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SOCIET DANTESCA ITALIANA

STUDI DANTESCHI
Fondati da Michele Barbi
Serie diretta da Enrico Ghidetti e Guglielmo Gorni
LXXV

IN FIRENZE, LE LETTERE 2010

INDICE

CONTRIBUTI AD UNA RILETTURA DELLA MONARCHIA

Paolo Chiesa, Il nuovo testo della Monarchia per ledizione


Nazionale delle Opere di Dante

Gian Carlo Garfagnini, Monarchia: manifesto di libert e


responsabilit civile

13

Ruedi Imbach, Mirabile incrementum. A proposito della


nuova edizione della Monarchia di Prue Shaw

25

Paola Allegretti - Guglielmo Gorni, Dante con liberale animo


dona (Boccaccio): il nome dellautore e altri elementi proemiali nella Monarchia
37
Lorenza Tromboni, Filosofia politica e cultura cittadina a Firenze tra XIV e XV secolo: i volgarizzamenti del Defensor
pacis e della Monarchia
Italo Sciuto, Il canto

del Paradiso

79
115

NOTE

Angelo Colombo, Le buone correzioni della dotta Germania. Karl Witte e il Convivio degli Editori Milanesi
(1825-1877)
151
Robert Hollander, Ancora sul Catone dantesco

187

Vittorio Bartoli, Dante e la Pietosa (VN 24-27): le tre fasi


della concupiscenza secondo Pietro Lombardo
205
Giuseppe Ciavorella, Pg
Dante

XXXI:

confessione e purificazione di
215

IV

INDICE

Enrico Rebuffat, Trattare laria e trainare locchio?


Pg II 35 e Pr X 121

247

Giuseppe Indizio, Saggio per un dizionario dantesco delle


fonti minori. Gli epitafi danteschi: 1321-1483

269

Francesco Tateo, Con Francesco Mazzoni. Chiose inedite a


Paradiso I-XI, Atti della giornata di studio, Firenze, 14
novembre 2007

325

MANOSCRITTI DANTESCHI

Juan Miguel Valero Moreno, Para la historia externa del cdice Asburnham 182, Appendice Dantesca 2 de la Biblioteca Medicea Laurenziana de Florencia. Apuntes de viaje 331
SCHEDE E SEGNALAZIONI

347

Libri ed opuscoli ricevuti

409

Notizie della Societ Dantesca Italiana

415

Indice dei manoscritti

421

Indice dei nomi

425

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A


FIRENZE TRA XIV E XV SECOLO: I VOLGARIZZAMENTI
DEL DEFENSOR PACIS E DELLA MONARCHIA
Nel 1468 Marsilio Ficino aveva terminato il volgarizzamento della
Monarchia di Dante, includendolo nel programma di traduzioni in
lingua volgare di alcune delle proprie opere per favorirne la divulgazione.
Il medesimo intento sta alla base della traduzione in volgare fiorentino del Defensor pacis di Marsilio da Padova, completata nel 1363
ed intitolata Il difenditore della pace: una versione che lascia trasparire il pieno accordo dellanonimo volgarizzatore con le principali
tesi marsiliane, ed anche con lispirazione fondamentale del testo.
Separate da circa un secolo, queste due versioni concentrano il loro
interesse su due tra i maggiori testi del pensiero politico trecentesco,
affini per ispirazione e per periodo di composizione.
Nel corso di questo intervento vorrei mettere in luce le caratteristiche dei due volgarizzamenti e provare a collocarli nella storia
della cultura fiorentina tre-quattrocentesca, non prima di aver dato
brevi cenni sui due testi originali e sul contesto in cui nacquero.
La riflessione politica conobbe nel XIV secolo un periodo di
grande fioritura: il pontificato di Bonifacio VIII (1294-1303) rappresent un picco nellandamento della polemica sulla potestas papale, proprio per il modo deciso e intransigente con cui il pontefice
aveva affermato, fin dal suo insediamento, il carattere assoluto della
sua autorit e lo aveva ribadito nel momento in cui i suoi interessi
erano entrati in conflitto con il sovrano francese Filippo IV il Bello1.
1
Bonifacio VIII entr in conflitto anche con coloro che non approvavano la
sua elezione al soglio pontificio in funzione della presunta illegittimit della rinun-

80

LORENZA TROMBONI

In questo decennio la discussione fu molto sentita e si svilupp


ampiamente proprio perch al centro stavano il tema della legittimit del potere, del suo esercizio, e del confine tra la sfera temporale
e quella spirituale: da un problema particolare limposizione delle
tasse sui beni ecclesiastici in territorio francese la discussione si
allarg fino alla funzione stessa del papato, al rapporto tra la giustizia terrena e il governo delle anime. Uno scambio di idee e concetti
che risentiva anche degli argomenti filosofici introdotti nel secolo
XIII con le traduzioni latine dellEtica nicomachea e della Politica di
Aristotele, che avevano riacceso il dibattito intorno alle forme di
governo e, pi importante che mai in questo contesto, sulle degenerazioni alle quali esse andavano incontro. La figura del tiranno, sulla
quale anche Tommaso dAquino nel De regno si era soffermato e che
costituiva lestremo negativo del monarca non pi soltanto in forma
teorica, gettava la sua ombra sul malgoverno del principe secolare
ma anche sulloperato di un pontefice come Bonifacio che si atteggiava, in tutto e per tutto, a sovrano di uno stato universale. In questi
anni furono posti i fondamenti teorici della riflessione politica di
tutto il XIV secolo, che ripercorreremo brevemente attraverso i
testi che in maniera pi significativa hanno trattato della potestas
papale.
cia di Celestino V. Tra questi alcuni cardinali esponenti della famiglia Colonna che,
pur avendo in precedenza accettato la rinuncia di Pietro da Morrone e avvalorato
lelezione del Caetani, si trovarono in forte disaccordo con la politica papale e
insisterono sulle motivazioni canonistiche di tale irregolarit. Si veda sul tema J.
MIETHKE, Ai confini del potere. Il dibattito sulla potestas papale da Tommaso dAquino a Guglielmo dOckham, Padova, Editrici Francescane, 2005 (trad. it. di De
potestate papae: die ppstliche Amtskompetenz im Widerstreit der politischen Theorie von Thomas von Aquin bis Wilhelm von Ockham, Tbingen, Mohr Siebeck, 2000), cap. II e la bibliografia qui segnalata. Su alcuni aspetti del governo di
Filippo il Bello si veda J. THRY, Philippe le Bel, la perscution des perfides templiers et la pontificalisation de la royaut captienne, in Let dei processi. Inchieste
e condanne tra politica e ideologia nel 300, a c. di A. Rigon e F. Veronese, Roma,
Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 2009, pp. 63-80. Per una rassegna degli
autori che intervennero nella disputa tra Bonifacio VIII e Filippo il Bello, cfr. R.
LAMBERTINI, Da Egidio Romano a Giovanni di Parigi, da Dante a Marsilio: fautori e
oppositori della teocrazia papale agli inizi del Trecento, in Il pensiero politico. Idee
teorie dottrine, I, Et antica e Medioevo, a c. di C. Dolcini, Torino, UTET, 1999,
pp. 209-254; M.T. FUMAGALLI BEONIO BROCCHIERI, Il pensiero politico medievale,
Roma, Laterza, 2000, cap. VI.

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

81

Egidio Romano2 e Giacomo da Viterbo3, rappresentanti del cosiddetto agostinismo politico composero due opere, il De ecclesiastica potestate ed il De regimine christiano in cui, con le rispettive
particolarit, viene affermata, in maniera inequivocabile, la plenitudo potestatis del pontefice.
Il De ecclesiastica potestate 4, composto in vista del concilio del
1302, sviluppa nei suoi tre libri laffermazione, larticolazione e la
difesa della potestas papale. La prospettiva di Egidio fortemente
gerarchizzata: nella comunit dei fideles, lautorit spirituale la prima
e la maggiore, da essa deriva lautorit della quale pu disporre, anche
se in modo limitato, la potestas terrena; tutto ricondotto ad essa e
la stessa storia delluomo non ha un valore in quanto tale, ma solo
nellottica dellhistoria salutis 5. Il rigido schema egidiano in cui un
unico potere universale ordina e governa il mondo, stato ripreso
2
Su Egidio Romano si veda: DBI, XLII, pp. 319-341 [F. del Punta-S. DonatiC. Luna]; G. BRUNI, Le opere di Egidio Romano, Firenze, L.S. Olschki, 1936; R.
LAMBERTINI, Philosophus videtur tangere tres rationes. Egidio Romano lettore e interprete della Politica nel terzo libro del De regimine principum, Documenti e
studi sulla tradizione filosofica medievale, 1, 1990, pp. 277-325; G. C. GARFAGNINI, Cuius est potentia eius est actus. Regnum e sacerdotium nel pensiero di
Egidio Romano e Giovanni da Parigi, in Filosofia e cultura. Per Eugenio Garin, 2
voll., a c. di M. Ciliberto - C. Vasoli, Roma, Editori Riuniti, 1991, I, pp. 101-134;
L. LANZA, Aegidius Romanus, in C.A.L.M.A., Compendium auctorum latinorum
medii aevi, a c. di G.C. Garfagnini M. Lapidge C. Leonardi, Firenze, Sismel
Edizioni del Galluzzo, 2000, I, 1 (2000), pp. 63-73; MIETHKE, Ai confini del potere,
cit., pp. 104-111.
3
Su Giacomo da Viterbo cfr. A. DALS, Jacques de Viterbe thologien de lglise, Gregorianum, 7, 1926, pp. 339-353; R. W. CARLYLE - A. J. CARLYLE, A History
of Mediaeval Political Theory in the West, vol. I-V, Edimburgh London, Blackwood,
4
V, 1962 , pp. 409-417; Y. CONGAR, Jacques de Viterbe, Catholicisme, 6, 1963,
pp. 266-267; M. DAMIATA, Il pensiero politico di Giacomo da Viterbo nel De regimine christiano e Alvaro Pelagio, Studi Francescani, 81, 1984, pp. 639-671; E.
YPMA, La carrire scolaire de Jacques de Viterbe, Augustiniana, 24, 1974, pp. 247282; ID., Recherches sur la productivit littraire de Jacques de Viterbe jusqu 1300,
ivi, 25, 1975, pp. 223-285; MIETHKE, Ai confini del potere, cit., pp. 112-115.
4
Cfr. EGIDIO ROMANO, De ecclesiastica potestate, ed. R. Scholz, Leipzig, Weimar, 1929 (rist. anast. Aalen 1961); trad. it. EGIDIO ROMANO, Il potere della Chiesa,
a c. di G. Dotto e G.B.M. Marcoaldi, Roma, Citt Nuova, 2000. Trad. it. a c. di G.
BRIGUGLIA, Il potere del re e il potere del papa. Due trattati medievali, Genova,
Marietti, 2009, pp. 217-305: si veda anche la parte introduttiva dove si tratta del
rapporto con Giovanni Quidort da Parigi.
5
Si veda GARFAGNINI, Cuius est potentia eius est actus, cit.

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LORENZA TROMBONI

dal suo allievo Giacomo da Viterbo, autore del De regimine christiano, composto contemporaneamente o poco dopo il De ecclesiastica
potestate 6. Come Egidio, Giacomo aveva ascoltato le lezioni di Tommaso dAquino a Parigi e come lui ne aveva subito fortemente linfluenza, evidente soprattutto nella maniera rigorosa e documentata
di porre e risolvere la questione del rapporto tra stato e chiesa7: la
base della sua argomentazione sta nella definizione formale della
chiesa come regno del quale Cristo il sovrano, per precisarne poi
lambito di competenza, le responsabilit e le prerogative in riferimento allordine sacerdotale. Da qui, poi, si passa alla trattazione
del pontefice che il vertice dellecclesia, e del carattere assoluto
della sua potestas che perfeziona (non la legittima necessariamente
come per Egidio) anche quella secolare: a differenza del suo maestro, Giacomo non esclude che lesistenza umana possa avere anche
una dimensione propria, naturale; anzi, richiamandosi alla trattazione tomistica del tema politico, egli vuole comporre laffermazione
della naturale tendenza alla socialit ed alla politica delluomo con
lidea della superiorit del potere spirituale.
Nello stesso periodo, tra il 1302 ed il 1303, un altro allievo di
Tommaso contribuiva a tenere viva la discussione sulla potestas papale,
dando unimmagine teorica della chiesa e del pontefice: Giovanni
Quidort da Parigi, appartenente allordine domenicano, autore del
De potestate regia et papali, noto anche per essere stato tra i firmatari
del documento, redatto da alcuni maestri in teologia delluniversit
di Parigi, con cui si dichiarava illegittimo il rifiuto di Celestino e
conseguentemente lelezione di Bonifacio VIII8. Come fa notare
Garfagnini9, Giovanni ha in comune con i due agostiniani la maniera
di porre la questione del rapporto tra sacerdotium e regnum, che
prescinde dalla propaganda e che mira ad una messa in chiaro di
6

Cfr. ledizione a c. di H. X. ARQUILLIRE, Le plus ancien trait de lEglise.


Jacques de Viterbe, De regimine christiano (1301-1302), Paris, Beauchesne, 1926;
trad. it. GIACOMO DA VITERBO, Il governo della Chiesa, a c. di A. Rizzacasa e G.B.M.
Marcoaldi, Firenze, Nardini, 1993.
7
Una recente e sintetica ricostruzione di questa fase in M. RIZZI, Cesare
e Dio. Potere spirituale e potere secolare in Occidente, Bologna, Il Mulino, 2009,
pp. 133-148.
8
Ed. J. LECLERCQ, Jean de Paris et lecclesiologie du XIIIe sicle, Paris, J. Vrin,
1942. Trad. it. a c. di BRIGUGLIA, Il potere del re e il potere del papa, cit., pp. 47-216.
9
Cfr. GARFAGNINI, Cuius est potentia eius est actus, cit.

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

83

tale rapporto per un miglioramento della vita degli uomini allinterno della comunit civile. Giovanni risponde puntualmente alle affermazioni di Egidio Romano e nella sua opera riprende alcuni dei
punti pi significativi del maestro agostiniano, mettendo in evidenza le contraddizioni di queste affermazioni e ponendo nuovamente
la questione in modo pi concreto e legato ai nodi intorno a cui si
sviluppava la discussione. Cos, a fianco delle tesi pi generali come
lorigine naturale del regnum, conseguenza della disposizione naturale
delluomo, vengono trattati i punti pi discussi dal punto di vista
pratico, come il diritto di propriet sui beni materiali e lamministrazione dei sacramenti, sempre confutando le posizioni della parte
avversa, con un atteggiamento che tende al distacco piuttosto che
al coinvolgimento. Un contegno che gli permette di affermare senza timore la superiorit, quanto a fine e dignit intrinseca, dellautorit spirituale su quella temporale, ma anche di ribadire la sola
funzione di dispositor o dispensator dei beni materiali ricoperta dal
pontefice e non, come aveva affermato Egidio Romano senza riserve, di dominus.
Cinque anni dopo la morte di Bonifacio VIII (1303), fu eletto
imperatore Enrico VII di Lussemburgo (1308) il quale, oltre ad
incarnare le attese dei sostenitori di unautorit imperiale forte, tendeva ad incoraggiare la produzione letteraria propagandistica. Tra
coloro che riposero grandi speranze in Enrico vi fu Dante che, secondo alcuni studiosi, cominci a riflettere sulla questione proprio
in occasione della incoronazione dellimperatore nel 131210.
10
Cfr. DANTE ALIGHIERI, Epistole, ed. A. Frugoni, in ID., Opere minori, III. 2
Epistole, Egloge, Questio de aqua et terra, Milano, Mondadori, 1995-1996, pp. 522643: Epp. 5, 7, 8, 11. Il primo ad indicare il 1312 come data di composizione della
Monarchia fu Giovanni Boccaccio nel Trattatello in laude di Dante per cui vedi infra.
A questa ipotesi aderirono studiosi come Barbi, Pietrobono, Maccarrone e Vinay,
ma la questione della datazione molto discussa: la teoria pi recente ed anche pi
accreditata la collocherebbe negli ultimi anni di vita di Dante; si veda in proposito
Furlan nellIntroduzione a DANTE, Monarchia, con il Commentario di Cola di Rienzo e il Volgarizzamento di Marsilio Ficino, a c. di F. Furlan, Milano, Mondadori,
2004, pp. XXV-XXXIV. Cfr. anche P.G. Ricci nellIntroduzione a DANTE ALIGHIERI,
Monarchia, ed. P.G. Ricci, Milano, Mondadori, 1965 (Le opere di Dante Alighieri. Edizione Nazionale a cura della Societ Dantesca Italiana); M. CHIAVACCI LEONARDI, La Monarchia alla luce della Commedia, Studi medievali, III s., 18, 1977,
pp. 147-183; C. DOLCINI, Crisi di poteri e e politologia in crisi. Da Sinibaldo Fieschi
a Guglielmo dOckham, Bologna, Ptron, 1988, pp. 427-439.

84

LORENZA TROMBONI

Se un sovrano universale sia necessario al buon ordinamento del


mondo; se i Romani abbiano conseguito limperium di diritto; se
lauctoritas della sovranit universale dellimperatore dipenda direttamente da Dio o sia mediata dalla chiesa e dal papa: queste sono le
tre questioni in base alle quali si struttura la Monarchia11, dove Dante si occupa prima di affermare la necessit di un unico principe che
governi rettamente, per mantenere lo stato di pace necessario al
conseguimento della realizzazione terrena, cio della felicitas; successivamente dimostra, in maniera razionale, che i Romani detengono di diritto il potere imperiale, e lo fa per mezzo di argomentazioni
storico-letterarie, tratte dagli autori a lui pi vicini come Virgilio e
Tito Livio, ma anche con due prove di fede, come quella relativa alla
scelta di Dio di un determinato contesto storico (appunto la Roma
imperiale) per incarnarsi. In questo secondo libro, Dante fa anche
sfoggio di una certa originalit di pensiero, ma tutta lopera espressione di una notevole ricchezza di argomenti che spaziano dal campo filosofico a quello giuridico e che lasciano trasparire la conoscenza del pensiero aristotelico e di quello tomista. Nel terzo ed ultimo
libro la profondit argomentativa di Dante messa a frutto nella
confutazione puntuale di tutte quelle posizioni che, in base alle interpretazioni di passi biblici (neo e veterotestamentari), affermano
la superiorit del potere spirituale su quello temporale: per citarne
solo due, il brano di Gn 1, 16 sui duo luminaria (Fecit Deus duo
luminaria, solem ut preesset diei et lunam), e quello di Lc 22, 38 sulle
due spade. Dante tratta anche della Donatio Constantini e dimostra
che non valida di diritto, perch limperatore non poteva cedere
alla chiesa limpero e quella non poteva riceverlo, in virt della proibizione evangelica del possesso12. Rivive in Dante quella esigenza
manifestata da Giovanni da Parigi, di porre e risolvere le questioni
relative al rapporto tra papato e impero in maniera razionale, cos
come laffermazione dellesistenza di due diversi fini nella vita delluomo, uno ultraterreno ed uno terreno: con Dante si riporta lat11
Oltre alledizione di Ricci del 1965 ed alla versione a c. di Furlan del 2004
(che utilizza il testo stabilito da Ricci), ricordiamo la nuova edizione della Monarchia,
DANTE ALIGHIERI, Monarchia, a c. di P. Shaw, Firenze, Le Lettere, 2009 (Le opere di
Dante Alighieri. Edizione Nazionale a cura della Societ Dantesca Italiana, 5).
12
Cfr. G. PULETTI, La donazione di Costantino nei primi del 300 e la Monarchia di Dante, Medioevo e Rinascimento, n.s., 4, 1993, pp. 113-135.

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

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tenzione sulla sfera terrena e sulla figura dellimperatore come garante di una realizzazione delluomo in questo mondo13.
Lavventura di Enrico VII si concluse troppo presto per poter
soddisfare le aspettative che riponevano in lui i sostenitori dellimpero: un anno dopo la sua incoronazione mor (1313), senza essere
riuscito a modificare lassetto politico italiano.
Lopera di Dante and subito incontro a critiche e condanne: il
cardinale legato Bertrando del Poggetto, la condann come eretica
e la fece bruciare proprio mentre si accendevano le polemiche sulla
discesa di Ludovico il Bavaro a Roma; tra i critici pi noti della
Monarchia spicca senzaltro Guido Vernani, considerato il primo
oppositore politico di Dante14 che non esit a mettere per iscritto,
nel De reprobatione Monarchiae (1329), la sua contrariet nei confronti di un testo che a suo avviso, aveva sovvertito lordine delle
priorit, ed aveva posto il bene terreno avanti a quello celeste15: un

13
Sul tema dei due fini e sulla ricezione dellEthica nicomachea, cfr. A.J. CELAThe finis hominis in the Thirteenth Century Commentaries on Aristotles Nicomachean Ethics, Archives dhistoire doctrinale et littraire du moyen ge, 58,
1986, pp. 2331; ID., The Understanding of the Concept of felicitas in the pre-1250
commentaries on the Ethica nicomachea, Medioevo, 12, 1986, pp. 2953; V.
BUFFON, Philosophers and Theologians on Happiness: An Analysis of Early Latin
Commentaries on the Nicomachean Ethics, Laval thologique et philosophique,
60, 2004, pp. 449476; Le felicit nel medioevo. Atti del convegno della Societ
Italiana per lo Studio del pensiero Medievale (S.I.S.P.M.), Milano, 12-13 settembre 2003, cur. M. Bettetini - F. D. Paparella, Louvain-la-Neuve, FIDEM, 2005
(Textes et tudes du Moyen Age, 31); I. ZAVATTERO, Felicit e Principio Primo. Teologia e filosofia nei primi commenti latini allEthica nicomachea, Rivista di storia
della filosofia, 61, 2006, pp. 109136.
14
Cos N. MATTEINI, Il pi antico oppositore politico di Dante: Guido Vernani
da Rimini. Testo critico del De reprobatione Monarchiae, Padova, CEDAM, 1958
e T. KPPELI, Der Dantegegner Guido Vernani von Rimini, Quellen und Forshungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, 28, 1937, pp. 107-146.
15
Fondamentale sulla ricezione della Monarchia lo studio di F. CHENEVAL,
Die Rezeption der Monarchia Dantes bis zur Editio princeps im Jahre 1559. Mit einer
kritischen Edition von Guido Vernanis Tractatus de potestate summi pontificis,
Mnchen, W. Fink, 1995, che d, come recita il titolo, anche ledizione del testo di
Vernani, in particolare cfr. pp. 117-150; sul problema specifico del fine delluomo
si veda C. TROTTMANN, Guido Vernani critique des duo ultima de Dante. Thories
de la batitude et conceptions du pouvoir politique, in Les philosophies morales et
politiques au Moyen Age. Moral and Political Philosophies in the Middle Ages II Actes
du IX Congrs international de philosophie mdivale. Ottawa, du 17 au 22 aot

NO,

86

LORENZA TROMBONI

errore che si era ripercosso sia nella concezione politica, nel rapporto tra il pontefice e lautorit temporale, che nella concezione filosofico-antropologica, per cui la beatitudine per luomo veniva idealmente dopo la felicit terrena. Lopera di Vernani non ebbe molta
diffusione, ma sicuramente indice di un certo tipo di ricezione di
Dante allinterno dellordine domenicano, la cui circolazione fu
ufficialmente vietata nel 1335. Lo segue, infatti, Guglielmo da Sarzano (fl. 1310-1311), autore del Tractatus de excellentia principatus
regalis, e del Tractatus de potestate Summi Pontificis16. Anche se la
sua opera dettata da esigenze differenti da quelle che animano
Vernani, possiamo situarlo insieme a lui tra i sostenitori del primato
e della plenitudo potestatis papale, cos come tra gli oppositori di
Dante, con il quale non polemizza esplicitamente, anche se la sua
contrariet ben riscontrabile nel De potestate Summi Pontificis,
composto, presumibilmente, nella seconda decade del Trecento17:
Guglielmo dimostra, in alcuni aspetti della sua opera, anche una certa
originalit, come ha evidenziato Lambertini18, nella maniera di integrare lVIII libro dellEtica con la pi estesa classificazione delle for-

1992. Proceedings of the 9th International Congres of Medieval Philosophy. Ottawa, 17-22 August 1992 (S.I.E.P.M.), cur. B. C. Bazn E. Andjar L.G. Sbrocchi, voll. 3, New York-Ottawa-Toronto, LEGAS, 1995, II, pp. 1147-59.
16
Si veda DBI, LXI, pp. 34-37 [M. Cerroni]; F.M. DELORME, Fratris Guillelmi
de Sarzano Tractatus de excellentia principatus regalis, Antonianum, 15, 1940,
pp. 221-244; R. DEL PONTE, Il Tractatus de potestate Summi Pontificis di Guglielmo da Sarzano, Studi medievali, s. III, 12, 1971, pp. 997-1090.
17
R. del Ponte (nei saggi Un trattatista politico del Trecento, fra Guglielmo da
Sarzano, Renovatio, 4, 1969, pp. 617-626 e Un presunto oppositore della Monarchia dantesca, Guglielmo da Sarzano, in Omaggio a Camillo Guerrieri-Crocetti,
Genova, Fratelli Bozzi, 1971, pp. 253-269) aveva sostenuto che lopera di Guglielmo fosse in risposta alla Monarchia, ma Cheneval (Die Rezeption der Monarchia,
cit., pp. 175-186), ha dimostrato che nel De potestate non ci sono riferimenti precisi allopera dantesca e che si inserisce semplicemente nel filone di scritti contrari
alle tesi sostenute dallAlighieri.
18
Cfr. R. LAMBERTINI, Governo ideale e riflessione politica dei frati mendicanti
nella prima met del Trecento, in Etica e politica. Le teorie dei frati mendicanti nel
Due e Trecento. Atti del XXVI Convegno Internazionale. Assisi, 15-17 ottobre 1998,
Spoleto, CISAM, 1999, pp. 233-277; ID., I Frati Minori e la Politica di Aristotele.
Lo strano caso di Guglielmo da Sarzano, in Ubi neque aerugo neque tinea demolitur. Studi in onore di Luigi Pellegrini per i suoi settanta anni, cur. M. G. Del Fuoco, Napoli, Liguori, 2006, pp. 407-23.

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87

me di governo contenuta nella Politica, che rappresenta un fenomeno poco comune ed assai interessante.
Legato alla sorte di un altro imperatore, Ludovico il Bavaro, fu,
per un certo periodo della sua vita Marsilio da Padova, autore di uno
dei testi pi innovativi di tutto il Trecento, in cui vengono poste le basi
per una discussione del problema politico in termini inusitati e sicuramente pi vicini ad una sensibilit moderna piuttosto che a quella
medievale19. Il Defensor pacis fu completato nel 1324 a Parigi, come la
Monarchia and subito incontro ad aspre critiche e fu condannato da
papa Giovanni XXII gi nel 1327. Lopera si divide in tre parti (dictiones) ed alla fine della prima che Marsilio si concentra sulla causa
delle discordie che travagliano lItalia, cio la pretesa del vescovo
romano di esercitare il pieno potere in ambito temporale, per poi
esporre nella seconda parte del Defensor tutte le ragioni che confutano questa assurda pretesa. Di particolare interesse, oltre alla netta presa
di posizione di Marsilio, la sua concezione antropologica, che gli
permette di svolgere una riflessione sul senso della comunit e sulle
leggi che la regolano che si stacca decisamente dalla concezione medievale di lex come espressione della razionalit divina, cristallizzata
nella dottrina tomistica. Marsilio sviluppa il suo discorso a partire dalla
nascita della comunit civile, frutto della naturale inclinazione umana
e pone la legge come un patto tra i cives che rende possibile la convivenza mediante il sistema di punizione/premio. A garanzia del funzionamento di questo sistema anche Marsilio vede un principans, ma la sua
preferenza non per un sistema unitario ed universale come nel caso
di Dante, piuttosto per una partecipazione dei cives allelezione del
governante e, tramite lo strumento della votazione, alla gestione del
potere.
19
La bibliografia sul Defensor pacis molto ampia: si veda Marsilio da Padova.
Convegno internazionale (Padova, 18-20 settembre 1980), Medioevo, 5-6, 19791980, la sezione bibliografica di MARSILIO DA PADOVA, Il difensore della pace, trad.
M. Conetti - C. Fiocchi - S. Radice - S. Simonetta, cur. M. Fumagalli Beonio Brocchieri, 2 voll., Milano, BUR, 2001 e, per una recente ed efficace proposta dei temi
principali dellopera, G.C. GARFAGNINI, Alcune osservazioni intorno al Defensor pacis
di Marsilio da Padova, Annali del Dipartimento di Filosofia. Universit di Firenze, 9-10, 2003-2004 [ma 2005], pp. 33-41. Si hanno due edizioni critiche del
Defensor: una a c. di C.W. Previt Orton, Cambridge, Cambridge University Press,
1928 e laltra a c. di R. Scholz, 2 voll., Hannover-Leipzig, Hahn, 1932-1933 (Fontes Iuris Germanici Antiqui). Cfr. anche la trad. it., a c. di C. VASOLI, Il Difensore
della pace, Torino, UTET, 1960 (19752).

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LORENZA TROMBONI

Il Defensor pacis e la Monarchia hanno indubbiamente alcune


caratteristiche comuni: entrambi i loro autori sono italiani, le loro
opere nascono essenzialmente dalla riflessione sulle travagliate vicende della penisola nel XIV secolo e dalla necessit di un clima
pacifico in cui poter migliorare le condizioni di vita degli uomini; i
due testi ebbero una grande diffusione ed andarono incontro alla
condanna da parte dellautorit ecclesiastica; scritte a distanza di circa
un decennio luna dallaltra, il Defensor pacis e la Monarchia portano
avanti lidea di una netta indipendenza della sfera naturale della vita
umana da quella sovrannaturale: due dimensioni diverse che corrispondono a due finalit distinte. Naturale, per Dante cos come per
Marsilio, la tendenza delluomo a vivere in comunit e, se anche
per Dante luomo destinato a realizzarsi prima nella sua esistenza
terrena, per Marsilio il distacco dalla prospettiva tradizionale ancora pi netto. Il nuovo paradigma che Marsilio introduce per interpretare il significato della comunit umana e la sua intrinseca finalit sicuramente uno dei motivi che resero inevitabile la sua condanna e che, in occasione della sua morte (1343), spinsero il pontefice Clemente VI a definirlo il peggior nemico della chiesa. Nonostante loffensiva da parte dellautorit ecclesiastica lopera si diffuse ampiamente in tutta Europa.
La prima testimonianza della diffusione del Defensor pacis in Italia
il volgarizzamento dellanonimo fiorentino completato nel 1363,
conservato in un unico codice della Biblioteca Laurenziana, il Pl.
44, 26, ed edito da Pincin nel 196620. La traduzione fu condotta su
un precedente volgarizzamento in lingua francese, come affermato
anche dallautore allinizio del Difenditore 21. Su questa precedente
versione ci sono pochi dati, ma certamente essa ebbe una certa circolazione se nel 1375, dietro impulso di papa Gregorio XI, la facolt
teologica di Parigi istitu un processo per stabilire chi ne fosse lau20

Cfr. MARSILIO DA PADOVA, Defensor pacis nella traduzione in volgare fiorentino


del 1363, ed. C. Pincin, Torino, Fondazione L. Einaudi, 1966 [da qui Difenditore].
21
Cfr. Difenditore, p. 9: Questo si chiama il libro del difenditore della pacie
e tranquilit, trasslato di franciesco i[n fio]rentino lano mccclxiij. Sulla versione
francese J. QUILLET, Marsile de Padue: Le Dfenseur de la Paix, Paris, J. Vrin, 1968,
p. 23 e J. MIETHKE, Das Publikum politischer Theorie im 14. Jahrhundert. Zur Einfhrung, in Das Publikum politischer Theorie im 14. Jahrhundert, a c. di J. Miethke,
Mnchen, Oldenbourg, 1992, p. 11, n. 39.

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

89

tore22. Come per la versione fiorentina, possiamo ipotizzare che fosse destinata a far conoscere il Defensor pacis in ambienti mercantili
e militari e non certo in ambienti dotti per i quali la versione latina
era gi sufficientemente chiara. Gi il curatore aveva messo in luce
alcuni elementi della storia fiorentina che potevano aiutare a contestualizzare liniziativa di tradurre in volgare fiorentino un testo come
il Defensor pacis, cos carico di significato politico. I decenni che
vanno dallinizio del Trecento al periodo di composizione del volgarizzamento sono difficili per molte citt italiane, ma per Firenze in
particolare, dove il regime signorile stentava ad affermarsi come forma di governo ed anzi la struttura repubblicana era vigorosamente
difesa come segno distintivo della citt23.
Le sconfitte inferte prima da Uguccione della Faggiola (1315 a
Montecatini) e poi da Castruccio Castracani (1325 ad Altopascio)
ridimensionarono fortemente il prestigio militare di Firenze, in un
periodo in cui il mercato tessile era in forte crisi e sentiva la concorrenza degli stranieri; lesperimento della pseudo-signoria di Gualtieri di Brienne (1342-1343), proclamatosi duca di Atene, dur appena
il tempo perch i fiorentini, pur divisi tra ceto magnatizio e popolo
grasso, diventassero insofferenti verso il tentativo di annichilire ogni
libert civile e verso lintollerabile contegno delle truppe armate di
cui la citt era piena; una volta cacciato il duca di Atene, la citt
pass in mano ad un gruppo di esponenti delle maggiori famiglie
magnatizie come i Donati, i Cavalcanti, i Bardi, che tentarono di fare
ci che non era riuscito a Gualtieri, controllare il governo cittadino.
Il ceto dei mercanti ed il popolo minuto, avvertita lennesima minaccia alla libert, tent a pi riprese di combattere questa tendenza, dando
luogo ad un lungo periodo di contrapposizioni che sfociarono in azioni pi o meno significative, tra le quali ricordiamo il tumulto de Ciompi
(1378). Negli anni 40 le banche dei Peruzzi, dei Bardi e degli Acciaiuoli fecero bancarotta, trascinando con s molti piccoli operatori
economici, tra i quali anche il padre di Boccaccio, e nel 1348 la peste
cominci a mietere vittime anche nel centro Italia ed a Firenze.
22
La documentazione edita in H. DENIFLE-. CHATELAIN, Chartularium Universitatis Parisiensis, Paris, Delalain, 1891-1899, III, pp. 223-227 [Rist. anast. Bruxelles, Culture et Civilisation, 1964]. Riprodotta anche in Difenditore, pp. 571-577.
23
Cfr. R. CAGGESE, Firenze dalla decadenza di Roma al Risorgimento dItalia, II,
Dal priorato di Dante alla caduta della Repubblica, Firenze, Seeber-Lumachi-Bemporad, 1913, capp. II-III.

90

LORENZA TROMBONI

La pace e la tranquillit erano condizioni sentite come necessarie per la ripresa economica e politica, desiderate e ricercate, ma
non a prezzo della libert: nel Defensor pacis si parlava proprio di
questo, della maniera di vivere civile, liberamente e pacificamente,
e delle cause che avevano compromesso questa possibilit: anche
Garin accenna al fatto che il volgarizzamento ha un legame con il
clima politico di Firenze di quegli anni, un clima che persiste anche
durante il cancellierato di Coluccio Salutati (1375-1406)24. In questo ambiente di torbide passioni si svolge dal 1343 al 1382 un dramma singolarmente forte25. Cos il Caggese, e possiamo ipotizzare che
il nostro autore volesse proporre una soluzione per questo dramma con la sua traduzione, che volesse introdurre le idee e i principi
marsiliani nel ceto dal quale, verosimilmente, proveniva. Unipotesi
questultima che si basa sulla sua scarsa attitudine alla traduzione e
a quanto pare agli studi in genere: la prosa faticosa e priva di elaborazioni originali, procede letteralmente, segno che anche la versione francese era stata condotta in maniera fedele alloriginale. Lanonimo del Difenditore spesso in difficolt di fronte al testo da tradurre ed aggira lostacolo facendo ricorso a calchi dal francese: una
caratteristica per la quale sar ricordato anche nel volume Della
perfetta poesia italiana (III. 317) di Muratori26. Dallo studio delleditore moderno, si sa che lanonimo fiorentino sbaglia costantemente
a leggere alcune parole, mentre ce ne sono altre che non riesce a
decifrare e si limita a ricopiare i segni che vede; oltre allutilizzo di
calchi, spesso impiega il termine originale francese, perch incapace
di tradurlo: elementi notati anche dal compilatore cinquecentesco
del quaderno Riccardiano 2197, che a proposito del Difenditore recita:
Questo un libro, che credo sia molto buono e parmi molto corretto, e puro fiorentino, ma di tanto stravagante carattere che mi
24
E. GARIN, I cancellieri umanisti della repubblica fiorentina da Coluccio Salutati a Bartolomeo Scala in La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Firenze,
Sansoni, 1961, pp. 3-37 [10].
25
Cfr. CAGGESE, Firenze dalla decadenza, cit., II, p. 184.
26
Cfr. L.A. MURATORI, Della perfetta poesia italiana, voll. 4, Venezia, presso
Antonio Curti q. Giacomo nella Tipografia pepoliana, 1795, III, p. 317: Il Difenditore della pace ho trovato, che un volgarizzamento dun libro latino, Marsilii
Patavini Defensor pacis, dedicato a Ludovico il Bavero, di cui lautore segu le parti;
e poi messo in franzese, e quindi in toscano; e per pieno dinfinite voci franzesi,
come trallaltre micieffo da mchef e nella dedicatoria tranobile da trs noble.

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

91

bisognato pi tosto indovinare, che leggere27. Questa mancanza di


perizia rende il volgarizzamento meno efficace di quanto il suo autore aveva previsto, ma ci d la misura di quanto fosse forte la sua
motivazione politica nellaccostarsi a questo testo e nella volont di
divulgarlo pur non essendo un esperto in materia.
Che la motivazione dellanonimo fosse forte e che il suo interesse per il Defensor pacis fosse genuino confermato dal fatto che nel
codice sono presenti numerosi segni sottolineature, segni di rubrica o semplicemente la parola nota che indicano un particolare
interesse per alcuni argomenti. I passi indicati riguardano temi differenti: tra di essi la necessit di obbedire alle leggi anche da parte
dei regnanti (I, xi, 4-5), la prudentia del regnante (I, xiv, 6), i vantaggi
della successione per elezione del signore (I, xvi, 15), i requisiti per
il sacramento della confessione (II, vi, 5) la facolt di scomunicare
(II, vi, 13), le caratteristiche dello stato di povert (II, xiii, 34, 36),
dellufficio sacerdotale (II, xv, 4, 7; II, xvi, 8) e la dimostrazione che
Ges non aveva conferito a Pietro nessun titolo di superiorit rispetto agli altri apostoli (II, xxvii, 6, 18, 19)28. Proprio questultimo
punto ci permette di collegarci ad un tema pi ampio quale il primato del vescovo di Roma e le pretese che derivano da questo status di
primo tra gli apostoli: su tale nucleo concettuale si era concentrato
lanonimo nel redigere la sua tabula, un elenco di passi che egli riteneva particolarmente significativi e che doveva trovarsi allinizio
del testo; essa andata perduta, forse al momento della legatura, ma
possibile ricostruirla attraverso gli indizi lasciati nelle carte del
manoscritto, al margine del testo, dallanonimo29. Nella parte del
codice che contiene il testo della seconda dictio (cc. 149v-248v, dal
capitolo XVI al XXVIII) sono presenti dei numeri posti generalmente
a fianco del numero della carta sintende la numerazione antica
che si trova nel margine esterno in alto ma indipendenti da questi:
in alcuni casi essi sono stati cancellati, pur restando leggibili; tale
accorgimento serve appunto ad evitare la confusione tra la numerazione delle carte e questa seconda numerazione, e viene preso
soltanto quando le due numerazioni sono luna di fianco allaltra:
27
28
29

Cfr. Difenditore, p. 539, nota 1.


Ivi, pp. 546-547.
Sulle caratteristiche del codice, ivi, pp. 541-545.

92

LORENZA TROMBONI

nella carta 214r, ad esempio, si vede un 36 cancellato accanto al 214,


e nella c. 215r si trova un 37 sul quale sono state tracciate due linee,
con sotto una frase esplicativa: questo segno 37 per ragione della
tavola dinanzi e no per le charte. Poche parole che spiegano la
ragione della numerazione alternativa: lanonimo aveva notato una
serie di luoghi del testo che gli parevano di particolare interesse e li
aveva segnati, numerandoli, a margine. I numeri dovevano rimandare ad una tabula posta, a quanto dice lui stesso, dinanzi e che
conteneva, stando a quelli attualmente presenti e leggibili, un elenco
di 41 passi del Defensor pacis dedicati alla confutazione del primato
papale. Nella tabella riportiamo le carte interessate dalla numerazione dellanonimo, nellintervallo da 149v a 248v: per ciascuna si
d il numero di riferimento lasciato dallanonimo30:
riferimenti
1
2
4
7
9
11
13
15
17
19
21, 22
24
26
29
31
33
35
37
39
42
30

carte
149v
150v
152r
153r
159r
163r
164r
174r
176v
182r
184r
185r
190r
195v
204r
212r
214r
215r
234v
248v

Ivi, pp. 548-549.

riferimenti
2
3
5, 6
8
10
12
14
16
18
20
23
25
28
30
32
34
36
38
40

carte
150r
151r
152v
156v
159v
163v
170r
176r
177r
183v
184v
186v
195r
197v
211r
213r
214r
221v
234v

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

93

I primi rimandi alla tabula sono tutti presenti nella carte del XVI
e XVII capitolo della seconda dictio, in cui viene discusso il problema
dellautorit di Pietro. In primo luogo Marsilio pone la questione
delluguaglianza tra gli apostoli de aequalitate apostolorum infatti
il titolo del XVI capitolo: la citazione paolina dellEpistola ai Galati
(I, 11-12) a fornire il primo appoggio a questa tesi, dove Paolo afferma di non essere mandato dagli uomini e che il Vangelo del quale si
fa latore non parola di uomo ricevuta dagli uomini, ma parola di
Ges Cristo avuta per rivelazione. Paolo non stato scelto da nessuno degli apostoli ed il suo mandato per la predicazione del Vangelo gli viene direttamente da Dio; soprattutto, a Marsilio preme
affermare che non stato Pietro a scegliere e incaricare Paolo del
suo compito, e che Pietro non aveva lautorit per imporre le sue
decisioni a nessuno degli apostoli, come dimostrano molti luoghi
degli Atti degli Apostoli. Si tratta di un attacco molto duro al cuore
della dottrina ierocratica che si basava, sostanzialmente, sullaffermazione del primato concesso a Pietro direttamente da Dio, una
giurisdizione che si applicava ai chierici ma anche ai laici. Proprio su
questo si sofferma lanonimo che continua prendendo nota delle
osservazioni di Marsilio presenti nei paragrafi 7-11 del XVI capitolo,
dove il tema delluguaglianza di Pietro si unisce alla facolt di distribuire i beni materiali donati alla chiesa (7-8), ed alla pretesa dei vescovi
romani di gestire o incamerare tali beni.
Somilgliantemente appare, san Piero o altro delli appostoli niuno sulli
altri avere avuto promovenza o ppossanza in distribuire le tenporali offerte
alle chiese primitive; [...] Dinmi dunque donde al vescovo de romani
venuto lauttorit di tali cose distribuire per sua volont, o i lassci delli uomini
ne testamenti [...]31.

Lerrore nel quale si incorre volendo dare a Pietro una qualche


preminenza sugli altri apostoli frutto di una cattiva interpretazione
di alcuni passi dei Vangeli in cui messa in evidenza la maggiore et
di Pietro rispetto agli altri e la sua particolare vicinanza e confidenza
con Ges:

31

Ivi, II, xvi, 7-8, p. 304.

94

LORENZA TROMBONI

E per elli addire cos i santi [i.e. apostoli] avere parlato non punto
per alquna possanza di Gies Cristo sulli appostoli allui data sanza moiano
[i.e. mezzo], ma per avventura per chelli era il pi anziano det, [...] o
per chelli fu conversato eppi spesso chiamato ne consilgli essegreti32.

Riguardo al suo ruolo ed alla sua giurisdizione Cristo si espresso chiaramente, quando ha affermato che i gentili dominano gli uni
sugli altri, e i pi grandi sui pi piccoli, ma questo non deve essere
il costume degli apostoli33. Credere qualcosa di diverso rispetto a
quanto affermato sarebbe preferire una consuetudine umana rispetto alla parola divina.
Perch dunque creder alquno di ci allumana tradizzione, sia di santi
o di non santi, che alla molto aperta parola di nostro singnore Gies Cristo?34

Il secondo nucleo concettuale rilevante delle annotazioni dellanonimo riguarda la parte della seconda dictio in cui Marsilio parla del
concilio generale e della sua autorit in materia di dottrina cristiana,
ma lanonimo arriva al tema del concilio passando attraverso la
possibilit, da parte del pontefice, di definire i passi dubbi del testo
sacro. Nel XX capitolo, intitolato Cuius sit vel fuerit auctoritas diffiniendi seu determinandi dubias scripture sacre sentencias, non un
mero problema teologico quello che viene dibattuto, ma come viene
precisato nel paragrafo 4, si tratta di capire chi ha lautorit per
interpretare quei passi della scrittura che fanno riferimento a precetti e proibizioni (comandamenti e difense) che hanno un effetto
concreto nella vita dei cristiani.
Per tanto pi anpia neciessit chessono a intendere in queste, quante
di leggi o della fede attenere sono, e a quello che a tutti fedeli profittare
onnuociere possero, discrezione ecqura pi diligente vedere35.

Lanonimo si sofferma sul paragrafo 8, in cui si riprende il testo


della Unam sanctam e la falsit delle affermazioni che contiene, ovvero
32
33

Ivi, II, xvi, 10, p. 306.


Si vedano in proposito i passi evangelici Lc 22, 24-26; Mt 20, 25-26; Mc 10,

42-43.
34
35

Cfr. Difenditore, II, xvi, 11, p. 307.


Ivi, II, xx, 4, p. 346.

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

95

la giurisdizione assoluta del papa su ogni aspetto temporale e spirituale dellesistenza, ma soprattutto in materia di fede, mentre il
concilio lunica sede in cui queste questioni possono trovare una
soluzione;
... tutte le principazioni di questo secolo, tutti i reami elle provincie
del mondo e persone singhulari di che che dingnit, permanenza o condizione e sieno, al vescovo romano primieramente sono di coattiva giuridizione sugietti. Chcci ordin il papa di Roma Bonifazio 8, per la sua pistola
nel dicreto, il quale comincia: una santa chattolica chiesa...36

Da qui lanonimo segna alcune carte del capitolo successivo, in


cui Marsilio affronta pi da vicino le prerogative del concilio e le pene
a cui va in contro chi non rispetta le decisioni prese in quella sede,
sia esso chierico o laico (II, xxi, 3-14). Queste pene, da sottolineare, possono essere comminate soltanto dal principe o dal legislatore
umano, ed a lui che spetterebbe anche, stando alle fonti citate,
lelezione del pontefice e la consacrazione dei sacerdoti (xxi, 5).
E altress diffinito [...] per lo gienerale consilglio ill comandamento
coattivo fare di guardare oddare discredito sopra tutti sanza differenza, tanto
preti come non preti, di quello medesimo comandamento o discredito trapassando...37
E non solamente di questo guardare, che per lo consiglio sono state
difinite, dare coattivo dicreti apartenenti al fattore dellumana leggie, o al
principante dellauttorit di colui apartiene, veraciemente altress forma e
maniera della seggia di Roma appostolichale ordinare od eleggiere il vescovo di Roma stabolire38.

Ritorna il tema dei benefici ecclesiastici, che pare essere tra quelli
che maggiormente attirano lattenzione del nostro anonimo: il legislatore che ha la facolt di distribuirli e non il vescovo di Roma o
i sacerdoti che fanno parte del suo seguito, che li usano per scopi
illeciti come la corruzione degli intellettuali che, sedotti dalle promesse dei benefici e desiderosi di non contraddire il pontefice, si
36
37
38

Ivi, II, xx, 8, p. 348.


Ivi, II, xxi, 4, p. 354.
Ivi, II, xxi, 5, p. 356.

96

LORENZA TROMBONI

schierano dalla sua parte e si mettono al servizio della curia pontificia (II, xxi, 14-15)39.
Del capitolo XXII, lanonimo indica le parti in cui vengono descritte le prerogative del papa, e la differenza fra ci che indicato
esplicitamente dalla Scrittura e ci che, invece, frutto dellavidit
dei vescovi romani: non esistono, infatti chiese superiori alle altre o
sacerdoti migliori, perch tutti derivano la loro autorit da Dio, non
ci sono intermediari e i sacerdoti devono essere come gli apostoli di
fronte a Cristo, uguali gli uni agli altri (XXII, 4-5).
E per niuno altro vescovo puote pi iscomunichare laltro vescovo o
allui conmesso popolo o provincia i servigi duno interdiciere [...] Ch tutti
i vescovi sono diguali merito e auttorit, [...] Nppi perfetto offu,
acchippi perfetto apostolo o vescovo le mani inpos [...] e per tutti i
vescovi e preti sono diguale auttorit e merito daddio dato, [...] Ch l
chapo delle chiese sinpremente effondamento della fede, per lordinanza
di dio sanza moiano [i.e. mezzo], secondo la scrittura o verit, questo uno
quello Gies Cristo, e non alquno appostolo, vescovo o prete, siccome
apertissimamente dicie lappostolo ad Eph. 4 e 5, ad Colozen. primo e a
Corinth. 1040.

Da qui evidente che secondo Marsilio, seguito dallanonimo,


quasi tutte le prerogative che i pontefici si arrogano non hanno fondamento nella Scrittura, e lunico criterio che pu stabilire la maggiore o minore importanza di una chiesa lonest, la rettitudine dei
sacerdoti che ne fanno parte: per la fede di Pietro e per limportanza della citt di Roma che inizialmente fu concesso il primato al
vescovo romano (XXII, 8).
Anche il tema della plenitudo potestatis attira linteresse dellanonimo che lascia il segno di rimando nei paragrafi del capitolo XXIII
che ne trattano: le varie accezioni dellespressione vengono considerate e tra di esse vengono individuate quelle che non spettano al
pontefice.
Significativo il rimando presente nella carta 197v in cui vengono riunite numerose citazioni bibliche che ricordano leredit spirituale e non materiale lasciata da Cristo agli apostoli.
39

Possiamo supporre che Marsilio alludesse ad Egidio Romano, al quale Bonifacio VIII concesse il vescovato di Bourges nel 1295.
40
Cfr. Difenditore, II, xxii, 4-5, pp. 369-370.

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

97

Un aspetto interessante delle annotazioni dellanonimo la preferenza per le parti della dictio in cui Marsilio si riferisce a personaggi storici ben individuabili: abbiamo visto sopra il passo sulla Unam
sanctam, che seguito da quello su un successore di Bonifacio, Clemente V, e sulla differenza tra le loro iniziative (II, xx, 8 e sgg.), ma
anche gli ultimi numeri di rimando si trovano a margine dei passi che
ricordano fatti e personaggi storici, come papa Simmaco ed il suo
rapporto con limperatore Teodorico; Gregorio Magno e limperatore Maurizio, Giovanni XII che fu deposto da Ottone I (II, xxv, 6).
Nel capitolo XXVI, paragrafi 3-5, dove lanonimo ha lasciato ancora
il suo segno di rimando, la figura di Costantino a fare nuovamente
la comparsa, con il carico dottrinale che accompagna la Donatio
Constantini, e poco dopo il segno dellanonimo visibile sulle carte
in cui si nomina Ludovico di Baviera e la forte opposizione alla sua
elezione da parte di Giovanni XXII (XXVI, 10-12). Anche la dedica
del testo allimperatore Ludovico aveva attirato lattenzione del
volgarizzatore, che nella c. 3v aveva disegnato una manicula. Questa
preferenza dellanonimo per i passi in cui si tratta di problemi concreti era gi emersa dai segni di rimando presenti in quelle parti della
dictio in cui si tratta della distribuzione dei benefici e della gestione
dei beni materiali allinterno della chiesa. Un dato che si sposa perfettamente con la mancanza di riferimenti alla prima dictio: questa
parte dellopera, infatti, presenta una maggiore complessit dal punto
di vista filosofico, per lanalisi attenta di Marsilio nei confronti dellorigine della comunit, delle regole della vita comune e soprattutto
del concetto di legge in unaccezione che si diversifica fortemente
dalla tradizione medievale, e pone il lettore di fronte ad un paradigma nuovo su cui costruire lidea di societ. Unelaborazione di questo tipo, per di pi portatrice di novit, come quella marsiliana,
presentava sicuramente delle difficolt in pi rispetto alle dottrine
esposte nella seconda dictio, pi radicate storicamente e facilmente
applicabili anche alla realt cittadina di Firenze. Del resto, in una
certa misura il Defensor pacis stesso deve la sua origine allesperienza concreta delle vicende istituzionali attraversate dalle citt italiane, rispetto alle quali Padova e Firenze presentano sicuramente dei
tratti distintivi41; per questo la lettura dellanonimo si situa nel solco
41
Cfr. N. RUBINSTEIN, Marsilio da Padova e il pensiero politico italiano del Trecento in Marsilio da Padova, Medioevo, 5, 1979, pp. 143-162.

98

LORENZA TROMBONI

di una corretta interpretazione del testo, anche se, evidentemente,


parziale.
Se le notizie qui riportate aiutano a chiarire la struttura del Difenditore ed il suo rapporto con il Defensor pacis, restano ancora aperti
alcuni interrogativi ai quali non abbiamo trovato, finora, delle risposte certe.
In primo luogo, viene da chiedersi come mai lanonimo abbia
deciso di volgarizzare il Defensor pacis e non la Monarchia. Tale
questione legittima se si pensa che lanonimo ha in comune con
Dante non solo la patria, ma anche quelle preoccupazioni che lo
spingono a volgarizzare un testo dal significato politico cos deciso
come il Defensor pacis. Abbiamo detto quali siano i punti comuni
delle due opere e, stando ai dati in nostro possesso, pare poco probabile che lanonimo fiorentino avesse la preparazione culturale
sufficiente per arrivare a distinguere le dottrine politiche dantesche
da quelle marsiliane: soprattutto pare improbabile che avesse interesse a distinguerle. Inoltre la Monarchia precede cronologicamente
il Defensor pacis, anche se di pochi anni, ma certamente era gi diffusa negli anni 60 del Trecento, a maggior ragione in Italia. Negli
anni 50 Giovanni Boccaccio aveva composto il Trattatello in laude
di Dante (1351-1355)42 in volgare, nel quale si riassumeva brevemente il contenuto della Monarchia e si raccontava della condanna a cui
era andata incontro. Difficilmente si pu ipotizzare che lanonimo
non conoscesse lo scritto dantesco; parimenti sembra difficile scorgere un motivo di convenienza nella scelta di tradurre il Defensor
pacis invece della Monarchia, poich entrambe le opere potevano
esporlo a dei rischi. A questo proposito, lanonimato in cui rimasto il volgarizzamento potrebbe non essere frutto del caso, ma di
una deliberata scelta del traduttore per proteggersi da eventuali
conseguenze: una conferma della lungimiranza di questo atteggiamento sarebbe da vedere nel processo che pi tardi, nel 1375, il
pontefice volle condurre per scoprire chi fosse lautore del volgarizzamento francese del Defensor pacis.
Una ipotesi che esula da questo circolo di argomentazioni, forse
pi banale, che lanonimo non conoscesse il latino ma che volesse
42

Infra.

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

99

ugualmente cimentarsi nella traduzione di un testo politico di ispirazione antiierocratica; abbiamo visto che probabilmente apparteneva al ceto mercantile e che certamente non era un erudito. Attraverso la sua attivit lavorativa lanonimo poteva conoscere il francese e potrebbe essere entrato in contatto con il volgarizzamento del
Defensor pacis. Che anche la conoscenza del francese non fosse
perfetta chiaro dal testo, ma ci potrebbe rientrare nel caso di un
apprendimento episodico e non sistematico della lingua, come poteva accadere ad un mercante.
Legato a questo sono gli altri interrogativi sulle motivazioni che
lo spingono al volgarizzamento. Il suo interesse per il tema politico
fuori discussione; evidente lattenzione verso il tema delle pretese dei vescovi romani in temporalibus, al quale era dedicata la tabula;
a noi resta il frutto delle inclinazioni dellanonimo, ma di lui non
resta quasi niente. Soprattutto sarebbe utile poter chiarire le modalit con cui egli entrato in contatto con il Defensor pacis, non soltanto per fare luce sulla vicenda umana ed intellettuale del nostro
autore, ma per capire meglio quale era il terreno sul quale un commerciante, un militare o, in generale, un uomo non colto, si trovava
di fronte ad un testo politico importante e dottrinalmente strutturato come il Defensor pacis. Possiamo anche chiederci se questa versione fosse destinata ad altri, e se la tabula avesse una funzione preliminare, se cio preludesse alla redazione di un compendio del testo. In tal senso potrebbe essere utile cercare nella tradizione della
ricezione del Defensor pacis, nelle eventuali elaborazioni che lo vedono
come fonte principale, seguire la scia del testo originale nella speranza
di trovare qualche traccia del Difenditore. Un percorso che potrebbe
annoverare al suo interno uno studio dei commenti alla Politica di
ambito toscano tra XIV e XV secolo43, tra i quali lExpositio super
octo libros Politicorum di Donato Acciaiuoli (ed. Venetiis 1504)44.
Gli anni che separano il Difenditore dal volgarizzamento della
Monarchia costituiscono un periodo critico ed insieme molto fecondo della storia fiorentina, attraversata da figure centrali dellumane43
Cfr. C. FLELER, Rezeption und Interpretation der Aristotelischen Politica
im spt Mittelalter, voll. 2, Amsterdam-Philadelphia, Grner, 1992.
44
Ivi, II, p. 9. Meno noto il commento di Guglielmo Becchi da Firenze (ob.
1491), per cui ivi, pp. 22-23.

100

LORENZA TROMBONI

simo che trova una sua prima formulazione in senso civile nellopera
di Coluccio Salutati e Leonardo Bruni. A ricoprire la stessa carica di
cancelliere ci sar, alla fine degli anni 50 del XV secolo, Poggio
Bracciolini, che far in tempo a vedere il rientro di Cosimo de Medici
(1434)45, lo stabilizzarsi dellequilibrio politico italiano con la pace
di Lodi (1454), e lo sviluppo di un processo di mutamento delle
strutture governative di Firenze che, pur restando formalmente ancora
a lungo una repubblica (fino al rientro dei Medici nel 1512), comincer a volgersi verso il principato46.
Skinner, come molti altri, si concentrato sulla fioritura di studi
su temi morali e politici nellumanesimo fiorentino, a partire da
Coluccio Salutati fino alla signoria medicea: una delle interpretazioni pi note quella di H. Baron, secondo cui le idee politiche fiorirono in risposta alle vicende storiche che videro Firenze nella prima met del XV sec. perennemente in lotta per la libert, minacciata
da una serie di despoti ostili47. Un dato da accogliere, pur con i dovuti
aggiustamenti che lo rendano meno rigido e pi conforme ai dati di
storia politica e letteraria, che lo stesso Skinner propone. Certo ,
per, che accanto allindubbia influenza delle vicende storiche, ci
sono alcune novit che riportano lattenzione su questi temi: le nuove
traduzioni dellEthica nicomachea (1416-17), della Politica (1438) e
degli Oeconomica (1420-21) fatte da Leonardo Bruni fornirono spunti
di riflessione su una nuova concezione della vita civile e della filosofia in una prospettiva vicina allideale espresso da Brunetto Latini

45

Cfr. N. RUBINSTEIN, Il governo di Firenze sotto i Medici (1434-1494), cur. G.


Ciappelli, Firenze, La Nuova Italia, 1999 (trad. it. di The Government of Florence
under the Medici 1434 to 1494, Oxford 19972); D. KENT, The Rise of the Medici.
Faction in Florence, 1426-1434, Oxford, Oxford University Press, 1978.
46
Nel cammino verso il principato i Medici dovettero fronteggiare costantemente i loro oppositori politici che non esitarono ad organizzare congiure ed attentati: le pi famose sono quella del 1466 contro Piero il Gottoso, narrata da Marco
Parenti, per cui cfr. M. PARENTI, Ricordi storici. 1464-1467, a c. di M. Doni Garfagnini, Roma, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 2001, e la pi nota congiura dei Pazzi, per assassinare Lorenzo ed il fratello Giuliano nel 1478.
47
Cfr. Q. SKINNER, The Foundation of Modern Political Thought, CambridgeNew York-Melbourne, Cambridge University Press, 1978. Trad. it. Le origini del
pensiero politico moderno, Bologna, Il Mulino, 1989; H. BARON, The Crisis of the
Early Italian Renaissance. Civic Humanism and Republican Liberty in an Age of
Classicism and Tiranny, voll. 2, Princeton, Princeton University Press, 1955.

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

101

nel Trsor, secondo cui nella societ la scienza del ben governare
doveva essere accompagnata da un portato teorico che egli vedeva
eminentemente nella scienza retorica48. Anche in Bruni si ha una
compresenza dellelemento pratico e di quello teorico, in una concezione secondo cui il raggiungimento della felicit si ha soltanto
allinterno di una comunit, di uno Stato: con le traduzioni dellEthica
e della Politica, Bruni ripassava i due momenti della vita umana, quello
individuale e quello comunitario, e li riuniva in quel conversare
cittadino che era sentito come necessario da molti suoi contemporanei. Bruni aveva sentito lesigenza di queste nuove traduzioni a
fronte della constatazione della inadeguatezza delle traduzioni medievali, che per aenigmata et deliramenta si erano allontanate da
Aristotele49. Accanto al disegno in cui letica e la politica aristoteliche definivano i contorni della vita civile, faceva la sua comparsa la
riflessione sul valore positivo del denaro, sulla necessit dei beni
materiali, insieme alla condanna di quel vago ma persistente richiamo allascetismo che vide Bruni insieme a Poggio Bracciolini e Lorenzo Valla ingaggiare una polemica contro gli Ordini Mendicanti.
Dopo Bruni altri si cimenteranno nella traduzione e nel commento
del testo aristotelico: Giannozzo Manetti (1396-1459) comment
lEthica nicomachea nel 1434 e ne fece una nuova traduzione, insieme ai Magna moralia ed allEthica eudemia, tre versioni che il figlio
Agnolo, dopo la morte del padre, dedicher a Federico da Montefeltro. Amico intimo di Giannozzo Manetti fu Donato Acciaiuoli
(1429-1478)50 che insieme ad Alamanno Rinuccini si era adoperato
per far venire a Firenze Giovanni Argiropulo (dal 1456 al 1471 fu
lettore allo Studio). Proprio lArgiropulo tradusse nuovamente lEthica nicomachea e sulla base di questa versione Donato Acciaiuoli

48

SullEthica nicomachea nel Quattrocento fiorentino cfr. E. GARIN, La fortuna


delletica aristotelica nel Quattrocento in ID. La cultura filosofica del rinascimento
italiano, Firenze, Sansoni, 1961, pp. 60-86.
49
Cfr. L. BRUNI, Epistola super translatione Politicorum Aristotelis ad Dominum
Eugenium Papa IV, in Leonardo Bruni Aretino: humanistisch-philosophische Schriften mit einer Chronologie seiner Werke und Briefe, ed. H. Baron, Leipzig-Berlin,
Teubner, 1928.
50
Cfr. DBI, I, pp. 80-82 [A. DAddario]. C. VASOLI, Giovanni Nesi tra Donato
Acciaiuoli e Girolamo Savonarola, in Umanesimo e teologia tra 400 e 500, Memorie Domenicane, 4, 1973, pp. 103-179.

102

LORENZA TROMBONI

redasse un commento che dedic a Cosimo (Firenze 1478)51. Le


versioni di Bruni, comunque, ebbero molta diffusione e lo dimostrano i codici studiati da Hankins52, da cui emerso che Poliziano, lo
stesso Argiropulo e Marsilio Ficino le utilizzarono ampiamente.
Questultimo ricopr un ruolo la cui importanza non cessa di
attirare lattenzione degli studiosi: vicino a Cosimo il Vecchio per
mezzo del padre Diotifeci, fu incaricato da lui di tradurre dal greco
i dialoghi platonici e, per loccasione, gli fu fatto dono della villa di
Careggi, dove poter portare a termine la sua opera (1462-1463). Il
suo programma di restaurazione della religione cristiana per mezzo
della prisca theologia e lidea di armonizzare la filosofia platonica
con il cristianesimo dettero una forte impronta alla vita culturale
fiorentina della seconda met del Quattrocento e, conformemente a
questo progetto, le sue traduzioni costituirono il punto dinizio della
diffusione di numerosi testi greci con il contenuto filosofico di cui
erano testimoni53. Un programma di traduzioni che non si limitava
51
Cfr. L. BIANCHI, Un commento umanistico ad Aristotele: lExpositio super
libros Ethicorum di Donato Acciaiuoli, Rinascimento, 30, 1990, pp. 29-55, ripubblicato in L. BIANCHI, Studi sullaristotelismo del Rinascimento, Padova, Il Poligrafo, 2003. Su Cosimo si veda almeno C.S. GUTKIND, Cosimo de Medici pater
patriae. 1389-1464, Oxford, Clarendon Press, 1938 in particolare pp. 206-246 e
D. KENT, Cosimo de Medici and the Florentine Renaissance. The Patrons Oevre,
New Haven-London, Yale University Press, 2000. Su questo aspetto cfr. Gutkind,
Cosimo de Medici, cit., pp. 243-245.
52
Cfr. J. HANKINS, Notes on Leonardo Brunis Translation of the Nicomachean
Ethics and Its Reception in the Fifteenth Century, in Les traducteurs au travail, leurs
manuscrits et leurs mthodes. Actes du colloque international organis par le Ettore Majorana Center for Scientific Culture, Erice, 30 september-6 octobre 1999,
cur. J. Hamesse, Turnout, Brepols, 2001, pp. 427-447.
53
La riscoperta di Platone prese avvio dal momento in cui, in occasione del
concilio di Ferrara-Firenze (1438-1439), molti intellettuali greci si fecero latori delle
riflessioni filosofiche orientali, tra cui la polemica tra aristotelici e platonici: tra
questi Giorgio Gemisto Pletone, il cardinal Bessarione. Cfr. J. GILL, The Council of
Florence, Cambridge, Cambridge University Press, 1959 (trad. it. Il Concilio di
Firenze, Firenze, Sansoni, 1967); ID., Personalities of the Council of Florence and
other Essays, Oxford, B. Blackwell, 1964 e il volume Firenze e il Concilio del 1439.
Convegno di Studi, Firenze, 29 novembre-2 dicembre 1989, cur. P. Viti, voll. 2,
Firenze, L.S. Olschki, 1994. Per la dialettica tra aristotelici e platonici si veda J.
Monfasani, George of Trebisond. A Biography and a Study of his Rhetoric and Logic,
Leiden, Brill, 1976, pp. 201-229; J. HANKINS, Renaissance Platonism, in ID., Humanism and Platonism in the Italian Renaissance, voll. 2, Roma, Edizioni di Storia e
Letteratura, 2004, II, pp. 399-415.

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

103

alla divulgazione di testi antichi, ma che comprendeva anche il volgarizzamento di alcune delle sue opere pi fortunate, come il De
amore (1469), il De christiana religione (1474) ed il De raptu Pauli (1476),
tradotte rispettivamente nel 1469 circa, nel 1474 e prima del 77.
Precede questi la traduzione in volgare della Monarchia, compiuta tra
il 1467 ed il 68: questa impresa appare a prima vista estranea agli
interessi di Ficino, lontana dallispirazione fondamentale della sua
attivit, ma pu essere compresa tenendo conto di alcuni elementi.
A fianco del rinnovato interesse per la riflessione etico-politica,
infatti, tra Tre e Quattrocento rimane viva lattenzione per Dante54,
e, a proposito delle testimonianze fiorentine che riguardano da vicino la Monarchia, ricordiamo il Trattatello in laude di Dante di
Boccaccio (1351-1355)55 dove si riferisce della condanna dellopera
da parte di Bertrando del Poggetto a Bologna e, nella prima redazione, si forniscono alcuni particolari sullevento: qui Boccaccio narra
di come il cardinale lavesse fatta bruciare pubblicamente e della sua
intenzione di fare lo stesso con le spoglie di Dante, cosa impedita da
Pino della Tosa e Ostaggio da Polenta, potente ciascuno assai nel
cospetto del cardinale di sopra detto56. In questa stessa opera Boccaccio afferma che Dante compose la Monarchia al tempo della discesa di Enrico VII in Italia. Ricordiamo per inciso che Boccaccio fu
autore di una Vita di Dante nella quale esaltava entusiasticamente il
poeta fiorentino e che fu incaricato, nel 1373, di leggere pubblicamente la Commedia.
Ritorna il nome di Leonardo Bruni, autore di una Vita di Dante
(1436) in cui, oltre a celebrare la figura e lopera dellAlighieri, affronta la polemica sulla lingua volgare gi trattata nei Dialogi ad
Petrum Paulum Histrum (1401). In questoperetta, che ha suscitato
fina dalla prima met del secolo scorso molte polemiche fra gli stu54
Cfr. C. DIONISOTTI, Dante nel Quattrocento, in Atti del congresso internazionale di studi danteschi, Firenze, Sansoni, 1965, pp. 333-378; E. GARIN, Dante nel
Rinascimento, in ID. Let nuova. Ricerche di storia della cultura dal XII al XVI secolo, Napoli, Morano, 1969, pp. 179-210; ID., Dante e il ritorno degli antichi, in
Rinascite e rivoluzioni. Movimenti culturali dal XIV al XVIII secolo, Roma-Bari,
Laterza, 1975, pp. 51-70.
55
Cfr. GIOVANNI BOCCACCIO, Trattatello in laude di Dante, in Tutte le opere di
Giovanni Boccaccio, III, ed. V. Branca, Milano, Mondadori, 1974, pp. 437-496.
56
Cfr. BOCCACCIO, Trattatello in laude di Dante, cit., p. 487. Ostasio o Ostaggio
da Polenta era signore di Ravenna intorno alla met degli anni 40 del Trecento.

104

LORENZA TROMBONI

diosi, Bruni fa pronunciare a Niccol Niccoli un discorso in cui


emerge un forte disprezzo per lopera dantesca che riflette la sua
reale opinione, come riportato anche da altre fonti. Segue lesempio
di Bruni il gi ricordato Giannozzo Manetti, autore, anche lui, di
una Vita di Dante57 (1440): in questa biografia, che unisce Dante a
Petrarca e Boccaccio58, Manetti utilizza sia la Vita di Boccaccio che
quella di Bruni, per mettere insieme pi materiale possibile. Il risultato un ritratto sui generis del poeta fiorentino, frutto di un accumulo di notizie senza troppo riguardo alla loro effettiva consistenza
ed alla loro omogeneit59.
Come ha mostrato Dionisotti, opportuno parlare di una continuit dellinteresse per Dante fra Tre e Quattrocento, e la polemica
antidantesca, della quale fa parte il Niccoli, ne sicuramente una
conferma: una continuit che al suo interno annovera diverse anime
se si pensa ad alcune elaborazioni dellopera dantesca che recentemente Tateo ha messo in luce: Il Simposio (ante 1469) e lAltercazione (1473-1474) di Lorenzo il Magnifico, il Morgante di Luigi Pulci
(post 1472). Peculiare lelaborazione dellopera dantesca fatta da
Cristoforo Landino, nel suo commento alla Commedia del 148160,
nel quale si sente forte linflusso della letteratura medicea e soprattutto del platonismo e del neoplatonismo di stampo ficiniano61.
Il volgarizzamento della Monarchia di Marsilio Ficino fu scritto
tra il 1467 ed il 1468 e fu dedicato ad Antonio di Tuccio Manetti e
Bernardo Del Nero. Stando agli studi di Vasoli, questopera si pu
collocare nel contesto di quellinteresse per Dante a cui abbiamo
accennato, anche se allinterno dellattivit ficiniana esso ha un significato che particolare e forse differente da quello che i contem-

57
Edita in GIANNOZZO MANETTI, Biographical Writings, ed. trad. S. Baldassarri and R. Bagemihl, Cambridge, MA-London, Harvard University Press, 2003,
pp. 8-61.
58
Manetti il primo ad unire le tre corone di Firenze: il titolo apposto alle
tre biografie Trium illustrium poetarum Florentinorum vita (1440).
59
Cfr. MANETTI, Biographical Writings, cit., pp. XII-XIII.
60
Edito per la prima volta a Venezia nel 1491. Edizione moderna a c. di P.
Procaccioli, Roma, Salerno editrice, 2001.
61
Si veda il recente studio di S. GILSON, Plato, the platonici, and Marsilio Ficino in Cristoforo Landinos Comento sopra la Comedia, The Italianists, 23, 2003,
pp. 5-53, e la ricca bibliografia in esso contenuta.

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

105

poranei riponevano nel poeta fiorentino62. Crediamo che per comprendere il senso di questo volgarizzamento non sia opportuno ricercare tanto allinterno del testo, quanto piuttosto nel contesto
politico-culturale in cui prende vita. Del testo desta interesse il prologo che, appunto rimanda alle relazioni di Ficino con esponenti di
primo piano della vita fiorentina, oltre a dare unimmagine di Dante, senzaltro non comune, come di colui che si abbeverato alle
platoniche fonti. Una chiave interpretativa, ripresa da Vasoli ma gi
suggerita da Marcel63, rappresentata dalle figure e dallattivit dei
due dedicatari dellopera, il Manetti e il Del Nero, due uomini legati
alla politica che pur non essendo eruditi si interessarono sempre di
opere letterarie e filosofiche. La figura di Antonio Manetti stata
studiata da De Robertis e da Tanturli64, che hanno messo in luce le
linee lungo cui si sviluppavano i suoi interessi e la sua attivit culturale, che comprendeva un forte interesse per lopera dantesca, evidente nella copia della Commedia, del Convivio e della Vita di Dante
del Boccaccio65. Il codice BNCF, Magl. I, 33, nel quale sono conservati tali testi, testimonia la passione di Manetti per Dante: qui, infatti, la copia della Commedia accompagnata da fitte note marginali,
da commenti e figure che parlano anche dei suoi interessi cosmografici ed astrologici. Insieme a Landino si adoper per collocare geograficamente la voragine infernale descritta da Dante e Vasoli ricorda la sua Notizia sotto forma di visione dedicata a Giovanni Caval-

62
Cfr. C. VASOLI, Note sul volgarizzamento ficiniano della Monarchia, in
Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, voll. 3, Firenze, L.S. Olschki, 1983,
III, pp. 451-474; ID., Ficin et Dante in Pour Dante. Travaux du Centre dtudes
Suprieures de la Renaissance autour de Dante (1993-1998), I Dante et lApocalypse,
II Lectures humanistes de Dante cur. B. Pinchard, adiuv. C. Trottmann, Paris, Champion, 2001, pp. 375-87.
63
Cfr. R. MARCEL, Marsile Ficin, 1433-1499, Paris, Les Belles Lettres, 1958,
pp. 325-334.
64
Cfr. DBI, LXVIII, pp. 605-609 [G. Tanturli]; D. DE ROBERTIS, Manetti copista,
e Un Convivio copiato dal Manetti, in ID., Editi e rari. Studi sulla tradizione letteraria tra Tre e Cinquecento, Milano, Feltrinelli, 1978, pp. 183-215 e pp. 216-220;
G. TANTURLI, Codici di Antonio Manetti e ricette del Ficino, in DE ROBERTIS, Editi
e rari, cit., pp. 313-326.
65
Come detto sopra, anche Leonardo Bruni compose una Vita di Dante nella
quale critic apertamente lispirazione della biografia dantesca di Boccaccio, cfr.
DIONISOTTI, Dante nel Quattrocento, cit.

106

LORENZA TROMBONI

canti, intimo amico di Ficino, definita uninteressante ripresa di un


tipico modello dantesco66. Il Manetti era ben compreso in quellidea
ficiniana allargata di religione, meno legata ai dogmatismi e rivolta
verso il concetto di amore come forza unificatrice di tutto il cosmo;
ebbe parte nella formazione della Raccolta aragonese dedicata dal
Magnifico ad Alfonso dAragona, elementi che dimostrano, almeno
per quel periodo, la sua fedelt alla linea politica e culturale medicea. Nel 1477, infatti, fu eletto Priore, ancora lontano dalla svolta
savonaroliana che caratterizzer i suoi ultimi anni.
Bernardo Del Nero67, amico sia di Ficino che del Manetti, fu un
uomo politico di notevole importanza, ricopr per tre volte la carica
di Gonfaloniere di giustizia (1475, 1487, 1494) e al tempo di Lorenzo il Magnifico era esponente del partito mediceo. Un uomo pratico,
come lo descrive il Guicciardini nel Dialogo del reggimento di Firenze68, che grazie ai Medici riusc ad integrarsi in un ceto sociale superiore a quello di origine: nota Cheneval69 che egli appartiene a quelle
persone alle quali Dante, con il Convivio, aveva voluto aprire la strada alla filosofia ed in questo contesto che va collocato linteresse
di Bernardo per il pensiero politico di Dante e per la sua diffusione,
a proposito della quale possiamo affermare che il volgarizzamento della
Monarchia, terminato circa un secolo dopo la versione fiorentina del
Defensor pacis, circolava pi del testo marsiliano, forse anche a causa della paternit ficiniana della traduzione70. Bernardo non conosceva il latino, ma si era spesso interessato alla lettura di testi filosofici
e letterari in volgare, come conferma Ficino nel Prologo: Lantiqua
nostra amicizia et disputatione di simile cose intra noi frequentata
richiede che prima con voi questa tradutione comunichi, et voi agli
66

Cfr. VASOLI, Note sul volgarizzamento ficiniano, cit., p. 461.


Cfr. DBI, XXXVIII, 170-73 [V. Arrighi]; VASOLI, Note sul volgarizzamento ficiniano, p. 463.
68
FRANCESCO GUICCIARDINI, Dialogo del reggimento di Firenze, in ID., Opere, I,
Storie fiorentine, Dialogo del reggimento di Firenze, Ricordi e altri scritti, ed. E.
Lugnani Scarano, Torino, Unione tipografico-editrice torinese, 1970, p. 307. La
battuta che pronuncia Bernardo : Lettere io non ho, e voi lo sapete tutti, ma ho
avuto piacere di leggere i libri tradotti in vulgare, quanti nho potuti avere, cfr.
anche P.O. KRISTELLER, Supplementum Ficinianum, voll. 2, Firenze, L.S. Olschki,
1987, I, p. 109.
69
Cfr. CHENEVAL, Die Rezeption der Monarchia, cit., pp. 350-355.
70
Ivi, cap. I e p. 347.
67

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

107

altri dipoi se vi pare ne facciate parte71. Anche Bernardo aveva dimostrato un reale interesse per Dante e per i concetti espressi nelle sue
opere: era stato lui nel 1456 (terminato il 27 settembre) a copiare il
volgarizzamento anonimo della Monarchia72 nello stesso codice dove
aveva trascritto, a distanza di poco tempo, il Convivio dantesco (BNCF,
II.III.210); ed ancora lui aveva invitato Ficino a fare un nuovo volgarizzamento dellopera. Oltre ai motivi personali, di amicizia, che possono averlo spinto a fare questa richiesta, ci pare lecito supporre che
Bernardo vedesse nella confezione ficiniana della Monarchia un indubbio vantaggio per la diffusione del testo, sia per le capacit linguistiche di Marsilio, sia per la sua notoriet, che avrebbe sicuramente
attirato maggiormente lattenzione sul testo dantesco. Bernardo sar,
a differenza del Manetti, un oppositore acerrimo di Savonarola.
Cheneval fa notare che in tutti i tre codici che contengono la
versione anonima della Monarchia presente anche una trascrizione
del Convivio, priva come laltra di un autore identificabile: entrambi
questi testi sono chiaramente destinati ad un pubblico di laici con
interessi filosofici73, di pi, possiamo dire che si tratta di un pubblico di politici e commercianti, cosa confermata dallidentit del copista dellaltro codice fiorentino in cui questa versione contenuta,
il Riccardiano 1043: anche qui si ha la data di copiatura di entrambi
i testi quello del Convivio terminato il 21 maggio 1461 e quello
della Monarchia, il 18 giugno dello stesso anno ed anche qui il
copista lascia la firma74. Si tratta di Pierozzo di Domenico di Jacopo
del Rosso, appartenente ad una nota famiglia fiorentina, che nel 1465
fu capitano di parte Guelfa.
Linteresse di Antonio e Bernardo ha anche altri punti in comune con lopera ficiniana: i due, infatti, sono destinatari del volgarizzamento del Commentarium in Convivium Platonis mentre a Ber71
Cfr. MARSILIO FICINO, La Monarchia di Dante, in DANTE, Monarchia, ed.
Furlan, cit., p. 370; cfr. anche KRISTELLER, Supplementum Ficinianum, cit., I, p. 109.
72
Si veda in proposito CHENEVAL, Die Rezeption der Monarchia, cit., pp. 54-56,
che descrive i codici in cui questo testo contenuto: Firenze, BNCF, II.III.210, ff.
93-128; Riccardiano 1043, ff. 85-119; Paris, BNF, Ital. 536, ff. 1-33. Si veda anche
P. SHAW, Il volgarizzamento inedito della Monarchia, Studi Danteschi, 17, 1970,
pp. 59-224 [ed. pp. 127-224].
73
Cfr. CHENEVAL, Die Rezeption der Monarchia, cit., p. 347, che usa lespressione philosophischen Werk fr philosophische Laien.
74
Ivi, pp. 54-55.

108

LORENZA TROMBONI

nardo sono dedicati gli altri due volgarizzamenti fatti da Marsilio


del De christiana religione e del De raptu Pauli 75, che seguono cronologicamente il volgarizzamento della Monarchia e che chiariscono
una linea di pensiero che accomunava i tre: dalla dottrina dellamore alla riforma della religione, dalla filosofia alla teologia, perch se
evidente il desiderio di rinnovamento spirituale contenuto nelle
opere ficiniane, lecito supporre, seguendo ancora Vasoli, che Ficino trovasse una controparte politica nellideale dantesco della
monarchia universale derivata direttamente da Dio. Se uno il principio da cui derivano tutte le cose (Dio), se uno il mezzo che le
tiene insieme (amore), uno deve essere anche il governante che guida
gli uomini su questa terra: E perchegli manifesto che tutta la
generazione humana ordinata a uno, come sopra mostro, bisognia che .ssia uno che reguli et regha, et costui si debba chiamare
monarcha et imperadore76. Motivazioni metafisiche che fanno
abbracciare a Ficino una dottrina politica, nel segno di un progresso
non solo spirituale della comunit umana. Poste queste premesse,
risulta meglio comprensibile il Prologo del volgarizzamento, dove
viene fornito un suggestivo ritratto di Dante platonico che lo rende
pi vicino al progetto ficiniano:
Dante Alighieri, per patria celeste, per abitazione fiorentino, di stirpe
angelico, in professione philosopho poetico, bench non parlassi in lingua
grecha con quel sacro padre de philosophi interpetre della verit, Platone,
nentedimeno inn-ispirito parl in modo con lui che di molte sententie
platoniche adorn e libri suoi; [...] Tre regni troviamo scripti dal nostro
rettissimo duce Platone: uno de beati, laltro de miseri, el terzo de peregrini. [...] Questo hordine platonico prima segu Virgilio; questo sequ Dante
dipoi, col vaso di Vergilio beendo alle platoniche fonti. Et per el regnio
de beati et de miseri et de peregrini di questa vita passati nelle sue Commedie eleghantemente tract; et del regnio de peregrini viventi nel libro
da lui chiamato Monarchia77.
75

Si veda il testo della dedica del Come sancto Pagolo fu rapito al terzo celo,
che rimanda allamicizia tra Bernardo e Ficino ma anche al senso di appartenenza
di Bernardo allo stesso ideale religioso di Marsilio: Perch Bernardo Del Nero,
gi rapito dalla bont divina al terzo grado delle virt umane, rapisce Marsilio Ficino
infino al terzo e superlativo grado di amicizia. Edito in KRISTELLER, Supplementum Ficinianum, cit., I, p. 71
76
Cfr. MARSILIO FICINO, La Monarchia di Dante, cit., p. 381.
77
Ivi, pp. 369-370.

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

109

Ficino pare ritrovare in Dante qualcosa di suo quando dice che


di molte sententie platoniche adorn e libri suoi, unimpressione
che gi Festugire aveva avuto circa 90 anni fa, quando affermava
che linteresse degli umanisti di questa generazione per Dante era in
funzione di quello che volevano ritrovare nella sua opera, pi che di
quello che effettivamente vi era presente78. Ficino sembra provare lo
stesso sentimento di comunanza quando rilegge lintera opera dantesca nel senso del cammino delluomo attraverso la vita terrena ed
ultraterrena: Tre regni troviamo scripti dal nostro rettissimo duce
... et del regnio de peregrini viventi nel libro dallui chiamato Monarchia. Anche lui ha ripercorso la dimensione terrena e quella
ultraterrena delluomo, poich si occupato di teologia, di metafisica e di astrologia, ma anche di medicina in pi di unoccasione: si
pensi ai suoi libri De vita, che ebbero subito unenorme diffusione,
ma anche al Consiglio contro la pestilenzia, unopera scritta in volgare in occasione di unondata di peste che invest Firenze tra il 1478
ed il 147979. Ma la vicinanza tra Dante e Ficino, ovvero lutilizzo di
temi danteschi da parte di Marsilio sembra concretizzarsi anche in
altre opere: nel saggio pi recente su questo argomento80, Vasoli mette
in luce la presenza di Dante nellApologus al Politico di Platone e nei
tre volgarizzamenti gi pi volte ricordati, che egli dedicher al Manetti e al Del Nero. In particolare, nellApologus Ficino insiste su
due temi affini alla teoria politica dantesca, ovvero la bont del fine
per cui luomo stato creato, e la effettiva consistenza di questo fine,
cio la perfezione del genere umano. In questo breve scritto egli si
pronuncia anche a favore del governo del mondo da parte di un solo
individuo, che sia investito di unautorit assoluta e che sia esempio
di virt per tutti gli uomini.
Per quanto riguarda il momento in cui Ficino decise di trasporre
in volgare la Monarchia, non sembrano esserci testimonianze o dati
78
Cfr. J. FESTUGIRE, Dante et Marsile Ficin, in Bulletin du Jubil pour le sixcentime anniversaire de la mort de Dante, Paris, s.n., 1921, pp. 535-543: Ils nont
vu que ce quils cherchaient: en quoi ils sont de tous les temps. Mais ce quils cerchaient et qui est bien de leur temps, si proche encore du Moyen Age symboliste,
Dante jamais ny songea.
79
Lopera fu edita per la prima volta a Firenze nel 1481 [IGI 3862]. Cfr. T.
KATINIS, Medicina e filosofia in Marsilio Ficino. Il Consilio contro la pestilentia, Roma,
Edizioni di storia e letteratura, 2007.
80
Cfr. VASOLI Ficin et Dante, cit., pp. 380-387.

110

LORENZA TROMBONI

certi al riguardo, ed anche Marcel si limita a riportare alcune notizie


sullattivit di traduzione di Marsilio: nel 1466 egli afferma di aver
tradotto 23 dialoghi platonici; in una lettera a Lorenzo, dice di essere stato distratto dalla traduzione in seguito alla morte di Piero
(1469) e di aver ripreso il lavoro grazie al favore di Lorenzo81. Ficino
non quello che si definisce tradizionalmente un pensatore politico
e, come ci sembra, il principio delluno a fare da tramite tra la sua
concezione teologico-filosofica e la sua adesione, per quanto testimoniata soltanto dal volgarizzamento della Monarchia e dallApologus al Politico, allideale dantesco. Sarebbe sbagliato, comunque,
dipigerlo come un uomo del tutto alieno dagli avvenimenti politici82.
Il volgarizzamento viene portato a termine durante il periodo di Piero
il Gottoso, che vede Firenze alle prese con le pretese di papa Paolo
II. Dopo il fallimento nel 1466 della congiura contro Piero de Medici,
ordita da alcuni rappresentati di famiglie fiorentine illustri come Luca
Pitti, ci furono ripercussioni nette sugli oppositori dei Medici che
furono messi al bando dalla citt, anche grazie alla Signoria eletta
nellagosto del 1466 che era favorevole a Piero83. I fuoriusciti, tra cui
Niccol Soderini e Dietisalvi Neroni, con lappoggio di Venezia
avevano assoldato Bartolomeo Colleoni per tentare un attacco a
Firenze. Piero strinse lalleanza, sancita nel 1454 in occasione della
pace di Lodi, con Napoli e Milano, tanto che si arriv presto ad una
tregua dopo lo scontro di Molinella del luglio 1467. Faceva parte
della Lega anche il papa, Paolo II, che aveva tentato di negoziare
direttamente la pace offrendo una ingente somma al Colleoni per
persuaderlo a fronteggiare i Turchi e lasciare il fronte italiano. Con
una minaccia di scomunica il papa aveva tentato di imporre il suo
progetto allinizio del 1468, ma Firenze non aveva ceduto: Piero non
voleva concedere il rientro ai fuoriusciti e nemmeno pagare per liberarsi dal Colleoni.

81

Cfr. MARCEL, Marsile Ficin, cit., p. 325.


Si pensi alla Apologia contra Savonarolam, edita in KRISTELLER, Supplementum Ficinianum, cit., II, 76-79, con la quale prende posizione in merito ad una vicenda politica come quella savonaroliana legata a Firenze.
83
Cfr. PARENTI, Ricordi storici, cit., pp. 121-131: il Parenti sostenava nei Ricordi che la congiura del 66 fosse una finzione, una messa in scena organizzata da
Piero medesimo con scopi propagandistici. Di questo avviso sono anche alcuni
storici moderni, tra cui N. Rubinstein.
82

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

111

Ancora una volta un pontefice tentava di imporre la propria


volont in una vicenda tutta terrena. Tuttavia, questa motivazione
storica ci pare meno convincente delle altre per spiegare la scelta di
Ficino di tradurre in volgare la Monarchia, e ci essenzialmente per
due motivi: questa congiuntura, per quanto possa aver creato a Firenze un clima ostile nei confronti del pontefice, si concluse piuttosto rapidamente e certo Paolo II non aveva costruito un apparato
teorico con il quale giustificare questa sua pretesa, al contrario di
quanto avevano fatto sia Bonifacio VIII, che, in seguito, Giovanni
XXII. Conviene rammentare, inoltre, che Ficino era un uomo di
ispirazione profondamente religiosa e tra il 1472 ed il 1474 perfezion il suo ingresso nellordine sacerdotale: ci pare lontano dalla sua
indole la volont di contrapporsi frontalmente allautorit ecclesiastica, verso cui, al contrario, Ficino dimostr sempre un grande rispetto. LApologia indirizzata ai tre Pieri il Neri, il Soderini ed
il Guicciardini che accompagn luscita del De vita libri tres (1489)
aveva la funzione di giustificare, nei confronti dellautorit ecclesiastica, limpiego dellastrologia come mezzo per curare alcune patologie saturnine, proprie della complessione degli intellettuali e con
lApologia contra Savonarolam Ficino volle chiarire, con il collegio
dei cardinali, quali fossero stati i suoi rapporti con quello che ormai
chiamava Anticristo.
Per il tipo di versione che Ficino d della Monarchia, possiamo
rifarci a quanto detto da P. Shaw nei prolegomena alla sua edizione,
che risale al 197884. Ci sar anche utile ricordare che il volgarizzamento anonimo della Monarchia, precedente a quello ficiniano di
almeno una decina danni, ha in comune alcune caratteristiche linguistiche con quello dellanonimo volgarizzatore del Defensor pacis:
egli dimostra, infatti, scarsa abilit nel tradurre e poca familiarit
con il latino; procede letteralmente, anche a scapito della comprensibilit del testo (elemento che vanifica, di fatto, la finalit di qualunque volgarizzamento), e riporta espressioni che perdono il loro
senso originario nella versione letterale85. Si percepisce una difficol84

Cfr. SHAW, Il volgarizzamento inedito della Monarchia, cit., pp. 59-224.


Notevole la perizia con cui la Shaw dimostra che il verbo sgarugliare utilizzato dallanonimo a I.i.5.29 (nel mio proposito di sgarugliare il nocciolo delli
suoi nascondimenti), rimanda allorigine lucchese dellautore stesso.
85

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t che giustifica la richiesta di Bernardo del Nero di una nuova traduzione del testo dantesco, cos come riportato dal Ficino stesso nel
Prologo86. In generale le modifiche puntano ad un abbassamento
stilistico del testo, ma anche alla neutralizzazione di tutti gli elementi che potevano rimandare ad un sapere filosofico in senso tecnico,
livellando programmaticamente lintera opera verso il basso. Ne sono
esempi la pratica di rendere espliciti tutti i riferimenti velati ad
Aristotele o ad altre auctoritates; i termini pi difficili o colti vengono sostituiti con perifrasi (consequens diventa questa seconda parte e
ratio inductiva viene reso con la perifrasi: la ragione per ciaschedune
cose discorrente); quelli astratti con espressioni concrete (falsitatem
diventa ecche sia falso); incisi come ut predictum est, quod de se patet,
ut patet in lictera, propter quod sciendum etc. vengono sistematicamente omessi, tanto che spesso resta solamente lo scheletro del discorso; il tono cambia, diventa diretto e semplice, il passivo quasi
sempre sostituito con la forma attiva (dicebatur diventa dicemo) e
la forma impersonale viene cambiata in forma personale e diretta.
Ficino arriva anche ad omettere alcune parti del discorso, come i
sinonimi, che Dante utilizza largamente, e gli avverbi. Un altro
elemento che concorre a semplificare lopera dantesca la suddivisione del testo che Ficino adotta: egli suddivide in pi parti i
paragrafi pi lunghi ed appone dei titoli che ne descrivono brevemente il contenuto.
Ma i cambiamenti che Ficino opera sul testo originale della Monarchia non inficiano la comprensibilit della sua versione, tuttaltro: la sua capacit di tradurre e la sua conoscenza del latino gli permettono di manipolare il discorso con piena libert. Egli non si
preoccupa di discostarsi dalla lettera del testo per rendere anche i
discorsi pi complessi ed il suo volgarizzamento ha il pregio di essere chiaro e semplice.
Se dal punto di vista del valore filosofico del trattato si pu parlare
di un impoverimento, dobbiamo pensare che volgarizzare e rendere
accessibile la Monarchia anche ad un pubblico non dotto rispondeva ad una esigenza alla quale si conformano sia lanonimo, che Mar86
Cfr. MARSILIO FICINO, La Monarchia di Dante, cit., p. 370: Questo libro
conposto da Dante in lingua latina, acci che sia a pi leggenti chomune, Marsilio
vostro, dilettissimi miei [B. Del Nero e A. Manetti] da voi exortato, di lungua latina in toscana tradocto a voi diriza.

FILOSOFIA POLITICA E CULTURA CITTADINA A FIRENZE

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silio Ficino, ma anche Bernardo in qualit di copista, promotore e


fruitore dei testi: se pensiamo che tra i possessori di codici che contengono la Monarchia si annoverano i Visconti Sforza (Paris, BNF,
lat. 4683), i Medici (Laur. Pl. 78, 1), gli Aldobrandini (New York,
Pierpont Morgan Library, 401) e Neri Capponi (BNCF, Magl. XXX
239) si ha una dato interessante rispetto alla penetrazione del testo
nellambiente della politica cittadina italiana. Il codice comasco della
Raccolta privata Busca Serbelloni Sola Cabiati, che contiene la versione ficiniana stato di propriet degli Erizzo, una famiglia patrizia
i cui esponenti hanno ricoperto cariche importanti nellarea veneta
tra XV e XVI secolo, e dati analoghi si riscontrano per altri testimoni del testo, a fianco della penetrazione in ambienti universitari e
monastici87. Tutti elementi che concorrono a consolidare lipotesi della
necessit sentita negli ambienti non eruditi di un testo come la
Monarchia.
Nonostante siano scarse le notizie sullanonimo fiorentino che
tradusse il Defensor, possiamo notare alcuni tratti che differenziano
la sua iniziativa da quella di Ficino, oltre alle osservazioni sulla qualit
delle traduzioni, di cui ci siamo gi occupati.
In primo luogo, la distanza cronologica tra il Difenditore e la
Monarchia di Ficino stabilisce un diverso rapporto tra i due testi
originali e i relativi volgarizzamenti. Nel caso del Defensor pacis,
passano pochi decenni tra la conclusione dellopera (1324) ed il
volgarizzamento dellanonimo (1363), una condizione che permette
a questi di riconoscere come proprie molte delle problematiche
politiche e sociali trattate da Marsilio e, con maggiore coinvolgimento,
quelle contenute nella seconda dictio. Il Defensor pacis ed il suo
volgarizzamento nascono allinterno di due contesti storici molto
simili, luno sviluppo diretto dellaltro e risentono di tensioni comuni, al contrario di quanto accade per la versione volgare della Monarchia; lontano dalle motivazioni che sono allorigine del testo
dantesco, il volgarizzamento ficiniano si inserisce allinterno di un
programma culturale ben definito, che rispecchia una cultura e un
momento storico profondamente diversi da quelli trecenteschi, come
diversi erano i ruoli di Dante e di Ficino allinterno della citt di
87

Cfr. CHENEVAL, Die Rezeption der Monarchia, cit., pp. 68-69.

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Firenze. Sono ben note le vicende biografiche di Dante, esiliato nel


1302, che compose quasi tutte le sue opere lontano dalla citt dorigine; anche se i suoi scritti ebbero da subito una notevole circolazione, fu costretto a restare fuori da Firenze fino alla morte. Ficino nasce
intellettualmente con Cosimo de Medici e continua la sua attivit
con Lorenzo senza interruzioni, al riparo da critiche o minacce che
coinvolgessero la sua persona. Egli vive e lavora allombra di due
signori di Firenze, ed anche se la sua visibilit era venuta scemando
negli anni di Lorenzo, non accadde nulla che lo ponesse di fronte ad
un pericolo reale per s. Linteresse per la Monarchia non nasce da
una condivisione piena dellideale dantesco di una monarchia universale e libera dalle ingerenze dellautorit ecclesiastica, per laffermazione della legittimit e della realizzazione dellesistenza terrena
degli uomini; ci che Ficino sente di condividere con il poeta semmai un richiamo al principio unitario declinato, qui, nel contesto
politico. Possiamo dire, per questo, che pur essendo una traduzione
corretta dal punto di vista linguistico e fedele alloriginale, il volgarizzamento del Figlinese si allontana dalla Monarchia dal punto di
vista ideologico, mentre nel Difenditore lanonimo resta vicino alla
motivazione politica di Marsilio da Padova, pur essendo la sua traduzione manchevole dal punto di vista tecnico.
La lettera dedicatoria del volgarizzamento della Monarchia include Dante nel progetto filosofico di Ficino, e lascia trasparire latmosfera in cui il lavoro fu svolto: le idee dirompenti che avevano
causato la condanna del trattato, erano svuotate del loro significato
profondo ed entravano con Ficino nel flusso di un recupero di Dante
in chiave platonica che trover la sua espressione compiuta nel commento del Landino alla Commedia.
Lanonimo fiorentino sembra quasi in preda ad unurgenza, tale
da non poter aspettare che qualche erudito si faccia carico della
divulgazione del testo marsiliano: negli ambienti militari e mercantili si sente la necessit di conoscere il pensiero del maggior nemico
della chiesa e di capire come porre fine alle pretese dei vescovi romani, per ristabilire la tanto agognata pace.
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