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Lo Sguardo - rivista di filosofia

N. 20, 2016 (I) - Hermneutique et interculturalit

Articoli/1

Lo straniero come paradosso


ermeneutico
Claudio Ciancio

Articolo sottoposto a peer-review. Ricevuto il 01/04/2014. Accettato il 26/02/2015.

The experience of meeting the stranger highlights how every human relationship consists of a
dialectics of identity and otherness. Reducing one to the other means making the relationship
among men impossible. The only viable way is a hermeneutical way different from Gadamers
one. That way recognizes the principle of transcendence as the principle that at the same time
testifies the irreducible otherness of every person and his possible communion with other
persons.

***

1. Lermeneutica e lesperienza dellincontro con lo straniero


Nellattuale contesto di confronto e anche di scontro fra le culture
lermeneutica messa alla prova e da questa prova mi sembra che provenga
una conferma ma anche listanza di un approfondimento e persino di una
parziale correzione. La superiorit dellapproccio ermeneutico al problema
dellinterculturalit risulta evidente dal confronto con le altre posizioni
prevalenti. La prima di queste posizioni quella che afferma, almeno per
alcuni universi culturali, lincompatibilit reciproca, incompatibilit che rende
inevitabile lo scontro di civilt o pu evitarlo solo con politiche isolazioniste,
che per nellattuale contesto di globalizzazione non sembrano praticabili. Le
alternative pi plausibili a questa posizione estrema sembrano essere quella
dellassimilazione, che per una variante meno violenta di quella dello scontro,
o quella che possiamo chiamare modello dicotomico, che distingue e separa
ci che accomuna e ci che resta irriducibilmente diverso. Vi sarebbero cio
aspetti universali, su cui si potrebbe fondare laccordo e la convivenza, e aspetti
legati invece alla specificit delle tradizioni culturali che andrebbero lasciati
sopravvivere nel loro aspetto esteriore e folclorico, ma sterilizzati ed emarginati
nei loro aspetti profondi e potenzialmente conflittuali. Ora, se pur vero che
la convivenza richiede la pattuizione e losservanza di regole comuni, tuttavia la
sterilizzazione degli aspetti specifici dei patrimoni culturali una negazione del
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loro valore e dellimportanza del loro apporto e si configura di fatto anchessa


come una riproposizione del modello dellincompatibilit.
Rispetto a questi modelli la superiorit di quello ermeneutico sta nella
sua capacit di utilizzare le disposizioni specifiche di una cultura come possibili
vie di accesso alla comprensione di altre culture senza una preventiva opera di
riduzione e presupponendo, sia pure al limite, ununiversale comunicabilit. Il
vantaggio di questo modello sarebbe la possibilit del riconoscimento reciproco
delle culture nella loro irriducibilit ma non incompatibilit, e una reciproca
fecondazione che consente di far emergere in ogni cultura possibilit inedite,
che, senza il confronto con altre culture, non si sarebbero configurate. Certo
questo modello sembra peccare di un eccesso di ottimismo, come se non facesse i
conti con linsuperabile tendenza conflittuale che lalterit come estraneit porta
con s. E in effetti credo che lesperienza dellincontro con lo straniero metta, se
non in crisi, almeno in difficolt il modello ermeneutico e specialmente quello
gadameriano. Come ci pu infatti essere quella fusione degli orizzonti, che
il presupposto della comprensione, quando manca qualsiasi continuit della
tradizione?
La relazione con lo straniero, con la persona di lingua, costume, cultura
e religione diversi e lontani dai nostri, sembra avere una sua specificit, che
non consiste semplicemente nel manifestare una pi accentuata differenza.
Diversamente dalle relazioni con la famiglia o con la propria cerchia sociale o
con coloro che appartengono alla propria tradizione culturale, la relazione con lo
straniero prende le mosse dallestraneit, non cio esperienza di una familiarit
talvolta interrotta o difficile, ma anzitutto esperienza di estraneit. Di fronte
allo straniero siamo immediatamente a disagio, angosciati dallimprevedibile o
almeno diffidenti. Questa reazione non va trascurata o banalizzata, non pu
essere attribuita moralisticamente a un deficit etico o illuministicamente a un
deficit culturale. una reazione che rivela qualcosa di importante, e cio che
lalterit dellaltro irriducibile e assolutamente indisponibile, portatrice di un
modello culturale che ci disorienta e che mette in discussione il nostro.
Quando si considerano poco rilevanti le differenze, allora ci che costituisce
lo specifico dellaltro, la sua cultura, la sua religione, finisce per essere svilito
proprio da questa apparente apertura a lui. Occorre invece riconoscere che
lincontro difficile e lo precisamente perch le differenze sono importanti. In
un certo senso si deve dire che meglio ingigantirle piuttosto che assottigliarle.
Per passare dallo scontro a una forma di incontro non banale e superficiale,
occorre che la relazione con laltro allo stesso tempo non sia ridotta, per far
prevalere i momenti di identit, e non sia dissolta, per far prevalere i momenti
di alterit.
Ma com possibile ci? Cercher di mostrare che lo soltanto se,
paradossalmente, lalterit costitutiva dellidentit di ogni soggetto umano
singolo o collettivo. Se infatti vi un momento di alterit costitutivo della stessa
identit, allora si potr trovare la possibilit di convergenza con laltro proprio a
partire da quella comune esperienza di alterit. Ora questa costitutiva esperienza
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di alterit si d precisamente in quellaspetto della cultura che pi di ogni altro


sembra oggi rendere inevitabile lo scontro, vale a dire nellesperienza religiosa.
Per lo pi si pensa che lincontro fra culture diverse diventi possibile solo se le
religioni si secolarizzano, nel senso di ridursi a un nocciolo razionale condivisibile
da tutti gli uomini allidentico modo. Ma non cos. Si dovr invece fare in modo
che esse siano pi fedeli a se stesse, e cio a quella verit trascendente (ecco qui
la dimensione di alterit!) che propria di tutte le religioni in modo pi o meno
chiaro e lineare. Lesperienza religiosa non lostacolo maggiore allincontro con
lo straniero, ma quella che pu renderlo possibile, perch lesperienza di Dio
, almeno nelle religioni monoteistiche, la pi profonda e radicale esperienza
dellAltro.

2. Lessere straniero nellesperienza biblica


Vediamo meglio questo paradossale costituirsi dellidentit religiosa come
esperienza dellalterit nella religione biblica. Si pensi anzitutto a come si esprime
la vocazione del padre della fede, Abramo: Vattene dal tuo paese, dalla tua
patria (Gn 12, 1): abbandona dunque le tue radici, la tua identit; anzi Dio
gli cambia persino il nome (da Abram a Abraham). E la condizione di straniero
caratterizza i discendenti di Abramo fino allEgitto e allesperienza del deserto.
E pensiamo poi allo stesso patto di alleanza, che sancito con la consegna della
legge. Il suo forte contenuto etico ne fa unesperienza di alterit e di trascendenza:
la Torah sancisce unalleanza che non ha lo scopo di avvicinare gli uomini a Dio
facendoli entrare nella sfera del sacro; la legge interrompe il soddisfacimento
del desiderio e la fusionalit, pone dei limiti, rende invalicabile il confine
che ci separa dallaltro e ne impone il rispetto. Si pensi infine allattenzione
e allaccoglienza dello straniero che la legge comanda, spesso associandolo alla
vedova e allorfano: Non molesterai il forestiero n lo opprimerai, perch voi
siete stati forestieri nel paese dEgitto (Es 22, 20). Ancora di pi dice un passo
del Levitico (19, 34), che va al di l della semplice tolleranza per identificare
lo straniero con il prossimo (non pi il lontano ma il vicino), con colui che
come noi: Il forestiero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che nato
fra voi; tu lamerai come te stesso perch anche voi siete stati forestieri nel paese
dEgitto. In ambedue i casi si sottolinea luguaglianza di esperienza fra stranieri
e Israeliti: la condizione di forestiero parte essenziale della vicenda di questi
ultimi. E il Salmo 38 lo dice espressamente: Io sono un forestiero, uno straniero
come tutti i miei padri. Abbiamo qui dunque una dimensione di alterit che
costitutiva dellidentit e proprio per questo rende possibile una relazione con
laltro, che non sia una semplice negazione n dellidentit propria n di quella
dellaltro. Si tratta qui certo di unalterit etnica e territoriale, che tuttavia si lega
strettamente allesperienza religiosa.
Nel Nuovo Testamento, poi, mentre perde rilievo la definizione etnica e
politica di straniero, diventa centrale la condizione esistenziale di straniero propria
del cristiano. Come lebreo si sentiva esule e straniero lontano da Gerusalemme,
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cos il cristiano si sente esule e straniero rispetto alla nuova Gerusalemme. Nella
prima Lettera di Pietro i cristiani sono definiti pellegrini e ospiti sulla terra (2,
11) e nella Lettera agli Ebrei si pongono in continuit la fede dei patriarchi e quella
dei cristiani dicendo che tutti i credenti ora aspirano a una patria migliore, cio
a quella celeste (11, 16). Senza cadere nellinterpretazione dualistica ed evasiva
che molta spiritualit cristiana ha conferito a questa estensione dellesperienza di
estraneit, occorre riconoscere che costitutiva dellesperienza cristiana questa
tensione verso lAltro, verso la novit radicale, anche se questa relazione con
lAltro (con lInfinito) entra in conflitto (a causa della condizione di peccato) con
la relazione (altrettanto costitutiva) che abbiamo con noi stessi e con il mondo.
Non si pu perci definire il cristianesimo come una religione della familiarit,
delle radici, dellidentit.
E nemmeno lo si pu definire una religione dellinteriorit, che un altro
modo per accentuare il momento dellidentit. Quando dice che la verit abita in
noi (in interiore homine) e che Dio pi intimo a noi di quanto noi lo siamo a noi
stessi, Agostino evidenzia una differenza fra lintimit di Dio e la nostra intimit
e le due intimit entrano in tensione, una tensione paradossale perch sono due
dimensioni del medesimo soggetto, cio di noi stessi. Il cristianesimo non una
religione della conciliazione: non concilia n con se stessi n con le proprie radici
n con la ragione n con lordine sociale e politico. Il cristianesimo sempre
anche essenzialmente tensione, contraddizione, estraniazione, differenza, perch
sempre anche attesa del futuro escatologico.
Questa esperienza religiosa come esperienza di trascendenza sembra essere
la condizione fondamentale della possibilit di incontro con lo straniero, proprio
perch attraverso di essa lio si scopre nella sua identit paradossalmente costituito
da unalterit. Lo straniero diventa riconoscibile e relazionabile allio perch gi
abita in lui: lo straniero non ci confronta semplicemente con ci che fuori di
noi ma con ci che gi in noi. Perch allora le religioni aggravano in molti
casi la difficolt di incontro con lo straniero e favoriscono lo scontro di civilt?
Perch in molti casi tradiscono la loro costitutiva relazione con la trascendenza
e si secolarizzano nel senso che diventano potenze mondane identitarie, ma in
questo modo, per la loro grande forza spirituale che esercitano, producono effetti
rovinosi: corruptio optimi pessima.

3. Ribaltamento del rapporto familiarit-estraneit


Il paradosso che definisce la relazione con lo straniero, come relazione che
resa possibile precisamente da ci che sembra impedirla, quello di unalterit
che pu avvicinare. Ma il paradosso si ripropone simmetricamente riguardo ai
rapporti di familiarit, che sono fondati, come cercher di mostrare, su una
vicinanza che diventa alterit.
La relazione di familiarit anzitutto una relazione rassicurante. Non a
caso la xenofobia, soprattutto oggi, fa leva proprio sul richiamo alla sicurezza:
lo straniero come tale un potenziale attentatore alla nostra sicurezza. La paura
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che nasce dallinsicurezza trova conforto quando individua la sua causa nel volto
dello straniero, nei suoi abiti, nei suoi costumi e nella sua religione, invece che
in complessi fattori, economici, sociali e culturali. Si ha bisogno di spiegazioni
semplici, perch la stessa semplicit della spiegazione rassicurante, e si ha
bisogno di capri espiatori facilmente identificabili; mentre invece le spiegazioni
complesse, difficili da comprendere, che individuano cause e responsabilit
diffuse rendono sfuggente la minaccia e, anzich liberarne, provocano angoscia.
Rassicurante invece chi, in quanto familiare, immediatamente conferma la
nostra identit: un altro nel quale troviamo una variazione di noi stessi o del
quale almeno possiamo comprendere e prevedere gli atteggiamenti. Ma facile
vedere come questa familiarit sia, nel migliore dei casi, povera e riduttiva, e
come il senso di sicurezza possa degenerare in disinteresse e in noia. Quando
dallaltra persona non c pi da attendersi nulla di nuovo, linteresse per lei
si spegne, allo stesso modo in cui si spegne linteresse per la vita quando ci si
pu attendere soltanto una ripetizione del gi vissuto, e ci anche nel caso in
cui la nostra vita sembri felice. Quando i gesti e le reazioni diventano scontati,
abitudinari, la vita si spegne: labitudine, come ripetizione dellidentico, mentre
appare rassicurante, diventa immagine ed anzi anticipazione del rigor mortis.
Molte relazioni umane si estinguono per questa ragione, perch dallaltro non ci
si aspetta pi nulla di nuovo, ma solo la ripetizione delle stesse cose e delle stesse
parole.
C una pagina straordinaria dei Diari di Max Frisch, che illustra bene
questo rischio in riferimento allesperienza dellamore. Ne riporto qualche
passaggio: degno di nota il fatto che proprio della persona che amiamo non
possiamo dire affatto come ella sia. La amiamo semplicemente. [...] Lamore
libera da qualsivoglia immagine. [...] La nostra convinzione di conoscere laltro
la fine dellamore; [...] poich il nostro amore al termine, poich ha esaurito
la sua forza, per questo che la persona per noi finita. [...] Tu non sei, dice
il deluso o la delusa, chi ritenevo che tu fossi. E chi ritenevano che fosse?
Un mistero, quale la persona sempre , un enigma, ed ci che non abbiamo
pi la forza di sopportare. Ci facciamo allora unimmagine. In ci sta lassenza
di amore, il tradimento1. Il passo ricorda il divieto biblico di farci immagini:
farci unimmagine pretendere di sottoporre lalterit infinita al nostro sguardo
abbracciante e penetrante. Le patologie della famiglia, della comunit o
dellamicizia hanno che fare con questa distorsione, cio con il prevalere del
principio di assimilazione, che si esercita anzitutto come pretesa di conoscere
laltro e che conduce daltra parte a respingerlo nella misura in cui egli si sottrae
allassimilazione o almeno alla prevedibilit del comportamento. In termini
psicologici si parla della mancanza del terzo (laltro irriducibile), mancanza che
produce rapporti duali in cui luno mangia laltro, lo assimila, e, quando non ci
riesce pi, giunge a distruggerlo (come ben sappiamo dalla cronaca quotidiana).
La causa della crisi della famiglia va ricercata non esclusivamente ma certo anche
M. Frisch, Die Tagebcher 1946-49, in Gesammelte Werke, 2, Frankfurt/Main 1976, pp. 369370.
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in questa distorsione psicologica e morale, per la quale si cerca di far prevalere il


principio dellidentit su quello dellalterit.
Queste osservazioni, ovviamente, non vanno spinte fino a proporre
la semplice sostituzione dellalterit allidentit, una sostituzione che non
risolverebbe il problema, perch produrrebbe soltanto una non relazione.
Al contrario si tratta di pensare una relazione nella quale lidentit cresce
parallelamente al crescere dellalterit, lassimilazione cresce parallelamente al
crescere della dissimilazione. E la condizione di possibilit di questa paradossale
coincidenza quella che abbiamo detto e cio la presenza nellidentit, come suo
principio costitutivo, della stessa alterit. Solo perch in me stesso riconosco la
presenza di una vera alterit, posso incontrare laltro senza con ci semplicemente
negare me stesso e senza negare laltro. Il mancato riconoscimento di questa
presenza dellalterit nellidentit, come produce la disgregazione dei rapporti
famigliari, amicali e sociali, cos pure rende impossibile o fallimentare lincontro
con lo straniero. Invece che incontrare si cercher di catturare e assimilare laltro;
ma questo impossibile: quel che se ne assimila e cattura non lui stesso, laltro
sfugge alla presa. Come chi vuole afferrare Dio si ritrova con un idolo, cos
chi vuole impadronirsi di un uomo pu giungere anche a imprigionarlo, a
soggiogarlo e persino a ucciderlo, ma in questi modi non si impossessa della sua
alterit, perch lo riduce alla misura dei suoi poteri e si lascia perci sfuggire ci
che egli propriamente .

4. Luniversalit trascendente
Lunilateralit dei principi di identit e di alterit dovr essere superata,
non per in una mediazione che dia luogo a unidentit pi ricca, ma in un
principio di unit capace di reggere e tenere in comunicazione i due principi
dellidentit e dellalterit evitando la riduzione delluno allaltro e quindi
limpossibilit della relazione. Questo principio, che fonda allo stesso tempo
lalterit costitutiva di ogni identit e lidentit costitutiva di ogni alterit, la
trascendenza. La condizione ultima di possibilit di incontro, di comunicazione
e di fecondazione reciproca fra le diverse identit, personali e culturali, che
vi sia una partecipazione comune degli uomini, per quanto turbata e nascosta,
allunica verit trascendente. Lincontro infatti avviene e la relazione si istituisce
a condizione che le diverse identit siano riconosciute nella loro reciproca
irriducibilit ma non incompatibilit. E ci possibile appunto soltanto se
possono essere riportate a un comune principio di differente livello ontologico.
Ogni finito altro non semplicemente nella sua particolarit, ma in quanto
quella particolarit portatrice di uninfinit (che poi linfinit della libert),
che rende impossibile ogni mediazione con altre analoghe finitezze, ogni
risoluzione in una superiore identit, e che tuttavia accomuna ad ogni altra
analoga finitezza essendo la sorgente inesauribile di tutte. Ogni finito altro
in modo irriducibile in quanto costituito dalla trascendenza, da quellinfinit
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e inesauribilit da cui scaturisce e che fa s che non possa essere determinato


e conosciuto senza rivelare sempre nuove inesauribili profondit. Lalterit di
questo finito-infinito rispetto agli altri finiti-infiniti non nasce dalla relazione
con essi, ma dallalterit trascendente (dellinfinito) da cui costituito e che
conferisce alla sua particolarit una profondit infinita, tale da impedire ogni
mediazione e risoluzione in unidentit superiore. Daltra parte questa medesima
alterit trascendente ci che rende possibile affermare lunit (ununit della
comunicazione e non della mediazione) dei finiti-infiniti, di modo che proprio
ci che radicalizza lalterit ci che fonda lunit.
Il nesso di irriducibilit e compatibilit si scioglie quando prevalga o una
visione relativistica o al contrario una visione assolutistica della verit. Per i
relativisti non vi propriamente nessuna verit, ma allora nessuna prospettiva
merita di essere presa sul serio, sono tutte indifferenti. Certo da questo punto
di vista non si fa la guerra allaltro motivandola con un presunto superiore
possesso della verit, ma nemmeno si valorizza la prospettiva dellaltro. Per
gli assolutisti della verit invece non resta che la distruzione della prospettiva
altrui (considerata falsa) o lintegrazione nella propria (considerata lunica
vera). Al relativismo si dovrebbe invece sostituire il prospettivismo ermeneutico
e lalternativa fra integrazione e distruzione dovrebbe essere sostituita dalla
fecondazione reciproca. La verit trascendente principio di universalit, perch
le molteplici identit culturali e religiose possono essere viste come punti di vista
(magari mescolati con errori) sullunica verit e come tali capaci di riconoscersi
reciprocamente senza peraltro integrarsi. Riconoscimento reciproco significa
non soltanto rispetto, ma anche fecondazione reciproca, perch lincontro con
laltro pu non tanto aggiungere pezzi alla nostra identit o stravolgerla, quanto
piuttosto fare in modo che questa sviluppi meglio potenzialit, che restavano
nascoste e implicite, e che proprio lincontro con laltro fa emergere e pu far
emergere in quanto proviene dalla comune verit trascendente.
Incontrare lo straniero significa allora apprendere anche su se stessi, imparare
a conoscere e ad approfondire la propria identit, abituandosi a non irrigidirla,
ma piuttosto a considerarla unidentit vivente e mobile, come identit che non
sta in rapporto soltanto con se stessa, unidentit che non autoreferenziale,
ma unidentit che sta in rapporto con una verit che la costituisce ma anche la
trascende, abbracciando altre identit e mettendo in comunicazione con esse.
Lo straniero ci maestro perch, pi che coloro che ci sono familiari, ci aiuta
a incontrare la nostra identit e a renderla vivente. Ma, anzitutto, incontrare
lo straniero significa fare unesperienza di trascendenza, di oltrepassamento
verso il totalmente Altro, verso quella verit che la fondamentale condizione
dellincontro.
E poich nellincontro con lo straniero siamo sollecitati a esplorare le vie
di una comunione nellalterit, allora lo straniero ci maestro anche in un altro
senso, nel senso che proprio questa esperienza estrema dellincontro con lui la
via attraverso la quale possiamo guadagnare un rapporto pi autentico con chi
ci pi vicino e familiare. La relazione con lo straniero, con colui di cui non
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si comprende la mentalit, la cultura, i costumi e anche la lingua, non fa che


evidenziare un carattere proprio e costitutivo di ogni relazione: leccezionalit del
rapporto con lo straniero non poi cos eccezionale. Essa cinsegna a riconoscere
lalterit irriducibile al di sotto di ogni affinit, a riconoscere lo straniero anche
in chi ci pi familiare. La familiarit, se una familiarit nella libert, non
infatti reciproca trasparenza fino alla fusione. La fusione priva della libert,
che viene completamente soffocata dallappartenenza e dallidentificazione. Se
la relazione di familiarit ha un vantaggio, quello di presupporre la possibilit
della comunione per fondare su di essa laccoglienza dellalterit, ma questo
vantaggio pagato con il rischio di dissolvere lalterit.
Potremmo allora esprimere il paradosso che regge tutta la questione anche
in questi termini: non si tratta tanto di rendere lo straniero pi familiare, quanto
piuttosto di rendere il familiare pi straniero. Ci che avvicina non va trascurato
o addirittura negato, ma deve essere oltrepassato per ritrovare lirriducibile
alterit proprio in ci che pi avvicina. Si tratter di mettere in luce le differenti
declinazioni che ciascuno offre degli stessi elementi comuni: lingua, orizzonte
culturale, religione, famiglia. E in questa forma, nella quale appaiono anche
le differenze irriducibili, gli elementi comuni non saranno uguaglianze ma
piuttosto convergenze e armonizzazioni che indicano lunit possibile, unit
della comunione (della pluralit dei diversi) e non della conformit. Lincontro
con lo straniero sollecita allora una profonda revisione dei rapporti di familiarit,
che rende attenti allalterit irriducibile, cos come, daltra parte, le esperienze di
familiarit sollecitano la ricerca della comunione nellestraneit.

5. Trasformazione dellermeneutica in ermeneutica


della trascendenza e del paradosso
Questo riconoscimento dellalterit n riduttivo n escludente pu trovare
giustificazione filosofica solo in una prospettiva ermeneutica. E tuttavia il pensiero
ermeneutico prevalente, se giustifica la compatibilit e lincontro dialogico fra
le molteplici prospettive sulla verit, non sembra misurarsi adeguatamente con
la dimensione dellalterit considerata nella sua irriducibilit ultima. Il limite
dellermeneutica, soprattutto gadameriana, quello dellinclusivit, anche se
riconosce le fratture, le interruzioni della comunicazione. Ma non si tratta solo
di riconoscere un limite della comprensione; si tratta piuttosto di recuperare
la dimensione qualitativa dellinterruzione. Si tratta cio di considerare
linterruzione della comunicazione non come caso-limite e come un limite
progressivamente erodibile, come fa Gadamer quando a questo proposito scrive
che fra gli uomini sarebbe necessario un dialogo infinito2. Gadamer pensa
che lermeneutica debba servire a eliminare la separazione e lestraneit tra io
e tu3, e che il suo motivo centrale sia quello del superamento dellestraneit
H.G. Gadamer, E tuttavia: potenza della volont buona , in Aut-aut, CCXVII-CCXVIII,
1987, pp. 62-63.
3
H.G. Gadamer, Verit e metodo 2, trad. di R. Dottori, Milano 1995, p. 78.
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e dellappropriazione dellestraneo4. Ma si tratta piuttosto di pensare la radice


dellincomunicabilit ultima come la condizione anche della comunicazione e
della familiarit. Lestraneit, la non comunicazione, la non comprensione, il
restare estranei, non una distanza che si possa progressivamente erodere ma,
come dicevo, un momento costituivo della stessa familiarit.
Lermeneutica deve allora assumere la forma di una dialettica paradossale
e ci grazie proprio allesperienza dellincontro con lo straniero. Al definirsi di
questa esperienza nella forma di una dialettica paradossale conduce la recente
e brillante analisi di Umberto Curi in Straniero. Muovendo dallanalisi della
duplicit dello Unheimlich freudiano risale alle radici indoeuropee del concetto
di ospite come dono e minaccia5 analizzando in particolare la Xenia greca e
lambiguit dei termini hostis e hospes. Interessante nellanalisi di Curi il fatto
che linsuperabile ambiguit strutturale dello straniero sia declinata ricorrendo
al mito platonico di Eros e alla pratica greca del symbolon. Le due tessere del
symbolon rinviano a ununit originaria nella quale non vera duplicit ma
unit6. Analogamente lEros del Simposio, intermedio tra Penia e Poros,
costitutivamente duplice7, una duplicit che rinvia al mito dellandrogino, per
il quale solo mettendo insieme le due parti divise si pu ricostituire lintero dal
quale gli uomini provengono8. Seguendo questi modelli classici, si dovr pensare
che lidentit si costituisce solo attraverso la relazione con laltro9, in quanto esso
la parte a noi mancante. In questo senso Curi pu affermare limprescindibilit
del rapporto con lo straniero dicendo che il confine tra il medesimo e laltro
problematico, che ogni forma di identit del s intaccata10 e che lo straniero
pi prossimo a me di me stesso11.
Questo modello ha molti punti di contatto con quello che intendo proporre,
il modello cio del paradosso ermeneutico, che tuttavia riesce a giustificare
meglio quegli aspetti. Nel modello proposto da Curi la dimensione di alterit del
rapporto con lo straniero allo stesso tempo assolutizzata e ridotta. Assolutizzata
perch diventa un rapporto di semplice esteriorit (le due met stanno una
accanto allaltro senza aver nulla in comune); ridotto perch risolvibile, almeno
idealmente, in una perfetta superiore unit (le due met combaciano).
Anche Derrida ha sostenuto una radicale alterit affermando, nel corso di
un confronto con Gadamer, che vi uninterruzione, unirriducibile intervallo,
che condiziona ogni possibile comprendere: ci si pu domandare se la condizione
del Verstehen, invece di essere il continuum del rapporto, [] non sia piuttosto
linterruzione del rapporto, un certo rapporto di interruzione, la sospensione di

Ivi, p. 253.
U. Curi, Straniero, Milano 2010, p. 12.
6
Ivi, p. 66.
7
Ivi, p. 92.
8
Ivi, p. 96.
9
Ivi, p. 139.
10
Ivi, p. 149.
11
Ivi, p. 16.
4
5

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qualsiasi mediazione?12. Questa insuperabile interruzione d luogo in Derrida


a una strategia del compromesso, peraltro pi presente nel primo Derrida, che
prende le distanze dalla radicalit di Levinas per affermare linevitabilit di
una mediazione con laltro, che pure non pu non essere segnata da una certa
violenza.
Ma possibile anche un altro esito, quello a cui conduce ad esempio lo
Straniero di Camus. Meursault attraversa la societ come straniero, straniero
non tanto per lingua o cultura o religione, ma piuttosto come esistenzialmente
straniero, estraneo alla morte della madre, allamore di Maria, alluccisione
dellarabo, alla sua propria morte, come a ogni condizione di vita. C
unindifferenza del mondo, che peraltro, svuotando ogni speranza, genera alla
fine un certo senso di felicit. Del resto il tema della rivolta, centrale nel pensiero
di Camus, implica non solo resistenza ma anche adeguamento, un imparare
a vivere e a morire, una lucida accettazione della finitezza quale essa , senza
evasioni o compromessi.
Le posizioni di Camus, Derrida e Curi in modi diversi propongono
unalterit assolutamente irriducibile, con la quale per ci si pu conciliare. Ma
questa conciliazione resta del tutto estrinseca, e, proprio perch estrinseca, sta
sotto il segno dellambiguit: la conciliazione dellindifferenza in Camus, quella
del compromesso e della riduzione del conflitto in Derrida, o quella della
giustapposizione di parti combacianti in Curi, una giustapposizione nella quale
si passa da una mera esteriorit a una risoluzione dellalterit in una superiore
unit in cui essa scompare. Alterit e identit diventano compatibili senza
ridursi o addirittura annullarsi, solo se, come dicevo, il principio di unit allo
stesso tempo principio che accomuna e che separa o, meglio, che accomuna nel
separare e separa nellaccomunare, principio di unit proprio nellessere assoluta
alterit, principio trascendente costitutivo di ogni finitezza libera, che fa di ogni
finito un finito-infinito.
Tornando conclusivamente allermeneutica, riconosceremo ad
essa la capacit di giustificare ununiversalit non riduttiva, cos come
riconosceremo alle filosofie dellalterit il merito di stabilire un limite
invalicabile alla mediazione, aggiungendo per che ambedue non fondano
la possibilit dellincontro con laltro, quando non riconoscano la verit
trascendente come radice che mette in comunione separando e separa
mettendo in comunione. In unermeneutica della trascendenza si pu pensare
la compatibilit fra lessere plurale e lunit dellessere, perch solo in essa si
pensa la pluralit come pluralit di irriducibili (uomini, religioni, culture, opere
e, pi in generale, interpretazioni), che sono ciascuno manifestazione dellunico
essere inesauribile.
Il riconoscimento dellalterit esige quel rapporto ermeneutico nel quale
la congenialit e il processo di comprensione giungono al loro apice quando
si spalancano nuove inesauribili, ed anzi insondabili, dimensioni ed ogni
J. Derrida (1987), Buone volont di potenza (Una risposta a Hans-Georg Gadamer), in Autaut, CCXVII-CCXVIII, 1987, p. 60.
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Lo Sguardo - rivista di filosofia


N. 20, 2016 (I) - Hermneutique et interculturalit

momento di assimilazione (di ci che riconosciamo riconducendolo al gi noto)


attraversato da un contrario movimento di dissimilazione, per cui, quanto
pi approfondiamo la conoscenza, tanto pi diventa smisurato quel che non
sappiamo, pi afferriamo e pi la presa ci sfugge, pi ci familiarizziamo e pi
restiamo sorpresi, pi troviamo somiglianze e pi aumentano le differenze.
Proprio perch conosco meglio lo straniero, so che nel suo fondo egli resta
inconoscibile. Conoscere sempre riportare a un universale, ma luniversale
ermeneutico non un universale oggettivabile, perch vive soltanto nelle sue
particolari e irriducibili declinazioni, fra le quali si pu riconoscere soltanto, per
cos dire, una certa aria di famiglia. Se dunque conosco lo straniero in ci che gli
pi proprio, ho una conoscenza che certo non soltanto negativa o particolare,
ma tuttavia apre a uninesauribilit di contenuto.
Unermeneutica della trascendenza unermeneutica che si orienta verso
un pensiero del paradosso, che tiene insieme dialetticamente, senza mescolanze
n sintesi compiute, due movimenti contrari. Una comprensione autentica
dellaltro ci avvicina - ripeto - a lui proprio nel mostrarcene lalterit irriducibile,
e in tale alterit irriducibile laltro si mantiene in una lontananza estrema; lalterit
inesauribile contenuta soltanto in ci che comprendiamo, e per vi contenuta
solo nella forma di ci che eccede la comprensione. Tra familiarit ed estraneit,
tra identit e alterit, tra comprensione e inafferrabilit vi dunque un rapporto
di unit e opposizione, nel quale i due termini si sostengono reciprocamente.
A questa dialetticit paradossale lermeneutica indirizzata proprio quando
esce dal tranquillo alveo della tradizione per prendere sul serio la drammatica
difficolt dellincontro con lo straniero.

Claudio Ciancio, Universit del Piemonte Orientale


* claudio.ciancio@fastwebnet.it

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