Alexander Betts: Il nostro sistema per i rifugiati
sta fallendo. Cos lo possiamo salvare.
Ci sono dei momenti in cui mi vergogno un bel po' di essere europeo. Durante lo scorso anno, pi di un milione di persone bisognose del nostro aiuto sono arrivate in Europa e la nostra risposta, onestamente, stata penosa. Ci sono cos tante contraddizioni. Piangiamo la morte tragica del bimbo di due anni Alan Kurdi, ma tuttavia, da allora, pi di 200 bambini sono annegati nel Mediterraneo. Abbiamo trattati internazionali che sanciscono che quella sui migranti una responsabilit condivisa e tuttavia accettiamo che il piccolo Libano ospiti pi siriani dell'intera Europa. Condanniamo l'esistenza del traffico di esseri umani, e tuttavia lo rendiamo l'unico modo possibile per cercare asilo in Europa. Abbiamo una carenza di forza lavoro, ma impediamo a persone che rispondono ai nostri bisogni economici e demografici di venire in Europa. Rivendichiamo i nostri valori liberali contro quelli del fondamentalismo islamico ma -- abbiamo politiche repressive che permettono la detenzione di bambini richiedenti asilo, che separano i bambini dalle proprie famiglie, e che confiscano beni dai rifugiati. Che cosa stiamo facendo? Come siamo arrivati a questo punto, al punto di adottare delle misure cos disumane a una crisi umanitaria? Non credo che sia perch alle persone non importi, o perlomeno non voglio credere che sia cos. Io credo che ai nostri politici manchi una visione, una visione su come adattare un sistema internazionale per i rifugiati creato pi di 50 anni fa a un mondo globalizzato che sta cambiando. Per questo voglio fare un passo indietro e porre due domande fondamentali, due domande che tutti noi dovremmo fare. Prima cosa, perch il sistema attuale non sta funzionando? E seconda cosa, cosa possiamo fare per aggiustarlo? L'attuale regime di protezione per i rifugiati fu creato all'indomani della seconda guerra mondiale da queste persone. Il suo scopo principale assicurare che quando uno stato fallisce, o peggio, si rivolta contro il proprio popolo, le persone abbiano un posto dove andare, per vivere in sicurezza e dignit, fino a quando potranno tornare a casa. Fu creato esattamente per situazioni come quella attuale in Siria. Tramite una
convenzione internazionale, firmata da 147 governi, la
Convenzione sullo status dei rifugiati del 1951, e un'organizzazione internazionale, l'UNHCR, gli stati si sono impegnati reciprocamente ad accogliere nel proprio territorio persone che fuggono da conflitti e persecuzioni. Ma, oggi, quel sistema sta fallendo. In teoria, i rifugiati hanno il diritto di richiedere asilo. In pratica, le nostre politiche sull'immigrazione bloccano loro la strada. In teoria, i rifugiati hanno il diritto di accedere a un percorso di integrazione, o di tornare nel paese dal quale provengono. Ma in pratica, rimangono bloccati in un limbo indefinito. In teoria, i rifugiati sono una responsabilit globale condivisa. In pratica, la geografia a determinare che i paesi vicini al conflitto accolgano una sconvolgente maggioranza dei rifugiati mondiali. Il sistema non rotto perch le regole sono sbagliate. Siamo noi che non le stiamo applicando in maniera adeguata al mondo che cambia, questo quello che va rivisto. Quindi vorrei spiegarvi un po' come funziona il sistema attuale. Come funziona realmente il sistema per i rifugiati. Ma non dall'alto al basso, in maniera istituzionale, bens dalla prospettiva di un rifugiato. Immaginate una donna siriana. La chiameremo Amira. Amira per me rappresenta tutte le persone che ho conosciuto in quella regione. Amira, come circa il 25% dei rifugiati mondiali, una donna con figli, e non pu tornare a casa perch viene da questa citt che vedete qui, Homs, che un tempo era una bellissima citt storica e ora ridotta in macerie. Quindi Amira non pu ritornarci. Ma Amira non ha nemmeno la speranza di risistemarsi in una terza nazione, perch come un terno a lotto possibile solo per meno dell'1% dei rifugiati del mondo. Quindi Amira e la propria famiglia devono affrontare una scelta impossibile. Hanno tre opzioni. La prima che Amira porti la propria famiglia in un campo. Nel campo, potrebbe ricevere assistenza, ma ci sono davvero poche prospettive per Amira e la sua famiglia. I campi si trovano in luoghi squallidi e aridi, spesso nel deserto. Dal campo per rifugiati di Zaatari, in Giordania, di notte si possono sentire i bombardamenti sul confine siriano. L'attivit economica limitata. L'istruzione spesso di bassa qualit. E in tutto il mondo, circa l'80% dei rifugiati che si trovano nei campi devono restarci per almeno 5 anni. un'esistenza avvilente, e questo probabilmente il motivo per cui, di fatto, solo il 9% dei siriani fa questa scelta.
In alternativa, Amira pu dirigersi verso un'area urbana in un
paese confinante, come Amman o Beirut. Questa la scelta di circa il 75% dei rifugiati siriani. Ma anche in questo caso le difficolt sono molte. I rifugiati in queste aree urbane spesso non hanno il diritto di lavorare. Spesso non hanno accesso adeguato all'assistenza. E quindi, una volta finiti i risparmi, ad Amira e la sua famiglia rimarr ben poco e probabilmente si troveranno in situazioni di indigenza. Infine c' una terza alternativa, ed quella che sempre pi siriani stanno scegliendo. Amira pu cercare speranza per la sua famiglia rischiando le proprie vite in un viaggio pericoloso e rischioso verso un altro paese, e questo quello che stiamo vivendo in Europa oggi. In tutto il mondo, mettiamo i rifugiati di fronte a una scelta impossibile tra tre opzioni: accampamento, indigenza urbana o viaggi pericolosi. Questa scelta, per i rifugiati, il regime globale attuale. Ma io credo che sia una finta scelta. Io credo che possiamo rivedere questa scelta. Il motivo per cui limitiamo queste opzioni perch pensiamo che queste siano le uniche opzioni possibili per i rifugiati, ma non lo sono. I politici inquadrano il problema come un gioco a somma zero, come se aiutando i rifugiati, imponessimo costi ai cittadini. Tendiamo tutti a supporre che i rifugiati siano un costo inevitabile o un peso per la societ. Ma non detto. Possono contribuire. Quindi ci su cui voglio discutere il fatto che ci siano dei modi per aumentare le scelte possibili a beneficio di tutti: i paesi ospitanti e le comunit, la nostra societ e i rifugiati stessi. E voglio proporre quattro modi con i quali trasformare il nostro modo di percepire i rifugiati. Tutti e quattro i modi hanno una cosa in comune. Sono tutti modi per cogliere le opportunit della globalizzazione, della mobilit e dei mercati, e aggiornare il nostro modo di pensare sulla questione dei rifugiati. La prima sulla quale voglio riflettere l'idea degli ambienti favorevoli, e parte dal semplice presupposto che i rifugiati sono esseri umani come chiunque altro, ma si trovano in circostanze straordinarie. Insieme ai miei colleghi di Oxford, ho intrapreso un progetto di ricerca in Uganda per osservare le vite economiche dei rifugiati. Non abbiamo scelto l'Uganda perch fosse rappresentativa dei paesi ospitanti. Non lo . un'eccezione. Al contrario della maggior parte dei paesi del mondo, quello che l'Uganda ha fatto stato dare ai rifugiati opportunit economica. Ha dato loro il diritto di lavorare. Ha
dato loro la libert di circolazione. Con risultati straordinari sia
per i rifugiati che per la comunit ospitante. Nella capitale, Kampala, abbiamo scoperto che il 21% dei rifugiati ha un'impresa che occupa altre persone, e il 40% di questi impiegati hanno la nazionalit del paese ospitante. In altre parole, i rifugiati creano lavoro per i cittadini del paese ospitante. Anche nei campi, troviamo esempi straordinari di attivit imprenditoriali vivaci e fiorenti. Ad esempio, in un accampamento chiamato Nakivale, abbiamo trovato esempi di rifugiati congolesi che gestivano attivit di scambio di musica digitale. Abbiamo trovato un ruandese che gestiva un'attivit in grado di permettere ai giovani di giocare col computer su console e televisori riciclati. Nonostante le avversit dovute alle restrizioni estreme, i rifugiati sono innovativi, e il signore che avete di fronte un ragazzo congolese chiamato Demou-Kay. Demou-Kay arrivato nell'accampamento con pochissimo, ma voleva diventare un regista. Cos ha avviato una stazione radio locale con i suoi amici e colleghi, ha noleggiato una telecamera, e ora sta facendo film. Ha girato due documentari con e per il nostro team, e ora sta creando un'impresa di successo partita da niente. Sono questi gli esempi che dovrebbero guidare la nostra risposta ai rifugiati. Al posto di considerarli come inevitabilmente dipendenti dall'assistenza umanitaria, dobbiamo fornire loro le opportunit per uno sviluppo umano. S, vestiti, coperte, riparo, cibo sono tutte cose importanti in un momento di emergenza, ma dobbiamo anche guardare oltre. Dobbiamo dar loro accesso a connessione, elettricit, educazione, diritto al lavoro, accesso al capitale e ai servizi bancari. Tutte le cose che noi diamo per scontate grazie alle quali siamo connessi all'economia globale possono e devono essere applicate ai rifugiati. La seconda idea di cui voglio parlare quella delle zone economiche. Sfortunatamente, non tutti i paesi ospitanti del mondo si comportano come l'Uganda. La maggior parte dei paesi ospitanti non apre le proprie economie ai rifugiati allo stesso modo. Ma ci sono ancora altre opzioni pratiche che possiamo usare. Lo scorso aprile, sono stato in Giordania con un collega, l'economista dello sviluppo Paul Collier, e, mentre eravamo l, abbiamo avuto un'idea insieme alla comunit internazionale e al governo, un'idea per dare lavoro ai siriani sostenendo al
contempo la strategia di sviluppo nazionale della Giordania.
Questa l'idea della zona economica, nella quale potremmo potenzialmente integrare l'occupazione dei rifugiati con l'occupazione dei cittadini della Giordania. E a soli 15 minuti dal campo di rifugiati di Zaatari, dove vivono 83 000 rifugiati, c' una zona economica chiamata la King Hussein Bin Talal Development Area. Il governo ha speso pi di cento milioni di dollari per collegarla alla rete elettrica, per collegarla alla rete stradale, ma mancavano due cose: accesso al mondo del lavoro e investimenti esteri. E se i rifugiati potessero lavorare l invece di essere rinchiusi nei campi, se potessero sostenere le proprie famiglie e sviluppare capacit professionali prima di tornare in Siria? Ne trarrebbe vantaggio la Giordania, la cui strategia di sviluppo deve fare il salto da paese a medio reddito a paese manufatturiero. Ne trarrebbero beneficio i rifugiati, ma contribuirebbe, inoltre, alla ricostruzione postbellica della Siria ammettendo che abbiamo bisogno di coltivare i rifugiati come la miglior fonte per la futura ricostruzione della Siria. Abbiamo pubblicato l'idea nella rivista Affari Esteri. Il re Abdullah l'ha notata. stata annunciata alla Conferenza per la Siria di Londra, due settimane fa, e in estate verr iniziato un test. La terza idea che voglio proporvi quella del matching preferenziale tra stati e rifugiati che possa portare a un lieto fine come quello che vedete nel selfie con Angela Merkel e un rifugiato siriano. Raramente chiediamo ai rifugiati cosa vogliono, dove vogliono andare, ma io affermo che possiamo farlo per il bene di tutti. L'economista Alvin Roth ha sviluppato un'idea di abbinamento dei mercati, dove le classifiche delle preferenze delle varie parti si incontrano. I miei colleghi Will Jones e Alex Teytelboym hanno studiato un modo con il quale applicare questa idea ai rifugiati, chiedendo loro di classificare le proprie destinazioni preferite, ma anche agli stati di classificare la tipologia di rifugiato che vogliono in base alle loro abilit o a criteri linguistici e abbinarli. Ovviamente c' bisogno di stabilire delle quote basate su cose come diversit e vulnerabilit, ma anche questo un modo per aumentare le possibilit di matching. L'idea di matching stata applicata con successo per abbinare, ad esempio, studenti con universit, per abbinare donatori di reni con pazienti, e alla sua base c' quel tipo di algoritmo che esiste nei siti di incontri. Allora perch non usarlo per dare migliori opportunit ai rifugiati?
Pu anche essere usato a livello nazionale, dove una delle pi
grandi sfide da affrontare quella di convincere le comunit locali ad accettare i rifugiati. E al momento, nel mio paese, ad esempio, spesso mandiamo ingegneri in aree rurali e agricoltori nelle citt, il che non ha alcun senso. Quindi l'abbinamento dei mercati un modo per unire queste preferenze e ascoltare i bisogni e le richieste della popolazione ospitante e dei rifugiati stessi. La quarta idea che voglio presentarvi quella dei visti umanitari. La maggior parte delle tragedie e del caos avvenute in Europa era completamente evitabile. Nasce da una contraddizione di base nella politica europea d'asilo, ovvero la seguente: per poter richiedere asilo in Europa, bisogna arrivarci spontaneamente imbarcandosi in uno dei viaggi pericolosi che vi ho descritto. Ma questi viaggi sono davvero necessari nell'era delle compagnie aeree low-cost e delle moderne capacit consolari? Sono viaggi completamente inutili, e l'anno scorso hanno portato alla morte di oltre 3 000 persone sulle frontiere europee e all'interno del territorio europeo. Se ai rifugiati venisse concesso di viaggiare direttamente e chiedere asilo in Europa, potremmo evitarlo, e c' un modo di farlo grazie a una cosa chiamata visto umanitario, che permette alle persone di richiedere un visto in un'ambasciata e in un consolato di un paese confinante e poi pagarsi semplicemente un viaggio con un traghetto o un volo per l'Europa. Costa circa un migliaio di euro viaggiare con un trafficante dalla Turchia alle isole greche. Mentre cosa circa 200 euro prendere un volo low-cost da Bodrum a Francoforte. Se permettessimo ai rifugiati di farlo, ci sarebbero dei vantaggi notevoli. Salverebbe delle vite, abbatterebbe il mercato legato al traffico dei migranti, ed eliminerebbe il caos che vediamo alle porte dell'Europa in aree come le isole greche. Ma la politica che ci impedisce di farlo piuttosto che una soluzione razionale. E quest'idea stata applicata. Il Brasile ha adottato un approccio innovativo con il quale pi di 2 000 siriani hanno potuto ottenere un visto umanitario, sono entrati in Brasile, dove, all'arrivo hanno richiesto lo status di rifugiato. Ogni siriano che passato attraverso questo sistema ha ottenuto lo status ed stato riconosciuto come rifugiato effettivo. C' anche un precedente storico. Tra il 1922 e il 1942, i passaporti di Nansen furono usati come documenti di viaggio
per permettere a 450 000 assiri, turchi e ceceni di viaggiare in
Europa e chiedere lo status di rifugiato ovunque in Europa. E l'Ufficio internazionale Nansen per i rifugiati ha ricevuto il premio Nobel per la pace in riconoscimento dell'attuabilit di questa strategia. Tutte queste quattro idee che vi ho presentato rappresentano dei modi di ampliare le possibilit di scelta di Amira. Sono dei modi con i quali possiamo offire pi scelte ai rifugiati oltre alle tre, basilari e impossibili opzioni che vi ho illustrato, offrendo beneficio anche agli altri. Per concludere, abbiamo davvero bisogno di una nuova visione, una visione che possa ampliare le scelte dei rifugiati e che riconosca che essi non devono essere un peso. possibile evitare che i rifugiati rappresentino un costo. S, rappresentano una responsabilit umanitaria, ma sono esseri umani con capacit, talento, aspirazioni, che possono dare il proprio contributo se glielo lasciamo fare. Nel mondo nuovo, la migrazione non sparir. Quello che accade in Europa rester con noi per molti anni. Le persone continueranno a viaggiare, continueranno a essere sfollate, e dovremo trovare dei modi razionali, realistici di gestire tutto ci -- non in base alle vecchie logiche dell'assistenza umanitaria, non in base alle logiche della carit, ma basandoci sulle opportunit offerte dalla globalizzazione, dai mercati e dalla mobilit. Vi invito ad aprire gli occhi e invito i nostri politici a prendere consapevolezza di questa sfida. Grazie mille.