A chiusura del motivo viene formulato il seguente "quesito di diritto": dica la Suprema Corte se: "ai fini dell'esclusione della responsabilit ex art. 2051 cod. civ., per gli Enti Pubblici
sia necessario che la motivazione dimostri il concreto ed oggettivo accertamento di circostanze incompatibili, per estensione, ubicazione e collocazione del bene demaniale, con un
potere di vigilanza dell'Ente e pertanto che la motivazione riferisca anche delle caratteristiche del bene demaniale incompatibili con il suddetto potere di vigilanza; se sia da ritenersi
per relationem la motivazione della sentenza pronunciata in sede di gravame ove il giudice di appello, facendo proprie le argomentazioni del primo Giudice, non abbia espresso le
proprie ragioni della conferma della pronunzia in relazione ai motivi di impugnazione proposti; se sia apparente la motivazione della sentenza con cui il giudice abbia respinto la
domanda omettendo di considerare circostanze e risultanze anche probatorie determinanti ai fini della decisione".
La ricorrente chiede, infine, la rimessione della causa alle Sezioni Unite in ragione dei diversi orientamenti emersi nella giurisprudenza di questa Corte sull'applicabilit dell'art. 2051
cod. civ., alla P.A. siccome custode di beni demaniali.
2. - Il motivo, nel suo complesso, non pu trovare accoglimento.
2.1. - E' innanzitutto inammissibile la censura con la quale si aggredisce il vizio di motivazione della sentenza impugnata in ordine alla valutazione delle risultanze probatorie circa la
dinamica del sinistro, giacch la doglianza non assistita dal ed. "quesito di fatto", ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc. civ..
Nel caso all'esame la sentenza impugnata stata pubblicata l'8 maggio 2006 e, quindi, nella vigenza della disciplina dettata dal citato art. 366-bis cod. proc. civ., che nella fattispecie
pienamente operante ratione temporis. Infatti, detta disposizione processuale ha iniziato ad esplicare i propri effetti in relazione alle sentenze pubblicate a decorrere dal 2 marzo
2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, che l'ha introdotta, e ha cessato di essere applicabile a decorrere dal 4 luglio 2009 e cio dalla sua abrogazione ad
opera della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47.
Ci precisato, occorre rammentare - sulla scorta dell'ormai consolidato orientamento di questa Corte (tra le altre, Cass., 16 luglio 2007, n. 16002; Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n.
20603;
Cass., 30 dicembre 2009, n. 27680; Cass., 18 novembre 2011, n. 24255) - che, in base al capoverso dell'art. 366 bis cod. proc. civ., il ricorrente che denunci un vizio di motivazione
della sentenza impugnata tenuto, nel confezionamento del relativo motivo, a formulare in riferimento alle anzidette censure un ed. "quesito di fatto" e cio ad indicare chiaramente,
in modo sintetico, evidente ed autonomo, il fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, cos come le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, a tal fine necessitando, segnatamente, la enucleazione conclusiva e riassuntiva di uno specifico
passaggio espositivo del ricorso nel quale tutto ci risalti in modo in equivoco. Con l'ulteriore precisazione che tale requisito non pu dirsi rispettato allorquando solo la completa
lettura dell'illustrazione del motivo - all'esito di un'interpretazione svolta dal lettore, anzich su indicazione della parte ricorrente - consenta di comprendere il contenuto ed il
significato delle censure, posto che la ratio che sottende la disposizione di cui al citato art. 366 bis, associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla Suprema Corte, la
quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito di fatto, quale sia l'errore commesso dal giudice di merito.
Nulla di tutto ci , all'evidenza (e, a tal fine, gi solo sufficiente rilevare l'assenza di indicazione fatto controverso), ravvisabile nel quesito posto dalla ricorrente.
Del resto, l'inammissibilit della denuncia in esame persisterebbe anche ove si reputasse che la G. abbia inteso veicolarla tramite le doglianze sulla motivazione per relationem o
apparente (sebbene queste appaiano indirizzate, piuttosto, a quella parte della motivazione che attiene soltanto alla affermata insussistenza dell'insidia), giacch il quesito all'uopo
formulato si presenta palesemente inidoneo (gi solo, anche in questo caso, per la totale omissione del fatto controverso) a rispettare la prescrizione di cui all'art. 366 bis cod. proc.
civ..
Ci, peraltro, a prescindere dal fatto che l dove la motivazione della sentenza di appello ha aderito a quella fornita dal giudice di primo grado (negando la stessa ravvisabilit nel
caso di specie di una insidia) non pu neppure reputarsi in violazione dell'art. 111 Cost., art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e art. 132 cod. proc. civ., posto che il convincimento del
giudice d'appello esplicita compiutamente le ragioni per cui esso ha ritenuto esatta la valutazione del primo giudice, assumendo che la "inesistenza di una insidia" era il frutto "delle
dimensioni della buca che la rendevano visibile pur in presenza di fogliame e della presenza di illuminazione artificiale", e che era "incontroverso che la via ove avvenuto l'incidente
sia illuminata artificialmente e nessun teste ha riferito che l'illuminazione non fosse in funzione".
2.2. - L'inammissibilit della censura esaminata comporta la definitivit della ratio deciderteli che attiene all'insussistenza (per difetto di prova) del nesso causale tra la buca presente
sul manto stradale e la caduta della G., la quale, come tale, idonea da sola a sorreggere la decisione impugnata, con la conseguenza della inammissibilit delle doglianze relative
alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di denuncia.
Ci in quanto, sebbene la questione dell'applicabilit dell'art. 2051 cod. civ., alla P.A. custode dei beni demaniali (quali, per l'appunto, le strade aperte al pubblico transito) sia
indirizzata, secondo il pi recente e consistente orientamento di questa Corte (tra le altre: Cass., 3 aprile 2009, n. 8157; Cass., 20 novembre 2009, n. 24529; Cass., 18 luglio 2011, n.
15720; Cass., 18 ottobre 2011, n. 21508; in senso contrario: Cass., 22 aprile 2010, n. 9546), a risolversi nel senso della irrilevanza dell'estensione del bene oggetto di controllo e
vigilanza, nondimeno si affermato che la disciplina di cui al citato art. 2051, applicabile agli enti pubblici proprietari o manutentori di strade aperte al pubblico transito in riferimento a
situazioni di pericolo derivanti da una non prevedibile alterazione dello stato della cosa, "non dispensa il danneggiato dall'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e
danno, ossia di dimostrare che l'evento si prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del
custode, offrire la prova contraria alla presunzione iuris tantum della sua responsabilit, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cio del fatto estraneo alla sua sfera di
custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilit e di assoluta eccezionaiit" (tra le altre, Cass., 13 luglio 2011, n. 15389).
Sicch, una volta che la Corte territoriale ha escluso la sussistenza del nesso eziologico tra cosa in custodia ed evento dannoso - e cio ha escluso che l'evento sia stato determinato
dalla presenza della buca sul manto stradale, quale condizione potenzialmente lesiva posseduta dalla strada in custodia del Comune convenuto in giudizio - e che tale accertamento
divenuto definitivo per inammissibilit della censura che lo ha posto in discussione, rimangono prive di interesse le ulteriori doglianze, giacch anche un loro eventuale
accoglimento non potrebbe comportare la cassazione della sentenza impugnata (tra le tante, Cass., 14 febbraio 2012, n. 2108).
Invero, va altres evidenziato che l'accertamento sull'insussistenza dell'anzidetto nesso causale elide, in radice, l'interesse all'impugnazione anche sotto il profilo della configurabilit
di una responsabilit in capo alla P.A. per insidia o trabocchetto e ci sia che l'illecito lo si consideri nell'alveo dello stesso art. 2051 cod. civ. (come ritenuto configurabile da Cass. 13
maggio 2010, n. 11592 e da Cass., 19 novembre 2009, n. 24428), sia sotto quello dell'art. 2043 cod. civ..
3. - All'inammissibilit del ricorso segue la condanna della ricorrente, in quanto soccombente, al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente giudizio di
legittimit, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimit, che liquida in complessivi Euro 2.500,00, di cui
Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge, in favore di Roma Capitale e in complessivi Euro 1.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge, in
favore della X. Costruzioni S.r.l. in liquidazione.
Cos deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 febbraio 2013.