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IL PIRATA FANTASMA

Un lento saluto con la mano basta a frenare la curiosit dei


pochi barcaioli dell'isola che deviano dalla loro rotta per
avvicinarsi e vedere da vicino il mio nuovo gozzo ancora
odoroso di flatting fresco.
Me ne sto ancorato a un centinaio di metri dalla scogliera
di Cala Francese in compagnia di due lenze imposte, un
ponentino da girasole in una tiepida giornata di maggio e
questo taccuino su cui mi accingo a scrivere del caso pi
particolare che mi sia capitato in carriera. Ho previsto che
in un paio di giorni dovrei riuscire a finirlo, considerando
anche numerosi spuntini di pane secco quando le onde
cominciano a darmi la nausea.
Poi decider se recapitarlo a chi so io.
E comunque, anche dovessi metterci di pi, non ha
importanza: ora sono in pensione! Mi ci devo abituare,
ancora non ci credo!
Dopo il caso del pirata fantasma ho capito che la cosa
migliore che avrei potuto fare sarebbe stata quella di
ritornare al mio paese, alla mia isola, alla terra che
custodisce le mie radici. Cos ho chiesto il pensionamento
anticipato e in qualche mese il Comando ha dato parere
positivo. Ed eccomi qui, su questo splendido guscio
galleggiante.
Non rimpiango di aver lasciato l'isola, da ragazzo, per
lavoro. Il lavoro lavoro e sono stato fortunato ad averne
uno buono, coi tempi che corrono, che mi ha dato
soddisfazioni e che mi ha permesso di vedere molte
localit del continente.
Quando ho vinto il concorso, speravo di entrare nella
sezione investigativa del Corpo di Polizia; invece sono

finito nella sezione stradale e qui ho trascorso tutta la mia


professione. Vorrei poter affermare che andata bene cos,
ma il caso del pirata fantasma, che considero l'apice della
mia carriera, dimostrerebbe al contrario un'attitudine
investigativa.
Quello che stato l'ultimo trasferimento di servizio mi ha
portato in una cittadina che non conoscevo, tra Venezia e
Padova, sul fiume Brenta, il cui nome non prometteva
niente di buono: Dolo. Maledettamente distante dalla
stazione ferroviaria, Dolo si pregia di una chiesa
imponente,

un

ospedale

affermato,

un

molino

graziosissimo sul fiume, uno squero ma nessuna piazza


principale, solo qualche anfratto concesso dal traffico
dilagante.
Ho trovato subito in affitto un grazioso trilocale in un
condominio di colore giallo con un poggiolo spazioso per
il mio gatto in una zona tranquilla in prossimit del centro,
talmente comoda da consentirmi di raggiungere a piedi la
Questura. A confronto del caos immane delle grandi citt,
vissuto e constatato di persona, Dolo era pulito e piuttosto
ben organizzato, premesse davvero importanti per poter
lavorare bene.
Non c' voluto molto per capire che l'attivit sarebbe stata
intensa, difatti gli incidenti stradali erano in percentuale
maggiore rispetto ai comuni di proporzioni simili; ma ci
dipende da vari parametri, tipo le caratteristiche della
viabilit e dell'urbanizzazione, il numero di veicoli procapite, l'et media degli abitanti, eccetera.
A pensarci ora, in questa calma e con di fronte
un'orizzonte meraviglioso merlettato di isole e isolotti
emersi dal mare cobalto, nemmeno ricordo come ho
cominciato a notarlo. Forse da un dialogo telegrafico col

meccanico dell'officina.
Gran parte delle automobili che subivano un incidente
aveva l'elettronica danneggiata. Parlo di incidenti di una
certa gravit, non le collisioni nel traffico paesano. S: mi
pare che la prima volta sia stato l'operatore del carro
attrezzi. Ripeteva che l'auto incidentata che bloccava la
viabilit andava rimossa sollevandola dall'estremit
anteriore perch lo sterzo era bloccato, nonostante
apparisse integro, a causa del sicuro danneggiamento della
scheda elettronica. Robe che non succedono con le
vecchie auto, a carburatore per intenderci, come la mia
AutoBianchi. L per l non ci ho fatto poi tanto caso.
Tuttavia cominciavo a notare che queste centraline si
rompevano e spesso. Erano gli incidenti? O forse erano
esse stesse a provocarli? Voglio dire: mettiamo che lo
sterzo impazzisca viaggiando a novanta all'ora in
superstrada alle sei della sera. Che possibilit hai di
salvarti?
Le onde cominciano ora a sorridermi di schiuma bianca
che diventa argentata quando passa una nuvola; una
situazione incomparabile al grigiore del traffico urbano. Ci
voleva proprio: profumi di ginepro, mirto e lentischio che
danzano con la salsedine!
L'elettronica fa parte del progresso e viene considerata
sempre pi indispensabile. Ma quando d problemi
difficile stabilirne le motivazioni e prevederne gli effetti.
Vanno quindi adottate delle precauzioni non sempre
verificabili. L'acquisto di un nuovo cellulare e la lettura
del manuale per l'utilizzo in sicurezza mi aveva addirittura
preoccupato

per

quanto

riguarda

le

possibili

smagnetizzazioni di carte di credito o, peggio, l'induzione


all'accensione e all'esplosione di sostanze infiammabili.

Pericolose interazioni invisibili.


Una notte, nello sbalzo di misteriosa lucidit che talvolta
anticipa

il

sonno,

avevo

ricordato

quel

mattino

all'aeroporto di Malpensa. Quel periodo ero di istanza a


Brescia e rientravo dal corso di aggiornamento tenutosi a
Roma. Atterrato alle prime luci del giorno, avevo preso un
autobus urbano per raggiungere la stazione ferroviaria pi
vicina. Scelta economica ma, quella volta, infelice.
L'autobus aveva dovuto deviare dal percorso ordinario per
una corsa ciclistica; per minimizzare il ritardo, si era
immesso nelle stradine che circoscrivevano il perimetro
dell'aeroporto. Sul pi bello, incrociando sopra la testa un
jet discendente e incredibilmente vicino, un botto breve e
appena udibile nel boato aeronautico seguito da black out
delle luci interne e dallo spegnimento del motore avevano
decretato la fine del tragitto in autobus. Che l'autista
avesse imputato il disguido alla centralina elettronica mi
aveva poco importato perch non vedevo l'ora di arrivare a
casa. Quella notte invece aggiunse un tassello importante
alla costruzione psicologica che possiamo chiamare
convinzione.
Per le prime avevo condiviso coi colleghi la mia nuova
convinzione, non con la presunzione di un assioma, ma
come preoccupante casistica. Ovvio che la stragrande
maggioranza degli incidenti automobilistici avviene per
negligenza delle norme di sicurezza, per iniziative
irrazionali e, sempre pi spesso, per follia. Conducenti
irrispettosi del codice della strada e del prossimo che
impongono a danno di tutti la propria incompetenza,
impazienza o frenesia. Creando scompiglio e morte.
Nel tempo avevo notato un peggioramento della
condizione sulle strade, alla faccia del progresso. Citt in

cui esser pedone significa esporsi al vertice della


vulnerabilit perch, come nel medioevo, egli non dispone
dell'armatura, oggi rappresentata dal telaio dell'abitacolo
su quattro (o due) ruote, incapace comunque di donare
l'immortalit.
L'incidenza degli infortuni dovuti a problemi di elettronica
era quindi una piccola questione. E infatti i miei colleghi
non erano rimasti incantati dalla mia constatazione
tecnica, al pi allargavano le braccia. S, non c'era granch
da fare, probabilmente l'industria automobilistica stava gi
occupandosi della faccenda immettendo nel mercato
prodotti nuovi e migliori.
Non sempre vero che chi dorme non piglia pesci! Tutto
preso dai miei pensieri e da questo taccuino, una frustata
ad una lenza imposta mi ha ricordato che quando il
momento propizio i pesci abboccano ed emergono alla
luce del sole. Ed quello che accaduto in seguito
all'incidente del figlio del gestore del bed & breakfast di
Capriccio di Vigonza, finito con la sua Audi sportiva
diritto nel canale di irrigazione della strada provinciale 45
ed uscitone miracolosamente illeso dall'abitacolo. Ad
eseguire il sopralluogo fummo inviati Trevisanato ed io.
Nella nebbia dell'alba padana, avevamo rimarcato con
vernice bianca le tracce dei pneumatici nel punto di uscita
dalla carreggiata, in un tratto privo di guard rail.
L'ambulanza aveva gi prelevato il ragazzo, Trevisanato
faceva fluire il traffico, io discutevo coll'operatore del
soccorso stradale della manovra di estrazione dell'auto dal
fossato, quando notai che la zona dell'incidente era isolata,
non un'abitazione o casolare o un capannone, condizione
piuttosto rara per la Riviera del Brenta.
Quei giorni avevo preso la meditativa abitudine di

trascorrere nel dopo lavoro una mezz'oretta alla locanda


Al Molino per sfogliare il giornale, sorseggiare un
bicchiere di recioto e godermi la frescura indotta dai
gorgoglii del fiume. Una situazione ideale per fare
congetture sugli accadimenti quotidiani irrisolti.
Tre giorni dopo l'avventura del fossato fui chiamato
d'intervento per un incidente tra Cazzago e Borbiago,
strada statale 26. Un tir aveva tamponato un'utilitaria.
Dinamica

apparentemente

elementare:

per

una

disattenzione o non rispetto della distanza di sicurezza il


tir non aveva fatto a tempo a frenare ed era finito per
schiacciare l'utilitaria da dietro. Il conducente del tir per
continuava

ripetere

che

l'auto

aveva

frenato

improvvisamente e senza motivazione, oltrettutto con gli


stop posteriori non funzionanti. Tipico cedimento del
sistema

elettronico

dell'utilitaria,

pensai

subito.

Il

conducente dell'auto aveva perso conoscenza, quindi


nessuna conferma o smentita poteva arrivare da lui. Feci
un giro su me stesso, ma gi conoscevo la risposta.
Indovina? Nessuno attorno, solo campi pi o meno
coltivati, desolazione assoluta. Quindi minor numero
possibile di potenziali testimoni.
Cominciavo a intravvedere uno schema.
Ammettiamo

per

un

momento

che

qualcuno,

presumibilmente un esperto di elettronica, abbia la facolt


di interferire a distanza con le centraline elettroniche delle
automobili, fino a poterle danneggiare, con un congegno
di invenzione propria o gi esistente sul mercato e
modificato

all'uopo.

Mettiamo

anche

che,

per

agghiacciante divertimento, questo qualcuno si appostasse


in aree non urbanizzate e prive di possibili interferenze
esterne, ad orari estremi, come la notte o le prime luci

dell'alba, e si mettesse a giocare con l'incolumit delle rare


auto in circolazione, attivando il congegno a distanza. Chi
mai avrebbe potuto scoprirlo? Con tutte quelle che
succedono ogni giorno sulle strade. Salvo errori tanto
ecclatanti da richiamare l'attenzione dell'Investigativa,
questo vero pirata avrebbe potuto esercitare indisturbato
per anni!
Per festeggiare l'elucubrazione appena descritta potevo
permettermi un tostone farcito e patatine fritte, oltre
all'usuale bicchiere di recioto, e il vento temporalesco che
spirava sulla terrazza del Molino pareva la pi dolce delle
melodie.
Mi sa che ora mi concedo un pausa: sgranocchier un po'
di pane e approfitto per spostarmi di qualche decina di
metri sottocosta: non vorrei scarrocciare pi di tanto e
finire nella rotta dei barconi turistici.
Rieccomi qui, dal mio guscio galleggiante. Aver interrotto
l'abbrivio narrativo mi fa riflettere sulla fragilit delle mie
ipotesi e su una certa forzatura delle connessioni che
convergono a identificare in una persona estranea il
responsabile di molti incidenti d'auto avvenuti di recente
nel territorio di confine tra la provincia di Padova e di
Venezia. Infatti non avevo verificato le cause pi
plausibili, tipo la presenza nei luoghi imputati di ripetitori
telefonici o altre fonti di forte emissione elettromagnetica,
cosa che comunque poteva esser indagata in qualsiasi
momento dall'archivio catastale. Non rimaneva che
affinare la raccolta di dati con le casistiche che si
sarebbero inevitabilmente presentate.
Il protocollo personale degli infortuni pi rilevanti per le
mie indagini era il seguente: incidenti d'auto con solo
conducente imputabili ad alta velocit o distrazione o

colpo di sonno, senza coinvolgimento di altri veicoli,


avvenuti di notte o alle prime luci del giorno nel territorio
di mia competenza, in zone poco densamente abitate e
lontane da fonti di emissione elettromagnetica perlomeno
conosciute. Il campo di azione cos si restringeva. Ogni
chiamata di intervento che rientrava in questo contesto
diveniva per me fonte di eccitazione. Cominciai perfino ad
allontanarmi dal veicolo incidentato ed estendere il
sopralluogo ad un raggio pi ampio, alla ricerca di tracce
di un eventuale appostamento per il contatto visivo o
elettronico; pratica che potevo adottare solo di rado perch
non giustificabile in presenza n di Trevisanato n di
Steffinlongo, i due colleghi con cui condividevo,
alternativamente, le uscite. A un certo punto mi pareva di
saper captare con un colpo d'occhio il punto del probabile
appostamento del pirata fantasma; e in due casi avevo
trovato la stessa cartina di caramella alla liquirizia come
comun denominatore.
Per motivi inspiegabili la mia attenzione era totalmente
focalizzata sulle modalit di azione di questo pirata
invisibile. Stavo del tutto omettendo di indagare chi fosse
questo personaggio misterioso e quali motivazioni lo
spingessero a commettere azioni cos nefaste.
Decisi dunque di dedicare del tempo a conoscere i miei
nuovi concittadini, gli abitanti di Dolo, o quantomeno ad
osservarli da pi vicino. Ho messo quindi da parte per un
po' la strana forma di riservatezza che mi affliggeva, una
declinazione dell'egoismo che porta a non condividere, a
non donare, semplicemente a chiudersi e non crescere.
Invece di fossilizzarmi nelle consuetudini del Molino,
passai a frequentare il Caff Commercio o il bar Alla
Posta, a far spesa all'Al in via Cairoli invece di

allontanarmi fino ai grandi centri commerciali di Mestre e


Marghera. Proprio alla posta presi a chiacchierare col
signor Aldo, un dipendente grosso quanto l'intero sportello
che presiedeva, dotato per di vastissima cultura e molto
simpatico: conosceva vita, morte e miracoli di tutti i
residenti, probabilmente per deformazione professionale.
Il venerd mattina cercavo di non perdermi una visita al
mercato comunale, accanto al municipio, dove la gente si
accalcava, anche solo in cerca di novit o per rispetto della
tradizione. Non che mi aspettassi di beccare il pirata al
banco del pesce mentre declamava il prossimo omicidio
indotto. Cercavo per un dettaglio o una situazione
rivelante che mi desse un suggerimento per ottenere o
scovare la prova che avrebbe reso vera tutta questa storia.
Una sensazione stava crescendo in me come il mare spinto
dai venti invernali, la sensazione di presenza del pirata. Lo
avvertivo nella via successiva prima di svoltare l'angolo,
seduto nel sedile posteriore della mia auto, nell'unico
punto fermo in un vorticare di gente; lo sentivo nei luoghi
degli incidenti, riuscivo perfino ad udire il ronzio delle sue
dannate apparecchiature elettroniche.
Per fortuna ora non ho pi quell'ossessione, se avverto una
presenza l'immensit di questo cielo terso o la profondit
dei silenzi a cui la natura rende partecipi. E ora mi sa che,
dopo aver messo nero su bianco queste righe, credo
proprio di meritarmi un po' di contemplazione di tutto
questo fasto. A domani!
Le previsioni meteo per oggi davano bello, invece ho
dovuto buttar l'ancora ben all'interno della cala di Carlotto
per stare al riparo dalle sferzate di maestrale e dal mare
che sta montando. Spero per questo di non dover

anticipare il rientro. Qui per un'oasi di tranquillit e


colori e solo qualche raffica improvvisa oltrepassa le rocce
lass dando i brividi.
Avendo disponibile l'accesso al database informatico della
Stradale, avevo filtrato i nomi di coloro che avevano
subito un incidente e che, in precedenza, erano stati
responsabili di infortuni automobilistici. Ritenevo infatti
che il movente pi plausibile del pirata fosse la vendetta
per aver subto, direttamente o indirettamente, gli effetti di
un infortunio stradale. Quindi le vittime avrebbero avuto
un coinvolgimento nell'infortunio del pirata.
La lista che avevo cos ottenuto era davvero esile, solo
qualche nome che non conduceva ad alcunch. Inoltre, la
tesi della vendetta cozzava con l'ostinata serialit degli
interventi omicidi.
A mente fresca, di buon mattino, le idee arrivano con pi
velocit. Me n'ero accorto un giorno che avevo preso
l'iniziativa di far colazione in un posto nuovo, sempre
nell'obiettivo di allargare le mie conoscenze. Superato il
ponticello che definisce il confine del comune di Dolo in
direzione autostrade, avevo imboccato il rettilineo di
Cazzago di Pianiga, svoltando quasi subito al parcheggio
sulla destra, alla pasticceria Al Bacio. Gustando il caff e
quasi avvertendone lo sprint chimico che infondeva, feci
un pensiero piccolo che conteneva lo straordinario potere
della semplicit. Il pirata fantasma poteva non avere alcun
movente, poteva essere solo un pazzo intraprendente, cos
come folli erano le sue azioni. In questa eventualit,
l'unico schema seguito era solamente agire nelle
condizioni che garantissero l'impunibilit. Quindi l'unico
modo di acciuffare il pirata sarebbe stato beccarlo sul
fatto. Che voleva dire: facile come un sei al superenalotto!

Confesso che avevo provato a rinunciare a qualche ora di


sonno per effettuare giri notturni di ricognizione in
borghese, con la mia Autobianchi; partivo da casa,
raggiungevo Marghera, tornavo su per la Brentana o la
Romea, rientravo vicino a Camponogara e finivo a
Vigonza, per poi rincasare, cercando sempre strade nuove
e secondarie. Nessun risultato.
Al Bacio avevo incontrato il signor Aldo; o meglio, era
stato lui a salutarmi perch non me n'ero accorto e non me
l'aspettavo.

Lavorando

alle

poste,

pensavo

che

automaticamente frequentasse il bar Alla Posta. Mi


sbagliavo: la pasticceria presentava infinite possibilit di
variare dolcemente la colazione, questo affermava il
signor

Aldo.

Informandomi

poi

sulle

previsioni

meteorologiche fino alle due settimane venture, mi invit


alla famosa escursione sul Burchiello, il battello che
percorre l'ultimo tratto del fiume Brenta ed arriva a
Venezia, scodinzolando tra ville palladiane, palazzi
serenissimi e banchetti luculliani. Mi avvert che la
compagnia era nutrita, in tutti i sensi, e le sole miss
presenti avevano partecipato ai concorsi di bellezza
dell'anteguerra. Grande signor Aldo! Come dire di no?
I giorni passavano e le pagine dei quotidiani brulicavano
di notizie sulle tragedie delle strade, innumerevoli ma
relegati alle pagine secondarie. Trentasei anni sulle strade
e ancora non riuscivo ad abituarmi e a comprendere.
Pedoni arrotati sulle striscie, velocit da competizione in
pieno centro, manovre fatali da videogioco, patenti
vendute come kebab. Non c' un motivo razionale per
tutte queste morti, se non quello ovvio di continuare a
vendere automobili, carburante e, forse, organi.
Con tali statistiche, che volete che sia un pirata in pi? Il

piccolo contributo di un demone all'inferno.


Ho sempre pensato che sulla scala del progresso un piolo
da superare proprio quello di azzerare le vittime delle
strade; quando accadr, vorr dire che l'uomo si sar
evoluto nel rispetto reciproco, superando le tristi e ormai
famose logiche di sopraffazione.
Ma pioggia nebulizzata quella che mi ha appena
investito? O sono spruzzi limacciosi di mare arrabbiato
trasportati dal vento crescente? Eppure il sole tiene e
sorride trasmettendo tepore. E' cos confortevole starsene
in quiete mentre, dietro a quei nobili scogli gli elementi si
sbizzarriscono!
Ebbene, il signor Aldo ci aveva azzeccato: la domenica del
Burchiello un sole adriatico regalava promesse. Mi ero
pentito da subito di aver accettato l'invito mondano per
quella mini crociera. Non ero per riuscito a trovare a me
stesso una scusa plausibile per rinunciarvi. Anzi, avevo
realizzato che in oltre due anni di istanza a Dolo mai ero
stato a Venezia, neanche una volta! Una dimenticanza
enorme che non aveva alibi. Quella domenica avrebbe
potuto colmare tale lacuna. Il signor Aldo ed io
imbarcammo all'attracco di fronte a Villa Pisani.
Quel tratto del fiume Brenta, l'ultimo prima di sfociare
nella Laguna di Venezia, di una tranquillit oziosa (altro
che le acque smeraldine delle Bocche di Bonifacio che
tengono ora sospesa la mia barca); molto piacevole
veder sfilare, e visitare, le ville venete che vi si affacciano,
ancor pi se descritte nei loro contenuti storici da quel
mattacchione del signor Aldo, corteggiato senza dignit da
osannanti anzianotte agghindate da festa.
Avevo gi visitato Venezia da bambino, in gita scolastica;
e, con l'esclusione degli interni dell'Hotel Citt di Milano,

non mi ricordavo niente, s, un po' d'acqua verde scuro qua


e l.
L'ingresso nello storico Bacino di San Marco diede
stavolta un taglio di mitologica grandiosit alla bellezza
affiorata di Venezia, ancor pi memorabile se si tiene in
considerazione che il Burchiello dovette schivare una vera
nave da crociera entrante, tanto enorme da far pensare a
un'astronave interstellare hollywoodiana. Lo dissi al
capitano del nostro battello fluviale il quale, sebbene di
poche e schiette parole, contraddicendo tutte le versioni
plausibili di Aldo, aveva annuito e aveva aggiunto che
secondo lui la particolarit di Venezia era proprio dovuta
al fatto che l'avevano edificata gli alieni! Era solo l'inizio
di un raffinato battibecco tra Aldo e il capitano Scarpa,
questo il suo nome. Stavamo attraccando in Riva dei Sette
Martiri, poco oltre Piazza San Marco verso il Lido e
quindi il mare, quando Scarpa contraddisse per l'ennesima
volta Aldo (io mi divertivo moltissimo!), affermando che
il problema di Venezia non era la carenza di grossi poli
produttivi, ma la diaspora dei veneziani, di quelle famiglie
che si tramandavano da sempre i segreti della citt, ora
sradicate nei paesetti della terraferma perch asfissiate
dalla competizione dei costi imposti da una citt
pesantemente turistica. Mi immaginavo cosa avrebbe
potuto fare un maestro costruttore di gondole in un paese
come Dolo.
Aspettavamo di radunarci in Campo San Zaccaria per il
rientro, dopo che i miei compagni di viaggio avessero
scattato le foto di rito ad ogni scorcio che poteva ricordare
una cartolina, mentre quattro ragazzini giocavano a
pallone dribblando pure i passanti.
Anche resistendo al fascino conclamato della sua storica

unicit, pensavo che Venezia aveva lo stupendo vantaggio


di essere una citt senza automobili.
Da Piazzale Roma l'autobus numero 53 ci riport a Dolo
senza tanti romanticismi. La stanchezza era svanita grazie
all'ultima

dimostrazione

di

traballante

saccenza

dell'ineusaribile signor Aldo. A Dolo pieno di


veneziani.
A questo punto ho due possibilit: non rischio, cio tiro su
l'ancora, accendo il buon piccolo entrobordo e punto la
prua dritto-dritto al porticciolo di Nido d'Aquila, dove ho
occupato il posto barca che era di mio nonno; oppure
rischio, ovvero finisco di scrivere questa mia storia,
sperando che il mare non monti ancora impedendomi di
rientrare. L'esperienza (ed il Codice della Strada)
impongono di non rischiare. Questa volta mi conceder
una nautica trasgressione: mal che vada, spinger il gozzo
sulla spiaggia e torner a casa a piedi (saranno quasi otto
chilometri, che sar mai, quando arriver avr pi appetito
e far un buon sonno. Ricordati che ora sei in pensione:
evviva!).
La gita del Burchiello aveva dato una svolta decisiva alla
costruzione dell'identikit del pirata fantasma. Per questo,
forse, avevo deciso di partecipare: sapevo, magari
inconsciamente, che un piccolo viaggio esteriore e
interiore sarebbe stato rivelatore per il mistero che mi
affannava da tempo.
Su, facciamo vedere a quelli della Sezione Investigativa il
fuoriclasse a cui han rinunciato in tutti questi anni! Per
loro nemmeno esiste un protocollo intitolato Pirata
fantasma, roba da romanzi d'avventura.
Prendiamo una famiglia veneziana radicata da generazioni
nel centro antico della citt, tramandandosi di padre in

figlio il mestiere ed i segreti di uno stile di vita unico


perch imposto dall'unicit di Venezia. Mettiamo che la
casa in cui vive da sempre questa famiglia sia in affitto, un
affitto di quelli di una volta in cui poteva esserci un
rapporto di fiducia col proprietario; defunto questo,
lasciati i beni in eredit ai figli milanesi, alle nuove leve,
questi

avrebbero

preferito

capitalizzare

vendendo

l'immobile, non prima di sfrattare la famiglia veneziana.


Che pu fare una famiglia veneziana con uno sfratto
esecutivo, se non cercare una nuova abitazione non pi in
citt, dati i costi proibitivi gonfiati dal turismo? Luoghi
come Marghera e la Riviera del Brenta verso Padova
diventano nuovi orizzonti. Tra questi, Dolo ha il vantaggio
di avere un ospedale, che pu essere una comodit per le
persone anziane. Ipotizziamo infatti che la famiglia
veneziana trapiantata a Dolo sia costituita da due genitori
anziani e da un figlio tra i trenta e i quaranta anni,
talmente attaccato al territorio lagunare da non aver
nemmeno mai oltrepassato il ponte della Libert prima del
trasloco, abituato a recarsi con una mascareta a remi alla
bottega di radiotecnica e riparazioni tv del padre, attivit
storica ma senza prospettive. Il nuovo ambiente pu aver
instillato nel figlio veneziano una resistenza ad accettare i
cambiamenti imposti da ritmi inediti. A partire dalla
presenza delle automobili, per le quali avrebbe sviluppato
una vera avversione. Volete mettere il non poter pi
camminare in libert, obbligati a dover fare attenzione al
traffico di continuo, pena la propria incolumit? Ecco il
pirata!
Quali prove avevo? Nessunissima! Si trattava di
concretizzarle, partendo dall'ufficio anagrafe per ottenere
una lista dei trasferimenti di residenza, da Venezia centro

storico a Dolo, negli ultimi cinque anni; in questa,


selezionare i nuclei famigliari composti come descritto.
Avevo in mano centottantasette nomi, da Bertapelle Alvise
a Zanin Giorgio, di cui settantadue senza un'auto intestata.
Avrei potuto estendere il limite temporale, ma gi cos
l'indagine era proibitiva. Gli unici strumenti di cui
disponevo sarebbero stati i pedinamenti, da effettuarsi a
campione perch, come ribadito, operavo in totale
solitudine.
Pi le spire della ricerca si stringevano nell'ipotetico
centro della verit, maggiore era l'empatia con cui mi
legavo al pirata fantasma. Quella presenza invisibile che
avvertivo spesso era diventata complice nell'identificare e
reagire alle scelte subite nella vita. Conoscevo bene il
sentimento prodotto dall'esilio dalla propria terra, da
sempre lo caricavo in spalla ogni mattina nella sbiadita
promessa a me stesso di fare i conti una volta per tutte con
la mia volont. E intanto gli anni passavano.
Stavo cominciando seriamente a ipotizzare di mollare non
solo questa stanca caccia al pirata, ma anche di lasciare il
lavoro, di provare a chiedere il pensionamento anticipato,
comprarmi una barchetta coi soldi della liquidazione e
tornare a vivere alla mia isola. Avrei potuto compensare
l'azione investigativa con un corso di scacchi o almeno
con l'enigmistica, pi adatti ad un pensionato! D'altronde
gli inseguimenti notturni, per il primo terzo della lista,
avevano portato a belle spese di benzina non rimborsabili
a al rischio di qualche clamorosa figuraccia.
Cos presi la mia decisione. Inoltrai la richiesta al
Comando, tra l'invidia di Trevisanato e l'indifferenza di
Steffinlongo.
Come ovvio, gli incidenti stradali continuavano (e

persistono) a riproporre il supplizio quotidiano, sempre


nella mia convinzione che non tutto fosse cos decifrabile.
Al lavoro mi scoprivo spesso ad indagare sulle
caratteristiche delle barche da sei metri descritte dei
cataloghi che mi ero procurato. E la sera, se non avevo
programmi, prendevo il primo nome non depennato della
lista dei sospettati e piantonavo a opportuna distanza la
sua abitazione.
Le settimane scorrevano nel calendario della mia
scrivania. Ormai ero palesemente su di giri in attesa di una
risposta dal Comando Centrale che non potevo che
prevedere positiva. Ogni mattina aspettavo che dalla
segreteria distribuissero la posta, con un'eccitazione
sempre pi trepidante.
Fu con questa emozione che aprii la lettera senza
intestazione, all'interno un singolo foglio piegato in
quattro parti nel quale, con estrema gentilezza, mi si
chiedeva la cortesia di dedicare ad ambito pi interessante
le mie recenti ricerche. Perch non incontri nella via ci
da cui si allontana. La lettera finiva con questa frase e
non era firmata.
A prima lettura avevo colto solo la sfumatura profetica,
quasi biblica, della sentenza conclusiva. Ma quando uscii
dall'ufficio sentivo lo stomaco serrato nella morsa
dell'evidente minaccia.
Passai la notte insonne, con l'animo tormentato e la mente
asfissiata.
Quella lettera era la prima ed unica prova della teoria del
pirata fantasma. Poche righe avevano concretizzato
innumerevoli congetture silenziose.
La percepita presenza si era dilatata fino a tramutarsi in
minaccia fisica incombente.

Nel delirio notturno avevo raggiunto la certezza che il


pirata non era uno, ma aveva allestito una squadra,
un'organizzazione, forse un esercito in espansione volto a
punire col massacro i massacri delle strade, fino
all'apocalisse finale. Quella che avevo ritenuto l'iniziativa
personale, romanticamente macabra, del pirata si era
maturata in un preciso disegno sovversivo.
Nella contemplazione di un abisso cos vasto e cupo,
potevo solo fuggire e dimenticare.
Due giorni dopo ricevetti un'altra lettera, stavolta quella
tanto anelata. Da Roma davano l'OK.
Potevo tornare a casa.
E ora di farlo anche adesso. Non mi arrischio a navigare
col mare in queste condizioni. Far come ho detto. Mi
aspetta una bella camminata. Sempre valida la rima: lentosano-lontano.
E non mi arrischier neanche a inviare questo taccuino a
chi so io, l'ultimo nome della lista che avevo depennato.
L'isola piccola e di traffico ce n' solo d'estate.

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