MANUALE DI STORIA
DELLA LINGUA ITALIANA
prontuario per gli studenti di scienze della formazione
La lettura di testi e la riflessione sulle forme espressive porteranno lalunno a cogliere lo sviluppo storico della lingua italiana, a interessarsi alla sua
evoluzione nel tempo e nello spazio determinata dai suoi forti legami con
le trasformazioni sociali e culturali, con gli sviluppi scientifici, economici,
tecnologici. Una sensibilizzazione agli apporti che allitaliano provengono
da altre lingue e culture, europee in primo luogo, ma anche della pi vasta
area del Mediterraneo, costituisce unimportante risorsa per leducazione
interculturale. La percezione dei tratti pi caratteristici della propria variet
regionale della lingua italiana agevoler il legame con i dialetti e ne far
scoprire la vitalit espressiva. Lalunno sar guidato al riconoscimento della
ricchezza idiomatica presente sul suo territorio come premessa alla scoperta
delle lingue minoritarie presenti in Italia.
PARTE PRIMA
Leonardo Sebastio
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linguistica attirava su di s lunanime denuncia dellirreparabile insufficienza di verit, della sostanziale e connaturata vocazione alla finzione e alla menzogna. Ancora mezzo secolo dopo Dante, Boccaccio
aveva un bel da fare per liberare la poesia dallaccusa di falsit.
Nel confronto coi tempi, la Divina Commedia sembra occupare
un posto nodale nella storia dellOccidente, la cui rilevanza sar chiara quando terremo in conto il fatto che essa fiorisce in un terreno pressoch deserto, nel quale lidea di letteratura quasi tutta da inventare,
e certamente tutta da inventare lidea che con la letteratura si possa
cambiare il mondo. I precedenti lontani, la Sacra Scrittura diciamo o
lEneide, pur potendosi proporre a Dante come modelli, non erano
applicabili immediatamente: la rivelazione del Cristo rendeva inutile
ogni altra parola, la verit era stata enunciata, la norma morale era stata data una volta per tutte. N era possibile pensare, e men che meno
attuare, una integrazione della parola divina: questa poteva e doveva
essere spiegata, non certo completata o aggiornata. Non ostante questo Dante, durante tutto il suo viaggio nei regni ultramondani, mille
e mille volte si professa poeta, e mai vuol essere o pu essere profeta.
I modelli vicini, il Roman de la Rose o lAnticlaudianus oltre ad essere epitomi dei sapere universale, manuali, insomma, di ci che gi si
sapeva, pi che ricerca e progettazione del futuro volevano essere i
prodotti di maestri di grammatica, esercizio di unarte prestigiatrice
come la retorica, che Jean de Meun e Alano di Lilla volevano dimostrare capace desporre, abbellendola, ogni verit. La retorica era per
loro il completamento del quadro della filosofia, e si arrogava il diritto di compaginarsi ad ogni verit. Questa, per, andava cercata ed indagata dalle altre arti del quadrivio e dalla filosofia. Jean de Meun ed
Alano di Lilla erano, insomma, i maestri del trivio che proponevano
la sintesi, tra ornata e goliardica, del sapere cristiano.
chiaro che i modelli vicini e lontani potevano essere utilizzati in
qualche loro parte, in qualche loro proposta; ma bisognava rifondere
il tutto in una concezione in cui alla parola del poeta, per natura e
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della loro bellezza e si rispecchiano con tutto lardore del loro desiderio:
dunque evidente che essi non avevano bisogno di alcun segno linguistico.1
Dante qui ricorre ad una tesi contenuta nel Liber de causis, della quale sera servito gi nel Convivio. Secondo questa tesi ciascun
intelletto celeste, ciascun angelo cio, conosce quello che sopra di
s e quello che sotto di s. Conosce perci Dio, che la sua causa,
e conosce langelo della gerarchia inferiore che il suo effetto. Inoltre, dal momento che gli angeli conoscono Iddio, che la causa di
tutte le cose, conoscono tutto. Era questa la premessa per tirare una
conclusione anche per quel che riguarda la lingua: che gli angeli non
hanno bisogno di parlare tra loro: a loro, infatti, tutto noto, giacch
conoscono ogni cosa, conoscendo Dio. Anzi, per Dante, gli angeli
non possono venire a conoscenza di nulla di nuovo.
Concreato fu ordine e costrutto
a le sustanze; e quelle furon cima
nel mondo in che puro atto fu produtto.2
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Tutti i santi, per, vorranno che egli parli e questo avr ben pi alto significato che quello di mezzo per che il lettore della Commedia tragga maggior diletto dalla drammatizzazione del poema: significher
1 Summa Theologiae, i, q. lvii, a. 4 ad 1.
2 Paradiso, xv, 6163.
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intellettiva: questa facolt Dante, sulla scorta dellaristotelismo parigino, chiama intelletto possibile. Lintelletto possibile creato infinito e direttamente da Dio, il quale in esso ha connaturato il desiderio di sapere. Luomo di Dante, dunque, ha in s unimpronta di Dio
che lo anima di uninesausta ansia di mettere in atto la sua propria infinita o quasi infinita potenzialit. La ragione dono divino, che
rende divino luomo, e lo spinge, o dovrebbe spingerlo, a dare ad essa
stessa sostanza scientifica e politica. La ragione , diciamo, una forza
propulsiva che avverte assai pressante lo scopo di concretizzare e manifestare se medesima. Essa, perci, anima, vivifica, esalta lumanit
con un perpetuo desiderio di sapere: la meta avr nome di filosofia,
avr il nome, cio, delle conquiste, delle scienze delle arti, che sono le
concretizzazioni, le attuazioni della ragione; perci la filosofia , per
lAlighieri, cosa miraculosa,1 manifestazione ed insieme partecipazione alla sapienza, alla bont, alla carit divine ed vita e meta
dellesistenza dellindividuo e dellumanit intera.
In questo contesto filosofico si inserisce la nozione di lingua in
Dante. E va subito detto che in tal modo la lingua non si correla allignoranza, causa negativa ed evidentemente limitativa del suo valore;
la lingua sar, invece, determinata dal fine, nel quale luomo raggiunge la felicit in questa vita, la beatitudo huius vite, e diventa simile
ad un dio: tal che la lingua lo strumento grazie al quale luomo si divinizza. E va subito detto che quellimpostazione dantesca convoglia
il linguaggio nellalveo dei destini dellintelletto possibile, nellalveo
dei valori politicocivili ad esso sottesi: la monarchia universale, infatti, trova in Dante il fondamento radicale in questaspetto medesimo della natura delluomo. Lo stesso identico intelletto possibile
genera nel pensiero del poeta limpero civile e la lingua: non a caso la
Monarchia e il De vulgari eloquentia presentano un diagramma argo
mentativo assai simile, che prende le mosse appunto dal confronto
degli uomini con gli angeli.
1 Conv., iii, vii, 16.
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In breve: io, dice lAlighieri, basandomi su quanto mi dice la ragione e lasciando da parte quanto scritto nella Bibbia, ritengo che
a parlare per primo sia stato Adamo e non Eva. Ritengo inoltre che
Adamo abbia parlato immediatamente, non appena ricevette lanima
dal Signore. Adamo parl, dunque, prima ancora che Dio gli rivolgesse, effabilmente o ineffabilmente, la parola: a questa conclusione si
perviene considerando che Adamo venne creato perfetto dal Signore, e, poich lattivo parlare pi nobile che il passivo ascoltare, alla
1 De vulg. el., i, v, 1.
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LAlighieri ha ben presente il rischio implicito della passiva accettazione del testo biblico. Cos egli scrive nel De vulgari eloquentia:1
In verit, secondo quanto dice il Genesi allinizio, dove la Santissima
Scrittura tratta dellorigine del mondo, risulta che a parlare prima di tutti
stata una donna, cio Eva, la presuntuosissima Eva, quando al diavolo che la
sollecitava ha risposto: Noi mangiamo tutti i frutti degli alberi che stanno
nel paradiso; ma il frutto dellalbero che sta al centro dl paradiso, Dio ci
ha imposto di non mangiarlo n toccarlo, che non ci accada di morirne.
Tuttavia, bench nei testi si trovi che per prima ha parlato una donna, pi
conforme alla ragione ritenere che sia stato luomo a parlare per primo, ed
sconveniente non pensare che un atto cos nobile del genere umano sia
sgorgato prima dalle labbra di un uomo che da quelle della donna. Perci
ragionevole la nostra opinione che la parola sia stata concessa ad Adamo in
persona per primo da Colui che laveva appena plasmato.
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questo Dio parlasse quello che noi chiamiamo un linguaggio. Chi infatti
dubita che tutto ci che esiste si pieghi docilmente al cenno di Dio, da cui
appunto tutto fatto, tutto conservato, tutto altres governato? Il comando della natura inferiore, che ministra e creatura di Dio, induce laria
a muoversi con perturbazioni tali da far rimbombare tuoni, da far lampeggiare fiamme, da far piovere acqua, da sparger neve, da scagliare grandine: e
dunque il comando di Dio non la indurr a muoversi per far risonare alcune
parole, che saranno rese articolate e distinte proprio da Colui che cose ben
maggiori separ e distinse? E perch no?1
Dio, secondo Dante, se avesse dovuto rivolgersi a Adamo sarebbe ricorso alla stessa lingua parlata dalluomo, sia pure utilizzando
gli strumenti sensibili della natura inferiore. Dio che pu imporre la
conoscenza di s, che pu illuminare, che pu parlare direttamente
al cuore degli uomini, di fatto, per Dante crea una forma certa di
linguaggio: la forma, precisa il poeta, riguarda i vocaboli delle
cose, la costruzione dei vocaboli e la espressione della costruzione. Qui non il caso di ripetere il dibattito criticofilologico che
il passo dantesco suscita; ora converr rilevare che la tesi dantesca che
fa intervenire Iddio sin nelle forme in atto della lingua, in quei semi
di lingua, soprattutto indicativa della importanza che egli voleva
conferite al linguaggio parlato e di conseguenza al volgare italiano e
non solo quello italiano.
Il linguaggio , dunque, stato creato perfetto. In seguito, per,
intervenuto il peccato originale: era conseguente supporre che anche
la lingua abbia perso i suoi valori originari. Noi abbiamo pi su visto
come il poeta contestasse che la nascita della lingua fosse da annettere
al peccato originale. Ora ricorderemo che Dante pensa che luomo
sia stato creato in una condizione di perfezione s, ma che questa perfezione era tutta umana, senza, cio, doni o grazie che gli facessero
superare il limiti della propria umanit. Questo, naturalmente, non
vuol dire che per lAlighieri Adamo non fosse divino; che la sua di1 De vulg. eloqu., i, iv, 6.
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che esso fosse unico per tutti gli uomini. Il filosofo arabo non si era
occupato di lingua nel commento al De anima, dove esprimeva queste idee, tuttavia chi al De anima di Aristotele si fosse rifatto trattando del linguaggio degli uomini di necessit doveva concludere che il
linguaggio eterno e comune a tutti gli uomini.
Leternit e lunicit dellintelletto possibile erano state oggetto
di molte contestazioni da parte dei pensatori cristiani: e non poteva
che essere cos, visto che luna e laltra minavano alla base il concetto
stesso di religione: come possibile la salvezza o la dannazione individuali se lintelletto unico per tutta lumanit e per lumanit di
tutti i tempi ?
Ma Aristotele era, per gli intellettuali del tempo di Dante, lincarnazione stessa della filosofia e della ragione. Rinunciare al pensiero
dei filosofo greco equivaleva a rinunciare allunico strumento per la
comprensione delluniverso naturale e delluniverso umano. Era necessario adattarlo al cristianesimo, se non si voleva restare schiacciati
dalla cultura, dalla matematica, dalla scienza, dalla filosofia, insomma, degli arabi. Di qui una serie di commenti alle sue opere: pensiamo
ad Alberto Magno, pensiamo a Tommaso dAquino, che studiano e
rielaborano i suoi testi, li adattano al contesto cattolico. Laristotelismo duecentesco anche quello di Alberto e di Tommaso nasce
per contrapporsi alla filosofia islamica, ed in particolare allaristotelismo arabo: non meraviglia, perci, se la maggior parte filosofi cristiani hanno come mira polemica i commenti ad Aristotele di Averro.
Erano stati gli arabi a scoprire il pensiero greco, erano stati gli arabi
a restituire quel pensiero allOccidente. E tra i grandi filosofi arabi,
il pi grande era stato Averro, che aveva voluto studiare da filosofo
il filosofo greco, liberandolo dalle sovrastrutture e dalle incrostazioni platoniche. Averro presentava Aristotele, diciamo, nella versione
pi vicina alla laicit pagana. chiaro a questo punto che quanto pi
si amasse Aristotele, quanto pi si volesse essergli fedele, tanto pi
ci si doveva avvicinare al filosofo arabo e a quei rischi teologici cui
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abbiamo accennato.
Dante, diciamo subito, che vuol essere ed un buon cristiano, sostituisce alla nozione averroistica di eternit, quella di perpetuit, per
cui lintelletto possibile nasce con lumanit e dura per quanto dura
lumanit; e sostituisce allesistenza staccata dallumanit, lesistenza
della potenzialit infinita in ciascun uomo. Noi abbiamo diggi visto
come il poeta risolva la questione della perpetuit ed abbiamo accennato a quali conseguenze derivino sul piano della lingua. La prima
di queste conseguenze la dimensione eminentemente sociale del
linguaggio.
Tale dimensione presente sino nei termini usati da Dante per la
definizione stessa di lingua, che nel De vulgari eloquentia : parlare
esprimere agli altri ci che la nostra mente concepisce. Sarebbe
semplicistica osservazione la forte pregnanza sociale di quegli altri cos prepotentemente inseriti nella definizione. Noi partiremo
invece dalla nozione di mente.
A tale nozione Dante dedica unampia trattazione quasi in apertura di quel iii trattato del Convivio, che anche cronologicamente
addossato al De vulgari. Il suo pensiero esplicitamente si rif al De
anima e allEtica nicomachea dAristotele ma v anche Boezio . Il
ricorso allo Stagirita costituisce un fatto assai interessante, in quanto
permetteva al poeta di sfuggire a quello che era stato un vero e proprio predominio di S. Agostino in questo ambito. Il santo, infatti,
aveva nel De Trinitate identificato nella mente la parte dellanima
pi prossima a Dio: Dio crea lanima prima di immetterla nel corpo
appena nato. E lanima vede allora, prima di nascere, il suo Creatore,
e ne conserva, nascosto, il ricordo nella mente, dove, mediante un
processo di fervente anamnesi, dovr essere recuperato. Cos, grazie
alla mente, lanima umana supera tutto ci che le inferiore, e pu
giungere a cogliere limmagine di Dio rimastavi impressa. Dante, invece, sulla scia del razionalismo averroistico, proponeva il recupero
delluomo come termine ad quem del progetto stabilito da Dio: quel
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fanno s che nessun uomo da solo possa possederla per intera; certo vi
saranno i grandi che accoglieranno una maggiore quantit di scienza:
Virgilio sar il mar di tutto il senno e Aristotele il maestro di
color che sanno; e vi saranno uomini che si pasceranno dellumile
pasto delle bestie: ghiande gire mangiando. Sempre per finita
la quantit di ragione che singolarmente preso ogni essere umano
pu attuare. Dunque singolarmente preso ogni essere umano destinato allinfelicit, a subire la sperequazione tra linfinit della propria
potenzialit e la limitatezza della sua attuazione. Perch la ragione
viva nella sua intierezza e nella sua perfezione necessario che lumanit tutta intiera partecipi alla attuazione della sua potenza. E perch
tutta lumanit possa dedicarsi alla filosofia, attuandola, necessario
che vi sia pace e tranquillit.
Quanto al primo connotato della filosofia, leternit, diremo che
il pensiero dantesco, che qui simpronta allaverroismo, imponeva
che la scienza fosse eternamente in atto e perpetuamente. Il che voleva dire che sempre, sin dalla sua creazione luomo doveva attuare la
potenza del suo intelletto: per questo che lAdamo dantesco parla
appena creato, giacch, parlando, esprime il suo sapere.
Affinch, poi, la teoria averroistica fosse pienamente corredata di
prove era necessario che sin dal primo istante di vita dellumanit si
esprimesse tutto il sapere delluomo. Adamo deve, dunque, esprimere
la propria natura razionale esprimendo la scienza nella lingua, ma gi
la prima parola deve essere espressione di tutto lumano sapere. E qui
averroismo e fede cristiana possono ritrovare vie di convergenza, anche se al di fuori della verit scritturale. La parola El, che significa
in ebraico Dio: essa raccoglie in un istante tutto il sapere dellumanit che, appunto, in quella sola sillaba si manifesta e si attua.
Occorreva, inoltre, che quella tanto densa sillaba fosse pronunciata allatto stesso della creazione altrimenti ci sarebbe stato un momento nella storia dellumanit in cui non si sarebbe attuata la potenza dellintelletto possibile, e, dunque, luomo sarebbe stato infelice, e
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PARTE SECONDA
Prima dellItaliano
I dialetti italiani non sono dialetti dellitaliano, nel senso che non
sono varianti regionali dellitaliano derivate dalla lingua italiana. La
lingua italiana ha le proprie radici in una variet linguistica sorta dal
latino nellItalia del primo millennio d.C., e cio in quella della Toscana, e pi esattamente nel tipo di toscano che si parlava a Firenze.
Storicamente, quindi, la lingua italiana una sorella degli altri dialetti
dItalia. Il fiorentino, infatti, del Medio Evo era uno tra la folla dei
dialetti: questa folla linguistica il romanzo, un gruppo cio di variet linguistiche originatesi dal latino parlato ed usate in vasti territori
dellimpero romano (nellIberia Spagna e Portogallo, nella Gallia
Francia, nellItalia, nella Svizzera Grigioni e Canton Ticino,
nella Romania).
In vero non c una sostanziale differenza tra un dialetto ed una
lingua. La parola dialetto assai approssimatamente si definisce in
contrapposizione alla parola lingua: questa , per convenzione, la variante linguistica che nella storia ha acquistato prestigio culturale e
politico, e che viene utilizzata in un territorio pi o meno ma anche pi e meno coincidente con un territorio nazionale; il dialetto
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le sue radici: in questo prodigio della Commedia, che in sol atto unico
genera poesia e lingua. Le scelte linguistiche del Dante della Divina
Commedia hanno determinato, non ostanti le tante contestazioni ed
opposizioni, si sono rivelate definitive: gran parte dei vocaboli del
poema sono tuttoggi in uso; n esiste nelle letterature occidentali
altra opera delle origini che possa leggersi nelloriginale come la dantesca.
Francesco Petrarca con i Rerum vulgarium fragmenta il Canzoniere d un contributo notevole alla formazione dellitaliano:
notevole per il fatto che egli opera in direzione di un ingentilimento
della lingua. Come nessun altro Petrarca seppe scegliere, scriveva
Ugo Foscolo, le pi eleganti parole e frasi. Petrarca infatti concepisce lamore come fatto prevalentemente, se non esclusivamente,
psicologico; egli lo libera perci dalle implicazione filosofiche e teologiche che erano tipiche di Dante. Quasi di conseguenza la lingua
perde le capacit argomentative e logiche: la sintassi petrarchesca
infatti elementare, nel lessico prevalgono sostantivi ed aggettivi. La
cura di Petrarca va a una lingua considerata come mezzo di esercitazione letteraria e non gi di comunicazione e riscatto culturale come
proclamava con grande enfasi Dante. Non c nel poeta di Laura nulla che faccia pensare a una consapevolezza [] del ruolo del volgare
nel progetto di emancipazione degli uomini, ben presente invece a
Dante [].1 La lingua italiana si avvia con Petrarca a diventare lingua letteraria, elitaria, degli scrittori: Petrarca che opera il distacco
dellitaliano dalla lingua realmente parlata, cosa che provocher il
bilinguismo degli abitanti della penisola, ancor oggi capace di tormentare i giovani scolari. Aneddoti come quello della vecchina o del
fabbro che recitano i versi della Commedia sono del tutto assenti nella fortuna dei Rerum vulgarium.
Bench la sua influenza non si avverta sino al Cinquecento, lapporto che Giovanni Boccaccio con la prosa del suo Decameron d
1 V. Coletti, Storia dellitaliano letterario, Torino, Einaudi, 1993, p. 58.
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de vivi Ma quante volte aviene che la maniera della lingua delle passate
stagioni migliore che quella della presente non , tante volte si dee per
noi con lo stile delle passate stagioni scrivere, Giuliano, e non con quello
del nostro tempo meglio faremo noi altres, se con lo stile del Boccaccio e
del Petrarca ragioneremo nelle nostre carte, che non faremmo a ragionare
col nostro, perci che senza fallo alcuno molto meglio ragionarono essi che
non ragioniamo noi. N fia per questo che dire si possa, che noi ragioniamo
e scriviamo a morti pi che a vivi. A morti scrivono coloro, le scritture de
quali non sono da persona lette giamai, o se pure alcuno le legge, sono que
tali uomini di volgo, che non hanno giudicio e cos le malvagie cose leggono
come le buone, perch essi morti si possono alle scritture dirittamente chiamare, e quelle scritture altres, le quali in ogni modo muoiono con le prime
carte. [P. Bembo, Prose della volgar lingua, i, xix].
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diana della gran parte degli italiani non soltanto in senso strutturale,
bens anche dal punto di vista funzionale, in quanto era rimasto troppo aristocratico e colto rispetto alle esigenze della vita di tutti i giorni,
e dunque era insufficiente ed inadatto per gli usi quotidiani. Manzoni
proponeva, tra laltro, che fosse il fiorentino parlato contemporaneo
(nella sua variet colta), e non il fiorentino letterario arcaico, a formare la base della lingua nazionale. Il punto culminante della riflessione di Manzoni sul problema fu la relazione (1868) sullunit della
lingua italiana e sui mezzi per diffonderla, nella quale egli propose,
tra laltro, linsegnamento del fiorentino nelle scuole e la pubblicazione di un dizionario fiorentino:
appunto un fatto notabilissimo questo non cessendo stata nellItalia moderna una capitale che abbia potuto forzare in certo modo le diverse
province a adottare il suo idioma, pure il toscano, per la virt dalcuni scritti
famosi al primo apparire, per la felice esposizione di concetti pi comuni,
che regna in molti altri, e resa da alcune qualit dellidioma medesimo, che
non ci importa specificar qui, abbia potuto essere accettato e proclamato
per lingua comune dellItalia, dare generalmente il suo nome (cos avesse
potuto dar la cosa) agli scritti di tutte le parti dItalia, alle prediche, ai discorsi pubblici, e anche privati, che non fossero espressi in nessun altro de
diversi idiomi dItalia. E la ragione per cui questa denominazione sia stata
accettata cos facilmente, che esprime un fatto chiaro, uno di quelli la di
cui virt nota a chi si sia.
[] Altra obiezione, lenormit del pretendere che una citt abbia a imporre una legge a unintera nazione.
Imporre una legge? come se un vocabolario avesse a essere una specie di
codice penale con prescrizioni, divieti e sanzioni. Si tratta di somministrare
un mezzo, e non dimporre una legge. Essendo le lingue e imperfette e aumentabili di loro natura, nulla vieta, anzi tutto consiglia di prendere da dove
torni meglio o anche di formare de novi vocaboli richiesti da novi bisogni,
e che luso non somministri. Ma per aggiungere utilmente, necessario conoscer la cosa a cui si vuole aggiungere; e poter quindi discernere ci che
le manchi in effetto. Altrimenti pu accadere (e se accade!) che uno, non
trovando un termine cos detto italiano, di cui creda, e anche con ragione,
daver bisogno, non osando, anche qui con ragione, servirsi di quello che
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Quando il dizionario, palesemente fiorentino fin dalla prima parola del titolo, Novo vocabolario della lingua italiana secondo luso di
Firenze (compilato da Emilio Broglio e Ghino Ghinassi), inizi ad
apparire nel 1870, suscit una memorabile e acutissima risposta da
parte di uno studioso di storia linguistica, Graziadio Isaia Ascoli, che
manifest limpossibilit di buona riuscita dellimposizione di modelli linguistici, arcaici o moderni che fossero. Secondo lui, la base
dellitaliano doveva essere la lingua letteraria tradizionale, ma la sua
evoluzione a lingua nazionale degli italiani era possibile solo in grazia
duna stretta collaborazione intellettuale degli italiani colti e meno
colti: condizione questa che egli considerava ancora assente:
nel caso della Germania, luso veramente creato o stabilito dalla letteratura comune, e nel caso della Francia stabilito o creato dalla conversazione e dalle lettere di quel municipio, nel quale si accentra ogni movimento civile della nazione; che perci, in entrambi i casi, la unit dellidioma
intanto si estende, in quanto lo importa la virt indefettibile della comunit
del pensiero o lazione imperativa dellintelletto nazionale, la quale sincarna nellidioma medesimo, e non incontra nessuno, che voglia o possa a lei
sottrarsi; cosicch il vocabolario ivi risulta, come vuole la natura della cosa,
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nel 1889 da Giosu Carducci, che ad es. nel Congresso del 13 prese
posizione contro le insegne esotiche).
Il fascismo persegu nella scuola una vigorosissima azione antidialettale. Era stato Giuseppe Lombardo Radice a varare nelle elementari un programma dal titolo dal dialetto alla lingua, che diede luogo a largo seguito e fu accolto nella riforma Gentile. Mussolini stesso,
in una campagna del 31-32, intervenne di persona. Fatto sta che coi
programmi Ercole dellottobre 1934 il dialetto scomparve dalla scuola anche come semplice strumento di apprendimento dellitaliano.
Ad esempio: in 2 classe rimane lattenzione agli esercizi di correzione degli errori suggeriti (23) o favoriti (34) del dialetto; in
3 classe scompaiono gli esercizi con riferimento al dialetto e quelli di
traduzione da esso di proverbi, indovinelli, novelline. In 5 scompaiono il sistematico riferimento al dialetto e gli esercizi di traduzione
indicati.
Anche le indicazioni riguardo alla grammatica vengono rese pi
categoriche. Giuseppe Lombardo Radice considerava la grammatica
come un elemento da apprendere contemporaneamente al processo
di apprendimento della lingua viva e pertanto aveva progettato un
percorso in cui la pratica, appunto, linguistica si intrecciava al dialetto secondo la formula nozioni pratiche di grammatica ed esercizi
grammaticali con riferimento al dialetto. Ora, nel 34, le nozioni
pratiche vengono sostituite da esercizi di grammatica.
Il bando dalla scuola del dialetto comport lallentamento dellapporto che esso poteva dare alla lingua: ci sia in generale, sia nello
specifico scolastico. Per converso assunse grande rilievo quellelemento sclerotizzante delle lingue che la grammatica, tanto pi sclerotizzante quanto pi puristica e normativa essa si presenta. Il trionfo della
italiana trascin con s linsegnamento della grammatica di tutte le
lingue (1936) preferito alla pratica, e al centro di ogni insegnamento
linguistico venne posto, direttamente o indirettamente, il latino.
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Durante il fascismo, poi, la xenofobia linguistica da preoccupazione essenzialmente retorico-letteraria di pochi pass ad atteggiamento culturale per cos dire di massa. Furono proibiti i nomi locali
stranieri in genere nella toponomastica, nel commercio, nelle insegne
alberghiere e pubblicitarie e comunque nelle scritte pubbliche, nelle
sigle, persino nellonomastica cimiteriale, in quella dello spettacolo e
via dicendo. Si intervenne sulle lingue di quanti pur italiani usavano
lingue diverse (gli alloglotti), come il francese e il tedesco, a scuola.
Dapprima la lingua locale poteva essere studiata in ore aggiuntive, poi anche queste vennero abolite, con gravissimo danno delle
culture locali. Naturalmente vennero soppressi i giornali alloglotti e
fu resa obbligatoria la conoscenza dellitaliano negli uffici pubblici.
Contro le parole straniere (forestierismi) fu lotta senza quartiere.
Per fare qualche esempio: venne sostituito arresto a stop, assegno a
check o cheque, rimessa a garage, autorete a autogoal; resistettero slalom
(la proposta era: obbligata), parquet (tassellato), dessert (fin di pasto),
uovo alla coque (uovo scottato).1 Furono lasciati in pace parecchi invariabili uscenti in consonante, come sport, film, tennis, tram. Va anche
tenuto presente che, sia dentro sia fuori dellAccademia, la xenofobia
fascistica trov un accorto ridimensionamento nellopera moderata,
attenta alla funzionalit e compatibilit strutturale dei vocaboli, dei
migliori studiosi allora operanti, soprattutto di Bruno Migliorini.
In quegli anni cessa quel che restava del predominio fiorentino.
Roma non solo il centro politico, ma anche culturale e di fatto esercita una grande influenza sulla lingua. Quando si discusse di quale
fosse la miglior pronuncia dellitaliano, non si opt per la fiorentina,
1 E ancora alcole per acool, cesare e cesarina per zar e zarina, giovanottiera per
garonnire, mescita per bouvette, scialle da viaggio per plaid, vitaiolo per playboy,
torpedone per pullman, tramezzino per sandwich, giacchetta da sera per smoking,
pallacorda per tennis, cotiglioni per cotillons, arzente per cognac, bombolone per
croissant, sciacquone per water-closed. In compenso divennero di uso comune parole
come dinamico, ferreo, folgorante, granitico, indefettibile, inesorabile, invitto, oceanico, scultoreo, travolgente, duce.
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Di grande rilievo lintervento, maturato negli stessi anni del fascismo, di Antonio Gramsci. La sua riflessione linguistica pot essere diffusa solo dopo la fine della seconda guerra mondiale, ci non
ostante essa influenz molto gli studiosi degli anni 60. Con Gramsci
il materialismo storico entra nelle ricerche sulla lingua. Principio fondante del suo pensiero che il potere linguistico espressione del potere politico. Ecco come tratteggia la storia dellitaliano:
(73). La letteratura italiana moderna del Cremieux. La Fiera Letteraria del 15 gennaio 1928 riassume un articolo di G. Bellonci sul Giornale
dItalia abbastanza scemo e spropositante. Il Cremieux sostiene che in
Italia manca una lingua moderna, ci che giusto in un senso molto preciso: 1) che non esiste una classe colta italiana unitaria, che parli e scriva una
lingua viva unitaria; 2) che tra la classe colta e il popolo c una grande
distanza: la lingua del popolo ancora il dialetto, col sussidio di un gergo italianizzante che in gran parte il dialetto tradotto meccanicamente.
Esiste un forte influsso dei vari dialetti nella lingua scritta, perch anche la
classe colta parla la lingua in certi momenti e il dialetto nella parlata famigliare, cio in quella pi viva e pi aderente alla realt immediata. Cos la
lingua e sempre un po fossilizzata e paludata e quando vuol essere famigliare, si frange in tanti riflessi dialettali. Oltre il tono del discorso (il cursus del
periodo) che caratterizza le regioni, c anche il lessico, la morfologia e specialmente la sintassi. Il Manzoni sciacqu in Arno il suo tesoro lessicale,
meno la morfologia, e quasi nulla la sintassi, che pi connaturata allo stile
e quindi alla coltura personale artistica. []
Il Bellonci scrive: Sino al cinquecento le forme linguistiche scendono dallalto, dal seicento in poi salgono dal basso. Sproposito madornale,
per superficialit. Proprio fino al 5oo Firenze esercita legemonia culturale,
perch esercita unegemonia economica (papa Bonifacio viii diceva che i
fiorentini erano il quinto elemento della terra) e c uno sviluppo dal basso,
dal popolo alle persone colte. Dopo la decadenza di Firenze, litaliano la
lingua di una casta chiusa senza contatto con una parlata storica. Non questa forse la quistione posta dal Manzoni, di ritornare allegemonia fiorentina e ribattuta dallAscoli che, storicista, non crede alle egemonie linguistiche per decreto legge, senza la struttura economico-culturale? [Quaderno 1]
50
Leonardo Sebastio
do Gianni era piccino chiamava la radio lalla. E il babbo serio: Non si dice
lalla, si dice aradio.
Ora, se possibile, bene che Gianni impari a dire anche radio. La vostra lingua potrebbe fargli comodo. Ma intanto non potete cacciarlo dalla
scuola.
Tutti i cittadini sono eguali senza distinzione di lingua. Lha detto
la. Costituzione pensando a lui [Lettera a una professoressa, 1967].
Leonardo Sebastio
Il documento del Giscel proponeva dieci principi per uneducazione democratica della lingua:
1. Lo sviluppo delle capacit verbali va promosso in stretto rapporto reciproco con una corretta socializzazione, con lo sviluppo psicomotorio,
con la maturazione ed estrinsecazione di tutte le capacit espressive e
simboliche.
2. Lo sviluppo e lesercizio delle capacit linguistiche non vanno mai proposti e perseguiti come fini a se stessi, ma come strumenti di pi ricca
partecipazione alla vita sociale e intellettuale[].
3. La sollecitazione delle capacit linguistiche deve partire dallindividuazione del retroterra linguistico-culturale personale, familiare, ambientale dellallievo, non per fissarlo e inchiodarlo a questo retroterra, ma, al
contrario, per arricchire il patrimonio linguistico dellallievo attraverso
aggiunte e ampliamenti che, per essere efficaci, devono essere studiatamente graduali.
4. []
5. Occorre sviluppare e tenere docchio non solo le capacit produttive, ma
anche quelle ricettive, verificando il grado di comprensione di testi scritti o registrati e vagliando e stimolando la capacit di intendere un vocabolario sempre pi esteso e una sempre pi estesa variet di tipi di frase.
6. Nelle capacit sia produttive sia ricettive va sviluppato laspetto sia orale
sia scritto[].
55
Leonardo Sebastio
7. Per le capacit sia ricettive sia produttive, sia orali sia scritte, occorre
sviluppare e stimolare la capacit di passaggio dalle formulazioni pi
accentuatamente locali, colloquiali, immediate, informali, a quelle pi
generalmente usate, pi meditate, riflesse e formali.
8. Seguendo la regola precedente, si incontra la necessit di addestrare alla
conoscenza e alluso di modi istituzionalizzati duso della lingua comune (linguaggio giuridico, linguaggi letterari e poetici ecc.).
9. Nella cornice complessiva delle varie capacit linguistiche, occorre curare
e sviluppare in particolare, fin dalle prime esperienze scolari, la capacit,
inerente al linguaggio verbale, di autodefinirsi e autodichiararsi e analizzarsi. Questa cura e questo sviluppo possono cominciare a realizzarsi fin
dalle prime classi elementari arricchendo progressivamente le parti di
vocabolario pi specificamente destinate a parlare dei fatti linguistici, e
innestando cos in ci, nelle scuole postelementari, lo studio della realt
linguistica circostante, dei meccanismi della lingua e dei dialetti [].
10. In ogni caso e modo occorre sviluppare il senso della funzionalit di ogni
possibile tipo di forme linguistiche note e ignote. La vecchia pedagogia
linguistica era imitativa, prescrittiva ed esclusiva. Diceva: Devi dire
sempre e solo cos. Il resto errore. La nuova educazione linguistica
(pi ardua) dice: Puoi dire cos, e anche cos e anche questo che pare
errore o stranezza pu dirsi e si dice; e questo il risultato che ottieni nel
dire cos o cos [].
56
Leonardo Sebastio
59
impressione largamente diffusa che litaliano di oggi vada perdendo in correttezza e guadagnando in sciatteria per via della invasione di locuzioni e parole regionali, gergali, straniere (inglesi soprattutto). Limpressione corrisponde alla realt; quello che sbagliato
il giudizio che la sorregge. Diciamo subito quella che sostanza di
questevoluzione, che ha molti aspetti di positivit, per poi provare
a spiegarla: di fatto in questi ultimi decenni si va superando la dicotomia tra parlato e scritto; dicotomia che ha afflitto per troppi secoli
la lingua italiana impedendole la normale evoluzione vuoi in fatto di
lessico vuoi in fatto di morfosintassi. Insomma litaliano s va perdendo certa aulicit, ma va acquistando in duttilit, praticit. Il processo
diremmo ovvio, dal momento che prima litaliano era la lingua di
un gruppo ristretto di persone colte che lutilizzavano in un altrettanto ristretto numero di contesti. Oggi si affaccia alla comunicazione
unampia e assai diversificata pletora di persone che provengono non
tanto e non solo da tutti gli strati sociali, ma da tutti i livelli culturali,
apportando una lingua colloquiale, talora triviale, nella quale i significati sono sfumati, la correttezza morfologica accantonata, la sintassi
provvisoria. Questa lingua va acquistando autorevolezza per i ruoli
che i suoi utilizzatori ricoprono nelle istituzioni, o nei mass-media, e
si affianca allitaliano pi letterario ancora in uso tra le persone colte.
Leonardo Sebastio
62
Leonardo Sebastio
Leonardo Sebastio
in prima posizione lelemento pi importante (sorvoliamo sui contesti in cui si usano): quellesame lo devo ancora sostenere, il libro
di Camilleri lho finito appena di leggere. In queste frasi lelemento
posto in evidenza richiamato dal dimostrativo lo. In generale tuttavia si tratta di un elemento anaforico: alla prima il professore le
ha consigliato di ritirarsi dallesame. Simile a questi casi quello
del cos detto n om inativo a sso luto : di fatto si tratta di un mero
anacoluto in cui al nominativo iniziale, segue un cambio di soggetto
del tipo: Il professore, stamattina alle 8 siamo stati nel suo studio,
Maria, non lho neppure salutata; come si vede il nominativo assoluto poi richiamato nella vera e propria reggente.
Simile la f ra se scissa in cui lelemento che si ritiene pi importante da comunicare occupa la prima posizione nella frase preceduto dal verbo essere, ed seguito da una relativa: Maria che
stata chiamata a sostenere lesame, il pranzo, che veramente
squisito. A marcare i concetti serve anche il c pres entativo :
C una cosa che ti voglio dire, C una regola che bene ricordare.
Questo linguaggio marcato si ritrova anche nello scritto, e non
solo nel discorso diretto o indiretto della scrittura narrativa. In genere la ripetizione dellelemento marcato nel pronome dimostrativo
disturba il grammatico purista (il panino lho mangiato subito):
tuttavia la marcatura pu nello scritto rappresentare un carattere stilistico, salvo che non sia una prassi monotona. Ancora una volta si
deve fare riferimento allequilibrio di gusto del docente, alla sua capacit di accogliere le novit della lingua senza dimenticare il passato
che tuttora appare pi elegante in grazia di un secolare studio e uso
letterario.
Decisamente errato e assolutamente non ammissibile luso anaforico della particella pronominale ne preceduto da dimostrativo
come in di questo problema te ne parler domani, di questi errori ce ne sono pochi, o semplicemente di questi ne esistono mol66
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Leonardo Sebastio
70
I PRESTITI
Uno dei fenomeni pi vistosi nelle lingue che si raggruppano sotto il nome di romanze (italiano, francese, spagnolo, rumeno, ecc.)
che queste parlate, e soprattutto litaliano, raccolgono il loro bagaglio lessicale non tanto dal fondo della romanit popolare quanto dal
recupero della classicit operato in varie tappe prima nel Medioevo
carolingio, poi nel Trecento toscano ed infine nellUmanesimo e nel
Rinascimento. Il patrimonio lessicale delle lingue moderne romanze
non deriva se non in minima parte dallantica e provinciale latinit
bench questa stia alla base della loro struttura fondamentale:
invece larghissimamente attinto dalla costante e generalizzata lettura
ed imitazione delle opere classiche. Non c scrittore nato nella penisola, sino alle soglie del xx secolo, che non abbia dato il suo apporto
lessicale attingendolo alla classicit latina.
LItalia, dunque, eredita da Roma la struttura sintattica della frase, e quella che di gran lunga la maggior parte della sua ricchezza
lessicale. Ma la lingua di un territorio il riflesso della sua storia, specialmente per una nazione come la nostra, posta al centro del Mediterraneo, mta ambita prima dei popoli del nord, poi di quelli pi
vicini. Era inevitabile che nellitaliano si depositassero termini dei
vari popoli dominatori: anche di quelli che venivano detti barbari. E,
naturalmente, non solo parole: questi popoli apportarono mutamen-
Leonardo Sebastio
< hari-berg
< hrings
<
< (ga-)rdan
< haifsts
< binda
<
briglia
elmo
fiasco
guardare
guardia
nastro
sghembo
smaltire
stanga
stecca
< bridgil;
< hilms;
< flask
recipiente rivestito di vimini;
< wardn
stare in guardia;
<
< nastilo
cinghia di cuoio;
< slimbs
obliquo;
< smaltjan fondere;
< stange(?)
lungo legno squadrato;
< stika
bastone, pezzo di legno.
72
< blank
< brna-
< predel
< wahtari
< spald/spalt
< staffa
< stainberga
< ?
gramo
< gram
ricco
< rhhi
sgherro
< skarrjo
manigoldo < mundivald
(mani)scalco < skalk servo.
< hanca
gamba, femore;
< zupfa
ciocca di capelli;
< grimmisn corrugare la fronte;
< wankja/wangja;
<
< milzi;
< knohha
giuntura;
73
Leonardo Sebastio
schiena
stinco
zazzera
< skena/skina;
< skinko
tibia, femore;
< zazera/zazza ciocca di capelli.
< al-wazr
luogotenente;
< alkmya
pietra filosofale;
< al-abr
riduzione;
< manh calendario;
< amal al-ama attuazione di ununione;
< anbar;
< nran;
75
Leonardo Sebastio
arsenale
< dr as-sin
assassino <
haya
azimut
< samt
bagarino
< baqqln
baldacchino < bagdd
bazar
< bzr
bricco
< ibrq;
catrame
< qaran
cifra <
sifr
dogana
< dwn
elisir
< iksr
fondaco
< funduq
libeccio
< lebeg;
magazzino < mazin
deposito;
marzapane < martabn vaso di porcellana;
materasso
< matrah
luogo dove si getta qualcosa;
melanzana < bdingin;
moschea
< masgid
luogo dove ci si deve prostrare;
racchetta
< rht;
ragazzo
< raqqs
corriere portalettere;
ricamare
< raqama
tessere una stoffa;
scirocco
< uluq
vento del mezzogiorno;
sciroppo
< arab
bevanda;
sultano
< sultn
padrone assoluto;
talco <
talq
amianto e minerali simili;
tamburo <
tambur
strumento a corda;
tariffa
< tarifa
notificazione;
tazza <
tsa;
zenit
< samt ar-rus direzione della testa;
zerbino
< zirbiy
tappeto;
zero <
sifr
vuoto;
zucchero
< sukkar.
76
Negli stessi anni in cui Pietro Bembo lavorava lItalia veniva invasa dallo straniero. Seguire le vicende politiche e linguistiche di questo
periodo estremamente arduo, n questa la sede per tracciarne un
profilo sia pure rapido. Si proceder perci a grandi linee, seguendo
gli apporti che francesi e spagnoli ebbero a fornire indipendentemente dalle alterne e varie fasi delle loro dominazioni nelle regioni italiane.
Cominceremo dal francese che esercit sullitaliano una grande
influenza pi tardi, durante il 700, in grazie del prestigio di cui god
la sua cultura. Nel Cinquecento entrano pochi vocaboli dalla Francia:
appannaggio
batteria
birra
busta
cadetto
equipaggio
gabinetto
galleria
marciare
massacro
petardo
trincea
< apanage
< batterie
< bire
< boiste
< cadet
< quipage
< cabinet
< galerie;
< marchier
< massacre;
< ptard
< trancche
Leonardo Sebastio
< bacalao;
< bahl zaino;
< briu;
< chocolate;
< flojo;
< lazzaro
pezzente, lebbroso;
< dal nome del comandante delle truppe spagnole Jean de la
Marsine;
78
mantiglia
nostromo
< mantilla
< nuestramo
pastiglia
pistagna
posata
< pastilla
< pestaa
< posada
piccola coperta;
nel linguaggio degli schiavi: nostro padrone
[amo];
piccola pasta;
orlo;
astuccio di legno contenente gli strumenti
per mangiare;
< agir;
< hasard
< bandoulire;
< barrire;
< bivac;
< canap;
< quincaille
< cocard
< contre-coup;
< dtail
[onomatopeico];
a sua volta da coq = gallo;
a sua volta da dtailler = tagliare a piccoli
pezzi, poi vendere a piccoli pezzi;
nastri donore;
a sua volta da jeter = calcolare;
insediare un canonico nel suo stallo;
confezione di biancheria fine;
capigliatura posticcia;
gruppo di soldati;
esporre;
linea di soldati;
notevole;
facile a risentirsi.
Leonardo Sebastio
facilit [da B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Firenze, Sansoni, 19634]: analisi, aneddoto, belligerante, biografo, cariato, coalizione, concorrenza, contingente, cosmopolita, deferenza, duttile, emozione,
epoca, esportare, importare, industria [nel significato di utilizzatore di
materie prime], irritabile, patriota, progresso, refrattario, tecnico.
Numerosi i termini pi strettamente francesi che vengono italianizzati, mantenendo pi o meno il significato originario. Su suggerimento di Giacomo Devoto [Il linguaggio dItalia, Milano, Rizzoli,
1974] divideremo i termini per campi.
Nel campo dellabbigliamento:
abbigliare
blusa
calosce
disabigli
domino
fermaglio
flanella
frisatura
ghette
gil
nglig
pantaloni
scialle
< beignet
gonfio alla testa per un colpo, cos per la forma del dolce;
cotoletta
< ctolette costoletta;
crpe
< crpe
crespo;
derrata
< denre;
fricand <
fricandeau carne lardellata e cotta con verdure;
80
fricassea
< fricasser
cuocere in salsa;
rag
< ragot
risveglio del gusto;
sciampagna < Champagne [si preferisce il termine originale].
< bidet
< cabaret
< canap
cuscino
toilette
< coissin
< toile
trum
< trumeau
cavallino;
taverna;
[sia nellaccezione di divano, sia di fetta di
pane imburrata];
[a sua volta dal latino cxa = coscia];
tela [che ricopriva il tavolino da acconciatura, poi mobile con specchio].
mobile [variamente interpretato nei dialetti
regionali].
< aborder
allarme
analizzare
approcciare
approccio
batteria
< larme
< analyser;
< approche; avvicinare;
<
< batterie
insieme di strumenti [anche batteria da cucina];
< bijouterie gioielleria;
< bigot
a sua volta derivato dallalto tedesco b Got
= per Dio;
< dbouch
distolto dal dovere;
< brochure
legato con una spilla;
< cavalier
[provenzale];
< dame
signora [dal latino domina]
< dbouch
distolto dal dovere;
< dtailler
tagliare a pezzi;
< quipage
a sua volta da quiper = imbarcare;
< vasif;
< forrage
rifornimento di paglia;
bigiotteria
bigotto
bisboccia
brossura
cavaliere
dama
debosciato
dettagliare
equipaggio
evasivo
foraggio
81
Leonardo Sebastio
imparzialit
irritabile
marciare
municipalit
passaggio
risorsa
rondella
rond
sciarada
scudiero
stendardo
viaggio
< impartialit;
< irritable;
< marchier
< municipalit;
< passage;
< resource
< rondelle
< rondeau
< charade
< escudier;
< estandart
< veiage.
ciak
clan
clown
cocktail
columnist
core business
deejay
deficit
docu-fiction
dossier
family day
fast-food
fiction
first lady
flop
force
-free (sugar-free, ogmfree, ecc)
gag
gay
83
gay pride
golden share
gossip
grandtourist
happening
holding
horror
hotel
investment bank
joint venture
junior
leasing
low cost
manager
marketing
mass media
master
merchant bank
multi utility
musical
Leonardo Sebastio
new business
new economy
news
no comment
off
ok
opa cash
open road
open space
part time
partner
party
pay tv
peer to peer
performance
pool
prime time
privacy
quiz
racket
raider
rating
real tv
reality
record
relax
reporter
restyling
scoop
sequel
set
shock
shore
short story
show
shuttle.
sit-in
sketch
snob
soft
spending review
sponsor
staff
stop
strip-tease
supervisory board
take over
task
test
ticket
top manager
transgender
trend
utility
week-end
wildlife strikes
85
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PARTE TERZA
Dante Alighieri
Convivio I, III, 3-11 (1304)
Ahi, piaciuto fosse al dispensatore de luniverso che la cagione de la1 mia
scusa mai non fosse stata! che n altri contra me avria2 fallato,3 n io sofferto
avria pena ingiustamente, pena, dico, dessilio e di povertate.4 Poi che fu pia1 Prevalgono le forme de lo, de la, ne lo, ne la, ecc. ma nel.
2 Sicilianismo
3 Dal lat. fallere, forse mediato dal provenzale.
4 Sono forme latineggianti: spesso Dante traduce la x (exilium) latina con ss (essilio). Povertate conserva la forma latina dellaccusativo paupertatem. Nel sec. xiii
sussistono le due forme povertate (povertade) - povert (ma cfr. anche veritade, caritade). Cos come sopravvivenza latina la conservazione della nasale di cum- nei
composti: conspetto, conscienza. Non si tratta di veri e propri latinismi essendo attestati largamente prima di Dante; ma il poeta sceglie la variante pi aulica. In fondo
qui egli sta sperimentando per la prima volta il volgare italiano in un contesto impegnativo per i contenuti, ben diverso dal volgare che aveva utilizzato nelle poesie e
nella prosa amorosa della Vita nuova. Nel Convivio vuole dimostrare che il volgare
in grado quanto il latino di esprimere ogni contenuto della mente. Dante, per,
vuole anche dimostrare che elegante tanto quanto (e come) il latino. Cos dopo il
primo periodo (che contiene una esclamativa, la costruzione chiasmica avria fallato, offerto avria, e lanafora che introduce laggiunta chiarificatrice pena
pena, dico) segue una costruzione sintattica assai complessa, ricca di incisi, ma
nella quale la successione degli argomenti va dalla causa alleffetto, partendo dal
tema dellesilio del periodo precedente, che viene cos enfatizzato e quindi indicato
a movente primo del discorso e dellopera. Leffetto landare peregrino, quasi
mendicando, che comporta il rischio della attribuzione al malcapitato della colpa. Allinterno di questo periodo cos complesso si vedano le perifrasi e le metafore
figlia di Roma, dolce seno, colmo de la vita, terminare lo tempo che
m dato, le parti. a le quali questa lingua si stende, la piaga de la fortuna.
A chiudere il periodo un ingiustamente che si ripete pressoch nella medesima
posizione del primo periodo. Dal punto di vista della strategia retorica (meglio: dei
valori prelocutivi)assai interessante notare come il poeta non attacchi i fiorentini
se non nei termini derrore: hanno preso un abbaglio nei suoi confronti. E ancora:
Firenze bellissima e famosissima, erede della grande tradizione culturale e politica di Roma. che Dante spera di tornare: un attacco frontale avrebbe irritato i
suoi concittadini che si sarebbero irrigiditi sulla posizione di rifiuto del poeta.
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Dino Compagni
Cronica della cose occorrenti ai tempi suoi, i, 21 (1310-12)
Uno1 giovane gentile, figliuolo di messer Cavalcante Cavalcanti, nobile
cavaliere, chiamato Guido, cortese e ardito ma sdegnoso e solitario e intento allo studio, nimico2 di messer Corso, avea pi volte diliberato offenderlo3. Messer Corso forte4 lo temea,5 perch lo conoscea di grande animo;
e cerc dassassinarlo, andando6 Guido in pellegrinaggio a San Iacopo; e
sempre pi differenziate e sottili, ma anche nella possibilit di evocare sia immagini
nove sia nuovi affetti e toni. G. Devoto, Il linguaggio dItalia, 167.
1 Compagni adopera indifferentemente le forme uno, un. Ma davanti a s impura
sempre uno.
2 Compagni preferisce la forma latineggiante che conserva la protonica de normalmente dar e.
3 la costruzione latina di deliberare e inf. senza la preposizione di.
4 Nellitaliano antico consueto luso dellaggettivo forte con valore di avverbio.
tuttora in uso, bench da qualche parte se ne sconsiglia luso.
5 Le forme dellimperfetto indicativo italiano derivano da quelle latine amabam
> amava, legebam > leggeva, punibam > puniva. Mentre la v (< b) degli imperfetti
in -ava e -avano salda, quella degli imperfetti in -eva e - iva poteva cadere per
dare orifine a forme come leggea, leggeano, pinia, puniano, temea, conoscea. Pi tarde
sono le forme in -avo, evo, ivo, per la prima persona singolare. Cfr. qui conoscea,
moveano, temeano, diceano, aveano, diceae diceva, ma sempre chiamava, spregiava, chiamava, rapportava
6 Esistono due tipi fondamentali di gerundi: il gerundio di predicato (Maria ha
imparato le frazioni, studiandole, grazie allo studio, per mezzo dello studio), il
gerundio di frase (Spiegando il professore puntualmente, Maria ha imparato le
frazioni, poich il professore spiegava puntualmente, Maria ecc.). Nelle frasi causali, ipotetiche e concessive (sono le funzioni del gerundio) con soggetto diverso
da quello della principale oggi preferiamo la forma esplicita. Nel gerundio di frase,
non necessario che il soggetto sia espresso: in questo caso solitamente il soggetto
della frase gerundiva lo stesso della principale. Con il soggetto espresso come nel
caso che stiamo esaminando, possiamo avere coincidenza o non dei soggetti. Nel
nostro caso i soggetti sono diversi. La costruzione della frase gerundiva con soggetto espresso diverso da quello della principale assai frequente nella prosa antica.
indice di uno stile alto. Si noti la frequenza delluso del gerundio un questa pur
breve pagina di Dino Compagni: Essendo a cavallo, credendosi, trascorrendo, non lo giugnendo, chiamandolo.
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non li venne fatto. Per che, tornato1 a Firenze e sentendolo, inanim2 molti
giovani contro a3 lui, i quali li promisono4 esser in suo aiuto. E essendo un
d a cavallo con alcuni da casa i Cerchi, con uno dardo in mano, spron il
cavallo contro a messer Corso, credendosi esser seguto da Cerchi, per farli
trascorrere5 nella briga: e trascorrendo il cavallo, lanci il dardo, il quale
and in vano. Era quivi, con messer Corso, Simone suo figliuolo, forte e
ardito giovane, e Cecchino de Bardi, e molti altri, con le spade; e corsogli
dietro: ma non lo giugnendo,6 li gittarono de sassi; e dalle finestre gliene
furono gittati, per modo fu ferito nella mano.
Cominci per questo lodio a multiplicare.7 E messer Corso molto sparlava di messer Vieri, chiamandolo lasino di Porta, perch era uomo bellissimo, ma di poca malizia, n di bel parlare; e per spesso dicea: Ha raghiato
oggi lasino di Porta?; e molto lo spregiava. E chiamava Guido, Cavicchia.
E cos rapportavano i giullari, e spezialmente8 uno si chiamava Scampolino,
che rapportava molto peggio9 non si diceva, perch i Cerchi si movessero a
1 Bench il soggetto della frase precedente sia Corso al quale (li) non venne
fatto duccidere Guido il participio passato si riferisce a Guido: , infatti, Guido
che partito in pellegrinaggio, non Corso che quindi non pu tornare.
2 Pass. remoto di inanimare derivato da in illativo (che porta dentro: inorgoglire
= entrare nellorgoglio) anima, col significato di dare coraggio; il verbo fu utilizzato sino al 700 anche se si trova qualche attestazione nell 800.
3 La preposizione contro si pu costruire seguita o no da altra preposizione di, a.
Preferibilmente senza (contro un albero), a meno che non di tratti di un pronome (contro di me).
4 Per la terze persona plurale del passato remoto nel Trecento (ma ancora nel
Quattro e Cinquecento) ancora assai notevole loscillazione fra le forme del tipo
scrissono (come nel nostro caso), scrissoro, scrissero, andaro, andarono, andorno, andonno. Vedi qui oltre a promisono, gittarono, infamarono
5 Passare, quindi coinvolgere; costruzione frequente nella lingua Duo-Tecentesca.
6 La collocazione a sinistra del pronome rispetto al gerundio, assai frequente nel
Trecento, oggi al tutto scomparso.
7 Ha valore riflessivo.
8 Ancora oscillante ladattatamento al volgare dello j latino: cos abbiamo tanto
speciale quanto speziale, socio e sozio.
9 Frequentissima sar nel Quattrocento lelisione del che.
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Leonardo Sebastio
Giovanni Boccaccio
Decameron ii, 5 (1348)
E2 in questi trattati stando,3 avendo esso la sua borsa mostrata, avvenne
che una giovane ciciliana bellissima, ma disposta per piccol pregio a compiacere a qualunque uomo, senza vederla egli, pass appresso di lui e la sua
borsa vide e subito seco disse: Chi starebbe meglio di me se quegli4 denari
fosser miei? e pass oltre.
1 Adattamento del provenzalismo amistat a sua volta derivato dal lat. amicitate(m):
in volgare avremo amistate, amistanza, amist.
2 Periodo complesso: comincia con due frasi gerundive, entrambe con valore
temporale, ma con sfumature diverse (perci non sono coordinate): la prima propone una situazione continuativa ed attuale (Andreuccio continuava le trattative
per lacquisto dei cavalli); la seconda propone unazione gi conclusa da collocarsi
allinizio delle trattative. Dopo le due frasi gerundive savvia la principale che
subito interrotta da un inciso dl qual varr notare la congiunzione avversativa che
si oppone allaggettivo bellissima quasi che la bellezza esteriore dovesse essere garanzia di quella interiore. Interessante la contrapposizione tra il superlativo
bellissima ed il superlativo negativo piccol pregio (prezzo, dal tardolatino
pretire, a sua volta derivato da pretium. Il gruppo latino tj che si leggeva come
tsi in Toscana d sia zz palatium > palazzo, sia gi rationem > ragione ; avremo
pertanto le due forme prezzo e pregio). Segue una proposizione esclusiva implicita
col soggetto posposto al verbo. Finalmente si conclude la principale col complemento di luogo dopo il verbo secondo una costruzione complessa ma naturale;
a differenza delle due seguenti subordinate che invertono lordine naturale, non
solo, ma sono altres brevissime, come brevissima la conclusione dopo il discorso
diretto. Si quindi un periodo dallavvio lento, per poi concludersi con una serie
velocissima di azioni, di pensieri, di decisioni.
3 Boccaccio usa con grande frequenza liperbato (linversione di elementi della
frase rispetto allordine naturale).
4 Il plurale dellarticolo maschile lo solitamente li, ma pi raramente, anche
davanti a consonante come nel nostro caso, gli.
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Era con questa giovane una vecchia similmente ciciliana,1 la quale, come
vide Andreuccio, lasciata oltre la giovane andare, affettuosamente corse a
abbracciarlo: il che la giovane veggendo,2 senza dire alcuna cosa, da una delle parti la cominci a attendere.3 Andreuccio, alla vecchia rivoltosi e conosciutala, le fece gran festa, e promettendogli essa di venire a lui allalbergo,
senza quivi tenere troppo lungo sermone, si part:4 e Andreuccio si torn5 a
mercatare ma niente comper la mattina.
La giovane, che prima la borsa dAndreuccio e poi la contezza della sua
vecchia con lui aveva veduta, per tentare se modo alcuno trovar potesse a
dovere aver quelli denari, o tutti o parte, cautamente incominci a domandare chi colui fosse o donde e che quivi facesse e come il conoscesse.6 La
quale ogni cosa cos particularmente de fatti dAndreuccio le disse come
avrebbe per poco detto egli stesso, s come colei che7 lungamente in Cicilia
1 B. Migliorini, Storia della lingua italiana, Sansoni, Firenze, 1963, p. 237:
talora i non Toscani hanno fatto traboccare la bilancia a favore del latinismo e a
spese della forma pi idiotica. Si veda p. es. con quale sicurezza e stabilit i Toscani
nel Trecento adoperano, in Prosa (Boccaccio) e in poesia (Dante, Petrarca) Cicilia,
ciciliano (per la variet di volgari degli abitanti oggi da loro chiamata Sicilia, e da
noi Italiani Cicilia: Villani, Cron., i, 8): poi Sicilia, appoggiandosi al latino finir
col prevalere definitivamente.
2 Si noti la quantit dei gerundi in questo breve lacerto: stando, avendo,
veggendo, promettendogli, dicendole.
3 Cominci ad aspettarla da qualche parte, in disparte.
4 Boccaccio tende a porre il verbo significativo della frase di modo finito, alla fine,
mentre i preliminari vengono affidati a participi passati e gerundi.
5 Letimo di questo verbo si rif a tornare = lavorare al tornio ed ha valore di
volgersi, dirigersi al luogo da dove si partiti. Frequentissimo luso della forma
riflessiva nel senso di dirigersi indietro nellopera del Villani. Boccaccio nello stesso
senso adopera equamente la forma riflessiva (generalmente al pass. rem.; a es.: si
torn a dormire col suo prete ix, 2) quanto quella non riflessiva (soprattutto se
allinfinito preceduto da un servile; ad es.: verso il cavaliere cominci a tornare,
iii, 5).
6 Si noti come anche questa frase cominci per cos dire lentamente: prima il soggetto subito seguito da una serie si subordinate o incisive, infine il verbo incominci a domandare seguito da quattro rapide interrogative coordinate tra loro.
7 La formula s come colui/lei che spesso utilizzata da Boccaccio, ma frequente nel Due-Trecento anche quando si riferisce ad una persona precisa e deter-
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Leonardo Sebastio
col padre di lui e poi a Perugia dimorata era, e similmente le cont dove
tornasse1 e perch venuto fosse.
La giovane, pienamente informata e del parentado di lui e de nomi, al
suo appetito fornire2 con una sottil malizia, sopra questo fond la sua intenzione, e a casa tornatasi, mise la vecchia in faccenda per tutto il giorno acci
che a Andreuccio non potesse tornare; e presa una sua fanticella, la quale
essa assai bene a cos fatti servigi aveva ammaestrata, in sul vespro la mand
allalbergo dove Andreuccio tornava. La qual, quivi venuta, per ventura lui
medesimo e solo trov in su la porta e di lui stesso il domand. Alla quale
dicendole egli che era desso, essa, tiratolo da parte, disse: Messere, una
gentil donna di questa terra, quando vi piacesse, vi parleria volentieri.
Francesco Petrarca
Canzoniere 16 (1366-94)
minata, accentuando cos la funzione dichiarativa potendosi assimilare ad un infatti: cfr. sempre nel Decameron, i, 1: Bestemmiatore di Dio e de Santi era grandissimo, e per ogni piccola cosa, s come colui che pi che alcuno altro era iracundo;
e ancora nella novella di ser Ciappelletto: e ultimamente cominci a sospirare e
appresso a piagner forte, come colui che il sapeva troppo ben fare quando volea.
1 Dove tornasse dopo il mercato: quindi in albergo.
2 Al fornire. una finale: Fornire ha senso si completare, finire, quindi soddisfare il suo desiderio.
3 La grafia del Petrarca fortemente latineggiante. Della lingua di Petrarca scrive
G. Contini: se non monoglottia letterale, certa lunit di tono e di lessico, in
particolare, bench non esclusivamente, nel volgare. Questa unificazione si compie
lungi dagli estremi, ma lontano anche dalla base, sopra la base, naturale, strumentale, meramente funzionale e comunicativa e pratica. Tuttavia codesto lume trascendentale del linguaggio un ideale assolutamente spontaneo, non compatibile con
razionale opera di riflessione. Nessun lacerto teoretico sulla lingua si pu avellere
da Petrarca. Se in una Familiare a Francesco Nelli (xvi 14) si ricanta la solita canzone della convenzionalit e mutevolezza del linguaggio, quello che ivi domina
per lagostiniano (e del resto prettamente oratorio) lamento sulla maggior cura
prestata allo stile che alla permanente legge morale. Sintomatici parranno semmai i
rigurgiti dimpazienza nei riguardi di Dante. Posto che per sua biologica salute, per
il funzionamento della propria organizzazione stilistica, egli doveva imporsene (o
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gravi, non troppo familiari, ma umani. E ricordisi ciascuno padre e maggiore1 che lo imperio retto per forza sempre fu manco stabile che quella
signoria quale sia mantenuta per amore. Niuna paura pu troppo2 durare:3
lamore dura molto assai.4 La paura in tempo scema: lamore di d in d
sempre cresce. Chi adunque sar s pazzo che stimi in ogni cosa necessario
monstrarsi5 severo e aspro? La severit senza umanit acquista pi odio che
autorit. Lumanit quanto sar pi facile e pi segiunta6 da ogni durezza,
tanto pi meriter benivolenza e grazia. N chiamo diligenza, quale par costume pi di tiranni che de padri, monstrarsi nelle cose troppo curioso. E
fanno queste austeritati7 e durezze pi volte diventare gli animi contro e
maggiori molto pi sdegnosi e maligni che ubbidienti. E hanno e gentili8
ingegni in s per male ove siano non come figliuoli ma come servi trattati.
E passino alcuna volta e9 maggiori non volendo conoscere ogni cosa, pi
tosto che non correggendo quello qual monstrano di conoscere. E nuoce
manco al figliuolo in qualche cosa stimar il padre ignorante, che provarlo
negligente. Chi savezza a ingannare il padre, meno stima romper fede a
non tace. E sento io questo: chi fusse pi di me dotto, o tale quale molti vogliono
essere riputati, costui in questa oggi commune troverrebbe non meno ornamenti
che in quella, quale essi tanto prepongono e tanto in altri desiderano. N posso io
patire che a molti dispiaccia quello che pur usano, e pur lodino quello che n intendono, n in s curano dintendere. Troppo biasimo chi richiede in altri quello che
in s stessi recusa. E sia quanto dicono quella antica apresso di tutte le genti piena
dautorit, solo perch in essa molti dotti scrissero, simile certo sar la nostra se
dotti la vorranno molto con suo studio e vigilie essere elimata e polita.
1 Persona anziana, ma anche figlio primogenito.
2 Troppo un avverbio di origine francone, entrata ben presto nel volgare italiano; il senso originario molto, poi con Boccaccio subentra il senso di eccessivo. Il
senso originario stato recentemente recuperato nel gergo giovanile.
3 Anche nelluso dellAlberti liperbato assai frequente
4 Nellitaliano antico e in quello del Quattrocento i superlativi sono spesso accompagnati da intensivi.
5 La grafia latineggiante quella preferita nellAlberti e nel Quattrocento.
6 Disgiunta. Latinismo da siungo, dove il prefisso se(d) indica allontanamento.
7 Latinismo; ma cfr. severit, umanit.
8 Ha valore di nobile.
9 E e el sono gli articoli consueti del Toscano: diventeranno i e il.
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Niccol Machiavelli
Mandragola (1519)
Ligurio4 Io non credo che sia nel mondo el pi sciocco uomo di costui;
e quanto la fortuna lo ha favorito! Lui ricco, lei bella donna, savia,
costumata, ed atta a governare un regno.5 E parmi che rare volte si
verifichi quel proverbio ne matrimoni, che: Dio fa gli uomini, e6
si appaiono; perch spesso si vede uno7 uomo ben qualificato sortire
una bestia e, per avverso, una prudente donna avere un pazzo. Ma
della pazzia di costui se ne8 cava questo bene, che Callimaco ha che
sperare. Ma eccolo. Che vai tu9 appostando,10 Callimaco?
Callimaco Io ti aveva veduto col dottore, ed aspettavo che tu ti spiccassi
1 Il suffisso -mento tra pi antichi strumenti, derivato dai provenzali, per la formazione delle parole in italiano
2 Costruzione a senso: il verbo cresce concordato con uno dei due soggetti, costumi e tema. Qui lAlberti lo concorda con il secondo dei due soggetti.
3 Pigrizia, dal lati. dese, -idis = ozioso.
4 Ligurio si esprime in una lingua colloquiale, non popolare, ma semplice assai
vicina la parlato; mentre Callimaco pi artificiato nel linguaggio.
5 Lellissi del verbo la marca evidente della volont di Machiavelli di riprodurre
il parlato.
6 Vale il pronome pers. di terza pl.
7 Nelloscillazione tra un uomo e uno uomo, prevale in Machiavelli questa seconda
forma.
8 La ridondanza del ne (della pazzia se ne) ammissibile nella lingua parlata
popolare. Meno tollerabile nella scrittura e nei discorsi formali.
9 La posposizione del pronome personale al verbo caratteristica della scrittura
teatrale di Machiavelli.
10 Da appostare = fare la guardia.
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faccia a mio modo, e questo che tu dica di avere studiato1 in medicina, e che abbi fatto a Parigi qualche sperienzia: lui per crederlo2
facilmente per la semplicit sua, e per essere tu litterato e poterli dire
qualche cosa in grammatica.
Callimaco A che ci ha a3 servire cotesto?
Ligurio Serviracci a mandarlo a qual bagno noi vorreno, ed a pigliare
qualche altro partito che io ho pensato, che sar pi corto, pi certo,
pi riuscibile che l bagno.
Callimaco Che di tu?
Ligurio Dico che, se tu arai4 animo5 e se tu confiderai in me, io ti do questa
cosa fatta, innanzi che sia domani questa otta.6 E, quando e fussi7
uomo che non , da ricercare se tu se o non se medico, la brevit
del tempo, la cosa in s, far o che non ne ragioner o che non sar a
tempo a guastarci el disegno, quando bene e ne ragionassi.
Callimaco Tu mi risusciti. Questa troppa8 gran promessa, e pascimi di
troppa gran speranza. Come farai?
Ligurio Tu el saprai, quando e fia9 tempo; per ora non occorre che io te
1 Studiare usato con valore intransitivo; assai frequente nellitaliano antico,
oggi va scomparendo soppiantato dal uso transitivo; tuttavia sopravvive nella locuzione studiare di.
2 una proposizione di adeguatezza implicita (una sorta di consecutiva del tipo
tale da crederlo; ali piccole per volare).
3 Il verbo avere + da (pi raramente a) esprime unazione futura. Residuo della
formazione del futuro volgare dallinfinito+ habeo.
4 Il futuro ar, arai, ar (avr, ecc.) appartiene allarea pi larga della Toscana: il
fiorentino preferisce avr, ecc.
5 Ha significato di coraggio.
6 Largamente usato da Fra Giordano da Pisa nel Duecento e fa Gian Francesco
Grazzini nel Cinquecento il termine attestato nella letteratura sino alla fine del
xvi secolo. Vale ora.
7 , nel Quattrocento, la forma prevalente della 3 pers. sing. cong. imperf. del
verbo essere.
8 avvertito come aggettivo ma usato con valore di avverbio qui e subito dopo.
Oggi avverbio quando precede un aggettivo: troppo grande.
9 G. Rohlfs lo dice relitto dellantico futuro latino; sopravvive sino ai nostri giorni.
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Ludovico Ariosto
Orlando Furioso l.i (1532)
8
Nata pochi d inanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che entrambi avean4 per la bellezza rara
damoroso disio5 lanimo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
che gli rendea laiuto lor men saldo,
questa donzella, che la causa nera,
tolse,6 e di in mano al duca di Bavera;
9
in premio promettendola a quel dessi,
chin quel conflitto, in quella gran giornata,
deglinfideli7 pi copia uccidessi,
1 Nota qui e in altri passi la soppressione di preposizioni, congiunzioni, aggettivi
in frasi coordinate.
2 Adattandoti.
3 Congiuntivo presente da vado, is, cfr. In Dante debbia, caggia, aggia, ecc.
4 Forma usuale in vero dellimperfetto indicativo di avere; solo assai di recente in
via di scomparsa.
5 Disio e desio hanno goduto di grande fortuna nella lirica sino al Novecento.
6 Prendere, levare di mezzo.
7 forma pi latineggiante: Ariosto ladopera una sola volta, qui. Nel corso del
poema usa la forma infedele.
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Leonardo Sebastio
Paolo Sarpi
Istoria del Concilio tridentino vi, x (1619)
Il decreto del sacrificio10 non ritrovo nelle memorie11 che porgesse materia
1 Nota le due forme del congiuntivo imperfetto uccidessi e prestasse.
2 Forma arcaica del pass. rem.; altre forme: fuoro, furon, fur.
3 Nel significato di eventi posteriori, successivi.
4 Dove era tenuta prigioniera Angelica, che comunque era gi fuggita.
5 La forma non raddoppiata si alterna con innanzi paritariamente sino a tutto il
Seicento.
6 Prima della sconfitta dei Cristiani.
7 Quando si present loccasione.
8 Variante, in verit non molto amata da Ariosto, di ribelle.
9 Forma gi attestata nelle lirica stilnovista e sopravvissuta sino allOttocento
inoltrato.
10 Sacrificio vale messa. Si tratta di un decreto del concilio che riguardava anche la
lingua in cui si dovesse officiare.
11 Ha valore di rendiconti, note e cos via, insomma documenti che tenessero memoria di fatti e discorsi. Il termine ancor oggi in uso nel linguaggio giuridico.
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alla fede e sana dottrina il dire la messa e le altre ore1 in lingua slava, perch
chi ha fatto la lingua ebrea, greca e latina, ha fatto anco le altre a sua gloria,
allegando per questo diversi passi della Scrittura et in particolar lammonizione di san Paolo a Corinzii.
111
Leonardo Sebastio
Parini Giuseppe
Orazione inaugurale (1769)
convien confessare che ne la pittura, ne la scultura, ne le altre arti, che
vanno al nostro cuore per la via dellocchio, non possono gran fatto servire
alla perfezione delleloquenza e della poesia, alle quali si riferiscono tutte
1 Il grande affetto che porto alla Signoria Vostra e lobbligo contratto di dare
eternamente riscontro dei favori che sempre mi avete fatto, mi costringono a darne
testimonianza pubblica con il presente libro, che Vi dedico con tutto il desiderio
che ho di servirvi. Compiacetevi, dunque, di ricerverlo di buon animo; e non vi
dispiaccia che io venga ora ad offrire un libro in lingua napoletana ad una persona
che, come la Signoria Vostra, ha fatto lunghi studi sulle lettere toscane: perch, se
vogliamo ben considerare, la nostra lingua non ha nulla da invidiare alla fiorentina,
n il fiume Arno ha nulla da insegnare al nostro Sebeto; ch, se la lingua di Firenze
oggi loggetto del desiderio di tutti gli scrittori (grazie a Boccaccio che con una
bocca dorzo le dette forma) la nostra, se avesse avuto un altro che lavesse levigata
con una cotenna di lardo, sarebbe forse diventata pi lucida e pi bella duna cassa
di noce. Tanto pi che la materia cos adatta a ricevere una forma bella, quanto la
fiorentina, e forse anche migliore: infatti, anche a toglierci dagli occhi il velo della
passione, vedremmo che, bench questa botte della lingua napoletana sia andata
un poco in aceto, per le incursioni dei lanzichenecchi e dei tanti altri barbari che
vennero in Italia con i Goti, tuttavia ancora si pu riconoscere che derivata da
buon greco perch rimasto qualche residuo di quel buon odore. E che sia vero
(si vede dal fatto che) sino ad oggi si sente dire da popolani chiafeo, pacchiano, vastaso, catamelle, cato, astraco, scafutare, sciglio, ienimma e via discorrendo, che possono servire come salda garanzia per prendere
dal banco della fama la gran gloria dessere la pi bella lingua dItalia. Ma perch
dubitare ? io sono sicuro che non sdegnerete cose scritte in questa lingua: poich
alla greca, alla latina e alla toscana, in ciascuna delle quali siete tanto fecondo, avete
voluto aggiungere la napoletana, nella quale scrivete con tanta grazia: giacch v
parso che, cos come il carro del Sole tirato da quattro cavalli, il carro della vostra
luce non potesse andare diritto con tre lingue solamente. Per questo, dunque, con
animo di leone vi faccio questo presente, e se potessi darvi cosa pi ponderosa,
lo farei tanto volentieri dal momento che il dare a voi dare a me stesso: poich
proprio a causa dellamicizia, che intercorre fra noi, le nostre anime sono un stessa
cosa.
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queste passioni massimamente conducono seco1 varie gradazioni dinteresse, e per conseguenza corredo sempre diverso di sentimenti e dimmagini,
e progressiva e continua novit ne2 modi e ne colori dellespressione; cos,
colle replicate loro ma sempre diverse scosse, richiamano continuamente,
per la via del cuore, lattenzione del nostro spirito, esercitano lungamente la
nostra facolt di sentire, e la rendono pi delicata e pi agevolmente alterabile alla presentazione del Bello. Alle quali frequenti e dolci perturbazioni
dellanimo si risente,3 si sveglia la fantasia del giovane artista; crea egli, anche non volendo, delle immagini conformi,4 sente la ricchezza delle proprie
forze; finalmente, subentrando lamor della gloria, tenta, riesce, si applaude
e grida collimmortale Correggio: Io son pittore anchio. Aggiungasi che, per agevolar5 tanto pi questo, per cos dire, nobile innestamento
dellentusiasmo,6 sono troppo facili a multiplicarsi ed a divulgarsi gli eccellenti esemplari delleloquenza e della poesia; e possono essi, per mezzo della
scrittura, volare inalterabili da un capo allaltro della terra, e passar sotto gli
occhi e penetrar per gli orecchi di tutti, e, in unarte o nellaltra, risvegliar
dei talenti che senza di questo avrebbon7 perpetuamente dormito.
Io non rifletto giammai a quella famosa et della Repubblica dAtene, nella quale si vide, quasi in un momento, sorgere e perfezionarsi ogni
bellarte, diffondersi lordine, leleganza, la venust, la magnificenza sopra
tutto il materiale della citt, e nel tempo medesimo leloquenza, la gentilezza, la soavit, la benivolenza, latticismo8 finalmente, spargersi per tutte le
1 Latinismo da secum, con lui/lei. Di uso letterario le forme latine meco teco sono
state recuperate dal gergo giovanile.
2 Pressoch costante nel 700 la forma tronca di nel, nei.
3 Torna in s.
4 Simile ai suoi sentimenti.
5 Favorire lo slancio poetico.
6 Lentusiasmo, sentimento desaltazione con il convincimento di possedere la
verit, fu a lungo ritenuto fonte della poesia, da Platone ad Aristotele. Pi vicino a
Giuseppe Parini ne scrissero Giovan Vincenzo Gravina (Della ragion poetica), Saverio Bettinelli (Dellentusiasmo delle belle arti), Ludovico Antonio Muratori (Della
forza della fantasia umana).
7 Luscita in -ebbono della terza plurale del condizionale presente , nel 700, considerata normale.
8 Etimologicamente indica la propriet di linguaggio, in questo contesto ha
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case, e formare il carattere di tutti i cittadini ; io, dissi, non rifletto giammai
a quella famosa et, che non mi paia di vedere il facondo Pericle cos ragionare al popolo ateniese
Giacomo Leopardi
Operette morali. Dialogo di Plotino e Porfirio (1827)
Plotino. Porfirio, tu sai chio ti sono amico; e sai quanto: e non ti dei
maravigliare se io vengo osservando1 i tuoi fatti e i tuoi detti e il tuo
stato con una certa curiosit; perch nasce da questo, che tu mi stai
sul cuore.2 Gi sono pi giorni che io ti veggo tristo e pensieroso
molto; hai una certa guardatura,3 e lasci andare certe parole: in fine,
senza altri preamboli e senza aggiramenti, io credo che tu abbi4 in
capo una mala intenzione.
Porfirio. Come, che vuoi tu dire?
Plotino. Una mala intenzione contro te stesso. Il fatto stimato cattivo
augurio a nominarlo. Vedi, Porfirio mio, non mi negare il vero; non
far questa ingiuria a tanto amore che noi ci portiamo insieme da tanto tempo. So bene che io ti fo5 dispiacere a muoverti questo discorso;
e intendo che ti sarebbe stato caro di6 tenerti il tuo proposito celato:
ma in cosa di tanto momento io non poteva7 tacere; e tu non dovresti
avere a male di conferirla8 con persona che ti vuol tanto bene quanto
a se stessa. Discorriamo insieme riposatamente, e andiamo pensando
estensione pi ampia ed indica gusto, urbanit, eleganza.
1 una costruzione modellata sulla lingua francese.
2 Espressione caduta in disuso, ma frequente nella lingua italiana sino al primo
Novecento. Probabilmente sostituita a nel cuore per distinguerla da stare sullo stomaco.
3 Sguardo. termine antico della lingua italiana tuttora in uso.
4 Frequente questa terminazione del congiuntivo presente: abbi, facci, vadi, ecc.
5 la forma toscana che s generata per analogia con do e sto.
6 Introduce una soggettiva. In antico si usava il che; oggi si preferisce senza.
7 ancora assai frequente luscita in -a dellimperfetto indicativo.
8 usato transitivamente: usa oggi pressoch scomparso.
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Leonardo Sebastio
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Alessandro Manzoni
I promessi sposi (1840)
Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso
casa, sulla sera del giorno 7 novembre dellanno 1628 don Abbondio, curato duna delle terre accennate di sopra:6 il nome di questa, n il casato del
1 Frequente luso delle forme separate.
2 Si noti luso dei due modi si vive e stimasi.
3 Cfr. Passero solitario: in questa parte / rimota alla campagna. Dopo la
storia dellastronomia sempre la forma rimoto.
4 Come ella anche lei si riferisce a noia: non che manchino nelle Operette le forme
esso, essa, che pure hanno largo impiego; i pronomi si alternano in maniera indifferenziata.
5 Forma aggettivale arcaicizzante, letteraria e rara di sostanza; le uscite in -evole
furono care a G.B. Vico ed Alessandro Verri.
6 Il primo periodo di questavvio di narrazione costituito da cinque proposizioni reggenti coordinate distinte in due gruppi (le prime 3 con la congiunzione
e, come le ultime 2). I 2 gruppi sono distinti dai due punti (:) che qui non hanno la specifica funzione dichiarativa esplicativa, ma quella, pi rara, di semplice
scansione del periodo, le cui parti sono insieme divise e collegate (il collegamento
qui evidente nellavv. temporale poi). Allinterno di ogni reggente v almeno
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Leonardo Sebastio
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occhi allintorno, li fissava alla parte dun monte, dove la luce del sole gi
scomparso, scappando per i fessi1 del monte opposto, si dipingeva qua e l
sui massi sporgenti, come a larghe e inuguali pezze di porpora. Aperto poi
di nuovo il breviario, e recitato un altro squarcio, giunse a una voltata della stradetta dovera solito dalzar sempre gli occhi dal libro, e di guardarsi
dinanzi: e cos fece anche quel giorno. Dopo la voltata,2 la strada correva
diritta, forse un sessanta passi, e poi si divideva in due viottole, a foggia
dun ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura:3 laltra
scendeva nella valle fino a un torrente; e da questa parte il muro non arrivava che allanche del passeggiero.4 I muri interni delle due viottole in vece
di riunirsi ad angolo terminavano in un tabernacolo sul quale eran dipinte
certe figure lunghe, serpeggianti, che finivano in punta, e che, nellintenzion dellartista, e agli occhi degli abitanti del vicinato volevan dir fiamme;
e, alternate con le fiamme, certaltre figure da non potersi descrivere, che
volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur5
un fondo bigiognolo,6 con qualche scalcinatura qua e l. Il curato, voltata7 la stradetta, e dirizzando, comera solito, lo sguardo al tabernacolo, vide
una cosa che non saspettava, e che non avrebbe voluto vedere. Due uomini stavano, luno dirimpetto allaltro, al confluente, per dir cos, delle due
viottole: un di costoro, a cavalcioni sul muricciolo basso, con una gamba
spenzolata al di fuori, e laltro piede posato sul terreno della strada; il compagno, in piedi, appoggiato al muro, con le braccia incrociate sul petto. Labito, il portamento, e quello che, dal luogo overa giunto il curato, si poteva
distinguer dellaspetto, non lasciavan dubbio intorno alla lor condizione.
Avevano entrambi intorno al capo una reticella verde, che cadeva sullomero sinistro, terminata in una gran nappa, e dalla quale usciva sulla fronte un
1 Da fendere, vale fessura, in Dante, Inf. xxviii, 32-33 Al, / fesso nel volto dal
mento al ciuffetto; Purg. ix, 75-77: pur come un fesso che muro diparte, / vidi
una porta, e tre gradi di sotto.
2 Raro ma non rarissimo nel senso di svolta, curva.
3 Parrocchia.
4 La grafia delle palatali ancora oscillante.
5 Si tratta di un r parassita, quindi vale semplicemente su.
6 Colore tendente al grigio chiaro.
7 part. passato: dopo aver percorso la stradetta che curvava.
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Leonardo Sebastio
enorme ciuffo: due lunghi mustacchi1 arricciati in punta: una cintura lucida
di cuoio, e a quella attaccate due pistole: un piccol corno ripieno di polvere,
cascante sul petto, come una collana: un manico di coltellaccio che spuntava fuori dun taschino degli ampi e gonfi calzoni: uno spadone, con una
gran guardia traforata a lamine dottone, congegnate come in cifra, forbite
e lucenti: a prima vista si davano a conoscere per individui della specie de
bravi.
Giovanni Verga
Rosso Malpelo (1878)
Malpelo si chiamava cos perch aveva i capelli rossi; ed aveva i capelli
rossi perch era un ragazzo malizioso e cattivo, che prometteva di riescire2
un fior di birbone.3 Sicch tutti alla cava della rena rossa lo chiamavano Malpelo; e persino sua madre, col sentirgli dir sempre a quel modo, aveva quasi
dimenticato il suo nome di battesimo.4
Del resto, ella5 lo vedeva soltanto il sabato sera, quando tornava a casa
con quei pochi soldi della settimana; e siccome era malpelo cera anche a te1 Baffi.
2 Variante meno usuale di riuscire.
3 Parola assai cara ad A. Manzoni.
4 In questo primo capoverso si contano due periodi. Entrambi costituiti da due
frasi nettamente distinte dal punto e virgola. La prima frase costituita da una
principale ed una dichiarativa. La seconda, introdotta dalla coordinazione, sembra
ripetere lo schema e le parole della prima: ma questa volta il perch non dichiarativo ma causale. Chiude il periodo una semplice relativa. Nel secondo periodo la
prima frase dovrebbe essere una principale, ma introdotta da un sicch consecutivo, tal che deve essere interpretata come una conclusiva; la seconda frase si apre
con una coordinazione, e contiene uninciso, una causale implicita allinfinito di
stampo colloquiale. Il lessico piuttosto sostenuto (ragazzo malizioso e cattivo,
prometteva di riescir un fior di birbone, sentirgli dir sempre a quel modo).
Innovativa la sintassi: il periodo breve rivoluziona i nessi della scrittura manzoniana e si avvicina al parlato nel quale la e svolge una funzione di aggiunzione quasi
improvvisata.
5 Ella pi letterario di essa, che invece Manzoni prefer, addirittura sostituendola perch avvertita meno colta, per avvicinarsi alla lingua parlata.
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mere che ne sottraesse1 un paio, di quei soldi:2 nel dubbio, per non sbagliare,
la sorella maggiore gli faceva la ricevuta a scapaccioni.
Per il padrone della cava aveva confermato che i soldi erano tanti e non
pi; e in coscienza3 erano anche troppi per Malpelo, un monellaccio4 che
nessuno avrebbe voluto vedersi davanti, e che tutti schivavano come un can
rognoso, e lo accarezzavano coi piedi, allorch se lo trovavano a tiro.
Egli era davvero5 un brutto ceffo,6 torvo, ringhioso, e selvatico. Al mezzogiorno, mentre tutti gli altri operai della cava si mangiavano in crocchio
la loro minestra, e facevano un po di ricreazione, egli andava a rincantucciarsi col suo corbello7 fra le gambe, per rosicchiarsi quel po di pane otto
giorni, come fanno le bestie sue pari, e ciascuno gli diceva la sua, motteggiandolo, e gli tiravan dei sassi, finch il soprastante8 lo rimandava al lavoro con una pedata.9 Ei cingrassava, fra i calci, e si lasciava caricare meglio
1 Nota questo esattissimo imperfetto congiuntivo.
2 Ripetizione tipica del parlato: tanto che pare che sia parole dette dalla madre.
3 Qui comincia il discorso indiretto libero, senza alcun indicatore (disse, pens
ecc.), tecnica del tutto sconosciuta al Manzoni e ai ronazieri classici.
4 Ben strano questo termine in bocca al padrone della cava, certo furfante e profittatore dei suoi sottoposti. Con monellaccio il grillo parlante definisce Pinocchio.
Il peggiorativo in -accio toscano, in siciliano avremmo -azzo.
5 Questo davvero sembra confermare le parole de padrone della miniera.
6 Il ceffo propriamente il muso del cane; si ricollega a can rognoso e prelude
a ringhioso (e selvatico) e a rosicchiarsi e bestie sue pari. Il paragone
diventa metafora e la metafora realt.
7 termine ricercato per indicare un cesto di vimini o di legno per usi vari: in
questo caso per contenere e trasportare carbone.
8 Come aggettivo ricorrente in letteratura; sostantivato, per indicare una carica,
del Verga che pi avanti conia cottimante, per altro assai restio a sostantivare i
participi presenti (fatta eccezione dello comune comandante).
9 Qui il periodo si distende in un serie di subordinate e coordinate; tuttavia mantiene una solida linearit: la temporale (mentre e la sua coordinata) precede,
come avviene preferibilmente in italiano, la principale il cui soggetto Rosso seguita dalla comparativa; la e che segue non coordina ma ha funzione aggiuntiva,
tant che il soggetto cambia e tornano ad essere gli altri operai, inaugurando
una nuova frase che poteva benissimo essere preceduta da un punto fermo. Scrive
L. Russo:Gli e sono i legamenti popolareschi rifatti con sorvegliata malizia dallo
scrittore, come se lasciasse la parola a uno di quei primitivi []. Gli e cos numero-
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Leonardo Sebastio
dellasino grigio, senza osar di lagnarsi. Era sempre cencioso e lordo1 di rena
rossa, che la sua sorella sera fatta sposa, e aveva altro pel capo:2 nondimeno
era conosciuto come la bettonica3 per tutto Monserrato e la Carvana,4 tanto
che la cava dove lavorava la chiamavano la cava di Malpelo, e cotesto
al padrone gli5 seccava assai. Insomma lo tenevano addirittura per carit e
perch mastro Misciu,6 suo padre, era morto nella cava.
Era morto cos, che7 un sabato aveva voluto terminare certo lavoro preso
a cottimo, di un pilastro lasciato altra volta per sostegno nella cava, e che
non serviva pi, e sera calcolato, cos ad occhio col padrone, per 35 o 40
carra8 di rena. Invece mastro Misciu sterrava da tre giorni, e ne avanzava
ancora per la mezza giornata del luned. Era stato un magro affare e solo un
minchione9 come mastro Misciu aveva potuto lasciarsi gabbare10 a questo11
modo dal padrone; perci appunto lo chiamavano mastro Misciu Bestia, ed
era lasino da basto di tutta la cava. Ei,12 povero diavolaccio, lasciava dire, e si
contentava di buscarsi il pane colle sue braccia, invece di menarle addosso
ai compagni, e attaccar brighe. Malpelo faceva un visaccio,13 come se quelle
samente assiepati, come gli e di certe prose candide e ingenue del Trecento [],
La lingua di Verga, Bari, Laterza 1941, p. 45.
1 Pi tardi preferir sporco, forse perch lordo assai vicino al siciliano lordu.
2 Altre locuzioni di una colloquialit ricercata.
3 un erba assai diffusa, ritenuta medicinale. La locuzione di origine letteraria,
divenuta poi popolare. In dial. bittonica.
4 Due localit nei pressi di Catania.
5 La ripetizione pronominale tipica della lingua parlata.
6 Ipocorismo di Domenico.
7 un che che non ha funzione sintattica, della lingua popolare. Verga qui sembra affidarsi al racconto di qualcuno: si notino le tante e aggiuntive che costellano
il periodo e di cui s detto.
8 L. Russo, op. cit. p. 48, dice questo termine (neutro plurale) toscano letto
probabilmente su qualche via di Toscana. In dial. siciliano sarebbe carrata, quanto
pu in una volta portare una carro.
9 Vera e propria traslitterazione del siciliano minchiuni.
10 Anche il siciliano ha gabbari.
11 spia del discorso diretto libero.
12 Introduce due periodi dal lessico pi ricercato, ma dalla sintassi colloquiale.
13 Forma rara in letteratura. Probabile traslitterazione dal siciliano del dispregiati-
122
soperchierie cascassero sulle sue spalle, e cos piccolo comera aveva di quelle occhiate che facevano dire agli altri: Va l,1 che tu non ci morrai nel tuo
letto, come tuo padre .
Invece nemmen suo padre ci mor, nel suo letto, tuttoch fosse una buona bestia. Zio Mommu2 lo sciancato, aveva detto che quel pilastro l ei non
lavrebbe tolto per venti onze, tanto era pericoloso; ma daltra parte tutto
pericoloso nelle cave, e se si sta a badare al pericolo, meglio andare a fare
lavvocato.3
DAnnunzio Gabriele
Il piacere
Alle undici egli era dinnanzi al palazzo; e lansia e limpazienza lo divoravano. La bizzarria del caso, lo spettacolo della notte nivale, il mistero,
lincertezza gli accendevano limaginazione, lo sollevavano dalla realit.
Splendeva su Roma, in quella memorabile notte di febbraio, un plenilunio favoloso, di non mai veduto lume. Laria pareva impregnata come dun
latte immateriale; tutte le cose parevano esistere duna esistenza di sogno,
parevano imagini impalpabili come quelle duna meteora, parevan esser visibili di lungi per un irradiamento chimerico delle loro forme. La neve copriva tutte le verghe dei cancelli, nascondeva il ferro, componeva unopera
di ricamo pi leggera e pi gracile duna filigrana, che i colossi ammantati
di bianco sostenevano come le querci sostengono le tele dei ragni. Il giardino fioriva a similitudine duna selva immobile di gigli enormi e difformi,
congelato; era un orto posseduto da una incantazione lunatica, un esanime
paradiso di Selene. Muta, solenne, profonda, la casa dei Barberini occupava
laria: tutti i rilievi grandeggiavano candidissimi gittando unombra cerulea, diafana come una luce; e quei candori e quelle ombre sovrapponevano
alla vera architettura delledifizio il fantasma duna prodigiosa architettura
ariosta.
vo -azzu
1 Verga toscaneggia, teme luso generalizzato degli idiotismi dal dialetto.
2 Ipocorismo di Giacomo.
3 Detto siciliano italianizzato.
123
Leonardo Sebastio
124
to attraversare a piedi il giardino? Pens la figura di Elena tra il gran candore. Quella della senese risorse spontanea, oscur laltra, vinse il candore,
candida super nivem. La notte di luna e di neve era dunque sotto il dominio
di Maria Ferres, come sotto una invincibile influenza astrale. Dalla sovrana
purit delle cose nasceva limagine dellamante pura, simbolicamente. La
forza del Simbolo soggiogava lo spirito del poeta.
Allora, sempre guardando se laltra venisse, egli si abbandon al sogno
che gli suggerivano le apparenze delle cose.
Luigi Pirandello
Il treno ha fischiato
Farneticava.1 Principio di febbre cerebrale, avevano detto i medici; e lo
unitaria si pu affermare che quello che la sintassi chiama periodo sia da DA. sostituito dallintero capoverso in cui i periodi coincidono con le proposizioni, paratattiche e asindetiche: il periodo Un orologio suon da presso significativo. Il primo
periodo costituito da due proposizioni divise dal punto e virgola ma unite dalla
coordinazione e con funzione esplicativa a rigore dovrebbero essere due periodi
distinti visto che il punto e virgola assimilabile al punto fermo . Subito dopo 1)
un periodo legato al precedente dal significato del verbo rispose; e poi 2-3)altre due
proposizioni-periodi il cui legame con il n. 1) non logico ma formale, per la ripetizione (anafora) del verbo rispondere. Dunque i campanili di Roma suonano lora:
lo scrittore li distingue e distinguendoli accumula particolari ed allarga spazialmente la dimensione del suono. Lultimo periodo, Erano le undici e un quarto, bench
non presenti alcun nesso sintattico esplicito, aggruma in un unico spazio temporale
tutte le precedenti proposizioni, s che i rintocchi della campane provenienti da
luoghi diversi si fondono nellattimo in cui Andrea Sperelli prende atto dellora.
1 Il primo periodo della novella costituito da una sola frase: la frase da un solo
verbo: manca il soggetto. Farneticava vien dato come il dato pi rilevante, gi come
loggetto di cui lautore disveler lingannevolezza. In questa maniera il narratore
anticipa il nucleo della vicenda che in seguito esporr (prole s si della vicenda). Il
2 periodo costituito da quattro frasi di cui la 1 un d i s cor s o d i re t to , bench
non presenti le rituali i nter pu n z ion i di riconoscimento; anche in questa occupa
la prima posizione unespressione che conferma del concetto contenuto nel 1
periodo: Principio di febbre cerebrale traduzione in termini medici del comune e
popolare farneticava.
125
Leonardo Sebastio
ripetevano tutti i compagni dufficio, che ritornavano a due, a tre, dallospizio, overano stati a visitarlo.
Pareva provassero un gusto particolare a darne lannunzio coi termini scientifici, appresi or ora dai medici, a qualche collega ritardatario che
incontravano per via:
Frenesia, frenesia.
Encefalite.
Infiammazione della membrana.
Febbre cerebrale.
E volevan sembrare afflitti; ma erano in fondo cos contenti, anche per
quel dovere compiuto; nella pienezza della salute, usciti da quel triste ospizio al gajo azzurro della mattinata invernale.
Morr ? Impazzir ?
Il giudizio della condizione del protagonista tende a divenire inconfutabile proprio
dallautorevolezza del lessico medico, prima ancora che dalla esplicitazione che si
tratta di un referto medico. La 2 frase del periodo introdotta da una e che ha valore e spl ic at i vo (=perci) e dunque ulteriore conferma, come lo sono la seguente
re l at i va (ritornavano) e la lo c at i va (visitarlo). La relativa allarga lorizzonte della realt umana in cui s originato (o, meglio, da cui stato determinato) levento
frenetico e nel quale stesso risiede ogni assurdit poich l, ancora, viene formulato
il giudizio sulla follia di Belluca. Lassurdit chiarita nel secondo capoverso (che
logicamente, se non proprio sintatticamente, si estende sino alla chiusura della prima parte della novella): in quel gusto particolare, cos in contrasto con la situazione
dolorosa di Belluca; pi avanti il gusto si sveler essere contentezza. P., insomma,
denuncia la generale convinzione della societ che Belluca sia impazzito, e dunque
non ha responsabilit alcuna, e limmorale o folle ? autocompiacimento sempre
della societ circa la propria sanit mentale (la pienezza della salute): allo scopo si
serve dellanonimia degli interventi orali che evidenzia la generalit del giudizio.
Lultimo periodo della parte introdotto da una e avversativa (=invece). Il disvelamento della verit in opposizione a quanto detto sinora viene realizzato attraverso
un largo uso di s up erl at i v i a s s olut i e re l at i v i : specialissime, la pi semplice e 2
volte naturalissimo. P. con questi enfatizza il ruolo della ragione a petto della quale
il compiacimento dei colleghi di Belluca appare vera stupidit: dellevento frenetico che colpisce un uomo occorre indagare le cause, non fermarsi alle apparenze e
la ricerca delle cause potr mettere in evidenza che la vera pazzia quella di chi si
ritiene sano e che crede di non avere responsabilit del mancato riconoscimento in
s e negli altri dellumano.
126
Mah !
Morire, pare di no...
Ma che dice ? che dice ?
Sempre la stessa cosa. Farnetica...
Povero Belluca !
E a nessuno passava per il capo che, date le specialissime condizioni in
cui quellinfelice viveva da tantanni, il suo caso poteva anche essere naturalissimo; e che tutto ci che Belluca diceva e che pareva a tutti delirio,
sintomo della frenesia, poteva anche essere la spiegazione pi semplice di
quel suo naturalissimo caso.
Veramente, il fatto che Belluca, la sera avanti, sera fieramente ribellato
al suo capo-ufficio, e che poi, allaspra riprensione di questo, per poco non
gli sera scagliato addosso, dava un serio argomento alla supposizione che si
trattasse duna vera e propria alienazione mentale.
Perch uomo pi mansueto e sottomesso, pi metodico e paziente di
Belluca non si sarebbe potuto immaginare.
Circoscritto...1 s, chi laveva definito cos ? Uno dei suoi compagni duf1 Il periodo coscritto... si distende bench non vi siano evidenti i connettivi che
leghino una frase allaltra, un periodo allaltro (op erator i le s sic a l i e g ra mm at ic a l i). Tuttavia la parola coscritto viene posta in corsivo e ad inizio di capoverso: un segnale tipografico che connota laggettivo di forte autonomia, il cui
valore sar spiegato subito dopo: si tratta della definizione che di Belluca e del suo
comportamento avevano dato i colleghi dufficio. Il 2 periodo ellittico del verbo
perch vuole avere, ed ha, il valore di risposta secca. La n a f ora (la ripetizione di
uno o pi termini: in questo caso coscritto), poi, seguita dallesclamativa, stabilisce
la coesione logico-sintattica con la risposta alla quale omogenea per via dellellissi del verbo cos il terzo periodo che assolve al ruolo di connettivo stilistico.
Il risultato quello di una grande rapidit di scrittura, e quindi di intensa drammaticit. Tanto pi savverte intensa se si tien conto del ricorso che P. fa qui
e nel successivo periodo ad un procedimento retorico che va sotto il nome di
a mpl i f ic a z ione , consistente nellaggiunta di elementi lessicali, che, riferiti ad
uno stesso a mbito s em a nt ico (significato), precisano il significato ed il grado
del concetto prima espresso pi genericamente. In vero qui P. combina a mpl i f ic a z ione ed a c c u mu l a z ione , che a sua volta allinea una nuova serie di elementi
lessicali che ribadiscono lidea. Nello specifico limiti angustissimi e arida mansione di computista (gi computista allude ad unattivit priva dogni orizzonte spirituale) esplicitano il valore della coscrizione. La cui limitatezza viene amplificata da
127
Leonardo Sebastio
ficio. Circoscritto, povero Belluca, entro i limiti angustissimi della sua arida
mansione di computista, senzaltra memoria che non fosse di partite aperte,
di partite semplici o doppie o di storno, e di defalchi e prelevamenti e impostazioni; note, libri-mastri, partitarii, stracciafogli e via dicendo. Casellario
ambulante: o piuttosto, vecchio somaro, che tirava zitto zitto, sempre dun
passo, sempre per la stessa strada la carretta, con tanto di paraocchi.
Orbene,1 cento volte questo vecchio somaro era stato frustato, fustigato
senzaltra memoria, la cui seguente elencazione serve solo a segnare i limiti dellattivit (inesistente) spirituale di Belluca: di partite semplici o doppie o di storno, e
di defalchi... Lultimo periodo del capoverso ancora ellettico del verbo si apre con
una me t a f ora , casellario ambulante, che coerente a mpl i f ic a z ione di quanto
detto nel precedente periodo e definitiva oggettualizzazione di Belluca (a momenti
sar animale): non pi essere umano; ma oggetto privo di vita, archivio e memoria,
forse ordinata, certo vuota dogni palpito e dogni fantasia. E P. si serve ancora una
volta di una mpl i f ic a z ione (si vedano la relativa che tirava zitto zitto; e dun
passo e per la stessa strada, che metteno in evidenza la natura del tutto sottomessa
dellanimale-Belluca) combinata con la n a f ora (sempre ... sempre).
1 La tensione verso lorali o verso la teatralit evidenziata da certi nessi, in particolare da quellorbene (questo discorso vale per tutta la novella), nelluso assai
modesto dellip ot a s si (subordinazione), alla quale si preferiscono a n a f ore di
tutti i tipi (semplici: pareva ... pareva; esplicative: ilare ... ilarit). La tensione alloralit visibile anche nelle esclamazioni, niente !, in certi f at i sm i ple on a s t ic i ,
cos, dunque, veramente, nel ricorso alla uto cor re z ione , o meglio. Tutto questo
convive facilmente con la me t a f ora Belluca-asino, che metafora popolare e duso comune, nel quale laccezione di somaro=sciocco, ignorante largamente accettata (oggi si preferiscono metafore sessuali), come lo quella asino=lavoratore. Con
grande facilit comunicativa (non sono necessari altri supporti per decodificare la
metafora) il narratore-testimone utilizza i derivati imbizzire, calcio, frustate, punture, bastonature. La metafora resta facile, anzi, assume i toni della popolarit, ed
immediatamente comprensibile.
Naturalmente questa tipologia scrittoria non significa superficialit: qui conta la
costruzione degli eventi. Si veda il processo verbale con cui Belluca opera la sua
liberazione, come la aperta confessione al capo-ufficio della sua fantasia e la conseguente riconquista della sua umanit: e se sapesse dove sono arrivato ! La formulazione della frase lenta e parte da una comunicazione non verbale: aprendo le mani;
poi da una parola insignificante: niente, seguita dal sostantivo che far da soggetto
alla frase-rivelazione, ma che per il momento, privo com di verbo, richiede il completamento logico. P. strategicamente fa intervenire il capoufficio che sospende la
rivelazione del verbo e il completamento della frase: Il treno? Che treno ? e poi il
128
senza piet, cos per ridere, per il gusto di vedere se si riusciva a farlo imbizzire un po, a fargli almeno almeno drizzare un po le orecchie abbattute,
se non a dar segno che volesse levare un piede per sparar qualche calcio.
Niente ! Sera prese le frustate ingiuste e le crudeli punture in santa pace,
sempre, senza neppur fiatare, come se gli toccassero, o meglio, come se non
le sentisse pi, avvezzo comera da anni e anni alle continue solenni bastonature della sorte.
Inconcepibile, dunque, veramente, quella ribellione in lui, se non come
effetto duna improvvisa alienazione mentale.
Tanto pi che, la sera avanti, proprio gli toccava la riprensione; proprio
aveva il diritto di fargliela, il capo-ufficio. Gi sera presentato, la mattina,
con unaria insolita, nuova; e cosa veramente enorme, paragonabile, che
so ? al crollo duna montagna era venuto con pi di mezzora di ritardo.
Pareva che il viso, tutta un tratto, gli si fosse allargato. Pareva che i paraocchi gli fossero tutta un tratto caduti, e gli si fosse scoperto, spalancato dimprovviso allintorno lo spettacolo della vita. Pareva che gli orecchi
tutta un tratto gli si fossero sturati e percepissero per la prima volta voci,
suoni non avvertiti mai.
Cos ilare, duna ilarit vaga e piena di stordimento, sera presentato
allufficio. E, tutto il giorno, non aveva combinato niente.
La sera, il capo-ufficio, entrando nella stanza di lui, esaminati i registri,
le carte:
E come mai ? Che hai combinato tuttoggi ?
Belluca lo aveva guardato sorridente, quasi con unaria dimpudenza,
aprendo le mani.
Che significa ? aveva allora esclamato il capo-ufficio, accostandoglisi
e prendendolo per una spalla e scrollandolo. Oh, Belluca !
Niente, aveva risposto Belluca, sempre con quel sorriso tra dimpudenza e dimbecillit su le labbra. Il treno, signor Cavaliere.
il verbo. Mano a mano che Belluca disvela il suo sentire (che sentire di fantasia)
aumenta lirritata incomprensione del capo-ufficio che interviene interrompendo
la pur breve frase di Belluca. Conviene appuntare lattenzione sullantagonismo tra
la calma un po folle dellimpiegato e la furia del suo superiore: questo uno dei
momenti in cui la strategia drammatico-narrativa di P. si fa pi evidente.
129
Leonardo Sebastio
Italo Svevo
La coscienza di Zeno
Proprio quella mattina ebbi unidea che credo mabbia fortemente danneggiato privandomi di quel poco diniziativa virile che quel mio curioso stato dadolescenza mavrebbe concesso. Un dubbio doloroso: e se Ada
mavesse sposato solo perch indottavi dai genitori, senzamarmi ed anzi
avendo una vera avversione per me ? Perch certamente tutti in quella famiglia, cio Giovanni, la signora Malfenti, Augusta e Alberta mi volevano
bene; potevo dubitare della sola Ada. Sullorizzonte si delineava proprio
il solito romanzo popolare della giovinetta costretta dalla famiglia ad un
matrimonio odioso. Ma io non lavrei permesso. Ecco la nuova ragione per
cui dovevo parlare con Ada, anzi con la sola Ada. Non sarebbe bastato di
dirigerle la frase fatta che avevo preparata. Guardandola negli occhi le avrei
130
131
Leonardo Sebastio
angolo del grande salotto e si mise subito a chiacchierare vivacemente impedendomi persino di domandare delle notizie delle fanciulle. Ero perci alquanto distratto e mi ripetevo la lezione per non dimenticarla al momento
buono. Tuttad un tratto fui richiamato allattenzione come da uno squillo
di tromba. La signora stava elaborando un preambolo. Massicurava1 dellasostituire nelle mire matrimoniali del giovane Augusta ad Ada. La futura suocera
gioca danticipo, ponendo in atto una fine strategia donnescamente furba. Non
ostante la qualit dellepisodio, la scrittura resta distaccata: ancora la mera registrazione di fatti, detti, personaggi ed eventi. Il primo periodo (una reggente, una
rapida relativa cui si coordina unaltra relativa, ed infine una subordinata implicita)
ha per soggetto sintattico e narrativo la signora Malfenti. Nel secondo lattenzione
si sposta su Zeno che subisce le conseguenze (perci) dellazione dellinterlocutrice.
Nel primo periodo due soli aggettivi, sola e grande: luno e laltro apparentemente neutri sono in posizione prenominale e quindi con valore presumibilmente
accessorio sono fortemente funzionali a chiarire la condizione del giovane, che,
dunque, si trova in un colloquio riservatissimo (sola) ed ufficiale (grande), senza testimoni, ma anche senza la possibilit di creare un diversivo al discorso. Fortemente
funzionale altres lavverbio vivacemente: la vivacit strumento tattico della Malfenti che cos riserva a s stessa tutta liniziativa del colloquio, relegando Zeno in
un ruolo subordinato se non passivo. Laffabulazione violenta della Malfenti non
era stata prevista: Zeno ha un suo schema mentale col quale avrebbe affrontato (o
avrebbe voluto affrontare) la realt (se questa fosse dipesa solamente da lui): egli
sembra non sentire la donna, distratto, part. pass. aggett. con chiara funzione
predicativa.
1 Il terzo periodo saccentra su una locuzione a met tra metaforica e luogo comune, simile a specie desame del capoverso precedente: nellun caso e nellaltro
sembrano segnare il momento in cui Zeno comprende la situazione in cui sta per, o
gi si trova a, confrontarsi con la realt. La presa di coscienza della situazione si fa
rilevare anche dal discorso indiretto, le frasi-periodi sono brevissimi e si susseguono
velocemente, legate dalla semantica della conoscenza e della stima. Il discorso diretto emerge su un dato trascurabile: da quanti mesi Zeno frequenta casa Malfenti.
La donna aveva quantificato allingrosso; il giovane corregge: Cinque!, ma la
sua precisazione unammissione di colpa, o meglio la signora Malfenti linterpreta e impone linterpretazione come unammissione di colpa. Di qui quellaria di
rimprovero con cui trova espressione il disegno della madre,A me sembra che voi
compromettiate Augusta. Il che voleva dire che il comportamento tenuto sino ad
allora da Zeno, e cui egli aveva attribuito il significato di corte serrata alla sorella
pi grande e pi bella, veniva interpretato ufficialmente (visto che a dirglielo la
moglie del capo di casa) come lusinga alla pi brutta delle sorelle. E questo veniva
espresso con la secchezza dellessenzialit della comunicazione. Il discorso diretto
132
133
Leonardo Sebastio
Io intanto tentavo di pensare intensamente per arrivare presto a spiegare quello che mi sembrava un equivoco di cui per subito intesi limportanza. Mi rivedevo in pensiero, visita per visita, durante quei cinque
mesi, intento a spiare Ada. Avevo suonato con Augusta e, infatti, talvolta
avevo parlato pi con lei, che mi stava a sentire, che non con Ada, ma
solo perch essa spiegasse ad Ada le mie storie accompagnate dalla sua
approvazione. Dovevo parlare chiaramente con la signora e dirle delle mie
mire su Ada ? Ma poco prima io avevo risolto di parlare con la sola Ada
e dindagarne lanimo. Forse se avessi parlato chiaramente con la signora
Malfenti, le cose sarebbero andate altrimenti e cio non potendo sposare
Ada non avrei sposata neppure Augusta. Lasciandomi dirigere dalla risoluzione presa prima chio avessi veduta la signora Malfenti e, sentite le
cose sorprendenti chessa maveva dette, tacqui.
Pensavo intensamente, ma perci con un po di confusione. Volevo intendere, volevo indovinare e presto. Si vedono meno bene le cose quando
si spalancano troppo gli occhi. Intravvidi la possibilit che volessero buttarmi fuori di casa. Mi parve di poter escluderla. Io ero innocente, visto
che non facevo la corte ad Augusta chessi volevano proteggere. Ma forse
mattribuivano delle intenzioni su Augusta per non compromettere Ada.
E perch proteggere a quel modo Ada, che non era pi una fanciullina ?
Io ero certo di non averla afferrata per le chiome che in sogno. In realt
non avevo che sfiorata la sua mano con le mie labbra. Non volevo mi si
interdicesse laccesso a quella casa, perch prima di abbandonarla volevo
parlare con Ada. Perci con voce tremante domandai:
Mi dica Lei, signora, quello che debbo fare per non spiacere a nessuno.
Essa esit. Io avrei preferito di aver da fare con Giovanni che pensava
urlando. Poi, risoluta, ma con uno sforzo di apparire cortese che si manifestava evidente nel suono della voce, disse:
Dovrebbe per qualche tempo venir meno frequentemente da noi;
dunque non ogni giorno, ma due o tre volte alla settimana.
certo che se mi avesse detto rudemente di andarmene e di non ritornare pi, io, sempre diretto dal mio proposito, avrei supplicato che mi si
sua resa: mi dica Lei ... quello che debbo fare...
134
tollerasse in quella casa, almeno per uno o due giorni ancora, per chiarire
i miei rapporti con Ada. Invece le sue parole, pi miti di quanto avessi
temuto, mi diedero il coraggio di manifestare il mio risentimento:
Ma se lei lo desidera, io in questa casa non riporr pi piede !
Venne quello che avevo sperato. Essa protest, riparl della stima di
tutti loro e mi supplic di non essere adirato con lei. Ed io mi dimostrai
magnanimo, le promisi tutto quello chessa volle e cio di astenermi dal
venire in quella casa per un quattro o cinque giorni, di ritornarvi poi con
una certa regolarit ogni settimana due o tre volte e, sopra tutto, di non
tenerle rancore.
Riccardo Bacchelli
Il mulino del Po.
Era cos lontana da montarsi la testa,1 che anzi credeva al sospetto del
1 Il capoverso Era cos lontana..., legato narrativamente al precedente dallanafora
della locuzione montarsi la testa, presenta due atteggiamenti psicologici contrastanti di Dosolina: per un verso certa timida umilt derivata dalla coscienza della
povert; per altro verso la fiducia del sogno e della fantasia derivatale dalle parole
della madre. In questa sede baster accennare di sfuggita alla considerazione che
luno e laltro sentimento della fanciulla derivano dalle parole dei genitori. Qui interessa sottolineare come non vi sia nesso oppositivo, ma semplicemente temporale: Aveva gi pensato [...] e gi chinato il capo [...] quando il discorso della madre [...].
Il periodo successivo concreta la persuasione della giovane senza alcun segnale
sintattico, neppure quello dichiarativo: cos alla pena confusa, ed allangustia
smarrita succedono senza soluzione di continuit lanimo giovane e la calda e
tenera fantasia.
Per altro non senza significato che i periodi si succedono ai periodi, i capoversi
ai capoversi legandosi preferibilmente per via anaforica o coordinativa: difficilmente la subordinazione supera il secondo grado (subordinata di subordinata)
comprendendo anche le implicite. Si veda la successione che principia col capoverso che abbiamo preso desempio: 1 principale (era)+consecutiva (credeva)
segno di separazione (;) principale coordinata (sera chiesto)+relativa sub. di
primo grado ( prodotta)+relativa sub. di secondo grado (possono... rassegnarsi)
avversativa ellittica asindetica segno di separazione (.) 2 principale (aveva...
pensato) segno di separazione(:) discorso diretto-3 principale (scherniscono)+sub.causale di primo gr. segno di separaz. principale coord. alla 2,
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Leonardo Sebastio
4. {+}1
+2
5.
6.
Se si tien conto che le principali sono giustapposte e non presentano nessun nesso esplicito di collegamento s che il capoverso si configura come una sorta di
polisindeto narrativo, risulta una scrittura piana di microeventi gustati e da far
gustare singolarmente, che dissimula il pur presente impegno psicologico sul personaggio. A completare il quadro si veda la fedelt costante allordine naturale
(soggetto-verbo-oggetto o espansione immediata del verbo) nella disposizione
dei complementi allinterno della frase. A petto di questa facile semplicit di
costruzione sintattica si collocano la scelta di un lessico letterario, ma antidannunziano, e soprattutto la gestione degli aggettivi: poverina (e viene in mente
la Gertrude manzoniana costretta a subire la prepotenza paterna), pena confusa,
angustia smarrita, buoni (cfr. alla fine del cap. iv de I promessi sposi:angustia
scrupolosa che spesso tormenta i buoni), malignit cattiva, vili sentimenti; degli avverbi e in particolare quel dolorosamente staccato dal verbo, non solo dalla
distanza, ma dalla pausa della virgola, s da variare lordine naturale delle parole e proporre unaccezione assoluta. Di particolare efficacia la descrizione della
nascita nellanimo di Dosolina del sogno damore: ch il riferimento allanimo
giovane e alla calda ... fantasia si stempera in tenera, ed affonda nella discrezione attraverso un crescendo (gradatio) verso lastrazione (idea, sogno, segreto),
rafforzata dallo scarto linguistico costituito da quattro aggettivi, uno dei quali
sostantivato (cotesto, ignoto, meraviglioso, venuto), unapoteosi di vaghezza e di
leggerezza poich cavaliero e mondo portano con loro tutto limplicito valore
letterario reso palese da favola.
136
capo a questo destino, quando il discorso della madre la persuase, quasi con
violenza, davere un innamorato. Lanimo giovane, la calda e tenera fantasia,
correvano allidea, al sogno, al segreto di cotesto ignoto meraviglioso, venuto dal mondo come il cavaliero della favola; e quei primi e vili sentimenti, di
timore e dumiliazione, adesso erano gi di corruccio e daborrimento pur
dal pensare che le speranze e il suo sogno potessero riuscire uno scherno,
non pi della gente, ma della sorte. No: era il maio dun innamorato.
Di fatto, nei vari paesi, usavano diverse frasche, a seconda che il maio
voleva significare amore, o gelosia, o disprezzo e ripudio. E, fra genti sempre state inclini alle burle e ai detti mordaci, usava anche il maio da burla,
per castigo o vendetta delle ragazze superbe o dispettose o vane, o per
semplice derisione, come aveva temuto Princivalle.
Al d dellAscensa, portan maio a chi non se l pensa; il detto, non
che a sperare amore, dunque dava anche a temere odio.
Il ben che ti ho voluto sia un cortello.
Ma certo nessuno odiava Dosolina. Donata si intestardiva a cercare
chi si fosse arrischiato a tentarle la figliuola, e nei grami casolari sparsi
della Diamantina stava diventando una favola davvero, da farle cantar davanti casa qualche quartina satirica:
Dosolina, non far tanto la granda,
Perch l tuo padre non l re di Francia,
E la tua madre non la regina:
Non far tanto la granda, o Dosolina!
Quel forestiero cacciatore era passato molte volte da Palazzo; e smontava da cavallo, o per farlo bere, o per comprar qualcosa, fingendo di
credere allinsegna della bottega; e ogni volta Dosolina gli aveva dovuto
rispondere che la bottega era sprovveduta. Non per questo costui aveva
fatto come gli altri, che chiedevano con sorrisi pungenti che negozio fosse, se non cera mai nulla, e avevan finito per seccarsi anche dello scherzo.
Quel forestiero perseverava, con discrezione; e non sorrideva, e mostrava
di credere, gravemente, allimpacciata Dosolina che gli diceva, arrossendo
della bugia:
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Leonardo Sebastio
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Leonardo Sebastio
Eugenio Montale
Ossi di seppia: Meriggiare1
Meriggiare2 pallido e assorto
1 La lirica composta da quattro strofe, tre delle quali di quattro versi, lultima di cinque. La prima e la terza strofa presentano rime baciate; la seconda e
la quarta alternate: nella quarta il terzo verso (comunque in assonanza con gli
altri) divide con una terza rima le coppie di rime alternate. I versi sono di varia
lunghezza: 9-9-11-10 / 11-11-11-10 / 11-9-11-9 / 9-10-11-11-11. Il periodo sintattico
corrisponde alla strofa. La prima strofa composta da due principali (meriggiare
e ascoltare) coordinate per asindeto: anche se la presenza dei due qualificativi
pallido e assorto suggerisce che meriggiare un infinito sostantivato e, dunque,
a rigore di principali non ve ne sarebbe che una, ascoltare che ha pi chiara funzione verbale. Contro questinterpretazione sta la coordinazione: resta certa frizione tra il primo ed il secondo infinito; ma dalla poesia non si deve richiedere
chiarezza nei nessi sintattici. Pi semplici le altre strofe. La seconda composta
da una principale, che occupa i primi due versi, e da una subordinata relativa che
ha una coordinata. La terza strofa egualmente composta da una principale, che
occupa anche qui i primi due versi, e da una temporale. La quarta strofa pi articolata: la principale regge unoggettiva che a sua volta regge una relativa; per di
pi legata alla principale una temporale implicita (andando) e nelloggettiva un
verbo sostantivato. Sostantivati o verbali gli infiniti conferiscono alla lirica una
dimensione di uniforme continuit, di una condizione immutabile nel tempo e
generalizzato per via dellassenza (evidente nella regola morfologica) del soggetto. Di qui la connotazione metafisica di una condizione dellesistenza concreta,
ma senza parametri razionalizzabile di riferimento.
2 Meriggiare: il verbo, non ostante lattenzione dedicatagli da G. Ioli, G. Gavazzeni, P.V. Mengaldo, conserva qualche ambiguit. La storia del termine si trova
con qualche facilit in Gdli che d come significato principale: Trascorrere in
piacevole ozio le ore pi calde della giornata, per lo pi in luogo aperto e ameno,
rinfrescato da ombre e da acque, e nelle attestazioni, che partono dallEsopo
volgarizzato, riporta loccorrenza montaliana. In tal caso gli aggettivi pallido e
assorto potrebbero essere connotazioni del soggetto logico (un sole meridiano se
pallido non fa rovente il muro dellorto), un io generico seppur non quello
del poeta, come nel caso degli altri infiniti acronici, s, ma non assolutamente
impersonali: io, pallido e assorto, trascorro le ore del meriggio presso un muro.
Naturalmente cadrebbero alcuni elementi caratterizzanti il significato del verbo:
la piacevolezza e lombra (ma a noi pare divengano insostenibili anche le derivazioni da Boine e da Boito). Concessa laccezione non ombreggiata e non riposata
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I limoni1
1 Il primo periodo si compone di due frasi: entrambe principali: la prima ha il verbo allimperativo (ascoltami) ed introduce un discorso diretto. La seconda frase (si
muovono), bench divisa dalla virgola lavvio del discorso diretto che occupa lintera lirica. Il periodo si chiude con una frase nominale. I vv 4-7 contengono tre frasi
(la reggente, amo, una relativa, riescono, una locativa, agguantano). Tutte e tre le frasi
sono in diverso modo spezzate: la prima dallinciso per me, le altre dallenjambement della versificazione. Per di pi lultima presenta lanastrofe verbo-sg. La prima
strofa ha, dunque, 10 vv. di diversa lunghezza, dei quali l8 e il 10 rimati; i vv 2 e 3
sono assonanti piANTe-acANTi; ma lassonanza variamente diffusa: poZZanghere, meZZo, ragaZZi, viuZZe, e boSSi, foSSi. La seconda strofa ha due periodi: meglio
... inquieta; qui ... limoni. La prima frase del 1 periodo unipotetica di 1 tipo con
lapodosi ellittica. La 2 frase una dichiarativa con il verbo impersonale che due
oggetti (susurro e sensi). Pi improbabile il si passivante, concordato a senso. Dalla
dichiarativa dipendono le due relative (muove e sa) riferite rispettivamente ad aria
e ad odore. Naturalmente dichiarativa sar la 3 frase coordinata con la e alla precedente: anche questa presenta il verbo impers. piove parallelo a si ascolta. Il 2 periodo
di 3 frasi coordinate, ma di diverso valore: le prime due con lanafora del qui; la 3
introdotta dalla ed con chiaro valore esplicativo. Dinteresse la forte anastrofe del
compl. di spec. al v. 18-19; e le due, meno forti dei vv. 20 e 21. Anche in questa strofa
i vv. sono di varia lunghezza, qua e l legati da rime, come i vv. 12 e 13; 16 e 19; 18
e 21. Di rilievo ancora le assonanze come gaZZaRRe e aZZuRRo, che riprendono
quella della strofa precedente ed introducono alla rima di gueRRa e teRRa. Un solo
enjambement (ai vv. 13-14) interrompe la lineare scorrevolezza della strofa che, dunque, riflette nella struttura sintattico-metrica il diffondersi della dolcezza inquieta.
La densit concettuale si riflette nella pi complessa costruzione sintattica della 3
strofa, di tutte la pi lunga: non a caso si apre con lesortazione dellimperativo vedi
con quale ribadisce, per inciso, il registro colloquiale della composizione. La relativa
del 1 periodo, che sinterpone tra il compl. di tempo ed il verbo, esprime la nozione
delleccezionalit dellevento nel quale la realt allenta il suo assedio alluomo: in altri termini la posizione anticipata della relativa sottolinea la rilevanza che quellevento ha nel suo discorso. Bilancia questanticipazione lassenza dogni enjambement
nel 1 periodo (con la corrispettiva coincidenza dei concetti con il verso). Si vedano i
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disposizione: che la indennizzavano1 anche troppo largamente dogni mancata secrezione delle partidi materne.2 Queste due dozzine di insalivatrici
aggiunte3 serravano i ranghi a rincalzo dopo la falange delle titolari, specie
ne d di sabato, e di domenica erano state ricevute col titolo di zia, se pure
soltanto onorario, nei penetrali del Brgna, ossia Forlina, dopo i meandri
del Ges Borgospesso Bagutta Baguttino SantAndrea: e come zie o mammane4 erano ammesse rotativamente al leccamento5 della Mapeppa e in genere allusufrutto linguereccio6 delle pi rosate e allettanti pinguizie del di
lei corpicittolo. Talora il comprensorio lingutico7 si estendeva anche al
coc. Talch,8 nere, dopo qualche prima incertezza gravitazionale sui pi
1 Indennizzavano: il verbo ha nelluso comune una forte accezione economica:
ma data let della protagonista pare adeguatissimo.
2 Mancata secrezione delle parotidi materne: metonmia per indicare lassenza di
effusioni affettive dell madre, troppo occupata nei rapporti sociali. Tipo di G.
altres il ricorso alla terminologia medica: in particolare secrezione e parotidi, che
rendono il carattere freddo e distaccato di Donna Giulia.
3 Insalivatrici aggiunte... titolari: ricorrono qui alcuni termini tecnici propri della
burocrazia e specif. militare: aggiunto, serrare, ranghi, rincalzo, titolare. Militare e
classico falange. Andr sottilineato il variare della terminologia ?
4 Mammane: il termine deriva dai dialetti meridionali (ma reso letterario da Pirandello) nei quali ha accezione di levatrice.
5 Rotativamente ... leccamento: bench sia duso lagg. rotativo utilizzato in meccanica e in agraria, noi crediamo che qui occorra rifarsi alla macchina tipografica
detta rotativa nella quale un cilindro-matrice intriso dinchiosto lascia la sua traccia
sulla carta trascinata da un altro cilindro che la preme contro il primo.
6 Usufrutto linguereccio: di origine giuridica usufrutto conserva il valore di diritto
a godere con la lingua. Persiste, ovviamente il registro comico, in questallargarsi, moltiplicarsi delle persone che ambiscono sbaciucchiare la bimba, ma il gesto
affettuoso fortemente correlato alleccesso di trasporto, s che il gesto acquista
dellanimalesco.
7 Comprensorio lingutico: il sostantivo indica un territorio sottoposto a particolari vincoli o benefici. Qui la metafora vale per le parti del corpo che era possibile
baciare.
8 Talch....demarpinica: il fil rouge concettuale potrebbe essere la volont di
traguardare le pretese di nobilt dei de Marpioni dal punto di vista, provocatoriamente comico, della pi banale azione della pi piccola delle componenti della
famiglia. Ora, quelle pretese hanno modo di manifestarsi nella presenza, attorno a
donna Giulia, di tante figure di pi o meno parenti che fanno atto di sottomissione
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lontano, di potersi infilare a met dellanima alla facciazza delle pseudocognate e delle pseudo-nipoti, quello poi era cresciuto ad ebbrezza e ad onnipotenza raggiante, dentro un evo fulgido, allucinato, senza pi misura n
termine:1 lidea del possesso e della supposta vittoria tracannata come un
cognac di fuoco e di vita a ogni nuovo mattino, a ogni giorno splendido.
Quello le era bastato, durante quarantanni, a scongiurare la disperazione, ad acculare al di l dogni strazio e dogni miseria, dogni sdrucita maglia de suoi bimbi, dogni scampano, dogni gloria, dogni tenca, lo sporco
sogghigno della morte. La Idea Matrice della villa2 se lera appropriata quale
organo rubente od entelechia prima consustanziale ai visceri, e per inalienabile dalla sacra interezza della persona: quasi armadio od appiccapanni
di De Chirico, carnale ed eterno dentro il sognante cuore dei lari. A quella
pituita somma,1 recndita, noumnica, corrispondeva esternamente gioiello o bargiglio primo fuor dai confini della psiche la villa obbiettiva, il
dato. Operando in lei,3 durante quarantanni, gli ormoni infaticabili della
1 E quellorgoglio... senza pi misura n termine: G. stigmatizza il narcisismo sociale della madre di Gonzalo che assume proporzioni tali da concellare ogni altro
interesse ed ogni altro valore. Il possesso della villa trionfo sociale e nello stesso
tempo ragione di vita, ed infine felicit capace di spingere indietro (acculare) la
presenza stessa della morte. La villa aveva fatto scomparire ogni altra interna miseria, dalla scarsezza del cibo alla usura dei abiti dei figli, ed ogni altro evento grande,
o insignificante (tenca, per tinca, pesce cio di poco valore).
2 La Idea Matrice della villa ... il dato: questo uno dei passi pi notabili dellintero romanzo nel quale il bisogno borghese di esibire la villa si fa carne ed insieme
filosofia di vita: e, dunque, denotazione del vivere stesso, senza la quale essa perde
significato. Loperazione linguistica gaddiana consiste nel dare concretezza di lessico a ciascuno degli elementi ideologici tratti in gioco. Cos la fisicit trova espressione in organo rubente, visceri, interezza della persona, e poi, pituita; dallaltra parte
vengono recuperati temini della filosofia pre-illuministica entelechia consustanziale,
ancora pituita somma, recndita, noumnica. Quanto pi alta sar la designazione
filosofia tanto pi materialistico il correlato: la villa ha, cartesianamente, sede nascosta nel cervello (recndita), fonte dogni pensiero (noumnica), , insomma,
lanima (pituita somma); e, nello tempo gioiello e bargiglio gallinaceo, escrescenza
che vien fuori dallanima: oggettivazione dellidea fissa . Tale oggettivazione
possibile perch nella madre operano infaticabilmente gli ormoni (ancora corporea
fisicit) dellanagnesi che sono presupposti dal risibile luogo comune che ci
che la donna prende, viene sempre reso sotto altra forma.
3 Operando in lei...: il discorso che sinora ha riguardato solo una donna, la madre
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anagnesi: ci che donna prende, in vita lo rende: quella costanza imperterrita, quella felice ignoranza dellabisso, del paracarro, sicch, dlli e dlli,
dun cetriolo, arrivano a incoronar fuori un ingegnere; la formidabile capacit di austione, di immissione dello sproposito nella realt, che propria
dalcune meglio di esse: le pi deliberate e di pi vigoroso intelletto. Tali
donne, anche se non sono isteriche, impegnano magari il latte, e la caparbiet di tutta una vita, a costituire in thesaurus certo, storicamente reale,
un qualsiasi prodotto dincontro della umana stupidaggine: il primo che
cpiti loro fra i piedi, a non dir fra le gambe, il pi vano: simbolo efimero di
una emulazione o riverenza od acquisto che conter nulla: diploma grande,
villa, sissignora, piumacchio. C poi da aggiungere che il pi degli uomini
si comportano tale quale come loro. Ed una proprio delle meraviglie di
natura, a volerlo considerare nei modi e nei resultati, questo processo di
accumulo della volizione: lincedere automatico della sonnambula verso il
suo trionfo-catstrofe: da un certo momento in poi listeria del ripicco perviene a costituire la loro sola ragione dessere, di tali donne, le adduce alla
menzogna, al reato: e allora il vessillo dellinutile, con la grinta buggerona
della falsit, portato avanti, avanti, sempre pi ostinatamente, sempre pi
inutilmente, avverso la rabbia disperata della controparte. Sopravviene la
tenebra liberatrice, che a tutte parti rimedia.1
Impotente rabbia era in lui, nel figlio: dtole un pretesto, subito si liberava in parole, tumultuando, vane e turpi: in efferate minacce. Come urlo di
demente dal fondo di un carcere.
Qualcosa da cenare! La madre, cercando riprendersi, guard per la cucina, vuota e fredda, schiuse unanta della credenza dove lombre serano addormite su quel po di sentor di lardo e davanzi: in cucina non vera quasi
nulla, da potergli preparare nemmeno un ovo. Lo stentreo deretano delle
galline del Giuseppe ci perveniva piuttosto raramente, a una cos gloriosa
estromissione. Ne teneva pi duna, ma facevan lovo a turno: e spesso, poi,
di Gonzalo, diviene paradigma di una costante femminile (eminentemente femminile ma anche maschile): la caparbia ostinazione con cui le madri perseguono
la costituzione di un thesaurum certo, che soddisfi lorgoglio loro sia un diploma
grande, una villa, sia il piumacchio (diploma con cui si conferisce un titolo), bench
non abbia utilit alcuna oppure sia semplicimente infelicitante.
1 A tutte parti rimedia: riecheggia Inf. i, 127: In tutte parti impera.
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pancia... ci tengo... i miei fumamenti come bussolotti del lotto. Infine limprovviso
scarto sintattico costituito da dite un numero vi guardo dentro che pensiero ci sta,
che non si configura come flusso di coscienza, n come discorso diretto libero, ma
traduzione immediata del sarcasmo e della rabbia contro s stesso, contro la sua
depressione i cui motivi gli sono ignoti. E si veda il 2 capoverso che nel periodo
iniziale allinea due coordinate nelle quali non solo i sogg sono diversi ma lo sono
i contenuti, tanto che per la seconda vien da pensare che si tratti di unavversativa,
lassenza della punteggiare, per, indica piuttosto la natura di copula. Lassenza di
punteggiatura e la sintassi, volutamente incerta, caratterizzano il successivo periodo tengo duro codio io ci ho fatto... dove la bestemmia pu indicare il mutamento
logico-sintattico (bench sia impossibile stabilire se appartenga alla prima o alla
seconda frase): si passa dal momento diegetico (ma anche questo potrebbe non
essere vero, e la frase potrebbe essere un pensiero) ad un momento di spiegazione di
quella decisione di non arrendersi al bisogno fisiologico: dunque una dichiarativa,
o una causale. Io ci ho fatto... esplosione umorale ribellione, ancora, alle esigenze
del corpo, e a s stesso. Lassenza di veri e propri nessi logico-sintattici fa s che il
testo di T. si offra come una accumulazione di fatti irrazionali, apparentemente
slegati gli uni dagli altri: allineamento di impressioni ricordi luoghi comuni sentimenti e sensazioni; nei quali lunico collante possibile lio dello scrittore che cerca
identiche risonanze nel lettore. Al quale ripetutamente T. si rivolge: dovete sapere,
che fumata lettori miei !, cos timidini tuttedue che voi lettori furbacchioni non ve lo
sareste mai aspettato da un duro come me, Che ne dite lettori miei ?, sino alla richiesta
di unesplicita complicit quando narrando dellincontro con la fanciulla in unarea di servizio dellautostrada le racconta un gran numero di fandonie sulla propria
attivit e personalit: tutte menate voi che lo sapete che sono un povero diavolo con su
gli scoramenti. O alla proposta di stabilire un vero e proprio dialogo quando enuncia la teoria che i momenti di depressione vanno tenuti sotto controllo con lalcool:
se li fate raffreddare sar tutto un umor di novembre, tetro e nuvoloso e allora me la
scrivete poi voi una cartolina dallasilo degli sbalinati. Cos che il racconto sembra
farsi durante la lettura nella continua confessione-coinvolgimento al/del lettore.
Il legame scrittore-lettore fondamentale nel testo di T. giacch il coinvolgimento
avviene attorno a temi che avrebbero una qualche carica sovversiva dellordine (culturale) costituito, gli scoramenti, la pisciata, il fernet e cos via come in generale
in Altri libertini, la droga, lomosessualit ecc. e tuttavia gli spunti polemici pi
spesso abortiscono nel compiacimento per il paradosso, in un macabro narcisimo
scatologico: tanta pip che ingrosserei il delta e le valli di Comacchio; ... la testa china
a guardare il prodigio fumante; quel che salta fuori un ruttazzo, ma un ruttazzo che
sembra tremino le montagne e arrivare il terremoto; la gente ... sulla piazzetta in mezzo agli sporchi della mia pancia e ai puzzi e rumoracci sbrang dei ventoni, ol, digi
sciupada la terza guerra mondiale coi gas atomici e tutto il resto... in questo vomito
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APPENDICE
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STORIE DI PAROLE
Nel 1968 Bruno Migliorini, uno dei padri della linguistica italiana, pubblic un volumetto intitolato Profili di parole,1 nel quale riprendeva alcuni articoli apparsi su riviste ed in altri libri. In ciascuno
di essi tracciava il profilo storico di una parola; i profili erano una
settantina: alcune di quelle parole oggi, a distanza di quasi mezzo
secolo, sono entrate nel linguaggio comune, e qualcuna gi sullorlo dellobsolescenza. Qui ne riproponiamo alcune per dare, sia pure
molto sommariamente, il senso di come e di quanta storia si depositi
nel nostro linguaggio quotidiano. E di quanta storia, e quanta civilt,
si perda perdendo le parole: storia di grandi uomini certo, ma, soprattutto, storia quotidiana di semplici parlanti, che a noi pare sopravvivano nelleredit lessicale che ci hanno affidato.
Cioccolato o cioccolata?
Chi, ponendosi questa domanda, cerchi consiglio nel Nuovissimo Dizionario della lingua italiana di F. Palazzi, trover unicamente cioccolata; chi
consulti invece lEnciclopedia Italiana trover solo cioccolato.
Per verificare i titoli di merito delle due varianti, dovremo di necessit rifarci allintroduzione in Europa e in Italia della bevanda americana. Come
accaduto per la maggior parte delle piante, degli animali, degli oggetti del
Nuovo Mondo, i nomi europei di essa risalgono ai principali attori della
conquista, gli Spagnoli: nel nostro caso le varie forme dipendono dallo spagnolo chocolate, che era maschile.
1 Firenze, Le Monnier, 1968; ma cfr. anche Parole dautore (Onomaturgia), Firenze, Sansoni, 1975. Brevi storie di parole si troveranno nei vocabolari etimologici
come ad esempio quello di M. Cortellazzo-P. Zolli, Bologna, Zanichelli, 1979.
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Di questo, poi, sappiamo che ladattamento di una parola della lingua nahuatl, cio della lingua degli Aztechi del Messico: quanto alla forma
precisa della voce messicana, rimangono delle incertezze, sulle quali non
qui il luogo di dissertare. Se risaliamo a quella che la principale fonte di
conoscenze naturalistiche sul Messico nei decenni successivi alla conquista,
cio allopera De historia plantarum Novae Hispaniae di Francisco Hernndez, il medico toledano che Filippo Il mand nel Messico per studiarne la
flora, ne concludiamo che probabilmente i conquistatori fecero confusione
tra il nome che indicava una bevanda di cacao sciolto nellacqua (lHernndez la chiama potio cacaoatl) e il nome di unaltra bevanda, preparata con
egual quantit di semi di cacao e di semi di pochotl (Bombax ceiba), e con
laggiunta di un po di mais: questa si chiamava, invece, chocolatl. Abbiamo
notizia di tante diverse bevande e misture usate dagli Aztechi che non c da
meravigliarsi se i conquistatori, semplificando, confondessero.
Nel Cinquecento si comincia appena ad aver conoscenza in Europa del
cacao e della cioccolata attraverso le notizie che ne danno i viaggiatori. Pietro Martire dAnghiera nel suo De orbe novo descrive il cacahum, arborem et fructum, e la bevanda che se ne fa, ma senza citarne il nome. Il
primo italiano che ne parli diffusamente il Carletti: giungendo a Firenze
nel 1606, di ritorno dal suo fortunoso viaggio di circumnavigazione, egli
narrava nei suoi Ragionamenti che a San Jonat e nel Guattimala crescono i frutti del cacao, e il suo principal consumo si fa in una certa bevanda,
che glindiani chiamano Cioccolate, la quale si fa mescolando dette frutte,
che sono grosse come ghiande, con acqua calda, e zucchero, e prima secche
molto bene, e brustolate al fuoco si disfanno sopra certe pietre fregando
il pestello, che anchesso di pietra, per lo lungo sopra detta pietra piana e
liscia, e cos si viene a formare in una pasta, che disfatta nellacqua serve di
bevanda, che susa comunemente bere per tutti i naturali del paese; e aggiunge che anche gli Spagnoli vi si assuefanno talmente da non riuscir poi a
farne a meno. I Ragionamenti del Carletti circolarono qua e l manoscritti,
e furono pubblicati solo nel 1701: presso il Magalotti (che possedeva loriginale, oggi perduto) il Redi lesse la descrizione pi su riportata.
Nel 1620, il Franciosini compilando il suo Vocabolario espaol e italiano, registrava cacao, spiegandolo come una noce, o nocciuola, della quale
glIndiani fanno una bevanda, che chiamano cioccolate, e sotto chocolate
glossava una bevanda Indiana (solo in edizioni successive aggiungendo
detta cioccolate). Qualche Spagnolo reduce dAmerica avr certo por
tato con s per curiosit dei semi di cacao, ma solo pi tardi da credere che
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Vadoprassi, ovvero il T,
Medicine cos fatte
Non saran giammai per me
nelle sue Annotazioni al ditirambo (1685), dopo aver dato notizia delluso che se ne fa in Europa ( diventato comunissimo e particolarmente
nelle Corti de Principi, e nelle Case de Nobili), e aver parlato dei nuovi
aromi introdotti nella bevanda alla corte di Toscana, registra le varianti del
nome: in nostra lingua luso ha introdotte le voci Cioccolatte, Cioccolate,
Cioccolata e Cioccolato.
Anche in latino (dato che non solo parecchie delle dissertazioni teologiche e mediche a cui accennavamo sono scritte in latino, ma anche poemetti in vario metro) fu necessario dare un nome alla cioccolata: e le varianti
sono numerosissime: chocolates, cocolates, cuculates, chocolata, cocolata, ecc.
In quella che forse la pi autorevole fra le dissertazioni teologiche, se non
altro perch composta da un principe della Chiesa, la De chocolatis potu
diatribe del cardinale F. M. Brancaccio, si legge nella prima edizione (che
fu pubblicata senza data ma del 1662), chocolates al femminile, mentre le
successive ristampe (nel 1664, e poi con altre Dissertationes del cardinale nel
1672) portano chocolates al maschile. Invece lode del p. Ferroni che accompagna la dissertazione, forse per opportunit metrica, canta la cioccolata
nettare celeste chiamandola chocolata: Aethereum chocolata nectar, e il
p. Forzoni inviter cos il Redi a lodare la bevanda:
Quare age, culte Redi, cocolatem tollere cantu
Incipe, namque illi haec gloria sola deest.
Se questinvito non fu accolto dal Redi, altri molti non tardarono a rispondere allappello: nei primi decennii del Settecento la cioccolata uno
fra gli argomenti pi comuni della poesia ditirambica e anacreontica la quale, auspice lArcadia, imperversava. Scrivono poemetti il Ghivizzani, il Piazza, il Baruffaldi, il Giuntini: fra i tanti ne ricorderemo qui due soli, anche
perch ci mostrano il formarsi di un luogo comune, lenumerazione dei vari
nomi, attraverso unamplificazione delle citate note del Redi.
[] Luso incerto, e i richiami degli scrittori a questa oscillazione durano ancora a lungo: in una delle sue commedie il Fagiuoli dice: Il cioccolato, o sia il cioccolatte, detto comunemente la cioccolata; il Parini preferisce cioccolatte nei notissimi versi del Giorno, quando al giovin signore che
voglia porger dolci allo stomaco fomenti consiglia:
Scegli il brun cioccolatte, onde tributo
Ti d il Guatimalese, e il Caribeo
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medico sono cadute nelloblio: questa invece, forse perch egli non faceva che formulare un uso che cominciava a delinearsi, ha avuto una certa
fortuna nelluso generale (salvo che, dovegli diceva cioccolate noi diciamo
cioccolato).
Si tenga presente la diffusione grandissima, in quasi tutta lItalia, della
forma popolare cioccolata per la bevanda; e si veda daltro lato con quale
uniformit glindustriali usino la forma cioccolato per il preparato in tavolette: negli avvisi pubblicitari si legge quasi costantemente cioccolato.
Luso delle due forme storicamente giustificatissimo, e daltra parte
la differenza fra cioccolata in tazza e cioccolato in tavolette (o in polvere)
funzionalmente utile; la diffusione che essa ormai ha nel campo industriale
ci fa credere che sia destinata a imporsi generalmente.
Cosmetica
Ora che sono di moda, nella scienza e nella fantascienza, i problemi del
cosmo e della cosmonautica, il significato universale della parola cosmo
e dei suoi derivati, sta sopraffacendo laltro meno ampio significato riferito
soltanto alla Terra, quale si aveva per esempio nella parola cosmopolita.
E la cosmetica e i cosmetisti che centrano? Il divario fra i due concetti,
quello di universo e quello di cura della bellezza femminile sembra
cos grande che nessun artificio etimologico pu arrivare a riconnetterli.
Non si tratta, veramente, di pi o meno lunghi salti di canguro: i vecchi
etimologisti si accontentavano di rassomiglianze e di raccostamenti magari
fortuiti, noi dobbiamo invece pretendere riconnessioni storicamente dimostrabili. E basta aprire un vocabolario greco per vedere che la parola kosmos
(con i suoi derivati) significa in generale ordine: un ordine che pu riferirsi agli ordinamenti statali (e a determinate magistrature, in singoli luoghi
dellantica Grecia), oppure allordinamento della Terra o delluniverso, ovvero alladornamento di uomini e cose e, pi spesso, allacconciatura delle
donne.
Nelle lingue europee moderne, mentre si assunto cosmo nel significato cosmologico, i derivati hanno preso unaltra strada: anzich riferirsi
agli adornamenti della moda si sono applicati alle risorse della medicina e
delligiene per mantenere il corpo giovane e bello. Si cominciato ad adoperare laggettivo cosmtico; poi si ricorsi alle due parole sinonime, che
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anchesse gi esistevano in greco, la cosmsi e la cosmetica (cio larte cosmetica). Recentissimo invece il derivato cosmetista, accorciamento abbastanza
legittimo di cosmeticista. Parole tutte la cui parentela con lantico kosmos
indubitabile.
Glamour
Quelli che adoperano la parola glamour aggiungono spesso, quasi a scusarsene, che intraducibile. Ma forse, dopo aver visto letimologia della
parola, e altri vocaboli che presentano cambiamenti di significato paralleli,
si potranno trovare parole che le corrispondono abbastanza da vicino.
Glamour non ve ne meravigliate unalterazione di grammatica.
Il nome della grammatica e quello dei grammatici ha avuto nel Medioevo
fortune assai varie: ora hanno preso valore spregiativo (pedanteria e simili),
talvolta, invece, favorevole. Una delle vie prese dal vocabolo tipicamente
rappresentata dalla parola francese grimoire, che vuoi dire libro di stregoneria: si era partiti dallidea di libro scritto in latino (e perci incomprensibile al volgo), arrivando a quella di libro scritto con segni misteriosi,
cabalistici. Si pensi, del resto, che nellitaliano antico il vocabolo i caratteri
o le carattere voleva similmente dire segni magici.
In Scozia la parola prese la forma di glamour o glamer, e il preciso significato di incantesimo; ed uno dei tanti termini di colore locale
scozzese di cui Scott cosparse i suoi romanzi.
Vediamo ora quello che successo a parecchie di quelle parole che indicavano opera di stregoneria. Charme e charmer erano nel Medioevo operazioni magiche che rischiavano di condurre al rogo quelli che le eseguivano;
e del resto charme risale direttamente al latino carmen, che proprio, nel
suo primo significato, la formula ritmica che serve per produrre un incantesimo. Ma nel Seicento, il secolo in cui pi impervers la metafora, charme e
charmer cominciano ad essere riferiti alla bellezza femminile che esercita la
sua forza magica, incantatrice sugli uomini; e come le metafore il sole han
consumato, cos charme, charmer, charmant sono diventate parole banali.
Identica la storia di incanto, incantare, incantevole, incantesimo, che
negli scrittori del Trecento e del Cinquecento si riferiscono solo alle arti
magiche, e fra il Seicento e il Settecento allargano il loro significato.
Pure analogo, ma ancor pi recente, lindebolimento di fascino (che
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prima voleva dire iettatura, malocchio); e cos quello di mala, maliarda, malioso.
Non diversi, infine, sono stati i passi che glamour ha fatto in inglese passando dallidea di ((formula magica)) a quella di bellezza incantatrice,
ed estendendosi poi ad indicare qualunque specie di fascino, da quello
delle belle fanciulle pubblicitarie alla curiosit turistica che spinge a fare un
viaggio in Oriente o a cercare una piccola taverna sconosciuta. Anche in italiano, fascino e malia hanno subto estensioni non molto diverse, e mi pare
che possano tradurre glamour, sia pure con quel tanto di approssimazione
che per concetti vaghi come questo inevitabile.
Vorremo concludere, richiamandoci alletimologia, che la grammatica
equivale al glamour? No, perch tutti sanno che le parole possono cambiare
interamente di significato, fino a indicare il contrario di quello che volevano
dire un tempo. Tuttavia, non vi sembra che anche queste escursioni attraverso la grammatica abbiano un poco di glamour?
O.K.
Sullorigine di questa sigla, che senzalcun dubbio il pi diffuso fra tutti quanti gli americanismi, si discusso a lungo, negli Stati Uniti e fuori. Ma
solo a poco a poco si giunti a datare con esattezza i primi esempi, e infine a
raggiungere una soluzione che probabilmente la definitiva.
Gi si sapeva dal Supplemento al grande dizionario di Oxford e dallAmerican Language del Mencken (4a ed., New York, 1936, pi volte ristampato), che la sigla era apparsa in occasione dellelezione presidenziale del
1840, in ambiente democratico. Soltanto poco tempo fa, con una paziente
lettura dei quotidiani di quellanno, A. W. Read riuscito a risolvere il piccolo enigma (The Evidence on O. K., in Saturday Review of Literature,
1 luglio 1941, pp. 311), e il Mencken ne riferisce e ne accetta le conclusioni
nellampio volume in cui raccoglie molte aggiunte e correzioni alla sua opera fondamentale (American Language. Supplement 1, New York, 1945, pp.
269279).
Ferveva dunque, nel 1840, la lotta per le elezioni presidenziali: il presidente allora in carica (lottavo, Martin van Buren) aveva presentato la sua
candidatura per la rielezione. Dal villaggio in cui era nato, si era foggiato per
designare il presidente il soprannome di mago di Kinderhook (come,
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R agazze-squillo
Nel 1953, i giornali degli Stati Uniti erano pieni degli scandali suscitati
dalla scoperta a New York di unorganizzazione di callgirls. Ora in Italia
sono apparse alla ribalta dellopinione pubblica le ragazzesquillo. A occhio
e croce ci sembra si tratti di un calco dellespressione inglese. La quale si
teneva sulle generali, perch to call pu voler dire chiamare in generale
oppure chiamare per mezzo del telefono: tant vero che prima delle
equivoche callgirls cerano degli innocentissimi callboys con la funzione di
paggi dalbergo, pronti ad accorrere ad un suono di campanello. In italiano
la comunicazione telefonica stata in questo caso indicata per mezzo di
quella fra le molte azioni concomitanti che pi imperiosamente richiama
lattenzione.
Non si sarebbe potuto dire ragazzetelefono, o addirittura, con un prefissoide di stile Novecento, fonoragazze, proprio perch la prima idea che
queste parole avrebbero indebitamente suscitato sarebbe stata quella delle
centraliniste telefoniche.
Daltra parte, per esprimere le idee che si riferiscono allamore socialmente riprovevole, gli uomini dacch mondo mondo (stavo per dire dacch mondo immondo) hanno sempre avuto una particolare ingegnosit
nel cercare parole nuove, con lo scopo di far capire di che si tratta senza
dirlo crudamente: Non costa nulla diceva La Fontaine chiamar le cose
con parole onorevoli.
Sono molte cos non solo le locuzioni che semplicemente sottintendono senza dire (una di quelle), ma espressioni che portano luditore o
il lettore al concetto a cui si mira attraverso una rapida concatenazione di
pensieri: una donna di molto buon cuore o di grande filantropia,
una Maddalena non ancora pentita, una che per vivere deve ricorrere
alla propria bellezza e cos via.
C un rischio in questa ricerca di eufemismi: che la volgarit del significato proprio inesorabilmente emerga di sotto al velo, e dopo un certo tempo renda il vocabolo cos triviale da non essere pi pronunziabile tra gente
per bene. Si pensi al significato primitivo di uno qualsiasi dei nomi che indicavano quelle signore (p. es. cortigiana o mondana o traviata) e si vedr
che in origine era, almeno letteralmente, presentabilissimo. In francese si
arrivati al punto che per dire ragazza non si pu pi dire figlia (fille)
ma bisogna dire giovane figlia (jeune fille), perch la parola semplice si
insudiciata.
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SOMMARIO
PARTE PRIMA 5
Dante Alighieri e linvenzione della lingua 7
La funzione sociale della lingua 24
PARTE SECONDA35
Cenni di storia della lingua 37
Dal 300 all 80038
Il 900 47
Tra questione della lingua e didattica della lingua 55
Lingua scritta e lingua parlata 58
Litaliano doggi tra oralit e scrittura61
I prestiti71
PARTE TERZA 87
Dante Alighieri 89
Convivio I, III, 3-11 (1304)89
Divina Commedia - Inferno, i, 1-27 (1304-1308) 91
Dino Compagni 94
Cronica della cose occorrenti ai tempi suoi, i, 21 (1310-12) 94
Giovanni Boccaccio 96
Decameron ii, 5 (1348) 96
Francesco Petrarca 98
Canzoniere 16 (1366-94)98
Leon Battista Alberti 100
Della famiglia, l. i (1433-34) 100
Niccol Machiavelli 103
Mandragola (1519) 103
Ludovico Ariosto 107
Orlando Furioso l.i (1532) 107
Paolo Sarpi 108
Istoria del Concilio tridentino vi, x (1619) 108
Cortese, Giulio Cesare 111
Li travagliusi ammuri de Ciullo e Perna (1614) 111
Parini Giuseppe 112
Orazione inaugurale (1769) 112
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