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POTERI E SCIENZA

Relazione svolta da:


Balduzzi Matteofiippo
Gasperoni Francesca
Miserocchi Chiara
Monti Arrigo
Rinaldi Elena
Sereni Lucarelli Cecilia
Valzania Lorenzo.

Dante 700 anni fa introdusse la riflessione sui limiti della conoscenza umana intesa come rapporto
fra fede e ragione.

Considerate la vostra semenza:


fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza".
Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.

Ma qual è, oggi in Italia, il rapporto tra scienza, filosofia e potere? E, più in particolare, come
intendere, oggi in Italia, il rapporto tra scienza e democrazia? (Enrico Bellone)
Quale il rapporto fra scienza e religione di fronte alle sfide della postmodernità? (Giorgio Israel)
Riprendendo le parole di veronesi possiamo dire che la scienza è per definizione dubbio, deve
essere libera da condizionamenti deve essere indipendente. Da qui la necessità di chiarire il rapporto
con il potere in tutti i suoi aspetti: religioso, politico, economico e ora anche con il potere mediatico
che si intreccia strettamente con gli altri.

Appare importante un approccio rigoroso, oggettivo, documentato ed equilibrato alla questione del
rapporto tra scienza e religione e delle sfide che esso pone nell’attuale società tecnoscientifica. I
punti di vista che affermano che tra scienza e religione esiste una contrapposizione irriducibile,
presentano una contraddizione epistemologica e ricorrono a una serie di falsificazioni
storiografiche. La contraddizione si presenta nella forma seguente. Da un lato si afferma che la
religione è soltanto superstizione e dogmatismo, espressione del fondo irrazionale dell’animo
umano, mentre la scienza è manifestazione piena della razionalità ed è l’unica via per l’acquisizione
di verità oggettive. Si è arrivati al punto di affermare che la scienza è la “religione della verità” e
che «all’assolutismo politico-teologico, impantanato nelle sabbie mobili della rivelazione e della
fede, va contrapposto non il relativismo filosofico ma l’assolutismo matematico e scientifico,
fondato sulle rocce della dimostrazione e della sperimentazione» (Odifreddi). Dall’altro lato,
invece, si condanna l’aspirazione religiosa alla verità come espressione di oscurantismo, in quanto
l’idea stessa di “verità oggettiva” sarebbe assurda e improponibile. Dato che le opinioni circa i fatti
reali sono necessariamente molteplici e poiché non esisterebbe alcun modo di decidere
definitivamente tra di esse, se ne deduce che l’essenza della scienza è il relativismo, ovvero
l’acquisizione di asserti provvisori e tutt’al più correggibili, ma che spesso debbono essere
radicalmente abbandonati per altri asserti. Anzi, la scienza sarebbe “la” forma di conoscenza
razionale, laica e antidogmatica proprio perché, per sua natura, è relativista. In tal senso essa si
contrappone inevitabilmente al dogmatismo religioso.

Accenniamo ora ad alcune delle falsificazioni storiche con cui si tenta di sostenere questa battaglia
culturale, e che vengono proposte a qualsiasi prezzo, anche a quello di ridurre la storia della scienza
a una parodia. La difficoltà più elementare di fronte a cui si trovano i sostenitori della tesi del
contrasto irriducibile tra scienza e religione è di spiegare come mai tutti i fondatori della scienza
moderna fossero religiosi (anzi dei “teologi laici”, per dirla con Amos Funkenstein). Le risposte
sono variegate: (a) non si poteva non essere religiosi, a quei tempi; (b) si trattava di forme di
superstizione che rappresentavano soltanto incrostazioni residue attorno all’emergere di un nuovo
spirito razionale; (c) l’intolleranza delle religioni costringeva a una religiosità di facciata cui non
corrispondeva alcuna convinzione reale. Le opere teologiche di Newton vengono liquidate come
espressione di rimbecillimento senile del grande scienziato (sebbene siano opere per lo più giovanili
o del periodo maturo). L’opera filosofica di Cartesio viene casomai citata come argomento per
“spiegare” la debolezza delle sue spiegazioni fisiche. Viene inoltre avanzata un’altra spiegazione
più sottile che rappresenta la più grossolana falsificazione corrente. Si sostiene che il Dio dei
protagonisti della rivoluzione scientifica era ormai divenuto un Dio impersonale – il che è
grossolanamente falso, per esempio nel caso di Newton – anzi un Dio coincidente con la natura,
secondo la formula spinoziana “Deus sive Natura”, perciò la residua religiosità di quei protagonisti
sarebbe soltanto una forma di panteismo; e il panteismo – altro passaggio cruciale in questa
ricostruzione di comodo – non è altro che ateismo mascherato.

Occorre poi menzionare la consueta polemica contro l’intolleranza delle religioni, la rievocazione
del caso Galileo, del rogo di Giordano Bruno, delle persecuzioni che colpirono Spinoza, Cartesio,
Copernico. Il ricordo di questi eventi persecutori serve a rinvigorire la tesi secondo cui la religione
è, per sua natura, intollerante, fanatica e ostile al libero pensiero razionale che è l’essenza del
metodo scientifico.

Inoltre sottolineiamo un altro aspetto curioso in questo panorama, e cioè l’“esenzione” di cui gode
la religione musulmana da tutte le critiche. La religione musulmana è certamente molto più
dogmatica delle religioni cristiane e dell’ebraismo, se non altro perché concepisce il Corano come
un testo disceso direttamente dal cielo e il cui testo va preso nella sua assoluta letteralità, mentre le
religioni cristiane e l’ebraismo – sia pure con accenti diversi – pongono al centro del pensiero
teologico l’interpretazione dei testi sacri, in quanto scritti da uomini: testi rivelati, ma in cui la
rivelazione è mediata da menti umane. Eppure, quasi tutti i libri e gli articoli che hanno come
bersaglio la religione e mirano a contrapporla al libero e razionale pensiero scientifico, puntano
invariabilmente il dito contro l’ebraismo e il cristianesimo, mentre manifestano un’indulgenza, o
quantomeno un silenzio, sconcertanti nei confronti della religione musulmana. Non è sempre così –
tale è il caso del recente libro di Richard Dawkins – ma il panorama della letteratura europea in
materia, e segnatamente di quella italiana, è dominato da questa singolare unilateralità. Del resto,
chi conosca le tendenze della storiografia della scienza contemporanea vi trova un evidente riflesso
di questo atteggiamento. Da decenni va avanti una sistematica opera di rivalutazione del contributo
della civiltà islamica alla fondazione della scienza europea, la quale ha un indiscutibile fondamento,
ma che sta ormai da parecchi anni, degenerando in una vera e propria opera di propaganda tesa a
dimostrare che l’islam ha creato praticamente tutta la scienza europea. È facile constatare come
questa campagna propagandistica stia producendo i suoi effetti, e si stia trasferendo al livello
dell’immagine pubblica della scienza. I nostri “intellettuali scientifici” appaiono quanto meno proni
di fronte ad essa, e spesso se ne fanno anche strumento, per esempio quando avanzano tesi deliranti,
come quella secondo cui l’illuminismo o il libero dibattito delle opinioni sarebbe nato nell’islam e
non in occidente.
Numerosi invece sono stati in occidente, nell’ambito della religione cristiana, i casi in cui l’opinione
scientifica si e scontrata con quella relgiosa.

(1) Si nega, contro ogni evidenza che sia esistito un conflitto tra le nuove correnti della scienza del
Cinquecento e del Seicento e le autorità religiose. Si tenta di screditare Giordano Bruno come un
mago e un ciarlatano, ignorando valutazioni equilibrate e approfondite del suo pensiero.

(2) Chi tenta di accreditare l’idea che non è vero che la scienza moderna e il neoplatonismo siano
indissolubilmente legati, compie una falsificazione strumentale. Se la teologia medioevale cattolica
ed ebraica ha avuto un ruolo importante nella formazione del razionalismo moderno, questo ha
usato gli stessi strumenti per demolire nei contenuti le immagini metafisiche e fisiche legate
all’aristotelismo dominante.

(3) Appare quindi sconcertante che vi sia chi, credendo in tal modo di rendere un servizio al
pensiero religioso, tenta di negare e denigrare il ruolo del pensiero rinascimentale, degradato a
livello di manifestazioni magiche e ciarlatanesche.

(4) Infine, tutte le critiche che possono essere mosse al pensiero illuministico non possono arrivare
fino al punto di presentarlo come un movimento puramente e semplicemente negativo.

Benedetto XVI nel discorso di Ratisbona ha rappresentato uno stimolo cruciale alla riflessione
contemporanea sul tema della ragione, e non a caso ha stimolato tante discussioni e tanti incontri.
Egli ha osservato «in rapporto alla ragione che ha dato vita alle scienze moderne e alle relative
tecnologie», che «una caratteristica fondamentale di queste ultime è l’impiego sistematico degli
strumenti della matematica per poter operare con la natura e mettere al nostro servizio le sue
immense energie. La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza: la
corrispondenza tra le sue strutture e le strutture reali dell’universo – che è il presupposto di tutti i
moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con la
celebre affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico – suscita la nostra
ammirazione e pone una grande domanda. Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in
maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione
soggettiva e la ragione oggettivata nella natura».

È possibile il dialogo tra scienza e religione? Due illustri paladini del pensiero scientifico,
discutono su come e se gli scienziati dovrebbero rivolgersi ai credenti.

Sono scienziati, ma non per questo i due interlocutori di questo dibattito concordano sul modo
migliore per rispondere alle minacce alla ricerca scientifica o all'istruzione che si basano sulle
convinzioni religiose.

Krauss, fisico di prestigio, si è più volte espresso pubblicamente perché la teoria dell'evoluzione
continui a essere insegnata nelle scuole e ne siano invece escluse le varianti pseudoscientifiche del
creazionismo. Nel 2005, una sua lettera aperta a Benedetto XVI, in cui esortava il Pontefice a non
alzare nuovi muri tra scienza e fede, ha spinto il Vaticano a riaffermare che la Chiesa cattolica
accetta la selezione naturale come teoria scientifica valida.

Anche Dawkins, biologo evoluzionista e autore e conferenziere prolifico, è un critico eloquente di


ogni tentativo di minare il ragionamento scientifico, ma si è generalmente mostrato meno
interessato di Krauss a una coesistenza pacifica tra la scienza e la fede. Forse il titolo del suo ultimo
libro, The God Delusion (L'illusione di Dio, sarà pubblicato in settembre da Mondadori) sintetizza
nel modo migliore meglio la sua opinione delle convinzioni religiose.
L'anno scorso, i due si sono confrontati durante una conferenza al Salk Institute for Biological
Studies di San Diego dedicata proprio allo scontro tra scienza e religione. Nel dialogo qui ricreato,
Krauss e Dawkins illustrano le loro rispettive strategie per affrontare il nemico, discutendo alcuni
degli interrogativi con cui devono confrontarsi gli scienziati quando decidono se e come parlare di
scienza ai credenti: l'obiettivo è insegnare la scienza, o screditare la religione? Queste due
concezioni del mondo potranno mai arricchirsi a vicenda? La fede religiosa è intrinsecamente
negativa?

Ecco la prima parte del dibattito tra i due.

Krauss: Nel tuo libro L'illusione di Dio, hai validamente sostenuto che la religione è cattiva
scienza. Secondo me, però, questa affermazione è impropria e cade di fatto nella stessa trappola in
cui cade chi vuole che si insegni il disegno intelligente nei corsi di scienze, di chi finanzia le borse
di studio della Templeton Foundation destinate ai tentativi di dimostrare scientificamente l'esistenza
di Dio. Ho inquadrato questo problema con parole che rimandano a Carl Sagan, il quale ha detto
che l'inesistenza delle prove non equivale alla prova dell'inesistenza. Un mondo senza Dio
apparirebbe necessariamente diverso dal mondo in cui viviamo? La maggior parte degli scienziati
risponderebbe di no, implicando così che non serve l'ipotesi di Dio per spiegare qualcosa
concernente la natura. D'altro canto, ci si potrebbe anche chiedere: un mondo con un Dio
apparirebbe necessariamente diverso dal mondo in cui viviamo? I credenti risponderebbero di no,
sentendosi così confermati nella loro fede. Il problema è che i due gruppi hanno entrambi ragione
ed è improbabile che quello che ciascuno dei due afferma poi influisca sull'altro.

Dawkins: Ho ripetuto più volte che un universo con un Dio differirebbe molto da un universo senza
Dio. Tu lo hai tradotto in termini operativi, arrivando di conseguenza a porti una domanda
legittima: i due tipi di universo apparirebbero diversi? «Apparirebbero», non «sarebbero» (i miei
termini della questione), con cui presumibilmente intendi qualsiasi differenza riscontrabile in
qualche modo da uno dei nostri organi di senso o dei nostri strumenti scientifici. Concordo con te
che si tratta di una questione importante e che sarà incredibilmente difficile riuscire a scoprire - con
l'osservazione, o con esperimenti - se viviamo in un universo privo di Dio o con un Dio. Tuttavia,
ribadisco che uno scienziato può discutere di questo in modo valido. Possiamo avere una
discussione scientifica interessante e illuminante sul problema, anche se non siamo in grado di
dimostrare, con l'osservazione o con esperimenti, l'una o l'altra delle due tesi. Come posso
affermare questo e sostenere al tempo stesso che sto facendo della scienza? […]

Krauss: Non ho niente contro i tentativi di riflettere su fenomeni che potrebbero non essere mai
direttamente misurabili. In cosmologia, il mio lavoro, lo faccio in continuazione quando considero
la possibilità di altri universi causalmente separati. Lo faccio per vedere se posso risolvere gli
enigmi ancora insoluti nella fisica del nostro universo. Se l'approccio si rivela infruttuoso, trovo la
questione meno interessante. […] Ho sempre sostenuto che le questioni finalistiche in linea di
massima non fanno parte della scienza. Il miglior esempio che conosco in proposito è quello di
Georges Lemaitre, il sacerdote e fisico belga che per primo capì che la relatività generale di
Einstein implicava un big bang all'origine del nostro universo (idea che Einstein trovò in un primo
tempo risibile). In seguito a questo, papa Pio XII affermò che la scienza aveva dimostrato la Genesi.
Lemaitre reagì in modo appropriato, scrivendo al pontefice una lettera in cui lo esortava a non dirlo
più. La teoria in questione è una teoria scientifica, le cui predizioni possono essere verificate. Le
implicazioni religiose della teoria dipendono dalle inclinazioni metafisiche di ciascuno. Si poteva
prendere la teoria come conferma della Genesi per l'implicazione che l'universo ha avuto un inizio,
affermazione scientifica rivoluzionaria per quei tempi; ma si poteva altrettanto bene prenderla a
conferma del fatto che non c'è bisogno di un Dio, che le leggi della fisica sono sufficienti a
comprendere l'universo già dal suo inizio. Il punto è che la scienza è accurata nel descrivere come
funziona l'universo, indipendentemente dalle implicazioni metafisiche che ciascuno ne deriva. Lo
stesso vale, naturalmente, per l'evoluzione, che è avvenuta e avviene, indipendentemente dalla
personale scelta di credere in Dio.

Dawkins: Lemaitre era certo molto saggio (anche se devo ammettere che continuo a chiedermi
perché sia rimasto prete). Ma perché il fatto che la sua fisica si possa o meno prendere a sostegno
della Genesi è una questione interessante? Non c'è mai stato motivo di aspettarsi che gli scritti di un
ignoto scriba, forse meno di mille anni fa, potessero mostrare una particolare comprensione
dell'origine dell'universo. Se è capitato che la Genesi avesse ragione in qualcosa, perché non
dovrebbe trattarsi di un caso fortuito?

Krauss: Beh, il punto cruciale di cui non tieni conto è che c'è una ragione per credere che la Genesi
possa contenere qualche verità sull'universo, ma solo se si crede in Dio. Lemaitre, presumibilmente,
ci credeva. Ma tornando alla questione sollevata in precedenza, io non sto dicendo che la scienza
non potrebbe mai fornire le prove di un disegno, o di una finalità. Se, per esempio, questa notte le
stelle improvvisamente si allineassero nel cielo a formare la frase «Sono qui», la maggior parte
degli astronomi sarebbe incline a considerare una causa soprannaturale. Ma l'assenza di queste
prove - e le prove mancano, nonostante quello che dicono gli artisti della truffa e gli
pseudoscienziati fuorviati sostenendo che sono fornite dai i sistemi viventi - non esclude
logicamente la possibilità che il nostro universo e la vita abbiano un qualche fine.

Dawkins: Mi sconcerta sempre che qualcuno ritenga molto importante il fatto che non si possa
escludere logicamente qualche possibilità. Sono infinite le possibilità che non possiamo escludere
logicamente e che tuttavia non prendiamo sul serio, perché non abbiamo ragioni per farlo. Era
proprio questo il punto all'origine della teiera orbitante di Russell.

Krauss: Per come la vedo io, se non si è in grado di escludere certe possibilità, è meglio non
soffermarcisi e limitarsi a dire che sono improbabili. Hai sostenuto, e su questo sono d'accordo, che
la completa assenza di prove empiriche dirette suggerisce che l'esistenza di un'intelligenza divina
sia improbabile. Penso che non ci si possa spingere oltre.

Dawkins: E quanto oltre si vorrebbe andare? Improbabile é improbabile è improbabile. Non è lo


stesso di impossibile, ma la scienza abbonda di stime di improbabilità che non sono impossibilità
dimostrate. È altamente probabile che si stia verificando un riscaldamento globale causato dalle
attività umane, ma le alternative non possono essere del tutto escluse. È molto probabile che i
dinosauri si siano estinti perché un oggetto di grandi dimensioni è entrato in collisione con la Terra,
ma non è sicuro. È quasi - ma non completamente - certo che gli esseri umani sono parenti più
stretti degli scimpanzé che dei gorilla. Quasi tutto quello che sappiamo di biologia è sostenuto da
prove statistiche e non è totalmente certo. Se concordi con me sul fatto che l'esistenza di
un'intelligenza divina è statisticamente improbabile, non chiedo altro. Ma affermo che questa bassa
probabilità sulla quale siamo d'accordo è una stima scientifica, non qualcosa che per principio è
immune dalla discussione scientifica.

Krauss: Sì, ma io non credo che la probabilità dell'esistenza di Dio possa essere quantificata negli
stessi modi usati per i dinosauri, o per il riscaldamento globale, e penso dunque che non abbia senso
passare molto tempo a provarci. Perché faticare tanto su un soggetto inevitabilmente troppo
sfuggente, e da lungo tempo? Sostenere che le dettagliate argomentazioni probabilistiche usate per
suggerire che la vita è un fenomeno raro implichino al tempo stesso un sostegno matematico alla
non-esistenza di Dio è qualcosa che non mi convince, perché non vedo come si possano usare
ragionamenti propri della fisica per porre limiti all'esistenza di qualcosa che, per definizione,
trascende le leggi della fisica.

Dawkins: I teologi ricorrono a questa argomentazione centrata sulla definizione come unica
difesa contro le argomentazioni statistiche che noi accettiamo. Ma perché dovremmo lasciare
che si servano di questa scappatoia così conveniente? Perché accettare che siano i teologi a decidere
i termini della discussione e permettere che rendano Dio immune dallo scrutinio scientifico
vaccinandolo come profilassi con una sorta di iniezione di definizione? Supponiamo di dire che il
bolide che uccise i dinosauri 65 milioni di anni fa fu lanciato da Zeus. I dati a nostra disposizione
(strato di iridio nelle rocce, cratere nello Yucatan, ecc.) sono compatibili sia con la teoria di Zeus,
sia con quella del meteorite. I teologi della scuola dell'Olimpo sono liberi di interpretare i dati
scientifici in termini di Zeus (e i teologi della scuola del Walhalla di interpretarli come
manifestazione del martello di Thor). Queste preoccupazioni teologiche sono per definizione al di là
della portata della scienza. Ma tu non ci credi, Lawrence. Perché, allora, permettere ai teologi
ebraico-cristiani di evadere la questione statistica dicendo che il loro Dio è, per definizione, al di là
delle leggi della fisica?

Krauss: È un'osservazione valida, però credo che i teologi più ragionevoli sostengano che «le
intenzioni» di Dio sono al di là delle leggi della fisica. Se si potesse determinare nei particolari
l'origine del bolide che uccise i dinosauri e si dimostrare che furono le perturbazioni gravitazionali
del pianeta Giove a farlo uscire dalla sua orbita attorno al Sole, questo dimostrerebbe forse che non
c'era un Dio, Zeus o chi per lui? No, perché potrebbe essere stata intenzione divina che la vita si
evolvesse proprio in un ambiente caratterizzato da catastrofi sporadiche, che contribuissero a
portare avanti l'evoluzione.

Dawkins: In senso stretto è vero, ma proprio in senso stretto. Perché fai i salti mortali per
trattare con riguardo queste appendici alla scienza, del tutto superflue, che respingeresti con
sdegno se non fossero protette dall'etichetta «Religione. Usare i guanti di velluto per non
arrecare offesa»?

Krauss: Per me si tratta più di ignorarle che di trattarle con riguardo, perché vedo l'inutilità di una
discussione. In generale, sostenere che la religione è cattiva scienza ha come unico effetto quello di
indurre chi vuole introdurre la religione nei corsi di scienze a perseverare con maggior risolutezza
nei suoi tentativi. Credo che sia essenziale separare razionalmente la scienza e la religione. Può
darsi sia vero che la fede non si basa sulla ragione, ma questo la renderebbe cattiva scienza solo se
le asserzioni della fede fossero in generale dimostrabili come false. Finché i principi della fede
vanno al di là della ragione, vale a dire al di là di questioni che possono essere risolte da prove o
dall'assenza di prove, la fede resta in un ambito dell'attività umana che ha poco a che fare con la
ragione. […] Ma questo ambito, che ci piaccia o meno, è invece un aspetto centrale della nostra
natura umana. Tutti noi abbiamo qualcosa in comune con la Regina di Lewis Carrol, che ogni
giorno credeva a sei cose impossibili prima di fare colazione. Per molte persone, la religione è
un modo per dare senso a un mondo irrazionale, un mondo che non è giusto.

Dawkins: Se è un aspetto centrale della natura umana, allora tanto peggio per l'umanità. Il mondo
non è irrazionale. Il mondo può essere ingiusto, ma non è irrazionale. La risposta razionale a un
mondo ingiusto è riconoscere che non abbiamo alcun diritto di aspettarci che sia giusto. Se questo
suona cinico, mi dispiace, ma compito della scienza è capire com'è il mondo, non cercare di
trarne conforto. Noi possiamo soltanto intraprendere azioni politiche e di altro genere per
rendere più giusta la piccola parte di mondo sulla quale possiamo esercitare un qualche
controllo. E a dire il vero io credo che nella scienza si possa persino trovare una sorta di
consolazione poetica, che ho cercato di esprimere in L'arcobaleno della vita.
Krauss: Non molto tempo fa sono stato a Washington, dove in qualità di membro del Comitato
degli sponsor del Bulletin of Atomic Scientists ho inaugurato il nuovo Orologio dell'apocalisse, che
segna cinque minuti a mezzanotte. Posso dire, dopo aver studiato per un certo tempo le politiche di
sicurezza nazionale delle maggiori potenze mondiali nei confronti degli armamenti nucleari, che mi
riesce davvero difficile attribuire il termine «razionale» anche a una piccola parte soltanto di
queste politiche. L'universo può essere ingiusto, ma certo sono molti gli esempi sulla scorta dei
quali si può pensare che neppure l'attuale società umana sia governata dalla razionalità. […]

Infine va rivalutata la dimensione culturale della scienza che contribuisce alla democrazia.
Si tratta infatti di cogliere una rete di correlazioni tra ciò che oggi vediamo in quel rapporto, e ciò
che invece se ne sta nel passato. Tra il 1400 e il 1700 nella cultura europea si fece strada, una
nuova visione del sapere tecnico e della stessa conoscenza di base. Le arti meccaniche furono difese
da chi invece le valutava come indegne e puramente servili, e, nello stesso tempo, forti critiche si
sollevarono “contro ogni forma di sapienza occulta e segreta, contro l’antichissima concezione
sacerdotale del sapere”.
Ci resta la copia del “Dialogo” dove Galilei, dopo la condanna, annota con cura osservazioni varie.
In un punto egli riflette con amarezza e con lucidità su chi gli ha chiuso la bocca. E scrive che le
novità dovute alla scienza sono “potenti a rovinare le repubbliche e sovvertire gli stati”. Dal che
discende, a suo avviso, la rivolta di chi è insediato ai vertici del potere e vede un pericolo in questa
potenza del sapere innovatore.
Per questo Galileo è diventato il simbolo della libera ricerca scientifica ostacolata dalle ingerenze
del potere politico. In gioco era la necessità politica di fermare le pretese conoscitive e pratiche di
coloro che seminavano innovazioni e quindi incrinavano quell’orizzonte di certezze che molti
intellettuali garantivano sostenendo che nulla di interessante restava ancora da scoprire, poiché la
natura aveva parlato con la bocca di Aristotele e la divinità s’era espressa con i testi sacri..
In seguito nei primi anni del Novecento in Italia si diffuse l’idea che la scienza e la tecnica non
fossero forme della cultura.
Fu Benedetto Croce a scrivere che dovremmo provare un senso di vergogna nel leggere Darwin.
E’ Giulio Preti, in seguito, a scrivere che gli occhi dei reazionari si sono aperti “sul pericolo
rappresentato dallo spirito scientifico nella cultura”:

“Di qui l’opera, favorita dallo stesso progressivo specializzarsi e tecnicizzarsi delle ricerche
scientifiche, di segregazione delle scienze dalla cultura, limitandole a meri fatti tecnici,
strumentali, senza significato spirituale…Si viene a stabilire una vera cultura,
essenzialmente sacra ( si tratti della sacertà del divino o della sacertà della coscienza
individuale, o di entrambi fusi e confusi insieme ) di fronte ad una tecnica scientifica che in
ultima analisi non è neppure cultura, ma semplice capacità operativa per fini pratici,
contingenti e materiali – quindi profani”.

Oggi, nel nostro paese, un cultura libera e democratica dovrebbe coltivare un rapporto
positivo con la scienza, che già democratica è per gli statuti suoi, ovvero per il consenso della
comunità scientifica a risolvere pubblicamente le proprie controversie facendo pubblico appello non
agli dei o allo stato o a qualche possessore di verità prime ed ultime, ma al laboratorio e alla
dimostrazione.
Il rapporto positivo tra scienza e democrazia, come ogni rapporto tra il sapere e il potere, ha tuttavia
bisogno, per concretizzarsi, di eliminare il muro di parole che ancora separa la cultura cosiddetta
vera dal mondo in evoluzione delle tecniche e dei saperi sui fenomeni naturali.
Erano diffusi motivi idealistici, come quelli di Croce, secondo il quale le scienze stesse avevano
ormai “ceduto alla filosofia il privilegio della verità”, confessando che “i loro concetti sono concetti
di comodo e di pratica utilità, che non hanno niente da vedere con la meditazione del vero”. Ma non
dovremmo oggi scaricare troppo peso su Croce poiché siamo dentro la cornice di una cultura che
negli anni Sessanta e Settanta riprese e popolarizzò certi atteggiamenti tradizionali contro
l’illuminismo, la razionalità e la libertà di ricerca sulla natura.
Nasceva così, con rivoluzionario clamore, la retorica della scienza serva del capitale, della scienza
che non è neutrale rispetto alla società e che pertanto deve alla società rendere conto di se stessa. Su
questo terreno si era sancito con parole ferme e chiare la non neutralità della scienza:

“Quella che viene chiamata “crisi della scienza” non è altro che il fatto che quei signori / gli
scienziati / si sono accorti da soli che con la loro obiettività e autonomia erano andati fuori
strada. La semplice domanda che precede ogni impresa scientifica è: chi è che vuole sapere
qualche cosa, chi vuole orientarsi nel mondo che lo circonda? Segue necessariamente che ci
può essere soltanto la scienza di un certo tipo di umanità, e di un’età particolare”.

L’autore di questo brano esemplare si chiamava Hitler, ed aveva allora chiaramente


ragione Preti quando sottolineava che erano stati gli occhi dei reazionari a scorgere il pericolo insito
nell’ingresso dello spirito scientifico nella cultura. La negazione di libertà e dignità culturale alla
scienza e alla tecnica era infatti parallela alla negazione degli statuti della democrazia, ma
comportava anche il declino delle nazioni dove quelle negazioni avevano vinto, e la più lenta deriva
delle società che, come la nostra, avevano coltivato miscele di sospetto e di indifferenza verso
l’evoluzione scientifica.
In quegli anni erano ormai disponibili i dati sulle patologie del nostro sistema educativo nazionale,
che spingevano Giuliano Toraldo di Francia a dire che ormai “l’Italia è un paese in via di
sottosviluppo”, e che la causa di tale declino stava nel fatto che “la paura della scienza è ormai un
dato culturale spontaneo, insito in certe nostre classi dominanti. La scienza è nemica e dev’essere
emarginata”. L’analisi dello stato di cose, agli inizi degli anni Settanta, era in ampia parte
condiviso da Giovanni Galloni e da Giorgio Napolitano. Il primo sottolineava il divario, già ampio
ma crescente, tra il nostro livello scientifico e quello dei maggiori paesi del mondo. Ricordava che
le responsabilità erano egualmente distribuite tra forze politiche di maggioranza e di opposizione, e
che il futuro dell’Italia era a rischio anche sul piano della democrazia. Giorgio Napoletano parlava
di un paese che s’era messo in un vicolo cieco.
Eppure altre voci s’erano levate ed avrebbero vinto. Voci che parlavano di una scienza generata dal
potere capitalistico, e che dunque riproponevano la tesi della scienza nemica: “Il potere del capitale
l’ha creata e cresciuta per affermare la sua pretesa di soggettivare sé stesso oggettivando il lavoro,
di imporre il suo discorso espropriandone l’uomo”.
Un’immagine negativa della scienza e della tecnica, questa. Che si irrobustiva investendo la stessa
struttura universitaria, descritta non come fonte di libera ricerca, ma come luogo di riproduzione
dell’ideologia borghese. E, quindi, non libera, ma vincolata comunque dal potere, quale che esso
fosse. E, soprattutto, intesa come estranea alla cultura vera e propria, per la quale era d’obbligo
garantire quella libertà d’espressione che doveva invece essere negata al mondo della conoscenza
scientifica, concepita come espropriazione dell’umano. Le voci che così si esprimevano erano
indubbiamente di matrice laica, anche se, nella concezione di una scienza contraria all’umano.
Ancora sul finire del Novecento Antonio Ruberti, che era stato rettore alla Sapienza di Roma,
ministro della repubblica e commissario dell’Unione Europea, esponeva in tono sobrio ma fermo il
declino del nostro paese. A suo avviso la discesa italiana aveva due radici. L’una stava nel
convincimento diffuso tra i cittadini che esistesse una differenza radicale tra le scienze umane e le
scienze della natura. Solo le prime erano viste come cultura nel senso pieno del termine, e diventava
così difficile costruire il pubblico consenso per potenziare le seconde. L’altra radice stava nella
classe politica, nei cui rappresentanti si rifletteva quella differenza radicale. Per decenni il potere e
vasti settori di intellettuali hanno tranquillamente camminato in un vicolo illuminato bene, in fondo
al quale bene era visibile la muraglia finale. Ora a quest’ultima siamo tutti insieme arrivati, e sarà
duro il compito di abbatterla, ricostruendo quei rapporti positivi tra scienza, filosofia e politica che
già erano stati tracciati dal pensiero e dagli scritti di Giulio Preti.

Analizzato il rapporto tra la scienza e il potere politico e religioso è importante almeno menzionare
il ruolo del potere mediatico, che non prescinde da quello economico. “Guidato dal sensazionalismo
pubblicitario, il potere mediatico non si preoccupa della bontà di quello che presenta, non si cura
della verità o del buon gusto ma solo dell’audience, cioè dell’impatto sul mercato; la scienza invece,
poiché tende a migliorare le condizioni dell’uomo, è per definizioni positiva”(Veronesi).

BIBLIOGRAFIA
• Scienza e futuro dell’uomo, Umberto Veronesi;
• www.armandomasarenti.nova100.ilsole24ore.com
• www.lescienze.espresso.repubblica.it
• www.magna-carta.it

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