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Pier Paolo Pasolini: Il cinema, l'amore & Roma
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Pier Paolo Pasolini: Il cinema, l'amore & Roma

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“Pensiamo un momento solo alla fondamentale importanza che ha sempre avuto nella cultura occidentale l’amore; come dall’amore siano venute le grandi costruzioni dello spirito, i grandi sistemi conoscitivi; e vedremo che l’omosessualità ha avuto nella vita di Pasolini a Roma lo stesso ruolo che ha avuto l’eterosessualità in quella di tante vite non meno intense e creative della sua. Forse una simile operazione era riuscita in passato soltanto a Rimbaud a Paris”. Alberto Moravia
LanguageItaliano
Release dateApr 27, 2023
ISBN9788876069512
Pier Paolo Pasolini: Il cinema, l'amore & Roma

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    Pier Paolo Pasolini - Gordiano Lupi

    Prefazione

    Chi era, che cercava Pasolini?

    Ma che cosa aveva in mente?

    «L’Espresso». Articolo del 9 novembre 1975.

    Alberto Moravia

    Pensiamo un momento solo alla fondamentale importanza che ha sempre avuto nella cultura occidentale l'amore; come dall'amore siano venute le grandi costruzioni dello spirito, i grandi sistemi conoscitivi; e vedremo che l'omosessualità ha avuto nella vita di Pasolini lo stesso ruolo che ha avuto l'eterosessualità in quella di tante vite non meno intense e creative della sua. Accanto all'amore, in principio, c'era anche la povertà. Pasolini era emigrato a Roma dal Nord, si guadagnava la vita insegnando nelle scuole medie della periferia. È in quel tempo che si situa la sua grande scoperta: quella del sottoproletariato, come società rivoluzionaria, analoga alle società protocristiane, ossia portatrice di un inconscio messaggio di ascetica umiltà da contrapporre alla società borghese edonista e superba. Questa scoperta corregge il comunismo, fino ad allora probabilmente ortodosso di Pasolini; sarà un comunismo populista, romantico, cioè animato da una pietà patria arcaica, non comunismo quasi mistico, radicato nella tradizione e proiettato nell'utopia. È superfluo dire che un comunismo simile era fondamentalmente sentimentale. Perché sentimentale? Per scelta, in fondo, culturale e critica; in quanto ogni posizione sentimentale consente contraddizioni che l'uso della ragione esclude. Ora Pasolini aveva scoperto molto presto che la ragione non serve ma va servita. E che soltanto le contraddizioni permettono l'affermazione della personalità. Ragionare è anonimo; contraddirsi, personale.

    Le cose stavano a questo punto quando Pasolini scrisse Le ceneri di Gramsci, La religione del nostro tempo, Ragazzi di vita, Una vita violenta ed esordì nel cinema con Accattone. In quel periodo, che si può comprendere tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, Pasolini riuscì a fare per la prima volta nella storia della letteratura italiana qualche cosa di assolutamente nuovo: una poesia civile di sinistra. La poesia civile era sempre stata a destra in Italia, almeno dall'inizio dell'Ottocento a oggi, cioè da Foscolo, passando per Carducci su su fino a D'Annunzio. I poeti italiani del secolo scorso avevano sempre inteso la poesia civile in senso repressivo, trionfalistico ed eloquente. Pasolini riuscì a compiere un'operazione nuova e oltremodo difficile: il connubio della moderna poesia decadente con l'utopia socialista. Forse una simile operazione era riuscita in passato soltanto a Rimbaud, poeta della rivoluzione e tuttavia, in eguale misura, poeta del decadentismo. Ma Rimbaud era stato assistito da tutta una tradizione giacobina e illuministica. La poesia civile di Pasolini nasce invece miracolosamente in una letteratura da tempo ancorata su posizioni conservatrici, in una società provinciale e retriva.

    Questa poesia civile raffinata manieristica ed estetizzante che fa ricordare Rimbaud e si ispirava a Machado e ai simbolisti russi, era tuttavia legata all'utopia di una rivoluzione sociale e spirituale che sarebbe venuta dal basso, dal sottoproletariato, quasi come una ripetizione di quella rivoluzione che si era verificata duemila anni or sono con le folle degli schiavi e dei reietti che avevano abbracciato il cristianesimo. Pasolini supponeva che le disperate e umili borgate avrebbero coesistito a lungo, vergini e intatte con i cosiddetti quartieri alti, fino a quando non fosse giunto il momento maturo per la distruzione di questi e la palingenesi generale: pensiero, in fondo, non tanto lontano dalla profezia di Marx secondo il quale alla fine non ci sarebbero stati che un pugno di espropriatori e una moltitudine di espropriati che li avrebbero travolti. Sarebbe ingiusto dire che Pasolini aveva bisogno, per la sua letteratura, che la cosa pubblica restasse in questa condizione; più corretto è affermare che la sua visione del mondo poggiava sull'esistenza di un sottoproletariato urbano rimasto fedele, appunto, per umiltà profonda e inconsapevole, al retaggio di un'antica cultura contadina.

    Ma a questo punto è sopravvenuto quello che, in maniera curiosamente derisoria, gli italiani chiamano il boom, cioè si è verificata a un tratto l'esplosione del consumismo. E cos'è successo col boom in Italia, e per contraccolpo nella ideologia di Pasolini? È successo che gli umili, i sottoproletari di Accattone e di Una vita violenta, quegli umili che nella Passione secondo Matteo Pasolini aveva accostato ai cristiani delle origini, invece di creare i presupposti di una rivoluzione apportatrice di totale palingenesi, cessavano di essere umili nel duplice senso di psicologicamente modesti e di socialmente inferiori per diventare un'altra cosa. Essi continuavano naturalmente a essere miserabili, ma sostituivano la scala di valori contadina con quella consumistica. Cioè, diventavano, a livello ideologico, dei borghesi. Questa scoperta della borghesizzazione dei sottoproletari è stata per Pasolini un vero e proprio trauma politico, culturale e ideologico. Se i sottoproletari delle borgate, i ragazzi che attraverso il loro amore disinteressato gli avevano dato la chiave per comprendere il mondo moderno, diventavano ideologicamente dei borghesi prim'ancora di esserlo davvero materialmente, allora tutto crollava, a cominciare dal suo comunismo populista e cristiano. I sottoproletari del Quarticciolo erano, oppure aspiravano, il che faceva lo stesso, a essere dei borghesi; allora erano o aspiravano a diventare borghesi anche i sovietici che pure avevano fatto la rivoluzione nel 1917, anche i cinesi che avevano lottato per più di un secolo contro l'imperialismo, anche i popoli del Terzo mondo che una volta si erano configurati come la grande riserva rivoluzionaria del mondo. Non è esagerato dire che il comunismo irrazionale di Pasolini non si è più risollevato dopo questa scoperta. Pasolini è rimasto, questo sì, fedele all'utopia, ma intendendola come qualche cosa che non aveva più alcun riscontro nella realtà e che di conseguenza era una specie di sogno da vagheggiare e da contemplare ma non più da realizzare e tanto meno da difendere e imporre come progetto alternativo e inevitabile.

    Da quel momento Pasolini non avrebbe più parlato a nome dei sottoproletari contro i borghesi, ma a nome di se stesso contro l'imborghesimento generale. Lui solo contro tutti. Di qui l'inclinazione a privilegiare la vita pubblica, purtroppo borghese, rispetto alla vita interiore, legata all'esperienza dell'umiltà. Nonché una certa ricerca dello scandalo non già a livello del costume ma a quello della ragione. Pasolini non voleva scandalizzare la borghesia, troppo consumistica ormai per non consumare anche lo scandalo. Lo scandalo era diretto contro gli intellettuali, che, loro sì, non potevano fare a meno di credere ancora nella ragione. Di qui pure un continuo intervento nella discussione pubblica, basato su una sottile e brillante ammissione, difesa e affermazione delle proprie contraddizioni. Ancora una volta Pasolini si teneva alla propria esistenzialità, alla propria creaturalità. Solo che un tempo l'aveva fatto per sostenere l'utopia del sottoproletariato salvatore del mondo; oggi lo faceva per criticare la società consumista e l'edonismo di massa. Aveva scoperto che il consumismo era penetrato ormai ben dentro l'amata civiltà contadina. Ciononostante, questa scoperta non l'aveva allontanato dai luoghi e dai personaggi che un tempo, grazie ad una straordinaria esplosione poetica, l'avevano così potentemente aiutato a crearsi la propria visione del mondo. Affermava in pubblico che la gioventù era immersa in un ambiente criminaloide di massa; ma in privato, a quanto pare, si illudeva pur sempre che ci potessero essere delle eccezioni a questa regola. La sua fine è stata al tempo stesso simile alla sua opera e dissimile da lui. Simile perché egli ne aveva già descritto, nei suoi romanzi e nei suoi film, le modalità squallide e atroci, dissimile perché egli non era uno dei suoi personaggi bensì una figura centrale della nostra cultura, un poeta che aveva segnato un'epoca, un regista geniale, un saggista inesauribile.

    Moravia e Pier Paolo Pasolini

    Autobiografia di Pier Paolo Pasolini

    A cura di Gordiano Lupi

    Pier Paolo Pasolini, maestro da uccidere

    Detesto le interviste, per questo mi racconto da solo, poiché quelli come me non muoiono, restano nelle parole della gente, sono scomodi più da morti che da vivi, sono i maestri che nessun’ascolta, eliminati e cannibalizzati, ma restano in eterno. Avete presente il corvo di Uccellacci e uccellini? Ecco, ho detto tutto, non serve dilungarsi, lui è il maestro che va ucciso e divorato. Forse avevo in mente la fine che avrei fatto, dicono che gli artisti siano un po’ veggenti.

    Nasco a Bologna ma a vent’anni mi trasferisco in Friuli, a Casarsa, le radici di mia madre dentro al cuore, mio padre prigioniero in Kenya, scrivo poesie in dialetto, nella lingua materna, liriche ispirate alla terra, che parlano di campi e contadini. Tu pensa, le dedico a mio padre, un padre che non ho mai capito, che ho odiato, che mi ha disprezzato, quel padre per cui dopo morto proverò tenerezza e compassione. Il fascismo non ama il dialetto, son gli ultimi giorni di triste dittatura, in Italia non si parla di quel libro, solo Contini ne scrive, ma sul Corriere di Lugano.

    Compongo poesie sin da bambino, ho solo sette anni, mio padre è un militare ma ci crede, intuisce doti e future sofferenze, niente fa per fermarmi. Scrivo le Poesie a Casarsa, faccio il soldato a Livorno, in fuga dopo l’8 settembre, torno in Friuli, dove mi accoglie la notizia più atroce, il tormento della mia vita: la morte di Guido, il morto giovinetto dei romanzi romani, mio fratello ucciso dai partigiani jugoslavi, pagina triste della storia che lacrima pagine di letteratura. Mi laureo in lettere, scrivo una tesi sul mio caro poeta, quel Pascoli a me così vicino, con i lutti, le tristezze e il Fanciullino. E con mio padre non va per niente bene, spesso discutiamo, per fortuna mia madre mi comprende, sarà sempre al mio fianco, attrice muta accanto al suo ragazzo, Maria dolente e umana del Vangelo. Ritorno al mondo contadino tanto amato, fondo un’accademia di stregoni, scrivo saggi in dialetto e poesie, adesso che ho vicine le piccole cose dei miei campi, terra, sudore e tamerici in fiore. Ma un giorno son costretto ad andar via, perché si viene a sapere una di quelle cose che non ti possono proprio perdonare. Sono anni tristi e non posso fare niente, non posso giustificare una storia con un ragazzino, a Casarsa ormai non posso stare.

    Fuggo a Roma con mia madre, mio padre resta, umiliato e offeso, soltanto dopo un po’ verrà con noi, in quella Roma che m’ha dato tutto, l’amore per i luoghi e le borgate, dove sempre ho vissuto, tra Ponte Mammolo e Rebibbia, pure quando sono andato a Monteverde, in via Fonteiana. Mio padre ritorna, io che borghese non mi sento vengo via dalla borgata e lascio il cuore. Il cinema entra nella mia vita, grazie a Bassani; insegno a Ciampino, guadagno poche lire; ripubblico le poesie in dialetto, la mia sola meglio gioventù. I libri e l’impegno son la vita; Officina con Roversi, Leonetti, Romanò e Fortini, La religione del mio tempo, Passione e ideologia, decanta ancora in versi la mia storia, ma non son più usignolo, non canto da Casarsa e non ho fede. Roma mi muta l’animo, anche se porto in me i campi di Casarsa; conosco Ninetto, Franco, Sergio, apprendo il dialetto, scrivo in romanesco tutti i racconti di quel tempo nuovo, penso a un romanzo, ingenuo certo, ma sincero. Prima Ragazzi di vita, che ripaga tante sofferenze del passato, poi il corale, l’andante impietoso e mozartiano, di quella vita che sarà sempre tale, vita violenta delle mie borgate.

    Critici incolti mi danno del De Amicis - non è un’offesa, sai, non è un’offesa! - che fa morire annegati i giovinetti, poi del pascoliano - ed è pur vero! - dello scrittore osceno - questa poi! - mi marchiano d’infamia. Non sanno ch’io scrivo di loro perché in fondo mi sento come loro, osservo occhi innamorati, gioco a calcio su campetti improvvisati, tra giacchette gettate come pali, reti di fantasia, in un piazzale. Pasolini che corre sulla fascia, un ragazzino attore d’un teatro, l’ultimo del mondo occidentale: il calcio.

    Muore mio padre ed è il ‘57, ho vinto il Viareggio con Le ceneri di Gramsci, perché son poeta, è la mia natura, tutto quel che ho fatto è poesia, persino il cinema, i racconti più sboccati, le storie maledette, le passioni derelitte e abbandonate. Scrivere è cosa senza senso ma la faccio, scrivere è la mia esistenza, cosa che ho sempre fatto, fin da bambino, quel che mio padre voleva farmi fare, più di mia madre, credo, pur con i contrasti, con i litigi che abbiamo sempre avuto.

    326120331_731056671920566_18069202721154985_n Ho subito di tutto in vita mia, ma ho scritto e amato, ossimori e contrari sono i miei versi, le immagini romane, le campagne assolate e i borgatari, ma non sono mai stato un depravato, non ho mai corrotto ragazzini. Forse li ho amati troppo quei ragazzi, le mie borgate, i giovinetti tristi, che popolano tutte le mie storie, cinema ribelle e fantasia, volti perfetti, volti che scompaiono, che non li trovi nei visi del presente, scomparsi come lucciole, soffi di flebile illusione. Accattone è il mio sogno più bello, cupo e solare, immagini di vita, un neorealismo languido, un bagno di passione, musica, sole e vento, ricordo della terra e di poveri sogni malandrini. Mamma Roma, La ricotta, il Vangelo, Edipo Re, Medea, Porcile, Teorema, vita, amore e tanto sesso, Decameron, Canterbury, Mille e una notte, infine quel Salò, con i suoi eccessi.

    Non chiedermi il motivo, dirtelo non saprei, non proprio adesso che ormai tutto è finito, non ora che ti ho salutato e ho compiuto il gesto con la mano. Siamo al funerale del maestro, grillo parlante o corvo non importa, è soltanto chi non va ascoltato, lo devi solo uccidere e mangiare per tener sempre con te le sue parole. Il mio me stesso è tutto poesia, in forma di rosa, spigoli e rimpianti - Trasumanar e organizzar, ricordi? - la mia eredità, il mio eros, l’amore per la vita e la tristezza, il disincanto, il perduto oblio, l’affetto per mia madre, la pena per mio padre, amato soltanto dopo morto.

    Perdo l’amore, torno a quel ch’è stato, consapevole che Edipo un segno in me ha lasciato, ho amato la madre e disprezzato il padre, la borghese arroganza del padrone. Faccio scandalo solo con la mia vita e scandalo riproduco nei miei film, negli articoli, polemici e bizzarri, negli attacchi violenti a quel potere che - ormai lo so - me la farà pagare. Corsaro del mio tempo, scrivo e attendo, aggrappato alla macchina da presa che mi ha visto regista dilettante apprendere il mestiere da parole gettate al vento e in faccia a quei borghesi. Muoio in un campo di calcio improvvisato, una mattina del ‘75, uno di quei campetti dove amavo lasciare la giacchetta in mezzo al prato e indossare scarpette bullonate, era un modo di fare il mio teatro, in questo mondo in dissolvenza che scompare, un mondo che più non posso amare. Ho vissuto tra quadri di Masaccio e sinfonie di Mozart in sottofondo, scenografia dorata della mia terra vista dalla luna, poesia che non è merce - quando mai? - perché non la consumi, puoi godere mille volte di quei versi, non li logori, non li perdi mai, ogni lettura ti rende un po’ migliore.

    Forse è giusto anche morire, quando la vita è un incubo malsano, un pensiero assurdo, se tutto è merce, prodotto da gettare. Forse per questo lasci alle tue spalle un testamento composto di parole che non riesci neppure a interpretare, ma ce le hai dentro, sono la tua vita - quel ch’è diventata - quelle terribili sequenze di massacro.

    FIRMA DI PASOLINI

    Prefazione

    A cura di Patrice Avella

    I luoghi di Pasolini a Roma

    Un tour nei luoghi che maggiormente hanno segnato l'esperienza romana dello scrittore e regista

    Dalla Francia, durante le ferie, venivo sempre a Roma a fare visita alla mia famiglia, sia paterna che materna, nei quartieri di Centocelle e della Tiburtina. Passavo giorni e giorni a girare nella Città Eterna per scoprire a piedi tutti i vicoli dentro Roma. Tornavo esausto la sera e le mie zie mi cucinavano piatti tradizionali della cucina povera romana, abbacchio, carciofi alla giudea, supplì, pajata e frattaglie diverse, coda alla vaccinara o pasta alla zozzona, ecc… per darmi forze per poter l’indomani girare ancora di più nei quartieri della capitale. E ogni volta i miei zii, che non capivano perché volessi fare le vacanze stancandomi in quel modo e non me ne stessi, invece, al mare a Ostia senza far niente, mi dicevano: Stai a fa’ er giro d’er Peppe. Ho dovuto chiedere ai miei cugini il senso di quella frase, che non capivo e che mi sembrava oscura, e, allora, loro mi hanno spiegato che gli zii mi paragonavano a uno che sta allungando un percorso, o un discorso, inutilmente.

    Da quel momento ho sempre ricercato l’origine del detto e, soprattutto, chi era questo tizio, Er Peppe? Secondo alcune fonti pare che la massima sia molto antica e che il Peppe in questione altri non sia che Giuseppe di Nazareth. Il falegname più famoso della storia, infatti, di ritorno da Betlemme, anziché percorrere il centinaio di chilometri che dividono le due cittadine, scese in Egitto facendone più di mille, a piedi. Da qui il dubbio sulle capacità d’orientamento del santo… ma anche sulle mie, io che mi perdevo nelle strade di Roma, anche se lo facevo per curiosità e non per debolezza. Non mi rendevo conto, allora, che avevo della città di Roma la stessa idea che entra nella poetica pasoliniana e che a questa mi ero ormai legato per la vita, indissolubilmente. Com’era per me, il legame tra Pasolini e la città di Roma non è limitabile soltanto alla pura e semplice rappresentazione artistica o al domicilio, ma è qualcosa di più profondo, una fonte d’ispirazione e, al contempo, una personale rappresentazione del suo Mondo, Caput Mundi nostro. Perché Roma non era solo Colosseo, Fori Imperiali, Piazza San Pietro e Piazza Navona. C’erano all’epoca anche tanti luoghi ben poco conosciuti che riuscivano a regalarmi emozioni mentre andavo a visitarli: la Roma della Tuscolana, della Garbatella, del Pigneto. Le baracche del Mandrione, le eleganti vie di Monteverde, le periferie di Rebibbia e la chiesa dell’Eur. Ostia, la Magliana, il quartiere di Pietralata. Come la Roma di Pier Paolo Pasolini, quella della vita adulta, degli anni tra il 1960 e il 1980, la Roma delle periferie e delle borgate, della sperimentazione, dell’abuso edilizio non ancora avviato. Pasolini arriva a Roma nel 1950, lasciandosi alle spalle le campagne friulane, e vi resterà fino alla morte nel 1975. La sua Roma è quindi quella vissuta in età adulta, una città in completa trasformazione, negli anni del grande cinema ma anche della speculazione edilizia.

    La vita romana di Pasolini ha inizio nel centro di Roma, e in particolare nel ghetto ebraico, nella sua prima abitazione in Piazza Costaguti, a due passi dal Portico d’Ottavia. In questa casa, affittatagli dallo zio, Pasolini e la madre resteranno per pochi mesi ma è già chiara la predilezione per le zone più popolari a discapito della Roma borghese e giubilare. Poco più in là, in Piazza Mattei, i ricordi dei primi contatti con dei giovani ragazzi di vita romani riaffiorano nell’amata Fontana delle Tartarughe che Pasolini descriverà in Alì dagli occhi azzurri.

    Nella sua parte finale Accattone torna, invece, verso Monteverde, fermandosi però al Testaccio, per la tragica conclusione della vicenda. Al Testaccio, Pasolini era solito visitare anche il Cimitero Acattolico, luogo di sepoltura dei poeti inglesi Keats e Shelley, di scrittori contemporanei e amici come Carlo Emilio Gadda e Dario Bellezza e infine di Antonio Gramsci. Il confronto con la tomba del politico e pensatore comunista gli ispirerà l’opera Le Ceneri di Gramsci, un poemetto in versi, e un’omonima raccolta poetica che lo contiene in cui Pasolini vaga per il quartiere, critica lo stato del comunismo contemporaneo e ne propone un nuovo personale modello. L’ultimo decennio, dal 1963 alla morte, Pasolini lo trascorre poi in un quartiere parecchio diverso da quelli finora attraversati dall’inizio della sua esperienza romana. L’Eur non è certo una borgata popolare, anzi si potrebbe definire già in quegli anni una zona alto-borghese, con i suoi viali ampi e signorili e con la sua architettura fascista. L’appartamento residenziale di Via Eufrate 9 in cui Pasolini si trasferì con la madre e la cugina non è lontano, infatti, dalla Basilica di San Pietro e Paolo, da lui definita una San Pietro falsa, emblema dell’architettura vacua del quartiere. La monumentalità bianca e imponente dell’Eur si rivela comunque uno scenario ideale per il periodo più difficile, drammatico e tormentato dello scrittore. Numerosissime sono le zone della città eterna che mantengono ancora dei forti collegamenti con la figura di Pasolini, e forse ancor di più lo sono i locali, come le trattorie, che rivendicano una sua assidua frequentazione. Questa è l'epopea delle piccole gloriose trattorie a prezzi modici. In C'eravamo tanto amati di Ettore Scola Nino Manfredi porterà i suoi amici al Re della mezza porzione. Sui tavoli apparecchiati alla buona, a quadrettoni rossi, davanti a un quartino di vino rosso sfuso, sembrerà strano, ma sono stati concepiti i principali capolavori del cinema italiano. Contemporaneamente hanno successo i Caffè (Aragno, Canova, Rosati, Greco) come il famoso Café Momus parigino dei bohémiens pucciniani. Gli affitti nel Dopoguerra erano carissimi in città e spesso le stanze in locazione agli scrittori spiantati erano senza riscaldamento. Così, i caffè diventarono luoghi d’incontro al caldo dove poter scrivere, leggere, osservare. Questi giovani intellettuali la mattina si svegliavano con un po' di caffè, che in realtà era cicoria, davano un'occhiata al giornale, si mettevano da parte un avanzo di sigaro fumato la sera prima e si facevano venire qualche idea da sottoporre al caporedattore: proposte, soggetti di raccontini, aneddoti dalla strada che aspettavano di diventare sceneggiature.

    In questo libro vogliamo proporre un tour gastronomico e cinematografico, per suggerire ai migliori palati specialità dei luoghi condite con suggestioni da grande schermo.

    Quindi, ecco a voi una guida di luoghi e sapori, tra gusti semplici e gourmet e atmosfere affascinanti. Da cinema.

    Anch’io ho frequentato da giovane ragazzo le borgate romane. Ma frequentavo già in Francia le famose périphéries delle grande città dove il razzismo era già presente contro gli emigrati e i figli d’emigrati che erano italiani, spagnoli o portoghesi. All’entrata di certi bar, ristoranti o negozi del centro-città borghese si trovavano cartelli sui quali era scritto: Interdit aux chiens et aux Italiens che è rimasto una bandiera per tutti i famosi Ritals, come ci chiamavano i francesi all’epoca, e questo soprannome, tratto dal termine ufficiale di Résident Italien, messo sui nostri documenti di identità come una tragica stella gialla, ci ha reso fieri di questa appartenenza a una nazione lontana ma sempre amata nel cuore.

    Anche Pasolini amava le borgate, e soprattutto quelle romane delle periferie urbanizzate dall’edilizia popolare e povera. Di quell’ambiente ha creato opere d’arte e una testimonianza con le immagini dei film girati a Roma come Accattone nel ’61 e Mamma Roma nel ’62 dove in fondo si intravedevano i cantieri edili che, di lì a pochi anni, avrebbero radicalmente trasformato il volto della periferia romana. In quell’ambiente Pasolini aveva trovato un’umanità popolare dalla quale si era sentito irrimediabilmente attratto al punto da metterla al centro dei suoi romanzi e dei suoi film.

    Pasolini era solito visitare il Cimitero Acattolico, luogo di sepoltura dei poeti inglesi Keats e Shelley, di scrittori contemporanei e amici come Carlo Emilio Gadda e Dario Bellezza e infine, come nella foto, di Antonio Gramsci.

    La morte non è

    nel non poter comunicare

    ma nel non poter

    più essere compresi.

    (Pier Paolo Pasolini, Poesia in forma di rosa, 1964)

    PIER PAOLO PASOLINI

    (Bologna, 1922 - Lido di Ostia, 1975)

    MORAVIA E PPP SEULS LIBRAIRIE

    PASOLINI E I SUOI FEDELI AMICI A ROMA

    P

    La perdita di Pasolini era una perdita per la poesia,

    per il cinema, per la letteratura come la perdita di

    un vero amico e di un compagno di viaggi.

    Pasolini andava sempre a pranzo in una trattoria romana frequentata anche da Alberto Moravia, Bernardo Bertolucci, Enzo Siciliano, Dario Bellezza... Pasolini era gentile, educato, parlava poco e, appena finito il pranzo, salutava e se ne andava. Dove andasse Pasolini era una cosa che incuriosiva Alberto Moravia. La morte di Pasolini fu per Moravia un grande dolore ed è rimasta celebre la sua orazione funebre a Campo dei Fiori, in cui disse che in un secolo nascono pochi poeti e Pasolini era uno di questi. Tutti i suoi amici provavano per Pasolini un'amicizia e un'ammirazione profonda. Enzo Siciliano ha scritto una biografia molto importante ed esaustiva di Pasolini, così come, in seguito, ne scrisse una René de Ceccatty. Quando, per la prima volta, Enzo Siciliano andò a conoscere Pasolini nel suo appartamento a Monteverde, probabilmente per timidezza e per darsi un certo tono, gli disse che aveva conosciuto Pound. Grande stima e amicizia c’erano anche tra Bassani e Pasolini, e l’amicizia tra i due sarebbe durata per tutta la loro vita. Bassani aveva invitato Pasolini a pubblicare sulla prestigiosa rivista Botteghe Oscure di cui era il direttore, prima che Pasolini con Moravia, Carocci e più tardi Enzo Siciliano, diventasse uno dei direttori della rivista Nuovi Argomenti.

    Pasolini trascorreva molto tempo con i suoi amici, Giorgio Bassani, Bernardo Bertolucci, Alberto Moravia, Enzo Siciliano, Dacia Maraini e René de Ceccatty, protagonisti di un mondo e di una Roma dove l'arte, la cultura, il cinema, la pittura, la poesia, la letteratura erano presenti con personaggi di grandissimo talento che avevano l'abitudine di mangiare nelle trattorie che costavano poco, come ad esempio Al biondo Tevere, dove Pasolini pranzò anche poche ore prima di morire. Moravia gli chiedeva: Perché vuoi mangiare al Biondo Tevere? e lui gli rispondeva: Mettono poco condimento perché costa meno e si digerisce meglio. Pasolini era coraggioso ed eclettico: scriveva, faceva il regista, disegnava, scriveva canzoni e articoli sul Corriere della Sera (gli Scritti corsari) restano memorabili. Moravia ammirava l'energia poliedrica e creativa di quell'amico insostituibile che gli sarebbe mancato per il resto della sua vita. Sicuramente si può dire che Pasolini, nella scelta degli attori dei suoi film aveva una certa propensione per l’amicizia e la non professionalità: ma tale scelta rientra nella concezione tutta pasoliniana del cinema come esperienza poetica volta a superare costrizioni o regole di ogni sorta. Pasolini realizzava una propria trasformazione di attori famosi come il mitico Totò che, come uomo, risultava un piccolo borghese, ma, come artista, era inscindibile dalla cultura napoletana sottoproletaria.

    PASOLINI E IL LOOK IN PUBBLICO

    Pasolini curava molto il proprio corpo come il suo volto, secco, ossuto, con gli zigomi pronunciati, le guance scavate, lo sguardo intenso e penetrante. All’apparenza, il viso di Pasolini per la gente rimane un viso duro, si direbbe anche antico, sottoproletario come gli attori dei suoi film. Ma, pur essendo un intellettuale, la sua era un’anima appassionata fino all’estremo e fino alla sofferenza, a causa anche della sua grande sensibilità.

    Pasolini non era amante della mondanità però, quando si trova a Roma, era obbligato dalla sua popolarità ad assoggettarsi a riti ed esigenze senza potervisi sottrarre. Allora doveva adeguarsi anche fisicamente e dunque sceglie l’imagine con gli occhiali da sole che lo rappresenta meglio e che rimane (come immagine iconica) in tutte le foto della nostra memoria. Occhiali squadrati, montatura in tartaruga, lenti scure, che conferivano enigmaticità al suo volto ed erano una difesa, nei confronti del mondo dei media, per la sua personnalità timida, quando si presentava in pubblico. Anche Abel Ferrara, nel suo film intitolato "Pasolini" con Willem Dafoe, mette in evvidenza questo paio d’occhiali scuri sul viso del poeta. Si possono anche vedere questi famosi occhiali presso il Museo Criminologico di Roma perché furono quelli ritrovati nell’Alfa Romeo la notte del suo assassinio. Quindi, nulla di più lontano, con lui, dallo stereotipo dell’uomo famoso o dell’intellettuale rinchiuso nella torre d’avorio, sì, invece, all’uomo che conservava in sé l’essenza stessa della sua vita.

    LE DONNE CHE HANNO ISPIRATO PASOLINI

    Maria Callas, Silvano Mangano, Anna Magnani, Elsa Morante, Laura Betti, Oriana Fallaci, Silvana Mauri, la cugina Graziella Chiarcossi, senza dimenticare l'amatissima madre Susanna: nella vita del grande intellettuale il femminile era un bisogno quotidiano fatto di donne indipendenti, originali e non omologate, proprio come lui. Per tutta la vita, Pasolini ebbe rapporti non casuali con le donne, a volte vivaci, a volte esclusivi, ma sempre improntati a una vera amicizia unita a una grande emozione. Non si può parlare di amore e di sesso, ed è evidente, ma di una forte tensione emotiva. Neppure Silvana Mangano, che pure Pasolini ricordava come molto somigliante a sua madre, poteva però essere considerata una replica dell’immagine materna. La relazione con la madre era sempre viva e presente, Pasolini non aveva bisogno di una sostituta, come altri uomini mammoni. Omosessuale dichiarato in un’epoca ancora lontana anche solo dalla tolleranza, Pasolini ha tuttavia stretto i legami più intensi e indissolubili con le donne.

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