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MILANO. Si stava rischiando, come in anni lon-
tani, lincidente con la Chiesa, ma saggiamente tutto si risolto: un prete del Duomo si intestardiva a negare lo spazio del Sagrato di piazza Duomo per i funerali di Dario Fo, poi una
riunione con il Comune di Milano e la promessa che sul Sagrato saliranno solo il feretro e i
familiari, ha evitato il peggio. Cos tutto secondo programma. Stamane, giorno di lutto
cittadino, dalle 11 il corteo funebre partir
dalla camera ardente nel Piccolo Strehler verso piazza Duomo dove alle 12 una cerimonia
laica con la Banda degli ottoni (ma chi vuole
venga con gli strumenti, invitano i familiari) saluter Fo nel cuore della citt. Parleranno un amico di famiglia, lavvocato Marchetti, Carlo Petrini come avevano chiesto il Nobel e il figlio Jacopo. Se poi dovessimo incrociare i 3500 chierichetti in arrivo per lapertu-
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sit di cambiare le cose. Sono arrivati Anna Finocchiaro, Gad Lerner, Milly Moratti, Claudia Pinelli la figlia dellanarchico Giuseppe
cui Fo dedic una delle sue pi belle commedie; non tanti dal mondo del teatro, Giulia
Lazzarini, Paolo Jannacci, Cochi, Elio De Capitani, Alessandro Bergonzoni, Claudio Bisio,
Ottavia Piccolo. Un saluto caloroso quello tra
Jacopo e il ministro Franceschini. Sono molto felice che, insieme, in un tempo relativamente breve per la pubblica amministrazione, abbiamo dato consistenza al sogno di
Franca Rame di un luogo in cui conservare la
straordinaria collezione dei due artisti.
SullArchivio di Verona stiamo progettando
nuove iniziative. Dopo i funerali (diretta
Tg1 e RaiNews 24) Fo verr sepolto nel Famedio del Cimitero monumentale, il pantheon
dei milanesi illustri. Riposer tra Franca Rame e Enzo Jannacci: roba da pellegrinaggio.
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MILANO
uello tra Dario Fo e Milano stato un sentimento intenso, ma tra entit indipendenti, che si
sbattono in faccia un amore-odio carico denergia e senza
pace. Tra questi due mondi,
quello artistico-politico di Fo, e
quello dellunica onnipoli italiana, la citt dove trovi tutto e il
contrario di tutto, non potevano
mancare ferite profonde e fratture. La pi inguaribile si chiama Palazzina Liberty: un caso
esemplare.
Chi era giovane negli anni Settanta non poteva non andare alla palazzina. Non era certo un
posto per fascisti, ma a migliaia frequentavano la vecchia sede dellortomercato, dismessa, andata in malora e occupata
da Dario Fo e Franca Rame: attori e gente dei quartieri Vittoria e
Porta Romana avevano imbiancato i muri e incollato cartoni sui
vetri rotti; e non se nerano pi
andati. Le strutture portanti, per, mettevano paura e lamministrazione comunale di allora si
comport con la Palazzina Liberty come le amministrazioni successive si comportarono con il
centro sociale Leoncavallo: ap-
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plicando la milanesissima ricetta politica delloblio.
Era sindaco Aldo Aniasi, io
ero assessore ai Parchi e giardini e racconta Paolo Pillitteri,
che sar lultimo sindaco prima
di Tangentopoli ragionavo
spesso con Fo. Quelli stanno
dentro gratis, protestava Aniasi. Ma non svegliamo il can che
dorme, dicevano gli altri, me
compreso. Cos, in attesa di una
soluzione, sono trascorsi anni e
anni, finch un esposto fece
emergere che la struttura poteva crollare sugli spettatori.
Il teatrante se ne and, subendo loffesa di una richiesta formale al collettivo teatrale La
Comune di pagare gli affitti ar-
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molti miei amici lo hanno fatto. Questa esigenza si fa ancora pi impellente quando,
come accaduto nel mio caso, la tua vita
stata messa a rischio. Inoltre, se sei un personaggio pubblico il bisogno ancora pi
forte perch si dicono di te molte cose non
vere. Per me c anche un risvolto pubblico:
quando mi sono messo a lavorare a questo li-
bro il mio Paese, la Nigeria, viveva un momento di passaggio critico: eravamo in bilico fra la possibilit di una dittatura permanente e quella di una democrazia. Volevo
che si sapesse, soprattutto volevo che i pi
giovani sapessero, quello che alcuni di noi
avevano vissuto in nome della democrazia:
la prigione, gli omicidi, le fughe, i distacchi
dalle famiglie. Ho sentito su di
me la responsabilit di proteggere la memoria di una certa
parte del Paese e della societ
perch molti non sapevano tutto quello che era accaduto.
Insieme a questo racconto ci
sono tante foto personali:
con Dario Fo, Rajiv Gandhi,
Nelson Mandela, ma anche
con i suoi familiari e i suoi
amici pi intimi,
Quella non stata unidea
mia ma del mio editore. Io gli ho
dato carta bianca, gli ho detto
solo che alla fine avrei voluto vedere quelle che pensava di pubblicare. Ed stato bello, perch
le immagini ti costringono a tornare indietro nel tempo e a pensare a chi c ancora e chi non
c pi. Come appunto la foto
con Dario Fo.
Lei ha fatto molto per il suo
Paese, e nel libro lo racconta:
fuga, esilio, condanna. Posso
chiederle se le piace quello
che diventata oggi la sua Nigeria?
So bene che del mio Paese si
parla spesso in riferimento a Boko Haram. E le voglio rispondere proprio prendendo spunto da
questo: Boko Haram non responsabilit solo della Nigeria.
Parliamo di qualcosa che tocca
tutti noi: possiamo chiamarlo
Boko Haram, Daesh, Isis, Al Shabab o come volete. Ma linsorgere della dittatura fondamentalista ci coinvolge tutti. Questi
gruppi fanno credere ai giovani
che esiste unutopia da raggiungere e che tutto ci che nel
mezzo fra la vita reale e questa
utopia deve essere distrutto per
arrivare allobiettivo il pi presto possibile. Decostruire questa visione divina deve essere
un obiettivo di tutti, non solo
della Nigeria. Oggi nel mio Paese sta passando finalmente lidea che il nemico il fondamentalismo: che sia cristiano o musulmano non importa. il fondamentalismo che tutti noi dobbiamo fermare: credo che Dario
Fo sarebbe daccordo. La sua
morte una grande perdita per
tutta lumanit.
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