia naturaer 9J e in elementa virtutis di Fin., 5,
21, 59 ".
Per quanto concerne la fisica epicurea, Cicerone, per designare l'atomo, ricorre a pi tentativi. All'inizio della sua attivit filosofica translitter semplicemente in atomus (Luc., 40,
125): verisimilmente nessuna delle traduzioni presentate da
Lucrezio, che pure conosceva, lo aveva soddisfatto e aveva rinunciato, d'altra parte, ad escogitare un termine latino che
corrispondesse al greco, accontentandosi di atomus. La rielaborazione degli Academica gli permise di tornare sul termine
tecnico dell'epicureismo, per cui leggiamo: de c o r pus c ulo rum - ita mim appellat (scI. Amafinio) a t o m o s - concursione fortuita /oqui ... (2, 6). Cicerone si rivolge, quindi, alla traduzione di Amafinio (all'aspetto linguistic"a dei cui scritti, tuttavia, egli non lesina le critiche in Tusc., 1, 3, 6; 2, 3, 7;
4, 3, 6) che ripete alcuni mesi dopo in Nat. deor., 1, 24, 66 e
67; Tusc., 1, 11, 22 ecc. Corp'lscu/um, tuttavia, non sostitu
atomus in Cicerone, che si incontra ancora numerose volte:
cf. Nat. deor., 1,20, 54; Fin., 1,6, 17, 19 e 20; Tusc., 1, 25, 60;
2, 19, 45; Fat., 9, 18 ecc. Probabilmente corpuscu/um era sembrato a Cicerone un termine troppo generico, pi un'interpretazione che una traduzione di Ih-of'-o, che non riusciva a definire in modo esclusivo. Un tentativo di raggiungere una maggior precisione pu essere considerato quello di definire corpuscu/a (o corpora) con l'aggiunta di individua (De fato, lO,
22 e 23; Nat. deor., 1, 24, 67; 25, 71; 39, 110; individua et

concur
I, 18,
39, IH
dear.,
bo c,
sare in
il mov.
loro). }
(~

Cf,,,,

e regio
6, 18),
(Fat., 1
6, 18-1'
4648;
(Fat., l
una vi
cause (
mi, J
con de
1, 6, l'
9, 18;
traduzi
te lucro
terizza
dicolar
9S

Cf

neofonTI:

93 Come si gi detto (stlpra, n. 48), il termine naturalis, meno usato di


!pumv nell'etica, pi frequente nelJa fisica: cf. naturalis deus (Nat.
dear., 1, 13, 32), vis naturalis (Nat. dear., l, 13, 33), naturalis motus (Fat., lO,
23 e 20, 47).
94 Un altro significato di initium quello di ' postulato ': cf. initia mathematicorum in Luc., 36, 116 e 37, 118; Fil?, l, 21, 72.
l'-OCTOC

I
"

itJ.dividUi
" SiJ

de via d

lO, 46), o
banale a
clinazion

OSSERVAZIONI SUI.. LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

153

solida corpora in De Fin., l, 6, 18; Nat. deor., 2, 37, 93); di


leve et rotundum (Tusc., l, 11, 22; 18, 42). E' verisimile che in
questa precisazione si possa cogliere un influsso 1ucreziano,
tanto vero che Cicerone impiega anche individuum da solo
in Luc., 17,55; Nat. deor., 1, 19,49"; 23,65; Fat., 9, 18 e 11,25.
L'urto degli atomi tra di loro, che Epicuro aveva definito
O"!'-r"pou,n (Epist. Herod., 44) e Lucrezio aveva reso con concursus (cf. 1, 384; 634; 685; 2, 727 ecc.) da Cicerone detto
concursio (fortuita) in Acad., 2, 6; Nat. deor., 2, 37, 93; Tusc.,
l, 18, 42; Fin., 1, 6, 17 e 20 o concursus (Nat. deor., l, 32, 91 e
39, 110; 2, 37, 94; Tusc., l, 11, 22) o, ancora, incursio (Nat.
deor., l, 41, 114), per indicare l'affluire degli atomi; il verbo concurrere in Nat. deor., 2, 37, 94; si incontra anche cursare in Nat. deor., 2,.44, 115 (!.'intensivo esprime efficacemente
il movimento disordinato e l'urto ripetuto degli atomi lra di
loro). Il movimento in linea retta verso l'alto o verso il basso
(~ liv",... ~ xeh", <popcX, Epist. Herod., 61) degli atomi detto
e regione (Fat., 9, 18; 20, 47; Fin., 1, 6, 19); ad lineam (Fin., l,
6, 18), recte in Fin., 1, 6, 20; ad perpendiculum rectis lineis
(Fat., lO, 22). Esso avviene a causa del pondus ([3cXPO) (Fin., 1,
6, 18-19; Fat., lO, 22; li, 25) O della gravitas (FaI., ibid.; 20,
46-48; Nat. deor., 1, 25, 69; 2, 37, 93) e della plaga (7t'ly/J)
(Fat., lO, 22 e 20, 46); secondo Democrito, il moto dovuto a
una vis impulsionis (Fat., 20, 46). La "'''pyx,O"e, una delle
cause del moto atomico e l'origine dell'agglomerarsi degli atomi, resa da Cicerone con inclina/io (Nat. deor., l, 26, 73),
con declinatio (pi esatto: cf. Fat., lO, 22-23; 20, 47-48; Fin.,
l, 6, 19) e declinare (Fin., l, 6, 19; Nat. deor., 1, 25, 69; Fat.,
9, 18; lO, 22; 20, 46-48): a scegliere questa seconda forma di
traduzione avr probabilmente contribuito anche il precedente lucreziano: cf. 2, 221; 250; 253 e 259 ". L' cXX.'CITOV che caratterizza la declinazione dell'atomo rispetto alla caduta perpendicolare un interval/um minimum, come si legge in Fat., lO,
95 Cf. anche Nat. deor., 3, 12, 29, ma senza attinenza con l'atomo epicureo;
neofonnazione dividuu.m (ibidem). Si incontra anche corpora solida acque
individu.a (Nat. deor., 2, 37, 93), corpora solamente (2, 44, 115).
96 Siffatta declinazione descritta ironicamente in pi modi: ... easqu.e
de via dedLlcat (Fat., 9, 18); atomis errantibus et de via declinantibus (Fat.,
20, 46), oblique banalizzazione (Fill., l, 6, 20); ad libidinem (1, 6, 19), sebbene
banale anch'esso, vuole esprimere il principio di libert che racchiude la declinazione atomica.

154

C. MORESCHINI

22 e 20, 46. Il moto per declinazione sine causa (Fat., 9, 18 e


lO, 22; Fin., 1, 6, 19), e quindi de nihilo (Fat., 9, 18) "'.
L'accozzo degli atomi tra di loro (1t<pmOld, in Epist. Herod., 4344; crUY"Pl<''', 41) detto concretio in Nat. deor., 1, 25,
71; complexiones, copulationes, adhaesiones in un passo di forte coloratura retorica (Fin., 1, 6, 19), che tradisce, per, anche
una certa difficolt nel rendere in latino il termine tecnico greco (sembrerebbe pi una serie di proposte di traduzione che
non una variatio) "; il verbo che esprime questo agglomerato
atomico cohaeresco (1, 6, 17 e 20; Nat. deor., 1, 20, 54),
mentre la dissoluzione dell'aggregato atomico reso con
dissipatio (Nat. deor., 1,25, 71}" (= a,iXu", Epist. Herod.;
. 41) II". Il precedente lucreziano si imponeva anche per la traduzione del vuoto epicureo (x<v6v) con inane (Luc., 40, 125;
Fin., 1, 6, 21; Nat. deor., 1, 20, 54; 23, 65; 26, 73; 2, 32, 82;
De fato, 11, 24; 20, 47); si incontra anche inanitas, che si legge
per la prima volta in Cicerone (Fat., 9,. 18), e il nesso, tipicamente lucreziano, di infinitum inane (Fin., 1, 6, 17).
L' if1t<cpov epicureo (anche quello della filosofia non epicurea) per, non reso sempre con infinitum come in Div., 2,
50, 103 (cf. immensum et infinitum, dottrina non epicurea in
Nat. deor., 1, lO, 26): Cicerone ricorre ad infinitas (cf. Nat.
. deor., 1, 11,28 e 19,50) e a infinitio (= &1t<cplo: in Fin., 1,6,21).
Infinitas sembra essere un perfetto parallelo di infinitum 101,
rn Altrove intervallum rende Suio't"'1J(J.Gt come in Tim., 7, 23 (= Tim., 36a);
Tusc., S, 4, 10 (siderum intervalla, cursus). Diverso sembra essere il significato in Acad., 7, n, ave, esponendo la dottrina di Antioco, Varrone dice:
". quae autem moveantur, amnia intervallis moveri, quae intervalla icem in
finite dividi passint. Qui intervallum sembra indicare lo spazio, oio la xwpGt
del Timeo.
93 Coagmentatio, impiegato in Nat. dear., l, 8, 20; 2, 46, 119; Tim., 5, 17.
non rientra nella terminologia specifica dell'epicureismo; nel passo del Timeo
esso corrisponde a a&J.&e.O'll.
99 Parimenti non di uso epicureo dissolutio in Fin., 5, 11, 31 (dissolutio
naturae); dissolubilis (Nat. deor., 1, 8, 20) e dissipabilis (3, 12, 31) sono neoformazioni ciceroniane.
100 In Div., 2, 50, 103 incontriamo una pregevole traduzione di un noto
passo di Epicuro (cf. Epist. Herod., 41): quod finitum est ... habet extremum
(T y:p 1t'E1tEpC1.O'!ivo'll ixpo'll tX~l); quod aUCem habet extremum, id cernitur
ex alia extrl1secus (T lxpov 1tctp' tup6'11 Tt ,fh:(pe:~Ta;l); at quod omne est,
id non cBrnitur ex alio extril'lsecus (manca in Epicuro: forse un'aggiunta
di Cicerone, per desiderio di maggior chiarezza); nihil igitur cum habeat ex
tremum, infinitum sit necesse est (l'tpo:C;; 3: OX ~XO'll i.1t'EtpO'll &:11 e:l7} xo:1. o l'te:l'tEw

po:aV:vo'll }.
Wl

Di uso non tecnico infinitas in Tusc.} S, 36, 105 (infinitas rerum at

qtle naturae).

cos cc
niane;
siffatta
con l'a
duplic,
si legg
45) (ib

e innu
cordi a
89) co:
infinitt
L',

deor.,
rerum,

14). Il
eureo:
a Dem
103), c
rum di
di qua
losofic,
-rea, at
poema
mina r
da Cic,
l'unica
Calcidi
LGOVOfLtc

na che
Pe
renterr

29; 38,
d8wa,

deor.,
102

Lo

resa nel
que defil
contir
per a El
103 I~

mocritei
spiegazic

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

155

cos come inanitas di inane, ed entram be neofor mazio ni ciceroniane; all'occ asione , Cicero ne cerca di determ inarle meglio (ma
siffatta determ inazio ne mi sembr a, tutto somm ato, infelic e)
con l'aggiu nta di lacoru m (Nat. dear., 1, 26, 73) o con la reduplic azione di innum erabili tas munda rum (nei testi epicur ei
si legge" solo: ci fl~v Ixcxl x6afloL /"mpot daIV, Epist. Herad.,
45) (ibidem : cf. anche innum erabile s mundi in Fin., 1, 6, 21)
e innum erabil itas atama rum in Nat. dear., 1, 39, 109. Si ricordi anche la famos a traduz ione di flETcxx6aflLcx (Epist . Pythacl.,
89) con interm undia (Nat. dear., 1, 8, 18). In ogni caso, solo
infinitas ha avuto una vita che si prolun gasse dopo Cicerone.
L'univ erso (T 1<iiv) reso con univer sitas (rerum ) (Nat.
dear., 1, 15, 39 e 43, 120; Tim., 2, 6: cf. l'espre ssione infinit as
rerum, che si or ora incont rata); oppur e univer sum (Tim., 5,
14). Il concet to, comun que, non di uso esclus ivame nte epicureo: nei tre passi or ora citati esso si riferis ce a Crisipp o,
a Democ rito, a Platon e. Altrov e si incont ra amne (Div., 2, 50,
103), amnia (Luc., 55, 117-118; Tusc., 1, 18, 42), amniu
m rerum discrip tia et madus (Nat. dear., 1, 11, 26). A conclu sione
di quanto risulta to finora, ci sembr a che la termin ologia filosofica di Cicero ne, per quanto attiene alla cosmo logia epicurea, abbia sentito fortem ente l'impo rtanza del preced ente del
poema di Lucrez io (che pure, come noto, l'Arpin ate non nomina mai): quasi nessun o dei termin i tecnici epicur ei reso
da Cicero ne in modo differe nte da come li rende Lucrez io, con
l'unica eccezio ne di aequilibritas, che stato ripreso solo da
Caleidio (Tim., 32), ma che ha saputo render e perfet tamen te la
(aov0l-'lcx epicur ea (cf. Nat. dear., 1, 19, 50; 39, 109), una dottrina che, tra l'altro, neppure si incontra in Lucrezio 102.
Per quanto riguar da, invece, gli daCcx essi sono resi correntem ente con imagin es (in Luc., 40, 125 e Nat. dear., 1, 12,
29; 38, 105 e 107; 43, 120, ecc. il termin e, sempr e traduz ione di
EtaCCX, rientra nell'am bito della fisica democ
ritea): cf. Nat.
dear., 1, 19, 49; 26, 73 IO'; 38, 106-107; 39, 109; 41, 114; Fin., 1,
102 La dottrina epicurea della .VTo:v(Xn~p(l)(Jr.
(cf. Epist. ad Herod., 48)
resa nel De nato dear., insistendo sulla ptar. ... OUVE:xi): cf. 1,
37, 105:
ne
que deficiat umquam ex infinitis corporib us similium a c c e
5 i o; 39, 109:
c o n t n e n t e r imagines f e r r i; 41, 114: ... cumque ex ipsoS imagine
s sem
per aflua nt.
103 Isolatam ente (Nat. dear., 2, 30, 76) Ciceron
e distingu e tra i
mocritei e le imagine s di Epicuro. Non si ancora riuscito simulac ra dea trovare una
spiegazione convincente per siffatta, isolata, distinzione.
o

156

C. MORESCffiNI

6, 21 ecc. Simulacrum talora impiegato da Cicerone in questo senso; si trova, anche rerum effigies, ma mi sembra un
impiego limitato a Nat. deor., l, 39, 110 (omnis tamen ista
rerum effigies ex individuis quo modo corporibus oritur?).
Gli di, infatti, stando alla interpretazione che Cicerone d
della teologia epicurea, sarebbero solo composti da imagines,
sarebbero privi di soliditas (I, 37, 105 e 19, 49), che spetta, invece, agli O'T'E?(.LIJ~C(.
Alla fisica epicurea, cos autonoma e compiuta anche nel
suo lessico, si contrappone la fisica stoica, che riprende, sostanzialmente, motivi e termini della fisica platonica. Preliminari alle nostre osservazioni sulla fisica platonico-stoica sono,
per, alcune considerazioni sull'uso di materia, che, come equivalente di 6,,'1, non dell'uso epicureo, ma, come termine generico, frequente anche nel poema lucreziano. "1'1, tuttavia, doveva essere, nelle filosofie postaristoteliche, di uso comune: noi ne troviamo la traduzione (materia, appunto) sia nell'applicazione alla fisica di Anassagora (Luc., 37, 118: probabilmente da un manuale dossografico), sia per quanto riguarda
la filosofia stoica (cf. materia rerum in Nat. deor., 3,25,65 e 39,
92), sia in quel particolare miscuglio di stoicismo e platonismo
che fu la fisica di Antioco. Negli Academica leggiamo che la
materia consiste nell'elemento passivo (... in eo autem quod
efficeretur - su questo termine dovremo tornare presto materiam quandam, scI. esse censebant: 6, 24); nell'essere il
sostrato (subiectam ... omnibus = UTtoxdfL"vov, cf. 7,27) lO'; priva di ogni forma (sine ul/a specie = &vd3EO) e di ogni qualit
(carentem omni qualitate = Ii.TtOLO, si noti la variatio con la prima determinazione negativa) (ibidem). Ancora, la materia
cohaerens (6, 24), cohaerens et continuata lO', cio (J1)VEX.~ (7,28).
Di essa esistono partes (fL6pl.tJ() (ibidem). La materia, formata
dalle singole specie, costituisce il corpus (= ";;;fL":: una traduzione che si imponeva da sola) (6, 24; cf. anche Tim., 28b e 31b),
da cui l'aggettivo corporatus in Tim., 2, 5 e corporeus (Tim., 4,
13); all'inverso (incorporeus) Cicerone sembra preferire le peri- .
frasi come expers ... corporis (Acad., lO, 39); oppure: nec vero

aut (
corp'
pore
della
costi
ge in
sto,
~

che

.. pf..LVL(

cont(
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corri

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si ve,
da ql
creta
dam,
106

to, da

spcs
107

Cf. anche l'immagine di Fin., 3, 18, 61: ... subiecta quasi materia sa
pientiae ...
IOS Qui (Acad., 7, 28), come osserya il Reid, natura equivale a ukl').
104

palior.
108

bilis

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

157

aut quod efficer et aliquid aut quod efficer etur posse esse non
corpus (ibidem ); sine corpor e (Nat. deor., 1, 12,30) ; carens corpare (Nat. deor., 1, 13, 33). Corpus, comun que, fa parte anche
della termin ologia epicur ea: il quasi corpus e il quasi sangui s
costitu iscono la natura degli di second o Epicur o, come si legge in Nal. deor., 1, 18, 49 e 27, 75. I compo sti atomic i, del resto, sono corpus, second o Epicur o: cf. Nal. deor., 2, 32, 82,
che segue una diffusa termin ologia lucrez iana. Il termin e O'T<to
pp.v<lx stato conser vato intatto , non tradot to, ma spiega
49:
19,
1,
deor.,
Nat.
di
contes tualme nte nella afferm azione
... ea quae iIIe (scI. Epicur o) prople r frmita lem O'T<pp.vt<" appellai.
La coppia di termin i oppost i "O"LV!"OCO'X<LV, di uso comune nelle filosofie postpla tonich e,. e presen tata in Tim., 6, 18,
resa con una certa difficolt, tipica della manca nza di un linguaggi o filosofico preciso , in Acad., 7, 26: ... aer et ignis movendi vim haben l et efficiendi, reliquae parles 106 accipi endi el
quasi palien di, aquam dico et terram. I termin i tecnici sono
efficie ndi e patien di 107, ma entram bi sono accom pagna ti da
altri due termin i, ispirat i a differe nti criteri . L'aggi unta di movendi pi un'inte rpretaz ione che una traduz ione, accipi endi
sembr ava a Cicero ne meno crudo del pi esatto palien di lO', per
cui ha credut o cpport uno aggiun gerlo. Questa stessa incerte zza si riscon tra ancora nell'am bito della medes ima esposi zione,
e cio quella di Varron e negli Academica, che deriva ta da Anlioco: in 6, 24 nuova mente impieg ato efficio, ma il suo
corrisp onden te diverso : de Ilalura autem ... ita diceballt, Lli
eam divide renl in res duas, ul altera essei efficie ns, altera autem quasi huic se praebens, ex eaque efficer elur aliquid . Come
si vede, palior anche qui evitato . Molto spesso efficio passa
da questo signifi cato pi astratt o di ' agire " a quello pi concreto di ' creare " ' produ rre ': cf. Acad., 7, 27: materi am quandam, ex qua omnia expres sa atque effecta sint; 7, 28: et illa
106 Termine
to, da un lato,
spesso usato
107 In Nat.

palior.

di uso improprio per elemenl um, ma tale uso forse dovua un desiderio di varia/io, dall'altro al fatto che element um
per indicare l'atomo epicureo.
e
dear., 3, 12, 29 analoghi di accipio sono conside rati tero

29: patCf. anche la neoformazione ciceroniana di Nat, dear., 3, 12,


natura.
bilis
108

158

C. MORESCHINI

effici quae appellant qualia, e quibus ... unum effectum esse


mundum; 11,39: nullo modo arbitrabatur quicquam effici posse ab ea quae expers esset corporis ... nec vero aut quod efficeret aliquid aut aliquod efficeretur posse esse non corpus; Fin.,
1, 6, 18 '09 Efficio stato particolarmente fertile di neoformazioni, anche se non tutte di pieno valore filosofico: efficientia
in Fat., 9, 19; Nat. deor., 2, 37, 95; efficienter (Fat., 15, 34);
effectrix (Div., 2,60, 124; Fin., 2, 17,55; 27, 87); effector (Div.,
2, 71, 147; Tusc., 1, 28, 70: il demiurgo); efficiens (Off., 3, 33,
116); effectus (Fin., 3, 9, 32).
Dio agisce sulla materia, per creare il mondo,. in quanto
&yc<&6, (Tim., 29 e): un termine di uso apparentemente cos
ovvio non reso con bonus da Cicerone, ma con probus (probitas) in Tim., 2, 6 e 3, 9. Questa traduzione , secondo me,
tra le pi difficili a comprendersi di quelle che Cicerone ha
compiuto: che cosa vedeva, l'Arpinate, in probus, quale accezione che non esistesse in bonus, per rendere l' &yc<&6, del
testo platonico? Il 8"IJfLtaupy6, del mondo (Tim., 28 a), il 1tOL1J-.~
di esso (Tim., 28 c) reso da Cicerone con grande variet di
termini 110, tipici delle sue capacit retoriche: fabricator e artifex in Tim., 2, 6 III, aedificator in Tim., 2, 7; in un altro
contesto (Nat. deor., 1, 8, 18) con opifex aedificatorque. L'idea,
a esempio della quale il demiurgo ha creato il mondo (1tc<pa8"yfJ-C< in Tim., 28 a) intesa da Cicerone con exemplar (Tim.,
2, 4, e 6; lO, 34) o exemplum (Tim., 4, 12). Nel Timeo, dun-

specl
nersi
stessI
tanto
rend,
cerar
era 1:
trer
leio.
form
se n(
cio"
di s[dirne
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dei 1
con)
che,
Tim.,

Cc

sia f
tre a
4, 13
quell

que, cio in un testo che consiste in una traduzione, Cicerone


conosce la interpretazione della idea-paradigma; altrove, comunque, la sua conoscenza della idea platonica pi articolata, sebbene egli ce la presenti secondo i canoni interpretativi che sono tipici della filosofia aristotelica e postaristotelica. In Top., 7, 30 Cicerone dichiara che altre persone usano
109 Nell'ambito della fisica del Timeo platonico Cicerone sembra essersi
trovato notevolmente in imbarazzo, probabilmente a causa dello stile oscuro e della difficolt della dottrina. Cos si pu notare che oa(oc resa una
volta con aeternitas (Tim., 3, 8), al fine di sottolineare la contrapposizione
del testo platonico (Tim., 29 c) tra oua(iX (eterna e immutabile) e y\lta~
(mutevole e peritura). Altre volte, invece (Tim., 7, 21 e 8, 22 = Tim., 35ab)
ouata. resa con materia, probabilmente in corrispondenza aUa interpretazic.
ne che della oa(a. platonica davano Antioco di Ascalona e l'et sua, una interpretazione, cio, di tipo stoico.
110 Cf. la medesima variet che si incontra in APUL., De Platone, 1, 4, 190 e
le nostre osservazioni in: Apuleio e il platonismo, Firenze 1978, 196.
III Cf. artificiosus = ,EX'W< in Nat. deor., 2, 22, 57-58; Div., 2, 11, 26.

som,"

2,62
perc,
dive!
mot
in N
ciem

esse
dam
eone
77: :
l

i
l

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

159

specie s il1 divisiol1e formae, mentr e egli prefer irebbe mantenersi fedele a forma in ogni caso. In ogni modo, Cicero ne
stesso dichia ra che con forma egli rende elSo<;, mentr e altrettanto esplici tamen te nell'Or ator (3, lO) egli sostien e che forma
rende 1Ma. Da queste afferm azioni potrem mo ricava re che Cicerone non disting ue tra dSo<; e 1So:: probab ilment e questa
era una caratte ristica di Antioc o di Ascalona, e che si riscontrer anche pi tardi, nel medio platon ismo latino, con Apuleio. Di conseg uenza, Cicero ne non ha motivo di disting uere
forma da species, che egli consid era equiva lenti nel significato,
,
se non in base a criteri linguis tici - gramm aticali , in quanto
cio (come egli spiega nel passo citato di Top., 7, 30), il plur.
di specie s non di uso comun e. Un esemp io tipico del procedimen to di Cicero ne dato da un passo di Acad., 9, 33, ove,
dopo che si era parlato delle formae di Platon e, lo scritto re
proseg ue: Aristo teles primu s species, q u a s p a u I o a n t e
... ;
d i x i, labefec tavit, quas mirific e Plato erat ample xatus
imipsas
imer
dicere
id
cos pure in Luco, 18, 58: ... 11011 vas
pressiol1es l1ihil il1teresse, sed il1ter s p e c i e s e t q u a s d a m f o r m a s e o rum; jnfine, accant o alle afferm azioni
dei Topica e dell'Orator, circa la corrisp onden za di elSo<; e tMo:
con forma, in Tusc., 1, 24, 58 e Acad., 8, 30 Cicero ne dichia ra
che egli intend e species come traduz ione latina di tSo: e in
Tim., 7, 22 traduc e elSo<; del testo platon ico con species.
Accan to a questo impieg o di tipo platon ico, sia specie s
sia fOl'lna posseg gono altre accezi oni filosofiche. Species, oltre al signifi cato, pi ovvio, di . aspett o' (cf. Tusc., 2, 22, 52;
e
4, 13, 30 e 14, 32; Off., 2, 9, 32 ecc.), in Luc., 17, 52 assum
in
quello di . immag ine' (at el1im, dum videl1tur, eadem est
soml1is species eorwn quae vigilal1tes videmu s; cf. anche Div.,
2, 62, 128): siccom e siamo nell'am bito della discus sione sulla
percez ione catalet tica, qui specie s non dovreb be essere molto
divers a da visum. Invece , in un contes to epicur eo, il medes imo termin e indica verisim ilment e gli <',S"'O:: cf. specie s divil1a
in Nat. deor., 1, 13, 34; 18, 46-47; 19, 49; 27, 75; 37, 105 (speciem dei percip i cogita tione, 11011 sel1su); 38, 107 (fac imagin es
esse quibus pulsen tur animi: specie s dumta xat obicitu r quaedam ... ); Div., 2, 67, 137 (specie s et imago). Qualco sa di pi
concre to e di pi generi co insiem e si legge in Nat. deor., 1, 27,
77: specie s istas homil1 um conlat as il1 deos, ave si parla del-

!I

160

C. MORESCHINI

l'immagine umana, che noi concepiamo nella nostra mente e


attribuiamo poi agli di.
Per quanto riguarda forma, naturalmente il termine assai spesso impiegato con accezioni non strettamente filosofiche: cos forma mundi in Tim., 6, 17; forma vitae beatae in
Tusc., 3, 17, 38; e ancora Tusc., l, 27, 67; Nat. deor., l, lO, 26
ecc. Insomma, il termine pi vicino al significato di creare', soprattutto nell'uso del verbo formare (Nat. deor., l, 39,
110: formare, figurare, colorare, animare ... ; Fin., 5, 21, 59: .
... corpus quidem hominis sic et genuit et fOrlnavit ... ecc.). Perfettamente analogo, in questo senso, informare (cf. Fin., 4,
16, 45; 5, 13, 36 ecc.). Un uso particolare sembra essere quello
di Nat. de or., 1, 8, 19, in cui si accenna alle quinque formae
del Timeo platonico (53 c-56 c): ex quibus reliqua formantur,
apte cadentes ad animum afficiendum pariendosque sensus:
sembra trattarsi delle forme geometriche della materia.
Un altro uso tutto particolare sembra essere quello di
Nat. deor., l, 38, 105: dopo avere parlato delle fantasie dell'animo umano, che immagina di vedere l'ippocentauro con un
procedimento non diverso da come gli epicurei credono di vedere la species dei, Cotta cos prosegue: omnem enim talem
conformationem animi ceteri philosophi motum inanem vocant ... Qui conformatio animi corrisponde pi o meno a quanto si legge in l, 27, 76 ( ... quod ita sit informatum ant i c i p a t um q u e mentibus nostris, ut homini cum de deo
cogitet, forma occurrat humana), ave informatum concorre
a definire, con anticipatum, la 7tpo1)o/"; epicurea.
Difficile a precisare anche il significato di fOrlna in Fin.,
4, 8, 19. Dopo aver sunteggiato brevemente la dottrina morale
platonica e peripatetica, Cicerone dice: habes, inquam, Cato,
formam eorum, de quibus loquor, philosophorum. Questo significato sembra essere di uso giuridico, affine a quello di
formula in Acad., 4, 17: sed utrique (Senocrate ed Aristotele),
Platonis ubertate completi, certam quandam disciplinae formulam composuerunt.
Per quel che riguarda qualitas, infine, motto- gi stato-detto dai critici: il termine pu essere considerato come una
delle pi illustri e famose traduzioni di Cicerone, grazie alla
sua diffusione anche fuori dell'ambito filosofico. Essa presentata in Acad., 6, 24, e in 7, 25 esplicitamente detto essere

l'equi'
siane.
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sua a:
1tot6TtJ

A
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TIJ ),

56: s
(= ti
il Rei
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2, 3:
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49. Il

FlLOSOFICO DI CICERONE
OSSERV,\ZlONI SUL LESSICO

161

il term ine ogg etto di disc usl'eq uiv alen te di 1'0'0~'l; in 7, 26


are a Cic ero ne pur sem pre un
sion e. In ogn i cas o, ess o app
te trop po sicu ro (for se, per la
term ine del qua le non si sen
rma che ess o trad uzi one di
sua astr atte zza ), per cui rico nfe
37, 94.
1'0.o~ in Nat. deor., 2,
ieg a anc he qua lia com e
s
Acc anto a qua lita Cic ero ne imp
= 1'0<ov), pro prie tas (= t8.0term ine tecn ico (cf. Acad., 7, 28
18,
ine par tico larm ent e feli ce (Luc.,
~), che un altr o term
um
pro prie tate s esse), pro pri
56: sing ula rum rer um sing ula s
a
. Mathem., 9, 410, com e oss erv
(= (8LOV in Sex t. Em p., Adv
ari
not
o
sign
ni
um in com mu
il Rei d a Luc., 11, 34: ... pro pri
non pot est) .
del dem iurg o pla ton ico ),
La atti vit cre atri ce di dio (o
lta med ian te il ' con for ma re'
che si oss erv ata sop ra, si svo
'sop ra si det to) sull 'exe mpl ar
la ma teri a (co nfo rma re, com e
trap pos izio ne ma teri a - ide a
del l'id ea. Cic ero ne ren de la con
e
&"') ed esse (= Iv",), ver sion
del Tim eo con gigni (= Y(YVE"e ovv ia per un lati no: Tim.,
nel com ple sso abb asta nza pre cisa
ullu m hah eat ort um con trap po2, 3: quo d sem per sit neq ue
m sit; opp ure , insi sten do sulsto a quo d gig nat ur nec um qua
stes sa, id quo d sem per unu m
l'et ern a ide ntit del l'id ea con se
a quo d gen era tum ort um que
ide m et sui sim ile con trap pos to
, anc he qui la var iati o: gigni
dic imu s (2, 6). Si cog lie, dun que
2,7 ) e orir i (cf. anc he 2,5 ) Ill.
alte rna con generari (cf. anc he
dem iurg o, un sim ula cru m
I! mo ndo , dun que , cre ato dal
e idee, del qua le il dem iurg o
(d)(o)'), Tim., 29 b) del mo ndo dell
io (Tim ., 2, 7 e 4, 12); per renstes so si serv ito com e ese mp
in Tim., 2, 4 se ser virs i di caeder e )(6"ILO Cic ero ne inc erto
e ope re filo sofi che la trad ulum o di mu ndu s, ma nel le altr
nte mu ndu s. Ess o per fett o
zion e dai test i gre ci nor ma lme
LO), sec ond o Pla ton e e gli
(ab solu tus in Tim., 4, 17 = ttE
., 3Db, cos com e ani mu s ass ai
Sto ici, ani ma ns (= ~ILo/uxoV Tim
bi (cf. Tim., 4, 12; Nat. deor.,
spe sso traduc~ o/UX~) p~r ent ram
volu bili s 113, com e ave va spie
l, lO, 23-24; 14, 36; 2, 12, 32);
., 29c; al., 3, 8 per rendere yvcm di Tim1, 23, 54),
IU Cf. id quo d ortu m est in Tim
c.,
(Tus
ra
natu
con
d resa, inve ce,
ne abba stan za
trove la ybJEcn di Phaedr.} 245
traduzione - una inter pret azio
pi una interpretazione che una
accettabile, com unq ue.
deor., 2, 19,
azio ne ciceroniana?) in Nat.
113 Da cui volu bilit as (neo form (Div., 2, 6, 15).
al fato
49. Il termine rifer ito anche

162

c. MORESCHINI

gato Platone quando aveva insegnato che il moto circolare


l'unico che si conviene alla sua perfezione (Nat. deor., 1, 8, 18).
Siffatto movimento detto anche replicatio (probabilmente neoformazione ciceroniana) in Nal. deor., 1, 13, 33, che cor-
~isponde alla &vd'~, di Arist., Metaph., 11, 8, 1074 a; razionale, perch nel mondo ha la sua sede una inte/ligwtia
(= ~vvouv Tim., 30 b) (Nat. deor., 2, 12, 32), definita anche come universae naturae animus atque mens (Nat. deor., 1, 15,
39), vale a dire, la razionalit diffusa nel mondo (eius animi
fusio universa, ibid.) 114. In tal modo, il mondo non stato'
creato casu (= tUXTI), come sostenevano gli epicurei (Nat.
deor., 2, 35, 88; 37, 94).
L'etere, il 7ttfL7tTOV <1WfL" di Aristotele, reso da Cicerone
con aether, traduzione oramai canonica da parecchio tempo
prima dell'Arpinate, diffusa gi da Ennio e da Lucrezio. La
novit di questa dottrina aristotelica, passata poi anche nello
stoicismo, per cui viene introdotto un elemento nuovo oltre
agli elementi empedoc1ei, che sono quelli attestati dalla esperienza sensibile, espressa da Cicerone con quinta q u a e d a m
n a t u r a (Fin., 4, S, 12; Tusc., 1, lO, 22; 17,41); ove natura
alquanto impreciso per indicare <1WfL", ma ha avuto successo
anche nella terminologia posteriore; anche quintum genus in
Tusc., 1, lO, 22. Tuttavia ,,!&1jp viene tradotto anche in base
alIa etimologia ("mc.> = ardeo) in ardor (Nat. deor., 1, 14,
37) o anche, per quell'esigenza di concretezza che si riscontra,
ad esempio, in espressioni come rerum natura per indicare il
semplice <p,),n, con caeli ardor (Nat. deor., 1, 13, 33) e con
mundi ardor (Nat. deor., 2,11,31; 12,37). Altri elementi della
cosmologia aristotelico-stoica sono abbastanza conosciuti e divennero di uso comune dopo Cicerone. Intendiamo le stellae
errantes (Div., 2, 7, 17; 42, 89; Tusc., l, 25, 62; S, 24, 69; Nat.
deor., 2, 20, 51; 34, 88) o stellae vagae (Nat. deor., l, 13, 34)
114 Basta una ,ricerca limitata al De natura deorum, ove si espone la doto
trina platonico-stoica del mondo animato e razionale, per cogliere la ricchezza della terminologia impiegata da Cicerone in corrispondenza al dogma stoi
co del mondo C<;iov sl~ux0'V O"ftXOV (cf. SVF, 2, 633 sg.). Il mondo, dunque,
dotato di mens atque animus O. 14, 37 e 15, 39), di mens divina (1, 13, 34-35;
2, 2, 4; S. 15 (mens gubernans); 6, 18), di mens et rafia (2, 14, 38; 21, 54; 45,
115); di rario O, 15, 39; 2, 6, 16; 13,34 ( absoluta ratio); ratio et consilium (2,
13, 36); sensus atque ratio (2, 11, 29-30); ratio nelle disposizioni del mondo (2,
38, 97); naturae ratio intelligentis (2, 47, 120); sensus et intelligentia (2, 15, 42);
mens et consilium divinum (2, 53, 132); mens et prudentia (2, 21, 54; 31, 79).

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54) o
Tusc.,

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OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

163

per indica rei pianet i; le stellae inerra ntes (Nat. deor., 2, 21,
54) o infixa. caelo. (Nat. deor., 1, 13, 34; certis infixa sedibu s
Tusc.,. 5,24, 69); per indica re le stelle fisse; le comete , definit e,
con tradui ione lettera le, cincinn atae (= l<0flij.,.<x,) in Nat. deor.,
2, 5, 14;, ir signife r orbis (Nat. deor., 2, 20, 53; Div., 2, 42, 89)
per lo zodiac o; la conver sio il movim ento di rotazio ne del
cielo (Tusc .,), 25, 62-63; 28, 68; Nat. deor., 2, 5, 15; 34, 88; 1,
9,.2l;.J ,eg.,_1 ,jlJ 2~);la humili tas l'esser e bassa sull'or izzont e
(detto di una stella in Div., 2, 43, 91). Delle stelle si sottoli nea l'aequ abilita s motus (Nat. deor., 2, 5, 15; 18, 48; 19, 49;
35, 90 ecc.; aequab ilitas isolata mente impieg ato anche per
indica re li'- manca nza di emotiv it dell'an imo in Tusc., 4, 13,
31; cf. anche 2,.27, 65). La "<X'yYEVEO"["', che ha luogo dopo la
ekpyro sis del mondo , second o gli Stoici, resa in modo assai
calzan te con renova tio mundi in Nat. deor., 2, 46, 118.
La 7tp6votrt. stoica resa norma lmente con provid entia: anche C.icerone, quindi , come gli Stoici e, pi in genera le, la filo
sofia greca, traspo ne sul piano filosofico un concet to di impiego comun e (su cui cf. ad esemp io De invent. , 2, 53, 160), sottopone ndo il termin e provid entia al medes imo sposta mento di
signifi cato che gli stoici avevan o dato a "p6vo,,,, (cf. Div., 1, 51,
117; il crudo grecism o pronoe a si incont ra in Nat. deor., 1, 8,
18 e 20e 9, 22). La equiva lenza sottoli neata da Cicero ne steso
so in Nat. deor., 1, 8, 18: Stoico rum pronoe an, quam Latine
licet Provid entiam dicere; 2, 22, 58: talis igitur mel1s mundi
cum sit ob eamgu e causam vel pruden tia vel provid entia ap'
pellari recte passit (Graece enim "p6vo,,,, dicitur ) ... Divina
provid entia espres sione comun e nel second o libro del De
natura deorum (un testo che godett e di larga diffusi one presso
gli scritto ri cristia ni)"(cf . 2, 34, 87; 38, 98 ecc., Tim., 3, lO); si
incont ra anche provid entia natura e (2, 56, 140). Esso parve
forse. a Cicero ne un termin e tecnico esclusi vo degli Stoici, s
che, fuori di J,lil contes to stoico, lo scritto re usa volent ieri
delle perifra si: .ad esemp io, vis, cum pruden tia et consili o scilicet, quae finxerit, vel ... quae fabricata sit homin em (Luc., 27,
87); divinu m consil ium per indica re la "p6vo,,,, si incont ra in
un contes to analog o (Luc., 40, 126). Torna ndo al passo di Nat.
deor., 2, 28, 58, si pu osserv are che Cicero ne consid era ugualmente valido in latino (e giustif icato, certo, dalla etimol ogia,
alla quale l'Arpin ate presta va sempr e attenz ione nella sua tra-

164

C. MORESCHINI

duzione dei termini tecnici greci) l'impiego di prudentia (invece di providentia) per 7tp6VOL<:<. Questo fatto confermato
anche da Nat. deor., 2,31,80 (omnia regi divina mente atque
prudentia) e da Acad., 7, 29 ( ... uim ... quasi prudentiam quandam, procurantem caelestia maxime, deinde in terris et quae
pertineant ad homines). Tuttavia, la traduzione di 7rp6VOL<:< con
prudentia non poteva avere molta fortuna, data la sua ambiguit (ch 'Pp6VYJ,n quasi costantemente tradotto con prudentia), e successivamente il linguaggio filosofico latino abbandoner completamente prudentia in favore di providentia.
Un altro termine caratterizzante della filosofia stoica la
"UfL7r"~et<:<, che si deve all'insegnamento di Posidonio, e che
Cicerone affronta nelle opere che contengono sicuramente dottrine posidoniane. La traduzione di "UfL7r"~et<:<, tuttavia, appare
tra le meno felici di Cicerone, perch lo scrittore non quasi
per niente riuscito a rendere il significato di 7r""'lELV, presente
nelle varie parti del tutto, ma ha quasi sempre insistito sulla
comunanza, sul legame che unisce le parti stesse e che fa riecheggiare il 7r""'lm dall'una all'altra. La traduzione pi calzante mi sembra essere quella di Div., 2, 14,33 e Fat., 2,5 (contagio naturae) o contagio rerum (Fat., 4, 7). Accanto a questa
se ne trovano altre, tutte ugualmente proposte: convenientia
naturae (Div., 2, 60, 124), coniunctio 11aturae (Div., 2, 14. 34;
58, 119; 60, 124; 69, 142), COl1sensus naturae (Div., 2, 14, 33;
Nat. deor., 3, 11, 28). Ancor pi generico naturae socielas
(Div., 2, 71, 147); n mancano le perifrasi, svolte con la usuale abbondanza di parole, quibus abundabat Cicerone, in Nal.
deor., 2, 7, 19 (
tanta rerum consentiens, conspirans, continuata cognatio ; continuatio naturae Div., 2, 69, 142).
Il logos, la forza divina, percorre (8d)xet) tutto l'universo,
secondo gli Stoici; questo processo reso da Cicerone con
permanare in L'le., 37, 119 un termine che esprime molto felicemente il processo di diffusione della forza divina nella materia (a tale termine purtroppo nuoce l'accostamento, dovuto
alle solite esigenze di reduplicazione retorica, di un secondo
termine, di significato analogo ma pi generico: transeat).
Purtroppo, questo termine poi abbandonato per uno pi impreciso in Div., 2, 15, 35 (vim quandam sentientem atque divinam, quae 1010 confusa mundo sit): confusa insiste pi sulla compenetrazione (quasi una xp"",) della forza divina che

sulla di
6yo )
15, 39.
sa e fc
del me'

et cont;
Pel
dello si
greca i
vari tn:
ne, serr

turarur
zione (
fLE6n,

939). A
Crisipp
vim co
dis hon
fL'l oli".
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P1J'tLX~\I

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plicito

quod a
fatum;
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126): ..
sini et
SVF,2

165

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

sulla diffusi one di essa nella materi a; cos pure animu s (qui ~
l,
6yo ) infus s fu Nat. deor., l, 11, 28; fusio in Nat. deor.,
precis,
spiritu
lo
che
15, 39. Siffatt a vis ... divina non altro
sa e fortun ata traduz ione (non necess ariame nte cicero niana)
del "veufL"" stoico (cf. Nat. deor., 2, 7, 19: ... nisi ea uno divino
et contin uato spiri/u contin erentu r).
Per termin are queste consid erazio ni sui termin i tecnici
dello stoieis mo; notiam o che Cicero ne ripren de dalla filosofia
greca il: termin e divina tio (fLO(VT'X~; gli stoici avevan o scritto
vari trattat i sulla mantic a), assegn andole anche una definizione, sempr e di origine stoica: praese nsio et scienti a rerum futuraru m (Div.,_ l, l, 1; cf. anche l, 3, 5; S, 9; 2, 7, 19); definizione che corrisp onde a una analog a stoica: ... fLlXvnx~v Ti},v
!.1oV' t'W\I

cXitetV"C'Cv

dVlXt

&e:WP"tl"t'LX~V

TE X:1X1 7tPOCXYOPEUTLX-fJ'I,/

(SVF, 2,

939). Accan to a questa , Cicero ne traduc e una definiz ione di


Crisip po (Div., 2, 63, 130); divina tionem definit his verbis :
vim cogno scente m et vident em el explic antem signa quae a
dis homin ibus porten dantur (SVF, 2, 1189) = !L"'vnx~ ... tmo"T~
81.8op.v(a)v
1..l1J OUGa. .&:Cilp"t)'t'LXl} XlXl E:1JY1J"nx~ "t'wv {m &ewv &v&p:>7tOI.<;
'lv &ewtmo"T~fL
<p1X0"\V
V
<rI)fLdwv '" (SVF, 2, 1018); '" ~v fLIXVT'X~
p"1)'t'LX~\I O"'tHJ.Etc.'l,/

"t'wv

&1t S-EC~V ~ 8cxt!.1ovwv 1tp &V&p6l7tLVOV ~tOV

cruV"t'Et-

della
V6VTWV (SVF, 3, 654). Incont riamo anche una definiz ione

scienz a che interp reta i sogni: esse vim cernen tem et explananlem quae a dis homin ibus signifi cantur in somni s (ibidem ).
Stretta mente connes so con il proble ma della divina zione
quello del fato.__
I vari termin i del determ inismo stoico sono resi da Cicerone con una serie di definizioni molto precise . Del fato data
una definiz ione in Div., 1, 55, 125: ... ordine m seriem que causarum , cum causae causa nexa rem ex se gignat. Ea est ex
amni aetern itate f1uens veritas sempit erna. Cicero ne riconn ette
dfLIXP~I:V'l ad dpofLl:V'l come in SVF, 2, 914, 917, 918, 920 ecc.,
e insiste sull'as petto dell" essere vero ab aelern o', che impliciio nel concet to di fato (cf. anche Nal. deor., 3, 6, 14:
quod autem sempe r ex amni aetern itate verum fuerit, id esse
fatum; l, 15,40; 20, 55; De fato passim : ex aetern itate verum ).Un'alt ra definiz ione data, sempr e nel De divina tione O, 55,
126): ... causa aetern a rerum cur et ea quae praete rierun t facta
sint et quae instan l, fiant et quae sequu nlur futura sinI. In
SVF, 2,913 (Stob., Ec/., 1, 79, 1 sg.) si parla di 6yo, non di


166
al'orto:: d(LapfJ.\I"t) a'dv

C. MORESCHINI

o 'TOO

x6afJ.ou 6yoc;. Tuttavia Stobeo cos

prosegue: 16yoc; XIX&' &v -rd: fL:v yeyovo-ret yYOVEV, -rd: 8: ytVOf.LEVO: ytve-rat, -rd: 3: yev"tJcr6j.LE:va. ye:v~cre:Tat. Di fronte a fatum si trova

sporadicamente impiegato anche fortuna (cf. Fat., 3, 6), ma


fuso limitato di quel termine dovuto probabilmente alla
sua genericit IIS.
Non diverso da quello di fatum , senza dubbio, il significato di vis fatalis in Fat., 3, 5. I derivati fatalis (Acad., 7, 29;
Div., 2, 9, 24; Fat., 13, 30) (un termine, questo, che ebbe un
buon successo nella terminologia successiva della lingua latina), fataliter (Div., 2,7, 19) e confatalis (Fat., 13, 30); queste
ultime due sembrano essere neoformazioni ciceroniane Il'. Su
confatalis dovremo tornare a parlare anche pi oltre Unfra 169).
Omnia fato (zeri un celebre dogma stoico (1tocv.,.", )("'~' dfl"'PfLv'lv ytvecrjt"'L: cf. SVF, 2, 939 ecc.), che Cicerone impiega pi volte (Div., 1, 56, 127; Fat., lO, 21; 11, 26; 14,31; 17,
39); esistono, infatti, immutabili, le causae rerum futurarum,
le c<1.,.1"" (cf. Div., 1, 56, 127; Fat., lO, 21); la concatenazione
delle cause (dp(1c; c&nwv) espressa con causarum series
(Fat., 9, 20), causa causam serens (Fat., 12, 27), conligatio
causarum (Div., 1, 56, 127), naturalis conligatio (Fat., 14,
31-32), continuatio causarum (Nat. deor., 1, 20, 55). Rientra
in questo contesto anche la terminologia della scuola megarese, al determinismo della quale si ribellava lo stesso Crisippo;
secondo quella scuola, il principio di non contraddizione, essendo valido in eterno, fissa delle cause che sono, anch'esse,
immutabiles ed aeternae (Fat., 12, 28 e 16, 38). Al.,.(", , logicamente, reso da Cicerone con causa (una di quelle traduzioni che si impongono da sole), ma di cause se ne danno numerose: la discussione pro e contro il determinismo aveva
condotto gli Stoici (in particolare Crisippo) a una sottile distinzione dei vari tipi di cause, che tenessero saldo il principio che tutto avviene per volere del fato, ma salvassero
1IS In Acad., 7, 29, una definizione analoga proposta con maggior gusto
stilistico, senza le caratteristiche della traduzione fedele: quam (vim) intero
dum eandem necessitatem ap'pellant.
116 Fatalis umbra et necessitas di Nat. deor., 1, 15, 39 abbastanza chiaro nel suo complesso, ma di incerto significato per quanto attiene ad umbra, termine considerato sospetto dagli editori. Esso difeso dal PEASE (ad l.),
che lo considera come una parodia dell'epicureo Velleio nei confronti della
dottrina di Crisippo, la cui necessitas considerata, appunto, da Velleio
niente pi che un'ombra, non qualcosa di sostanziale.

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

167

parimenti il principio del libero arbitrio: in questo atteggiamento . Crisippo. doveva opporsi sia al determinismo as
.soluto della scuola megarese sia alle insostenibili scappa
patoie escogitate da Epicuro. All'inizio della discussione con
. tenuta nel De fato'-incontriamo le' causae naturales et antece
d'entes (5.-9; d, 14, 32). Siffatto termine, che dovrebbe corri.'spondere, a .qualcosa come 'i'u(nx~ ext~["" non ha, ch'io sappia,
-corrispondentI nei testi greci: naturalis potrebbe essere una
esegesi dello scrittore latino, in quanto essa dovrebbe indicare l'incidenza del mondo fisico sull'agire umano (concepita
in termini di "Ul'-""&"') (S, 9), o, semplicemente come la causa
che prodotta dalla successione naturale dei fatti (14, 32),
Naturales, quindi, una reduplicazione di antecedentes:
d., infatti 14.; 31--32, ove, dopo aver parlato delle causae antecedentes, Cicerone conclude: multum enim differt utrum
causa naturalis ex aeternitate futura vera effieiat, an etiam
sine aeternitate naturali futura quae sint, ea vera esse possint
intellegi. Accanto ad antecedentes Cicerone impiega, per va
riatio, causae praepositae (14, 33), antepo5itae (18, 41-42),
antegressae (9, 19; lO, 21; 19, 45); externae (11, 23-25), cos
come i testi greci parlano di ",t~("" "PO)("'~"'~E~'l!-'<V"" (Alessandro di Afrodisia, de fato, 12, p, 180, 27 Bruns), di ",h,,,, "poyqov6~", (22;.p, 192-, 14 = SVF, 2, 945), di ",t~("" 1tpoU""PXou"""
(11, p., 178, 9) 117, E" sconcertante che proprio una discussione
cos tecnica come quella sul fato mostri questa insolita variet di termini latini e greci, parallelamente.
Nell'ambito pi generico delle causae antecedentes si distinguono le causae principales (5, 9: ut enim et ingeniosi et
tardi ita nascantur antecedentibus causis itemque valentes et
imbecilli, non sequitur tamen ut etiam sedere eos et ambulare el rem agere aliquam principalibus causis definitum et
constitulum sii). Esse si identificherebbero con le ",t~("" "P 0'lYO!-'EV"" secondo lo Yon "': sono quelle che si incontrano in
SVF, 2, 912 .. .La causa principale, dunque, sarebbe quella che
produce, effettivamente, un fatto: essa dovrebbe corrispondere alla causa effieiens (9, 19; lO, 20; 14, 33: erat hoc quidem
verum ex aeternitate (e quindi aveva una causa antecedente),
sed causas id efficientis non habebal; 15, 34: itaque non sic
117 Cf. A. YON, Cicron, Trait du Destin, Paris 1950, 32.
118 Cf. ibidem, XXIX.

I
il

'168

C. MORESCHINI

causa inte/legi debet ut quod cuique antecedat, id ei causa


sit, sed quod cuique efficienter '19 antecedat; cf. Top., 16, 6062) 120. La causa efficiente (un termine che incontr un buon
successo nella terminologia filosofica latina) ulteriormente
divisa dagli Stoici in quella sine quo effici aliquid non possft
e quella cum quo effici aliquid necesse sit (16, 36;. cf. Top., 15,
5859): si tratta dell' ",hl", "'-ro-r<~ e dell' ",hl"'7tpo""'-r"'p,,:t',,,~
'(Plutarco, de Stoico rep" 47, 1056 b = SVF, 2, 997) che co
stituisce la catena del destino 12l. Gli Accademici, invece, non
ammettevano che esse fossero delle cause vere e proprie e,
forzando la distinzione stoica in un senso che non era quello
di Crisippo m, giungevano a parlare di causae fortriitae (cf. 1'2',
28; 9, 19); cf. anche la critica di Carneade esposta in 14, 31:
si omnia antecedentibus causis fiunt, omnia naturali conligatione conserte contexteque fiunt (si osservi la ricchezza di ter
mini per indicare l' dpfL ",t-rIWV); quod si ita est,' omnia ne
cessitas efficit ... at si omnia fato fiunt, omnia causis antecedentibus fiunt; 17, 40: 'si omnia fato fiunt (come volevano gli
Stoici, compresdl Crisippo), omnia fiunt causa antecedente. La
distinzione crisippea delle cause chiaramente tracciata in 18,
41: causarum aliae sunt perfectae et principales (quelle secon
do cui si salva il libero arbitrio, perch l'azione dell'uomo ha
in se stessa la causa perfecta et principalis; causa perfeeta coro
risponde ad ",-ro-r<-Ij di Plutarco, de Stoico rep., 47 (SVF, 2,
997), aliae adiuvantes et proximae (cf. Top., 15, 59) (cio le
1tpOXaTapXTLXctt), come si visto or ora.
Come &v&,,,"1 e &V"'Y""'LO possono adattarsi ad un impie
go filosofico, cos anche in latino necessitas e necessarius han
no questo impiego pi specifico. La necessitas per eccelleriza ,
come noto, quella del fato 123, sia che si legga necessitas' fati
119
120

Efficienter neoformazione ciceroniana.


Cf. 9, 19: sed inlerest inter causas fortuito antegressas et inter cusas

cohibentis in se eflicientiam naturalem. Queste ultime cause sono definite, un


po' genericamente, anche come caLlsae fatales (ibidem). In De div., l, 55, 125 la
distinzione tra causa naturale e causa efficiente non osservata: nihil est
futurum CUiU5 non CaL/5aS id ipsum efficientes natura contineat.
121 Cf. YON, o. C., XXIII: si trattava di conciliare due fatti realmente evidenti: che il movimento volontario esiste e che non c' niente senza causa,
mostrando che il movimento volontario non significa movimento senza causa, ma che la causa di questo movimento , appunto, la nostra volont. _
122 Siffatta distinzione attribuita a Crisippo da Cicerone stesso in Fi:lt.,
9, 17 sg.
:
123 Altrove (Div., 2, 6, 17) si parla di una naturae necessitas: l'espressione
:dovrebbe richiamare la aU!J.1t'&.f}e~ct..

(iFat., 9, 2
pisem J
gFeco si ti
alla forza
ne, al IDa
tas natu
tipica di
tata, inv~

anche nei
i:l pFoblel
sita del J
e1!li era 11

lial tra fai


questa n<
36, 116 Q
eessitatef.

to persm
colarmen
6yo, ch
eilcuit
mento d.
niliil oml
so rise
(13, 30),
risponde:
sit di al
anch'essi
falso, ist
rientrare

trio dell'
Alla
t del si
preciso:
testas, p
arbitrio
124 Cf.
sitas 1, 20,
veritatel11.
U5 Cos
25, 69),

126

Ext

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

169

(Fat., 9, 20 sgg.; 14,31; 16,38; 17,39 ecc.) 114 sia che si trovi il
pi semplice necessitas, senza ulteriori determinazioni, come in
greco si trova<iv&Y"~: cf. Acad., 7, 29. Cos, necessarius riferito
alla forza del fato nell'opera omonima (passim) e, per estensione, al movimento degli atomi, che sarebbe dovuto a una gravitas naturalis ac necessaria (11, 23) 115 Tale concezione, che era
tipica di Democrito, del quale noto il determinismo, fu rifiutata, invece, da Epicuro. Il termine usato, analogamente,
anche nell'ambito della logica, ma in stretta connessione con
il problema del fato, perch i megarici sostenevano la necessit del fato in base al principio di non contraddizione, per
cui era necessarium che, di due eventualit, l'una fosse vera,
l'altra falsa (cf. Nat. deor., 1,25,70; Fat., 9, 19). Connessa con
questa necessit logica la necessitas di cui si parla in Luc.,
36, 116 (rationes ... quae ... Ilullam adhibent persuadendi necessitatem), cio la forza per cui un determinato ragionamento persuade. A questo ambito logico, su cui insistevano partIcolarmente i megarici, appartiene anche il cosiddetto <ipy
Myo , che reso letteralmente con ignava ratio in Fat., 12, 28,
e il cui titolo spiegato dal fatto che se seguiamo il ragionamento dei megarici, che ogni cosa predeterminata dal fato,
nihil omnino agamus in vita (cf. anche poco oltre, 13, 29). Esso risolto da Crisippo col ricorso al concetto di confatale
(13, 30), neoformazione ciceroniana di cui non chiaro il corrispondente greco; tale concetto di confatale implica la necessit di altri elementi, nella vita umana, che, per quanto voluti
anch'essi dal fato, non sono per impliciti nel dilemma verofalso, istituito dai megaresi, e pertanto ci che confatale pu
rientrare nella distinzione delle cause che salva il libero arbitrio dell'uomo.
Alla necessit del fato e delle cause si contrappone la libert del singolo, che in Cicerone non espressa da un termine
preciso: lo scrittore latino ricorre all'espressione nostra potestas, per cui in nostra potestate indica la libert del nostro
arbitrio (cf. Fin., 4,6,15; Tusc., 4,7,14; 31,65; Fat., passim) 116.
124 Cf. necessilas rerum futurarum in Nat. dear., l, 15,
sitas 1,20,55; ... fatalem necessilalem appel1ant sempilernam
veritatem (I, 15, 40; cf. anche l, 20, 55).
125 Cos, quod esset earwn mottlS cerltls et 11ecessaritls
25, 69).
126 Extra nostram poteslatem (Fin., 4, 14, 36), tuttavia,

39; fatalis neces


rerum futurarum

... (Nat. dear., 1,

indica }'impossi-

170

C. MORESCHINI

Pi brevemente si trova anche esse (o non esse) in nobis (cf.


Fat., 5, 9) e est (non est) sita in nobis (Fat., 17, 40). Sia l'una
sia l'altra espressione (pi tecnica la seconda) corrispondono
al greco T 'f"~fLLV, tecnico del linguaggio filosofico 127. Terminiamo osservando che il problema del fato indicato anche dal
termine tecnico 3UV"T6v (esso il titolo anche di un'opera di
Crisippo), e quaestio 1<Epl 3UVO<TOU traduce anche Cicerone stesso nell'esordio del suo De fato; nella epist. ad Fam., 9, 4, 1 si
incontra ancora "Ept SUV"TWV. In Fat., 9, 17 Cicerone tenta, invece, per desiderio di miglior stile, la perifrasi id quod fieri
possit.
5. Cicerone non impiega mai, nelle sue opere filosofiche, il
termine latinizzato logica: esso lasciato nella sua cruda forma greca in Fin.~ 1, 7, 22 e Fat., 1, 1 (oy",~), ave spiegata
come disserendi ratia o pars; OYLX& si incontra in Tusc., 4,
14, 33. Cicerone si serve, invece, soprattutto del termine e
del concetto di dialectica e dialectici (cf. Luc., passim; Acad.,
7, 25 e 8, 32; Fin., 3, 12,41; Nat. deor., 1, 25, 70 e 31, 89 ecc.),
tentando sporadicamente una traduzione diversa, che, con !'impiego di perifrasi, abbia un aspetto pi latino: disserendi rario
e genus quod ad disserendum valet in Fin., 4, 4, 8; cf. Acad., 8,
30. Di essa Cicerone presenta una definizione in Fin., 2, 6, 18,
definizione che mi sembra congiungere insieme pi definizioni
stoiche: dialectica ... quae una cantinet omnem et perspiciendi

quid in quaque re sit scientiam et iudicandi quale quidque sit


(cf. SVF, 2, 48: ... T~'I 3'''E''n''~v ("mcrT~fL1jv) &1j&W'I "'" <jJEu3wv
""l O3ETpOl'l; cf. 2, 122-123) et ratione ac via disputandi (cf.
SVF, 2, 48: (mcrT~fL1jv) TOU 6p&w 3'''YEcr&o<, "Ept TW'I v pOl
1'~crL

xclt &itOxptaE:l 6ywIJ j 3, 267).

La spiegazione di Fin., 3, 21, 72 mi sembra un ampliamento e una parafrasi di tipo esegetico della definizione suddetta,
mentre in Fin., 4, 4, 10 si illustra soprattutto il rapporto tra
dialettica e retorica, rapporto che mi sembra concepito secondo i termini delle scuole retoriche: cumque duae sint artes quibus perfecte rat~o et oratio compleatur, una i n v e -

niend
pica, 2,

sizione"
sizione,
mini tel
numero:
relativo
pubblicI
delle tD
no stud
, Eqt
l'ocU/n),
(..._ hae,
anco.ra l
disputai
riguard\
Fin., 3"
(cf. Luc
vehemel
111;_ Na
vale;ca! .
quelle
durre
volunt),
Cor
orrplinq

quod tl!
Esso eq
opportu
per sign
26, 83 (
128 Bis
oytxf, ne
distinti i
}29 SUI

cerone: d
130 Esi

i .sumend,
bilit di controllare un determinato fatto, non il determinismo, quale negazione dcI libero arbitrio.
127 Animi mottls voluntarius (Fat., 11, 23-24) pu essere ricollegabile al ca
rattere che posseggono le virt, di essere voltll1lariae (cf. supra 149).

131 Cf,

equivale 2
np6cr'yjnl
2,144 sg.,

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

171

nien di, altera disse rendi (=.S''''y,er,'t,,(); 118 cf. anche Topiea, 2, 6. A Cicerone, del resto, era ben nota la contra pposizione, di antica origine , tra dialett ica e retoric a, contra pposizione che enunci a brevem ente anche in Fin., 2, 6, 17. I termini tecnici relativ i alla dialett ica non sono partico larmen te
numer osi nelle opere filosofiche di Cicero ne, dato l'intere sse
relativ o che tale scienz a aveva per Cicero ne stesso e per il
pubbli co roman o, soprat tutto (ma si pu dire, in fondo, che,
delle tre parti della filosofia, la logica fu sempr e quella meno studia ta anche in ambie nte greco) .
Equiva le probab ilment e a ,'t'erL (come osserv a il Reid, ad
locum) , il termin e propo situm che si incont ra in Luc., 13, 42
(... haec duo propos ita non praete rvolan t ... ) e che si legge
Acade micoru m contra propo situm
ancora nel De fato (2, 4:
disput andi consue tudine m ) e in Topica, 21, 79. Per quanto
riguar da il ragion ament o, si incont ra sumer e (o adsum ere in
Fin., 3, 8, 29) nel signifi cato di . assum ere', . presup porre' 129
(cf. Luc., 14, 44: ... haec duo pro congru entibu s sumun t tam
vehem enter repugnantia; cf. ancora 16, 50; 21, 68; 30, 95; 34,
111; Nat. deor., 1, 31, 89; 35,98; Fin., 4, 18, 50 lJo. Esso equivale al greco "fL~(b",; un caso pi specifico, second o il Reid,
tra quello di Luc., 13, 41, ave si incont ra una perifra si per
durre '~fLfL"T" (quae autem sumun t ut conclu dant id quod
volunt ), reso poi con sumpt iones in Div., 2, 53, 108 Ili.
Ccrrel ativo di sumer e dare (cf. Luc., 21, 68: sin autem
omnin o nihil esse quod percip i possit a me sumps ero et,
quod tu mihi das, accepero ...; cf. anche 26, 83; Fin., 4, 18,49-50).
Esso equiva le a S,SOV"L, come osserv a il Reid, il quale indica
opport uname nte, come equiva lente di erun",?i;;v (ed analog o
per signifi cato) il termin e concedere, che impieg ato in Luc.,
26, 83 (horum quattu or capitu m secund um et tertium omnes
traduzione di
128 Bisogna osservare, tuttavia, che disseren di ratia la
tiene ben
non
dunque,
e,
Ciceron
L
l,
Fat.,
di
passo
citato
O'(~X~ nel gi
logica.
della
e
a
dialettic
della
campi
distinti i due
retorici dello stesso Ci129 Sumere di uso comune anche nei trattati
orator, 35, 122.
cerone: citiamo solo, a mo' di esempio , De ora t., 2, 39, 163;
i: cf. Acad., lO, 36-37, ave
BO Esistono , tuttavia, alcune accezion i different
,I
,';
l
;.,'
I
i sumend a sono i 7tP07}YfLM..
, che
sumplio
tra
e
distingu
e
Ciceron
ove
108,
53,
2,
Div.,
anche
131 Cf.
rende
o,
preverb
del
valore
sul
o
insistend
che,
tio,
adsLlmp
e
equivale a 1)flfllZ
SEXT. EMP., Pyrrh.,
7tp60"r;q,l, o eT~pov (8~u't~pov) ljfLlJ4. che si incontra in
2, 144 sg., come osserva il PEASE (ad I.).

'j

Il

,.

.,

'172

C. MDRESCHINI

c b n c e d u n t; . priinum Epicurus non d a t, vas... idcjuo,


que c O n c e d i t i s); 29, 94;.34, 111; 36, 116; Nate deor.,"l,
31, 89; Fin., 4, 18, 49-50; Div., 2, 50, 103-104; Tusc., 5, 7, 18
(pro concesso et probato) ecc. Altri termini tecnici-(ma di uso
-limitato in questa accezione) sono prius, che il Reid vorrebbe
ricondurre ab 7tP0'lyoUfL<vO byo (cf. Luc., 14, 44: at primum
sumpseras, tamquam interesset: ita p r i o r e p o s t e r i u s
.posteriore superius cOl1vincitur) e posterius ="T
~youfLOV /T .ijyov; primum/extremum in Off., 3, 6, 27; quo4
primum, quod sequi/ur in Top., 18, 71. In Luc., 30,96, invece,
si .incontra l'alternanza superius/inferius; in Fin.,. 4, 19, 55
l'alternanza consequentia/prima. Vi , quindi, un poco di oscillazione nell'impiego di .questa terminologia, sia pure nell'am.bito dello' stesso significato.
Ma la logica strettamente connessa, come si avuto occasione di vedere anche soltanto nel ristretto campo della ter.minologia, con la retorica. Alcuni termini tecnici sono, quindi,
in Cicerone, di provenienza retorica: con defini/io summi boni
(Luc., 43, 132; Off., 1, 2, 7; cf. anche Fin., 3, lO, 33) e 'con definire (Luc., 13, 40; Fin., 4, 4, 8; Tusc., 4, 7, 14 e 16 ecc.) si
incontra una applicazione alla filosofia del. termine retorico
6po. Essa precisata in Fin., 2, 2; 5 come patefactio ("""M7tT<LV? cf. Luc., 14, 44) quasi rerum opertarum, cum quid
quidque sit aperitur; Top., 2,.9: definitio ... quae quasi involutum evolvit id de qua quaeritur; cf. anche 5, 26.
Ancora, come termine tecnicO" delle partizioni del procedimento logico si incontra dividere (Luc., 13, 42; Fin., 4, 4, 8;
Tusc., 5, 13,40; Fin., 1,7,22) e divisio COff., 1,3,8 e lO; Luc., 31,
99; Fin., 5, 6, 16), con i suoi equivalenti partiri (Fin., 1, 7, 22;
4, 3, 5; Tuse., 4, 5, 9 e 11.) e partitio (Acad., 4, 18 e 6, 22;' Lue.,
'14, 43; Fin'., 3, 12, 40), che equivalgono a a,",pdv e a,"[p"n 131;
una variazione di puro carattere retorico concidere, con cui
si insiste sullo' spezzettamento' che un discorso subisce nelle
,~ue parti costitutive (Luc., 13, 42) 133. Connesso con pariiri
il termine pars, il cui uso di carattere assai generale, ma che
talvolta indica anche le parti in cui un argomento suddiviso:
in questo caso il termine si contrappone a genus (yvo), come
13~ ICt CAUSERET, o. c.,
133 Cf. CAUSERET, o. C.,

90

e 104.

148.

ip Fin., 2,
in gene
Tusc., 5, 2.

tioni adiur
ponun/ igi
mus, eorUl

sumptis al

bandas qu
liare, inve!
genus), ov
-La' p
(""Tl)y6p'l~

compgnal
un termin
getico: ... /
dam au

pellant.
Lo 'SVI
.se che SF
un sofism:
in Duc., II
'nire indic

Ntdeor..
Taltro, gn
indicato c
'un passo
'conseq
-termine t~
72', aveI di

la logica,
gi/. Tutta'
ri del SigI
134 In O{,
generi est, (
lata in Top.
135 Un p;
stimatio (=
dine: cio s-

nore o mag:
136 Diver
fusamente u


OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

:1'73

in.Fin., 2... 9, 26 (vitiosum est enim in d i v i d e n d o p ar t e m


i.n' gen;ere nU'merare)Ul; genera partesque in
Tusc., 5, 25; 71. Cf. ancora Fin., 4, 4, 8: ... quod ... est defini.
'"fioni adiimctum; ut res in partes dividatur; Luc., 13, 40: componunt igitur primum artem quandam de his quae visa dici.ms, eorumque et vim et genera definiunt ...; 30, 95: ... rebus
.smptis .'adiungam ex iis sequendas esse alias, alias improbandas qua"sint in' genere contrario. Un uso del tutto pecu.Liare,~invece; qello".di.Acad., 7, 26; Tusc., 1, 10,22 (quintum
.genus), ove, si indica la quinta natura aristotelica 135.
La ' predicazione '. mantenuta intatta nel termine greco
(x<X"t"1)y6p"lJI-'<X) in Tusc:; 4, 9, 21, sebbene tale termine sia ac.
compagnato, come fa spesso Cicerone allorquando presenta
un termine tecnico nuovo, da una. perifrasi di carattere esegetico: :.. libido sit earum rerum quae d i c uI. t u'r d e q u od a m a u t q u i bus d a m, quae x<x""IYOP~I-'<XT<X dialectici ap.
pellnt.
Lo svolgersi di un ragionamento, che parte dalle premes.
se' che sopra: si s"ono elencate, nell'ambito di un giudizio (o di
un sofisma,' come quello del sorite) indicato con procedere
in Luc., 16, 49; 'bn pmgredi in Luc., 9, 27, cos come perve.
nire indica' il pun-to finale del ragionamento (Luc., ibidem;
Nt. deor., -1, 32;-89). La consequenza di un ragionamento dall'altro, grazie al quale si arriva, appunto alla conclusione,
indicato con l'agg. consequens o sequens 136. Ci evidente da
un passo di Tusc., 5, 9, 24: itaque mihi piacere non solet
c o n 5 e q u e n t i a reprehender, cum p r i m a (anch'esso
termine tecnico, come si visto sopra) c o n c e s se r i s e 25,
72, ove, descrivendo i compiti della disserendi ratio, cio della logic, 'sr'sserva; appunto, che essa s e q u e n t i a adiungit; Tuttavia' gli stessi termini sono impiegati anche al di fuori del significato logico, per esprimere, cio, la semplice con134 In Ott., 1, 27, 96 si tr.ova l'agg. generale e si parla di quae pars subiecta
generi est, cio della contrapposizione' genere' -' parte " che meglio trattata in Top., 'S, 28; 7, 31.
135. Un passo di interpretazione difficile quello di Fin., 3, lO, 34: ea aestima'tio (= &:l;(ll, come si visto sopra, a p. 129) genere valet, non magniludine: --cio secondo la differenza di genus (su cui cf. Top., 18, 69) non di minore o maggiore grandezza.
136 Diversi sono ( concludendi modi (Luc., 3D, 96): di essi 'si occupa dii~u~amente un passo di Top., 12, 53 sg.

II
I


174

C. MORESCHINI "":""

"
fisico o su altro analog o di alcuni pnn'ClpI
za sul piano
seguen
..
.
uens
conseq
et
che SIano statI postI: poster um quoda m modo
detto di quanto si verific a nelle arti (il termin e, osserva Ci;
cerone st,esso in Fin., 3, 9, 32, equiv'ale a &7t~YEW1j~c~:rlx6v; per
quanto nguar da poster um con questa accezi"one, si incontra
anche il nesso poster ius ... superi us e prius in Fin., 3, 23, "~
Luc., 14" 44; cf. ancora consen tanea et. consequentia 1\. F.in.
3, 15, 48 (cf. 4, 17, 48) e consec utio in Fin., 2, 14,45 (che ce.
der il posto a conseq uentia ). Nel significato di '.conseguen
logica mente ' Cicero ne impieg a anche ~ congru ens (Luc., 14, ~),
ma anche questo termin e usato varie' volte (anzi, molto pi:
spesso che nell'al tra accezi one) nel render e il 'secon do na.tura' degli stoici (cf. Acad., 6, 23; Fin., 5, 23, 66 ecc.) (cf. su,
pra 127). Neofo rmazio ne cicero niana Ce non molto felice) per'
indica re il 7t"p.x3o~ov degli stoici l'agget tivo consectarius, che'
si legge in Fin., 3, 7, 26 e 4, 18, 48.
Di deriva zione retoric a sono anche; probab ilment e, i termini argum entum e conclusio. Il primo viene impiegato nel
l'ambi to di una dimos trazion e filosofica in Luc., 15,47; 22,71;
Acad., 8, 32; Nat. deor., 1, 23, 64; 31, 89 (argumenti senten,tiam conclusisti); Fin., 4, 4, 8-9; 5, 4, 9 (argumentatio); Tusc.,
3, 6, 13 (astrin gere argum enta); Fin., 4, 5, 13 (qua ex amni
copia plurim a. et certiss ima argum enta sumun tur ad cuiusque rei natura m explic andam ) ecc. 137. Come si vede da alcuni
di questi esemp i, argum entum natIIra lmente unito al tennl.,
ne conclu dere (e conclu sio (&7t63E,~,): cf. Luc., 8, 26; 9, 27;
10,30; 13,40-41; Div., 1,32,7 1 ecc.). Si posson o osserv are Lnessi subti/i ter conclu sum (Tmc., 1,23,5 5) O. conclu duntur contartius (Tusc., 3, 10,22) , per indica re le conclu sioni degli stoici e
il dispre giativo fallaces conclu siuncu lae(Lu c., 24, 75) per UJ>;
dicare i crocp(ertJ-Gt-ro:: la traduz ione ciceron iana non si consex:
vata neHa lingua latina, mentr e vi penetr ata la pura e semplice transli tterazi one. Altre caratte risti6h e dei sofismi sono
quelle di essere inexpli cabi/es (Luc., 29.- 95 e 30, 97), che, se
condo il Reid, corrisp ondere bbe a &7tOp"; di essere captiosa;_
(cf. Luc., 15, 46; 16, 49; Fat., 13, 30; Fin., 1, 7, 22; 3, 21,72;
ntr
a tale termin e corrisp onde il sostan tivo captio, che si incones;
,
in Luc., 14, 45; 15, 46; Fin., 2, 6, 17 (dialecticae captlO
'.
Fat., 13, 30, e che significa, parime nti, sofisma
di uso retorico:
lJ7 Anche il tennine argume ntum senza dubbi~
citare le attestaz ioni di De orat., 2, 19, 80; 76, 307; 81, 332 ecC.

OSSERVAZIONI SUL LESSICO FILOSOFICO DI CICERONE

175

I famos i sofism i del sorite e dello pseudo meno, essend o


impieg ati in un ambito specifi camen te tecnico , sono norma lmente transli tterati dalla forma greca e non tradot ti, o perch
Cicero ne trovav a troppo difficile una traduz ione precisa , o perch pensav a che il compe tente si sarebb e trovato , forse, pi
a suo agio con il termin e tecnico greco. Incont riamo, cos,
sorites (= O"CilplTl)) in Luc., 16, 49; 28, 92; 29, 94 ecc.; Fin., 4,
18, 50. Una sola volta, accant o al crudo grecism o Cicero ne
azzard a anche una esegesi: ... soritas hoc vocant, qui acervum efficiu nt uno addito grano (Luc., 16, 49) (un'ese gesi che
rivolta , eviden temen te, a un pubbli co non specia lizzato ); addirittu ra una traduz ione in Luc., 29, 92: nec hoc in acervo tritiei solum , ave il lettore deve intend ere il sofism a del sorite.
Pi lettera le la traduz ione acervalis (Div., 2, 4, Il), che per subito abban donata in favore del pi comun e sorites (ibidem). Lo stesso proced imento si incont ra per il sofism a del
2, 4,
y,eu86fLEVO, che Cicero ne traduc e con mentie ntem in Div.,
semli, mentr e poco tempo prima (Luc., 48, 147) aveva usato
plicem ente la forma transli tterata pseudo menon . Lo spezza re
la catena dei sofism i indica to con il verbo dissolv ere in Luc.,
15, 46: ... fallacibus et captio sis interro gation ibus circum scripti atque decept i quidam , cum eas di s s o l v e r e (equiv arrebbe a 8tlX6.tv second o il Reid, ad locum ) non possun t, deSeiSCUl1t a veritate; cf. anche 24, 75; Div., 2, 4, 11; Fin., 1,7,22
(solvere). Sporad icame nte si incont ra anche frangere (Luc., 29,
93), che altrov e usato, invece, per indica re una divisio ne difettosa di un argom ento nelle sue parti (Fin., 2, 9, 26).
Il tipo di giudiz io che Cicero ne conosc e quello stoico,
espost o nella sua forma pi schem atica in Fin., 4, 19, 55: si
illud, hoc; non autem hoc; igitur ne illud quidem . Ma gi nel
Lucull us Cicero ne si era occupa to del proble ma. In 29, 95 si
legge nempe fundam entum dialecticae est, quidqu id enunti etur - id autem appell ant &#CilfLlX, quod est quasi effatum aut verum esse aut falsum. Innanz itutto da notare il duplic e
tentati vo di render e &~(Cilf1-lX prima con quicqu id enunti etur,
poi con effatum , cio ricond ucendo il termin e greco al significato di giudiz io espres so', con partico lare insiste nza sulla
espres sione, sulla manife stazion e di siffatto giudizi o. Tuttavia Cicero ne tenter poco dopo (Tusc., 1, 7, 14) un'altr a traduzion e di &~lCilfLlX media nte prontl ntiatum , riserva ndosi di
tentar ne un'altr a qualor a gliene riuscis se una miglio re. Tale

176.

C. MORESCHINI

termine sar enuntiatum (o enuntiatio), che tipico del De


fato (cf. 9, 19; 12, 27-28; lO, 20-21 ecc.), accanto a pronuntiatio
di 11, 26; si osservi anche fatum est con sfumatura logica in
FaI., 13, 30 1l8.
Una caratteristica del giudizio stoico dunque, quella di
essere aut verum aut falsum (cf. SVF, 2, 217: ;j~OL y' ~J1.tpoc /;O''t't'J ~ \lU~ ~C1'Tt). Cos si esprime Cicerone in' Luc.,
30, 97:
... eum dialeetiei sie statuant, omne quod ita disiunetum sit
quasi . a li t e t i a m' a li t n o TI' non modo verum esse,
sed etiam neeessarium ...; Nat. deor., 1,25, 70: eum traditium sit in omnibus diiunetionibus, in quibus 'aut etiam,
aut non' poneretur, alterum utrum esse verum (&vocy"oc,ov
con significato logico, come frequente in tutto il De fato
e come si legge in SVF, 2, 960 sgg.: il problema se dlla
necessit logica, eternamente vera, debba discendere anche
la necessit di fatto, come volevano i megarici e come negava Crisippo), pertimuit ne, si eoneessum esset huius mod(
aliquid' aut vivet eras aut non vivet Epieurus', alterutrum
fieret neeessarium: totum hoc 'aut etiam aut non' negavit
esse neeessarium ...; cf. anche De fato, 9, 18-19. Orbene, questo giudizio del tipo aut - aut (aut etiam aut non) , secondo
Cicerone, una disiunetio (o e eontmriis disiunetio in Lue.,. 30,
97; Fat., 16, 37) un modo estremamente preciso' di rendete
8t&~EUl:;t (&l:;t",J1.oc 8tE~EUnivov = SVF, 2, 207; 217-220): cf. an'
che tutto il passo di Lue., 30, 97: etenim eum ab Epicuro ...
non impetrent ut verum esse eoneedat. quod ita effabimur
aut vivet cras Hermachus aut non vive! " cum dialectici sic'
statuant,omne quod ita diiunetum sit, quasi 'aut etiam aut
n"on ' non modo verum esse, sed etiam necessarium .. nam si
e contrariis disiunctio (contrari.a autem ea
d i c o, cu m a l t e rum a i a t 139 a l t e rum n e g e t), si
talis disiunetio falsa potest esse, nulla vera est; Top., 14, 56.
Cicerone conosce anche il secondo tipo dei giudizi stoici, quello definito cruv'l)J1.J1.tvov (cf. SVF, 2, 207 sg.), e che egli traduce

con COri
conexU1
tement(
il verbe
niunctic
tem nu
Et ~J1.p'
2,:215-2

133 Cf. SEN., Epist., 117, 13: non corpus est, quod nune loquor, sed enun.
tialivum quiddam (= ::<a:T'J)y6Pl'JIUl?) de corpore, quod alii effa/um vocant, alii_
enuntiatum, alii die/um; PSEUD. APUL., De interpr., 1: ... set1tentiarn .. quam
vocat Sergitls effattlm, Varro proloquiwn, Cicero enuntiatum, Graeci rrp6't'Clow
tum &#OOIlCt:, ego verbum e verbo tum protensionem tum rogamentum; fami,.
.
."
liarius tamen dicetur propositi.
139 Aio in' senso logico (' affetrrio ') si incontra anche in Top., lI, 49.

IJDi
e4.7,18
141 In
luzioni d
coniuncti
tUm p
igitur ilb

Po,
ni: 'un::
srco file
rito ,da:
re, emt
vette ri
sa. dell,
te 'fecn:
in 1atin
oppure
stenti l
ecc. In
in part
Lucrezi
Qu.

tasi nel
lo hanr
tina, e (
me con
della fl
che im
lit no:
in prirn
nucleo
produn
o dei t(

FILOSOFICO DI CICERONE
OSSERVAZIONI SUL LESSICO

177

., 6, 12; 8, 15-16; Top., 14, 57) o


con con iun ctio (Luc., 28, 91;Fat
., 6, 12; 7, 14 ecc.) indifferencon exu m (Luc., 30, 96 e 98; Fat
ram bi i term ini in Fat., 8, 15);
tem ent e (si oss erv i l'us o di ent
7, 14) 140 La for ma del la coil ver bo con ecti tur (Fat., 6, 12;
et ver um dicis. luce t; dici s auniu nct io : si dicis nunc lucere
luc et igit ur (Luc., 30, 96) =
tem mm c lucere et ver um dic is:
la for ma esse nzia le) in SVF,
El -I]!J.tp" la,,[, 'l'w la", (cio nel
141
2, 215-216
ste lun ghe con side razi oPoc he par ole per con clu der e que
per ch il pro ble ma del lesni: una con clu sion e pro vvi sor ia,
'alt ro che ade gua tam ent e chiasico filosofico di Cic ero ne tutt
end osi all' imp resa di divulgarito dal le nos tre pag ine. Acc ing
che dei Greci, lo scr itto re dore, emu lan dol e, le ope re filosofi
del la neo form azio ne, a- cau '
vet te rivo lger si a due vie: que lla
per que i term ini squ isit ame nsa del la inopia del la sua ling ua,
re un dire tto cor risp ond ent e
te -tecnici che non pot eva no ave
com pre hen dib ile, effa tum ecc.),
in lati no (ad ese mp io qualitas,
ne filosofica term ini gi esiopp ure rive sten do di un'a cce zio
visu m, app etit us, pro vid ent ia
sten ti nel la sua ling ua, com e
Cic ero ne si mo sse seg uen do
ecc. In que sta sec ond a direz;ione
poc hi ann i prim a di lui da
in par te la stra da gi trac cia ta
Lucrezio.
atti vit filosofica, svolQua li i risu ltat i di que sta inte nsa
Le et suc ces sive a Cic ero ne
tasi nel l'ar co di circ a due ann i)
ato re del la ling ua filosofica lalo han no cele bra to com e il cre
esse rgli con ferm ata da un esatina , e que sta lod e non pu che
svo lto. La trad uzi one , a cau sa
me com e que llo che abb iam o
lav or , mo stra qua e l qua ldel la fret ta con cui lo scr itto re
e anc he a cau sa del la men tache inn ega bile ines atte zza ; fors
ca di Cic ero ne, il qua le mir
lit non rigo ros ame nte filosofi
no il con cett o filosofico nel suo
in prim o luo go a ren der e in lati
e par tico lare atte nzi one a rinuc leo esse nzia le, sen za ded icar
i gli asp etti del le definizioni
pro dur re, a mo ' di foto gra fia, tutt
que sto mo tivo avv enu to che,
o dei termini tecnici greci: per

lO, 33
ificato di coni unel io in Fin., 3,
Diverso , naturalmente, il sign
e 4, 7, 18 (' societ umana 'l.
odab iles sono le soaltri termini significativi: inen , fr. 75 RrnnEcK); la
141 Indichiamo alcuni
Ace.
18;
9,
Fat.,
(cf.
fato
del
lema
izio coni tmcluzioni di Epicuro al prob
14, 57) si presenta quando il giud autem,' non
Coniunctionum nega ntia (Top .,
hoc
;
illud
et
hoc
et
non
a negativa:
~I~~ pres enta to in form
m hoc; illud igitu r.
Igtlur illud, e vjceversa: non aute
140

178

C. MORESCHINI

talvolta, la scelta del termine stata felice, ma l'impiego di


esso non sia stato regolare e costante. Certo, ora noi vorremo
mo che a una Fachsprache (quale dovette essere quella dei fio
losofi ellenistici) corrispondesse un'altra Fachsprache, quella
dello scrittore latino. L'appunto che si pu muovere a Cice
rone , forse, questo, di non aver tradotto dal greco come
forse tradurremmo noi gli stessi testi. Ma, come noto, i la
tini non ebbero mai questi criteri, e anche la traduzione delle
opere filosofiche di Cicerone una 'traduzione artistica'; lo
scrittore non volle offrire, in questo campo della filosofia,
un'immagine della sua attivit letteraria che stridesse con
quella che gi aveva propugnato nei trattati di retorica e ave
va applicato nelle pubbliche dimostrazioni della sua eloquen
za. Da siffatta esigenza artistica (che fa delle Tusculanae o
del De Officiis delle opere di prim'ordine) deriva quell'aspetto
retorico, cos spesso biasimato, delle sue opere filosofiche. Ma
l'ornate dice re, questo va sottolineato, non quasi mai stato
causa di una traduzione imprecisa, errata, trascurata.
CLAUDIO MORESCHINI

Vi
mio av
tori e f
il feste
politan
pidum
poma,
dinia t,
cui si
dinia e
Aldina
1595: f
per nOI
ladio. ]
Agrario
correzi<
una int
Ringr

ca e mol
l

Per

dalla Sua
Paris 1971
di, cui d:
2

Var

per com]
paleseme:

zione teu
3 Ser
4 Seri
5 StOl

l'intenpre
non appe

giunta- di
aVesse p<

non signi
za di POl
di propri

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