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Introduzione alla preistoria

Lantichit dellUomo e la preistoria


Il lungo periodo del passato dellumanit precedente linvenzione della scrittura viene comunemente denominato
preistoria, in contrapposizione alla storia, il periodo per il quale possediamo documenti scritti. Questa distinzione non
in realt giustificata, poich tutto ci che interessa luomo ne costituisce la sua storia, fin dalla sua comparsa sulla terra.
La preistoria, come scienza, nacque nella prima met dellOttocento, quando fu acquisita la nozione dellalta antica dei
nostri primi antenati. Le conoscenze attuali sulle origini delluomo pongono a 2 milioni di anni fa la comparsa sulla
terra del genere Homo, derivato da specie pi antiche i cui primi passi possono essere seguiti nelle regioni meridionali e
orientali dellAfrica fino a 4-5 milioni di anni fa. La preistoria sinteressa quindi di quel lungo periodo della storia
delluomo che precede i primi sistemi di scrittura, vale a dire dalle origini fino a 4.000-3.000 anni fa circa.
A differenza degli studi storici propriamente detti, larcheologia preistorica, non disponendo di documenti scritti, prende
in considerazione solo gli oggetti prodotti dalluomo (manufatti) in funzione delle sue attivit economiche, artistiche e
spirituali. In questa prospettiva rientrano gli studi sullevoluzione fisica e culturale delluomo, sulle sue attivit
quotidiane, sulle tecniche produttive e sul suo rapporto con lambiente circostante.
Le ricerche sulla preistoria pi antica (Paleolitico) hanno avuto lavvio in Europa occidentale, e soprattutto in Francia,
da parte di ricercatori di formazione prevalentemente naturalistica con il proposito di dare una collocazione cronologica
ai resti scheletrici e ai prodotti dellattivit umana rinvenuti in numerose cavit di quelle regioni. Essi svilupparono
perci metodi mutuati dalle scienze geologiche e paleontologiche per inquadrare questi primi resti umani e i manufatti a
loro associati.
Dopo aver superato la fase iniziale del collezionismo di oggetti strani o inconsueti, larcheologia preistorica moderna,
intesa come mezzo di ricostruzione storica del passato, si propone, con metodologie sempre pi perfezionate, di
raccogliere e studiare tutti le informazioni utili alla ricostruzione dei modi di vita dei gruppi umani che si sono succeduti
nel corso degli ultimi 2 milioni di anni.
La ricostruzione degli avvenimenti e degli ambienti nelle varie epoche della preistoria si basa esclusivamente sulla
ricerca e linterpretazione dei resti materiali che si sono conservati, tra cui, in primo luogo, i prodotti delle varie attivit
umane, quali gli strumenti di pietra, la ceramica, i manufatti dosso, ecc. Nellinterpretazione di queste, anche labili,
testimonianze del passato si rendono indispensabili indagini relative allambiente naturale in cui luomo ha vissuto e dal
quale stato condizionato, adattandosi al variare del clima e della morfologia del paesaggio. Lanalisi della cultura
materiale viene pertanto svolta nellambito di una pi ampia ricerca che prevede lapporto di altre discipline rivolte allo
studio dei terreni (geologia), dei resti ossei umani (paleoantropologia e antropologia fisica), dei resti ossei animali
(paleontologia e archeozoologia) e dei resti vegetali (paleobotanica).

Cronologia e inquadramento culturale della preistoria


Lo schema cronologico della preistoria europea comprende i seguenti periodi:
Paleolitico noto anche come antica et della pietra o et della pietra scheggiata; esso include le varie culture dei
popoli cacciatori e raccoglitori dalle origini della comparsa del genere Homo, circa 2 milioni di anni fa, sino alla fine
dellultima glaciazione, circa 10.000 anni fa. Il Paleolitico suddiviso in inferiore, medio e superiore. La sua durata
corrisponde al Pleistocene.
Mesolitico lo stadio culturale degli ultimi cacciatori-raccoglitori che si adattano alle modificazioni climatiche del
Postglaciale; il Mesolitico corrisponde cronologicamente alle fasi iniziali dellOlocene.

Neolitico noto anche come et della pietra nuova o della pietra levigata; esso rappresenta una fase di profondi
cambiamenti nel modo di sussistenza delle comunit preistoriche. Durante il Neolitico sono introdotte tre fondamentali
innovazioni: lagricoltura, lallevamento e la produzione della ceramica. Il Neolitico si sviluppa tra il VII e IV millennio
a.C.
Et del Rame durante questo periodo, noto anche come Eneolitico o Calcolitico, luomo si appropria della tecnica
metallurgica che gli consente di apportare significative modificazioni anche nel sistema di sussistenza; let del Rame si
sviluppa durante il III millennio a.C.
Et del Bronzo uno sviluppo delle tecniche di lavorazione dei metalli consente la produzione di oggetti in bronzo,
let del Bronzo vede rilevanti cambiamenti nelleconomia e nelle strutture sociali delle comunit preistoriche. Let del
Bronzo si sviluppa dagli ultimi secoli del III millennio a.C. fino al IX-VIII secolo a.C., quando let del Ferro segna il
passaggio allet storica.
Let del Bronzo e del Ferro vengono di solito riferite alla protostoria, anzich alla preistoria, poich, durante questo
periodo, in alcune regioni dEuropa hanno avuto origine culture che attestano la conoscenza della scrittura; la
contemporaneit tra culture "analfabete" e culture dotate di sistemi di scrittura ha reso necessario un approccio diverso
allo studio del passato. Se infatti lo studio della preistoria si fonda quasi esclusivamente sui resti archeologici e quello
storico invece sulle fonti scritte, la protostoria, momento intermedio tra i due, necessita di un campo di ricerca che esige
la convergenza di discipline molto diverse tra loro, come larcheologia, la linguistica, lepigrafia, la critica delle fonti
scritte, letnologia.

La cronologia del Quaternario


I tempi preistorici abbracciano il Pliocene, lultimo periodo dellEra terziaria, e lEra quaternaria (tavola). La comparsa
del genere Homo fatta coincidere con linizio dellera geologica attuale, detta Quaternario. Questa viene suddivisa in
due periodi: Pleistocene e Olocene, il cui limite corrisponde alla fine dellera glaciale in Europa ed fissato
convenzionalmente a 10.000 anni fa (8.050 150 a.C.).
Il Pleistocene viene a sua volta suddiviso in inferiore, medio e superiore. Il passaggio dal Pleistocene inferiore a
quello medio fissato attorno a 700.000 anni fa, quando si verifica unimportante inversione del polo magnetico
terrestre che determina una fase climatica temperata. Il limite tra Pleistocene medio e superiore corrisponde alla fine
della glaciazione di Riss, tra 130.000-120.000 anni fa circa.

Le glaciazioni
Durante il Quaternario il globo terrestre stato interessato da importanti variazioni climatiche, influenzate da cause
astronomiche, che nellemisfero boreale hanno determinato fasi climatiche particolarmente fredde, dette glaciazioni. Le
variazione dellinsolazione della superficie terrestre in conseguenza delle variazioni delleccentricit della terra,
dellinclinazione dellasse terrestre e per effetto della precessione degli equinozi hanno determinato un generale
irrigidimento del clima che ha causato la formazione di grandi accumuli di ghiaccio sulle terre emerse, divenuti sempre
pi rilevanti in rapporto allaumento del clima freddo. La formazione di grandi calotte glaciali avvenuta, inoltre, a
spese delle acque degli oceani e dei mari il cui livello si abbassato fino a un massimo di 120 metri in corrispondenza
dellacme glaciale verificatori attorno a 20.000 anni fa. I periodi glaciali sono stati intervallati da momenti con clima
pi temperato, nel corso dei quali il ritiro dei ghiacci e la risalita del livello del mare hanno portato a modifiche anche
rilevanti nella morfologia del paesaggio. I periodi di miglioramento climatico tra una glaciazione e laltra sono detti
interglaciali, mentre le fasi di miglioramento climatico durante un periodo glaciale sono dette interstadiali.
Nella regione alpina, dove le ricerche sul glacialismo quaternario hanno avuto inizio durante i primi anni del secolo
scorso, sono stati distinti quattro periodi glaciali, chiamati rispettivamente Gnz, Mindel, Riss e Wrm. La glaciazione
di Gnz attribuita al Pleistocene inferiore, quella di Mindel e Riss al Pleistocene medio e, infine, la glaciazione di
Wrm al Pleistocene superiore.
Durante i periodi glaciali, la penisola scandinava stata ricoperta da una calotta glaciale, detta inlandsis, che nel corso
dei periodi di massima espansione (periodi pleniglaciali), si estese fino a sud del Mar Baltico, nellEuropa
settentrionale.
Le variazioni climatiche hanno avuto notevoli conseguenze su tutto il mondo biologico poich hanno determinato dei
mutamenti sia nel tipo di vegetazione sia nelle faune dei territori interessati dal clima glaciale. Queste variazioni hanno
inoltre condizionato luomo costringendolo ad adattarsi ai nuovi ambienti.

Metodi di datazione
Lo scavo di depositi archeologici con serie stratigrafiche rilevanti contenenti in successione pi livelli di occupazione
fornisce la base di una sequenza cronologica relativa. Tale cronologia misura le differenze di et utilizzando una scala
ordinale, nel caso della serie stratigrafica la datazione relativa dei vari livelli si basa sul presupposto che lo strato posto
pi in basso di tale sequenza sia pi antico di quello situato pi in alto. La cronologia relativa fornisce quindi
lindicazione di un prima o di un dopo di eventi o materiali correlati tra loro, ma non consente di datare dei manufatti o
degli strati in anni dal presente (B.P.) o con gli anni del calendario (a.C./d.C.).
Gli archeologi hanno avvertito la necessit di riferire i rinvenimenti preistorici a uno schema cronologico al fine di
poterli studiare sotto una prospettiva temporale, per tale motivo hanno rivolto la loro attenzione a vari metodi di
datazione che fornissero un indicazione precisa del momento storico in cui un manufatto stato prodotto o un evento
accaduto. I metodi di datazione assoluti consentono, con lausilio di procedimenti chimici o fisici, di determinare le
varie epoche dei manufatti analizzati sia come anni dal presente sia come anni del calendario. I metodi pi utilizzati in
archeologia sono i seguenti: dendrocronologia, metodo del radiocarbonio, metodo del potassio/argon, metodo
delluranio/torio, termoluminescenza e paleomagnetismo.
La dendrocronologia un metodo di datazione biologica che si basa sullanalisi delle sequenze degli anelli di
accrescimento degli alberi; esso consente di datare i manufatti lignei (oggetti e strutture) rinvenuti nei siti archeologici.
Il metodo di datazione si basa sul principio secondo cui ogni anno gli alberi aggiungono un anello di crescita che
registra le minime variazioni del clima e dellumidit; lampiezza dellanello relativamente sottile durante le annate
asciutte, mentre essa tende a diventare spessa durante le annate umide. Al momento del taglio dellalbero, queste
variazioni dei singoli anelli di accrescimento consentono di determinarne let. Pertanto alberi della stessa specie e della
stessa et cresciuti in aree con condizioni climatiche simili presentano sequenze degli anelli di crescita pi o meno
simili. Nel caso di alberi pi vecchi e pi giovani le cui et si sovrappongono possibile realizzare una cronologia
relativa confrontando gli anelli di crescita dello stesso anno. Le et assolute possono essere ottenute sovrapponendo le
sequenze degli anelli di crescita sino agli alberi viventi. La sequenza pi lunga e pi antica ottenuta sino ad ora quella
fornita dal Pinus aristata per lAmerica occidentale che risale sino a 9.000 anni fa.
Il metodo del radiocarbonio consente di determinare let dei materiali organici contenenti carbonio. Il metodo si basa
sulla decomposizione radioattiva dellisotopo 14 contenuto nel campione di azoto, con lemissione di particelle che ha
inizio allorch un organismo muore e cessa di scambiare carbonio 14 (C14) con latmosfera. Nel momento in cui una
pianta, un animale o un uomo muoiono viene a cessare lassunzione di C14, la sua concentrazione, prima costante,
comincia a diminuire per effetto del decadimento radioattivo. Conoscendo la velocit di decadimento del C14 e
misurandone la quantit rimasta nel campione analizzato, si pu determinare let di un tessuto, di un manufatto ligneo
o di animale morto. Le tracce di C14 sono piccolissime gi allinizio e si riducono alla met dopo 5.730 anni; dopo
23.000 anni, in un campione rimane perci solo un sedicesimo della gi modesta quantit iniziale di C14. La precisione
delle datazioni con il metodo del C14 condizionata da vari errori: influenza delle radiazioni cosmiche, errori di
conteggio e da possibili inquinamenti dei campioni. Per tale motivo le date ottenute sono sempre accompagnate da una
stima dellerrore probabile (8.050 150 a. C.). Una delle ipotesi fondamentali del metodo C14 risultata non del tutto
corretta: la concentrazione di C14 nellatmosfera non infatti rimasta costante nel corso del tempo, ma mutata in
relazione alle variazioni del campo magnetico terrestre, a conseguenza di ci necessaria una calibrazione delle date
ottenute. La dendrocronologia fornisce il metro di confronto cronologico di riferimento alle datazioni C14. Le date
ottenute con il metodo del radiocarbonio dagli anelli di accrescimento degli alberi indicano che prima del 1.000 a. C.
circa le date espresse in anni determinati con il C14 risultano progressivamente pi recenti rispetto a quelle espresse in
veri anni di calendario. Prima del 1.000 a.C., gli alberi e tutti gli altri organismi viventi erano esposti a concentrazioni
atmosferiche maggiori di C14 di quelle a cui sono esposti oggi. Lapporto delle sequenze dendrocronologiche degli
anelli di accrescimento del Pinus aristata e della quercia ha consentito per lEuropa e il Nord America la definizione di
curve di calibrazione valide fino al 7.000 a. C. (9.000 anni fa). Le curve consentono agli archeologi di calibrare una data
con il radiocarbonio traducendola in anni di calendario.
Il metodo delluranio/torio si basa sul processo di decadimento dellisotopo radioattivo 238 delluranio, solubile
nellacqua, dove si combina con il carbonato di calcio. Il decadimento radioattivo determina la trasformazione
dellisotopo 238 delluranio nellisotopo 234 prima e quindi in torio, insolubile in acqua. Gli organismi viventi nelle
acque, come conchiglie e coralli, e gli organismi terrestri che assorbono le acque sotterranee al momento della morte
sono ricchi di uranio 234 e poveri di torio; da questo momento in poi inizia il decadimento dellisotopo instabile
delluranio determinando un accumulo di torio. La misura del rapporto tra la quantit di uranio e torio presente nel
campione analizzato consente la sua datazione, giacch il tempo di decadimento noto. Larco cronologico che pu
essere datato con questo metodo va da alcune migliaia danni fino a circa 350.000 anni fa.
Il metodo del potassio/argon interessa la datazione delle rocce magmatiche. Esso si basa sul principio che il potassio
radioattivo presente al momento del raffreddamento di una roccia magmatica si disintegra producendo argon. La
misurazione del rapporto potassio/argon di certi minerali consente quindi di datare il momento del raffreddamento. Con

questo metodo possibile datare rocce eruttive in relazione con depositi antropici, ottenendo cos per questi ultimi dei
termini ante quem o post quem. Il metodo viene normalmente applicato per periodi pi antichi di 100.000 anni da oggi.
La datazione mediante termoluminescenza serve per datare materiali archeologici che hanno subito un trattamento
termico. Questo metodo di datazione si basa sul seguente fenomeno: allinterno di un cristallo, al momento della
formazione, sono presenti delle cavit elettrostaticamente positive che costituiscono delle trappole per gli elettroni liberi
che circolano in esso; gli elettroni occuperanno le cavit esistenti fino a saturarle a meno che non vengano liberati in
seguito a riscaldamento. Quando, infatti, il materiale viene riscaldato o esposto alla luce, gli elettroni intrappolati nelle
cavit vengono liberati, rilasciando energia sotto forma di luce, detta termoluminescenza. Il segnale una misura
dellesposizione alle radiazioni che stata accumulata; pi lunga stata lesposizione o pi forte stato il livello di
radiazione, maggiore la termoluminescenza emessa dal campione. Le datazioni fino ad ora pi antiche ottenute con il
metodo della termoluminescenza riportano a circa 300.000 anni fa.
La datazione archeomagnetica si basa sul paleomagnetismodelle rocce che sono state naturalmente sottoposte a
riscaldamento. Il campo magnetico terrestre ha subito nel tempo numerose variazioni di senso, sia quale conseguenza
della variazione dellasse dei poli magnetici sia per effetto della deriva dei continenti. Poich le rocce vulcaniche
durante il raffreddamento risentono linfluenza del campo magnetico terrestre, misurando il magnetismo residuo, esse
consentono di individuare il campo magnetico esistente al momento della solidificazione. Il dato ottenuto viene
confrontato con una curva cronologica di riferimento del paleomagnetismo terrestre che consente di ricavare lepoca in
cui avvenuto il riscaldamento.

Pietre, ossi e vasi: lo studio dei manufatti preistorici


Luomo si differenzia dalle altre specie viventi per la sua capacit di manipolare la materia prima disponibile in natura;
anche se alcuni animali, come ad esempio gli scimpanz o altre scimmie antropomorfe, usano abitualmente oggetti cos
come li rinvengono in natura in funzione di necessit immediate, luomo lunico in grado di trasformare la materia
prima seguendo un progetto determinato, risultato di un pensiero astratto.
Luomo inoltre lunico essere vivente in grado di trasmettere, attraverso un linguaggio articolato, le conoscenze e le
scoperte acquisite in modo da incrementare il bagaglio culturale necessario alla sopravvivenza. Molte scimmie
antropomorfe, bench durante le sperimentazioni di laboratorio dimostrino capacit alle volte sorprendenti, non sono in
grado di trasmettere alle generazioni successive i risultati delle loro, sia pure semplici, conquiste tecnologiche.
La conoscenza della storia non scritta dei nostri antenati perci condizionata dalla capacit dello studioso di preistoria
di interpretare i diversi tipi di resti che si sono conservati sino ad ora nei depositi archeologici. Luomo preistorico ha
infatti utilizzato numerose materie prime disponibili nellambiente naturale in cui viveva: pietra, legno, argilla, ossa,
pelle, conchiglie. La maggior parte di queste per non si sono conservate e, in particolare per i periodi pi antichi, le
uniche testimonianze giunte sino a noi sono i manufatti di pietra. I materiali ricavati da materia organica si preservano,
infatti, solo in condizioni molto particolari come ad esempio negli ambienti privi di ossigeno, quali le torbiere, o in
condizioni di totale mancanza di umidit, come nel deserto. Solo nella preistoria pi recente, durante il Neolitico, in
seguito a un controllo totale del fuoco luomo riuscito a trasformare largilla in terracotta necessaria alla produzione
dei vasi. In seguito unulteriore sviluppo della produzione artigianale ha portato, durante la prima et dei metalli, alla
fabbricazione prima di manufatti di rame e pi tardi a produrre il bronzo, una nuova materia non esistente in natura ma
ottenuta dalla lega di rame e stagno o arsenico.
La facilit di conservazione della pietra e i mutamenti tipologici e tecnologici documentati dalla produzione dei
manufatti litici sono risultati determinanti alla comprensione dello sviluppo culturale dei nostri antenati. La produzione
di manufatti di pietra fabbricati dalluomo detta industria litica. Una prima distinzione, basata sulla tecnica di
produzione dei manufatti di pietra, pu essere istituita tra lindustria litica in pietra scheggiata e lindustria litica in
pietra levigata. Le materie prime pi frequentemente utilizzate dalluomo preistorico nella realizzazione degli strumenti
in pietra scheggiata sono: la selce, il calcare, il diaspro, la ftanite, il cristallo di rocca, la quarzite e lossidiana. Le
rocce metamorfiche, di origine vulcanica e altri tipi di rocce verdi sono state invece impiegate nella produzione di
manufatti in pietra levigata.
La lavorazione della pietra implica una fratturazione intenzionale mediante percussione con un oggetto solido. Questo
manufatto detto percussore; esso pu essere di pietra, di legno duro, dosso o di corno animale. La percussione di un
ciottolo ha lo scopo di ricavare da esso dei margini taglienti (in questo caso si parla di chopper o chopping-tool), mentre
la scheggiatura di un blocco di roccia, denominato nucleo la cui forma stata opportunamente modificata, serve ad
ottenere delle schegge o delle lame da utilizzare dopo unulteriore lavorazione, detta ritocco, come strumenti.
La percussione pu essere di quattro tipi (tavola):
percussione diretta, realizzata colpendo direttamente il nucleo con un percussore;
percussione indiretta, realizzata interponendo tra il percussore e il nucleo uno scalpello (di osso
o di corno);

percussione su incudine, realizzata battendo un blocco di pietra o un nucleo su una pietra fissa
a terra usata come incudine;
percussione bipolare, realizzata colpendo il nucleo con un percussore appoggiato a unincudine.
La fabbricazione di manufatti in pietra scheggiata pu essere ottenuta mediante la tecnica a pressione. La tecnica di
scheggiatura a pressione comporta limpiego di un compressore, realizzato in legno duro, in corno o in osso, che
imprime una pressione diretta al bordo di un nucleo o di una scheggia; con questo metodo si possono staccare con
grande precisione delle lunghe lame regolari da un nucleo o delle sottili schegge piatte da una scheggia o da una lama.
Sono detti strumenti tutti quei manufatti litici (lame o schegge) che dopo lestrazione dal nucleo, sono manipolati con
unulteriore lavorazione di scheggiatura (ritocco) che ne modifica la morfologia al fine della migliore funzionalit
(tavola). Le denominazioni tuttora utilizzate dagli archeologi per indicare gli strumenti ispirata dallipotetica funzione
degli strumenti e dalla loro morfologia; in questo modo si parla di grattatoi, bulini, raschiatoi, punte, lame, ecc. (tavola).
Le ricerche condotte sulle tracce duso degli strumenti, con lausilio dellanalisi al microscopio e dellarcheologia
sperimentale, rivolta alla riproduzione dei manufatti e al loro utilizzo, hanno in larga parte confermato le denominazioni
usate.
Lo scavo di depositi archeologici con lunghe sequenze cronologiche doccupazione ha infine consentito di definire liste
tipologiche di strumenti litici che ora vengono utilizzate, grazie anche la disponibilit di serie di datazioni assolute,
quali elementi di individuazione di culture diverse o di suddivisioni di culture in fasi distinte dei periodi pi antichi
della preistoria.
Linvenzione della ceramica presuppone la conoscenza che largilla sia modellabile quando allo stato umido e che
sottoposta allazione del fuoco si consolidi conservando la forma ricevuta. Questo procedimento era noto in modo
occasionale sin dal Paleolitico superiore, ma esso ha trovato larga diffusione solo a partire del Neolitico.
La produzione ceramica prevede una serie di operazioni tecniche differenziate: preparazione dellargilla, modellazione
dellimpasto, essiccazione del manufatto, trattamenti vari di preparazione della superficie del manufatto, cottura. La
decorazione del vasellame pu essere realizzata sia sullargilla ancora molle sia dopo la cottura.
Largilla con laggiunta di acqua diventa un impasto omogeneo al quale vengono mescolati minerali o sostanze
organiche triturate (smagranti o degrassanti) al fine di rendere il prodotto argilloso elastico onde evitare la fratturazione
durante lessiccazione o la cottura del manufatto.
Ottenuto limpasto, si procede nella modellazione che pu essere eseguita con tecniche diverse:
1) scavando direttamente un blocco dimpasto;
2) con la tecnica a colombino che consiste nel formare cordoni cilindrici dimpasto avvolti a
spirale luno sullaltro fino ad ottenere la forma voluta (tavola).
Data forma al vaso si possono eseguire decorazioni plastiche, impresse, incise e dipinte. I manufatto viene quindi fatto
essiccare affinch limpasto perda parte dellacqua. A questo punto le superfici vengono lisciate per togliere loro le
irregolarit; esse inoltre possono essere levigate o lucidate in modo da produrre anche un effetto estetico. La cottura
costituisce la fase che da rigidit, porosit e stabilit ai manufatti. La decorazione a graffito viene realizzata di solito
dopo la cottura.
La ceramica, documentata in quasi tutti gli insediamenti dallet neolitica in poi generalmente in percentuale assai pi
elevata rispetto ad altre produzioni artigianali, costituisce lelemento privilegiato per la classificazione delle culture, fasi
e correnti culturali della preistoria pi recente. La foggia dei vasi da un lato e le tecniche e i motivi decorativi della
ceramica dallaltro consentono, infatti, la suddivisione culturale e cronologica del Neolitico e dellet del Rame.
La produzione metallurgica documentata nella tarda preistoria e durante la protostoria comprende manufatti di rame,
bronzo e ferro. La prima lavorazione di oggetti metallici ha interessato il semplice martellamento del rame allo stato
naturale. In seguito il metallo stato lavorato arroventandolo e solo successivamente sono stati prodotti manufatti
mediante la fusione e colata in stampi o matrici. Il bronzo una lega di rame (circa 90%) e di stagno o arsenico (10%);
i bronzi con meno di 3% di stagno devono essere considerati accidentali, giacch in questo caso la bassa percentuale di
stagno ha avuto origine da impurit del minerale di rame. La metallurgia del bronzo ha determinato uno sviluppo
tecnologico notevole nella produzione dei manufatti, poich ha permesso di fabbricare oggetti pi resistenti e solidi di
quelli di rame, mentre la grande facilit di fusione del bronzo ha portato alla creazione di nuove classi di strumenti che
sostituirono quasi del tutto il precedente strumentario litico e in osso. Il ferro si affermato molto tardi a causa delle
complesse tecniche di lavorazione che comportava questo tipo di metallurgia.
Il Paleolitico Inferiore

I resti pi antichi

Le pi antiche testimonianze archeologiche del primo presenza umana nella penisola italiana sembrano collocarsi tra
poco meno di 1.000.000 e 800.000 anni fa, in sincronia con quanto avviene nel resto dellEuropa centro-mediterranea;
nella loro singolare povert, le prime fasi del popolamento umano in Italia appaiono tra loro non omogenee, senza
apparente continuit rispetto a quanto documentato in epoche successive. Con poche eccezioni, unanaloga scarsit di
ritrovamenti, per il periodo considerato, ricorrente in altri paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, come
ad esempio in Francia, Spagna e Portogallo.
La presenza di siti importanti le cui datazioni pi antiche potrebbero essere collocate tra 600.000 e 500.000 anni fa,
suggerisce invece che a uniniziale, incerta e intermittente presa di contatto, seguir il primo vero e proprio
popolamento di diverse aree della penisola con caratteri di stabilit, di continuit e di intensit di frequentazione.
Tre principali episodi possono essere individuati nellarco dei circa 8-700.000 anni che intercorrono tra il primo
popolamento dellItalia e il momento in cui si assiste alle fasi finali dellAcheuleano, attorno a 150.000 anni fa (tavola).
La fase arcaica corrispondente alle prime, sicure, testimonianze della presenza di gruppi umani
nella penisola.
La fase di Isernia la Pineta (Molise, Italia centrale).
Lo stadio acheuleano.
Gli inizi del popolamento: la fase arcaica
A partire da circa 1 milione di anni da oggi, nei primi 2-300.000 anni di popolamento sono finora documentati un
numero relativamente esiguo di siti allaperto o di ritrovamenti sporadici di superficie che hanno restituito pochi
strumenti in pietra, caratterizzati da un alta percentuale di manufatti ricavati da ciottoli.
Una singola schegge di selce rinvenuta in un deposito di ghiaia in localit Costa del Forgione a Irsina in Basilicata,
datato con il metodo del potassio/argon a 850.000 anni, la prima muta testimonianza di un manufatto prodotto
dallattivit umana della nostra pi antica preistoria. Industrie ricavate da ciottoli o prodotte su scheggia sono state
inoltre rinvenute in Romagna a CaBelvedere di Monte Poggiolo, in Umbria a Monte Peglia, in Toscana a Bibbiona e
Collinaia, nel Lazio ad Arce, Fontana Liri, Castro dei Volsci e Colle Marino, in Calabria a Casella di Maida e in Sicilia
a Capo Rossello, Bertolino di Mare e Menfi.
Con eccezione di CaBelvedere (tavola), sito datato tra 1.300.000 e 730.000 anni fa, nessuna o scarse ricerche
sistematiche sono state effettuate nelle localit sopra citate ai fini di un loro pi preciso inquadramento cronologico.
Linsieme di questi siti appare grosso modo cronologicamente corrispondente, o di poco precedente, a Isernia La Pineta,
la cui industria, come si vedr, presenta alcuni aspetti arcaici (frequenza e tipologia dei manufatti su ciottolo), associati
ad altri pi moderni. Unet tra i 700.000 e 500.000 anni in generale suggerita per molte di queste industrie riferite
alla fase arcaica del Paleolitico inferiore.
Gli strumenti utilizzati da questi primi gruppi umani sono ottenuti mediante la scheggiatura di blocchi o ciottoli di
forma sferoidale od ovoidale in cui uno o pi stacchi determinano un margine tagliente; la scheggiatura pu interessare
una sola faccia (chopper) o tutte e due (chopping-tools o chopper bifacciali) o infine estendersi a gran parte della
superficie con numerosi stacchi multidirezionali (poliedri). Le schegge residue potevano inoltre essere lavorate con
unulteriore scheggiature dei margini (ritocco) che ne modificavano la forma producendo manufatti di vario tipo, tra
quali ad esempio raschiatoi o schegge denticolate.
Le materie prime pi frequentemente utilizzate sono il quarzo, la quarzite, il calcare e la selce; da ciottoli di queste
materie prime attraverso il distacco di poche schegge con la tecnica della percussione diretta vengono ottenuti chopper
monofacciali e bifacciali, poliedri, grattatoi carenati, schegge irregolari e rari strumenti che presentano un ritocco
irregolare o denticolato. Questi manufatti costituiscono lo strumentario di base dei primi gruppi umani che
appartengono alla specie dellHomo erectus.
Il primo popolamento della penisola italiana e dellEuropa lo si deve allHomo erectus. Si tratta di gruppi umani
provenienti dallAfrica o dallAsia o da entrambi questi continenti, che con penetrazioni successive portarono questa
specie, nellarco di circa mezzo milione di anni, a popolare per la prima volta lEurasia dopo aver abbandonato le
savane africane, intorno a circa a un milione di anni fa. Le variazioni del volume dei ghiacci continentali determinarono
infatti importanti oscillazioni delle linee di costa che influirono sullassetto delle terre emerse. Queste modificazioni del
paesaggio costiero mediterraneo resero possibili, durante il Pleistocene inferiore e linizio del medio, in una fase
cronologicamente precedente a 500.000 anni fa, migrazioni di gruppi di Homo erectus dallAfrica allEuropa attraverso
Gibilterra e la penisola iberica, attraverso la Sicilia e la penisola italiana e dallAsia occidentale attraverso la penisola
balcanica; le evidenze archeologiche sembrano costituire una conferma almeno per quanto concerne i primi due percorsi.
In base alla diversa incidenza nelle industrie litiche degli strumenti su ciottolo o su scheggia si pu distinguere un
insieme di siti caratterizzati dalla presenza pi o meno consistente di manufatti su ciottolo, talora associati a strumenti
su scheggia, da un gruppo con industrie su scheggia prive di ciottoli. Questa contemporaneit di due tradizioni litiche
diverse, o solo apparentemente diverse, pu infatti non essere la testimonianza diretta di distinzioni tra gruppi culturali
diversi, poich industrie tra loro differenziate dalla presenza di strumenti su ciottolo o su scheggia possono anche
riflettere attivit altrettanto differenziate nellambito di gruppi umani partecipi della medesima tradizione tecnologica.
Per tale motivo necessario rilevare come le condizioni di giacitura dei reperti archeologici nel terreno e le modalit di

raccolta di essi possano avere notevolmente influito sulla reale rappresentativit di alcune industrie e sullincidenza di
determinati tipi di manufatti.
La fase di Isernia La Pineta
Luomo ha dunque stabilito il primo contatto con la penisola. Diversi tipi di ambienti, come le aree costiere, le pianure
interne, le sponde di grandi fiumi o di antichi bacini lacustri, sono state frequentate durante la fase arcaica del
Paleolitico inferiore. Nessuna struttura di abitato per ci indica lentit dellimpatto di questi primi gruppi
umani sullambiente circostante, n il grado di trasformazione che essi dovettero apportarvi per assicurasi la
sopravvivenza nei territori occupati. Tutto ci che appare estremamente confuso, indeterminato e frammentario nella
cultura umana, ridotto a pochi strumenti in pietra scheggiata , alla soglia di 736.000 anni fa, improvvisamente
condensato con il massimo dellevidenza in un sito. A Isernia La Pineta nel Molise, infatti, circostanze favorevoli hanno
consentito la conservazione di un vasto abitato del quale stato possibile ricostruire il contesto paleogeografico, avere
datazioni assolute, individuare strutture abitative, definire unimponente associazione faunistica e i caratteri di
unabbondante industria litica. Il giacimento preistorico in questione risulta cos uno tra i pi vasti e significativi
accampamenti di Homo erectus noti in Europa (tavola).
Lambiente che accolse linsediamento umano di Isernia era, in base ai molti dati naturalistici recuperati, unampia
pianura, ricca derba e con qualche albero sporadico, solcata da un corso dacqua che durante la breve stagione delle
piogge andava soggetto ad esondazioni. In questo paesaggio vivevano grandi mammiferi che pascolavano nelle aree pi
aperte muovendosi alla ricerca di macchie verdi necessarie al loro sostentamento. Tra i resti faunistici le specie pi
rappresentate sono il bisonte e il rinoceronte; assai frequente anche lelefante e, in minore entit, lorso e
lippopotamo, mentre sono rari i cervidi, il daino, il megacero e il cinghiale. Il clima doveva presentare due stagioni,
una lunga arida e una breve umida con precipitazioni annuali, affinch si sviluppassero vaste superfici di pascolo adatte
alle mandrie di erbivori.
Nonostante il pericolo di inondazioni i gruppi umani tornarono ripetutamente ad accamparsi in questa localit, come
attesta lampiezza dellarea interessata dai resti archeologici; frequentazioni stagionali in un luogo favorevole allattivit
di caccia, delimitato da una fiume e da terreni paludosi che proteggevano da animali pericolosi.
La presenza dei cacciatori paleolitici documentata non solo dai resti di caccia, ma dagli strumenti litici che essi
usavano per le varie attivit quotidiane e dalle strutture abitative dove questi cacciatori vivevano. I manufatti di pietra
utilizzano selce e calcare; gli strumenti in selce, rappresentati per la maggior parte da denticolati, ma anche da grattatoi,
raschiatoi e becchi, sono molto pi numerosi di quelli in calcare, usati nella produzione di chopper e di qualche
scheggia ritoccata.
Con questi strumenti e senza dubbio con altri, di cui non si sono conservate le tracce, come ad esempio il legno, luomo
di Isernia provvedeva alla sua sussistenza e alla costruzione di una struttura di bonifica sulle sponde del fiume, atta a
consolidare il terreno acquitrinoso. La scelta di grandi ossa, quali crani, zanne, bacini, ossa lunghe di elefante, assieme a
numerosi frammenti di travertino fu ben oculata per costituire la base della struttura di bonifica del terreno. La presenza
di aree abitative prive di ossa di animali, ma ricche di strumenti, fanno ipotizzare lesistenza di aree specializzate in
attivit particolari in diversi punti dellaccampamento
Il sito, occupato ripetutamente per brevi periodi in anni successivi, fu abbandonato definitivamente quando le attivit
vulcaniche e sismiche della zona si fecero intense e pericolose.
Leccezionalit dei resti archeologici riportati in luce a Isernia La Pineta documenta in unepoca cos antica
unorganizzazione socio-economica gi assai avanzata, come attestano le complesse attivit intraprese, quali
limponente struttura abitativa su bonifica o la caccia collettiva ai grandi mammiferi. I dati faunistici provano infatti che
il gruppo umano che occupava il sito di Isernia praticava una caccia sistematica e indirizzata verso un ampio spettro di
specie che rispecchia lesistenza di una collettivit socialmente organizzata e di strategie di sussistenza chiaramente
innovative nella penisola italiana.
A un periodo successivo ad Isernia, ma antecedente lo sviluppo dellAcheuleano possono essere riferite le industrie dei
livelli A-B di Loreto di Venosa in Basilicata e quelle rinvenute nel giacimento di Visogliano sul Carso triestino.

Lo stadio acheuleano
Molti complessi litici pi recenti della fase di Isernia La Pineta e distribuiti in un arco di tempo compreso tra le epoche
glaciali di Mindel e Riss sono stati attribuiti, in base alle caratteristiche tecniche, al Protolevalloisiano e al Clactoniano.
Queste industrie, prive di bifacciali, sono prevalentemente caratterizzate da strumenti su scheggia. Linterpretazione
delle possibili relazioni tra queste due tradizioni litiche o della loro reciproca indipendenza, ed il significato funzionale
della presenza/assenza di bifacciali, caratteristici invece dello stadio acheuleano, rappresentano un difficile argomento
di dibattito. Industrie di questo tipo sono state rinvenute nel Gargano in Puglia, in Abruzzo, nei dintorni di Roma, nel
Veneto e in Sardegna. Le due tradizioni litiche sono in realt difficilmente inquadrabili, non solo dal punto di vista
cronologico, ma anche culturale. La scarsit dei reperti, le raccolte di superficie parziali e la distinzione basata solo

sullo stato fisico dei manufatti (patina, fluitazione) non consentono al momento unulteriore definizione del significato
di queste tradizioni litiche nella penisola italiana.
Non siamo in grado di fissare con sufficiente precisione quando alle industrie su ciottolo succedono quelle a bifacciali.
NellAcheuleano vengono generalmente fatte rientrare le industrie con bifacciali di et compresa tra circa 500.000 e
150.000 anni fa; esse sono molto numerose e distribuite su tutto il territorio peninsulare. I termini estremi dello stadio
acheuleano si collocano tra i 458.000 anni di Fontana Ranuccio e i 200.000/150.000 anni a cui possono essere riferiti
siti dellAcheuleano finale, quali ad esempio Rosaneto in Calabria.
Il manufatto tipico di questo stadio , come stato detto, il bifacciale; sotto questa denominazione sono classificate
forme differenti di manufatti, derivate da ciottoli o grandi schegge, prodotte mediante ritocco semplice o scagliato in
modo da ricavare due facce principali. Un bifacciale pu avere un profilo triangolare, cuoriforme, ovale, discoide e a
mandorla (amigdala); il ritocco, ad ampi stacchi si estende alle due facce, talora parzialmente, determinando un
andamento dei margini sinuoso o rettilineo (tavola tavola). Lampia distribuzione delle industrie di tradizione
acheuleana levidente testimonianza di un incremento demografico rispetto alle fasi precedenti e di una particolare
adattabilit dei gruppi umani portatori di questa tradizione culturale alle diverse nicchie ecologiche.
Alcune aree privilegiate, come il gi ricordato bacino di Venosa, le rive del paleo Sacco nel Lazio meridionale o le
coste tirreniche a nord di Roma, presentano in questa epoca una concentrazione particolare di siti.
A Venosa, in localit Notarchirico, stata individuata uneccezionale sovrapposizione di diversi suoli dabitato molto
estesi con addensamenti di manufatti associati a resti di elefanti, bovidi e cervidi. Negli undici livelli messi in luce,
significativa lalternanza di industria a scarsi bifacciali e di industrie su scheggia totalmente prive di essi. La
presenza/assenza di bifacciali nei livelli di abitato suggerisce piuttosto delle diversit di adattamento a condizioni locali,
o a momenti particolari dettati da attivit diversificate (area di macellazione, area di sosta breve, estese superfici di
abitato), o, ancora, appare in relazione alla maggiore o minore frequenza di resti di fauna, mentre pi difficile
interpretare tale alternanza come manifestazione di gruppi tecnologicamente o culturalmente diversi. Il sito di
Notarchirico datato a circa 359.000 anni fa.
Nel territorio laziale sono state riconosciute nellambito dellAcheuleano tre fasi cronologicamente differenziate e
caratterizzate da una limitata estensione territoriale. Le tre fasi sono state riconosciute ad Anagni-Fontana-Ranuccio, in
uno dei livelli di Lademagne (Frosinone) e a Torre in Pietra e Pontecorvo.
AllAcheuleano sono riferibili molti altri siti distribuiti su buona parte della penisola tra i quali si possono ricordare i
rinvenimenti della Grotta del Principe ai Balzi Rossi in Liguria, il giacimento di Monte Conero presso Ancona, i
numerosi siti dellAbruzzo tra i quali si ricordi quello di Le Svolte di Popoli nella Conca Peligna, le numerose presenze
acheuleane del Gargano in Puglia, le diverse localit di Marina di Camerota presso Palinuro in Campagna ed infine il
rinvenimento di bifacciali nellisola di Capri.
Le fasi finali dellAcheuleano sono caratterizzate dalla comparsa della tecnica Levallois in industrie con rari bifacciali.
La scheggiatura pu avvenire in maniera non predeterminata, ma anche secondo uno schema prestabilito, al fine di
ottenere dei prodotti della scheggiatura di forma regolare adatti alla fabbricazione di strumenti. Uno di questi
procedimenti di produzione di schegge di forma regolare la tecnica Levallois; essa consiste nel preparare il nucleo
dandogli una forma regolare, ovalare, triangolare o rettangolare, predeterminando cos il distacco di una scheggia, una
punta o di una lama di forma predeterminata. Siti di questo momento finale dellAcheuleano sono presenti in numerose
localit del Pedeappennino emiliano-romagnolo, nel Veneto nelle Cave di Quinzano e a Monte Gazzo e nelle Marche; a
questa fase sono inoltre riferibili anche alcune raccolte di superficie della Toscana a sud dellArno, dove lincidenza dei
bifacciali scarsa, mentre lindustria su scheggia, ottenuta con tecnica Levallois abbondante. Una bassa incidenza di
bifacciali associata a schegge levallois caratterizza pure alcune industrie litiche del Gargano e il complesso di Rosaneto
presso Praia a Mare in Calabria.
La progressiva evoluzione dalle industrie della fase finale della tradizione acheuleana port allo sviluppo almeno in
parte dei complessi del Paleolitico medio. Nel corso dellultimo interglaciale diversi complessi litici presentano infatti
una serie importante di modificazioni strutturali. La progressiva scomparsa dei bifacciali, la standardizzazione spinta di
determinati tipi di strumenti, come le punte e i raschiatoi, e una maggiore regolarit dei prodotti della scheggiatura
preannunciano i caratteri tipologici dei futuri complessi wrmiani.
La comparsa dellHomo sapiens neanderthalensis e dei complessi musteriani, nellInterglaciale riss-wrmiano tra
130.000 e 80.000 anni fa, segna convenzionalmente la fine del Paleolitico inferiore.

La vita quotidiana durante il Paleolitico inferiore


La presenza dellHomo erectus documentata generalmente da concentrazioni di manufatti litici e di resti scheletrici di
animali che presentano tracce di macellazione, di taglio o fratture intenzionali. Lorganizzazione dello spazio abitato
pu risultare da alcune evidenze archeologiche come la diversa distribuzione di aree con resti ossei parzialmente
separate da aree con manufatti litici e tra questi dalla concentrazione differenziata di alcune categorie di strumenti (ad

esempio dei chopper e degli strumenti su scheggia), dalla presenza di superfici ricoperte di pietre di riporto
(acciottolati) e da pavimentazioni ottenute con pietre piatte o infine dallallineamento di blocchi di pietra. difficile
stabilire il significato reale di tali concentrazioni di reperti; nelle fasi pi antiche i resti sono pochi, cos probabile che
queste strutture corrispondessero a ripari, tende o a recinti di protezione dagli animali, mentre durante la fase pi
avanzata del Paleolitico inferiore, come abbiamo visto ad Isernia La Pineta e a Notarchirico, gli abitati diventano pi
estesi con allineamenti di pietre che delimitano aree di vari metri quadrati, capanne a pianta ovale, di cui ci rimangono
le buche dei pali (tavola), e veri fondi di capanna rappresentati da depressioni scavate nel terreno circondate da
muriccioli di pietra usati come paravento.
Con la comparsa dellHomo erectus si osserva una ben pi grande capacit di adattamento a differenti situazioni. Due
fattori hanno favorito questo adattamento:
la conoscenza del fuoco;
la maggiore importanza assunta dalla caccia e lapplicazione di nuove tecniche venatorie.
Le tracce di fuoco pi antiche che si conoscano risalgono ad un arco di tempo compreso tra 450.000 e 200.000 anni. I
pi antichi resti di carboni associati a un suolo dabitato provengono da Terra Amata presso Nizza in Francia (380.000
anni), da Vrtesszlls in Ungheria (430.000-350.000 anni) e da Torralba in Spagna (250.000-130.000 anni). Il
controllo del fuoco aument le possibilit di difesa, di conservazione e preparazione dei cibi e consent la creazione di
ambienti artificiali riscaldati, premessa della diffusione delluomo nelle regioni fredde.
I resti scheletrici degli animali cacciati rinvenuti negli abitati del Paleolitico inferiore provano che le attivit venatorie si
erano raffinate. Le armi impiegate nella caccia sono, in base a quanto noto sino ad ora, il giavellotto di legno e forse
la zanna di elefante. Prove delluso di giavellotti in legno sono state documentate a Clacton-on-Sea in Inghilterra e a
Schningen (400.000 anni) in Germania. In entrambe le localit sono stati rinvenuti frammenti di giavellotti in legno:
nel primo caso si tratta di un frammento di punta, mentre nel caso tedesco furono rinvenuti i frammenti di ben cinque
giavellotti di cui uno rotto in due pezzi e lungo pi di due metri. I giavellotti di Schningen erano utilizzati nella caccia
ai cavalli lungo le sponde di un piccolo lago. Accanto alle armi dovevano essere adottate anche altre tecniche, quali le
trappole artificiali e il fuoco.
Le tecniche di caccia acquisite consentivano labbattimento sistematico di grandi mammiferi come lelefante, il
rinoceronte, il cavallo, il cinghiale, lo stambecco e il bue primigenio. La scelta era orientata di preferenza verso gli
individui giovani che potevano essere pi facilmente isolati e cacciati e davano anche carne di migliore qualit. Mentre
si osserva un continuo sviluppo delle pratiche venatorie, sono pochissime le evidenze della raccolta di vegetali; allo
stesso modo sono rare le tracce di raccolta di molluschi marini.
Nel corso del Paleolitico inferiore muta anche lutilizzo delle varie parti degli animali cacciati. Se nei primi tempi era
sfruttata soprattutto la carcassa, in una seconda fase si osserva una decisa preferenza per le membra. Lo studio dei resti
scheletrici in vari siti acheuleani rileva che i cacciatori macellavano gli animali fuori dalle aree abitate quotidianamente,
abbandonandone la parte assiale dello scheletro e portando con loro gli arti anteriori e posteriori. inoltre documentata
la pratica di perforazione del cranio per consumare il cervello.
Lorganizzazione degli accampamenti e la pratica della caccia collettiva a prede di grande taglia, come agli elefanti e ai
rinoceronti, suggeriscono unorganizzazione sociale molto sviluppata.

Il Paleolitico Medio

Lambiente durante il Paleolitico medio


Al Paleolitico medio sono generalmente assegnati i complessi riferiti allHomo di Neanderthal i cui resti scheletrici
sono distribuiti nellEuropa meridionale e centrale, nel Vicino e nel Medio Oriente, entro un intervallo cronologico che
abbraccia lInterglaciale Riss-Wrm e una parte della glaciazione di Wrm allincirca tra 130.000 e 35.000 anni dal
presente.
Il miglioramento climatico che si verificato durante lInterglaciale Riss-Wrm d origine ad un nuovo sviluppo della
vegetazione arborea; buona parte dellEuropa temperata e parte di quella mediterranea viene ricoperta da un fitto bosco
di latifoglie. A questa fase temperata, con un clima caldo relativamente umido nel Mediterraneo occidentale ed arido
nelle regioni interne del Medio Oriente, segue un raffreddamento generale che segna linizio della glaciazione
wrmiana con una prima fase con clima freddo-umido, seguita da una fase successiva con clima freddo-arido. Durante
la glaciazione di Wrm il bosco tende a scomparire lasciando spazio a una vegetazione a prateria o a steppa.
Lespandersi della calotta glaciale artica determina un netto cambiamento climatico-ambientale che provoca successive
ondate migratorie di animali di ambiente steppico. Alcune specie che caratterizzavano il Pleistocene medio, quali

lelefante antico, il rinoceronte di Merck e lippopotamo si spostano verso i territori pi meridionali e si estinguono non
riuscendo ad adattarsi alle nuove condizioni climatiche. Contemporaneamente a questa migrazione verso territori pi
temperati, si verifica una lenta occupazione dellEuropa centrale e meridionale da parte di specie artiche, come ad
esempio il mammut, il rinoceronte lanoso, la renna, lalce, il bue muschiato e alcuni roditori (lemming). Leffetto della
glaciazione risulta mitigato nellarea mediterranea e tale situazione si ripercuote nella composizione delle faune;
durante le prime fasi del raffreddamento, infatti, sopravvivono ancora lelefante, lippopotamo e il rinoceronte assieme
a sporadiche presenze di faune fredde.

Laspetto fisico dellHomo sapiens neanderthalensis


Luomo di Neanderthal noto dai resti scheletrici di oltre 300 individui la cui distribuzione si estende dallEuropa
occidentale fino allattuale Uzbekistan in Asia centrale.
La parte dello scheletro con caratteristiche pi marcate costituita dal cranio; la sua architettura , infatti, assai diversa
da quella delluomo attuale. Il cranio delluomo di Neanderthal ha una capacit cranica media pari a 1.520 cc, di poco
inferiore a quella delluomo di Cro-Magnon (Homo sapiens sapiens), ma superiore alla media delluomo attuale. La sua
forma si differenzia da quella del sapiens, giacch essa pi lunga, larga e meno alta. Losso frontale meno elevato,
pi sfuggente. Nella parte anteriore si osserva un notevole rigonfiamento continuo (torus) che forma due archi in
corrispondenza delle orbite. La faccia prognata, con grandi orbite rotonde; il mento spesso assente.
Le ossa dello scheletro sono in generale pi robuste di quelle dellHomo sapiens, ma nel caso degli arti evidente come
lavambraccio e la parte inferiore della gamba fossero relativamente corti. La statura media pari a 166 cm. La taglia
piuttosto piccola, lossatura robusta e le estremit corte testimoniano ladattamento a un clima freddo.

Il Musteriano
Il termine Musteriano, derivato dalla localit omonima di Le Moustier in Dordogna (Francia), designa linsieme delle
industrie del Paleolitico medio. Le industrie litiche musteriane (tavola) rappresentano lo sviluppo di quelle gi note
durante il Paleolitico inferiore rispetto alle quali per documentano le seguenti caratteristiche di innovazione
tecnologica:
perfezionamento della tecnica di scheggiatura levalloisiana;
perfezionamento della tecnica di lavorazione dei bifacciali;
differenziazione e standardizzazione degli strumenti su scheggia, in particolare modo delle punte
e dei raschiatoi;
incremento degli strumenti ricavati da supporti laminari.
La distinzione delle varie industrie riferibili al Paleolitico medio dellEuropa e del Vicino Oriente si basa sulle
differenze riscontrate nella tecnica di scheggiatura dei manufatti di pietra (presenza/assenza della tecnica Levallois) e
sulle diverse incidenze di particolari tipi di strumenti (come ad esempio i raschiatoi o i denticolati). Queste
caratteristiche consentono di distinguere quattro principali complessi musteriani secondo lo schema classico francese
(Musteriano di tradizione acheuleana, Musteriano tipico, Charentiano, suddiviso tra un tipo La Quina e uno Ferrassie, e
Musteriano a denticolati).
Il Musteriano di tradizione acheuleana diffuso in unarea limitata, comprendente le regioni europee occidentaliatlantiche. Industrie litiche che presentano generici caratteri del Charentiano sono invece diffuse nelle regioni
mediterranee e nellEuropa centrale. Il Musteriano tipico ampiamente distribuito in tutta lEuropa e nel Vicino
Oriente, mentre il Musteriano a denticolati presente nel Levante spagnolo, Italia settentrionale, Vicino Oriente e
litorale transcaucasico.
Allo stato attuale delle conoscenze difficile tracciare un quadro generale del Musteriano italiano a causa dello stato
lacunoso dei dati archeologici e soprattutto di quelli paleocologici. Pur nella variet dei numerosi aspetti documentati,
possibile distinguere due aree principali una centro-settentrionale e una centro-meridionale. Durante il momento iniziale
del Paleolitico medio, corrispondente alla fase climatica Wrm I, i territori del centro-nord dellItalia documentano la
presenza di complessi riferibili al Musteriano tipico con una forte incidenza nella tecnologia litica della tecnica
Levallois soprattutto nel versante alto-adriatico. Nel Lazio costiero e nelle regioni centro-meridionali invece sono
attestate industrie litiche riferibili al Charentiano tipo La Quina. Nel corso della fase climatica Wrm II, si verifica un
processo di unificazione con laffermarsi su tutto il territorio della penisola italiana, tranne poche eccezioni a livello
regionale, di un Musteriano tipico con presenza abbondante di raschiatoi e di strumenti tipici del successivo Paleolitico
superiore, quali bulini, grattatoi, becchi, ecc. Alla fine di questa fase e agli inizi del Wrm II-III, in diverse regioni

italiane si sviluppa un Musteriano a denticolati, caratterizzato da un generale decadimento tecnologico, con una netta
diminuzione della tecnica Levallois che talora scompare del tutto e con una riduzione della variet tipologica degli
strumenti a favore di quelli denticolati.
Tra i vari aspetti regionali pi interessanti del Paleolitico medio italiano si annovera il Pontiniano presente in
accampamenti allaperto o in grotta del Lazio, delle aree costiere della Toscana, della Campania e della Puglia. Il
Pontiniano considerato una variazione del Charentiano tipo La Quina, condizionato dallimpiego nella fabbricazione
degli strumenti di piccoli ciottoli arrotondati. Dai ciottoli, dimezzati dalle prime percussioni, o dalle schegge ricavate
successivamente con ripetuti distacchi (calotte, spicchi), si arrivava ai manufatti finiti; gli strumenti risultano di piccole
dimensioni e conservano per tale ragione buona parte del cortice.

LItalia settentrionale durante il Paleolitico medio


NellItalia settentrionale si possono distinguere tre aree geografiche principali: area ligure, area padana e Carso triestino.
La maggiore concentrazione di localit che hanno restituito reperti del Paleolitico medio si trova nel Veneto, anche se,
con minor frequenza, altri ritrovamenti sono documentati in Liguria, Piemonte, Emilia Romagna e Friuli-Venezia Giulia
(tavola).
In Liguria le pi antiche testimonianze di una frequentazione da parte di gruppi umani del Paleolitico medio sono
attestate alla Barma Grande, ai Balzi Rossi e nella grotta della Madonna dellArma. Lo strato sottostante al livello con
reperti musteriani di questultima localit stato datato, con il metodo delluranio-torio, tra 100.000 e 90.000 anni fa.
Le industrie litiche sono in calcare, costituite da grosse schegge e nuclei; ad esse associata un tipo di fauna a grandi
pachidermi (elefante, ippopotamo e rinoceronte).
Nelle fasi successive, e in particolare durante il Wrm I e I-II, si registra un lenta evoluzione delle industrie litiche che
mostrano una certa variabilit tecnica e tipologica. Si ricordino a questo proposito i livelli riferibili al Musteriano tipico
ricco di raschiatoi presenti nella Barma Grande, nella Grotta del Principe, nella Caverna delle Fate, nella Grotta di
Madonna dellArma e in quella di S. Lucia di Toirano.
Durante il Wrm II, fase climatica fredda ed arida, sopravvive tra i grandi pachidermi solo il rinoceronte, mentre sono
presenti il cavallo, lo stambecco, il camoscio e la marmotta, in alcuni casi pure documentata la renna. Il passaggio a
un Musteriano a denticolati, riferibile cronologicamente a questa fase climatica, documentato nel Riparo Mochi e
nello strato superiore della Grotta di S. Lucia.
Di particolare rilievo infine lindustria litica rinvenuta nella localit S. Francesco di Sanremo, dove la tecnica e la
tipologia Levallois presentano manufatti ricavati da supporti laminari; tra gli strumenti, interessante rilevare la bassa
incidenza dei raschiatoi a favore dei denticolati e degli strumenti di tipo Paleolitico superiore, quali bulini e coltelli a
dorso. Questa industria forse riferibile alla fase climatica Wrm II-III.
Il bacino padano presenta una sostanziale omogeneit ambientale e morfologica a cui fa spesso riscontro una simile
omogeneit degli aspetti tipologici e culturali delle industrie del Paleolitico medio. Le localit interessate dalla
frequentazione di gruppi di musteriani sono, nella quasi totalit dei casi, distribuite sui primi rilievi posti al margine
della grande pianura alluvionale del Po. In particolare essi sono concentrati nel territorio veronese (Monti Lessini) e
vicentino (Monti Berici), dove numerose sono le grotte e frequenti i ripari sotto roccia. A questo proposito, si ricordino
le seguenti localit: Riparo Tagliente, Riparo Mezzena, Riparo Zampieri, Grotta A di Veia, Grotta della Ghiacciaia e
Riparo di Fumane in provincia di Verona e Grotta del Broion e le grotte Maggiore e Minore di S. Bernardino in
provincia di Vicenza. I giacimenti preistorici menzionati sono caratterizzati, in genere, da imponenti depositi
archeologici che si sviluppano con serie stratigrafiche anche di vari metri. Le testimonianze della presenza umana si
succedono abbondanti, spesso in modo ininterrotto, per lo pi rappresentate da manufatti litici e da resti ossei degli
animali cacciati dalluomo.
La sequenza messa in luce nel Riparo Tagliente in Valpantena presso Verona rappresenta un valido riferimento per un
inquadramento generale del Musteriano della valle Padana. Le industrie litiche del Paleolitico medio sono contenute in
un deposito dello spessore complessivo di tre metri. Tre cicli principali sono stati riconosciuti nella storia della sua
formazione; essi abbracciano un arco di tempo piuttosto lungo riferibile alla fase climatica Wrm II.
Le industrie litiche, sempre ricavate dalla selce, si caratterizzano per la presenza della tecnica di scheggiatura Levallois,
con unincidenza pi elevata nei livelli archeologici pi antichi ed una progressiva diminuzione di questa tecnica in
quelli pi recenti. Tra le varie classi tipologiche degli strumenti, quella dei raschiatoi risulta essere la classe che incide
maggiormente.
La maggiore parte dei depositi citati con resti del Paleolitico medio del Veneto riferibile a un Musteriano tipico,
mentre lindustria litica della Grotta Maggiore di San Bernardino sui Colli Berici, riferibile cronologicamente alla fase
climatica Wrm I, presenta un carattere che lavvicina al Charentiano. Lincidenza della tecnica Levallois ridotta; gli
strumenti sono di piccole dimensioni e comprendono molti tipi caratteristici del successivo Paleolitico superiore, quali

bulini, grattatoi, troncature e becchi. I raschiatoi sono sempre numerosi, anche se nei livelli pi recenti della sequenza
stratigrafica riducono la loro incidenza a favore degli strumenti denticolati.
Il caso specifico delle localit del Carso triestino che hanno restituito manufatti musteriani verr trattato nel paragrafo
dedicato al Paleolitico medio nel Friuli-Venezia Giulia.

La vita quotidiana dellHomo sapiens neanderthalensis


La grande quantit di resti ossei di animali, presente nei depositi del Paleolitico medio, prova limportanza
fondamentale della caccia quale attivit di sostentamento delluomo di Neanderthal. Durante i periodi con un clima pi
temperato, la composizione dei mammiferi cacciati riflette la variet degli ambienti circostanti le localit dove erano
posti gli accampamenti. Gli studi dei resti ossei degli animali rivelano la presenza di specie diverse, tra le quali grandi
pachidermi, equidi e cervidi; le prede cacciate dai Musteriani erano quindi in prevalenza erbivori. In condizioni di
maggiore rigidit climatica, che si verifica soprattutto nel Wrm II, la caccia tende a specializzarsi fino al punto di
spingere alcuni gruppi musteriani a basare la loro economia e la loro cultura materiale sullo sfruttamento intensivo di
una sola specie. Tale adattamento a particolari condizioni ambientali ben documentato sia nel caso dei gruppi di
cacciatori penetrati nelle regioni montane dellEuropa centrale e specializzatisi prevalentemente nella caccia allorso
delle caverne sia nel caso delle comunit musteriane delle regioni steppiche dellEuropa orientale dove la
specializzazione della caccia si era orientata esclusivamente verso il mammut.
I metodi di caccia dei musteriani sono attualmente difficili da ricostruire. Si pu ipotizzare che i cacciatori del
Paleolitico medio praticassero sistematicamente la caccia collettiva, utilizzando come arma da getto, una lancia dotata
di punta di pietra. Erano sicuramente impiegate nella caccia ad animali con comportamento gregario anche trappole
costituite da rilievi naturali, quali dirupi e crepacci; gli animali di grande taglia invece venivano catturati spingendoli in
terreni paludosi dove, dopo averli abbattuti, erano macellati.
Per alcune regioni, quale la Francia meridionale, stata prospettata lesistenza di territori di caccia definiti, entro i quali
i Musteriani si spostavano ciclicamente da un abitato principale corrispondente al campo base ad altri secondari, usati
come accampamenti temporanei frequentati stagionalmente. In regioni pi ricche di risorse, il modo di vita potrebbe
essere stato pi sedentario.
Pochissimi sono i dati che si riferiscono al ruolo della raccolta dei vegetali, della raccolta dei molluschi e della pesca.
Lalimentazione, a quanto si pu affermare sulla base dei risultati degli studi sullusura dentaria, era prevalentemente
carnea. In alcuni siti costieri sono stati raccolti anche molluschi marini, ma solo per ricavarne degli strumenti.
Gli abitati delluomo di Neanderthal sono di vario tipo; anche se, rispetto al Paleolitico inferiore, quelli in grotta o sotto
ripari rocciosi risultano pi numerosi. Le cavit vennero probabilmente frequentate durante la stagione fredda, e i rigori
della glaciazione wrmiana giustificherebbero, almeno in parte, tale mutamento di abitudini. Queste sedi attestano
spesso la presenza di strutture abitative diversificate con aree delimitate da blocchi di pietra con focolari al centro che
dovrebbero costituire ci che rimane delle capanne addossate alle pareti delle grotte e dei ripari. Nelle pianure
dellEuropa centro-orientale sono frequenti invece gli accampamenti allaperto con strutture abitative costituite da
cumuli di ossa di mammut con andamento circolare che dovevano assicurare al suolo una probabile copertura di pelli
(tavola).
Lapprovvigionamento delle materie prime necessarie alla produzione degli strumenti litici avveniva di solito entro un
raggio di 10-20 chilometri dagli accampamenti residenziali. Aree dove si lavorava la pietra (officine litiche) sono note
sia nei pressi delle strutture abitative sia isolate, in prossimit degli affioramenti di selce.
Assieme alla selce alcuni gruppi musteriani hanno prodotto degli strumenti dalle materie dure animali: schegge
appuntite dosso sono state lavorate in modo da ricavare dei punteruoli; in altri casi i margini di schegge dosso sono
stati ritoccati, con metodi simili a quelli usati nella lavorazione della selce, ottenendone raschiatoi. In alcuni siti costieri
della penisola italiana, come nelle caverne dei Balzi Rossi in Liguria, nella Grotta dei Moscerini nel Lazio e nelle grotte
del Cavallo, di Uluzzo, Bernardini e di Serra Cicora nel Salento in Puglia, attestata la presenza di raschiatoi ricavati
dalle valve di conchiglie di Callista chiome.

Sepolture, cannibalismo ed astrazione delluomo di Neanderthal


Nel Paleolitico medio compaiono le prime testimonianze di riti funerari. Il culto dei morti da parte dellHomo
neanderthalensis , infatti, ben documentato da un numero discreto di sepolture distribuite nellEuropa meridionale, nel

Vicino e Medio Oriente; in particolare, sepolture intenzionali di individui di Neanderthal sono state messe in luce in
grotte della Francia, dellIraq e della Palestina.
Le sepolture sono prevalentemente in fossa, sotto tumulo o in anfratti della parete della grotta; il corpo veniva deposto
sul dorso o su un fianco con gli arti inferiori pi o meno flessi. In alcuni casi la presenza di ossa di animali trovate
presso lo scheletro umano sono state interpretate come unofferta funeraria.
Di particolare importanza, quale testimonianza dellattenzione riservata ai defunti dalluomo di Neanderthal, la
sepoltura di nove scheletri, sette adulti e due bambini, rinvenuti nella Grotta di Shanidar in Iraq. In un caso un individuo
maschile di 30-45 anni, deposto in posizione flessa entro un circolo di pietre, era disteso, in base a quanto rilevato
dallanalisi dei pollini fossili, su un letto di fiori con i quali era stato anche ricoperto.
Relativamente al culto dei morti, oltre alle sepolture intenzionali, sono stati riconosciuti anche rituali particolari, quale
lusanza di conservare parti dello scheletro dei defunti. Lesempio classico quello della Grotta Guattari a S. Felice
Circeo nel Lazio (tavola). In un anfratto interno di questa grotta fu scoperto, al centro di un cerchio di pietre, il cranio di
un neanderthaliano che presentava il foro occipitale allargato e rivolto verso lalto. Lallargamento del forame, praticato
per estrarne il cervello, stato considerato la prova di un atto intenzionale di cannibalismo rituale. La recente
riconsiderazione dei dati ha sollevato molti dubbi su questa interpretazione e ha prospettato lipotesi secondo la quale il
cranio sarebbe stato introdotto nella grotta da carnivori che la frequentavano come tana. La disarticolazione e
scarnificazione delle ossa umane e lestrazione del midollo osseo, attestate ad esempio a Krapina in Croazia e nella
Grotta dellHortus in Francia, proverebbero invece che una forma di cannibalismo era praticata da parte delluomo di
Neanderthal.
Il rinvenimento di resti di orsi sepolti sotto tumuli, in ciste litiche o in fosse ricoperte da lastre hanno portato alcuni
studiosi a ipotizzare un vero e proprio culto dellorso praticato dai Musteriani. Tali interpretazioni vanno per assunte
con cautela, anche se innegabile che questo animale abbia assunto in determinate regioni dellEuropa un ruolo di un
certo rilievo nella sussistenza e nella cultura materiale dei neanderthaliani. Senza voler postulare quindi una vera e
propria religione dellorso sembra evidente che questo plantigrado dovesse ricevere una certa importanza anche nella
cultura spirituale dei Musteriani, specialmente nelle aree dove la caccia a questo animale era pi intensa.
Prove archeologiche di comportamenti simbolici o attestanti una certa astrazione sono il rinvenimento in strati riferibili
allultima fase del Musteriano di sostanze coloranti o di oggetti tinti con ocra, di fossili e minerali raccolti al di fuori
dellaccampamento e di ossa incise con motivi geometrici (linee parallele, zig-zag). Si deve infine segnalare il
rinvenimento nella Grotta di Divje Babe I in Slovenia di un frammento di femore di orso delle caverne con tre fori
artificiali che lo scopritore interpreta come flauto. Se questo oggetto una forma di flauto primordiale ci prova che
luomo di Neanderthal era in grado di concepire e creare dei suoni musicali e tale ipotesi proverebbe che linvenzione
della musica molto pi antica di quanto si pensi.

Il Paleolitico Superiore

La comparsa dellHomo sapiens sapiens


Il Paleolitico superiore viene comunemente collegato alla diffusione dellHomo sapiens sapiens.
Il problema della reale determinazione del limite tra Paleolitico medio e superiore interessa la comparsa di gruppi umani
con caratteristiche fisiche simili a quelle delluomo attuale. La discussione centrata su due tesi opposte: quella di
unorigine africana recente dellHomo sapiens sapiens che mediante una migrazione verso nord-est avrebbe popolato il
resto del Vecchio Mondo (modello della sostituzione) e quella di unorigine antica attraverso una lenta evoluzione
dalle forme precedenti in Africa, in Asia e in Europa (modello multiregionale). La collocazione cronologica e
geografica dei resti pi antichi di uomo moderno sembra dare pi credito alla prima tesi.
I risultati di una recente analisi genetica condotta su 147 popolazioni attuali confermerebbero il modello della
sostituzione. 133 popolazioni di questo campione presentano infatti tipi di DNA mitondriale derivati per mutazioni
successive da un unico ceppo, che varie considerazioni ritengono africano. La comparsa di questo comune progenitore
di un uomo geneticamente moderno, che potremmo identificare con una ipotetica Eva africana, poich il DNA
mitocondriale si trasmette lungo la linea femminile, collocata tra 290.000 e 140.000 anni fa nelle regioni dellAfrica
centro-meridionali. La sua prima migrazione fuori dai territori africani sarebbe quindi avvenuta tra 180.000 e 90.000
anni fa, in tale modo i dati che attribuiscono circa 100.000 anni ai pi antichi reperti di Homo sapiens sapiens della
Palestina e meno di 40.000 anni a quelli pi antichi europei confermerebbero quanto ottenuto dai risultati della ricerca
genetica.

Resta da stabilire dove e quando luomo moderno abbia sviluppato linsieme dei comportamenti che lo differenziano da
quelli delluomo di Neanderthal. In Europa, parallelamente allestinzione dei Neanderthaliani e alla comparsa dei primi
uomini moderni, si realizza il passaggio dal Paleolitico medio al Paleolitico superiore, caratterizzato da mutamenti
comportamentali che interessano il modo di vita, le strutture abitative, leconomia, lorganizzazione sociale e la
spiritualit. I due fenomeni, biologico e culturale sono in stretta connessione: il Musteriano, inteso come linsieme dei
complessi del Paleolitico medio, espressione delluomo di Neanderthal; lAurignaziano, primo complesso del
Paleolitico superiore, la prima evidente testimonianza dellHomo sapiens sapiens.
Le pi recenti scoperte hanno tuttavia dimostrato che i complessi pi arcaici dellEuropa occidentale tradizionalmente
attribuiti allinizio del Paleolitico superiore, quali il Castelperroniano in Francia e nella Spagna nord-occidentale e
lUluzziano nellItalia centro-meridionale, appaiono in continuit con gli ultimi aspetti del Musteriano riferibili ancora
a gruppi di Neanderthaliani di cui rappresentano le ultime manifestazioni culturali.
In Europa il passaggio dal Musteriano allAurignaziano sempre brusco nelle regioni in cui questo primo complesso
del Paleolitico superiore compare precocemente; in aree marginali invece si interpongono i cosiddetti complessi di
transizione, quali il Castelperroniano e lUluzziano. Le pi antiche datazioni di localit dellEuropa meridionale con
presenze aurignaziane sono attestate nella Penisola balcanica (39.000-35.000 anni fa), nellItalia settentrionale, in
Veneto e Liguria (38.000-35.000 anni fa), in Spagna nella Catalogna attorno a 39.000-38.000 anni da oggi e in Francia
nella Dordogna tra 34.000-33.000 anni fa. Sembra che luomo moderno sia comparso in un momento precoce nelle
regioni meridionali dellEuropa e da qui si sia poi diffuso verso le regioni centrali e verso i territori dellEuropa
occidentale-atlantica.

Le caratteristiche fisiche dellHomo sapiens sapiens


Come stato indicato in precedenza il periodo glaciale di Wrm caratterizzato da due stadi freddi separati da una
lunga fase pi temperata (che si protrae tra 50.000 e 25.000 anni fa), durante la prima parte del quale luomo di
Neanderthal scomparve dallEuropa e fu sostituito dalluomo moderno. I rapporti cronologici e genetici tra queste due
sottospecie non sono ancora chiari, ma la maggior parte degli studiosi ritiene che i neanderthaliani rappresentino una
forma troppo specializzata per dare origine in poche migliaia di anni alluomo moderno. LHomo sapiens sapiens
potrebbe pertanto essere comparso in Europa per migrazione da territori diversi del Vicino Oriente.
Il nuovo tipo umano si diffonde in tutti i continenti, anche in Australia e nelle Americhe; rispetto alle forme precedenti
si differenzia per il cranio alto, lassenza del toro sopraorbitario, la fronte diritta, la faccia piatta, il mento prominente,
loccipitale arrotondato, la statura pi alta e una diversa proporzione tra gli arti. Come prototipo di questo nuovo tipo
umano stato considerato lindividuo "anziano", di circa 50 anni det, rinvenuto nel 1868 nel riparo di Cro-Magnon in
Dordogna (Francia), che ha dato il nome ai resti pi antichi di Homo sapiens sapiens.
Le innovazioni comportamentali delluomo moderno investono tutte le sfere della sua attivit quotidiana e spirituale.
Tali comportamenti, che solo in pochi casi erano gi attestati nelluomo di Neanderthal, sembrano avere origine dalle
nuove e pi complesse facolt cerebrali dellHomo sapiens sapiens, che consentirono lo sviluppo del linguaggio
articolato e di capacit simboliche e cognitive.
Con luomo moderno il processo di encefalizzazione giunge al suo culmine e il nostro cervello raggiunge un volume
compreso in media tra 1.500 e 1.600 cc. Si tratta di un organo dalle dimensioni notevoli in relazione alle dimensioni
corporee complessive e che necessita di un apporto energetico altrettanto ragguardevole. Lampliamento delle capacit
intellettive non dipende naturalmente solo dal volume metrico del cervello, ma anche dai suoi processi di
riorganizzazione interna. Lespansione del volume inoltre non uniforme, ma interessa alcune aree particolari come ad
esempio quella destinata alle capacit associative e linguistiche. La particolare architettura cranica dellHomo sapiens
arcaico e dellHomo sapiens moderno pu aver consentito lo sviluppo della parte frontale del cervello destinata
allelaborazione di tali capacit.
Una volta che il linguaggio e le capacit cognitive simboliche sono entrate a fare parte delluniverso umano ne deriva
una conseguenza di portata incalcolabile: la possibilit di trasmissione per via non genetica del patrimonio di
conoscenze, di capacit tecniche, di modi di vita e di sapere rituale da una generazione allaltra. Tale trasmissione non
biologica delle capacit acquisite risulta cos il punto di partenza dellevoluzione culturale.
Nessun mutamento di carattere biologico ed anatomico ci differenzia dallHomo sapiens sapiens di 40.000-35.000 anni
fa. superfluo sottolineare quanto comportamenti, modi di organizzazione sociale e abitudini di vita si siano succeduti
e modificati nellarco di tempo che ci divide dalle fasi pi antiche del Paleolitico superiore e come queste modificazioni
siano la conseguenza dellevoluzione culturale che ha segnato la nostra storia, ma che potr subire anche dei nuovi
cambiamenti nel corso del suo sviluppo futuro.

Cronologia del Paleolitico superiore europeo


I complessi del Paleolitico superiore europeo si sviluppano nella parte recente dellinterstadio wrmiano, nel II
Pleniglaciale e nel Tardiglaciale, lungo un arco cronologico compreso tra 35.000 e 10.000 anni circa da oggi (tavola).
LAurignaziano , come abbiamo visto, il primo complesso europeo espressione dellHomo sapiens sapiens che,
affermatosi in vario modo tra 39/38.000 e 33.000 anni fa, termina attorno a 26.000 anni dal presente.
Ad esso segue in tutta Europa il Gravettiano, che si afferma durante il II Pleniglaciale fino alla fase fredda
caratterizzata dallacme glaciale attorno a 20.000 anni fa. Labbassamento generale della temperatura determina un
estensione delle grandi masse delle nevi e dei ghiacci presenti nelle catene montagnose europee che vanno a costituire
cos delle barriere naturali tra regioni vicine. I complessi che si affermano durante questa fase climatica subiscono,
anche forse a conseguenza di ci, una netta differenziazione culturale.
Nellarea occidentale atlantica si sviluppa dapprima il Solutreano, compreso tra 20.000 e 18.000 anni da oggi a cui
segue il Maddaleniano, tra 18.000 e circa 11.000 anni fa; nella penisola iberica, italiana e balcanica e nellEuropa
orientale le tradizioni gravettiane regionali persistono fino al Tardiglaciale wrmiano, dando origine ai complessi
epigravettiani. LEpigravettiano italico suddiviso in una fase antica, corrispondente allultima fase del Pleniglaciale
(allincirca tra 20.000 e 15.000 anni da oggi), e in due ulteriori fasi, un momento evoluto ed uno finale, che
corrispondono al Tardiglaciale wrmiano (tra 15.000 e 10.000 anni fa). La fine della glaciazione wrmiana fissata per
convenzione a 10.000 anni da oggi, data che corrisponde in cronologia radiocarbonica calibrata a 8050 150 anni a.C.
Questo limite cronologico non solo segna la fine del Paleolitico superiore e il passaggio al successivo Mesolitico, ma
coincide anche con il limite tra il Pleistocene e lOlocene che si riferisce al momento in cui il ritiro della calotta glaciale
consent lentrata dellacqua salata del Mare del Nord nellarea del Baltico.

Ambiente e territorio durante il Paleolitico superiore nellItalia settentrionale


Durante la glaciazione di Wrm, in conseguenza della regressione marina, la configurazione del territorio era ben
diversa dallattuale, e la possibilit di contatti e di scambi tra la penisola italiana e parte di quella balcanica era ben
maggiori (tavola).
NellInterpleniglaciale, fase calda dellera glaciale che si estende tra 50.000 e 25.000 anni dal presente, le aree
interessate dalla presenza dei ghiacciai erano un po pi estese delle attuali, poich nelle regioni montuose il limite delle
nevi perenni era un centinaio di metri pi basso di quello odierno. Le linee di costa si trovavano circa venti metri pi in
basso di quelle attuali. Il clima era generalmente freddo e arido, con dei momenti moderatamente pi temperati e umidi.
Il II Pleniglaciale wrmiano, tra 25.000 e 15.000 anni da oggi, segna un generale irrigidimento climatico che culminer
verso 20.000 anni fa con lacme glaciale in cui i ghiacciai continentali dellEuropa settentrionale e i ghiacciai alpini
raggiungeranno la massima espansione. La ritenzione di unenorme massa dacqua (regressione marina) determina un
abbassamento generale dei mari di circa 120 metri al di sotto del livello odierno. A conseguenza di ci, tutto lAlto
Adriatico emerse e la Pianura Padana si estese fino alle Alpi Giulie, al Carso, alle pendici dei rilievi istriani e alle Alpi
Dinariche. A nord di questa grande pianura, la cui linea di costa pi meridionale si estendeva tra Ancora e Zara, le
Prealpi Venete, le Alpi Dolomitiche e Carniche e le Caravanche in Slovenia furono intensamente ricoperte dalle masse
nevose perenni, mentre le Alpi Giulie e Dinariche, caratterizzate da rilievi meno elevati, non costituirono una barriera
naturale tra le regioni balcaniche e quelle mediterranee.
Nel Pleniglaciale il clima, generalmente freddo e con tendenza a divenire sempre pi continentale (con temperature
medie estremamente rigide nel mese di gennaio e relativamente alte in luglio) e arido determina, attorno alle aree
glacializzate, la formazione di un paesaggio di tundra e pi a sud di steppe fredde e di steppe arborate. Nelle aree pi
lontane dalle masse dei ghiacciai prevale una foresta di conifere, mentre la foresta mista confinata in ristrette aree di
rifugio. Le influenze continentali-balcaniche dovettero essere particolarmente marcate nelle regioni alto adriatiche della
penisola italiana come confermato dalla presenza di mammiferi, quali il mammut, il bisonte e la lepre fischiante.
Il ritiro definitivo delle masse glaciali dalle regioni dellEuropa settentrionale in relazione a un lento, ma progressivo
innalzamento della temperatura, segna linizio del Tardiglaciale wrmiano. Durante il Tardiglaciale, che interessa un
arco cronologico compreso tra 15.000 e 10.000 anni dal presente, vengono distinte delle fasi a clima freddo e arido
(Dryas I-III) intervallate da momenti temperato-umidi (Pre-Blling, Blling e Allerd), nel corso dei quali la
vegetazione, gli animali e quindi anche luomo si diffondono nuovamente in territori in cui in precedenza era
impossibile accedere, come ad esempio nellambiente montano.

Il Paleolitico superiore nellItalia nord-orientale


LAurignaziano segnalato nel Veneto nei Monti Lessini, nella Grotta di Fumane e al Riparo Tagliente, nei Colli
Berici, nella Grotta di Paina, in area prealpina e nelle Dolomiti Venete sul Monte Avena a 1430 metri di quota. Nella
vicina Slovenia sono inoltre note alcune localit che attestano la frequentazione aurignaziana nelle Caravanche, nelle
grotte di Potoka Zijalka a 1.700 metri di quota e di Mokrika a 1.500 metri, e nellaltopiano di ebrelje nella Grotta di
Divje Babe.
LAurignaziano pi antico del Veneto presenta delle industrie litiche che si differenziano nettamente da quelle del
precedente Musteriano, a partire dal modo di sfruttamento della materia prima, nelle modalit di preparazione dei nuclei,
e dalla morfologia dei prodotti della scheggiatura (lame), fino alle forme degli strumenti e delle armature (tavola). Esso
mostra degli aspetti innovativi anche dal punto di vista comportamentale, quali la presenza di strumenti ricavati dal
corno o dall'osso, di oggetti ornamentali e di oggetti decorati. Nella Grotta di Fumane, dove i pi antichi livelli
aurignaziani hanno unet superiore ai 35.000 anni, anche le strutture abitative presentano caratteristiche nuove; tali
elementi portano quindi a sottolineare la mancanza di una continuit tra Musteriano finale e Aurignaziano, confermando
la constatazione di netta rottura nella cultura materiale dei due complessi.
Gli insiemi aurignaziani del Riparo Tagliente e della Grotta di Paina sembrano appartenere al medesimo complesso;
tuttavia il forte inquinamento dello strato del primo, sia dal Musteriano sottostante sia dallEpigravettiano che si
sovrappone nella stratigrafia, e lesiguit numerica dei reperti rinvenuti nel secondo non consentono ulteriori
considerazioni.
Nella sezione pi orientale delle Alpi, le Caravanche, i depositi delle grotte Potoka e Mokrika hanno messo in
evidenza pi livelli di occupazione aurignaziana. I complessi di queste due cavit delle alpi slovene sono caratterizzati
nella cultura materiale oltre che dagli strumenti litici tipici dellAuriganziano anche da un numero cospicuo di punte
dosso. I resti faunistici indicano che i cacciatori aurignaziani frequentavano ambienti al limite tra bosco e prateria
alpina. Delle tre localit slovene con presenze aurignaziane lunica che stata datata la Grotta di Divje Babe, cui
stata attribuita unet di circa 35.000 anni dal presente. I ritrovamenti della Slovenia, riferibili a un momento successivo
rispetto a quelli del Veneto e privi di riscontri diretti con essi, sono attribuibili a unAurignaziano classico.
Se si accetta la tesi di una formazione dellAurignaziano nellarea balcanico-danubiana, e della sua successiva
diffusione verso occidente, le localit venete potrebbero indicare un percorso di questa diffusione lungo una direttrice
sudalpina. Presenze riferibili a questa prima fase aurignaziana e contemporanee, o di poco successive, a quelle venete
sono inoltre attestate al Riparo Mochi in Liguria. Tale constatazione spiegherebbe inoltre la precoce comparsa
dellAurignaziano in Provenza e in Linguadoca, rispetto ad altre regioni della Francia.
I rinvenimenti gravettiani ed epigravettiani antichi, collocabili cronologicamente tra 25.000 e 15.000 anni dal presente,
sono circoscritti a tre grotte dei Colli Berici nel Veneto, dove sono limitati a pochi manufatti. Le analisi dei pollini
fossili e dei resti faunistici hanno messo in evidenza come gli ambienti del Gravettiano e dellEpigravettiano antico
siano associati a paesaggi steppici, freddi e aridi.
I dati relativi al Gravettiano sono purtroppo ancora scarsi perch si possano fare considerazioni che non si limitino a
registrare la presenza di questi complessi sia nel Veneto sia nella vicina Slovenia. I confronti tra le industrie litiche dei
due territori sono invece pi puntuali durante lEpigravettiano antico, in particolare per la tipologia delle armi da getto
che caratterizzano questa fase. interessante sottolineare come nelle due aree le prede cacciate dai cacciatori
epigravettiani siano differenziate. Nei siti veneti gli animali che incidono maggiormente tra i resti faunistici sono lalce,
lo stambecco, il cervo e forse la marmotta, mentre in quelli sloveni la cacciagione sembra prevalentemente orientata
verso la renna.
La relativa frequenza e la qualit dei ritrovamenti della fine del Paleolitico superiore, che si colloca nel Tardiglaciale
wrmiano, tra 15.000 e 10.000 anni dal presente, consentono di stabilire le linee fondamentali dellevoluzione della
cultura materiale dellEpigravettiano evoluto e finale nei territori dellItalia nord-orientale (tavola).
La sequenza cui si fa riferimento quella messa in luce dalla stratigrafia del Riparo Tagliente in Valpantena nei Monti
Lessini. Le datazioni radiometriche e i dati paleoambientali collocano la parte pi recente della stratigrafia del Riparo
Tagliente in un lasso di tempo compreso tra la fase climatica fredda del Dryas Ib e loscillazione di Allerd, in termini
di cronologia assoluta tra 13.700 e 10.900 anni dal presente. Altri ritrovamenti, costituiti da industrie che per le loro
caratteristiche possono essere inquadrate nella sequenza del Riparo Tagliente oppure posso essere considerate posteriori,
estendono la successione dei complessi epigravettiani fino alla fine del Dryas III, allincirca fino a 10.200 anni da oggi.
Resti epigravettiani importanti, oltre a quelli del Riparo Tagliente, sono stati individuati nelle grotte del Ponte di Veia
anchesso nei Monti Lessini, nel Riparo Battaglia e ai Fiorentini negli altopiani vicentini, in alcune localit montane del
Trentino, quali Le Viotte del Monte Bondone, Terlago e Andalo, nel Riparo Soman in Val dAdige e nei Ripari
Villabruna nella Valle del Cismon. Nel Friuli possiamo citare le localit con resti epigravettiani, quali Piancavallo, le
Grotte Verdi di Pradis e il Bus de la Lum in provincia di Pordenone e il Riparo di Biarzo nella Valle del Natisone in
provincia di Udine.

Le industrie litiche trovate in queste localit hanno permesso di ricostruire la sequenza dellEpigravettiano italico
dellItalia nord-orientale. La successione cronologico-culturale dellEpigravettiano suddivisa in tre fasi. Essa stata
elaborata in base alla serie dei livelli pi antichi (16-11) del Riparo Tagliente, alla serie dei livelli pi recenti dello
stesso riparo (10-4) e allesistenza di un momento pi recente, non presente al Riparo Tagliente, ma documentato in
alcuni siti del Trentino e del Friuli.
La fase pi antica dellEpigravettiano italico dellItalia nord-orientale, presenta un paesaggio steppico con vegetazione
pioniera di clima freddo e arido che corrisponde nei momenti iniziali al Dryas Ib, caratterizzata da unindustria litica
in cui prevalgono i bulini sui grattatoi ed abbondano le troncature e le punte a dorso (microgravettes). I resti faunistici
rivelano la predominanza dello stambecco sullalce e sui bovidi. Questa fase, presente solo al Riparo Tagliente nei
livelli 16-11, pu essere attribuita ancora ad un Epigravettiano evoluto anche se, in base alle datazioni radiometriche
disponibili, pu essere inserita invece nellEpigravettiano finale.
La seconda fase, che si evolve durante le oscillazioni climatiche di Blling e di Allerd, caratterizzata da unindustria
litica in cui prevalgono i grattatoi sui bulini, diminuiscono le troncature e le punte a dorso e compaiono per la prima
volta i geometrici. Lambiente evolve verso una prateria arborata a conifere e caducifoglie, mentre gli animali pi
cacciati in questo tipo di paesaggio sono il cervo, il capriolo, il cinghiale e il camoscio. A questa seconda fase, presente
nei livelli 10-4 del Riparo Tagliente, sono inoltre attribuiti i siti dei Fiorentini, del Riparo Battaglia e delle Grotte Verdi
di Pradis. Questi insediamenti sono riferiti a un pieno Epigravettiano finale. Durante la fase climatica di Allerd, tra
11.700 e 10.900 anni dal presente, i cacciatori epigravettiani cominciano a penetrare nella montagna medio-bassa delle
Prealpi, ponendo i loro accampamenti allaperto in prossimit di zone umide o in ripari, tra i 1.000 e 1.600 metri di
quota.
Nella terza fase, documentata a Le Viotte di Bondone, Terlago e Andalo in Trentino e a Piancavallo e nel Riparo di
Biarzo in Friuli, prevalgono ancora i grattatoi sui bulini; incrementa inoltre lincidenza dei dorsi e troncatura. Uno
sviluppo delle armature geometriche, della tecnica del microbulino nella fabbricazione dei geometrici e dei manufatti di
piccole e piccolissime dimensioni (microlitismo) caratterizza questo ultimo momento dellEpigravettiano finale
collocato tra la fine del Dryas III e l'inizio del Preboreale, tra 10.500 e 9.900 anni dal presente.
Nei siti sloveni i mutamenti climatici del Tardiglaciale portano a una modificazione dellambiente che vede la
scomparsa della renna, sostituita dal cervo e dal capriolo. Le industrie litiche presentano unevoluzione simile a quella
riscontrata nellItalia nord-orientale.

La vita quotidiana durante il Paleolitico superiore


Durante il Paleolitico superiore leconomia ancora fortemente incentrata sulla caccia. La differenziazione ambientale
che si verifica durante il II Pleniglaciale, tra 50.000 e 25.000 anni fa, determina una diversificazione dei modi
sostentamento dei gruppi di cacciatori-raccoglitori in relazione alle diverse risorse disponibili. NellEuropa occidentale
la renna diviene la preda dominante, mentre nelle regioni mediterranee la composizione della fauna appare varia e
differenziata in base alle specifiche caratteristiche ambientali.
Nella fase finale dellEpigravettiano i mutamenti climatici determinati dalla fine dellera glaciale consentirono la
diffusione del bosco fino a quote prossime a quelle attuali. Tali nuove condizioni ambientali permisero alle bande di
cacciatori che vivevano in pianura e nella fascia prealpina dellItalia settentrionale di spingersi alla ricerca delle loro
prede fino a quote sempre pi elevate. Gli spostamenti avvenivano su base stagionale, passando dai campi invernali
situati in grotte e ripari delle Prealpi o nelle grandi valli alpine, la Valle dellAdige ad esempio, a insediamenti estivi
situati nella media montagna, tra 1.000 e 1.600 metri di quota. Questi accampamenti estivi, posti allaperto o sotto
piccoli ripari di grandi massi, vicino a laghetti e pozze dacqua, servivano alla caccia a cervi e stambecchi che
migravano stagionalmente in senso altitudinale verso le praterie poste al di sopra del limite del bosco.
Le tecniche di caccia nella fase pi antica del Paleolitico superiore erano probabilmente analoghe a quelle del
Paleolitico medio; le armi pi comunemente usate erano ancora lance, munite ora anche di punte di osso o di avorio.
Nella fase pi evoluta alle zagaglie si associano gli arponi, utilizzati anche nelle attivit di pesca.
Durante questo periodo si perfezionano inoltre i sistemi di immanicatura delle armi da getto e si sviluppa la pratica, che
verr ampiamente adottata nel Mesolitico, di fissare elementi litici di piccole dimensioni in serie (armature) su unasta
di legno o di osso usata come arma da getto. Il Paleolitico superiore vede anche linvenzione di un congegno atto a
scagliare le lance con maggiore efficacia e potenza: questo nuovo strumento il propulsore (tavola). Non invece
accertato luso dellarco, anche se alcune rappresentazioni artistiche ne potrebbero suggerire la comparsa.
La raccolta e la pesca sono documentati nel territorio europeo fin dalla fase pi antica del Paleolitico superiore, in
particolare nelle regioni mediterranee, dove la raccolta di molluschi marini si intensifica nellEpigravettiano finale,
come attestato dai cumuli di conchiglie (chiocciolai) presenti in numerose localit situate in prossimit delle coste.

Durante il Paleolitico superiore linsediamento tipo prevalentemente in grotta o in ripari sotto roccia; nellEuropa
centro-orientale sono invece noti numerosi accampamenti allaperto. Nellambito degli accampamenti ve ne sono alcuni
pi semplici con una o due abitazioni, ed altri pi complessi, con una notevole quantit di strutture. Questi abitati sono
costituiti tende o capanne, sia seminterrate sia al livello del suolo, a pianta circolare od ovale (tavola; tavola).
La presenza di aree specifiche destinate alla lavorazione della selce o di altre rocce dure allinterno degli abitati
suggerisce una divisione del lavoro, determinata dallabilit di alcuni individui del gruppo nella fabbricazione di
particolari strumenti litici. Anche la realizzazione delle grandi opere darte parietale potrebbe essere attribuita ad
artigiani specializzati mantenuti da ampie collettivit. Pare probabile che persone addette a pratiche di culto o a pratiche
magiche, con funzioni simili a quelle degli sciamani, godessero di una posizione privilegiata nella comunit.
Lindicazione della mobilit dei gruppi di cacciatori-raccoglitori del Paleolitico superiore pu essere determinata, oltre
che dai territori sfruttati stagionalmente durante le battute di caccia, anche dal rinvenimento di particolari materie prime
usate nella fabbricazione degli utensili, da conchiglie fossili o marine impiegate come ornamenti e da altri reperti di
varia natura provenienti da localit situate a grande distanza dagli accampamenti. Queste presenze, che alle volte
provano distanze anche di centinaia di chilometri, possono essere state il risultato di lunghe migrazioni o di contatti
occasionali tra gruppi diversi, almeno nella fase pi antica del Paleolitico superiore. La continuit di
approvvigionamento di una determinata materia prima, durante un momento pi avanzato del Paleolitico superiore,
prova invece lesistenza di scambi realizzati attraverso contatti sistematici tra gruppi diversi o spedizioni ripetute alla
localit di estrazione o di raccolta.

Le pratiche funerarie
Le testimonianze di sepolture del Paleolitico superiore sono molto pi abbondanti di quelle del Paleolitico medio. Esse
mostrano una notevole variet di riti, una pi complessa struttura delle sepolture e certa la funzione di corredo degli
oggetti associati ai defunti.
I cadaveri sono stati deposti in fosse appositamente scavate, pi o meno profonde, in posizione allungata (supina),
fortemente rattratta o leggermente ripiegata. La maggior parte delle sepolture presentano un corredo, costituito
prevalentemente da strumenti litici, generalmente di pregevole fattura, da manufatti in osso e corno, quali bastoni forati
e zagaglie, da oggetti ornamentali, quali conchiglie forate, denti di animali anchessi con foro di sospensione, vaghi in
pietra e in osso, vertebre di piccoli mammiferi e di pesci. Tali oggetti potevano formare collane, bracciali, cavigliere,
copricapi e talvolta associati in vario modo ornavano le vesti.
Frequente luso di ocra rossa, con cui veniva cosparso il fondo della fossa o il corpo dellinumato. In qualche caso
venivano collocati dei blocchi o lastre di pietra in corrispondenza della testa o di altre parti del corpo.
La maggior parte delle sepolture del Paleolitico superiore sono ritrovamenti isolati, in rari casi si tratta di sepolture
bisome di due individui, mentre nella parte finale di questo periodo il rinvenimento di numerose sepolture concentrate
in unarea riservata specificamente ad esse, suggeriscono lesistenza di vere e proprie necropoli. In questo senso
possono essere interpretati alcuni rinvenimenti fatti in Italia in depositi attribuibili allEpigravettiano finale, come ad
esempio le quindici sepolture delle Arene Candide in Liguria, le quattro sepolture della grotta del Romito in Calabria e
le cinque sepolture della Grotta di San Teodoro in Sicilia.

Le manifestazioni artistiche del Paleolitico superiore


I cacciatori del Paleolitico superiore hanno prodotto un numero molto elevato di opere darte, che in circostanze
favorevoli si sono preservate sino ai nostri giorni. Tradizionalmente si distingue tra una produzione darte mobiliare
(tavola) e una produzione darte parietale (tavola). Le manifestazioni artistiche paleolitiche hanno avuto una vasta
diffusione nel continente europeo, penetrando nelle regioni orientali talvolta fino nei territori siberiani.
Gli oggetti darte mobiliare sono stati ricavati da supporti ottenuti da ciottoli, lastre e blocchi di pietra o ricavati
dallosso, avorio e corno ed eccezionalmente dal legno che sono stati incisi, scolpiti o dipinti; pi raramente sono stati
modellati con largilla e quindi cotti. Essa nota in tutte le regioni europee ove vi siano testimonianze del Paleolitico
superiore; giacch gli oggetti darte mobiliare sono spesso rinvenuti durante gli scavi archeologici, essi sono quindi
riferibili a un preciso contesto cronologico e culturale. Larte mobiliare documentata in numerosi paesi, con frequenza
maggiore nella Francia sud-occidentale e nei Pirenei, in Moravia e nella Russia centrale.

Larte parietale, limitata alle regioni con grotte e ripari sotto roccia, maggiormente concentrata nellarea francocantabrica tra Francia centro-meridionale e Spagna settentrionale, anche se alcune localit con testimonianze artistiche
sono note in Italia meridionale, Portogallo, Romania e Russia.
Le tecniche di realizzazione delle incisioni e delle pitture parietali sono varie. In tutte le et sono state utilizzate
lincisione, il bassorilievo e la scultura a tutto tondo, mentre la martellinatura limitata allAuriganziano. In taluni casi
stata adottata la tecnica della raschiatura della superficie argillosa delle pareti, creando effetti di contrasto tra la
superficie pi scura dellargilla e quella pi chiara delle pareti calcaree. Frequentemente sono state utilizzate come
supporto delle opere darte parietale anche morfologie naturali di massi o pareti delle grotte. Nella pittura sono stati
usati soprattutto ossidi di ferro (ocra gialla, rossa e violetta), ossidi di manganese (nero), carbone (nero) sotto forma di
matita o di polvere applicati con spatole e pennelli.
Problematica appare lattribuzione delle opere darte parietale, generalmente realizzate nelle parti pi interne delle
grotte lontane dalle aree abitative poste allingresso e quindi distanti dai depositi archeologici. Solo in rari casi le opere
darte sono apparse ricoperte da un deposito, la cui attribuzione cronologica ne ha consentito una datazione. Ad
eccezione di questi casi, linquadramento cronologico delle opere darte rupestre pu essere realizzato solo con lanalisi
stilistica, attraverso il confronto con i pochi documenti parietali e gli oggetti darte mobiliare databili.
Su base stilistica dei siti dellarea franco-cantabrica sono stati distinti: un periodo pre-figurativo, corrispondente al
Castelperroniano, nel quale la produzione artistica limitata a bande di tratti incisi; un periodo primitivo, riferibile
allAurignaziano e Gravettiano, nel corso del quale compaiono le prime opere figurative, sia mobiliari sia parietali; un
periodo arcaico, attribuito al Solutreano e Maddalenniano antico, al quale risalgono gli insiemi di grandi blocchi
scolpiti e i maggiori complessi di pitture e incisioni parietali; un periodo classico, attribuito al Maddaleniano recente,
con la ricchissima produzione mobiliare, i grandi fregi scolpiti e molte grotte dipinte e incise. Con la fine del Paleolitico
superiore larte decade rapidamente.
I temi trattati dallarte parietale sono in prevalenza naturalistici; riproducono vari tipi di mammiferi (quali mammut,
cavalli, bisonti, uri, cervi, renne, stambecchi, camosci, cinghiali, leoni, lupi e orsi), pesci (salmoni e trote), anguille,
rettili. Accanto ad essi si devono ricordare animali immaginari, quali il liocorno. Tra le figure umane, nettamente
inferiori nellincidenza, vi sono: figure maschili e femminili, figure di genitali femminili, mani riprodotte sia in negativo
sia in positivo e figure in parte umane in parte animali. La terza categoria di figure riguarda i cosiddetti segni: punti,
tratti lineari, claviformi, frecce, scutiformi, tettiformi e rettangoli campiti.
Le associazioni di figure documentate nellarte parietale hanno avuto varie interpretazioni. Due sono quelle principali:
la presenza di scene di caccia (con animali feriti da giavellotti o da frecce, animali catturati in trappola), di
accoppiamento e di morte ha portato alcuni studiosi ad attribuire a questarte una valenza magica, rivolta a propiziare la
caccia, la riproduzione degli animali e la fertilit umana; altri ricercatori hanno sostenuto invece il significato simbolico
delle rappresentazioni, che non sarebbero quindi delle semplici scene evocatrici di fatti reali o accaduti, ma associazioni
di simboli riprodotti secondo un determinato sistema di significato.
LItalia situata relativamente ai margini rispetto al fenomeno dellarte dei cacciatori-raccoglitori del Paleolitico
superiore. La gran parte dellarte parietale paleolitica italiana concentrata in due grotte della Puglia (Paglicci,
Romanelli), nella Grotta Genovesi nelle isole Egadi, in alcune grotte della Sicilia (Niscemi, dellAddaura, della Za
Minica, dei Puntali e Racchio), nel Riparo del Romito in Calabria e nelle Grotte dei Balzi Rossi in Liguria. Gli animali
maggiormente rappresentati sono equidi, bovidi e cervidi; nel caso della Grotta dellAddaura presente una scena
eccezionale riproducente una decina di personaggi maschili in atteggiamenti vari che sembrano partecipare a una danza
o a un rito di iniziazione.
Per quanto riguarda larte mobiliare sono note diverse figurine femminili, dette veneri, rinvenute in varie localit
italiane. Le caratteristiche tipologiche sono quelle peculiari di queste piccole sculture che si ritrovano nel resto
dEuropa: testa poco definita, braccia appena accennate, masse adipose sviluppate con seni, ventre e glutei molto in
evidenza. Le altre manifestazioni di oggetti darte mobiliare possono essere suddivise in due categorie: graffiti e dipinti
di animali e graffiti e dipinti geometrici. Normalmente le rappresentazioni sono su pietra e, in misura minore, su osso.
Tra le figure animali predominano i bovidi, equidi e cervidi, anche se non mancano rappresentazioni di felini, lupi, lepri
e uccelli; raramente documentata la figura umana. Molto pi abbondanti sono invece le raffigurazioni di motivi
geometrici su ciottoli o lastre di pietra e su supporti dosso; in alcuni rari casi i motivi sono dipinti.

Il Mesolitico

Gli ultimi cacciatori-raccoglitori dellOlocene antico

Il termine Mesolitico stato adottato allinizio del secolo scorso nellEuropa occidentale per indicare i complessi
attribuibili al periodo compreso tra la fine del Paleolitico superiore e il Neolitico. Nelle prime suddivisioni cronologiche
della Preistoria questo periodo non veniva contemplato, poich gli studiosi dellepoca ritenevano che lEuropa
occidentale fosse stata spopolata tra la fine dellera glaciale, quando gli ultimi cacciatori del Maddaleniano si
spostarono seguendo i branchi di renne verso le regioni pi settentrionali, e larrivo dei primi gruppi di agricoltori e
allevatori neolitici dallarea danubiano-balcanica e dal Mediterraneo orientale. Le ricerche archeologiche condotte
durante il secolo XX misero invece in luce lesistenza di complessi intermedi. Oggi si designa con il termine di
Mesolitico il periodo, durato alcuni millenni, nel corso del quale si assiste a un processo di adattamento da parte degli
ultimi gruppi di cacciatori-raccoglitori ai cambiamenti ambientali verificatisi, dopo la fine dellultima era glaciale,
allinizio dellOlocene, a partire da circa 10.000 anni fa.
Non tutti gli studiosi concordano sulluso di questo termine; alcuni adottano per indicare lo stesso fenomeno il termine
di Epipaleolitico, evidenziando la continuit culturale con il Paleolitico superiore, e assegnano al Mesolitico solo i
complessi nei quali si sta realizzando il processo di transizione allagricoltura e allallevamento (processo di
neolitizzazione).
A una definizione dei complessi mesolitici sulla base della cronologica e delle caratteristiche tipologiche delle industrie
litiche contrapposto un modo diverso di interpretare il reale significato del Mesolitico in relazione soprattutto ai
cambiamenti economici e del modo di vita degli ultimi cacciatori-raccoglitori; tali considerazioni sono tuttora
argomento di discussione.

Il bosco riconquista il territorio: lambiente durante lOlocene antico


La fine del Tardiglaciale wrmiano determina un miglioramento climatico che porta lentamente a condizioni ambientali
simili a quelle attuali. Gli effetti pi importanti di questo mutamento sono vari: larretramento dei ghiacciai apre nuovi
spazi alla penetrazione umana in territori prima disabitati; linnalzamento progressivo del livello del mare determina un
arretramento delle linee di costa; le zone a steppa e a tundra riducono la loro estensione in concomitanza dello sviluppo
delle foreste; le grandi mandrie di erbivori delle praterie sono sostituite da piccoli branchi di animali il cui ambiente
ideale la foresta e la macchia, quali cervi, caprioli, buoi selvatici e cinghiali.
La cronologia del Postglaciale si fonda sulla successione di fasi climatiche determinata dallanalisi dei pollini fossili
dellEuropa centro-settentrionale. Secondo questa successione, lOlocene inizia con il Preboreale a clima temperato
arido (10.200/9.900-8.700 anni dal presente), cui segue il Boreale con un clima caldo-umido (8.700-7.500 anni dal
presente) e lAtlantico a clima caldo-umido (7.500-4.500 anni dal presente). Il Mesolitico si sviluppa durante questo
lasso di tempo fino alla comparsa durante lAtlantico delle culture neolitiche (tavola). Il processo di neolitizzazione
costituisce un fenomeno complesso che si verifica in tempi differenti nelle diverse aree, cosicch il momento finale del
Mesolitico varia da zona a zona, talora anche nellambito della stessa regione.
Durante il Preboreale e il Boreale si registra un progressivo inaridimento del clima, determinato dallaumento delle
temperature non compensato da un incremento di umidit. Tuttavia in alcune regioni, ad esempio nellarea alpina, le
foreste si espandono raggiungendo la massima estensione alla fine del Preboreale. Laridit del clima crea nelle regioni
mediterranee un paesaggio prevalentemente steppico; la vegetazione, in prevalenza pino marittimo e leccio, si diffonde
dalle aree rifugio costiere, dove si era preservata durante lultima fase del Tardiglaciale. Nellarea prealpina durante il
Preboreale si sviluppano boschi a pino silvestre, mentre nel successivo Boreale predominano le latifoglie, soprattutto il
querceto misto. Durante le prime due fasi climatiche dellOlocene, il paesaggio di pianura vede un progressivo sviluppo
verso un ambiente pi steppico, con scarsa vegetazione arborea, che verr sostituito dalla foresta soltanto nel corso
dellAtlantico.

I complessi mesolitici europei


Nella vasta area europea che comprende le regioni occidentali-atlantiche, il Mediterraneo centro-occidentale e larea
alpina sono documentati complessi mesolitici relativamente omogenei. Nellarea che si estende tra la Francia
settentrionale, il bacino del Reno, lalto bacino del Danubio e il versante settentrionali delle Alpi si sviluppano, in
successione cronologica prima della neolitizzazione di queste regioni, i complessi di Beuron-Coincy e di Montbani.
Larea che comprende la Spagna orientale, la Francia meridionale, lItalia centro-settentrionale, la Slovenia e
probabilmente parte dela Slovacchia vede diffondersi, durante il Preboreale e il Boreale, i complessi sauveterriani,
seguiti nellAtlantico dai complessi castelnoviani. I complessi di Beuron-Coincy e sauveterriano durante il Mesolitico
antico e i complessi di Montbani e castelnoviano, durante il Mesolitico recente, sono considerati contemporanei.

NellEuropa nord-occidentale sono attestati alcuni complessi che presentano elementi comuni; sono stati distinti tre
complessi principali: il complesso di Duvesee si estende nella grande pianura tedesca e nella Polonia, oltre che
nellInghilterra, tra la fine del IX millennio e la fine del VIII millennio a. C.; il complesso di Maglemose si sviluppa
nella Scandinavia meridionale a partire dalla fine del VII millennio a. C.; il complesso Post-Maglemose ha origine alla
fine del Boreale, a seguito della migrazione di gruppi maglemosiani verso sud, nei territori compresi tra il fiume Reno e
la Vistola.

Il Mesolitico nella penisola italiana


Il Mesolitico italiano rientra, come stato messo in luce pocanzi, in un fenomeno molto pi vasto che interessa buona
parte dellEuropa occidentale e meridionale.
Le differenze principali rispetto al precedente Epigravettiano finale si riscontrano nelle caratteristiche delle industrie
litiche (tavole XXIV e XXV). Durante il Mesolitico, infatti, i fenomeni che erano gi stati documentati in precedenza,
come la riduzione delle dimensioni dei manufatti (microlitismo), la comparsa del ritocco bipolare, limpiego della
tecnica del microbulino e la standardizzazione delle tipologie degli strumenti e, in particolare, delle armature
geometriche, si moltiplicano e si accentuano. Dal punto di vista economico incrementa la variet delle risorse naturali
sfruttate dai gruppi mesolitici nelle pratiche di sussistenza; le attivit di sostentamento si basano su una diversificazione
della caccia a grandi e piccoli mammiferi, sulla raccolta di vegetali, sull'uccellagione, sulla raccolta di molluschi
terrestri e marini e, infine, sulla pesca.
Le differenze riscontrate tra le industrie litiche di alcune localit dellItalia nord-orientale con presenza riferibili alla
fase terminale dellEpigravettiano finale, quali Andalo, Piancavallo e Biarzo e quelle della fase pi antica del
Mesolitico sono pi a livello quantitativo che qualitativo. In base a ci stato possibile formulare lipotesi di una
derivazione dei complessi sauveterriani dalle varie industrie epigravettiane locali. Le localit italiane che presentano
una successione stratigrafica con una frequentazione dellEpigravettiano finale seguita da una frequentazione riferibile
al Mesolitico antico sono relativamente poche. Tale situazione documentata nel Riparo di Biarzo nella Valle del
Natisone in Friuli, nellinsediamento allaperto dellIsola Santa nelle Alpi Apuane in Toscana, nella Grotta della
Madonna di Praia a Mare in Calabria e nella Grotta della Serratura a Marina di Camerota in Campania.
Il riconoscimento nellItalia settentrionale di complessi sauveterriani e castelnoviani, caratterizzanti il Mesolitico
dellEuropa occidentale e meridionale, la conseguenza degli scavi effettuati in diversi ripari sotto roccia della conca di
Trento, quali Romagnano Loc III, Vatte di Zambana e Pradestel. Le serie stratigrafiche individuate nelle localit citate
hanno fornito una grande quantit di informazioni sullinquadramento cronologico e sullo sviluppo culturale dei gruppi
di cacciatori-raccoglitori dellOlocene antico, al punto da divenire il riferimento di confronto pi affidabile, tuttora
valido, dellevoluzione dei complessi mesolitici dellItalia settentrionale.
Il Mesolitico dellItalia settentrionale caratterizzato da un periodo Sauveterriano, corrispondente cronologicamente
alle fasi climatiche Preboreale e Boreale, e da un periodo Castelnoviano, corrispondente al momento iniziale della fase
climatica Atlantica. Le informazioni ricavate dalle serie stratigrafiche dei ripari trentini consentono di suddividere
ulteriormente, in base alla cronologia e alle caratteristiche tipologiche principali dellindustria litica, questi periodi nelle
fasi seguenti:
a) fase sauveterriana antica, 7.950-7.400 a. C.; caratterizzata da armature triangolari di forma
isoscele a tre lati ritoccati e da lamelle a dorso e troncatura.
b) fase sauveterriana media, 7.400-6.550 a. C.; caratterizzata dallassociazione di armature,
quali segmenti di cerchio, triangoli e punte a due dorsi allungati.
c) fase sauveterriana recente, 6.550-6.200 a. C.; caratterizzata dallincremento delle armature
di forma triangolare tra le quali dominano gli scaleni.
d) fase sauveterriana finale, 6.200-5.800 a. C.; caratterizzata dalle armature triangolari di forma
scalena allungata con tre lati ritoccati e dalle punte corte a base larga a due dorsi.
e) fase castelnoviana antica e media, 5.800-4.500 a. C.; caratterizzata dalla progressiva
diminuzione delle armature sauveterriane a favore di quelle trapezoidali e delle lame denticolate.
f) fase castelnoviana finale, attorno al 4.500 a. C.; durante questa fase compaiono le prime
ceramiche anche se lindustria litica continua a presentare una tradizione di tipo castelnoviano.
La fase pi antica del Mesolitico dellItalia settentrionale inizia cronologicamente con il Preboreale attorno all8.000
anni a. C.; essa documenta degli importanti mutamenti che hanno interessato la cultura materiale e il modo di vita degli
ultimi cacciatori-raccoglitori, dopo la fine del Tardiglaciale wrmiano e del Paleolitico superiore. Uno dei cambiamenti
pi evidenti interessa la tecnica di scheggiatura e di produzione dei manufatti litici; tale mutamento , infatti, la
conseguenza di nuove forme di sfruttamento della materia prima. Tra gli strumenti pi caratteristici si devono ricordare
i bulini corti e massicci, vari tipi di grattatoi molto corti e i coltelli a dorso (tavola). Le armature (tavola), bench gi
utilizzate nellEpigravettiano, vedono la diffusione di nuovi tipi, quali punte troncate, punte a dorso, dorsi e troncature,

segmenti di cerchio e triangoli. La tecnica di produzione dei manufatti microlitici non risente della forma del supporto
(lama o scheggia) da cui verr ricavata larmatura, mentre la regolarit della lama sar fondamentale nella produzione
delle armature trapezoidali castelnoviane.
Nei primi secoli del VI millennio a. C. alla tradizione sauveterriana segue quella castelnoviana, caratterizzata da
significative modificazioni nella tecnologia e tipologia dellindustria litica. A partire dal Mesolitico recente si nota una
modificazione dei prodotti della scheggiatura che si manifesta nellincremento delle dimensioni dei manufatti e nella
creazione di lame di forma regolare; la scelta di lame pi regolari implica un controllo delle sezioni, ora trapezoidali,
una sagoma pi regolare, margini della lama paralleli. La produzione di lame di forma regolare tecnologicamente
legata inoltre ad una pi accurata preparazione e diversa morfologia dei nuclei.
Le modificazioni nella tecnica di scheggiatura, riconosciute a partire dal Castelnoviano, si collegano a innovazioni
tipologiche che interessano gli strumenti comuni, ma soprattutto alla comparsa e diffusione delle armature trapezoidali.
La necessit quindi di lame regolari per la fabbricazione dei trapezi ha probabilmente determinato questa evoluzione
delle tecniche di scheggiatura.
Tra gli strumenti si registra un forte incremento delle lame ritoccate, soprattutto lame a incavi e denticolate,
incrementano inoltre le lame troncate e i grattatoi su supporto laminare. Nellambito delle armature diminuiscono
progressivamente i tipi caratteristici del Sauveterriano (segmenti di cerchio, triangoli e punte a due dorsi), mentre si
sviluppano notevolmente i trapezi.
La sequenza cronologica e le modificazioni culturali presentate sono considerate valide per tutte le aree del nord Italia
che abbiano restituito testimonianze del Mesolitico: il Carso triestino, il Friuli, la valle dellAdige, le Alpi Aurine e
Sarentine, le Dolomiti, le Prealpi e Alpi lombarde, la Pianura Padana lombarda ed emiliana e, infine, lAppennino
tosco-emiliano. Anche nellItalia centro-meridionale sono attestati complessi riferibili, al momento pi antico del
Mesolitico, sia lungo lintero versante tirrenico (Toscana, Lazio e Campania) sia lungo quello adriatico (Marche,
Abruzzo, Puglia); ulteriori presenze del Sauveterriano sono note anche in Sicilia, tuttavia i dati a disposizione sono in
gran parte lacunosi e parziali e per tale motivo essi non permettono di definire eventuali suddivisioni pi dettagliate
dello sviluppo cronologico e culturale del Mesolitico peninsulare.
Un carattere che differenzia alcune regioni centro-meridionali e la Sicilia riguarda la contemporanea presenza di
complessi sauveterriani con altri che trovano le loro radici nei locali aspetti dellEpigravettiano finale; per questi
complessi che continuano la cultura materiale e le tradizioni del tardo Paleolitico superiore durante lOlocene antico
impiegato il termine di Epipaleolitico indifferenziato.
Un ulteriore complesso che si differenzia da quelli mesolitici di tradizione sauveterriana, presente soltanto in Liguria e
nel Salento, il Romanelliano. La sua posizione cronologica tuttora controversa, poich alcuni studiosi lo collocano
ancora nel momento finale nel Tardiglaciale e quindi riferibile allEpigravettiano finale, mentre altri lo attribuiscono gi
allOlocene antico. Il Romanelliano sembra continuare anchesso una tradizione culturale del tardo Paleolitico superiore.
Alcuni ricercatori interpretano la presenza di complessi di tradizione sauveterriana nellItalia centro-meridionale quale
risultato di un processo di diffusione da nord verso sud di questi gruppi del Mesolitico antico; la prova di questo
movimento potrebbe essere identificata dalla presenza di un mutamento nellindustria litica, evidenziata dalla
produzione delle armature geometriche. La persistenza nellItalia peninsulare di gruppi mesolitici di tradizione
sauveterriana e di gruppi continuatori della tradizione tardo-epigravettiana, quali i complessi dellEpipaleolitico
indifferenziato e del Romanelliano, confermerebbero quindi questa ipotesi.
Nelle regioni meridionali della penisola mancano quasi completamente evidenze archeologiche che attestino la presenza
del Castelnoviano. Il Mesolitico recente a trapezi infatti noto solo in due localit della Basilicata, la Grotta n 3 di
Latronico e il Tuppo dei Sassi di Matera.

La vita quotidiana durante il Mesolitico


In tutte le regioni dEuropa la caccia ai mammiferi di media e grossa taglia continua a essere lattivit predominante,
anche se tra le specie cacciate prevalgono quelle legate allambiente forestale come il cervo, il capriolo e il cinghiale.
Ad esse si aggiungono luro e lalce nellEuropa centro-settentrionale, lo stambecco e il camoscio nelle regioni
montuose. I piccoli mammiferi quali conigli, tassi, lontre e castori, pur presenti, incidono in minor misura sulla dieta
carnea.
La caccia, in base alle rappresentazioni di arte rupestre mesolitica del Levante spagnolo, doveva essere di tipo collettivo.
Nella caccia era largamente impiegato larco, il cui uso attestato dai numerosi ritrovamenti dellEuropa centrosettentrionale, dove le vaste distese di aree umide hanno consentito di recuperare diversi archi interi o frammentari e
numerose frecce lignee. Le frecce erano costituite da unasta di legno la cui estremit era dotata di una cuspide di selce
fissata con mastice (resina mescolata con argilla) associata a uno o pi denti laterali ricavati da armature geometriche
(lamelle a dorso, segmenti di cerchio, triangoli o trapezi) inserite e fissate lungo una scanalatura; laltra estremit era

provvista di una cocca necessaria al bilanciamento dellarma da getto. In alcune raffigurazioni rupestri gli arcieri sono
riprodotti anche con il turcasso contenente le frecce.
La pesca fu largamente praticata nelle localit prossime ai laghi, ai fiumi e lungo le coste dei mari. Un caso interessante
rappresentato dalla Grotta dellUzzo in Sicilia, dove i Mesolitici praticavano, assieme alla caccia ai mammiferi e alla
raccolta dei molluschi, la pesca di grossi pesci dei fondali rocciosi, come la cernia di scoglio, la cernia nera, il dentice,
lorata e la murena. Come stato esposto in precedenza, la pratica della pesca documentata in due grotte del FriuliVenezia Giulia, ma secondo due modi di sfruttamento diversificati: nel caso del Riparo di Biarzo, vista anche la
localizzazione in area pedemontana, i pesci catturati sono specie di fiume, quali trote, temoli e delle variet di ciprinidi;
nel caso della Grotta Azzurra, situata nellarea carsica, lincidenza delle specie dacqua dolce (luccio, scardola, carpa e
naso) o salata (orata) in relazione allavvicinamento della linea di costa conseguente allinnalzamento del mare
Adriatico.
Resti di piroghe sono stati rinvenuti nei depositi di torba dellEuropa settentrionale; tali scoperte confermerebbero che i
corsi dacqua dovettero costituire le principali vie di comunicazione durante il Mesolitico.
La raccolta di molluschi marini o terrestri documentata in molti insediamenti mesolitici. In particolare, molte
localit costiere europee presentano grandi depositi di conchiglie che hanno portato alla formazione di cumuli detti
chiocciolai. La raccolta pure orientata verso i vegetali; alcuni depositi mesolitici, infatti, hanno restituito nocciole,
noci e altri frutti spontanei come castagne dacqua, mirtilli e fragole. In alcuni depositi sono documentate anche la
raccolta delle uova e la caccia alle tartarughe palustri. Una scena dipinta dellarte mesolitica del Levante spagnolo
riproduce la raccolta del miele. Questi ritrovamenti rimangono in ogni caso rari, perci ancora difficile definire
lincidenza reale della raccolta nelleconomia mesolitica, anche se essa risulta sicuramente molto pi importante di
quanto non lo fosse nel precedente Paleolitico superiore.
La materia prima usata prevalentemente nella produzione dei manufatti litici la selce; a questa vanno aggiunti il
quarzo ialino (cristallo di rocca), la ftanite e il diaspro. Il cristallo di rocca gi usato durante lEpigravettiano trova
una distribuzione alle aree dove manca la selce di buona qualit, come ad esempio nelle Alpi Aurine, in alcune zone
delle Dolomiti e nellAlpe Veglia nel Piemonte. La ftanite e il diaspro sono utilizzati nella zona appenninica in
sostituzione della selce.
Gli abitati mesolitici sono costituiti in prevalenza da una struttura isolata, raramente da due o tre. NellEuropa centrosettentrionale gli insediamenti, in prossimit di laghi o fiumi, venivano posti su suoli sabbiosi, pi asciutti, nel caso di
abitati situati in ambienti umidi, i cui resti sono ora sepolti in depositi limosi o torbosi, sono documentate piattaforme e
pavimentazioni lignee e allineamenti di pali interpretati come strutture di sostegno di tende o capanne. NellEuropa
meridionale sono frequenti gli abitati in ripari sotto roccia.
Le numerose ricerche svolte nel versante meridionale delle Alpi, e in particolare nel Bacino dell'Adige, hanno
consentito di ricostruire un ipotetico modello di sfruttamento del territorio in cui si muovevano i gruppi di cacciatoriraccoglitori mesolitici. Dai ripari sotto roccia posti nel fondovalle a quote di circa 200 metri s.l.m. dove i gruppi
mesolitici risiedevano durante i mesi invernali e primaverili, le bande di cacciatori risalivano nei mesi estivi fino al
limite del bosco e della prateria alpina a quote comprese tra 1900 e 2300 metri s.l.m. La sussistenza degli accampamenti
di fondovalle era diversificata in quanto si basava sulla caccia a prede di piccola e grande taglia, sulla raccolta di
molluschi terrestri, sulla pesca e luccellagione, mentre quella dei campi stagionali in montagna era fondata
prevalentemente sulla caccia allo stambecco nelle praterie alpine o al cervo nei boschi sottostanti.
Gli insediamenti situati in montagna possono essere suddivisi tra campi residenziali, posti al di sotto di pareti
aggettanti di grandi massi erratici o su piccoli dossi in prossimit dei laghetti alpini, e bivacchi di caccia, collocati su
alture e in posizione dominante in prossimit di pozze dacqua e passaggi obbligati. Le industrie litiche rinvenute nei
due tipi di insediamenti montani si differenziano in relazione alle pratiche svolte nel sito: i campi residenziali
presentano associazioni di strumenti e armature simili a quelle degli abitati di fondovalle, mentre nei bivacchi di caccia
gli strumenti sono sempre molto rari al contrario delle armature che sono invece numerosissime.
Le dimensioni e le caratteristiche degli abitati suggeriscono che durante il Mesolitico le comunit di cacciatoriraccoglitori fossero organizzate in gruppi relativamente poco numerosi, dotati di grande mobilit allinterno di territori
definiti.

Sepolture e spiritualit
La spiritualit nel Mesolitico documentata, come nel precedente Paleolitico superiore, dallesistenza di sepolture
isolate o riunite in necropoli.
I rituali funebri sono sostanzialmente omogenei; si tratta di sepolture singole, bisome (spesso di un adulto con un
bambino) e in alcuni casi anche trisome (maschio, femmina e bambino). Il cadavere deposto in una fossa semplice
scavata nel terreno, talora circondata da corna di cervo, da lastre di pietra o ricoperta da un cumulo di pietre. Spesso

stata usata locra rossa e il corredo funerario che accompagna il defunto costituito da oggetti di ornamento, strumenti
di selce o dosso e da altri oggetti di uso quotidiano.
Le sepolture mesolitiche note dellItalia settentrionale sono tre: due sepolture det sauveterriana, rispettivamente una
donna a Borgonuovo di Mezzocorona presso Trento (i resti sono in corso di studio) e una seconda donna di cinquanta
anni nel Riparo di Vatte di Zambana nella valle dellAdige, e una sepoltura det castelnoviana, un adulto maschio di
circa quarantanni, datato a 7.42555 anni dal presente, nella localit di Mondeval de Sora in Val Fiorentina nelle
Dolomiti.
Nel Riparo di Mondeval a 2.150 metri di quota lindividuo maschio fu deposto supino in una fossa ricoperta da pietre, il
corpo era probabilmente avvolto in un sudario di pelle fissato da punteruoli dosso, il corredo composto da oggetti duso
e di prestigio era deposto in sacche di materia organica. Tra i sessanta elementi di corredo rinvenuti erano presenti
anche due blocchi di materia vegetale compatta che le successive analisi hanno riconosciuto essere rispettivamente
propoli (sostanza resinosa adoperata dalle api per rivestire le arnie) e resina quasi pura, di pino silvestre e abete rosso.

Larte mesolitica
Scomparsa la grande arte naturalistica del Paleolitico superiore, la produzione artistica durante il Mesolitico risulta assai
scarsa. Tra le opere darte mobiliare compaiono ossa incise, generalmente con motivi geometrici, e qualche rara figurina
femminile, come ad esempio quella, ricavata da un corno di cervo, rinvenuta nel Riparo Gaban in Trentino, la cui
datazione, riferita genericamente al Mesolitico, risulta per difficile a causa del contesto di rinvenimento.
generalmente attribuita al Mesolitico larte pittorica che appare documentata in moltissimi ripari sotto roccia del
Levante spagnolo, nel tratto di costa compreso tra Barcellona e Madrid. Si tratta di pitture monocrome in rosso,
raramente in nero, a tinta piena. Sono riprodotte complesse scene di caccia, di combattimento, di vita familiare; le figure
animali sono riprodotte con stile naturalistico a differenza di quelle umane che risultano invece stilizzate. Queste figure
non sono mai in posizione statica. Le figure umane sono riprodotte in modo da evidenziare alcuni particolari
dellacconciatura o dellabbigliamento, quali la pettinatura, gli ornamenti piumati della testa o i copricapi con corna di
animali; a volte sono indicate anche le vesti, lunghe gonne a campana per le donne e pantaloni lunghi fino al ginocchio
per gli uomini.

Il Neolitico

La rivoluzione neolitica
Il Neolitico segna un nuovo stadio culturale della storia dellumanit che grazie alladozione dellagricoltura e
dellallevamento muta in modo radicale il proprio sistema di sussistenza. Durante questa tappa, nel corso della quale
luomo ha imparato a produrre il proprio cibo, si verifica un fenomeno generale e irreversibile che ha consentito di
nutrire nel corso di diversi millenni la quasi totalit della popolazione mondiale e ne ha favorito il suo incremento
demografico.
Il termine Neolitico, indicante la recente et della pietra, fu coniato nel 1865 dal naturalista e archeologo inglese J.
Lubbock. Lo studioso inglese introdusse questo termine nella sua suddivisione lineare di tipo evoluzionista della
preistoria europea; il Neolitico indicava let della pietra levigata posteriore al Paleolitico e anteriore allet del Bronzo.
I termini Mesolitico, et del Rame, Calcolitico o Eneolitico furono introdotti pi tardi verso la fine dellOttocento e nei
primi anni del Novecento.
Il significato di Neolitico si modificato nel corso dello scorso secolo fino a inglobare tutta una serie di fenomeni
articolati e complessi che videro profondi mutamenti non solo negli aspetti tecnologici delle comunit preistoriche, ma
anche negli aspetti economici, sociali ed ideologici.
Fu a partire dagli anni trenta dello scorso secolo che anche gli studiosi di preistoria iniziarono a occuparsi delle origini
dellagricoltura e dellallevamento. La figura pi significativa di questo periodo fu larcheologo australiano Gordon
Childe. Egli, influenzato dal pensiero dellantropologo americano Lewis Henry Morgan e dalla dialettica marxista,
ritenne che lorigine e lo sviluppo della civilt si fondasse su due grandi rivoluzioni di carattere economico e sociale: la
rivoluzione agricola e la rivoluzione urbana. Con la prima, luomo, attraverso la domesticazione delle piante e degli
animali, diventava produttore dei mezzi di sussistenza e acquisiva la possibilit di accumulare surplus che, a sua volta,

determinava cambiamenti nei rapporti di produzione. La stratificazione sociale, la specializzazione del lavoro e
laccumulazione di beni da parte di un ceto dominante ponevano le condizioni della successiva rivoluzione urbana.
Nellinterpretazione di Childe il passaggio al sistema economico agricolo fu indotto dai cambiamenti climatici che, con
la fine della glaciazione, misero fine al periodo pleistocenico, determinando, durante linizio dellOlocene, una
maggiore aridit nei territori del Vicino Oriente. Il progressivo inaridimento spinse i gruppi umani che vivevano in
queste regioni, le piante e gli animali potenzialmente domesticabili in poche aree umide situate in prossimit di oasi e
fiumi. Questa contiguit ecologica determin lo sviluppo delle prime forme di agricoltura e allevamento. Ora quasi tutti
gli elementi essenziali del modello di Childe sono stati oggetto di critica; resta il fatto che ci si continua a misurare con
la sua visione di ampio respiro culturale, poich egli non si limit a stabilire delle semplici cronologie e successioni
climatiche o a descrivere collezioni di strumenti, ma ebbe la grande capacit di utilizzare tutti i dati allora a disposizione
al fine di definire un quadro complessivo del passato preistorico europeo.
In base ai numerosi studi e ricerche svolti durante la seconda met dello scorso secolo si pu affermare che il processo
di neolitizzazione non si tratt n di un fenomeno semplice e lineare n di un fenomeno improvviso che si realizz in
pochi decenni, ma ci vollero alcuni secoli prima che la rivoluzione neolitica potesse radicarsi nel Vicino Oriente e
quindi affermarsi nel corso di alcuni millenni in tutti i territori europei.
Gli elementi pi importanti della neolitizzazione, oltre alladdomesticamento delle piante e degli animali, sono la
formazione di insediamenti stanziali in alcuni casi anche di notevoli dimensioni, la produzione di oggetti in pietra
levigata, la fabbricazione di vasi ceramici, lo scambio di materie prime e di manufatti anche su lunghe distanze e, infine,
un nuovo sistema ideologico e religioso.
I pi evidenti indicatori materiali dellavvenuta neolitizzazione dei gruppi umani sono la presenza di strumenti in pietra
levigata e di recipienti ceramici, ma questi manufatti, pur importanti, non sono ritenuti essere gli unici indicatori del
passaggio al Neolitico, poich oggi si pu parlare di effettiva neolitizzazione solo quando sono documentate
determinate pratiche economiche. I nuovi sistemi di sussistenza, basati sulla coltivazione dei cereali e delle leguminose
e sullallevamento di alcune specie di animali, fornirono la prima vera indipendenza alimentare alluomo preistorico. La
conseguenza diretta di tale mutamento nelle pratiche di sussistenza fu unalterazione irreversibile dellequilibrio nel
rapporto uomo-ambiente. Linfluenza umana fu tale che alcune specie vegetali e animali uscirono profondamente
modificate nella loro morfologia; questo cambiamento determin metaforicamente luscita dal giardino dellEden della
caccia e raccolta e implic "la condanna a lavorare la terra con il sudore della fronte".

Le piante coltivate
Lo studio dellorigine dellagricoltura nelle diverse regioni del mondo si fonda naturalmente sulla documentazione
archeologica costituita da tutti quei resti della cultura materiale che consentono di ricostruire la tecnologia, i modi di
insediamento e i sistemi sociali di quelle comunit che adottarono il nuovo modo di vita basato sulla coltivazione delle
piante. Un ruolo assolutamente centrale in questo tipo di ricerca sulla nascita dellagricoltura costituito dallesame dei
resti botanici.
Gli studi botanici hanno individuato un numero elevato di piante coltivate nelle varie parti del mondo che, nel
complesso, ammontano a circa 300. Nei vari sistemi agricoli noti per ci si concentrati su un numero relativamente
ridotto di piante pi produttive e in grado di assicurare una resa maggiore rispetto allinvestimento energetico
necessario a coltivarle.
Vi sono due tipi fondamentali di attivit agricole legate alla sussistenza: unagricoltura basata sui cereali, come grano,
orzo, riso o miglio e unagricoltura basata su radici e tuberi, come patata, taro o manioca. Diverse sono nei due casi le
tecniche agricole, come differente il potenziale alimentare, giacch le radici e i tuberi forniscono un supporto
alimentare piuttosto basso che necessita di una integrazione dietetica notevole.
Le piante che hanno riscosso il maggior successo sono state per i cereali, poich essi hanno numerose virt: crescono
in fretta, sono molto produttivi e sono ricchi di carboidrati necessari a una buona alimentazione. Per tali motivi, al
giorno doggi, pi delle met delle calorie consumate nel mondo proviene dai cereali, in particolare dalle cinque specie
principali: grano, mais, riso, orzo e sorgo. Lagricoltura degli ultimi decenni ha visto, inoltre, unaccelerazione senza
limiti dello sviluppo di queste poche specie o di alcune di esse in particolare (monocoltura) a sfavore delle forme pi
primitive di agricoltura di sussistenza basate su una diversificazione dei prodotti coltivati e maggiormente integrate
nellambiente.
I cereali da soli sono alimenti relativamente poveri che hanno bisogno di essere integrati dagli elementi nutritivi di altre
piante. Nelle varie aree di origine dellagricoltura, il successo dei sistemi di sussistenza fu la conseguenza sia delle alte
rese di alcune piante di importanza centrale (cereali), sia della presenza di altre piante meno importanti (leguminose),
ma in grado di compensare le carenze dietetiche delle prime. A tale proposito, un alimentazione basata su cereali e

legumi fornisce quasi tutti gli ingredienti di una dieta bilanciata. La conoscenza di questa relazione cereali-legumi
nota sin dalle prime sperimentazioni agricole del Vicino .
La coltivazione dei cereali, che ha avuto origine nelle parti del mondo aride a latitudini tropicali o subtropicali, riguarda
generalmente poche specie altamente produttive. I semi duri dei cereali possono essere immagazzinati per lunghi
periodi senza perdere il valore nutritivo o la capacit di germogliare. Ladozione di unagricoltura basata su cereali
dovette implicare delle trasformazioni notevoli della struttura genetica delle piante.
Le forme domestiche dei cereali si distinguono facilmente dalle variet selvatiche innanzi tutto per i chicchi pi grandi e
rotondi, ma soprattutto per il sistema di riproduzione non spontaneo. Le graminacee selvatiche hanno infatti delle
spighe fragili che rendono facile la propagazione spontanea dei chicchi attraverso la dispersione. Il punto di partenza
della selezione operata dalluomo stata la raccolta delle piante con le spighe meno fragili ancora piene di chicchi; in
questo modo il primo agricoltore ha favorito un carattere patologico della pianta, rendendo le piante totalmente
dipendenti dalla semina artificiale.
I cereali pi importanti per lo sviluppo dellagricoltura neolitica del Vicino Oriente e dellEuropa furono lorzo
(Hordeum disticum e Hordeum vulgare), il farro piccolo (Triticum monococcum), il farro grande (Triticum dicoccum) e
i cosiddetti frumenti nudi, come il frumento tenero, il frumento duro e simili (Triticum aestivum, Triticum durum,
Triticum turgidum ).
Al fine di ottenere una dieta ben equilibrata, lalto valore nutritivo dei cereali deve essere integrato con cibi che
forniscono un alto apporto di proteine vegetali o animali. I legumi costituiscono quindi la migliore integrazione alle
graminacee, poich sono una delle maggiori fonti esistenti di proteine vegetali e hanno aminoacidi complementari a
quelli dei cereali.
Anche nel caso delle leguminose la domesticazione porta a una mutazione genetica che determina due cambiamenti
fondamentali nella vita della pianta: la riduzione del tempo di dormienza dei semi e la perdita delle capacit dei baccelli
di aprirsi spontaneamente per disperdere i semi.
Le pi importanti leguminose addomesticate sin dal Neolitico antico sono la lenticchia (Lens culinaris), il pisello
(Pisum sativum), la veccia (Vicia sativa) e il favino (Vicia faba minor).
Occasionalmente nei siti neolitici sono state rinvenute due tipi di piante oleose: il papavero e il lino. La coltivazione del
papavero (Papaver somnifer) pu aver fornito unimportante fonte di olio, anche se non da escludere la possibilit
della produzione di oppio, mentre il lino (Linum usitatissimum) stato coltivato per la produzione di fibre, utili alla
produzione di tessuti.

La domesticazione degli animali


LAsia occidentale (tavola - B -), oltre ad essere uno dei pi importanti centri dorigine delle prime forme di
domesticazione di alcune specie vegetali divenute la base della nostra alimentazione quotidiana, la regione dove erano
presenti allo stato selvatico alcune specie animali che risultarono facilmente domesticabili dalluomo.
La domesticazione di alcune specie (tavola - C -), quali la pecora selvatica (Ovis orientalis), la capra selvatica (Capra
aegagrus), il cinghiale (Sus scrofa) e luro (Bos primigenius), pu essere spiegata con la necessit di disporre di una
riserva costante e controllabile di nutrimento in forma di proteine animali. Lintervento delluomo tuttavia non si limita
ad un generico controllo degli animali in spazi chiusi, poich le prime forme di interazione con gli animali implicano: 1)
la cattura e laddomesticamento di quelle specie che presentano caratteristiche particolari di comportamento; 2)
lallontanamento dal loro ambiente naturale e dal gruppo dorigine; 3) il controllo della loro riproduzione per assicurare
un vantaggio economico.
Gli animali selvatici sottoposti nel tempo a tali pratiche subiscono delle modificazioni morfologiche che portano alla
creazione di nuove forme. Le specie che si sono adattate alle pratiche di addomesticamento si differenziano perci
notevolmente nei caratteri fisici dai loro predecessori selvatici. Una delle modificazioni pi evidente conseguenti
alladdomesticazione la riduzione delle dimensioni della taglia dellanimale che spesso per associata al mutamento
del colore del pelo, alla quantit di grasso prodotto e a una generale riduzione delle strutture di offesa (corna, zanne).
Recenti studi hanno messo in evidenza come delle 148 specie selvatiche potenzialmente addomesticabili nel mondo,
solo 14 sono state realmente addomesticate dalluomo. Questo processo ha avuto luogo infatti solo nei casi in cui le
specie selvatiche presentavano caratteristiche favorevoli alla cattivit quali la scarsa aggressivit, un certo grado di
adattabilit al cibo, la disponibilit a nutrirsi anche di rifiuti umani, una territorialit non particolarmente rigida, il fatto
di essere animali gregari e quindi sociali con una forte organizzazione gerarchica del gruppo.
Il primo animale a essere addomesticato il cane che compare in numerose localit del Vicino Oriente e dellEuropa
forse sin dal Paleolitico superiore, ma sicuramente dal Mesolitico.

La pecora fu addomesticata nellAsia occidentale nel corso del XI millennio da oggi; la pecora selvatica (Ovis
orientalis) vive in Anatolia, Tibet e Mongolia. Nel caso della capra, addomesticata per la prima volta nellIran e in
Anatolia tra X e IX millennio dal presente, le prime forme allevate non dovevano essere molto diverse dalla specie
selvatica (Capra aegagrus). Sebbene vi siano evidenti indicazioni di una precoce addomesticazione delle pecore
rispetto alle capre, noto che, almeno nelle prime fasi di allevamento, le capre erano usate pi comunemente delle
pecore come fonte di carne. Inoltre, le capre, poich brucano nelle macchie spinose, completano spesso dal punto di
vista dello sfruttamento delle risorse disponibili un gregge di pecore che di solito necessita invece di ampie distese
erbose. Pecore e capre furono importate in Europa forse gi nel IX millennio dal presente.
I maiali domestici discendono tutti dal cinghiale selvatico (Sus scrofa) che ancora relativamente comune in molti paesi
dEuropa, Asia e Africa settentrionale. Le prime forme di addomesticamento di questo animale nel Vicino Oriente va
ricercata nellAnatolia e nella Palestina attorno al X millennio dal presente. Durante il processo di neolitizzazione
dellEuropa, i maiali e i bovini acquisirono un ruolo molto pi importante rispetto a capre e pecore. Il favore di questi
animali rispetto agli ovi-caprini sicuramente dovuto alle caratteristiche del territorio europeo al tempo fittamente
ricoperto da foreste, dove peraltro il cinghiale e il bue selvatico erano gi presenti e costituivano preda dei cacciatori
mesolitici. A conseguenza di ci non si pu escludere che laddomesticazione del maiale si sia verificata pi volte in
momenti ed in aree diverse del continente europeo e quindi non sia un semplice risultato della diffusione dal Vicino
Oriente come nel caso delle pecore e delle capre.
Tutti i bovini domestici, tranne quelli dellAsia sud-orientale, discendono da una sola specie selvatica, luro (Bos
primigenius); questo animale, ormai estinto, era diffuso dappertutto e ben adattato ai vari ambienti del tardo Pleistocene
e del primo Olocene. I primi bovini domestici sono attestati in Anatolia nel IX millennio dal presente e in un momento
successivo nellEuropa sud-orientale. Lampia diffusione del bue selvatico nei territori forestali dellEuropa non esclude
la possibilit, come nel caso del maiale di una sua addomesticazione indipendente in queste regioni.
Altri animali domestici, come il cavallo, lasino, il cammello, il dromedario, il bufalo, il bue gibboso, il pollame e il
gatto, furono addomesticati in regioni diverse dellEuroasia in momenti differenti ma, in ogni caso, di molto posteriori
cronologicamente a quelli citati in precedenza.

Il processo di neolitizzazione nel continente europeo


Uno dei capisaldi del modello di rivoluzione agricola di Gordon Childe si fonda sulla convinzione che le comunit dei
primi agricoltori, grazie alla loro superiorit numerica e alle conoscenze tecnologiche, si fossero lentamente allontanati
dai territori del Vicino Oriente, dove effettivamente sono documentati i resti pi antichi, e nel loro spostamento
avessero finito con il sostituire o con lo spingere in aree marginali le pi deboli comunit di cacciatori-raccoglitori
mesolitici. Anche nei decenni successivi il modello classico di neolitizzazione dellEuropa continuava a basarsi
sullidea di un progressivo processo di colonizzazione di nuovi territori necessari alle pratiche agricole.
Se certi episodi isolati di domesticazione animale e vegetale dovettero forse realizzarsi anche in Europa, varie
considerazioni concorrono a rendere improbabile lipotesi di unorigine indipendente in questarea dellagricoltura e
dellallevamento. possibile che nella zona della foresta temperata europea si sviluppassero alcune forme di
domesticazione isolata di alcuni animali (bue selvatico e cinghiale) e di alcuni vegetali (noci), ma si deve escludere che
uneffettiva economia agricola si fosse originata a partire dalle risorse locali a disposizione. La mancanza di una
domesticazione autonoma nei territori europei non esclude in ogni caso che tra i gruppi di cacciatori-raccoglitori
mesolitici non vi fossero conoscenze botaniche e zoologiche approfondite e anche capacit di protezione e controllo di
alcune specie.
A tale proposito alcuni studiosi, nel tentativo di ricostruire le modalit con le quali il Neolitico si afferm, hanno
elaborato il modello dellonda di avanzamento. I ricercatori che sostengono tale modello propendono per una lenta e
continua espansione di gruppi di agricoltori che determina la frequente formazione di nuovi insediamenti neolitici a
breve distanza dai precedenti luoghi di origine. Tale ipotesi fortemente influenzata dal presupposto che sottolinea la
stretta relazione tra modo di sussistenza neolitico e incremento demografico della popolazione di agricoltori. La
colonizzazione di nuove terre consent, in questo modo, uno sfogo allincremento della popolazione determinato da un
tipo di economia agricola e da un genere di vita di tipo stanziale.
interessante rilevare che il periodo di tempo medio tra i parti di una stessa donna, che si suole chiamare intervallo
intergenetico, in genere di poco superiore ai quattro anni presso le popolazioni di cacciatori-raccoglitori che seguono
uno genere di vita nomade o seminomade; la loro continua mobilit infatti non consente alla donna di trasportare pi di
un bambino per volta. Presso le popolazioni stanziali, che basano la loro sussistenza prevalentemente sulle attivit
agricole, lintervallo intergenetico scende intorno ai due anni e mezzo circa; variazione che comporta un notevole
incremento della natalit e un parallelo aumento della mortalit, in assenza del quale la crescita demografica sarebbe
ben superiore a quella normalmente registrata. I dati ricavati da numerosi studi etnografici rivelano che un elevato
incremento demografico in una societ di agricoltori di tipo tradizionale pu determinare una situazione di crisi; questa

situazione pu essere risolta con la scissione di parte della comunit, la migrazione e la creazione di insediamenti in
nuovi territori posti a non grande distanza dai villaggi dorigine (circa 20-30 chilometri).
Linterpretazione di tipo diffusionista fonda le sue basi principali nella riconosciuta origine vicino orientale dei cereali
principali e di alcuni animali, nonch sulle datazioni radiometriche che mostrano unevidente posteriorit degli
insediamenti neolitici dellarea occidentale europea rispetto a quelli della penisola balcanica e dellEuropa sud-orientale
pi vicini ai centri dellAsia occidentale.
Altri ricercatori preferiscono sottolineare il contributo dato al fenomeno della neolitizzazione dalle precedenti
popolazioni di cacciatori-raccoglitori; tale substrato indigeno sarebbe stato in qualche modo assorbito dai nuovi gruppi
di agricoltori attraverso un processo di acculturazione. Testimonianza di tale acculturazione sarebbe la persistenza di
elementi mesolitici nella cultura materiale delle prime popolazioni neolitiche e il ritardo con cui in alcuni territori
uneconomia pienamente produttiva si manifesterebbe.
Recenti riletture delle conoscenze a disposizione sui processi che hanno portato alla neolitizzazione hanno determinato
un superamento della semplice contrapposizione tra un modello diffusionista e un modello che sostenga
lacculturazione, giacch la realt, influenzata da numerosi fattori ambientali, culturali e ideologici, dovette essere ben
pi complessa. La variet ambientale e le grosse differenze geografiche dei territori determinarono inoltre situazioni
articolate e complesse al momento difficilmente inquadrabili secondo rigidi schemi interpretativi
Le prime comunit di agricoltori ed allevatori sono caratterizzate nella cultura materiale dalla presenza di vasi in
ceramica, da macine, mortai e pestelli per la molitura dei cereali, da strumenti in pietra levigata, quali asce e accette
usate nel disboscamento e per la lavorazione del legno, da nuove tecniche e nuovi strumenti in pietra scheggiata, quali
le lame dei falcetti messori. I campi vengono dissodati con strumenti di pietra, corno e osso, diffusa inoltre la posa
delle sementi con lausilio del bastone da semina. Le granaglie vengono conservate in grandi giare ceramiche o in
pozzetti scavati nel suolo (silos). Lagricoltura generalmente di tipo itinerante, con rioccupazione ciclica delle sedi per
il riposo e la rigenerazione della fertilit dei terreni.
Il processo di neolitizzazione dellEuropa segue sostanzialmente tre direttrici principali dando luogo ad altrettante
correnti culturali: la cultura di Starevo nella penisola balcanica; la cultura della Ceramica Impressa nelle regioni
mediterranee; la cultura della Ceramica a Bande (Bandkeramik) nelle pianure dellEuropa centrale.
Il Neolitico della penisola balcanica, dai suoi centri sud-orientali, quali la Grecia la Bulgaria e la zona costiera della
Romania, si afferma gradualmente seguendo le direttrici del Danubio e dei suoi affluenti ricchi di terre fertili fino alla
Pannonia, dando luogo nel corso della seconda met del VI e V millennio a.C. a una vasta compagine culturale con
caratteristiche simili che va sotto il nome di cultura di Cri in Romania, cultura di Starevo nellattuale Jugoslavia e
cultura di Krs in Ungheria.
Lo sviluppo delleconomia produttiva nellEuropa centrale associato alla cultura della Ceramica a Bande
(Bandkeramik). Questo complesso ha avuto origine nelle zone settentrionali della grande pianura ungherese e nella
Slovacchia sud-orientale dove sono documentati i suoi aspetti pi antichi databili tra il VI e gli inizi del V millennio a.C.
Nei secoli successivi, gruppi di agricoltori portatori della cultura Bandkeramik si diffondono dal bacino del Danubio
attraverso lEuropa centrale fino ai Paesi Bassi e al bacino di Parigi, mentre altri gruppi della stessa cultura
dallUngheria settentrionale raggiungono la Polonia meridionale. Nel corso del V millennio a.C. lagricoltura e
lallevamento raggiungono le isole britanniche e la Scandinavia.
La corrente della Ceramica Impressa o Cardiale trasmette il modo di vita neolitico lungo le coste del Mediterraneo tra
la fine del VII e il VI millennio a.C. da centri egeo-anatolici non ancora identificati. Essa, formatasi anche grazie
allapporto delle realt mesolitiche locali, si diffonde lungo le due sponde dellAdriatico, dove le sedi pi antiche sono
attestate in Puglia, investe lItalia meridionale, la Sicilia, la Sardegna, raggiunge le coste liguri e si propaga lungo le
coste del mediterraneo occidentale fino alla penisola iberica, investendo anche le coste dellAfrica settentrionale.

Lo sviluppo del Neolitico


Nel corso del V e IV millennio a.C. le grandi correnti culturali che hanno caratterizzato il primo Neolitico europeo si
dissolvono consentendo la formazione di varie culture regionali, che realizzano unulteriore spinta dalle fertili pianure
nei territori montani non occupati in precedenza, nellEuropa occidentale atlantica e nelle regioni pi settentrionali del
continente. Questa espansione determina la definitiva scomparsa delle ultime comunit mesolitiche, sopravvissute nelle
regioni settentrionali non interessate dalla prima colonizzazione neolitica.
Le principali componenti culturali del Neolitico medio dellEuropa mediterranea e centro-orientale sono la cultura di
Vina e di Butmir nei Balcani e quella di Danilo lungo la costa orientale adriatica, la cultura Stichbandkeramik e di
Lengyel nellEuropa centro-orientale, la cultura di Egolzwil e di Rssen nei territori elvetici e germanici, la cultura
dei Vasi a Bocca Quadrata nellItalia settentrionale e la cultura Ripoli e di Serra dAlto nellItalia peninsulare e i
complessi Chassey nella Francia meridionale.

Nel corso del IV millennio a.C., durante il Neolitico recente e finale, il quadro delle culture tende a frantumarsi
ulteriormente in numerose entit regionali quali la cultura di Hvar lungo il versante orientale adriatico, la cultura del
tardo Vina nei Balcani, la cultura di Lasinje in Ungheria, la cultura di Altheim e di Cortaillod nei versante
settentrionale delle Alpi, la cultura della Lagozza nellItalia nord-occidentale e gli ultimi aspetti dei Vasi a Bocca
Quadrata nellItalia nord-orientale, la cultura di Diana nellItalia peninsulare e la cultura di Chassey nella Francia
meridionale e nella Liguria e Toscana settentrionale.
Alla fine del Neolitico e nella successiva et del Rame documentata unevoluzione della struttura socio-economica dei
vari gruppi culturali. Nellagricoltura compare laratro, la diffusione della ruota e del carro trainato dagli animali
agevola i trasporti, cos le comunicazioni e i rapporti tra le varie comunit incrementano. La rivoluzione dei prodotti
animali secondari che si afferma nel sistema di sussistenza incrementa le attivit pastorali con produzione di latticini e
lana. Lo sviluppo dellagricoltura e della pastorizia determinano estesi disboscamenti.
NellEgeo e nei Balcani si formano le prime culture dellet del Rame che diffondono nel Mediterraneo occidentale le
tecniche metallurgiche durante il III millennio a.C. La nuova metallurgia del rame, che si esprime nelle prime fasi
soprattutto in oggetti ornamentali e di prestigio, induce forme di tesaurizzazione e di possesso che gettano le basi di
differenziazioni sociali e pongono fine al mondo sostanzialmente unitario del Neolitico.

Cronologia e inquadramento del Neolitico italiano


Il processo di neolitizzazione che si realizzato in buona parte delle regioni costiere del Mediterraneo occidentale ad
opera della cultura della Ceramica Impressa ha interessato anche la penisola italiana.
La comprensione del fenomeno della neolitizzazione in Italia, con le sue numerose culture e i vari aspetti regionali,
solleva ancora numerosi problemi. Le zone pi importanti da cui si possano ricavare elementi utili alla comprensione
della prima economia produttiva sono la Puglia e il versante adriatico, le grandi isole del versante tirrenico e lItalia
settentrionale (tavola).
possibile distinguere un processo di colonizzazione marittima e uno di diffusione continentale dellItalia peninsulare
in cui sono evidenti elementi di chiara provenienza esterna (le piante coltivate, i caprovini, il popolamento di isole
prima disabitate, quali le Tremiti, le Eolie e le isole dellarcipelago toscano).
La situazione risulta invece un po diversa nellarea padana e nel versante meridionale alpino dove il processo di
neolitizzazione ha avuto luogo grazie a molteplici impulsi, quali la diffusione di oggetti ed idee da regioni gi
neolitizzate, lacculturazione dei gruppi mesolitici indigeni e lo sviluppo di tradizioni mesolitiche precedenti. A
conseguenza di ci il quadro generale del Neolitico antico dellItalia settentrionale risulta caratterizzato da numerosi
gruppi con tradizioni culturali autonome, ma in relazione tra loro sin dai momenti iniziali della neolitizzazione (tavola).
Le prime comunit agricole, portatrici della cultura della Ceramica Impressa compaiono nellItalia sud-orientale con
tutti gli elementi caratteristici della neolitizzazione negli ultimi due secoli del VII millennio a.C. e si diffondono dalle
zone costiere della Puglia verso linterno. Il popolamento del territorio avviene rapidamente e vede il fiorire di
numerose comunit non solo nella fascia costiera pugliese tra Bari e Brindisi e lungo il golfo di Taranto, ma anche verso
il Tavoliere foggiano.
Il resto dellItalia meridionale, alcune aree della Basilicata, la Calabria settentrionale e parte della Campania, risente
degli influssi culturali del Neolitico pugliese e materano, mentre il versante tirrenico calabrese, le isole Eolie e la Sicilia
rientrano in quel vasto ambito culturale, caratteristico di un momento avanzato del Neolitico a Ceramica Impressa, che
investe il Mediterraneo occidentale fino alla Penisola Iberica e alle coste nordafricane.
Attorno al 5.800-5.700 a.C. la Ceramica Impressa compare nella Liguria occidentale, da dove si irradiano i suoi influssi
nellarea padano-alpina occidentale (tavola - lett. a -). In un momento relativamente pi recente, verso la met del VI
millennio a.C., elementi della stessa cultura si propagano lungo il versante medio-adriatico, dando origine agli aspetti
abruzzese-marchigiani della stessa cultura. Negli ultimi secoli dello stesso millennio la diffusione della Ceramica
Impressa adriatica raggiunge la Romagna e tende ad espandersi verso linterno della pianura padana lungo la fascia
pedeappenninica fino al Reggiano; tale penetrazione risulta per ostacolata dalla presenza di gruppi gi pienamente
neolitizzati della cultura di Fiorano.
Nellambito della Ceramica Impressa sono documentati nellItalia meridionale e in Sicilia villaggi trincerati, mentre
insediamenti allaperto sono noti nellItalia centrale, dove, come in Liguria, sono pure frequentate le grotte. Le
testimonianze funerarie consistono in sepolture, spesso prive di corredo, allinterno degli abitati o in grotte e ripari sotto
roccia.
Leconomia neolitica dellItalia meridionale attesta unagricoltura ben sviluppata fin dai momenti pi antichi, con
presenza di orzo, farro, frumento tenero/duro, lenticchie e veccia; in alcuni casi testimoniata anche la raccolta di frutti
spontanei. In tutti i siti delle regioni meridionali lallevamento dominato dai caprovini, seguiti da bovini e suini,
mentre la caccia ha scarsa incidenza. documentata inoltre lattivit mineraria per lestrazione della selce nel

Gargano al pari dello sfruttamento dellossidiana nelle isole del versante tirrenico la cui ricerca sembra aver motivato i
primi insediamenti nelle isole Eolie.
NellItalia settentrionale il processo di neolitizzazione si prefigura alquanto complesso, poich le diverse condizioni
ambientali presenti in territori relativamente ristretti e gli influssi culturali dallarea costiera adriatica, dallarea
balcanica e da quella nordalpina vengono assorbiti in maniera e misura variabili e rielaborati in modo differente dai
gruppi mesolitici indigeni, dando origine a diverse entit culturali sviluppatesi contemporaneamente (tavola). I gruppi
neolitici dellItalia settentrionale sono i seguenti: cultura di Fiorano presente in Veneto, Emilia-Romagna e Toscana
settentrionale (tavola - lett. b -); gruppo del Vh in Lombardia ed Emilia occidentale (tavola - lett. a -); gruppo
dellIsolino nellarea prealpina della Lombardia (tavola - lett. a -); gruppo del Gaban nella valle dellAdige (tavola lett. b -); gruppo friulano (tavola - lett. b -) suddiviso rispettivamente tra gli aspetti di Fagnigola nel Friuli occidentale
e di Sammardenchia nel Friuli centrale; gruppo di Vlaka o dei Vasi a Coppa nel Carso triestino.
Sin dal momento pi antico del Neolitico dellItalia settentrionale, datato tra 5.600-5.300 a.C., risultano praticati, in
particolare nella cultura di Fiorano e nel gruppo friulano, unagricoltura a base di cinque cereali e legumi e
lallevamento di bovini e suini; la sussistenza delle prime comunit neolitiche, bench in alcuni casi la produzione
alimentare fosse ben sviluppata, attestano ancora una forte incidenza delle attivit di caccia, pesca e raccolta di frutti
spontanei.
Durante il Neolitico antico attestata la circolazione di materie prime, quali le pietre verdi piemontesi utilizzate nella
produzione di asce, accette ed elementi di ornamento in pietra levigata (tavola) e la selce alpina necessaria alla
fabbricazione degli strumenti in pietra scheggiata. Il gran numero di oggetti caratteristici della cultura materiale di
Fiorano rinvenuti in molti siti del Neolitico antico settentrionale e, in particolare, la tipica tazza carenata con
decorazione incisa lineare lespressione pi peculiare dellimportanza di questa cultura nel vasto sistema di scambi
neolitici. Queste esportazioni mettono in luce contatti attivi con alcune direttrici preferenziali, quali larea del gruppo
del Vh, il gruppo friulano e, in minor misura, con entrambi i versanti dellItalia centrale.
Alla pluralit di tradizioni culturali caratteristiche del Neolitico antico dellItalia settentrionale segue nei primi secoli
del V millennio a.C. una vasta unificazione culturale che si realizza con la cultura dei Vasi a Bocca Quadrata (tavola).
Lo sviluppo di questa cultura vede tre fasi caratterizzate da componenti stilistiche diverse nella realizzazione delle
decorazioni ceramiche che si articolano nel corso del V e nella prima met del IV millennio a.C. nel modo seguente:
stile geometrico-lineare (tavola - lett. a -), stile meandro-spiralico (tavola - lett. b -) e stile a incisioni e impressioni
(tavola - lett. a -).
Gli elementi formativi di tale cultura sono riconoscibili solo in Liguria, mentre nellarea padano-alpina pare che gli
aspetti culturali della prima fase si diffondano gi pienamente costituiti e senza apporti significativi dei precedenti
gruppi del Neolitico antico. Connessioni con larea balcanica sono evidenti durante la fase dello stile meandro-spiralico
nel tipo di motivi decorativi dei vasi, nella presenza di figurine femminili e di pintaderas, una sorta di timbri di
terracotta. I contatti con il mondo transalpino sono invece documentati nella successiva fase dello stile a incisioni e
impressioni, quando si interrompono i contatti con il mondo balcanico.
I modelli di insediamento della cultura dei Vasi a Bocca Quadrata documentano una notevole variet di situazioni; ai
siti in grotta della Liguria si affiancano abitati in area umida e insediamenti allaperto in pianura, su collina, terrazzi e
pendici montane. I diversi tipi di insediamento rivelano un buona capacit di adattamento alle pi diverse condizioni
ambientali e geomorfologiche, attestando indirettamente un profilo economico diversificato in base alle risorse naturali
disponibili.
Lagricoltura diviene predominante sulle attivit di raccolta, mentre diminuisce lincidenza della caccia in relazione a
un netto incremento, nelle fasi finale della cultura, dellallevamento.
I costumi funerari sono ben documentati da sepolture in grotta e da necropoli con tombe a inumazione in fossa semplice,
in fossa con recinto di pietra e in cista litica (tavola).
Verso la fine del V e allinizio del IV millennio a.C. cominciano ad affermarsi tradizioni culturali di tipo occidentale
affini a quelle dello Chassey della Francia meridionale; dalla Liguria, dove laspetto locale denominato Chassey ligure,
si verifica una vasta propagazione verso la pianura padana occidentale, lEmilia e lItalia centrale (tavola). Durante i
primi secoli del IV millennio a.C., nella Lombardia occidentale si forma la cultura della Lagozza (tavola - lett. b -) che
si estende verso oriente nel corso della prima met dello stesso millennio influenzando le ultime manifestazioni della
cultura dei Vasi a Bocca Quadrata.
Le conoscenze sullo sviluppo cronologico e culturale del Neolitico finale o Tardoneolitico dellItalia settentrionale sono
ancora lacunose. Il problema della sopravvivenza di elementi ancora decisamente neolitici si interseca con quello della
comparsa di nuove entit culturali che possono essere definite eneolitiche, giacch attestano la conoscenza della
lavorazione del rame, ma che al momento assumono una consistenza geografica molto frammentaria; tale situazione
attualmente assai confusa pare interessare la seconda met del IV e i primi secoli del III millennio a.C.

LEt del Rame

Il primo stadio dellet dei metalli viene tradizionalmente definito come et del Rame, oppure come Eneolitico (dal
latino aes=rame) o, infine, come Calcolitico (dal greco chalks=rame).
I termini usati per indicare let del Rame variano in relazione alla diversa fortuna che hanno avuto durante lo scorso
secolo a seconda dei paesi dove sono stati impiegati. In Italia prevalso luso del termine Eneolitico, introdotto da G.
Chierici nel 1884, che designa il periodo successivo alle culture tardoneolitiche della Lagozza e di Diana e anteriore a
quelle culture che segnano tradizionalmente il Bronzo antico, Polada, Protoappenninico, Capo Graziano e Castelluccio.
Nei paesi anglosassoni prevalso invece il termine Calcolitico, mentre in Germania, Austria e in parte della Francia
let del Rame viene definita Neolitico recente e finale per indicare che la metallurgia non ha apportato ancora
significativi mutamenti nella societ neolitica. Nelle presenti dispense, seguendo quanto correntemente in uso tra gli
studiosi di preistoria italiana, si useranno in modo ambivalente sia et del Rame sia Eneolitico.
Let del Rame costituisce lultimo dei periodi della tradizionale suddivisione della preistoria europea, mediterranea e
del Vicino Oriente; essa designa un periodo nel corso del quale accanto al perdurare di armi e strumenti di pietra
scheggiata e levigata, compaiono i primi manufatti di metallo (lesine, pugnali, asce, alabarde ed elementi dornamento).
Il tipo di economia dominante rimane ancora di tradizione neolitica basato sullagricoltura e lallevamento, anche se,
durante questo periodo, sono documentati il perfezionamento delle tecniche agricole con lintroduzione dellaratro e lo
sviluppo della pastorizia e delle attivit ad essa associate.
La prima metallurgia sorse tra il VI e V millennio a.C. in seno alle ricche societ neolitiche del Vicino Oriente e dei
Balcani, da dove essa si diffuse durante il IV e il III millennio a.C. nel Mediterraneo occidentale e nel resto del
continente europeo. La conoscenza della lavorazione del metallo port le comunit neolitiche nelle quali si
sperimentava la nuova attivit artigianale a dei rilevanti mutamenti di carattere economico e sociale: aumenta la
richiesta di beni di prestigio, si sviluppa una produzione artigianale specializzata che determina una divisione del
lavoro (ceramista, metallurgo, ecc.), nascono le prime forme di differenziazione sociale basate sul controllo di beni
(metallo, bestiame, ecc.), la classe dei guerrieri sembra acquisire una sempre maggiore importanza in relazione allo
sviluppo della produzione di armi di metallo (pugnali, asce, alabarde, lance).
Let del Rame caratterizzata perci dallinnovazione tecnologica e dai cambiamenti sociali dovuti a queste mutazioni
tecnologiche. Allorigine di tali cambiamenti si trova il rame, conosciuto certamente da molto tempo, ma la cui
produzione, solo in questo momento raggiunge una dimensione tale da fornire a questo metallo un ruolo significativo
sul piano economico e culturale. La forza di questa innovazione tecnologica risiede perci non tanto nelle qualit
particolari del materiale quanto piuttosto nelle conseguenze economiche e sociali che derivano dalla sua estrazione e dal
suo impiego

Fuoco e minerale: la produzione metallurgica


Il minerale di rame largamente diffuso in alcune aree europee, come nella penisola balcanica (Serbia, Bulgaria), nei
monti Carpazi e lungo la catena alpina, in alcune di queste zone metallifere presente anche il rame nativo, vale a dire
un tipo di rame molto puro che compare sotto forma di pepite. Non vi dubbio che il rame utilizzato nelle prime
sperimentazioni artigianali fosse il rame nativo, poich esso poteva essere raccolto in pepite e quindi lavorato senza
grandi conoscenze metallurgiche.
Il ciclo di lavorazione del rame ricavato dal minerale grezzo, e non quindi la semplice purificazione e lavorazione del
rame nativo, comprende una serie di reazioni chimiche da ottenersi in fornaci ad una temperatura di circa 1.100C. A
complicare tale processo di lavorazione la mancata purezza del minerale di partenza, che pu essere formato da pi
composti e che contiene quasi sempre impurit inerti e non metalliche.
I primi minerali che possono essere stati usati sono gli ossidi di rame (cuprite), la malachite e lazzurrite, presenti nei
depositi superficiali e facilmente individuabili dai prospettori per i loro colori, rispettivamente rosso, verde e azzurro.
Questi minerali nel caso siano puri possono essere fusi direttamente.
Il rame utilizzato nella prima lavorazione metallurgica poteva essere quindi sia di tipo nativo, che non necessita di
fusione, sia estratto dal minerale, come provato dalla persistenza nei manufatti metallici di piccole quantit di altri
elementi che ne costituiscono le impurit.
Le recenti scoperte nel campo delle conoscenze relative allorigine della lavorazione dei metalli e allo sviluppo della
metallurgia rivelano vari stadi successivi nellacquisizione di questa fondamentale attivit artigianale: 1) semplice uso

del rame nativo; 2) martellamento a freddo del rame nativo; 3) riscaldamento del rame nativo; 4) estrazione del rame
per fusione dei suoi minerali (cuprite, azzurrite e malachite); 5) fusione del rame (1.083C) in uno stampo aperto; 6)
preparazione del modello ed uso di uno stampo a due valve; 7) creazione di leghe con arsenico e stagno; 8)
preparazione del modello con cera a perdere. Ogni stadio di sviluppo delle tecniche di lavorazione del metallo
indipendente da quello precedente, giacch lintera sequenza pu essere considerata un progredire di competenza nella
tecnologia del fuoco e nella capacit di maneggiare materiali ad elevate temperature.
opportuno non sottovalutare la qualit e lefficacia dei manufatti metallici ricavati dal rame, poich da esso si possono
ottenere oggetti di qualsiasi forma. I manufatti difettosi o usurati possono venire facilmente rifusi. A contrario la
materia prima, il minerale di rame, proviene da giacimenti esauribili, non indefinitamente rinnovabile e richiede un
notevole investimento di lavoro. La storia della metallurgia si confonde perci con la ricerca incessante di nuovi
giacimenti destinati a rimpiazzare quelli esauriti.
I manufatti prodotti grazie alla lavorazione del rame sono oggetti molto preziosi la cui fabbricazione implica un
notevole consumo di energia. La ricerca dei giacimenti presuppone prospettori sperimentati. Il controllo delle zone
metallifere pu generare situazioni conflittuali. Queste zone devono essere preparate per lestrazione del minerale
grezzo. Lestrazione necessita un grosso lavoro di sistemazione dei pozzi e delle gallerie. In seguito la preparazione del
minerale e la produzione dei manufatti necessitano di un ulteriore apporto di energia. Tutte queste attivit richiedono
perci una manodopera numerosa, grosse quantit di legname e conoscenze specialistiche.
Ladozione e lo sviluppo della metallurgia presuppone dunque un grande potenziale in termini di materia prima, di
conoscenze e di risorse umane; limportanza dello sforzo implica che la forza umana venga dispensata dalle attivit
primarie di sussistenza, con enormi ripercussioni per la comunit. Si tratta in primo luogo di intensificare la produzione
alimentare al fine di ricavare un surplus destinato al mantenimento della manodopera incaricata dellattivit
metallurgica. Si assiste di conseguenza alla formazione di gruppi di specialisti, prospettori, minatori e artigiani, che
porta a una suddivisione dei ruoli professionali svolti nella societ.
Il metallo ottenuto era dunque portatore di un valore economico e sociale nuovo, poich esso consentiva
laccumulazione di un capitale, sotto forma di oggetti, che si poteva raccogliere in quantit relativamente piccole. I
manufatti metallici costituivano cos beni di grande valore che potevano essere tesaurizzati con relativa facilit.

Lo sviluppo della metallurgia


La semplice raccolta del rame documentata solo in poche localit del Neolitico antico del Vicino Oriente (Shanidar e
Ali Kosh) nel corso del IX millennio a.C. e a Lepenski Vir nella penisola balcanica durante il VII millennio a.C. La
prima fase di lavorazione attestata ancora nel Vicino Oriente tra VIII e VI millennio a.C. In Europa il primo manufatto
metallico un punteruolo di rame rinvenuto nel sito rumeno di Balomir (5.900-5.300 a.C.) cui fanno seguito, nella
seconda met del VI millennio a.C., altri manufatti rinvenuti in Grecia, nelle localit di Sitagroi e di Dikili Tash.
Nel Vicino e Medio Oriente la presenza di officine metallurgiche o la prova evidente della fusione in stampi monovalvi
e della forgiatura a caldo e a freddo di manufatti metallici limitata, nel corso del V millennio a.C., a poche localit
distribuite tra Anatolia (Degirmentepe), Asia centrale (Namazga), Iran (Tepe Yahya) e Pakistan (Mergarh).
Sin dagli inizi del V millennio a.C. la fusione e la forgiatura di oggetti di rame e, contemporaneamente, la comparsa di
manufatti in oro e in argento sono attestate in alcune regioni dellarea compresa tra la penisola balcanica, la Moldavia e
lUcraina. La ricchezza, la qualit e la variet delle testimonianze indicano che lEuropa sud-orientale, pur essendo
lontana dal centro dorigine della prima lavorazione dei metalli, costituisce la prima vera provincia metallurgica del
Vecchio Mondo. A tale proposito va sottolineato come, almeno durante let del Rame della penisola balcanica, fu la
tecnologia della produzione della ceramica ad indicare la via da seguire nello sviluppo delle attivit metallurgiche. Le
comunit neolitiche di queste regioni disponevano infatti di forni per la cottura della ceramica che consentivano di
raggiungere temperature elevate (700-800C e anche superiori). Le conoscenze tecnologiche acquisite nella
fabbricazione dei vasi risultarono perci fondamentali nella lavorazione del rame, poich le condizioni necessarie per
estrarre e fondere questo metallo, temperatura di 1.100C e controllo dellaria per ottenere unatmosfera riducente, non
erano molto diverse da quelle richieste dalla produzione dei vasi.
A partire dalla fine del V millennio a.C. si moltiplicano in Europa e in Asia, gli oggetti in cui possibile riscontrare
limpiego dellarsenico, aggiunto per ottenere una lega che, per le sue migliori qualit di resistenza, sostituir quasi
ovunque luso del solo minerale di rame. Le leghe metalliche migliorano non solo la durezza, ma anche il processo di
modellamento, poich evitano la formazione di bolle daria create dai gas dissolti nella colata e usciti dalla soluzione
durante il raffreddamento. Le testimonianze di unampia diffusione della metallurgia incrementano notevolmente nel
corso del IV millennio a.C.

Alla prima met del IV millennio a.C. risalgono numerose prove della prima lavorazione del rame nelle Alpi
settentrionali e in Slesia, concentrate soprattutto nellarea occupata dagli abitati palafitticoli svizzeri e associate
allevidenza di importazioni dallarea balcanica.
A un periodo compreso tra il 4.300 e il 3.850 circa a.C. sono datate le prime testimonianze di manufatti di rame sulle
due sponde del mare Adriatico, in Dalmazia, in Albania e in Italia (Fossacesia e S. Maria in Selva nellItalia centrale,
riferibili entrambe al tardo Ripoli, e Martinelle di Malvezzi in Basilicata, tomba a cista contenente tra i vari oggetti del
corredo anche un vaso nello stile tardo di Serra dAlto). Nel periodo compreso tra il 3.850 e il 3.500 a.C. manufatti e
scorie metalliche sono attestati nellItalia settentrionale e in Sardegna, mentre il grumo di scorie metalliche aderenti alle
pareti di un crogiuolo da contrada Diana, nellisola di Lipari, rappresenta la prima inequivocabile testimonianza
durante il Neolitico finale di una lavorazione in loco del metallo.

Laratro, il latte e la lana: mutamenti nella vita quotidiana delle comunit


dellet del Rame
La fine del Neolitico e la successiva et del Rame sono stati periodi di graduali, ma profonde trasformazioni. Nel
volgere di alcuni secoli sono state adottate, infatti, numerose innovazioni tecnologiche ed economiche fondamentali,
quali la metallurgia, laratro, la ruota e il carro, la trazione animale, lo sfruttamento dei prodotti secondari
dellallevamento, quali la lana, il latte e tutti i suoi derivati, la comparsa di forme specializzate di allevamento come la
pastorizia transumante e, infine, il cavallo domestico. Queste innovazioni investirono, come si pu immaginare, diverse
sfere, quali la sussistenza, il modello di insediamento, lorganizzazione sociale e lideologia delle comunit eneolitiche.
Nel corso del III millennio a.C. lintensificazione delle attivit artigianali e di quelle di sussistenza e lo sviluppo della
complessit sociale appaiono di conseguenza fenomeni strettamente correlati tra loro.
Ladozione dellaratro a trazione animale consent di lavorare suoli pi pesanti di quelli alluvionali, sfruttati dagli
agricoltori neolitici, favor la colonizzazione di nuove aree e di conseguenza il loro disboscamento, mentre lutilizzo di
carri e laddomesticamento del cavallo favorirono lo scambio dei prodotti, il trasporto e il controllo del territorio. Il
cavallo scomparso dalla penisola italiana alla fine dellet glaciale ricompare nella forma domestica in contesti
eneolitici del III millennio a.C. assumendo importanza anche come animale di prestigio.
Di particolare rilevanza lo sviluppo delle pratiche di sussistenza connesse allallevamento. Le prime comunit di
agricoltori neolitici allevavano gli animali come fornitori di carne. Solo in un secondo momento fu possibile sfruttare
gli animali per i prodotti secondari (latte, lana) o utilizzarli come fonte di energia per i lavori agricoli e per i trasporti; a
conseguenza di ci gli animali domestici, anzich essere macellati appena raggiunta let adulta, cominciarono ad
essere tenuti in vita pi a lungo al fine di poterne sfruttare tutte le potenzialit
La mungitura degli animali domestici implica inoltre una selezione di razze capaci di continuare a fornire latte anche
dopo lo svezzamento dei piccoli, ma allo stesso tempo lassunzione del latte dorigine animale ha portato, in alcune
popolazioni umane, a una mutazione genetica che ha determinato la produzione anche in et adulta della lattasi, enzima
responsabile della produzione del lattosio. Nelle sue prime fasi di utilizzo il latte veniva probabilmente consumato sotto
forma di yoghurt e di formaggio, prodotti in cui il lattosio si riduce a livelli molto bassi.
Anche la lavorazione della lana, poich la pecora inizialmente non era un animale lanoso e veniva sfruttata solo per la
carne, la conseguenza di una mutazione genetica prodotta dalla domesticazione. Il suo vello infatti formato da due
tipi di peli: le fibre primarie, ruvide e di grosso spessore formano il pelame esterno, e le fibre secondarie, pi fini e
lanose costituiscono il pelame interno. Le mutazioni genetiche hanno determinato una riduzione delle fibre primarie e la
conseguente comparsa di un pelo intermedio tra i due tipi che diventato in seguito identico alla fibra secondaria
sostituendola. Il nuovo tipo di pelo costituisce quindi la lana, inoltre nei tempi preistorici le pecore non venivano tosate,
perch erano soggette alla muta e la lana veniva strappata a ciuffi nel momento della muta del vello.
Levidenza archeologica indiretta della lavorazione del latte e della lana confermata dal rinvenimento di pesi da telaio,
fuseruole, vasi per la lavorazione del latte e dalle modificazioni osteologiche verificatesi nella morfologia degli animali
domestici.
Le date della prima comparsa nella preistoria europea di alcune di queste innovazioni nella sfera economica non sono
ancora ben definite ed possibile che alcune di esse risalgano forse gi al VI e V millennio a.C., ma nel periodo
compreso tra la met del IV e gli inizi del III millennio a.C., e forse in un momento anche pi tardo nel caso della
lavorazione della lana, che queste innovazioni si diffondono e vengono adottate in buona parte delle comunit
eneolitiche del continente.

Problemi cronologici dellEneolitico italiano


Se da un lato la conoscenza della pi antica metallurgia in Italia accertata gi dal prima met del IV millennio a.C.
(culture di Diana, tardo Ripoli, Serra dAlto, Vasi a Bocca Quadrata e Chassey-Lagozza), risulta ancora difficile
delineare un quadro complessivo e comprendere limportanza reale che tale nuova forma di artigianato ha assunto nella
societ tardoneolitica.
La recente scoperta delluomo del Similaun (1991) ha sollevato nuovi problemi di ordine cronologico e culturale,
giacch la sua datazione, attorno a 3.350-3.120 a.C., e la presenza tra gli oggetti del suo corredo di unascia in rame del
tipo a margini leggermente rialzati e di un pugnale di selce riferibile dal punto di vista tipologico ai pugnali litici
caratteristici della cultura di Remedello hanno portato a una revisione delle conoscenze note sino alla scoperta della
mummia del Similaun, sullinizio dellet del Rame nellItalia settentrionale e, in generale, in tutta larea alpina.
Le recenti acquisizioni dendrocronologiche e le nuove serie di datazioni radiocarboniche calibrate relative alla Svizzera,
alla Germania e alleruzione di Thera nellEgeo hanno inoltre completamente modificato la datazione convenzionale
valida sino alla seconda met degli anni ottanta che fissava linizio del Bronzo antico nel XVIII secolo a.C. In base alle
nuove date disponibili, linizio del Bronzo antico, e di conseguenza la fine dellet del Rame, fissato verso il
2.300/2.200 a.C.
Fino allinizio degli anni novanta let del rame della penisola italiana si svolgeva nel corso del III millennio a.C., ora,
dopo la scoperta delluomo del Similaun e labbassamento della cronologia del Bronzo antico, lEneolitico si sviluppa
nellarco di tempo compreso tra il 3.400/3.300 e il 2.300/2.200 a.C.

Cronologia e inquadramento culturale dellet del Rame in Italia


Let del Rame dellItalia settentrionale suddivisa in un momento pi antico (3.400/3.300-2.500 a.C.) caratterizzato
dalla presenza di numerosi aspetti culturali tra loro pi o meno coevi (tombe collettive, cultura di Remedello, gruppo
di Spilamberto, Ceramica White Ware, megalitismo), ma di cui non si riescono ancora a definire i limiti cronologici
e le relazioni reciproche, e da un momento pi recente (2.500-2.300 a.C.) nel corso del quale si assiste alla diffusione
del Vaso Campaniforme.
NellItalia centrale gli aspetti pieni dellEneolitico (3.000-2.500 a.C.) vedono lo sviluppo delle culture di Conelle e di
Ortucchio nelle Marche e in Abruzzo e quella di Rinaldone lungo il versante tirrenico tosco-laziale. In un momento
avanzato dellEneolitico attestata la diffusione, soprattutto nel versante medio-adriatico, della Ceramica a Squame,
presente per solo in contesti dabitato. La tarda et del Rame (2.500-2.300 a.C.) vede la diffusione, in siti della
Toscana e del Lazio, del Vaso Campaniforme.
Lavvento e il successivo sviluppo dellet del Rame nellItalia meridionale e peninsulare appare caratterizzato da una
serie di fermenti culturali che porteranno gradualmente a profonde trasformazioni delle societ tardoneolitiche.
Lelemento peculiare della fase pi antica la pluralit degli aspetti che si riscontrano nelle regioni meridionali.
NellItalia meridionale, il momento pi antico dellet del Rame caratterizzato da una situazione ancora non ben
definita, i cui elementi principali sono dati dalla persistenza delle tradizioni neolitiche precedenti; in Puglia e Calabria
attestato laspetto Piano Conte. La fase pi avanzata dellEneolitico rappresenta il vero momento di rottura con gli
aspetti tardoneolitici. Nella prima met del III millennio a.C. si afferma la cultura del Gaudo in Campania e quella di
Andria in Puglia, note quasi esclusivamente da contesti funerari. In una fase successiva, verso la met del III millennio
a.C., si diffonde in tutta larea continentale meridionale la tradizione della Ceramica a Squame, che sembra
documentare un momento di unificazione tra i vari aspetti locali. La Ceramica Campaniforme che costituisce
nellambito europeo e mediterraneo occidentale lultimo orizzonte dellet del Rame (2.500-2.300 a.C.), appare
scarsamente attestato nellItalia meridionale, mentre sempre al momento finale dellEneolitico attestata la comparsa
della cultura di Laterza, che avr ampio sviluppo durante la successiva et del Bronzo antico.
In Sicilia, dopo la forte omogeneit della cultura di Diana, let del Rame caratterizzata da una marcata
frammentazione culturale. Nellisola documentata, durante la fase terminale dellEneolitico, la presenza di influenze
campaniformi che persistono ancora durante lantica et del Bronzo con il cosiddetto stile della Moarda.
In Sardegna il passaggio dal Neolitico finale allet del Rame caratterizzato dalla cultura di S. Michele di Ozieri,
anche se la fine di tale cultura non ancora ben chiara poich essa posta da alcuni studiosi alla fine del Neolitico,
mentre da altri essa ritenuta persistere ancora durante lEneolitico iniziale. Il pieno Eneolitico, che si sviluppa durante
la prima met del III millennio a.C., caratterizzato dagli aspetti Filigosa e Abealzu; i due aspetti sembrano terminare
prima della formazione della cultura di Monte Claro. Questa cultura attesta una maggiore diffusione in buona parte
dellisola e il suo momento finale (2.500-2.300 a.C.) si sovrappone alla comparsa della Ceramica Campaniforme; la
persistenza di motivi decorativi del Campaniforme inoltre documentata nella successiva antica et del Bronzo

(cultura di Bonnnaro). La comparsa dei primi nuraghi a tholos e delle prime tombe dei giganti va collocata durante
la fase pi avanzata (2.000-1.700 a.C.) della cultura di Bonnnaro.

LEneolitico nellItalia settentrionale


Lunit culturale che aveva caratterizzato lItalia settentrionale tra il V e il IV millennio a.C. con la cultura dei Vasi a
Bocca Quadrata e in seguito durante il IV millennio a.C. con i gruppi Chassey e Chassey-Lagozza sembra
concludersi nella seconda met del IV millennio a.C., quando in buona parte delle regioni della Pianura Padana e del
versante meridionale alpino documentata la comparsa diffusa dei primi manufatti di rame.
La conoscenza dellet del Rame dellItalia settentrionale risente ancora purtroppo di molti limiti; numerosi sono infatti
i problemi che caratterizzano questo periodo, quelli forse pi rilevanti sono i seguenti: 1) la mancanza di sequenze
stratigrafiche di riferimento determina lassenza di una scansione cronologica necessaria alla definizione delle culture e
delle linee evolutive tra Tardoneolitico e Bronzo antico; 2) il divario tra lalto numero di necropoli e i corrispettivi pochi
insediamenti noti implica una buona conoscenza delle tradizioni funerarie dellItalia settentrionale a sfavore della vita
quotidiana; 3) il numero ridotto di abitati conosciuti limita le conoscenze sui modi di insediamento e di sfruttamento del
territorio delle comunit eneolitiche.
Let del Rame dellItalia settentrionale suddivisa in un momento pi antico (3.400/3.300-2.500 a.C.) caratterizzato
dalla presenza di numerosi aspetti culturali contemporanei e in un momento pi recente (2.500-2.300 a.C.) nel corso del
quale si assiste alla diffusione della Ceramica Campaniforme.
La sequenza culturale tipo, valida per lItalia settentrionale tra tardo Neolitico e antica et del Bronzo, quella
individuata nel sito di Monte Covolo (Brescia), dove lo sviluppo il seguente: cultura della Lagozza (Neolitico finale),
ceramica White Ware (antica e media et del Rame), Vaso Campaniforme (tarda et del Rame), cultura di Polada
(Bronzo antico).
Una recente analisi della sequenza cronologica e culturale riconosciuta nellabitato di Isera la Toretta (Trento)
associato al riesame dei costumi funerari della necropoli di Remedello Sotto (Brescia), messi a confronto con i dati
ricavati dallo studio delluomo del Similaun, hanno portato alcuni studiosi a proporre una suddivisione in tre fasi
dellet del Rame dellItalia settentrionale: et del Rame I (3.400/3.300-2.900/2.800 a.C.), et del Rame II
(2.900/2.800-2.400 a.C.) ed et del Rame III (2.400-2.300/2.200 a.C.). Sulla base delle datazioni radiocarboniche e dei
confronti con le culture nordalpine viene proposta una contemporaneit tra la fase antica della necropoli di Remedello,
la ceramica tipo Tamins-Isera 5 e White Ware, aspetti inquadrabili in una fase arcaica dellEneolitico (Rame I). La
seconda fase di utilizzo della necropoli di Remedello, durante la quale attestata la Ceramica Metopale, rappresenta
un momento pi evoluto dellet del Rame (II) che pu essere correlato cronologicamente con la cultura francese di
Fontbouisse e con la diffusione della Ceramica Cordata svizzera. La fase pi recente dellEneolitico (Rame III) infine
caratterizzata dalla diffusione del Vaso Campaniforme.
La suddivisione cronologica proposta per lEneolitico dellItalia settentrionale non risolve in ogni caso tutti i vari
problemi connessi alla complessit e alla diversificazione del quadro culturale documentato (tavola), per tale motivo
forse pi semplice considerare separatamente i principali aspetti che caratterizzano gli studi sullet del Rame: 1) i
costumi funerari; 3) il megalitismo; 4) la diffusione del Vaso Campaniforme.
Da quando nel 1931 fu definita per la prima volta la cultura di Remedello, dalla omonima necropoli eneolitica posta
nella provincia di Brescia, let del Rame dellItalia settentrionale era associata a questa cultura, caratterizzata da tombe
a inumazione singola e dalla presenza di molti manufatti di rame (asce piatte, pugnali ed elementi di ornamento)
(Tavola). La realt era invece ben diversa giacch alcuni studi degli anni settanta mettevano in luce lesistenza di
numerose sepolture collettive distribuite in gran parte della fascia collinare perialpina del Trentino, della Lombardia,
della Liguria, cos come lungo la fascia preappenninica emiliano-romagnola e nella Toscana settentrionale.
La distinzione tra larea della sepoltura collettiva (gruppo di Civate in Lombardia, gruppo di Vecchiano nella Toscana
settentrionale) e quella dellinumazione singola (cultura di Remedello nellarea padana lombardo-veneta, gruppo di
Spilamberto nel modenese) costituisce perci un confine culturale. La differenza tra le due tradizioni funerarie infatti
molto evidente non solo nella diversit del rituale funerario (inumazione singola, inumazioni collettive), ma pure nel
tipo di oggetti associati ai defunti; nella cultura di Remedello i corredi sono costituiti da diversi oggetti (armi, utensili,
ornamenti, vasi) che mettono in rilievo le caratteristiche dellindividuo (sesso, et, posizione sociale) (TAVOLA),
mentre nelle tombe collettive, dove il defunto viene deposto perdendo la sua individualit a favore di unappartenenza
pi ampia (famiglia, lignaggio, classe det, clan, ecc.), gli oggetti rinvenuti pi di frequente sono gli elementi di
ornamento che sono stati interpretati come la testimonianza di offerte funerarie destinate agli antenati.
Unipotesi sullorganizzazione sociale dellet del Rame in Italia settentrionale pu essere avanzata a partire
dallanalisi della necropoli di Remedello. In essa evidente infatti la distinzione principale fra maschi adulti armati
sepolti in posizione rannicchiata ed infanti, giovani e donne sepolti in posizione supina generalmente senza corredo o

con solo una lama di selce. Risulta poi molto difficile stabilire se la concentrazione di armi ed oggetti di prestigio in
alcune tombe di armati testimonino la presenza di personaggi di rango o se semplicemente siano il riflesso di una
maggiore articolazione della societ. Limportanza degli armati inoltre ben documentata nella necropoli di
Spilamberto (Modena).
Il fenomeno del megalitismo (dal greco megas=grande e lithos=pietra), nei suoi diversi aspetti dellItalia settentrionale,
quali le statue-menhir, i massi incisi e le tombe megalitiche, rappresenta un altro importante aspetto dello studio
dellorganizzazione sociale dellet del Rame.
Il termine megalitismo usato per designare grandi pietre isolate (menhir) o strutture monumentali (dolmen, tombe
megalitiche, fortificazioni e recinzioni) edificate utilizzando pietre di grandi dimensioni, generalmente poco modellate.
Il fenomeno, pur investendo buona parte dei territori del Mediterraneo e dellEuropa occidentale sin dal Neolitico,
compare in Italia settentrionale solo durante le fasi pi antiche dellet del Rame. La distribuzione geografica nelle
regioni settentrionali interessa prevalentemente larco alpino centro-occidentale e la dorsale dellAppennino liguretoscano; mancano invece le testimonianze nellarea della Pianura Padana. Spesso le manifestazioni megalitiche e larte
rupestre sono presenti nello stesso territorio.
Le statue-menhir, presenti in Trentino-Alto Adige, nella zona di Aosta e in Lunigiana, e le stele e i massi incisi, noti
soprattutto in Valtellina e Valcamonica, sono da connettere ad una sfera nella quale culto, riti funerari e ostentazione
dimportanza sociale si coniugano in complesse manifestazioni simboliche. Le statue-menhir riproducono iconografie
che presentano spesso delle costanti, come il pugnale, lascia, il pendaglio a doppia spirale, il cinturone, i caratteri del
volto, elementi di ornamento; le rappresentazioni maschili prevalgono generalmente su quelle femminili (TAVOLA).
Nei massi incisi, accanto ad elementi che possono essere pertinenti allarmamento o allabbigliamento personale
compaiono raffigurazioni del simbolo solare, associate ad oggetti di prestigio quali alabarde ed asce da combattimento,
e rappresentazioni del mondo terreno come laratro, il carro, mandrie di bestiame e branchi di animali selvatici. Questo
tipo di monumenti, singoli o associati, devono rappresentare lespressione di particolari attivit rituali, propiziatorie o
celebrative. Le statue-menhir e i massi incisi vengono datati alla prima met del III millennio a.C.
Le strutture funerarie di tipo megalitico sono estremamente rare nel versante italiano dellarco alpino; esse si limitano ai
monumenti dellarea megalitica di Saint Martin de Corleans (Aosta), di Velturno (Bolzano) e di Sovizzo (Vicenza).
I monumenti megalitici di Aosta trovano un riscontro diretto nellarea megalitica del Petit Chasseur di Sion nel
Vallese (TAVOLA). Lo scavo del sito di Saint Martin ha permesso di ricostruire una lunga evoluzione nei modi di
utilizzo dellarea, le cui tappe principali sono lo scavo di un certo numero di buche contenenti dei pali e resti combusti
di crani di ariete, unaratura di consacrazione dellarea e la semina di denti umani, lerezione di statue stele e lofferta di
macine e cereali in pozzi appositamente preparati, la costruzione di quattro tombe megalitiche che nella loro struttura
utilizzano parti spezzate delle stele. La costruzione delle tombe megalitiche di Aosta riferibile a una frequentazione
della localit da parte di comunit del Vaso Campaniforme.
Il periodo pi recente dellet del Rame caratterizzato anche in Italia settentrionale, come in buona parte dellEuropa
centro-occidentale, dalla diffusione del Vaso Campaniforme. Attorno alla met del III millennio a.C., infatti, il vaso a
forma di campana decorato a impressione con motivi geometrici, spesso accompagnato dal pugnale di rame, tipo
Ciempozuelos, da elementi ornamentali metallici e da una serie di oggetti che costituiscono il kit dellarciere, punte di
freccia a peduncolo ed alette e brassards (piastrine di pietra usate come protezione dellavambraccio dal contraccolpo
della corda dellarco), presente dallUngheria alla penisola iberica e dalla Sicilia e Sardegna fino alle isole britanniche.
La diffusione del Vaso Campaniforme, che a un primo esame lascia intravedere il primo grande fenomeno di
unificazione culturale del continente, rivela invece la presenza di diverse tradizioni regionali allinterno di questa
cultura. NellItalia settentrionale essa attestata in quattro differenti stili: all over ornament (AOO), europeo, italiano e
stile della Tanaccia di Brisighella. Accanto a complessi quali Monte Covolo (Brescia), S. Ilario dEnza (Reggio),
Rubiera (Reggio), dove il campaniforme si presenta con delle caratteristiche che potremmo dire pure, ve ne sono altri
dove vasi campaniformi si associano ad elementi di differenti tradizioni culturali, sia dellet del Rame sia, talvolta, del
Bronzo antico.
La presenza di vasi campaniformi sovente rilevata nelle tombe, per tale ragione questo tipo di vaso stato interpretato
come simbolo dellideologia maschile del bere e del combattere, come simbolo di rango e quindi testimonianza
dellesistenza di lite e come manifestazione materiale di prestigio individuale e ricchezza.
Qualunque sia linterpretazione del fenomeno campaniforme, lampia diffusione prova la sua importanza storica: la
creazione del primo grande circuito di scambi di idee, merci e concezioni che rese possibile lintegrazione di diverse
comunit e una prima capillare diffusione della metallurgia nel continente europeo.
Let del Rame in Italia settentrionale, come in buona parte dEuropa, vede numerosi mutamenti nella cultura materiale
e nellorganizzazione sociale delle comunit eneolitiche. Uno degli aspetti forse pi rilevante laumento generale della
conflittualit nel corso del III millennio a.C.; tale fenomeno, documentato dallampia diffusione di armi metalliche e
litiche, si accompagna al ruolo sempre pi importante rivestito dallelemento guerriero nella societ. Sebbene nel corso
del precedente Neolitico tali evidenze si fossero gi manifestate in modo labile, solo durante let del Rame che le
sepolture, le rappresentazioni dellarte preistorica e la diffusione dellarchitettura megalitica attestano la crescente
importanza sociale dei gruppi di armati e della rilevanza sociale del maschio adulto

L'et del bronzo


Nel periodo compreso tra la fine del III millennio a.C. e gli ultimi secoli del I, in Europa centrale, nell'area padana e
danubiana-carpatica, si verificano una serie di fenomeni di ordine tecnologico, economico e sociale - come lo sviluppo
della metallurgia (prima del bronzo e poi del ferro) e il formarsi di "societ complesse", ossia il verificarsi di
differenziazioni sociali stabili - che consentono di definire tale epoca come protostoria.
All'inizio di questi duemila anni l'Europa e l'Italia sono popolate da piccole comunit di villaggio, per lo pi instabili e
prive di una stratificazione sociale consolidata, mentre alla conclusione sono costellate da citt e stati e caratterizzate da
societ articolate in classi.
L'Europa di quell'epoca ebbe contatti con le societ del Vicino Oriente e del Mediterraneo, in cui livelli civile e forme
di organizzazione sociale erano totalmente diversi: questi contatti dovettero dovettero offrire occasioni di confronto,
esercitando un effetto di stimolo alla trasformazione.
Di queste comunit che si sono succedute nel tempo abbiamo testimonianza soprattutto attraverso i resti materiali
rinvenuti negli abitati, nei sepolcreti ed in altri tipi di deposizione per seppellimento volontario (ripostigli, deposizioni
cultuali). Talvolta, ma solo per il periodo pi recente, abbiamo notizie indirettamente da fonti scritte prodotte presso
genti che conoscevano la scrittura e che erano entrate in contatto con esse.

Il Bronzo Antico
A partire dall'inizio del secondo millennio la produzione metallurgica assume una dimensione quantitativa (in alcune
parti d'Europa fino a decuplicarsi o centuplicarsi) e qualitativa mai conosciuta prima. Un tale sviluppo implica una
notevole accumulazione di conoscenze tecnologiche e di capacit professionali. Gli oggetti di bronzo fabbricati durante
questo periodo erano in prevalenza beni di prestigio rivolti a nuovi ceti emergenti.
La creazione di una lega resistente e di facile lavorazione (bronzo) determin la produzione su larga scala di oggetti
metallici di differenti classi e ebbe come conseguenza una serie di miglioramenti economico-sociali quali il
potenziamento dell'agricoltura, attraverso l'uso di utensili metallici, l'incremento demografico e la creazione di riserve di
ricchezza da distribuire attraverso il commercio. L'et del bronzo segna, dunque, una tappa fondamentale nella storia
europea. Uno dei centri pi attivi dell'estrazione dei minerali cupriferi e della metallurgia era il territorio alpino
orientale intorno alle miniere di rame del Salisburghese (Austria) sicuramente sfruttate sin dal Bronzo Antico (18001600 a.C.). Questi luoghi di approvvigionamento e lavorazione del bronzo divennero punti di incontro di genti di varia
provenienza.
A partire da questo stesso momento, si verificano due fattori nuovi: in un certo numero di corredi funebri
incominciano a ricorrere in modo costante regolari combinazioni di oggetti di prestigio spesso di metallo e di fattura
tecnicamente complessa. Da quanto si pu dedurre dai sepolcreti, la presenza di alcuni oggetti di corredo
particolarmente rari consente di riconoscere alcune figure eminenti, in particolare emergono alcuni elementi maschili,
contraddistinti come guerrieri.
Le stesse categorie di oggetti di prestigio in metallo (pugnali, alabarde, asce, collari, braccialetti, altri ornamenti
[Tavola]) compaiono anche nei ripostigli, gruppi di oggetti la cui interpretazione come risorse tesaurizzate, o offerte
alla divinit ritualmente sepolte, controversa, ma che in entrambi i casi attestano forme di accumulazione di ricchezza
che ora si affianca a quella tradizionale costituita dal bestiame. Una terza categoria di rinvenimenti i cui i beni di
prestigio si trovano per singolarmente quella - che comincia proprio ora a comparire, ma che avr pi fortuna in
seguito - delle deposizioni cultuali, per le quali il significato di offerta alla divinit evidenziato dalla scelta del luogo
(corsi e specchi d'acqua, vette dei monti, valichi, voragini, anfratti rocciosi).
Le comunit all'interno delle quali avveniva questo processo di differenziazione sociale avevano dimensioni ridotte,
erano piccoli gruppi, dell'ordine di varie decine di individui, legati da rapporti di parentela e aggregati in villaggi sparsi
sul territorio. Sebbene queste comunit praticassero una agricoltura piuttosto avanzata, basata sull'uso dell'aratro, i loro
stanziamenti non possono ancora considerarsi stabili.
Nei sepolcreti europei ed italiani di questo periodo si colgono diverse modalit di seppellimento e di organizzazione
dello spazio: una unica tomba, o un piccolo gruppo di tombe a carattere monumentale, aggregarsi di nuclei attorno a
tombe di personaggi eminenti o gruppi di maggior spicco. Ci sembra rispecchiare a<aggregazioni per discendenza o
per differenze di rango.
Nelle pratiche di culto sopravvivono i culti in grotta o presso sorgenti con semplici offerte e iniziano, secondo una
concezione diversa, deposizioni culturali di oggetti di prestigio.

A partire dagli inizi dell'et del bronzo in Europa comincia a moltiplicarsi il numero degli abitati stabili. Le aree che per
prime videro una continuit di stanziamento furono quelle sud-orientali della penisola balcanica, del bacino danubianocarpatico e del sud est della Spagna. In Italia esso documentato solo nella pianura Padana nell'area di Polada. [Tavola]

Il Bronzo Medio
A partire dal Bronzo Medio si verificano profondi cambiamenti nell'assetto demografico, economico e sociale delle
comunit. Queste si fanno pi popolose, dell'ordine di centinaia di individui e pi stabili, cio pi sedentari: sono
frequenti ora gli stanziamenti che durano diversi secoli. Queste comunit ci appaiono ora strutturate su base territoriale.
I corredi delle necropoli denotano una differenziazione sociale ed economiche meno vistosa. Anche la produzione
metallurgica cambia carattere: accanto alle armi e agli ornamenti hanno sempre pi importanza gli utensili e gli
strumenti di lavoro.
In Europa compare al passaggio tra Bronzo Antico e Bronzo Medio la falce messoria in bronzo che sostituisce quella
lignea con armatura in selce.
Nello stesso periodo si assiste in alcune aree dell'Europa, soprattutto nella parte settentrionale, alla suddivisione di vaste
superfici di terreno in piccoli appezzamenti di forma quadrangolare (estese fino a un ettaro) delimitate da arginelli o
terrazzamenti. Gli abitati presentano di un tessuto insediativo a "scacchiera" con reticolo viario ad assi paralleli. Questi
abitati dunque sono costruiti secondo una pianificazione precisa: sono provviste di infrastrutture come fortificazioni a
terrapieno e fossati, ci implica che hanno comportato un investimento di lavoro consistente tale da coinvolgere l'intera
comunit.
Il rituale funebre, nel quale ora prevale in Europa il costume crematorio, sembra rivelare un sistema di rapporti sociali
in cui ci che conta la collocazione e la funzione sociale svolta all'interno della comunit.
Alcuni studiosi considerano che in questo periodo la terra sia di propriet comune e venga assegnati a rotazione degli
appezzamenti di terreno agricolo alle singole famiglie (come attestato nelle societ arcaiche e barbariche d'Europa).
Secondo questo modello anche l'approvvigionamento dei minerali metalliferi era garantita dalla comunit (trib) stessa.
La produzione notevolmente aumentata e l'intensa circolazione da una comunit all'altra di manufatti implica che alcune
persone dovevano essere impegnate a tempo pieno alla lavorazione dei metalli. Le tracce di lavorazione del bronzo
negli insediamenti sono pressoch generalizzate e la circolazione di metallo grezzo (pani, lingotti, rottami), suddiviso
secondo sistemi ponderali, molto ampia.
Nel nuovo assetto sociale il ceto dei guerrieri dominanti si trova al centro di un sistema di forze pi complesso.
L'importanza delle lites guerriere durante questi secoli testimoniata dal grande sviluppo delle tecnologie militari,
come la comparsa della spada e dalla sua evoluzione da arma da punta ad arma da fendente, o come la diffusione del
combattimento a cavallo e su carri a due ruote e al diffondersi della lancia sia da getto, sia impugnata come arma da
punta. Un indizio forse va riconosciuto anche nella tendenza a costruire sempre pi imponenti fortificazioni degli abitati.
Queste lites verosimilmente controllavano anche lo scambio tra comunit e comunit di materiale grezzo, ma anche
manufatti di prestigio ormai largamente diffusi, come vaghi d'ambra, pietre pregiate, faence.
In questo periodo aumenta il numero di ripostigli (insieme di manufatti rotti, pani e lingotti) Indipendentemente dalla
loro interpretazione, molto discussa, (seppellimento per motivi di sicurezza o rituale deposizione di offerte alle divinit)
il risultato di un processo di accumulazione di riserve di ricchezza il cui proprietario verosimilmente sar stata la
comunit stessa.
Nelle manifestazioni religiose tende a scomparire la concezione "terrena" della divinit e si affermano invece
gradualmente delle pratiche che collocano il divino in una sfera separata e lo fanno oggetto di offerte analoghe a quelle
che competono ad una figura socialmente eminente.

Il Bronzo Medio in Italia

Nel Bronzo Medio dell'Italia settentrionale si distinguono quattro aree archeologicamente distinte: quella transpadana
cenro-orientale (Lombardia, orientale, Trentino-Alto Adige e Veneto); quella "terramaricola" (Emilia centro-occidentale,
bassa lombarda e veneta), quella nord-orientale (Friuli-Venezia Giulia, parte della Slovenia e della Croazia), quella
nord-occidentale (Lombardia a ovest dell'Adda, Piemonte e Liguria).
Con il Bronzo Medio il processo di stabilizzazione dell'insediamento, che era iniziato in Italia nell'area centro-orientale
e in Sicilia nel periodo precedente, si estende a tutto il resto d'Italia. Aumenta i numero degli abitati su altura in aree
collinari e montane, nelle aree di pianura, in particolare nella Pianura Padana, sorgono, in tempi diversi, abitati cinti da
fortificazioni. Il numero degli insediamenti diminuisce e aumenta la loro estensione: forse ci rispecchia una
concentrazione della popolazione in alcuni siti. La densit di popolazione viene stimata in una media di 100 persone per
ettaro.
Il fatto nuovo l'estensione delle colture agricole nelle zone collinari con la diffusione dell'arboricoltura (fico, melo,
pero, noce, olivo e vite vinifera). Riguardo l'allevamento non ci sono dati per distinguere l'allevamento stanziale,
pastorizia, alpeggio e transumanza. Sulla base dei resti ossei rinvenuti sappiamo che in pianura le principali specie
allevate si equivalgono con un lieve prevalenza del bue; nell'appennino emiliano-romagnolo prevalgono capro-ovini e
nelle Alpi centrali sono dominanti capro-ovini e scarso il maiale.
L'Italia in questo periodo divisa in due ambiti di gusto: l'Italia settentrionale sembra legata, specie nella produzione
metallica, all'Europa centrale e danubiana, quella centro-meridionale sviluppa nella produzione ceramica, nella fase
avanzata del Bronzo Medio, uno stile proprio denominato "appenninico".

Il Bronzo Recente
In questo periodo l'Italia settentrionale ancora divisa in quattro aree archeologicamente differenziate come nell'epoca
precedente: l'area transpadana centro-orientale; terramaricola, castellieri carsico-istriani a nordest, comprendente anche
Friuli - Venezia Giulia e parte delle attuali Slovenia e Croazia.
L'Europa centrale caratterizzata dalla presenza di un "frontiera culturale" che la taglia da nord a sud, dividendo una
zona a nord ovest delle Alpi, gravitante maggiormente verso l'Europa occidentale, e una zona a nord est delle Alpi,
legata all'area danubiano-carpatica. Tale frontiera divide in due anche l'Italia settentrionale. L'elemento unificante
rappresentato alla produzione metallurgica. Le sfere metallurgiche occidentale e orientale costituiscono due aspetti di
una medesima unit, la Koin metallurgica che unisce l'Europa e il Mediterraneo. Le fogge sono assai simili, spesso tipi
identici di spade, armi, fibule, spilloni, utensili denunciano una circolazione vastissima di modelli e di prodotti dal
mediterraneo alla Scandinavia, dalla Transilvania all'Atlantico. Si assiste ad un grande processo di osmosi. [Tavola]
Un aspetto di questo processo costituito dalla presenza di ceramica micenea (sia di produzione che di imitazione) che
risalgono la penisola fino ad arrivare nell'area transpadana centro-orientale lungo la valle dell'Adige. Un altro aspetto
la diffusione di fogge vascolari della facies subappenninica centro-meridionale sia nell'area terramaricola che in quella
centro-orientale.
Con l'et del Bronzo Recente si completa quel processo di omologazione dell'economia verso forme organizzate iniziata
nel Bronzo Medio: marginalizzazione della caccia, pesca, raccolta, evoluzione graduale di alcune specie di animali
domestici attraverso forme di allevamento pi stanziali. Aumentano il numero di insediamenti.
Nella produzione artigianale si va verso una standardizzazione nella realizzazione di modelli: nel campo della
metallurgia si generalizza la fusione in serie a scapito di tecniche e risultati raffinati precedenti. In Italia ed in Europa si
afferma una nuova produzione di oggetti, in questo periodo viene introdotto il coltello evoluzione del pugnale, e
vengono prodotti oggetti di ornamenti in vetro in sostituzione di quelli in faance. [Tavola]
E' un periodo contraddistinto da una intensa circolazione di cose, persone e idee. Sono diagnostici in questo senso le
ceramiche di importazione e i traffici a lunga distanza anche per via marittima.
Anche nella produzione ceramica la circolazione di oggetti e persone un fenomeno talmente generalizzato da lasciare
poco spazio a differenziazioni locali. La sfera metallurgica assume dimensioni continentali.
A partire dal Bronzo Recente i ripostigli sono caratterizzati da una straordinaria eterogeneit dagli oggetti sia interi che
frammentari: armi da offesa, armi da difesa in lamina, oggetti di ornamento e di abbigliamento, utensili, lingotti e pani
(in particolare quella diffusa a piccone), forme di fusione. Per i frammenti intenzionali di pani e asce ed altri oggetti
stata avanzata l'ipotesi che si tratti di elementi con funzione premonetale, anche se i materiali potevano essere
frammentati per facilitarne la rifusione, come conferma la rispondenza a precisi valori ponderali, potevano essere usati
anche come mezzi di scambio.
E' probabile che in questo periodo l'artigiano dipendesse da un capo locale. Si pu supporre che l'emergere dei ceti
dell'aristocrazia gentilizia abbia portato alla formazione di nuovi e pi complessi rapporti di produzione: attorno ai
gruppi gentilizi si formavano delle aggregazioni di tipo clientelare.
In molte aree dell'Italia continentale prevale il rito della cremazione. Si estende dunque una concezione sacrificale del
rito crematorio: deporre sulla pira un defunto vestito dei suoi ornamenti e accessori rivela l'idea della consacrazione alla
divinit. Le raffigurazioni ornitomorfe sia sul motivo della barca solare sia isolate in coppia o in serie sono molto
diffuse in questo periodo. [Tavola] Probabilmente sono il simbolo di tramite tra la divinit celeste e l'uomo. La divinit
quindi ora collocata nell'ambito celeste e atmosferico o comunque verso l'alto.
Anche le deposizioni cultuali di oggetti di bronzo nei corsi o specchi d'acqua rientrano nelle manifestazioni di
religiosit dell'Europa continentale e nordica. Forse legata anche in questo caso agli uccelli acquatici.
Non facile invece interpretare la sfera di appartenenza del culto dell'arma, o meglio dell'ascia rappresentata in molte
categorie di oggetti (incisioni rupestri, amuleti, modellini, nelle decorazioni di vasi ecc.) forse legata al fulmine e legata
ad una divinit maschile.
Alla sfera terrestre e biologica invece rimandano i simboli della protome taurina e le corna appaiate. Legato forse alla
forza virile (compare fino all'et del ferro su tazze, rasoi, pendagli, ornamenti delle travature delle urne a capanna).
Questi oggetti si ritrovano nelle acque (nei fiumi in particolare armi), o su sommit di alture: pare che il rituale sia
quello dell'offerta di oggetti di prestigio e di valore simbolico, normalmente attribuiti ad un personaggio di rango con il
quale si stabilisce un vincolo di obbligazione. La divinit viene concepita ora come entit immateriale, staccata dalla
sfera biologica e il bene offerto viene concepito come qualcosa di astratto.
Quasi i due terzi delle deposizioni cultuali note, si concentrano tra il Bronzo Medio e il Bronzo Recente.

Il Bronzo Finale in Europa


[Tavola, Tavola]
Nella tarda et del bronzo (XIII - XII) secolo a.C. l'Europa coinvolta in una serie di movimenti di popoli: crollano le
civilt degli Ittiti (Asia Minore), quella dei Micenei (Grecia), Trioa viene distrutta, viene anche coinvolto l'impero
egiziano. Tra il XII e l'XI secolo l'ambito egeo vede il formarsi di numerose comunit locali che non gestiscono pi
scambi a vasto raggio e l'inizio di una grave recessione economica e culturale.
Si assiste al passaggio da una societ tribale ad assetto territoriale a quella gentilizio-clientelare: questo stato un
fenomeno molto variabile a seconda degli ambiti sorico-geografici interessati. Si va da uno spazio di poche generazioni
(un secolo o due) in Italia meridionale ad una serie di secoli in certe zone d'Europa (anche un millennio). Il motivo di
questa differenza sta nel fatto che fu caratterizzato da dinamiche di parziale dissoluzione o degrado delle vecchie
strutture sociali.
La comparsa di lites dominanti e la presenza di tensioni antagonistiche all'interno della societ ha dato origine a gruppi
legati da rapporti di consanguineit (le gentes) che erano aggregazioni gerarchiche di famiglie cellulari. Attorno a
ciascun gruppo veniva a formarsi un seguito che avevano dei rapporti di dipendenza di tipo clientelare (fondati su
servigi sia economici che militari, forniti in posizione subalterna in cambio di protezione o prestigio sociale). questa
struttura sociale si coglie bene nelle necropoli, queste infatti risultano articolate in grandi aggregati tra loro omologhi al
centro dei quali si trova un nucleo di portatori del ruolo maschile pi significativo.
La produzione e la circolazione di beni di prestigio e molte manifestazioni di culto accomunava in cerchie pi estese i
ceti aristocratici di diverse comunit. Si formarono delle entit federali.
Lo sviluppo dell'artigianato, svolto in officine centralizzate, vide solo il potenziamento della produzione di beni di
prestigio destinato a circolare all'interno della comunit o nella sfera comune degli aristocratici.

Il Bronzo Finale in Italia


Tavola][Tavola]
L'et del Bronzo Finale l'Italia settentrionale si sviluppa la facies "protovillanoviana" restano estranee tre facies quella
di Luco (Tirolo, Svizzera Orientale e Trentino-Alto Adige), quella di S. Canziano e Leme (Slovenia e Istria) e quella dei
Castellieri carsici-istriani. Nell'area transpadana vi sono tre facies metallurgiche occidentale, centrale e orientale in cui
inserito il Friuli e la fascia della pianura veneta.
Nell'italia del Nord tra Bronzo Recente e Bronzo Finale si assiste ad un abbandono generalizzato degli abitati, i nuovi
abitati che sorgono in questo periodo sono meno numerosi e pi instabili.
In questo periodo vengono introdotte nuove tecniche di allevamento, pi selettive: in alcune specie domestiche si nota
un notevole miglioramento sia da un punto di vista qualitativo delle razze sia per quanto riguarda la taglia.
La circolazione nel Bronzo Finale mantiene un notevole vitalit: accanto ad alcuni manufatti di circolazione molto
ampia, ve ne sono altri importati a distanze minori all'interno dello stesso ambito culturale. Per quanto riguarda la
ceramica, troviamo su tutto il territorio italiano le stesse forme vascolari, gli stessi motivi decorativi eseguiti con la
stessa sintassi e con le stesse tecniche (stile "protovillanoviano). [Tavola, Tavola]
Nella metallurgia si attenua la koin metallurgica, le diverse cerchie di officine tendono a formare circuiti chiusi che si
traducono in vere e proprie facies metallurgiche regionali.
Nell'accumulazione della ricchezza, sotto forma di metallo, si verifica un profondo cambiamento: in Italia centro
settentrionale vi sono ancora ripostigli con materiali eterogenei, in Italia meridionale si riduce il numero delle classi di
oggetti e sono solo interi, fino ad arrivare a comprendere solo asce.
Nelle necropoli del nord Italia e della fascia medio-adriatica si colgono delle differenziazioni dei corredi funebri per
rango e per ricchezza; queste sono composte da piccoli nuclei, uniformi ciascuno al proprio interno e nettamente
contrapposti fra loro. In Italia centromeridionale vi sono tombe a inumazione e tombe collettive a camera, o piccoli
nuclei di inumazioni individuali con ricchi corredi, spesso caratterizzate dalla presenza di armi.
Il numero dei siti si riduce e si un ingrandiscono le unit territoriali rimaste, nello stesso comprensorio naturale si
addensano pi siti tra loro complementari strategicamente e economicamente.
Le fonti letterarie antiche che si riferiscono in modo pi o meno diretto all'Italia protostorica, fanno riferimento a leghe
o entit federali, spesso facenti capo ad un santuario, che raggruppano entit politiche minori (vedi ad esempio la lega
Latina e il santuario sul Monte Cavo).
L'incenerizione diviene in Italia il rito funebre esclusivo, tranne in poche aree del centro-sud.
Nel Bronzo Finale si pienamente compiuto il processo di identificazione della divinit con la sfera celeste e
atmosferica su quella terrestre. Si moltiplicano sia le raffigurazioni ornitomorfe, sia del sole talvolta incorporate nel

motivo della barca o del carro solare. Continuano pure le deposizioni cultuali sulle vette delle montagne e negli specchi
d'acqua.

L'et del ferro in Europa e in Italia


[In Italia intorno al 1000 a.C. si ha la possibilit di distinguere l'identit di molti popoli, stabilizzati nelle loro sedi
definitive. Di essi abbiamo notizia dalle fonti classiche. Si formano ora delle culture regionali diverse che distinguiamo
col nome delle rispettivi genti (Celti, Illiri, Iberi, Liguri, Reti, Veneti, Etruschi ecc.) oppure con il nome del luogo dove
sono state fatte le prime e significative scoperte (cultura di Golasecca estesa all'incirca alla Lombardia attuale,
villanoviana in Emilia).
E' possibile a partire da questo periodo tentare di identificare le identit etniche con quelle linguistiche e culturali, anche
se spesso le facies definibili in base alla cultura materiale non sono sovrapponibili all'area indicata dalle fonti per una
determinata etnia.
Il passaggio all'et del ferro varia nelle diverse zone d'Europa, in alcune regioni si data all'XI sec. a.C. in Italia intorno
al IX, l'uso del ferro per e pienamente diffuso a partire dal VII sec. a.C..
Nel IX secolo si formano in Etruria i primi centri protourbani "villanoviani" (Tarquinia, Cerveteri, Veio ecc.), mentre le
prime citt furono le prime colonie greche della Sicilia Meridionale fondate circa alla met dell'VIII sec. a.C..
Gli agglomerati erano costituiti da migliaia di individui, in Italia settentrionale e nelle zone a nord e a est delle Alpi, non
vi sono per vere e proprie citt prima della romanizzazione. Un processo protourbano si sviluppa nella pianura padana
- ma non nell'Italia orientale (Friuli - Venezia Giulia) - tra il VI e il V sec. a.C.
Nell'Europa Centrale lo sviluppo protourbano si ha tra il III e II sec. a.C. (oppida celtici).
L'effetto di questo processo fu l'intensificazione dei traffici con importazioni soprattutto di oggetti di prestigio dalle aree
pi progredite, l'emergere di ceti dominanti (aristocrazie) accoglimento di idee religiose e politiche.
Agli inizi dell'et del ferro si formano una serie di gruppi locali contraddistinti da elementi culturali particolari.
In questo periodo la produzione dei vasi fittili raggiunge una forma di standardizzazione nelle forme e nelle dimensioni.
[Tavola, Tavola, Tavola, Tavola, Tavola, Tavola, Tavola, Tavola, Tavola, Tavola]
Vi una straordinaria ripresa della circolazione di artigiani anche a grande distanza che taglia trasversalmente le facies
culturali, si forma una cerchia di artigiani che producono oggetti ad alto valore artistico che si spostano in un raggio
molto ampio ma producono per ceti particolarmente elevati.
Negli oggetti destinati alla tesaurizzazione compare l'aes rude, a partire da VI secolo compaiono spesso nei ripostigli e
nei corredi tombali. Il loro valore premonetale evidente nella costante misura ponderale.
Tra i motivi decorativi che lasciano intravedere aspetti del culto, persiste ancora il motivo della barca solare e degli
elementi ornitomorfi. Compaiono gli alari fittili configurati forse legati al culto del fuoco e del focolare, e le figurazioni
di cavalieri e di cavalli. Solo a partire dal V sec. a.C. sorgono i primi santuari a carattere comunitario, luoghi di
aggregazione di diverse cerchie culturali.

I Veneti

I Veneti emergono dall'anonimato


L'etnico Veneti (Eneto, Ounetoi, Veneti) ricorre nella tradizione allo scopo di individuare popolazioni stanziate in
varie aree del mondo antico, dall'Asia Minore (Veneti "troiani"), alla penisola balcanica (Eneti illirici), dall'Europa
settentrionale e centrale (Veneti, Venedi, Venedae, distinti dai Sarmati; Veneti in Bretagna), alla regione laziale (i
Venetulani sono ricordati da Plinio come uno dei popoli laziali scomparsi ai suoi tempi).
La questione dell'ampia diffusione del termine Veneti stata affrontata dagli studiosi esclusivamente su base linguistica,
mancando l'apporto della documentazione storico-archeologica: G. Devoto, ad esempio, osservava che l'etnico *wenet"non pu identificarsi che con la base dei conquistatori, organizzatori, realizzatori" e che "dovunque si trova attestata la
parola Veneti, ivi si sono affermati rappresentanti di una organizzazione di tradizione linguistica indoeuropea,
meritevole di essere definita e riconosciuta in confronto delle altre come quella sostanzialmente dei vittoriosi". A. L.
Prosdocimi, nel tentativo di definire che cosa rappresenti l'etichetta Veneti, precisa che il termine Veneti sinonimo di
Indoeuropei e che, nella fattispecie, "i Veneti del Veneto rappresentano un filone di Indoeuropei il cui etnico era
appunto Veneti o era avviato a divenirlo". Mentre gli altri Veneti menzionati dalle fonti letterarie non risultano ancorati

a nessuna realt storico-culturale, solamente per i Veneti dell'Adriatico si andata creando una sorta di mitistoria, cui
corrisponde una ricchissima documentazione archeologica, supportata dalla conoscenza della lingua e della scrittura.

Il problema delle origini


Gli autori antichi concordano nell'attestare una provenienza orientale dei Veneti. L'origine orientale, o pi
specificamente troiana dei Veneti, prende le mosse da un passo dell'Iliade di Omero (Il. II, 851-852), in cui il poeta
ricorda, tra gli alleati dei Troiani, un gruppo di Paflagoni, guidati da Pilemene, dal forte cuore, che vengono dagli Eneti,
il paese detto delle mule selvagge. Qualsivoglia sia la corretta interpretazione del termine Eneti, o nome di popolo, o
nome di citt, indubbio che a questo luogo omerico faccia riferimento tutta la tradizione classica, greca e latina, che fa
provenire i Veneti dall'Asia Minore, nella fattispecie dalla Paflagonia, regione che si snoda lungo le sponde meridionali
del Mar Nero. In tale direzione si susseguono le notizie negli autori antichi, dai greci Euripide e Teopompo, ai latini
Catone e Cornelio Nepote, informazioni che trovano una codificazione in et augustea (27 a. C.-14 d. C.). Tito Livio e
Virgilio, voci ufficiali del nuovo regime instaurato da Ottaviano Augusto, ricollegano i Veneti ad Antenore, eroe
scampato alla distruzione di Troia e mitico fondatore di Padova. Tito Livio racconta che morto Pilemene a Troia, gli
Eneti, gi cacciati dalla Paflagonia, senza una patria e una guida, si rivolsero ad Antenore (Liv. I, 2-3): "con un gruppo
di Eneti, ... Antenore pervenne nella parte pi interna dell'Adriatico, e cacciati gli Euganei, che abitavano fra il mare e le
Alpi, gli Eneti e i Troiani occuparono quelle terre... L'intera gente prese il nome di Veneti". Nell'Eneide virgiliana (Virg.
Aeneide. I, 242-249), Venere, angosciata per il lungo peregrinare del figlio Enea, contrappone a quest'ultimo la felice
sorte di Antenore che, sfuggito dalle mani degli Achei, si addentr nei golfi dell'Illiria, si spinse nel regno dei Liburni e,
superata la fonte del Timavo, fond in quelle terre la citt di Padova e stabil la sede dei Troiani. L'affiancare Antenore,
nel suo viaggio verso Occidente, ad Enea , illustre esule troiano e leggendario fondatore di Roma, tradisce l'intento
propagandistico di voler legittimare anche su base, per cos dire, mitistorica, quella secolare amicitia fra i due popoli,
Veneti e Romani, documentata dalle fonti antiche quantomeno a partire dalla guerra gallica del 225-222 a. C., in cui,
secondo Polibio, i Veneti avrebbero scelto di stare dalla parte dei Romani (Pol. II, 23, 2-3: "Veneti e Cenomani, cui i
Romani avevano inviato un'ambasceria, preferirono allearsi con quest'ultimi; perci i re dei Celti furono costretti a
lasciare una parte delle loro forze a difendere il paese dalla minaccia costituita da costoro"; lo stesso Polibio (II, 18, 2-3)
ricorda il precedente aiuto fornito dai Veneti ai Romani in occasione del sacco di Roma del 390 a. C.: [i Celti...]
"presero la stessa Roma, tranne il Campidoglio... avendo i Veneti invaso il loro territorio, conclusero un trattato con i
Romani, restituirono loro la citt e ritornarono in patria". Tale notizia stata interpretata da alcuni studiosi come una
proiezione nel passato dell'allenza veneto-romana del 225 a. C. Plinio il Vecchio, che scrive nel primo secolo d. C., si
richiama a Catone, autore vissuto tra III e II secolo a. C., per qualificare i Veneti di stirpe troiana (Plin. Nat. Hist. III,
130: Venetos troiana stirpe ortos auctor est Cato). Risulta significativo che Plinio citi Catone, un autore alquanto antico,
piuttosto che Virgilio o Livio, letterati vissuti nel I secolo a. C., che, nel clima di esaltazione politica e di propaganda
della grandezza di Roma, promossa dall'imperatore Augusto, fanno provenire i Veneti dalla Paflagonia dopo la
distruzione di Troia: in tale scelta si potrebbe ravvisare la volont di Plinio di dare maggiore spessore storico alla sua
definizione, ignorando volutamente la propaganda corrente a lui ben nota. Sebbene in un passato nemmeno tanto
lontano la tendenza della critica era quella di cancellare secoli di tradizioni connesse all'origine dei popoli italici,
tacciandole frutto di favole e di leggende, allo stato attuale della ricerca si assiste ad un interessante recupero delle
tradizioni antiche e della mitologia. Nella fattispecie, la ricca documentazione archeologica pertinente alla civilt dei
Veneti, letta e valutata nell'ambito di quella vasta e fitta rete di scambi che contraddistingue le vicende del Mediterraneo
dagli inizi del mondo greco, conferisce valore al mito. Il Veneto, fin dagli albori della sua storia, si sempre rivelato
una terra di passaggio, di scambi (si pensi al commercio dell'ambra, dei metalli, del sale, del vino, della ceramica di
provenienza attica), di accoglienza, e di commistione di civilt, fra l'Egeo e l'Europa centrale, fra il mondo dei Greci e la
civilt etrusca, fra i Celti ed i Romani.

La civilt atestina, la cultura paleoveneta, i Veneti


Nel 1876, presso la stazione dell'odierna cittadina di Este, nel corso di lavori agricoli emersero due tombe di cremati,
dotate di un ricchissimo corredo di vasi fittili e bronzei (fra i materiali vanno senz'altro segnalati due splendidi vasi di
bronzo decorati con animali fantastici e figure umane). L'allora Conservatore del piccolo Museo estense, Alessandro
Prosdocimi, diede il via ad una serie di campagne di scavo che, fra il 1876 e il 1882, portarono alla luce centinaia di
sepolture: i ricchissimi materiali rinvenuti in quei contesti sepolcrali costituiscono ancor'oggi la maggior parte del
patrimonio archeologico della protostoria atestina. Nel 1882 lo stesso Prosdocimi pubblic nelle Notizie degli Scavi un
ampio articolo in cui, dopo sei anni di incessanti indagini di scavo e clamorose scoperte, tracci il quadro di una nuova

civilt: la civilt veneta preromana poteva dirsi uscita dal mondo dell'intuizione e dell'erudizione leggendaria, per
entrare a pieno titolo nella vasta problematica della protostoria italiana ed europea. A partire dai primi anni del
Novecento, grazie a nuove scoperte, gli studiosi appurarono che la cosiddetta civilt atestina, definit cos da
Prosdocimi dal nome antico di Este (Ateste), non era limitata al centro estense, bens risultava attestata in un ambito
geografico particolarmente vasto, esteso a occidente fino al lago di Garda e al fiume Mincio, a mezzogiorno fino al
fiume Po, a settentrione fino al crinale alpino e ad oriente fino al Livenza e al Tagliamento e anche oltre, fino alla
necropoli di S. Lucia di Tolmino, scoperta alla fine dell'800 dal noto Carlo Marchesetti. A questa cultura,
contraddistinta da caratteri peculiari, venne attribuito il nome di paleoveneta, meno restrittivo di atestina, e al popolo la
denominazione di Paleoveneti, per non creare equivoci con i Veneti moderni. Tuttavia, allo stato attuale della ricerca,
sembra pi corretto recuperare la storicit del nome Veneti, ben documentato nelle fonti letterarie.

Il topos dei cavalli veneti


Alcmane, autore greco vissuto alla met del VII secolo a. C., ricorda "un cavallo vigoroso corsiero [...] enetico" e dei
"puledri enetidi [...] dalla Enetide, regione dell'Adriatico" (Alcman. fr. 1, 46-51; 172 = Voltan 4-5). Alcmane, che si
ricollega ad Omero quando definisce la terra di origine degli Eneti il paese delle mule selvagge, il primo autore a
menzionare quello che diventer il topos dei cavalli veneti e che avr un largo seguito presso i successivi autori greci e
latini. Il frequente ricorrere nelle fonti antiche di questo tema sottintende un'attivit economica, quella dell'allevamento
equino, particolarmente apprezzata dai contemporanei; attivit che da semplice fonte economica primaria divenne, nel
corso del tempo, fonte competitiva di ricchezza nell'ambito degli scambi e delle relazioni commerciali fra Europa e
Italia. Per citare un esempio, in seguito alla conclusione delle guerre istriche, il regulus dei Galli transalpini Cincibilo,
assieme a Carni, Giapidi ed Istri, invi, nel 171 a. C, un'ambasceria a Roma per lamentare che il console Caio Cassio
Longino aveva intrapreso, di sua iniziativa, una spedizione per raggiungere la Macedonia via terra, e che, dopo aver
ottenuto la loro collaborazione (probabilmente in base ai patti esistenti), li aveva trattati come nemici (pro hostibus),
saccheggiando i loro territori.
Anche in questa occasione, il senato deprec il comportamento del console, che fu richiamato a Roma, e invi
ambasciatori al di l delle Alpi con doni per i reguli, in modo da ristabilire le buone relazioni. In occasione della
medesima ambasceria a Roma, i notabili gallici chiesero il permesso ai Romani di acquistare dai Veneti fino ad un
massimo di dieci cavalli di razza a testa e di esportarli nel Norico.

Il panorama archeologico
Fin dai primi anni del Novecento, importanti scoperte archeologiche, unite a rinvenimenti occasionali, contribuirono a
delineare la fisionomia del Veneto protostorico: la realt preromana di Padova, che solo in questi ultimi decenni stata
realmente compresa; la necropoli di Montebelluna, terzo polo geografico dei Veneti ; le tombe di Mel, lungo la valle del
Piave; il luogo di culto di Lagole di Calalzo (che ha rivelato una documentazione linguistica analoga a quella rinvenuta
alla fine dell'800 oltralpe, a Gurina, al di l del passo di Monte Croce Carnico, nella valle della Gail); il Veneto orientale
con i centri di Altino, Oderzo, Concordia, fino ai territori compresi fra il Tagliamento e l'Isonzo.

a) Prima et del ferro (VIII-VI secolo a. C.)


A partire dall'VIII secolo a. C. compaiono i caratteri di una poleografia organizzata, con centri di pianura di primaria
importanza, posti al controllo dei principali fiumi del territorio (dall'Adige al Tagliamento), uniti a centri comprimari o
minori, situati presso i medesimi corsi d'acqua. Un aspetto da segnalare lo stretto rapporto delle citt venete con
l'acqua, ben rilevato dalle fonti antiche. Strabone, geografo greco vissuto in et augustea, qualifica i centri veneti come
"citt simili ad isole", circondate dall'acqua e poste su importanti vie di transito. Anche le necropoli, situate
esternamente ai centri urbani, risultano essere spesso dislocate in aree attigue all'acqua: anzi talvolta sono proprio i corsi
d'acqua a marcare il confine fra la citt dei vivi e quella dei morti, corsi d'acqua che devono essere attraversati
nell'ultimo viaggio dal mondo terreno all'al di l. Nell'VIII secolo a. C., quando al popolamento sparso e diffuso tipico
del IX secolo subentra la nascita di nuovi centri, che sorgono in aree nuove o con uno spostamento areale rispetto ai
precedenti, i poli del nuovo sistema sono i centri di Este e Padova (Veneto euganeo); la loro centralit nell'ambito del
panorama italico ed europeo sembra aver determinato la crisi del Veneto orientale, che risulta invece caratterizzato, nel

passaggio fra la fine del bronzo-inizio ferro, da una generalizzata continuit di occupazione e da una decisa vitalit,
quale area di raccordo fra il comparto circumadriatico e la fascia alpina e transalpina. Dalla met dell'VIII secolo inizia
a manifestarsi un'articolazione in classi, distinte in base al rango e al ruolo: i corredi funerari risultano contraddistinti da
una diversa qualit e quantit dei materiali. Nel VI secolo a. C. si registrano delle trasformazioni nel quadro degli
insediamenti, che sfociano in una fase decisamente urbana. Nascono nuovi poli d'attrazione quali Vicenza, a cui si
connette il ripopolamento delle colline circostanti, Altino, Adria.

b) Seconda et del ferro (V-II secolo a. C.)


Nella seconda et del ferro, se da un lato si realizza la massima espansione territoriale dei Veneti, dall'altro comincia a
verificarsi una certa dissoluzione legata alla pressione esercitata da altre realt etnico-culturali, quali gli Etuschi padani,
i Celti, i Reti. Indizi primari del passaggio alla fase urbana sono la trasformazione dell'edilizia domestica (le capanne
vengono sostituite da strutture in muratura), il cambiamento del rituale funerario (si accentua il rituale del simposiobanchetto, mutuato dall'ambito greco-etrusco), l'attestazione di luoghi di culto (eco della religiosit pubblica della
civilt etrusca fra VII-VI secolo a. C.), spesso ubicati presso corsi d'acqua e-o direttrici commerciali, la nascita del
concetto di confine, la diffusione della scrittura. Alle importazioni ceramiche (ceramica attica e-o etrusco-padana;
precoci materiali di matrice celtica o cetizzante, quali fibule di tipo tardohalstattiano centroccidentale e ganci traforati)
si affianca una produzione locale di imitazione (ad esempio la ceramica fine da mensa in argilla semidepurata e grigia).

L'arte delle situle


Le situle sono vasi di bronzo a forma di secchio, attestati anche nel mondo orientale e centroeuropeo, che i Veneti
producono largamente e sono soliti decorare con motivi geometrici e figurati. La provenienza di questi manufatti
prevalentemente funeraria, in quanto essi venivano usati come recipienti per contenere i resti della cremazione dei
defunti. Questi vasi bronzei venivano lavorati con la tecnica dello sbalzo, o a stampo o a incisioni: nella fase pi antica
la decorazione fu esclusivamente geometrica, successivamente figurata (ad esempio nella nota situla Benvenuti,
rinvenuta nella necropoli nord ad Este e datata alla fine del VII secolo a. C., sono rappresentati uomini intenti in varie
attivit della vita quotidiana, animali reali, esseri fantastici, fiori e virgulti).

Gli ex voto
Gli ex voto, connessi ai luoghi di culto, possono rivelare dei caratteri comuni, ma possono anche manifestare delle
diversit, delle specifiche diversit da centro a centro. Nella fattispecie gli ex voto (prevalentemente di bronzo) e alcune
caratterische cultuali evidenziano una netta dicotomia fra l'area sud-occidentale (che gravita sul territorio di pertinenza
atestina) e l'area nord-orientale (di pertinenza patavina). Caratteristica dell'area di gravitazione altinate la presenza di
una forte componente femminile, contraddistinta, ad esempio, dalla divinit Pora-Reitia, dalle immagini e dalle dediche
femminili, dai doni legati alla filatura-tessitura e dai riti di passaggio che coinvolgono le giovani fanciulle (ad esempio
quello della scrittura). Tipica dell'area soggetta all'influenza patavina l'assenza di immagini femminili e la preminenza
di dediche e offerte maschili. Di raccordo appare l'area altinate-trevigiana.

Il costume dei Veneti dalla documentazione figurata


E' soprattutto dalla documentazione iconografica di natura cultuale (bronzetti e oggetti ex voto), attestata a partire dal V
secolo a. C., che si ricavano informazioni utili circa il costume degli antichi Veneti. Complessivamente si pu affermare
che il costume veneto doveva differenziarsi, oltre che nei colori e nei modelli degli abiti, anche nelle guarnizioni, nel
numero e nel tipo dei monili e nella foggia della cintura. Il costume non mutava solamente in base al tipo di occasione
pubblica in cui veniva indossato, ma anche secondo lo status sociale che era in grado di qualificare. Al riguardo stata
formulata l'ipotesi che l'atto del vestirsi doveva essere non una semplice scelta privata, bens doveva corrispondere ad
un sistema di comunicazione sociale.

Le fonti epigrafiche. Lingua e scrittura


L'identit etnico-culturale dei Veneti contraddistinta, oltre che dalle espressioni di cultura materiale, anche da una
lingua comune, definita "venetico". Il venetico risulta attestato nel Veneto centrale e meridionale (Este, Padova,
Vicenza, Adria); nell'area dolomitica cadorina (Lagole di Calalzo, Belluno); nella valle della Gail (Wrmlach, Gurina);
nel Veneto orientale (Montebelluna, Altino, Oderzo); man mano che ci si muove verso Est, le testimonianze, seppur
presenti, si fanno sporadiche (allo stato attuale della ricerca nell'area friulana si contano circa una ventina di iscrizioni).
Se il riconoscimento del venetico come una lingua appartenente al ceppo indoeuropeo stato un dato acquisito fin dagli
inizi degli studi linguistici, meno univoca stata la classificazione di questa lingua: da ultimo, in base alle recenti
acquisizioni, stata riconosciuta una rilevante affinit del venetico con il latino. La documentazione della lingua
venetica si deve esclusivamente alle iscrizioni (allo stato attuale delle conoscenze si possiedono oltre quattrocento testi).
Esse sono redatte in un alfabeto di derivazione etrusca, adattato alle esigenze fonologiche della lingua venetica:
l'acquisizione dell'alfabeto etrusco avvenuta in due fasi, una pi antica (inizi del VI secolo a. C.) di matrice
settentrionale (Chiusi), e una pi recente (di poco posteriore) di matrice meridionale (Veio). Una caratteristica della
scrittura venetica l'uso della puntuazione, cio di punti che, secondo regole complesse, precedono e seguono le lettere,
quando queste si trovano in posizioni particolari. La puntuazione ha una funzione connessa all'insegnamento della
scrittura, che pare basato sulla sillaba (proprio dalla citt di Este provengono le testimonianze pi complete di tutta
l'Italia antica per quanto riguarda l'insegnamento della scrittura). La constatazione che le iscrizioni pi antiche sono
prive di puntuazione (la pi antica iscrizione finora nota, databile al VI secolo a. C., il cosiddetto Kantharos di Lozzo,
attesta una prima fase di scrittura senza puntuazione), e rivelano delle differenze nell'uso e nella forma di alcune lettere
confermerebbe la tesi che i Veneti mutuarono per almeno due volte l'alfabeto dagli Etruschi, in tempi diversi e da aree
geografiche diverse (Chiusi e Cerveteri o Veio). Altri aspetti singolari sono che la scrittura procede da destra verso
sinistra e che le parole vengono scritte tutte di seguito, senza essere divise (la puntuazione, come si accennato, non
aveva una funzione divisoria). Circa l'ambito cronologico, le iscrizioni vanno dal VI secolo a. C. al periodo della
romanizzazione. Per quanto riguarda i contenuti, si tratta quasi esclusivamente di iscrizioni funerarie o votive, ad
eccezione di alcune iscrizioni confinarie e pubbliche. I testi sono brevi e ripetitivi, in quanto redatti secondo stereotipi
relativi a ciascuna classe testuale. Ci inevitabilmente condiziona la conoscenza del venetico: lessico e morfologia si
conoscono in misura ristretta, mentre noto un ampio repertorio onomastico, da cui si desumono interessanti
informazioni di natura sociale ed istituzionale. Di analoga derivazione etrusca anche la formula onomastica binomia:
essa in genere caratterizzata da un nome individuale e un appositivo derivato dal nome del padre, con suffisso -io o ko; per le donne il patronimico pu essere sostituito dal gamonimico proveniente dal nome del marito con suffisso -na.
Non mancano le attestazioni di una formula onomastica trinomia, che nel caso delle donne stata spiegata con la
presenza sia del patronimico che del gamonimico. Rimangono tuttoggi al vaglio degli studiosi alcuni aspetti del sistema
onomastico venetico, soprattutto per quanto riguarda le implicazioni di natura giuridico-sociale.

Precoci rapporti fra Veneti e Celti


Proprio dall'onomastica emergono indizi non solo dei precoci rapporti fra i due popoli, ma anche dell'inserimento dei
Celti nell'ambito della societ veneta. Da segnalare una serie di ciottoloni iscritti, rinvenuti a Padova, i quali hanno
consentito di ricostruire una sorta di prosopografia che ci illumina sulle modalit dell'integrazione. Altro caso
interessante quello di Este, dove dai documenti epigrafici risultano attestati dei sistemi onomastici di donne venete
con gamonimico (nome del marito) celtico, e di donne celte con gamonimico veneto. L'elemento celtico risulta
particolarmente documentato in localit quali Oderzo, Altino e la valle del Piave.

Il passaggio alla romanit


a) Aspetti storico-archeologici
I Veneti, i cui contatti con i Romani risultano documentati quantomeno a partire dalla fine del terzo secolo, furono
sempre in buoni rapporti con Roma, e questo risulta in modo esplicito dalle fonti letterarie che li citano come alleati
dell'Urbe nei pi importanti eventi bellici del tempo (ricordiamo che Polibio fa entrare i Veneti nella storia di Roma in
occasione del tumultus gallicus del 390 a. C.: i Galli senoni, guidati da Brenno, avrebbero desistito dall'assedio
dell'Urbe in quanto minacciati dai Veneti nelle loro sedi padane). Nel catalogo polibiano dei milites messi a

disposizione dei Romani dagli alleati alla vigilia della guerra gallica del 225-222 a. C., i Veneti compaiono con un
contingente di circa 10.000 uomini. Durante la guerra annibalica (218-201 a. C.), Asconio Pediano, un veneto
dell'aristocrazia di Patavium (Padova), si distinse nelle operazioni condotte da Marco Claudio Marcello sotto le mura di
Nola, durante l'assedio cartaginese della citt. Nella guerra sociale (dai socii, alleati; 90-88 a. C.), i Veneti rimasero a
fianco dei Romani, come risulta da alcune interessanti testimonianze epigrafiche. Una doppia serie di ghiande missili,
con iscrizione, rispettivamente, venetica e romana (Opitergin(orum), degli Opitergini) fu scagliata da un reparto di
frombolieri (funditores) provenienti da Oderzo (Opitergium) durante l'assedio di Asculum (Ascoli Piceno). Un altro
genere di proiettile, una sorta di campana di piombo con due iscrizioni venetiche, fu lanciata da un librator,
probabilmente di Ateste (Este), contro qualche reparto di insorti presso Montemanicola (L'Aquila), nel territorio degli
antichi Vestini. Quando Roma, dunque, diede il via al processo di espansione nella valle Padana, nell'ultimo
venticinquennio del III secolo a. C., i Veneti, accomunati dalla comune politica antigallica, non ostacolorano tale
avanzata, e, in seguito alla riconquista della Cisalpina dopo il passaggio di Annibale, non subirono confische o
fondazioni di colonie, ad eccezione di un settore collocato ai loro confini orientali, che, dopo aver subito nel 186 a. C.
un'occupazione da parte di 12.000 Galli Transalpini, ed essere divenuto ager Gallorum, fu, dopo la loro espulsione,
ridotto ad ager publicus e destinato all'impianto della colonia di diritto latino di Aquileia (181 a. C.).
La fondazione di Aquileia, la presenza di Marco Emilio Lepido a Padova per dirimere dei conflitti interni, i cippi
confinari fra Este-Padova e tra Este-Vicenza, che documentano un concetto prettamente romano di controllo del
territorio, la costruzione nel 148 a. C. della via Postumia , la grande arteria padana che metteva in collegamento Genova
ad Aquileia, sancirono via via la fine dell'autonomia e dell'indipendenza dei Veneti, pur nel nome dell'amicizia con il
popolo romano (come risulta ad esempio attestato dalla stele di Ostiala Gallenia, moglie veneta di un romano).
La realizzazione di un'importante rete viaria facilit la creazione di intensi rapporti fra l'Italia centrale e le regioni a
nord del Po, la cui ricchezza e fertilit, ben decandate da autori antichi quali Catone e Polibio, attrassero cittadini
romani e alleati latini e italici. Questa immigrazione spontanea favor in modo lento e graduale l'acculturazione romana.
Tale fenomeno procedette in modo pacifico e "indolore" tanto che pian piano i Veneti abbandonarono le loro tradizioni
politiche, economiche, artistiche e religiose in favore della cultura romana. Un notevole impulso al processo di
romanizzazione venne dal provvedimento attribuito a Pompeo Strabone, noto come lex Pompeia de Transpadaniis
(legge Pompea sui Transpadani), con cui gli abitanti dei territori a nord del Po ricevettero lo ius Latii, ossia il diritto
latino. Un ulteriore passo verso la piena romanizzazione fu compiuto fra il 49 e il 42 a. C., quando a tutto il territorio fra
le Alpi e il Po fu estesa la cittadinanza romana.

b) Aspetti linguistici
Anche dal punto di vista linguistico il passaggio dal venetico al latino fu lento e graduale. Un elemento che
presumibilmente favor questo trapasso fu la stretta somiglianza della lingua venetica con quella latina, che doveva
suonare all'orecchio dei Veneti non del tutto estranea: il venetico infatti presenta a tutti i livelli (fonetica, morfologia,
lessico) notevoli affinit con il latino (ci ha portato a formulare l'ipotesi che in un'epoca molto antica, precedente gli
stanziamenti nelle rispettive sedi storiche, i due popoli fossero insediati in aree vicine e parlassero due lingue molto
simili, quasi due dialetti della stessa lingua). Sono ancora una volta i documenti epigrafici a consentirci di osservare
questo passaggio dal venetico al latino: in una prima fase assistiamo all'abbandono dell'alfabeto venetico, mentre la
lingua pu dirsi ancora venetica. Segue l'abbandono della formula onomastica locale per l'adozione del sistema
onomastico romano (prenome, gentilizio, cognome); infine vengono abbandonati gli idionimi propriamente venetici,
che talvolta sopravvivono nella forma di cognome. Ad esempio, nel santuario di Lagole nel Cadore le dediche alla
divinit encoria vengono gradualmente sostituite con le dediche ad Apollo. Ancora, il trapasso alla romanizzazione si
pu seguire da vicino negli epitaffi delle necropoli di Ateste (Este): da una fase di piena veneticit, caratterizzata da una
scrittura, lingua, formulario e onomastica venetici, si passa, attraverso fasi intermedie in cui coesistono moduli dell'una
e dell'altra cultura (alfabeto latino con formulario venetico; alfabeto e formulario latini con onomastica venetica), ad una
fase in cui si accetta totalmente il modello portato dai Romani negli epitaffi che sono ormai latini (solamente il
permanere di basi onomastiche locali tradisce il legame con la tradizione degli antichi Veneti).

I Celti

I Celti emergono dall'anonimato


Le prime notizie sui Celti le desumiamo dagli antichi Greci, come risulta da alcuni frammenti di Ecateo di Mileto (frr.
21-22) e da alcuni passi delle Storie di Erodoto (II, 33, 3; IV, 49, 3). Della produzione di Ecateo di Mileto, autore
vissuto nel VI secolo a. C., rimangono solo alcuni frammenti sopravvissuti in autori pi tardi: nel frammento 22 Ecateo

localizza la colonia focese di Marsiglia nei pressi del paese dei Kltoi e ricorda, nel fr. 21, una citt celtica, Nurax, la
cui individuazione topografica risulta tuttoggi difficoltosa e controversa. Da alcuni luoghi delle Storie di Erodoto,
storico greco vissuto nel V secolo a. C., ricaviamo che l'autore venuto a conoscenza di nuclei diversi di popolazioni
celtiche, situate geograficamente in parte nella Germania meridionale (egli colloca le sorgenti dell'Istro, ossia del
Danubio, nel paese dei Kltoi e nella citt di Pirene (?): IV, 49, 3) e in parte nella penisola iberica o nella francia
meridionale (l'autore sostiene che i Kltoi confinano con i Kynsioi, ossia i Cinesii o Cineti, una popolazione stanziata
nell'estremo Occidente europeo, oltre le colonne d'Ercole: II, 33, 3).
Tali scarne notizie, che gli antichi Greci ricavano presumibilmente dai racconti di mercanti e di viaggiatori, ci
consentono di individuare alcuni stanziamenti celtici nell'Europa centrale e nell'estremo Occidente d'Europa a cavallo
fra VI e V secolo a. C. Ma tali stanziamenti non corrispondono alle sedi originarie dei Celti, bens sono il risultato di
movimenti migratori che coinvolsero vaste aree d'Europa, fra cui la Germania meridionale, il Sud della Francia e la
penisola iberica. Tale fase di espansione fu naturalmente preceduta da una fase di formazione di quell'ethnos che i Greci,
da esterni, identificano come celtico, ethnos che ancora oggi risulta difficile distinguere e individuare nell'ambito delle
varie culture protostoriche dell'Europa continentale.

IL PROBLEMA DELLE ORIGINI


a) La cultura di Halstatt
Se da un lato l'identificazione dei primi Celti rimane tuttoggi controversa, ad essi viene concordemente attribuita una
facies archeologica, convenzionalmente chiamata halstattiana centroccidentale, che nel VI secolo a. C. contraddistinse
l'area compresa fra la Francia centrale e la Boemia. La civilt halstattiana deve la propria denominazione ad un grande
sepolcreto di tombe a tumulo scoperto alla met dell'800 ad Halstatt, nella zona alpina delle miniere di sale (odierna
Austria). La cosiddetta cultura halstattiana, caratterizzata da affinit culturali, forse anche linguistiche ed etniche, non
deve essere confusa con una unit di ordine politico: i Celti non conobbero un'unit politica in nessuna fase della loro
storia. Risultano piuttosto attestati diversi clans guidati da una ristretta aristocrazia (principi e principesse), di cui si
sono conservate le ricche tombe a tumulo e in qualche caso le residenze dotate di fortificazione. Nel 1872 l'archeologo
svedese Hans Hildebrand propose di suddividere l'et del Ferro in due periodi: se alla fase pi antica attribu il nome di
Halstatt, dalla ricca necropoli austriaca, a quella pi recente diede il nome di La Tne, dal nome di una localit
dell'odierna Svizzera, situata presso l'uscita della Thielle (in tedesco Zihl) dal lago di Neuchtel, dove si rinvennero
numerosi oggetti pertinenti ad una cultura attribuita ai Celti.

b) La cultura di La Tne (o lateniana)


Tra il crinale alpino e il limite meridionale delle pianure del Nord si svilupp, nel V secolo a. C., una cultura
archeologica detta di La Tne, o lateniana. Nelle acque del lago di Neuchtel furono rinvenuti, a partire dalla met
dell'800, numerosi materiali (armi, oggetti d'ornamento, utensili, monete) riconosciuti come caratteristici di una cultura
dell'et del Ferro, inquadrabile cronologicamente dal V al I secolo a. C., fino alla dominazione romana o germanica.
Nell'ambito del V Congresso di Archeologia e Antropologia Preistoriche tenutosi a Bologna nel 1871, al quale
parteciparono numerosi studiosi transalpini, fra cui il francese Gabriel de Mortillet (scavatore delle tombe della
Champagne) e lo svizzero Emil Dresor (direttore delle prospezioni nelle acque del sito di La Tne), venne riconosciuta
la stretta somiglianza fra le armi (le spade con le catene di sospensione) e i corredi (fibule e bracciali) rinvenuti in alcuni
nuclei sepolcrali emersi negli scavi del sito etrusco di Marzabotto (Bologna) e quelli che provenivano da contesti
d'oltralpe, qualificati poco dopo come lateniani, ben conosciuti agli archeologi. I materiali lateniani divennero cos una
sorta di spia della presenza dei Celti in Italia, quei Celti "storici" che, secondo alcuni autori antichi, avrebbero invaso
l'Italia agli inizi del IV secolo a. C. L'equazione Celti = cultura lateniana, con il procedere delle ricerche archeologiche e
degli studi, si rivel ben presto inadeguata: i Celti non potevano essersi costituiti come etnia soltanto nella prima met
del V secolo a. C. Il problema delle origini non poteva nemmeno venir risolto facendo riferimento all'antecedente
culturale immediato, quello della cultura halstattiana, la quale, nelle sue numerose varianti, deriva dalle manifestazioni
locali dell'et del Bronzo. Per quanto riguarda le migrazioni celtiche in Italia, un altro aspetto del problema quello
connesso all'analisi delle iscrizioni del Piemonte e della Lombardia, qualificate come lepontiche: i testi, datati a partire
dal VI secolo a. C., risultano redatti in caratteri presi a prestito dagli Etruschi ma in lingua celtica. Tali iscrizioni
testimoniano la presenza di gruppi celtici di cultura diversa rispetto a quelli halstattiani, che pertanto si trovano a non
essere gli unici rappresantanti, nel VI secolo, delle antiche etnie celtofone. Per quanto concerne la celtizzazione
dell'Europa, allo stato attuale della ricerca si pu affermare che il fenomeno si realizzasse ben prima dell'ingresso dei
Celti nella storia e della nascita della cultura di La Tne. In relazione alla nostra penisola, siamo in grado di sostenere
che i Celti cosiddetti storici, ossia i portatori della cultura lateniana, costituirono presumibilmente il gruppo di invasori
pi cospicuo, che si inser per in un contesto di movimenti migratori sia precedenti che successivi.

c) La cultura di Golasecca
Poco dopo la met dell'800 si rinvenne un importante complesso di tombe ad incinerazione lungo le rive del Ticino, al
suo sbocco nel lago Maggiore. Tali tombe erano ubicate nei pressi di Castelletto Ticino, sulla sponda piemontese, Sesto
Calende e Golasecca, sulla riva lombarda. Uno di questi centri principali, quello di Golasecca, diede il nome ad una
cultura che si svilupp nella prima et del Ferro (IX-V secolo a. C.) in area, appunto, lombarda e piemontese (area che
comprende i laghi subalpini di Orta-Verbano-Lario, tutto il bacino del Ticino, la pianura fra Sesia, ad ovest, Serio-Adda,
ad est, e il Po a sud). Dal comprensorio Sesto Calende-Golasecca-Castelletto Ticino e i dintorni di Como provengono
delle iscrizioni in alfabeto etrusco, definito convenzionalmente di Lugano o lepontico, due delle quali hanno consentito
l'analisi della lingua. La prima conserva per intero un nome proprio in genitivo, graffito su un bicchiere deposto in una
tomba maschile di Castelletto Ticino, databile alla met del VI secolo a. C. La seconda, proveniente da Prestino (Como)
e inquadrabile cronologicamente fra la fine del VI e la prima met del V secolo a. C., un'iscrizione incisa su un blocco
di arenaria lungo quattro metri, la cui funzione rimane controversa (architrave, gradino ?): si tratta della dedica di un
personaggio con una formula onomastica bimembre, il cui oggetto e destinatario rimangono oscuri. Gli studiosi di
linguistica hanno dimostrato che la lingua di queste due iscrizioni sicuramente celtica, ossia appartenente al ceppo
delle lingue celtiche. Tale riconoscimento di rilevante importanza, in quanto presuppone la presenza, nell'ambito della
societ golasecchiana di VI-V secolo a. C., di una componente celtica in grado di leggere e di comprendere il significato
di quei testi.

I Celti in Italia
Nonostante i Celti fossero presenti, seppur in modo parziale, nella societ golasecchiana, e quindi nel tessuto etnico
dell'area occidentale dell'Italia settentrionale, attorno al VI secolo a. C., essi irruppero in modo assai pi consistente
nella penisola a partire dal IV secolo a. C.. Tale irruzione si realizz sostanzialmente attraverso due canali: quello pi
massiccio dell'invasione, che comport lo stanziamento di alcune centinaia di migliaia di individui nella valle Padana e
lungo la riva dell'Adriatico fino ad Ancona (sostituendosi al controllo del territorio agli Etruschi e agli Umbri), e quello
secondario del mercenariato, ossia del mettersi a servizio, a pagamento, delle potenze che in quel momento miravano
all'egemonia nel Mediterraneo (i Cartaginesi e i Greci di Sicilia). Secondo la tradizione tramandata da alcune fonti
letterarie, Tito Livio (V, 33, 2-4) e Plinio (N. H., 12, 5), i Celti avrebbero abbandonato le sedi europee e avrebbero
invaso le aree pi settentrionali della penisola perch attratti inesorabilmente dal vino e dalla frutta, soprattutto dei fichi,
di cui erano particolarmente ghiotti. Nella fattispecie Tito Livio, nel raccontare l'assedio posto dai Celti alla citt etrusca
di Chiusi nel 391 a. C., preludio al sacco di Roma del 390 a. C., individua la causa scatenante l'arrivo dei Celti in Italia
in una tresca amorosa fra un lucumone etrusco, di nobili origini, e la moglie di un certo Arrunte, cittadino di Chiusi.
Secondo la versione liviana dei fatti Arrunte, bramoso di vendetta e consapevole di non potere avere la meglio su un
rivale tanto pi potente di lui, si sarebbe recato oltralpe e, diffondendo in Gallia il vino, avrebbe convinto i Galli ad
invadere l'Italia e a stringere d'assedio Chiusi. La leggenda tramandata dallo storico patavino pu celare un sostrato di
informazioni autentiche, ossia il ricordo di contatti e di relazioni commerciali fra il mondo etrusco e la realt transalpina,
in cui forse il vino gioc un ruolo non certo secondario.
A partire dal VI secolo a. C., a ondate successive, i Celti, da aree differenti del continente europeo (Francia
nordorientale, Boemia, regione danubiana), invasero l'Italia. Nella memoria scolastica, la presenza celtica in Italia si
connette al sacco di Roma del 390 a. C.: Brenno alla testa di truppe galliche irruppe nella citt di Roma, la saccheggi e
la occup per alcuni mesi, sottoponendo ad una cocente umiliazione i Romani (Liv. V, 48, 8).

Cronologia dell'invasione celtica dell'Italia


Il problema dibattuto, in quanto divergenti sono le testimonianze degli storici antichi. Tito Livio, storico romano
vissuto nel I secolo a. C., sostiene che i Celti sarebbero arrivati in Italia a partire dal VI secolo a. C. Lo storico patavino
per ben tre volte ribadisce tale cronologia: quando la connette al regno di Tarquinio Prisco (616-578 a. C.); quando la
collega alla fondazione di Marsiglia (600); quando precisa che i primi Galli sarebbero scesi in Italia duecento anni
prima del sacco del 390 a. C. Diversamente Dionigi di Alicarnasso e Appiano riferiscono la conquista di Roma del 390
a. C. ai primi Celti venuti in Italia. Pi vaghi risultano altri due autori greci, Polibio e Plutarco, che non danno
indicazioni cronologiche precise: Polibio sostiene che "dopo qualche tempo" dal loro arrivo in Italia i Galli si sarebbero
impadroniti di Roma; Plutarco ("Vita di Camillo") afferma che avrebbero invaso la penisola "molto tempo prima"
dell'attacco di Brenno. Sulla base di queste divergenze hanno preso le mosse due cronologie sulla calata dei Celti in
Italia: la cronologia "lunga" liviana (a partire dal VI secolo) e quella "corta" degli storici di lingua greca (a partire dagli

inizi del IV secolo). La fortuna avuta dalla cronologia corta, nella storia degli studi, seppur con autorevoli voci di
dissenso, deve sostanzialmente essere imputata alle vicende che condussero al primo riconoscimento archeologico dei
Celti in Italia, avvenuto nel V Congresso di Archeologia e di Antropologia Preistoriche, tenutosi a Bologna nel 1871.
Come ho precedentemente sostenuto, i materiali lateniani divennero una sorta di spia della presenza celtica in Italia:
sporadici durante il V e buona parte del IV secolo a. C., diventano pi cospicui a partire dalla fine del IV secolo a. C.
Pertanto, l'equazione Celti = cultura La Tne; lo sbaglio di Livio che, unico, anticipa di due secoli l'arrivo dei Celti in
Italia; l'assenza di materiale archeologico "celtico" riferibile al VI secolo favorirono l'accettazione della cosiddetta
cronologia corta: le invasioni celtiche in Italia dovevano ascriversi alla forcella cronologica compresa fra la fine del V e
gli inizi del IV secolo a. C. Al contrario, attualmente si assiste ad una parziale inversione di tendenza: nuovi risultati
emersi dalle indagini archeologiche e nuovi studi sembrano confermare la versione liviana dei fatti e hanno, dunque,
riportato alla ribalta la cosiddetta cronologia lunga. Infiltrazioni di trib o confederazioni di trib sembrano avvenire a
partire dal VI secolo, e sono destinate a protrarsi ancora per secoli. I Celti che introducono in Italia la cultura lateniana
(V-IV secolo a. C.) costituiscono senza dubbio il gruppo pi cospicuo, ma non sono certamente n i primi n gli ultimi
ad invadere la penisola.

La presa di Roma e il metus Gallicus


La presa di Roma da parte delle truppe senoni guidate da Brenno rimane come uno degli episodi pi traumatici della
storia millenaria di Roma, tanto da rimanere registrata negli annali con il nome di clades Gallica, ossia catastrofe gallica.
Ne danno testimonianza Polibio (II, 18, 2), Livio (V, 35-55), Diodoro Siculo (XIV, 113-117) e Plutarco (Camillo, 15,
32). Il tentativo romano di fermare i Galli a sole undici miglia da Roma, presso la confluenza nel Tevere del fiume Allia
(da identificare con il Fosso della Bettina o della Regina - il Fosso Maestro o della Marcigliana), un corso d'acqua
situato al 18 Km della via Salaria, si risolse in una tragica sconfitta delle truppe romane. Il giorno della bruciante
umiliazione, il dies Alliensis (18 luglio), divenne sinonimo di sciagura e fu registrato nei calendari imperiali come dies
nefastus. Dopo la vittoria, i Galli saccheggiarono Roma e occuparono la citt per alcuni mesi. Infine stremati dalla
carestia e dalle epidemie, Galli e Romani strinsero un accordo: i Romani si impegnarono al pagamento di un riscatto di
mille libbre d'oro per la liberazione della citt, l'aurum Gallicum, che per, secondo la tradizione, venne recuperato
quando Marco Furio Camillo sconfisse i nemici e li cacci dall'Urbe. Dal punto di vista politico e militare, l'assalto dei
Galli si inquadra in un pi ampio contesto, che vede impegnati da un lato i Greci di Siracusa, che approfittando
dell'indebolimento etrusco a sud avevano intrapreso una politica di espansione nell'Adriatico, e dall'altro gli Etruschi.
Sul piano ideologico, la conseguenza immediata dell'increscioso sacco della citt fu la demonizzazione dei Celti, che da
allora vengono dipinti dalle fonti antiche come mortali nemici, selvaggi sanguinari da annientare. Illuminante al
riguardo la testimonianza di Diodoro Siculo (V, 26, 31): "... essi hanno corpi immani, carne soda e bianca, ed una
capigliatura rossiccia, il cui colore aumentato ad arte, poich la sogliono lavare con lisciva di calce e poi ritorcela
dalla fronte alla sommit del capo e di l alla nuca. Somigliano cos a Pan o a dei satiri, con capelli spessi come criniere
di cavallo... Lasciano crescere i baffi, cos da nascondere la bocca, sicch, quando mangiano, il cibo si trattiene nei peli
e quando bevono pare che il liquido scoli da un colatoio... Disprezzano a tal punto la morte che molti combattono nudi....
Appendono ai colli dei cavalli le teste mozze dei nemici e mentre i servi ne prendono le spoglie insanguinate, innalzano
il loro grido di vittoria. Tengono quelle spoglie come trofei di caccia, negli ingressi delle loro abitazioni e le teste in
casse di legno di cedro unte con grasso per mostrarle agli ospiti... Le loro trombe barbariche emanano un muggito
orribile, terrorizzante... Portano lunghe spade, aste... e giavellotti con rilievi in modo da dilaniare e slabbrare le ferite.
Terribili d'aspetto emettono suoni gravi e orridi ma parlano breve ed oscuro con involuzioni e doppi sensi.... Usano un
rito straordinario e incredibile per trarre auspici su cose importanti: trapassano con la spada il corpo di un uomo
destinato al sacrificio e da come cade, dalle convulsioni delle membra, dal fiotto di sangue, presagiscono l'avvenire.
Ubbidiscono anche in guerra ai filosofi e ai poeti che, entrando tra le schiere dei combattenti, dirimono i conflitti, come
se placassero delle belve con incantesimi." (tr. it. di V. Kruta, V. M. Manfredi, I Celti in Italia, 1999, p. 64). In seguito
all'abbandono di Roma, i Galli, secondo Polibio, ripiegarono verso le sedi padane minacciate dai Veneti, mentre
Diodoro Siculo e Giustino fanno ritenere che proseguissero verso sud, per mettersi al servizio di Dionigi il Vecchio,
tiranno di Siracusa.

Storiografia antica e moderna


Anche gli studiosi moderni, fino a pochi anni fa, ritenevano, sulla scia degli autori antichi, che l'arrivo dei Galli in Italia
si fosse realizzato come una sorta di invasione selvaggia e violenta, in grado di annientare le culture preesistenti per
imporre la propria. Allo stato attuale della ricerca non ci sono evidenze archeologiche in val Padana tali da giustificare

l'ipotesi di uno scontro frontale e generalizzato fra Etruschi e Celti. Al contrario, a partire dal IV secolo a. C. risulta
evidente, dai contesti sepolcrali, una certa commistione dei riti funerari e dei corredi che induce ad ipotizzare una
notevole integrazione. In alcune necropoli dell'Emilia, di Bologna e di Monte Bibele sembra agli archeologi di poter
riconoscere sepolture miste fra capi galli e spose etrusche. Di ben altra natura pare siano state le relazioni con i Veneti.
Gli autori antichi raccontano non solo di una certa resistenza dell'ethnos veneto, ma anche di una lotta armata contro i
Celti. Nella fattispecie, in relazione al tumultus gallico del 390 a. C., Polibio ci tramanda che le truppe di Brenno si
ritirarono da Roma a causa di un attacco dei Veneti nei loro territori settentrionali. Fu presumibilmente nell'ambito di
questa contrapposizione fra Celti e Veneti che si cement la ben nota alleanza fra Romani e Veneti, in chiara funzione
anticeltica. Non a caso nella guerra Gallica del 225 a. C., truppe venete andarono a rimpinguare l'esercito romano.

Il panorama archeologico
Il panorama dell'archeologia celtica in Italia complessivamente scarno, non solo per quanto concerne il VI -V secolo a.
C., ma anche per quanto riguarda il IV-I secolo a. C. Tale stato di cose si pu presumibilmente imputare alle modalit
delle invasioni; gli individui che compongono le trib, pi o meno consistenti, si muovono rapidamente per la penisola,
saccheggiano, rapinano o si offrono come mercenari al migliore offerente, ma non occupano stabilmente un territorio
secondo gli schemi e i modelli delle cosiddette societ civili: non bonificano, non fondano citt, non costruiscono strade,
non impongono la propria cultura agli indigeni, e quindi difficilmente lasciano tracce, archeologicamente verificabili,
del loro passaggio. Per citare un esempio, gli Insubri, a detta di Polibio la pi grande trib celtica, sono quasi inesistenti
sotto il profilo archeologico: di essi rimangono esclusivamente dei contesti sepolcrali databili fra la fine del II e gli inizi
del I secolo a. C., ossia in piena fase di romanizzazione, quando le tradizioni culturali celtiche iniziano a scomparire,
occultate dall'acculturazione romana. Un altro aspetto da tener presente, circa l'esiguit dei rinvenimenti archeologici
'celtici', la posizione di subalternit culturale dei Celti nei confronti delle popolazioni italiche. L'adozione, ad esempio,
di tradizioni funerarie caratteristiche delle pi evolute culture mediterranee (si comprendono in questo termine la cultura
etrusco-italica, greca e magnogreca) sembra adirittura cancellare, in alcuni casi, le cosiddette tradizioni culturali
nazionali dei Celti, rendendone gravoso il riconoscimento. Per concludere, le testimonianze archeologiche relative ai
Celti in Italia si riferiscono quasi esclusivamente a contesti funerari o a tombe isolate, con alcune eccezioni, quale la
recente si coperta dell'abitato etrusco-celtico di Monte Bibele, insediamento d'altura ubicato sull'appennino bolognese,
illuminante per chiarire le modalit di inserimento dell'elemento celtico in una realt insediativa padana (Monte Bibele
un castellum fondato dagli Etruschi quando essi si ritirarono sulle alture in seguito all'occupazione celtica della
pianura emiliana).

Il torques
Il torques, la collana rigida spesso a estremit espanse, senza dubbio il gioiello pi tipico della civilt dei Celti. Questo
oggetto di ornamento viene ricordato sia dalle fonti antiche che dalle testimonianze archeologiche. Va tuttavia segnalato
che fra le fonti letterarie e le fonti archeologiche c' un'incongruenza che non ha ancora trovato una valida spiegazione.
Mentre gli autori antichi ricordano i torques come oggetti d'ornamento tipici dei guerrieri celtici, che li indossano al
collo durante le battaglie (nei bottini di guerra romani compaiono spesso quantit consistenti di torques strappati al
nemico), essi vengono rinvenuti di norma nei corredi tombali femminili. Come mai il torques, che si ritrova al collo dei
guerrieri anche in numerose statue e rilievi (ad es. nel fregio di Civitalba, localit vicina al Sentino, in cui nel 295 a. C.
si svolse la battaglia decisiva dei Romani contro la coalzione di Sanniti-Umbri-Etruschi-Galli Senoni), non viene
indossato dai guerrieri anche nella tomba? Al di l delle possibili congetture, non rimane che constatare il divario fra
l'utilizzo pratico dell'oggetto (maschile) e la destinazione funeraria (femminile).

Le popolazioni celtiche della penisola e l'intervento romano


In relazione all'etnografia della Cisalpina, la componente pi numerosa era quella gallica sia a nord che a sud del fiume
Padus (Po): all'interno di essa le trib dominanti erano quelle cispadane dei Boi (dal Taro al Montone) e dei Senoni (dal
Marecchia all'Esino e anche oltre), e quelle transpadane degli Insubri e dei Cenomani.

a) I Senoni

Recentissimi advenarum, ossia gli ultimi arrivati nella penisola italiana, i Senoni, secondo le indicazioni di Tito Livio,
occuparono il territorio compreso fra i fiumi Utens (Montone) e Aesis (Esino), area corrispondente all'attuale Romagna
e alle Marche settentrionali. Dalle evidenze archeologiche pare che l'occupazione senone si sia concentrata in area
marchigiana, mentre rimane tuttoggi problematica la definizione di una facies archeologica attribuibile ai Senoni in area
romagnola. L'arrivo degli invasori non determin la scomparsa delle comunit indigene preesistenti, ossia quelle picene,
che sembrano convivere con i centri senoni fino alla met del III secolo a. C. (come emerge dalle necropoli di
Camerano e Numana). Nell'ambito del IV secolo a. C. i Senoni risultano bene integrati nello scacchiere politico-militare
della penisola, ma pare sia pi corretto interpretare le alleanze che tale trib stipula con piccole e grandi potenze non
come accordi finalizzati alla realizzazione di una politica unitaria, piuttosto come dei contratti per la fornitura di
contingenti militari di natura mercenaria. L'attivit del mercenariato, garantito soprattutto al tiranno di Siracusa Dionigi
I, che proprio nel IV secolo, periodo di arrivo dei Senoni nelle Marche, si espande nell'alto Adriatico (ad es. la
fondazione della colonia di Ancona), garant una notevole ricchezza dei gruppi senoni, la cui connotazione militare
risulta evidente dall'analisi dei corredi funebri maschili, contraddistinti quasi sempre dalla presenza delle armi.
Una delle tappe fondamentali dell'avanzata romana verso il Nord fu proprio la campagna del 285-283 a. C. contro i
Galli Senoni, capeggiata da Manio Curio Dentato. In ambito gallico, dal punto di vista etnico, accanto alle trib
predominanti dei Senoni e dei Boi, rinveniamo anche le genti degli Anari, nella zona di Piacenza, e dei Lingoni, nella
Romagna. Studi recenti hanno messo in evidenza come tra tutti questi gruppi gallici ci fossero delle ostilit, delle
tensioni e dei dislivelli culturali, che non consentirono una reale fusione e una seria unit d'azione contro i Romani. Fu
cos che, proprio per quest'assenza di collegamenti fra i Senoni e i Boi, le operazioni militari del 285-283 a. C. ebbero
esito positivo per i Romani e portarono alla riduzione del territorio senone ad ager publicus. L'acquisizione dell'ager
Gallicus, al pi tardi nel 283 a. C. pose le basi per un'occupazione del territorio e un programma di colonizzazione
realizzati in momenti diversi e con differenti modalit. Il denominatore comune di questa politica di predominio fu che i
Romani la realizzarono in modo assai immediato e diretto, procedendo a stermini, deportazioni di massa, confische e
distribuzioni viritane e coloniarie dei territori conquistati. Secondo Polibio, dopo la vittoria di Manio Curio Dentato, i
Romani uccisero la maggior parte dei Senoni, e cacciarono i rimanenti. Le recenti indagini archeologiche ed epigrafiche
hanno ridimensionato queste notizie, attestando, per ci che riguarda la componente senone, una qualche sopravvivenza
di tale trib durante il processo di romanizzazione, se pur in contesti marginali. La prima colonia che i Romani
dedussero in Gallia Cisalpina fu Sena Gallica (odierna Senigallia; 289 o 283 a. C.), che rimase per tutto il III secolo a. C.
l'unica fondazione di diritto romano dell'Adriatico. Il reale passo in avanti, nel processo di consolidamento delle
posizioni romane in Cisalpina, fu per la deduzione della colonia latina di Ariminum (odierna Rimini) nel 268 a. C.,
impiantata all'estremit settentrionale dell'ager Gallicus, presso la foce del fiume Ariminus (odierno Marecchia), da cui
ricav il nome.

b) I Boi
Dagli autori antichi ricaviamo che la confederazione dei Boi, che contava centododici trib, fu una delle pi potenti
confederazioni celtiche calate nella penisola. Dalle regioni dell'Europa centrale, presumibilmente dalla Boemia e dalla
Baviera, tra la fine del V e gli inizi del IV secolo a. C., i Boi invasero l'Italia settentrionale, e oltrepassato il Po con le
zattere, occuparono la pianura emiliana, cacciando Etruschi e Umbri. Probabilmente non furono gli unici Celti ad
oltrepassare il fiume Po, ma solamente di essi rimasta una traccia archeologica. Risulta complesso definire con
precisione quali fossero i limiti del territorio occupato, che comprendeva sicuramente l'area circostante Bologna fino a
Modena ad ovest e parte della Romagna ad est. Ad un primo periodo conflittuale con l'ethnos etrusco (Felsina
(Bologna), definita da Plinio princeps Etruriae, decade; Marzabotto viene abbandonata) subentra una fase di
integrazione e convivenza. Sembra, come risulta dalle evidenze archeologiche, che Celti ed Etruschi coabitarono
pacificamente nei centri urbani esistenti: a Bologna e a Monte Bibele, abitato d'altura etrusco-celtico, sono emerse
sepolture miste fra capi galli e spose etrusche. Pertanto l'affermazione degli autori antichi secondo cui gli Etruschi
sarebbero stati cacciati dall'irruzione gallica va ridimensionata: a Monte Bibele convissero guerrieri celtici e mercanti
etruschi.

c) I Cenomani
Secondo le affermazioni di Tito Livio, i Cenomani si insediarono nell'area dove poi sorsero le citt di Brescia e di
Verona. Le evidenze archeologiche pertinenti alla trib dei Cenomani si concentrano infatti nelle regioni pianeggianti a
mezzogiorno delle suddette citt, tra i fiumi Oglio e Adige. A differenza delle altre trib celtiche i Cenomani
mantenerro un buon rapporto con i Romani, e nelle guerre di III-II secolo a C. scelsero quasi sempre di stare dalla loro
parte.

d) Gli Insubri
Definiti da Polibio la pi importante trib celtica della penisola, gli Insubri, secondo la versione liviana dei fatti,
sarebbero stati i primi Celti ad invadere la cisalpina, agli inizi del VI secolo a. C. Avrebbero occupato il territorio
corrispondente all'odierna Lombardia centroccidentale, il cui unico confine sicuro sembra essere quello meridionale,

ossia il fiume Po: il territorio degli Insubri si distingue dagli altri territori insediati dai Celti, in quanto rivela la presenza
di una capitale, Mediolanum, centro politico-religioso di una certa rilevanza per la confederazione insubre.
La marcia di Annibale attraverso l'Italia settentrionale, agli esordi della seconda guerra punica, riusc ad annullare gli
effetti della conquista romana in Cisalpina, realizzata con la guerra del 225-222 a. C.: i Galli Boi e gli Insubri, sconfitti,
appunto, da poco, insorsero, mentre i Galli Cenomani, in un primo tempo, rimasero fedeli a Roma. Alla fine del
conflitto annibalico, le pianure dell'Italia settentrionale vennero riprese secondo le linee precedenti. Nel 197 a. C., per
primi si arresero i Cenomani che, qualche anno prima, senza troppa convinzione, avevano tradito la ventennale alleanza
con i Romani. Seguirono nel 196 a. C. gli Insubri e, solamente nel 191 a. C. fecero atto di deditio (resa incondizionata) i
Boi. Per quanto concerne gli esiti della riconquista, a mezzogiorno del fiume Po i Boi sopravvissuti, relegati nelle zone
pi ingrate del loro territorio, continuarono a vivere precariamente, mentre nelle ampie distese di terreno confiscato ai
vinti e divenuto ager publicus vennero dedotte nel 189 a. C. la colonia di diritto latino di Bononia (Bologna), e nel 183 a.
C. le colonie di diritto romano di Mutina (Modena) e Parma. Diversamente, nelle regioni poste a settentrione del fiume
Po le confische furono pi circoscritte e nei territori sottratti agli Insubri e ai Cenomani non vennero dedotte colonie.

La testimonianza di Polibio
Nel secondo libro delle Storie, Polibio, politico greco in domicilio coatto a Roma, nell'ambito della narrazione degli
eventi che portarono alla guerra che i Romani combatterono contro i Galli pochi anni prima dell'arrivo di Annibale in
Italia, dedica un ampio spazio alla geografia e all'etnografia della pianura Padana, regione che ebbe modo di visitare
personalmente nel II secolo a. C. (Pol. II, 15, 17). Polibio rimase particolarmente colpito dalla ricchezza naturale della
Cisalpina (l'abbondanza delle ghiande consente un importante allevamento di maiali: "la grande quantit di suini
macellati in Italia per i bisogni dell'alimentazione privata e degli eserciti si ricava tutta dalla pianura padana"), dalla sua
notevole fertilit ("ricchissima in quelle regioni la produzione di panico e di miglio) e dal basso costo dei suoi prodotti
alimentari, di cui riporta anche i prezzi. Preziose sono le informazioni che Polibio ci fornisce sugli usi, costumi e
abitudini dei suoi abitanti, descritti come li poteva descrivere lui, uomo greco, colto, raffinato, membro dell'esclusivo
circolo degli Scipioni, abituato alla cultura mediterranea: "tutti i Celti abitavano in villaggi non fortificati e privi di ogni
mezzo di vita civile: dormivano su miseri giagigli, si nutrivano di carni e, non esercitando che la guerra e l'agricoltura,
conducevano una vita molto semplice, del tutto ignari di ogni scienza e di ogni arte. Unica sostanza di ciascuno erano il
bestiame e l'oro, i soli beni che facilmente si potessero, a seconda delle circostanze, trasportare dovunque e muovere a
proprio piacimento. Davano grande importanza al fatto di avere un seguito di clienti, perch presso di loro era pi
temibile e potente chi avesse una corte possibilmente molto numerosa di seguaci che andassero intorno con lui" (trad. it.
di Carla Schick, Polibio. Storie, I, Milano, 1955).

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