STUDI DANTESCHI
Fondati da Michele Barbi
Serie diretta da Enrico Ghidetti e Guglielmo Gorni
LXXV
INDICE
13
25
del Paradiso
79
115
NOTE
Angelo Colombo, Le buone correzioni della dotta Germania. Karl Witte e il Convivio degli Editori Milanesi
(1825-1877)
151
Robert Hollander, Ancora sul Catone dantesco
187
XXXI:
confessione e purificazione di
215
IV
INDICE
247
269
325
MANOSCRITTI DANTESCHI
Juan Miguel Valero Moreno, Para la historia externa del cdice Asburnham 182, Appendice Dantesca 2 de la Biblioteca Medicea Laurenziana de Florencia. Apuntes de viaje 331
SCHEDE E SEGNALAZIONI
347
409
415
421
425
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Egidio Romano2 e Giacomo da Viterbo3, rappresentanti del cosiddetto agostinismo politico composero due opere, il De ecclesiastica potestate ed il De regimine christiano in cui, con le rispettive
particolarit, viene affermata, in maniera inequivocabile, la plenitudo potestatis del pontefice.
Il De ecclesiastica potestate 4, composto in vista del concilio del
1302, sviluppa nei suoi tre libri laffermazione, larticolazione e la
difesa della potestas papale. La prospettiva di Egidio fortemente
gerarchizzata: nella comunit dei fideles, lautorit spirituale la prima
e la maggiore, da essa deriva lautorit della quale pu disporre, anche
se in modo limitato, la potestas terrena; tutto ricondotto ad essa e
la stessa storia delluomo non ha un valore in quanto tale, ma solo
nellottica dellhistoria salutis 5. Il rigido schema egidiano in cui un
unico potere universale ordina e governa il mondo, stato ripreso
2
Su Egidio Romano si veda: DBI, XLII, pp. 319-341 [F. del Punta-S. DonatiC. Luna]; G. BRUNI, Le opere di Egidio Romano, Firenze, L.S. Olschki, 1936; R.
LAMBERTINI, Philosophus videtur tangere tres rationes. Egidio Romano lettore e interprete della Politica nel terzo libro del De regimine principum, Documenti e
studi sulla tradizione filosofica medievale, 1, 1990, pp. 277-325; G. C. GARFAGNINI, Cuius est potentia eius est actus. Regnum e sacerdotium nel pensiero di
Egidio Romano e Giovanni da Parigi, in Filosofia e cultura. Per Eugenio Garin, 2
voll., a c. di M. Ciliberto - C. Vasoli, Roma, Editori Riuniti, 1991, I, pp. 101-134;
L. LANZA, Aegidius Romanus, in C.A.L.M.A., Compendium auctorum latinorum
medii aevi, a c. di G.C. Garfagnini M. Lapidge C. Leonardi, Firenze, Sismel
Edizioni del Galluzzo, 2000, I, 1 (2000), pp. 63-73; MIETHKE, Ai confini del potere,
cit., pp. 104-111.
3
Su Giacomo da Viterbo cfr. A. DALS, Jacques de Viterbe thologien de lglise, Gregorianum, 7, 1926, pp. 339-353; R. W. CARLYLE - A. J. CARLYLE, A History
of Mediaeval Political Theory in the West, vol. I-V, Edimburgh London, Blackwood,
4
V, 1962 , pp. 409-417; Y. CONGAR, Jacques de Viterbe, Catholicisme, 6, 1963,
pp. 266-267; M. DAMIATA, Il pensiero politico di Giacomo da Viterbo nel De regimine christiano e Alvaro Pelagio, Studi Francescani, 81, 1984, pp. 639-671; E.
YPMA, La carrire scolaire de Jacques de Viterbe, Augustiniana, 24, 1974, pp. 247282; ID., Recherches sur la productivit littraire de Jacques de Viterbe jusqu 1300,
ivi, 25, 1975, pp. 223-285; MIETHKE, Ai confini del potere, cit., pp. 112-115.
4
Cfr. EGIDIO ROMANO, De ecclesiastica potestate, ed. R. Scholz, Leipzig, Weimar, 1929 (rist. anast. Aalen 1961); trad. it. EGIDIO ROMANO, Il potere della Chiesa,
a c. di G. Dotto e G.B.M. Marcoaldi, Roma, Citt Nuova, 2000. Trad. it. a c. di G.
BRIGUGLIA, Il potere del re e il potere del papa. Due trattati medievali, Genova,
Marietti, 2009, pp. 217-305: si veda anche la parte introduttiva dove si tratta del
rapporto con Giovanni Quidort da Parigi.
5
Si veda GARFAGNINI, Cuius est potentia eius est actus, cit.
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LORENZA TROMBONI
dal suo allievo Giacomo da Viterbo, autore del De regimine christiano, composto contemporaneamente o poco dopo il De ecclesiastica
potestate 6. Come Egidio, Giacomo aveva ascoltato le lezioni di Tommaso dAquino a Parigi e come lui ne aveva subito fortemente linfluenza, evidente soprattutto nella maniera rigorosa e documentata
di porre e risolvere la questione del rapporto tra stato e chiesa7: la
base della sua argomentazione sta nella definizione formale della
chiesa come regno del quale Cristo il sovrano, per precisarne poi
lambito di competenza, le responsabilit e le prerogative in riferimento allordine sacerdotale. Da qui, poi, si passa alla trattazione
del pontefice che il vertice dellecclesia, e del carattere assoluto
della sua potestas che perfeziona (non la legittima necessariamente
come per Egidio) anche quella secolare: a differenza del suo maestro, Giacomo non esclude che lesistenza umana possa avere anche
una dimensione propria, naturale; anzi, richiamandosi alla trattazione tomistica del tema politico, egli vuole comporre laffermazione
della naturale tendenza alla socialit ed alla politica delluomo con
lidea della superiorit del potere spirituale.
Nello stesso periodo, tra il 1302 ed il 1303, un altro allievo di
Tommaso contribuiva a tenere viva la discussione sulla potestas papale,
dando unimmagine teorica della chiesa e del pontefice: Giovanni
Quidort da Parigi, appartenente allordine domenicano, autore del
De potestate regia et papali, noto anche per essere stato tra i firmatari
del documento, redatto da alcuni maestri in teologia delluniversit
di Parigi, con cui si dichiarava illegittimo il rifiuto di Celestino e
conseguentemente lelezione di Bonifacio VIII8. Come fa notare
Garfagnini9, Giovanni ha in comune con i due agostiniani la maniera
di porre la questione del rapporto tra sacerdotium e regnum, che
prescinde dalla propaganda e che mira ad una messa in chiaro di
6
83
tale rapporto per un miglioramento della vita degli uomini allinterno della comunit civile. Giovanni risponde puntualmente alle affermazioni di Egidio Romano e nella sua opera riprende alcuni dei
punti pi significativi del maestro agostiniano, mettendo in evidenza le contraddizioni di queste affermazioni e ponendo nuovamente
la questione in modo pi concreto e legato ai nodi intorno a cui si
sviluppava la discussione. Cos, a fianco delle tesi pi generali come
lorigine naturale del regnum, conseguenza della disposizione naturale
delluomo, vengono trattati i punti pi discussi dal punto di vista
pratico, come il diritto di propriet sui beni materiali e lamministrazione dei sacramenti, sempre confutando le posizioni della parte
avversa, con un atteggiamento che tende al distacco piuttosto che
al coinvolgimento. Un contegno che gli permette di affermare senza timore la superiorit, quanto a fine e dignit intrinseca, dellautorit spirituale su quella temporale, ma anche di ribadire la sola
funzione di dispositor o dispensator dei beni materiali ricoperta dal
pontefice e non, come aveva affermato Egidio Romano senza riserve, di dominus.
Cinque anni dopo la morte di Bonifacio VIII (1303), fu eletto
imperatore Enrico VII di Lussemburgo (1308) il quale, oltre ad
incarnare le attese dei sostenitori di unautorit imperiale forte, tendeva ad incoraggiare la produzione letteraria propagandistica. Tra
coloro che riposero grandi speranze in Enrico vi fu Dante che, secondo alcuni studiosi, cominci a riflettere sulla questione proprio
in occasione della incoronazione dellimperatore nel 131210.
10
Cfr. DANTE ALIGHIERI, Epistole, ed. A. Frugoni, in ID., Opere minori, III. 2
Epistole, Egloge, Questio de aqua et terra, Milano, Mondadori, 1995-1996, pp. 522643: Epp. 5, 7, 8, 11. Il primo ad indicare il 1312 come data di composizione della
Monarchia fu Giovanni Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante per cui vedi infra.
A questa ipotesi aderirono studiosi come Barbi, Pietrobono, Maccarrone e Vinay,
ma la questione della datazione molto discussa: la teoria pi recente ed anche pi
accreditata la collocherebbe negli ultimi anni di vita di Dante; si veda in proposito
Furlan nellIntroduzione a DANTE, Monarchia, con il Commentario di Cola di Rienzo e il Volgarizzamento di Marsilio Ficino, a c. di F. Furlan, Milano, Mondadori,
2004, pp. XXV-XXXIV. Cfr. anche P.G. Ricci nellIntroduzione a DANTE ALIGHIERI,
Monarchia, ed. P.G. Ricci, Milano, Mondadori, 1965 (Le opere di Dante Alighieri. Edizione Nazionale a cura della Societ Dantesca Italiana); M. CHIAVACCI LEONARDI, La Monarchia alla luce della Commedia, Studi medievali, III s., 18, 1977,
pp. 147-183; C. DOLCINI, Crisi di poteri e e politologia in crisi. Da Sinibaldo Fieschi
a Guglielmo dOckham, Bologna, Ptron, 1988, pp. 427-439.
84
LORENZA TROMBONI
85
tenzione sulla sfera terrena e sulla figura dellimperatore come garante di una realizzazione delluomo in questo mondo13.
Lavventura di Enrico VII si concluse troppo presto per poter
soddisfare le aspettative che riponevano in lui i sostenitori dellimpero: un anno dopo la sua incoronazione mor (1313), senza essere
riuscito a modificare lassetto politico italiano.
Lopera di Dante and subito incontro a critiche e condanne: il
cardinale legato Bertrando del Poggetto, la condann come eretica
e la fece bruciare proprio mentre si accendevano le polemiche sulla
discesa di Ludovico il Bavaro a Roma; tra i critici pi noti della
Monarchia spicca senzaltro Guido Vernani, considerato il primo
oppositore politico di Dante14 che non esit a mettere per iscritto,
nel De reprobatione Monarchiae (1329), la sua contrariet nei confronti di un testo che a suo avviso, aveva sovvertito lordine delle
priorit, ed aveva posto il bene terreno avanti a quello celeste15: un
13
Sul tema dei due fini e sulla ricezione dellEthica nicomachea, cfr. A.J. CELAThe finis hominis in the Thirteenth Century Commentaries on Aristotles Nicomachean Ethics, Archives dhistoire doctrinale et littraire du moyen ge, 58,
1986, pp. 2331; ID., The Understanding of the Concept of felicitas in the pre-1250
commentaries on the Ethica nicomachea, Medioevo, 12, 1986, pp. 2953; V.
BUFFON, Philosophers and Theologians on Happiness: An Analysis of Early Latin
Commentaries on the Nicomachean Ethics, Laval thologique et philosophique,
60, 2004, pp. 449476; Le felicit nel medioevo. Atti del convegno della Societ
Italiana per lo Studio del pensiero Medievale (S.I.S.P.M.), Milano, 12-13 settembre 2003, cur. M. Bettetini - F. D. Paparella, Louvain-la-Neuve, FIDEM, 2005
(Textes et tudes du Moyen Age, 31); I. ZAVATTERO, Felicit e Principio Primo. Teologia e filosofia nei primi commenti latini allEthica nicomachea, Rivista di storia
della filosofia, 61, 2006, pp. 109136.
14
Cos N. MATTEINI, Il pi antico oppositore politico di Dante: Guido Vernani
da Rimini. Testo critico del De reprobatione Monarchiae, Padova, CEDAM, 1958
e T. KPPELI, Der Dantegegner Guido Vernani von Rimini, Quellen und Forshungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 28, 1937, pp. 107-146.
15
Fondamentale sulla ricezione della Monarchia lo studio di F. CHENEVAL,
Die Rezeption der Monarchia Dantes bis zur Editio princeps im Jahre 1559. Mit einer
kritischen Edition von Guido Vernanis Tractatus de potestate summi pontificis,
Mnchen, W. Fink, 1995, che d, come recita il titolo, anche ledizione del testo di
Vernani, in particolare cfr. pp. 117-150; sul problema specifico del fine delluomo
si veda C. TROTTMANN, Guido Vernani critique des duo ultima de Dante. Thories
de la batitude et conceptions du pouvoir politique, in Les philosophies morales et
politiques au Moyen Age. Moral and Political Philosophies in the Middle Ages II Actes
du IX Congrs international de philosophie mdivale. Ottawa, du 17 au 22 aot
NO,
86
LORENZA TROMBONI
errore che si era ripercosso sia nella concezione politica, nel rapporto tra il pontefice e lautorit temporale, che nella concezione filosofico-antropologica, per cui la beatitudine per luomo veniva idealmente dopo la felicit terrena. Lopera di Vernani non ebbe molta
diffusione, ma sicuramente indice di un certo tipo di ricezione di
Dante allinterno dellordine domenicano, la cui circolazione fu
ufficialmente vietata nel 1335. Lo segue, infatti, Guglielmo da Sarzano (fl. 1310-1311), autore del Tractatus de excellentia principatus
regalis, e del Tractatus de potestate Summi Pontificis16. Anche se la
sua opera dettata da esigenze differenti da quelle che animano
Vernani, possiamo situarlo insieme a lui tra i sostenitori del primato
e della plenitudo potestatis papale, cos come tra gli oppositori di
Dante, con il quale non polemizza esplicitamente, anche se la sua
contrariet ben riscontrabile nel De potestate Summi Pontificis,
composto, presumibilmente, nella seconda decade del Trecento17:
Guglielmo dimostra, in alcuni aspetti della sua opera, anche una certa
originalit, come ha evidenziato Lambertini18, nella maniera di integrare lVIII libro dellEtica con la pi estesa classificazione delle for-
1992. Proceedings of the 9th International Congres of Medieval Philosophy. Ottawa, 17-22 August 1992 (S.I.E.P.M.), cur. B. C. Bazn E. Andjar L.G. Sbrocchi, voll. 3, New York-Ottawa-Toronto, LEGAS, 1995, II, pp. 1147-59.
16
Si veda DBI, LXI, pp. 34-37 [M. Cerroni]; F.M. DELORME, Fratris Guillelmi
de Sarzano Tractatus de excellentia principatus regalis, Antonianum, 15, 1940,
pp. 221-244; R. DEL PONTE, Il Tractatus de potestate Summi Pontificis di Guglielmo da Sarzano, Studi medievali, s. III, 12, 1971, pp. 997-1090.
17
R. del Ponte (nei saggi Un trattatista politico del Trecento, fra Guglielmo da
Sarzano, Renovatio, 4, 1969, pp. 617-626 e Un presunto oppositore della Monarchia dantesca, Guglielmo da Sarzano, in Omaggio a Camillo Guerrieri-Crocetti,
Genova, Fratelli Bozzi, 1971, pp. 253-269) aveva sostenuto che lopera di Guglielmo fosse in risposta alla Monarchia, ma Cheneval (Die Rezeption der Monarchia,
cit., pp. 175-186), ha dimostrato che nel De potestate non ci sono riferimenti precisi allopera dantesca e che si inserisce semplicemente nel filone di scritti contrari
alle tesi sostenute dallAlighieri.
18
Cfr. R. LAMBERTINI, Governo ideale e riflessione politica dei frati mendicanti
nella prima met del Trecento, in Etica e politica. Le teorie dei frati mendicanti nel
Due e Trecento. Atti del XXVI Convegno Internazionale. Assisi, 15-17 ottobre 1998,
Spoleto, CISAM, 1999, pp. 233-277; ID., I Frati Minori e la Politica di Aristotele.
Lo strano caso di Guglielmo da Sarzano, in Ubi neque aerugo neque tinea demolitur. Studi in onore di Luigi Pellegrini per i suoi settanta anni, cur. M. G. Del Fuoco, Napoli, Liguori, 2006, pp. 407-23.
87
me di governo contenuta nella Politica, che rappresenta un fenomeno poco comune ed assai interessante.
Legato alla sorte di un altro imperatore, Ludovico il Bavaro, fu,
per un certo periodo della sua vita Marsilio da Padova, autore di uno
dei testi pi innovativi di tutto il Trecento, in cui vengono poste le basi
per una discussione del problema politico in termini inusitati e sicuramente pi vicini ad una sensibilit moderna piuttosto che a quella
medievale19. Il Defensor pacis fu completato nel 1324 a Parigi, come la
Monarchia and subito incontro ad aspre critiche e fu condannato da
papa Giovanni XXII gi nel 1327. Lopera si divide in tre parti (dictiones) ed alla fine della prima che Marsilio si concentra sulla causa
delle discordie che travagliano lItalia, cio la pretesa del vescovo
romano di esercitare il pieno potere in ambito temporale, per poi
esporre nella seconda parte del Defensor tutte le ragioni che confutano questa assurda pretesa. Di particolare interesse, oltre alla netta presa
di posizione di Marsilio, la sua concezione antropologica, che gli
permette di svolgere una riflessione sul senso della comunit e sulle
leggi che la regolano che si stacca decisamente dalla concezione medievale di lex come espressione della razionalit divina, cristallizzata
nella dottrina tomistica. Marsilio sviluppa il suo discorso a partire dalla
nascita della comunit civile, frutto della naturale inclinazione umana
e pone la legge come un patto tra i cives che rende possibile la convivenza mediante il sistema di punizione/premio. A garanzia del funzionamento di questo sistema anche Marsilio vede un principans, ma la sua
preferenza non per un sistema unitario ed universale come nel caso
di Dante, piuttosto per una partecipazione dei cives allelezione del
governante e, tramite lo strumento della votazione, alla gestione del
potere.
19
La bibliografia sul Defensor pacis molto ampia: si veda Marsilio da Padova.
Convegno internazionale (Padova, 18-20 settembre 1980), Medioevo, 5-6, 19791980, la sezione bibliografica di MARSILIO DA PADOVA, Il difensore della pace, trad.
M. Conetti - C. Fiocchi - S. Radice - S. Simonetta, cur. M. Fumagalli Beonio Brocchieri, 2 voll., Milano, BUR, 2001 e, per una recente ed efficace proposta dei temi
principali dellopera, G.C. GARFAGNINI, Alcune osservazioni intorno al Defensor pacis
di Marsilio da Padova, Annali del Dipartimento di Filosofia. Universit di Firenze, 9-10, 2003-2004 [ma 2005], pp. 33-41. Si hanno due edizioni critiche del
Defensor: una a c. di C.W. Previt Orton, Cambridge, Cambridge University Press,
1928 e laltra a c. di R. Scholz, 2 voll., Hannover-Leipzig, Hahn, 1932-1933 (Fontes Iuris Germanici Antiqui). Cfr. anche la trad. it., a c. di C. VASOLI, Il Difensore
della pace, Torino, UTET, 1960 (19752).
88
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tore22. Come per la versione fiorentina, possiamo ipotizzare che fosse destinata a far conoscere il Defensor pacis in ambienti mercantili
e militari e non certo in ambienti dotti per i quali la versione latina
era gi sufficientemente chiara. Gi il curatore aveva messo in luce
alcuni elementi della storia fiorentina che potevano aiutare a contestualizzare liniziativa di tradurre in volgare fiorentino un testo come
il Defensor pacis, cos carico di significato politico. I decenni che
vanno dallinizio del Trecento al periodo di composizione del volgarizzamento sono difficili per molte citt italiane, ma per Firenze in
particolare, dove il regime signorile stentava ad affermarsi come forma di governo ed anzi la struttura repubblicana era vigorosamente
difesa come segno distintivo della citt23.
Le sconfitte inferte prima da Uguccione della Faggiola (1315 a
Montecatini) e poi da Castruccio Castracani (1325 ad Altopascio)
ridimensionarono fortemente il prestigio militare di Firenze, in un
periodo in cui il mercato tessile era in forte crisi e sentiva la concorrenza degli stranieri; lesperimento della pseudo-signoria di Gualtieri di Brienne (1342-1343), proclamatosi duca di Atene, dur appena
il tempo perch i fiorentini, pur divisi tra ceto magnatizio e popolo
grasso, diventassero insofferenti verso il tentativo di annichilire ogni
libert civile e verso lintollerabile contegno delle truppe armate di
cui la citt era piena; una volta cacciato il duca di Atene, la citt
pass in mano ad un gruppo di esponenti delle maggiori famiglie
magnatizie come i Donati, i Cavalcanti, i Bardi, che tentarono di fare
ci che non era riuscito a Gualtieri, controllare il governo cittadino.
Il ceto dei mercanti ed il popolo minuto, avvertita lennesima minaccia alla libert, tent a pi riprese di combattere questa tendenza, dando
luogo ad un lungo periodo di contrapposizioni che sfociarono in azioni pi o meno significative, tra le quali ricordiamo il tumulto de Ciompi
(1378). Negli anni 40 le banche dei Peruzzi, dei Bardi e degli Acciaiuoli fecero bancarotta, trascinando con s molti piccoli operatori
economici, tra i quali anche il padre di Boccaccio, e nel 1348 la peste
cominci a mietere vittime anche nel centro Italia ed a Firenze.
22
La documentazione edita in H. DENIFLE-. CHATELAIN, Chartularium Universitatis Parisiensis, Paris, Delalain, 1891-1899, III, pp. 223-227 [Rist. anast. Bruxelles, Culture et Civilisation, 1964]. Riprodotta anche in Difenditore, pp. 571-577.
23
Cfr. R. CAGGESE, Firenze dalla decadenza di Roma al Risorgimento dItalia, II,
Dal priorato di Dante alla caduta della Repubblica, Firenze, Seeber-Lumachi-Bemporad, 1913, capp. II-III.
90
LORENZA TROMBONI
La pace e la tranquillit erano condizioni sentite come necessarie per la ripresa economica e politica, desiderate e ricercate, ma
non a prezzo della libert: nel Defensor pacis si parlava proprio di
questo, della maniera di vivere civile, liberamente e pacificamente,
e delle cause che avevano compromesso questa possibilit: anche
Garin accenna al fatto che il volgarizzamento ha un legame con il
clima politico di Firenze di quegli anni, un clima che persiste anche
durante il cancellierato di Coluccio Salutati (1375-1406)24. In questo ambiente di torbide passioni si svolge dal 1343 al 1382 un dramma singolarmente forte25. Cos il Caggese, e possiamo ipotizzare che
il nostro autore volesse proporre una soluzione per questo dramma con la sua traduzione, che volesse introdurre le idee e i principi
marsiliani nel ceto dal quale, verosimilmente, proveniva. Unipotesi
questultima che si basa sulla sua scarsa attitudine alla traduzione e
a quanto pare agli studi in genere: la prosa faticosa e priva di elaborazioni originali, procede letteralmente, segno che anche la versione francese era stata condotta in maniera fedele alloriginale. Lanonimo del Difenditore spesso in difficolt di fronte al testo da tradurre ed aggira lostacolo facendo ricorso a calchi dal francese: una
caratteristica per la quale sar ricordato anche nel volume Della
perfetta poesia italiana (III. 317) di Muratori26. Dallo studio delleditore moderno, si sa che lanonimo fiorentino sbaglia costantemente
a leggere alcune parole, mentre ce ne sono altre che non riesce a
decifrare e si limita a ricopiare i segni che vede; oltre allutilizzo di
calchi, spesso impiega il termine originale francese, perch incapace
di tradurlo: elementi notati anche dal compilatore cinquecentesco
del quaderno Riccardiano 2197, che a proposito del Difenditore recita:
Questo un libro, che credo sia molto buono e parmi molto corretto, e puro fiorentino, ma di tanto stravagante carattere che mi
24
E. GARIN, I cancellieri umanisti della repubblica fiorentina da Coluccio Salutati a Bartolomeo Scala in La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Firenze,
Sansoni, 1961, pp. 3-37 [10].
25
Cfr. CAGGESE, Firenze dalla decadenza, cit., II, p. 184.
26
Cfr. L.A. MURATORI, Della perfetta poesia italiana, voll. 4, Venezia, presso
Antonio Curti q. Giacomo nella Tipografia pepoliana, 1795, III, p. 317: Il Difenditore della pace ho trovato, che un volgarizzamento dun libro latino, Marsilii
Patavini Defensor pacis, dedicato a Ludovico il Bavero, di cui lautore segu le parti;
e poi messo in franzese, e quindi in toscano; e per pieno dinfinite voci franzesi,
come trallaltre micieffo da mchef e nella dedicatoria tranobile da trs noble.
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carte
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riferimenti
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211r
213r
214r
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I primi rimandi alla tabula sono tutti presenti nella carte del XVI
e XVII capitolo della seconda dictio, in cui viene discusso il problema
dellautorit di Pietro. In primo luogo Marsilio pone la questione
delluguaglianza tra gli apostoli de aequalitate apostolorum infatti
il titolo del XVI capitolo: la citazione paolina dellEpistola ai Galati
(I, 11-12) a fornire il primo appoggio a questa tesi, dove Paolo afferma di non essere mandato dagli uomini e che il Vangelo del quale si
fa latore non parola di uomo ricevuta dagli uomini, ma parola di
Ges Cristo avuta per rivelazione. Paolo non stato scelto da nessuno degli apostoli ed il suo mandato per la predicazione del Vangelo gli viene direttamente da Dio; soprattutto, a Marsilio preme
affermare che non stato Pietro a scegliere e incaricare Paolo del
suo compito, e che Pietro non aveva lautorit per imporre le sue
decisioni a nessuno degli apostoli, come dimostrano molti luoghi
degli Atti degli Apostoli. Si tratta di un attacco molto duro al cuore
della dottrina ierocratica che si basava, sostanzialmente, sullaffermazione del primato concesso a Pietro direttamente da Dio, una
giurisdizione che si applicava ai chierici ma anche ai laici. Proprio su
questo si sofferma lanonimo che continua prendendo nota delle
osservazioni di Marsilio presenti nei paragrafi 7-11 del XVI capitolo,
dove il tema delluguaglianza di Pietro si unisce alla facolt di distribuire i beni materiali donati alla chiesa (7-8), ed alla pretesa dei vescovi
romani di gestire o incamerare tali beni.
Somilgliantemente appare, san Piero o altro delli appostoli niuno sulli
altri avere avuto promovenza o ppossanza in distribuire le tenporali offerte
alle chiese primitive; [...] Dinmi dunque donde al vescovo de romani
venuto lauttorit di tali cose distribuire per sua volont, o i lassci delli uomini
ne testamenti [...]31.
31
94
LORENZA TROMBONI
E per elli addire cos i santi [i.e. apostoli] avere parlato non punto
per alquna possanza di Gies Cristo sulli appostoli allui data sanza moiano
[i.e. mezzo], ma per avventura per chelli era il pi anziano det, [...] o
per chelli fu conversato eppi spesso chiamato ne consilgli essegreti32.
Riguardo al suo ruolo ed alla sua giurisdizione Cristo si espresso chiaramente, quando ha affermato che i gentili dominano gli uni
sugli altri, e i pi grandi sui pi piccoli, ma questo non deve essere
il costume degli apostoli33. Credere qualcosa di diverso rispetto a
quanto affermato sarebbe preferire una consuetudine umana rispetto alla parola divina.
Perch dunque creder alquno di ci allumana tradizzione, sia di santi
o di non santi, che alla molto aperta parola di nostro singnore Gies Cristo?34
Il secondo nucleo concettuale rilevante delle annotazioni dellanonimo riguarda la parte della seconda dictio in cui Marsilio parla del
concilio generale e della sua autorit in materia di dottrina cristiana,
ma lanonimo arriva al tema del concilio passando attraverso la
possibilit, da parte del pontefice, di definire i passi dubbi del testo
sacro. Nel XX capitolo, intitolato Cuius sit vel fuerit auctoritas diffiniendi seu determinandi dubias scripture sacre sentencias, non un
mero problema teologico quello che viene dibattuto, ma come viene
precisato nel paragrafo 4, si tratta di capire chi ha lautorit per
interpretare quei passi della scrittura che fanno riferimento a precetti e proibizioni (comandamenti e difense) che hanno un effetto
concreto nella vita dei cristiani.
Per tanto pi anpia neciessit chessono a intendere in queste, quante
di leggi o della fede attenere sono, e a quello che a tutti fedeli profittare
onnuociere possero, discrezione ecqura pi diligente vedere35.
42-43.
34
35
95
la giurisdizione assoluta del papa su ogni aspetto temporale e spirituale dellesistenza, ma soprattutto in materia di fede, mentre il
concilio lunica sede in cui queste questioni possono trovare una
soluzione;
... tutte le principazioni di questo secolo, tutti i reami elle provincie
del mondo e persone singhulari di che che dingnit, permanenza o condizione e sieno, al vescovo romano primieramente sono di coattiva giuridizione sugietti. Chcci ordin il papa di Roma Bonifazio 8, per la sua pistola
nel dicreto, il quale comincia: una santa chattolica chiesa...36
Ritorna il tema dei benefici ecclesiastici, che pare essere tra quelli
che maggiormente attirano lattenzione del nostro anonimo: il legislatore che ha la facolt di distribuirli e non il vescovo di Roma o
i sacerdoti che fanno parte del suo seguito, che li usano per scopi
illeciti come la corruzione degli intellettuali che, sedotti dalle promesse dei benefici e desiderosi di non contraddire il pontefice, si
36
37
38
96
LORENZA TROMBONI
schierano dalla sua parte e si mettono al servizio della curia pontificia (II, xxi, 14-15)39.
Del capitolo XXII, lanonimo indica le parti in cui vengono descritte le prerogative del papa, e la differenza fra ci che indicato
esplicitamente dalla Scrittura e ci che, invece, frutto dellavidit
dei vescovi romani: non esistono, infatti chiese superiori alle altre o
sacerdoti migliori, perch tutti derivano la loro autorit da Dio, non
ci sono intermediari e i sacerdoti devono essere come gli apostoli di
fronte a Cristo, uguali gli uni agli altri (XXII, 4-5).
E per niuno altro vescovo puote pi iscomunichare laltro vescovo o
allui conmesso popolo o provincia i servigi duno interdiciere [...] Ch tutti
i vescovi sono diguali merito e auttorit, [...] Nppi perfetto offu,
acchippi perfetto apostolo o vescovo le mani inpos [...] e per tutti i
vescovi e preti sono diguale auttorit e merito daddio dato, [...] Ch l
chapo delle chiese sinpremente effondamento della fede, per lordinanza
di dio sanza moiano [i.e. mezzo], secondo la scrittura o verit, questo uno
quello Gies Cristo, e non alquno appostolo, vescovo o prete, siccome
apertissimamente dicie lappostolo ad Eph. 4 e 5, ad Colozen. primo e a
Corinth. 1040.
Possiamo supporre che Marsilio alludesse ad Egidio Romano, al quale Bonifacio VIII concesse il vescovato di Bourges nel 1295.
40
Cfr. Difenditore, II, xxii, 4-5, pp. 369-370.
97
Un aspetto interessante delle annotazioni dellanonimo la preferenza per le parti della dictio in cui Marsilio si riferisce a personaggi storici ben individuabili: abbiamo visto sopra il passo sulla Unam
sanctam, che seguito da quello su un successore di Bonifacio, Clemente V, e sulla differenza tra le loro iniziative (II, xx, 8 e sgg.), ma
anche gli ultimi numeri di rimando si trovano a margine dei passi che
ricordano fatti e personaggi storici, come papa Simmaco ed il suo
rapporto con limperatore Teodorico; Gregorio Magno e limperatore Maurizio, Giovanni XII che fu deposto da Ottone I (II, xxv, 6).
Nel capitolo XXVI, paragrafi 3-5, dove lanonimo ha lasciato ancora
il suo segno di rimando, la figura di Costantino a fare nuovamente
la comparsa, con il carico dottrinale che accompagna la Donatio
Constantini, e poco dopo il segno dellanonimo visibile sulle carte
in cui si nomina Ludovico di Baviera e la forte opposizione alla sua
elezione da parte di Giovanni XXII (XXVI, 10-12). Anche la dedica
del testo allimperatore Ludovico aveva attirato lattenzione del
volgarizzatore, che nella c. 3v aveva disegnato una manicula. Questa
preferenza dellanonimo per i passi in cui si tratta di problemi concreti era gi emersa dai segni di rimando presenti in quelle parti della
dictio in cui si tratta della distribuzione dei benefici e della gestione
dei beni materiali allinterno della chiesa. Un dato che si sposa perfettamente con la mancanza di riferimenti alla prima dictio: questa
parte dellopera, infatti, presenta una maggiore complessit dal punto
di vista filosofico, per lanalisi attenta di Marsilio nei confronti dellorigine della comunit, delle regole della vita comune e soprattutto
del concetto di legge in unaccezione che si diversifica fortemente
dalla tradizione medievale, e pone il lettore di fronte ad un paradigma nuovo su cui costruire lidea di societ. Unelaborazione di questo tipo, per di pi portatrice di novit, come quella marsiliana,
presentava sicuramente delle difficolt in pi rispetto alle dottrine
esposte nella seconda dictio, pi radicate storicamente e facilmente
applicabili anche alla realt cittadina di Firenze. Del resto, in una
certa misura il Defensor pacis stesso deve la sua origine allesperienza concreta delle vicende istituzionali attraversate dalle citt italiane, rispetto alle quali Padova e Firenze presentano sicuramente dei
tratti distintivi41; per questo la lettura dellanonimo si situa nel solco
41
Cfr. N. RUBINSTEIN, Marsilio da Padova e il pensiero politico italiano del Trecento in Marsilio da Padova, Medioevo, 5, 1979, pp. 143-162.
98
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Infra.
99
ugualmente cimentarsi nella traduzione di un testo politico di ispirazione antiierocratica; abbiamo visto che probabilmente apparteneva al ceto mercantile e che certamente non era un erudito. Attraverso la sua attivit lavorativa lanonimo poteva conoscere il francese e potrebbe essere entrato in contatto con il volgarizzamento del
Defensor pacis. Che anche la conoscenza del francese non fosse
perfetta chiaro dal testo, ma ci potrebbe rientrare nel caso di un
apprendimento episodico e non sistematico della lingua, come poteva accadere ad un mercante.
Legato a questo sono gli altri interrogativi sulle motivazioni che
lo spingono al volgarizzamento. Il suo interesse per il tema politico
fuori discussione; evidente lattenzione verso il tema delle pretese dei vescovi romani in temporalibus, al quale era dedicata la tabula;
a noi resta il frutto delle inclinazioni dellanonimo, ma di lui non
resta quasi niente. Soprattutto sarebbe utile poter chiarire le modalit con cui egli entrato in contatto con il Defensor pacis, non soltanto per fare luce sulla vicenda umana ed intellettuale del nostro
autore, ma per capire meglio quale era il terreno sul quale un commerciante, un militare o, in generale, un uomo non colto, si trovava
di fronte ad un testo politico importante e dottrinalmente strutturato come il Defensor pacis. Possiamo anche chiederci se questa versione fosse destinata ad altri, e se la tabula avesse una funzione preliminare, se cio preludesse alla redazione di un compendio del testo. In tal senso potrebbe essere utile cercare nella tradizione della
ricezione del Defensor pacis, nelle eventuali elaborazioni che lo vedono
come fonte principale, seguire la scia del testo originale nella speranza
di trovare qualche traccia del Difenditore. Un percorso che potrebbe
annoverare al suo interno uno studio dei commenti alla Politica di
ambito toscano tra XIV e XV secolo43, tra i quali lExpositio super
octo libros Politicorum di Donato Acciaiuoli (ed. Venetiis 1504)44.
Gli anni che separano il Difenditore dal volgarizzamento della
Monarchia costituiscono un periodo critico ed insieme molto fecondo della storia fiorentina, attraversata da figure centrali dellumane43
Cfr. C. FLELER, Rezeption und Interpretation der Aristotelischen Politica
im spt Mittelalter, voll. 2, Amsterdam-Philadelphia, Grner, 1992.
44
Ivi, II, p. 9. Meno noto il commento di Guglielmo Becchi da Firenze (ob.
1491), per cui ivi, pp. 22-23.
100
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simo che trova una sua prima formulazione in senso civile nellopera
di Coluccio Salutati e Leonardo Bruni. A ricoprire la stessa carica di
cancelliere ci sar, alla fine degli anni 50 del XV secolo, Poggio
Bracciolini, che far in tempo a vedere il rientro di Cosimo de Medici
(1434)45, lo stabilizzarsi dellequilibrio politico italiano con la pace
di Lodi (1454), e lo sviluppo di un processo di mutamento delle
strutture governative di Firenze che, pur restando formalmente ancora
a lungo una repubblica (fino al rientro dei Medici nel 1512), comincer a volgersi verso il principato46.
Skinner, come molti altri, si concentrato sulla fioritura di studi
su temi morali e politici nellumanesimo fiorentino, a partire da
Coluccio Salutati fino alla signoria medicea: una delle interpretazioni pi note quella di H. Baron, secondo cui le idee politiche fiorirono in risposta alle vicende storiche che videro Firenze nella prima met del XV sec. perennemente in lotta per la libert, minacciata
da una serie di despoti ostili47. Un dato da accogliere, pur con i dovuti
aggiustamenti che lo rendano meno rigido e pi conforme ai dati di
storia politica e letteraria, che lo stesso Skinner propone. Certo ,
per, che accanto allindubbia influenza delle vicende storiche, ci
sono alcune novit che riportano lattenzione su questi temi: le nuove
traduzioni dellEthica nicomachea (1416-17), della Politica (1438) e
degli Oeconomica (1420-21) fatte da Leonardo Bruni fornirono spunti
di riflessione su una nuova concezione della vita civile e della filosofia in una prospettiva vicina allideale espresso da Brunetto Latini
45
101
nel Trsor, secondo cui nella societ la scienza del ben governare
doveva essere accompagnata da un portato teorico che egli vedeva
eminentemente nella scienza retorica48. Anche in Bruni si ha una
compresenza dellelemento pratico e di quello teorico, in una concezione secondo cui il raggiungimento della felicit si ha soltanto
allinterno di una comunit, di uno Stato: con le traduzioni dellEthica
e della Politica, Bruni ripassava i due momenti della vita umana, quello
individuale e quello comunitario, e li riuniva in quel conversare
cittadino che era sentito come necessario da molti suoi contemporanei. Bruni aveva sentito lesigenza di queste nuove traduzioni a
fronte della constatazione della inadeguatezza delle traduzioni medievali, che per aenigmata et deliramenta si erano allontanate da
Aristotele49. Accanto al disegno in cui letica e la politica aristoteliche definivano i contorni della vita civile, faceva la sua comparsa la
riflessione sul valore positivo del denaro, sulla necessit dei beni
materiali, insieme alla condanna di quel vago ma persistente richiamo allascetismo che vide Bruni insieme a Poggio Bracciolini e Lorenzo Valla ingaggiare una polemica contro gli Ordini Mendicanti.
Dopo Bruni altri si cimenteranno nella traduzione e nel commento
del testo aristotelico: Giannozzo Manetti (1396-1459) comment
lEthica nicomachea nel 1434 e ne fece una nuova traduzione, insieme ai Magna moralia ed allEthica eudemia, tre versioni che il figlio
Agnolo, dopo la morte del padre, dedicher a Federico da Montefeltro. Amico intimo di Giannozzo Manetti fu Donato Acciaiuoli
(1429-1478)50 che insieme ad Alamanno Rinuccini si era adoperato
per far venire a Firenze Giovanni Argiropulo (dal 1456 al 1471 fu
lettore allo Studio). Proprio lArgiropulo tradusse nuovamente lEthica nicomachea e sulla base di questa versione Donato Acciaiuoli
48
102
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103
alla divulgazione di testi antichi, ma che comprendeva anche il volgarizzamento di alcune delle sue opere pi fortunate, come il De
amore (1469), il De christiana religione (1474) ed il De raptu Pauli (1476),
tradotte rispettivamente nel 1469 circa, nel 1474 e prima del 77.
Precede questi la traduzione in volgare della Monarchia, compiuta tra
il 1467 ed il 68: questa impresa appare a prima vista estranea agli
interessi di Ficino, lontana dallispirazione fondamentale della sua
attivit, ma pu essere compresa tenendo conto di alcuni elementi.
A fianco del rinnovato interesse per la riflessione etico-politica,
infatti, tra Tre e Quattrocento rimane viva lattenzione per Dante54,
e, a proposito delle testimonianze fiorentine che riguardano da vicino la Monarchia, ricordiamo il Trattatello in laude di Dante di
Boccaccio (1351-1355)55 dove si riferisce della condanna dellopera
da parte di Bertrando del Poggetto a Bologna e, nella prima redazione, si forniscono alcuni particolari sullevento: qui Boccaccio narra
di come il cardinale lavesse fatta bruciare pubblicamente e della sua
intenzione di fare lo stesso con le spoglie di Dante, cosa impedita da
Pino della Tosa e Ostaggio da Polenta, potente ciascuno assai nel
cospetto del cardinale di sopra detto56. In questa stessa opera Boccaccio afferma che Dante compose la Monarchia al tempo della discesa di Enrico VII in Italia. Ricordiamo per inciso che Boccaccio fu
autore di una Vita di Dante nella quale esaltava entusiasticamente il
poeta fiorentino e che fu incaricato, nel 1373, di leggere pubblicamente la Commedia.
Ritorna il nome di Leonardo Bruni, autore di una Vita di Dante
(1436) in cui, oltre a celebrare la figura e lopera dellAlighieri, affronta la polemica sulla lingua volgare gi trattata nei Dialogi ad
Petrum Paulum Histrum (1401). In questoperetta, che ha suscitato
fina dalla prima met del secolo scorso molte polemiche fra gli stu54
Cfr. C. DIONISOTTI, Dante nel Quattrocento, in Atti del congresso internazionale di studi danteschi, Firenze, Sansoni, 1965, pp. 333-378; E. GARIN, Dante nel
Rinascimento, in ID. Let nuova. Ricerche di storia della cultura dal XII al XVI secolo, Napoli, Morano, 1969, pp. 179-210; ID., Dante e il ritorno degli antichi, in
Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo, Roma-Bari,
Laterza, 1975, pp. 51-70.
55
Cfr. GIOVANNI BOCCACCIO, Trattatello in laude di Dante, in Tutte le opere di
Giovanni Boccaccio, III, ed. V. Branca, Milano, Mondadori, 1974, pp. 437-496.
56
Cfr. BOCCACCIO, Trattatello in laude di Dante, cit., p. 487. Ostasio o Ostaggio
da Polenta era signore di Ravenna intorno alla met degli anni 40 del Trecento.
104
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57
Edita in GIANNOZZO MANETTI, Biographical Writings, ed. trad. S. Baldassarri and R. Bagemihl, Cambridge, MA-London, Harvard University Press, 2003,
pp. 8-61.
58
Manetti il primo ad unire le tre corone di Firenze: il titolo apposto alle
tre biografie Trium illustrium poetarum Florentinorum vita (1440).
59
Cfr. MANETTI, Biographical Writings, cit., pp. XII-XIII.
60
Edito per la prima volta a Venezia nel 1491. Edizione moderna a c. di P.
Procaccioli, Roma, Salerno editrice, 2001.
61
Si veda il recente studio di S. GILSON, Plato, the platonici, and Marsilio Ficino in Cristoforo Landinos Comento sopra la Comedia, The Italianists, 23, 2003,
pp. 5-53, e la ricca bibliografia in esso contenuta.
105
poranei riponevano nel poeta fiorentino62. Crediamo che per comprendere il senso di questo volgarizzamento non sia opportuno ricercare tanto allinterno del testo, quanto piuttosto nel contesto
politico-culturale in cui prende vita. Del testo desta interesse il prologo che, appunto rimanda alle relazioni di Ficino con esponenti di
primo piano della vita fiorentina, oltre a dare unimmagine di Dante, senzaltro non comune, come di colui che si abbeverato alle
platoniche fonti. Una chiave interpretativa, ripresa da Vasoli ma gi
suggerita da Marcel63, rappresentata dalle figure e dallattivit dei
due dedicatari dellopera, il Manetti e il Del Nero, due uomini legati
alla politica che pur non essendo eruditi si interessarono sempre di
opere letterarie e filosofiche. La figura di Antonio Manetti stata
studiata da De Robertis e da Tanturli64, che hanno messo in luce le
linee lungo cui si sviluppavano i suoi interessi e la sua attivit culturale, che comprendeva un forte interesse per lopera dantesca, evidente nella copia della Commedia, del Convivio e della Vita di Dante
del Boccaccio65. Il codice BNCF, Magl. I, 33, nel quale sono conservati tali testi, testimonia la passione di Manetti per Dante: qui, infatti, la copia della Commedia accompagnata da fitte note marginali,
da commenti e figure che parlano anche dei suoi interessi cosmografici ed astrologici. Insieme a Landino si adoper per collocare geograficamente la voragine infernale descritta da Dante e Vasoli ricorda la sua Notizia sotto forma di visione dedicata a Giovanni Caval-
62
Cfr. C. VASOLI, Note sul volgarizzamento ficiniano della Monarchia, in
Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, voll. 3, Firenze, L.S. Olschki, 1983,
III, pp. 451-474; ID., Ficin et Dante in Pour Dante. Travaux du Centre dtudes
Suprieures de la Renaissance autour de Dante (1993-1998), I Dante et lApocalypse,
II Lectures humanistes de Dante cur. B. Pinchard, adiuv. C. Trottmann, Paris, Champion, 2001, pp. 375-87.
63
Cfr. R. MARCEL, Marsile Ficin, 1433-1499, Paris, Les Belles Lettres, 1958,
pp. 325-334.
64
Cfr. DBI, LXVIII, pp. 605-609 [G. Tanturli]; D. DE ROBERTIS, Manetti copista,
e Un Convivio copiato dal Manetti, in ID., Editi e rari. Studi sulla tradizione letteraria tra Tre e Cinquecento, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 183-215 e pp. 216-220;
G. TANTURLI, Codici di Antonio Manetti e ricette del Ficino, in DE ROBERTIS, Editi
e rari, cit., pp. 313-326.
65
Come detto sopra, anche Leonardo Bruni compose una Vita di Dante nella
quale critic apertamente lispirazione della biografia dantesca di Boccaccio, cfr.
DIONISOTTI, Dante nel Quattrocento, cit.
106
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altri dipoi se vi pare ne facciate parte71. Anche Bernardo aveva dimostrato un reale interesse per Dante e per i concetti espressi nelle sue
opere: era stato lui nel 1456 (terminato il 27 settembre) a copiare il
volgarizzamento anonimo della Monarchia72 nello stesso codice dove
aveva trascritto, a distanza di poco tempo, il Convivio dantesco (BNCF,
II.III.210); ed ancora lui aveva invitato Ficino a fare un nuovo volgarizzamento dellopera. Oltre ai motivi personali, di amicizia, che possono averlo spinto a fare questa richiesta, ci pare lecito supporre che
Bernardo vedesse nella confezione ficiniana della Monarchia un indubbio vantaggio per la diffusione del testo, sia per le capacit linguistiche di Marsilio, sia per la sua notoriet, che avrebbe sicuramente
attirato maggiormente lattenzione sul testo dantesco. Bernardo sar,
a differenza del Manetti, un oppositore acerrimo di Savonarola.
Cheneval fa notare che in tutti i tre codici che contengono la
versione anonima della Monarchia presente anche una trascrizione
del Convivio, priva come laltra di un autore identificabile: entrambi
questi testi sono chiaramente destinati ad un pubblico di laici con
interessi filosofici73, di pi, possiamo dire che si tratta di un pubblico di politici e commercianti, cosa confermata dallidentit del copista dellaltro codice fiorentino in cui questa versione contenuta,
il Riccardiano 1043: anche qui si ha la data di copiatura di entrambi
i testi quello del Convivio terminato il 21 maggio 1461 e quello
della Monarchia, il 18 giugno dello stesso anno ed anche qui il
copista lascia la firma74. Si tratta di Pierozzo di Domenico di Jacopo
del Rosso, appartenente ad una nota famiglia fiorentina, che nel 1465
fu capitano di parte Guelfa.
Linteresse di Antonio e Bernardo ha anche altri punti in comune con lopera ficiniana: i due, infatti, sono destinatari del volgarizzamento del Commentarium in Convivium Platonis mentre a Ber71
Cfr. MARSILIO FICINO, La Monarchia di Dante, in DANTE, Monarchia, ed.
Furlan, cit., p. 370; cfr. anche KRISTELLER, Supplementum Ficinianum, cit., I, p. 109.
72
Si veda in proposito CHENEVAL, Die Rezeption der Monarchia, cit., pp. 54-56,
che descrive i codici in cui questo testo contenuto: Firenze, BNCF, II.III.210, ff.
93-128; Riccardiano 1043, ff. 85-119; Paris, BNF, Ital. 536, ff. 1-33. Si veda anche
P. SHAW, Il volgarizzamento inedito della Monarchia, Studi Danteschi, 17, 1970,
pp. 59-224 [ed. pp. 127-224].
73
Cfr. CHENEVAL, Die Rezeption der Monarchia, cit., p. 347, che usa lespressione philosophischen Werk fr philosophische Laien.
74
Ivi, pp. 54-55.
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Si veda il testo della dedica del Come sancto Pagolo fu rapito al terzo celo,
che rimanda allamicizia tra Bernardo e Ficino ma anche al senso di appartenenza
di Bernardo allo stesso ideale religioso di Marsilio: Perch Bernardo Del Nero,
gi rapito dalla bont divina al terzo grado delle virt umane, rapisce Marsilio Ficino
infino al terzo e superlativo grado di amicizia. Edito in KRISTELLER, Supplementum Ficinianum, cit., I, p. 71
76
Cfr. MARSILIO FICINO, La Monarchia di Dante, cit., p. 381.
77
Ivi, pp. 369-370.
109
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t che giustifica la richiesta di Bernardo del Nero di una nuova traduzione del testo dantesco, cos come riportato dal Ficino stesso nel
Prologo86. In generale le modifiche puntano ad un abbassamento
stilistico del testo, ma anche alla neutralizzazione di tutti gli elementi che potevano rimandare ad un sapere filosofico in senso tecnico,
livellando programmaticamente lintera opera verso il basso. Ne sono
esempi la pratica di rendere espliciti tutti i riferimenti velati ad
Aristotele o ad altre auctoritates; i termini pi difficili o colti vengono sostituiti con perifrasi (consequens diventa questa seconda parte e
ratio inductiva viene reso con la perifrasi: la ragione per ciaschedune
cose discorrente); quelli astratti con espressioni concrete (falsitatem
diventa ecche sia falso); incisi come ut predictum est, quod de se patet,
ut patet in lictera, propter quod sciendum etc. vengono sistematicamente omessi, tanto che spesso resta solamente lo scheletro del discorso; il tono cambia, diventa diretto e semplice, il passivo quasi
sempre sostituito con la forma attiva (dicebatur diventa dicemo) e
la forma impersonale viene cambiata in forma personale e diretta.
Ficino arriva anche ad omettere alcune parti del discorso, come i
sinonimi, che Dante utilizza largamente, e gli avverbi. Un altro
elemento che concorre a semplificare lopera dantesca la suddivisione del testo che Ficino adotta: egli suddivide in pi parti i
paragrafi pi lunghi ed appone dei titoli che ne descrivono brevemente il contenuto.
Ma i cambiamenti che Ficino opera sul testo originale della Monarchia non inficiano la comprensibilit della sua versione, tuttaltro: la sua capacit di tradurre e la sua conoscenza del latino gli permettono di manipolare il discorso con piena libert. Egli non si
preoccupa di discostarsi dalla lettera del testo per rendere anche i
discorsi pi complessi ed il suo volgarizzamento ha il pregio di essere chiaro e semplice.
Se dal punto di vista del valore filosofico del trattato si pu parlare
di un impoverimento, dobbiamo pensare che volgarizzare e rendere
accessibile la Monarchia anche ad un pubblico non dotto rispondeva ad una esigenza alla quale si conformano sia lanonimo, che Mar86
Cfr. MARSILIO FICINO, La Monarchia di Dante, cit., p. 370: Questo libro
conposto da Dante in lingua latina, acci che sia a pi leggenti chomune, Marsilio
vostro, dilettissimi miei [B. Del Nero e A. Manetti] da voi exortato, di lungua latina in toscana tradocto a voi diriza.
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