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UNIVERSIT DEGLI STUDI DI MILANO-BICOCCA

Facolt di Psicologia
Corso di Laurea in Scienze e Tecniche Psicologiche

NEUROPLASTICIT NEI MUSICISTI.


DIFFERENZE E SIMILITUDINI TRA PROFESSIONISTI,
AMATORI ED INESPERTI.

Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Alice Mado Proverbio

Tesi di Laurea di: Manuel Carminati


Numero di matricola: 719650
Numero di caratteri dellelaborato: 54256

Anno Accademico 2010 2011

INDICE

1. Introduzione. La musica in psicologia e nelle neuroscienze.


2. Premesse generali. Temi e metodi di ricerca.
2.1. Percezione della musica
2.2. Musicisti
2.3. Studi di neuroimmagine
3. Studi specifici. Abilit caratteristiche e particolarit morfofunzionali nei musicisti.
3.1 Abilit sensomotorie.
3.1.1. Abilit manuale e rappresentazione corticale
3.1.2. Sensibilit della mano e rappresentazione corticale
3.2 Abilit uditive.
3.2.1. Orecchio assoluto ed orecchio relativo
3.2.2. Percezione della melodia
3.2.3. Particolarit nei musicisti e analisi melodica superiore
3.3 Orientamento visuospaziale e audiospaziale.
3.3.1. Localizzazione nello spazio dei suoni
3.3.2. Sight-reading
3.3.3. Abilit visuospaziali superiori
3.4 Abilit linguistiche correlate allesperienza in musica.
4. Conclusioni.

1. INTRODUZIONE. La musica in psicologia e nelle


neuroscienze.
La musica lattivit umana forse pi universale, seconda solo a quelle dedite alla
sopravvivenza, alla conservazione e alla riproduzione. Universale non solo nel senso
culturale del termine, in quanto noto come ogni popolo abbia sviluppato le proprie
caratteristiche forme di canto e di produzione musicale, ma anche da un punto di vista
emotivo e motivazionale, poich tanto rilevante limpatto emozionale dellascolto e della
produzione di musica che si reso lecito pensare che le capacit umane che sottendono
alla musica abbiano importanti funzioni adattive, tali da favorire evolutivamente gli umani
musicali (Sloboda, 1985).
Questa ricerca, che tocca gli innumerevoli aspetti cognitivi, emotivi, culturali e fisiologici
nelluomo, si trova di fronte una mole di lavoro e una quantit di dati ragguardevole e in
aumento. Finora non si giunti a conclusioni notevoli: le teorie evolutive rimangono
sommariamente speculative; tuttavia il comportamento musicale sembra soddisfare
condizioni fondamentali se lo si vuole considerare un aspetto umano evolutivamente
significativo (Huron in Peretz e Zatorre, 2003).
Le neuroscienze si sono a loro volta interessate della musica, trovando in essa un ambito
di studi fertile e di grande utilit scientifica. Infatti, se lecito pensare alla musica come
uno degli aspetti adattativi che caratterizzano lunicit evolutiva del cervello umano, le
scienze che si occupano della mente e della fisiologia possono contribuire al dibattito e
trarre conclusioni di grande importanza dalla ricerca.
Lobiettivo della nostra trattazione sar quello di raccogliere e confrontare alcuni tra i
maggiori contributi neuroscientifici sullesperienza musicale, sul ruolo delle abilit apprese
dai musicisti e sulle strutture cerebrali che sottendono ad esse, soffermandoci in
particolare su quegli studi che abbiano ricercato differenze morfofunzionali tra
professionisti, musicisti amatoriali e persone comuni.

2. PREMESSE GENERALI. Temi e metodi di ricerca.


Prima di procedere con la trattazione, si rende necessario un veloce chiarimento sui
principali oggetti di questa analisi: cosa intendiamo per percezione della musica o della
melodia, cosa distingue un professionista da un amatore e dai non musicisti,
riassumiamo qualche nozione che per brevit siamo costretti a dare per acquisita, infine
accenniamo infine agli studi di neuroimmagine sui cui si basano le ricerche citate.

2.1. PERCEZIONE DELLA MUSICA


Quello che sentiamo e chiamiamo
musica innanzitutto una pura
percezione uditiva, almeno nella
sua natura pi essenziale, e tutto
ci che ne segue frutto della
nostra conseguente attivit
cognitiva superiore.
In questa immagine illustrato lo
schema delle connessioni che
vengono attivate da una qualsiasi
esperienza uditiva, risalendo dalla
coclea alla corteccia uditiva
primaria.
Anche se popolazioni di neuroni di
nove diversi tipi proiettano
informazioni di varia natura dai due
nuclei cocleari (dorsale e ventrale)
in modo distinto fino a questo punto
del percorso neurale, una melodia
barocca, un assolo di chitarra e il
rumore di uno starnuto attivano
grossomodo gli stessi pattern
Figura 1. Connessioni tra coclea e corteccia uditiva.
Tratto da http://www.neuroanatomy.wisc.edu/

neurali sottocorticali.

Nella nostra trattazione, volendo indagare le abilit pi elevate e caratteristiche della


professione, necessario analizzare i percorsi che linformazione percorre in un punto pi
avanzato rispetto allorecchio, al tronco encefalico e al suo fisiologico funzionamento,
considerando come oggetto danalisi soprattutto la corteccia uditiva e le aree corticali ad
essa connesse. Come per gli altri sensi, infatti, a livello corticale che si situa ogni
processo cognitivo.
Linformazione giunge alla corteccia uditiva primaria (A1) dal nucleo genicolato mediale
ipsilaterale (nella figura precedente si pu vedere come il messaggio in salita venga
sdoppiato da entrambi i lati, decussando allaltezza del nucleo olivare superiore),
portando a coscienza la percezione del suono e i primi dati raccolti: il suo volume, la
posizione della sorgente, la tonalit. Questa area, infatti, risponde in modo differente
soprattutto in base alla frequenza del suono, essendo caratterizzata da una precisa
organizzazione
tonotopica (Lauter et al.,
1985).
Da A1 originano
connessioni con molte
altre aree cerebrali,
alcune delle quali sono
rappresentate in figura
2, anche situate in lobi
differenti: ad esempio
con larea di Broca, nel
lobo frontale, che
permette la fonazione e
lelaborazione del

Figura 2. Corteccia uditiva primaria (in magenta) e altre aree


con funzioni uditive. Area di Wernicke (verde), area di Broca
(azzurro), giro sopramarginale (giallo), giro angolare
(arancione). Tratto da http://commons.wikimedia.org/

linguaggio, cos come


con aree pi vicine, ad esempio larea di Wernicke, situata nel lobo temporale stesso, che
interviene nella comprensione del significato dei dialoghi, oppure ancora il Planum
Temporale (PT), che svolge funzioni superiori di riconoscimento della tonalit e della
comprensione del linguaggio.

Lelaborazione bilaterale di tanta parte della corteccia, le differenze di lateralizzazione


emisferica, la variabilit di attivazione neurale e lalta connettivit di queste aree fanno da
supporto concreto al complesso mondo cognitivo che scaturisce dallascolto di musica,
attraverso modalit, ancora in parte ignote, che esamineremo nel prossimo capitolo.

2.2. MUSICISTI
Va brevemente spiegato che con il termine musicista in questa si intende un professionista
della musica, di tipica formazione classica, o uno studente simile. Si tratta di orchestranti
di ogni tipo, anche ovviamente di direttori dorchestra o di cantanti lirici, dediti allo studio di
uno o pi strumenti per decine di ore alla settimana sin dallinfanzia.
Quando si parla di musicista amatore, invece, si fa riferimento ad uno strumentista non
professionista, che per esempio possa inserirsi in un gruppo di controllo laddove sia
necessario confrontare abilit su uno strumento in relazione a diversit nella preparazione.
Le differenze fondamentali sono quindi let di inizio degli studi e le ore settimanali
dedicate alla pratica (Gaser e Schlaug, 2003).
Naturalmente, il gruppo di controllo pi utilizzato quello composto di soli individui non
musicisti, persone che non abbiano studiato luso di alcuno strumento.
lecito attendersi che lesperienza maturata in anni di studio e di pratica abbia in qualche
modo influito sul cervello dei musicisti (Schlaug, 2001). I ricercatori hanno quindi cercato
indizi di neuroplasticit, in particolare nelle aree sopracitate, e segni di modificata attivit
neurale che correlassero con le abilit che lesperienza ha sviluppato nei musicisti.
Studi di correlazione vengono utilizzati per comparare e spiegare le variabilit di
prestazione riscontrate nei test di abilit oppure le differenze strutturali o di attivazione
cerebrale. Studi di neuroimmagine, statica o funzionale, permettono di acquisire in vivo i
dati fondamentali di cui queste ricerche necessitano.

2.3. STUDI DI NEUROIMMAGINE


Se, con le parole di Ebbinghaus, possiamo dire che la psicologia (e in particolare la
psicologia della musica) ha un lungo passato, ma una storia recente, ancora pi recente
la storia dellindagine neuroscientifica in questo ambito di ricerca (Sloboda, 1985). Ci
naturalmente dato dalla breve storia delle neuroscienze, la quale dipende dal fatto di
basare le proprie conclusioni sui risultati scientifici di moderni strumenti non invasivi, tutti

nati nella seconda met del ventesimo secolo (Brust in Peretz e Zatorre, 2001).
Sachs afferma che le neuroscienze non si sono occupate di musica (con sua grande
delusione!) fino agli anni 80 (Sachs, 2007); in effetti, uno degli articoli pionieristici, cio
quello di Bever e Chiarello sulla lateralizzazione dellanalisi di una melodia nei musicisti,
risale appena al 1974. I due studiosi proponevano i risultati dei loro test su musicisti e nonmusicisti, affermando che esisterebbe un vantaggio dellorecchio destro nellanalisi delle
sequenze di note nei musicisti e viceversa nel sinistro per gli inesperti, ribaltando gli studi
precedenti. Nessuna immagine funzionale, solo due domande da porre finito lascolto di
una breve melodia (Bever e Chiarello, 1974). Chiaramente, questionari di vario genere
sono rimasti nel repertorio della ricerca, ma negli ultimi tre decenni gli strumenti a nostra
disposizione si sono moltiplicati: oltre ad avere a disposizione vari modi per osservare
direttamente il cervello nella sua forma intera o parziale, superficiale o profonda (ad
esempio, TAC e PET), ad oggi esistono tecniche che permettono di registrare lattivit
cerebrale di aree corticali definite nello spazio e nel tempo, proprio durante lo svolgimento
dei compiti assegnati al soggetto, ovvero quelle che vengono chiamate neuroimmagini
funzionali; per citarne una, la risonanza magnetica funzionale (fMRI), la quale tra le pi
note e usate nellattuale ricerca: tutte tecniche che permettono di vedere davvero dentro il
cervello di una persona e di immortalarne lattivazione, mentre questa porta a termine
difficili task mentali, controlla certe parti del suo corpo, ricorda o immagina qualcosa, o
addirittura mentre suona un brano del Concerto Italiano di Bach.

Figura 3. Una pianista esegue Bach durante una risonanza magnetica.


Tratto da http://www.uthscsa.edu/

3. STUDI SPECIFICI. Abilit caratteristiche e particolarit


morfofunzionali nei musicisti.
Come ha sottolineato Sergent, la musica, come ogni altra forma di espressione, richiede
abilit specifiche per la sua produzione (Sergent et al. 1992).
Cos come la musica, suonata ed ascoltata, attiva le pi diverse aree percettive e
cognitive, le abilit sviluppate da chi di musica suonata ed ascoltata si interessato fin
dalla prima infanzia riguardano quasi tutte le sfere dellattivit neurale umana. A queste
sono correlate molte differenze morfologiche e funzionali tra il cervello degli ascoltatori naif
e quelli dei musicisti professionisti.
Di queste differenze, strutturali e funzionali, si sono occupati moltissimi neuroscienziati,
con lintento di trovare la sede di funzioni specifiche, sia cognitive sia percettive, e
indagarne il funzionamento (Tervaniemi, 2001; Peretz e Zatorre, 2005). Di seguito
cerchiamo di riassumere solo alcuni degli esempi pi significativi di una mole di dati
immensa, proveniente da ormai quarantanni di ricerche.

3.1. Abilit sensomotorie.


Di qualsiasi tipo di musicista si tratti, la prima difficolt che da bambino ha trovato
afferrando il suo strumento per la prima volta stata maneggiarlo propriamente e
guadagnare progressivamente dimestichezza con esso. Quindi acquisire la giusta
manualit il primo dei tanti problemi che tutti i piccoli studenti di musica affrontano ed
inevitabilmente risolvono con lallenamento.
Nella maggior parte degli strumenti richiesta una certa simmetria tra mano destra e
mano sinistra e, in particolare negli strumenti a corda e negli strumenti a tasti, bisogna
sviluppare grande abilit nella mano debole: i chitarristi destrimani impongono gli accordi
con la sinistra e viceversa, i fiati devono controllare anche pi di venti tra tasti e chiavi con
entrambe le mani, cos come gli archi usano la mano sinistra per premere le corde su un
manico senza tasti, in punti studiati al millimetro. Ogni professionista, anche un
percussionista o un cantante, qualsiasi strumento padroneggi correntemente, deve aver
studiato anche pianoforte nei primi anni di conservatorio, poich questo lo strumento col
quale si inizia a studiare la teoria. Ovviamente, il piano un classico esempio di strumento
che necessita di grande abilit in entrambe le mani.

3.1.1. ABILIT MANUALE E RAPPRESENTAZIONE CORTICALE


Le abilit manuali e in senso pi lato il controllo motorio sono localizzate in unarea ben
nota della corteccia: M1, ovvero la corteccia motoria primaria, corrisponde con il giro
precentrale del lobo frontale. Lungo tutto il giro si trova una rappresentazione
somatotopica completa del corpo che viene chiamata homunculus, nella quale braccia e
mani sono rappresentate in modo cospicuo, proprio in relazione alla necessit di utilizzarle
per quasi tutte le attivit umane. Queste sono rappresentate nella parte superiore del giro
precentrale, tra la faccia e le gambe.
Amunts e colleghi (Amunts et al., 1997), sulla base di uno studio molto simile di due anni
prima (Elbert et al., 1995), hanno ipotizzato che una pi raffinata mobilit delle mani, come
quella di cui necessitano i musicisti, dovesse essere correlata ad una maggiore superficie
cerebrale dedita alla rappresentazione delle mani nella corteccia motoria primaria. Hanno
quindi misurato lo spessore del giro precentrale (ILPG, intra-sulcal length of the precentral
gyrus) di un gruppo di musicisti e di un gruppo di non musicisti (tutti destrimani) con una
risonanza magnetica: i risultati mostrarono una minore asimmetria tra i due emisferi nei
musicisti, rispetto a quella che si riscontra normalmente nei controlli, soprattutto nella parte
superiore del giro, ovvero quella che si occupa del movimento di mani e braccia.
Inoltre, la dimensione della ILPG era negativamente correlata con let di inizio dello studio
dello strumento musicale, dimostrando quindi che prima si inizia a suonare uno strumento,
meno marcata sar lasimmetria nellabilit manuale (Amunts et al., 1997).
Anche la profondit del solco centrale destro, misura solitamente messa in relazione
allabilit nella mano debole, stata trovata significativamente maggiore nei musicisti
(Amunts et al., 1997; Schlaug, 2001).

3.1.2. SENSIBILIT DELLA MANO E RAPPRESENTAZIONE CORTICALE


Lo studio precedente di Elbert (Elbert et al., 1995) si era soffermato non sulla mobilit, ma
sulla rappresentazione corticale delle dita, utilizzando una stimolazione tattile e registrando
con una risonanza magnetica lattivit della corteccia somatosensoriale S1, che risiede nel
giro postcentrale, esattamente dal lato opposto della scissura centrale rispetto M1, nella
corteccia parietale. I risultati mostravano una rappresentazione corticale della mano
sinistra molto pi importante nei musicisti rispetto agli individui del gruppo di controllo, con
una notevole riduzione della normale asimmetria tra i due emisferi.

Proprio come nella ricerca di Amunts, Elbert e colleghi trovarono una correlazione
negativa tra let dinizio degli studi e la dimensione dellarea corticale interessata (Elbert
et al., 1995).
Va aggiunto che queste stesse modificazioni nella rappresentazione corticale delle dita
pu portare a un problema tipico dei musicisti, la distonia focale. Questa sarebbe causata
proprio dallallenamento delle dita nelleseguire movimenti ripetitivi: la rappresentazione
corticale di dita vicine si fonde, accavallandosi sulla stessa area corticale, causando una
perdita del controllo muscolare (Elbert et al., 1998).
Il contributo di vari autori,
attraverso tecniche di
neuroimmagine sempre pi
sofisticate, ha confermato a
pi riprese laumento di
materia grigia in aree
perirolandiane motorie
(Pantev et al., 2001; Mnte et
al., 2002; Gaser e Schlaug,
Figura 4. Differenze nei volumi della materia grigia di alcune 2003; Li et al., 2010), in aree
aree corticali nei musicisti. Tratto da Gaser e Schlaug, 2003.
sensomotorie, anche

cerebellari (Schlaug 2001; Hutchinson et al., 2003) e in aree premotorie (Gaser e Schlaug,
2003) nei musicisti professionisti rispetto ai non musicisti.
Gli autori hanno quindi dato due possibili motivazioni per questo fenomeno: o i musicisti
sono predisposti geneticamente a prendere la strada della musica, avendo un cervello
dotato di migliori abilit manuali (e non solo), oppure la pratica con lo strumento musicale
ha plasmato il loro cervello per favorirli nel loro compito. Ma mentre non esistono prove
sufficientemente valide a favore della prima ipotesi, la seconda supportata da test di
apprendimento di abilit manuali nei primati antropomorfi e da studi sui bambini che
studiano musica (Gaser e Schlaug, 2003; Hyde et al., 2009). Laumento del volume della
materia grigia, inoltre, non si trova in aree sparse per la corteccia, ma localizzato
prettamente nelle aree interessate dallesercizio pratico tipico dello studente di musica
(Gaser e Schlaug, 2003). Questi test, infatti, mostrano lincremento dei volumi sia delle
aree interessate dallesercizio manuale, sia della met anteriore del corpo calloso, che si

occupa, tra le altre cose, di connettere le aree sensomotorie di entrambi gli emisferi
(Schlaug et al., 2005; Schlaug et al., 2009; Wan e Schlaug, 2010).
Un altro segno a favore dellipotesi nurture" (Wan e Schlaug, 2010), che sostiene che
dietro alle differenze strutturali e funzionali di cui stiamo parlando vi sia limportanza
dellapprendimento e della pratica quotidiana, spiegando queste in termini di
neuroplasticit in contrapposizione allipotesi nature, che spiega abilit e scelte di vita
grazie a una predisposizione genetica, il segno Omega, un tratto anatomico
caratteristico del giro precentrale, correlato alle abilit manuali: questo pi marcato
nellemisfero sinistro dei pianisti e nellemisfero destro dei violinisti, mentre nel gruppo di
controllo, formato da non musicisti, Omega poco evidente in entrambi gli emisferi.
Addirittura, nei cantanti lirici stato registrato una maggiore rappresentazione corticale per
la bocca e la laringe che in altri individui (Kleber et al., 2010).
Queste differenze strutturali, tra strumentisti e non e tra strumentisti di diverso tipo, sono
tanto salienti da essere interpretabili come forme di adattamento alle richieste dei diversi
strumenti (Bangert e Schlaug, 2006).


Figura 5. Differenze anatomiche proporzionali allesperienza. Tratto da Gaser e Schlaug, 2003.
Prove simili vengono riportate in un altro studio (Pantev et al., 2001a, 2001b), in cui
trombettisti e violinisti dovevano ascoltare passivamente suoni da entrambi gli strumenti: la
risposta corticale era pi forte per il proprio strumento. Parliamo quindi di una significativa
differenza a livello non pi puramente sensomotorio, ma che trova i suoi effetti in uno
sviluppo della percezione uditiva.

3.2. Abilit uditive.


Come sottolineato da Altenmller, non solo le aree sensomotorie vengono attivate dalla
pratica musicale (Altenmller, 2001). Naturalmente, le aree uditive sono le pi sollecitate;
oltre che nellascolto o nellesecuzione di qualsiasi brano, lo sono anche nei compiti di
semplice immaginazione o rievocazione di melodie, sia nei professionisti che negli amatori
(Lotze et al., 2003).
La conseguenza pi facile da notare degli studi e della pratica in musica la formazione di
quello che nel linguaggio quotidiano chiamiamo orecchio da musicista, ovvero lo sviluppo
di unobiettiva capacit nel percepire particolari che allascoltatore inesperto non arrivano
(Tervaniemi et al., 2005).
Uno studio a breve termine di Lappe ne ha illustrato le potenzialit (Lappe et al., 2008):
per due settimane un gruppo di individui stato istruito a suonare un brano al pianoforte
(gruppo SA, sensorimotor-auditory)
mentre un secondo gruppo ne
ascoltava e commentava lesecuzione
in un secondo momento (gruppo A,
auditory). Le prestazioni di ascolto
erano migliorate per entrambi i gruppi,
ma coloro che avevano eseguito il
brano al pianoforte presentavano
segnali MMNm (magnetic Musical
Mismatch Negativity, registrata
attraverso la MEG) ancora pi forti
rispetto a chi si era limitato ad

Figura 6. Differenze dei segnali MMNm prima e


dopo nei due gruppi. Tratto da Lappe et al., 2008.

ascoltare il loro progresso. Segnali MMNm pi forti dimostrano che non solo erano
diventati pi sensibili, in sole due settimane, allascolto delle melodie (questo segnale,
infatti, si scatena attraverso lattivazione di una funzione corticale preattentiva nellanalisi
delle strutture melodiche), ma anche che questo era avvenuto attraverso un fenomeno di
neuroplasticit nella corteccia uditiva, dove viene registrato il segnale MMNm,
maggiormente favorito da un allenamento sensomotorio (Lappe et al., 2008).
Ricerche simili su professionisti di lungo corso vengono presentate nel paragrafo dedicato
allanalisi della melodia nei musicisti.

3.2.1. ORECCHIO ASSOLUTO ED ORECCHIO RELATIVO


Perch dovremmo preoccuparci di quella che sembra essere una bizzarria musicale?
lironico esordio di Bermudez e Zatorre in un loro recente articolo sul tema (Bermudez e
Zatorre, 2009). In effetti, come sottolineano anche altri autori che se ne sono occupati,
lorecchio assoluto non necessario per i musicisti ( invece molto pi utile lorecchio
relativo) e non rappresenta molto pi di unabilit particolare, senza vantaggi
trascendentali (Schn et al., 2007).
Lorecchio assoluto (in inglese absolute pitch, AP) comunque uno degli aspetti correlati
alla musica pi studiati e, come sottolineano gli stessi autori, oltre a godere di un certo
fascino per la sua rarit, sta permettendo ai ricercatori di trarre importanti conclusioni sui
correlati neurali dellascolto e dellanalisi dei suoni (Bermudez e Zatorre, 2009).
Con il termine orecchio assoluto si intende la capacit di riconoscere una nota e nominarla
in modo corretto in base alla sua altezza, senza confrontarla a unaltra nota. Nella
popolazione generale si riscontra in un soggetto su diecimila, pi diffuso nelle donne e
mostra familiarit (Profita e Bidder, 1988), ma soprattutto, non esiste modo di apprendere
questa abilit nonostante limpegno in ambito musicale. Non esistono, cio, casi di
musicisti che abbiano appreso durante i loro studi la capacit di riconoscere le note in
modo assoluto.
Non si pu dire lo stesso dellorecchio relativo (RP, relative pitch), che corrisponde alla
capacit di riconoscere lintervallo di tonalit tra due suoni, cosa di certo complessa tra i
neofiti ma estremamente diffusa tra i musicisti con esperienza.
La differenza tra le due abilit evidente: luna si presenta come innata e impossibile da
apprendere, la seconda come frutto dellexpertise in ambito musicale.
Studi culturali per dimostrano che lincidenza dellAP varia di molto se ci spostiamo per
esempio in Giappone, dove tra i musicisti lincidenza arriva ad essere pari al 50%, dato
questo che non pu supportare la tesi per cui lorecchio assoluto sia semplicemente un
raro dono geneticamente programmato alla nascita. Oltre a fattori ereditari, vanno ricercati
fattori ambientali e culturali (Schn et al., 2007).
Altri dati vanno considerati e tutti portano a concludere che per quanto innato, lorecchio
assoluto non sia puramente frutto della casualit genetica: prima di tutto va analizzata
lesistenza nella maggior parte degli adulti di un cosiddetto orecchio assoluto residuo,

ovvero la capacit di riprodurre note riconoscibili, come per esempio quelle di un canto
popolare, in una tonalit che rimane pressoch esatta e costante per tutta la vita anche in
soggetti non istruiti musicalmente (Halpern, 1989).
Inoltre, e questo il dato per noi pi interessante, linfanzia sembra essere un periodo
critico per lapprendimento delle abilit musicali, tra cui proprio lorecchio assoluto: come
gi si era visto per la rappresentazione corticale sensomotoria delle mani (Elbert et al.,
1995; Pantev et al., 2001; Gaser e Schlaug, 2003), le ricerche dimostrano che lAP correla
negativamente con let dinizio degli studi in campo musicale (Schlaug, 2001; Ohnishi et
al., 2001). Lesistenza di unet critica per lo sviluppo di questa specifica abilit ancora
pi evidente e marcata dei casi di neuroplasticit sensomotoria sopracitati: infatti, i
bambini che iniziano a studiare musica tra i 3 e i 6 anni arrivano ad avere lorecchio
assoluto nel 40% dei casi, tra i 6 e i 9 il dato crolla all8% e gi passati i nove anni let non
sembra contare pi nulla nello sviluppo dellAP (Schn et al., 2007).
Pi ricerche si sono concentrate sul ruolo svolto dal Planum Temporale (PT) nei soggetti
con orecchio assoluto (Mnte et al., 2002). Si notata fin da subito unasimmetria nei
soggetti dotati di AP che port a pensare che un incremento di volume della materia grigia
nel PT sinistro potesse essere la fonte di questa abilit (Schlaug et al., 1995). Studi
seguenti hanno per dimostrato come questa simmetria non si spieghi in termine di
aumento di volume nel PT sinistro, ma al contrario con levidente diminuzione di volume in
quello destro nei soggetti con orecchio assoluto rispetto ai soggetti normali, suggerendo la
possibilit che lorecchio assoluto si sviluppasse solo dopo un pruning localizzato appunto
in questarea (Keenan et al., 2001).
Gi Binder (Binder et al., 1996) aveva criticato la possibilit che unabilit cos radicale e
complessa si potesse collocare nel solo planum temporale sinistro, descrivendo come
anche solo la sua forma dipenda dalle strutture che lo circondano e alle quali connesso.
Il tentativo di mettere in correlazione lorecchio assoluto con le dimensioni del planum
temporale destro o sinistro diedero risultati contrastanti e inizialmente poco significativi
(Zatorre et al., 1998; Keenan et al., 2001).
Per quanto riguarda la lateralizzazione di questa abilit, stato confermato a pi riprese
come lemisfero sinistro svolga un ruolo predominante (Ohnishi et al., 2001); dato, questo,
che gi traspariva da ricerche precedenti, cos come stata pi volte dimostrata
lattivazione di aree prefrontali sinistre in concomitanza con i compiti di riconoscimento

delle note (Zatorre et al., 1998). Si tratta soprattutto di una maggiore e significativa
attivazione di lDLPFC, left DorsoLateral PreFrontal Cortex, area con funzioni
primariamente linguistiche, strettamente connessa allarea di Broca, che in questo caso
correla fortemente con la prestazione nei compiti di solfeggio (Ohnishi et al., 2001).
Nella ricerca di Ohnishi e colleghi lattivazione di PT e di DLPFC nellemisfero sinistro in
compiti di solfeggio erano entrambe correlate positivamente con la presenza di orecchio
assoluto e
negativamente con
let di inizio degli
studi nei musicisti.
Questi dati, invece,
non venivano
registrati nel gruppo
di controllo, i cui
individui non
facevano registrare
alcuna attivit
significativa a livello
frontale.
Le ricerche pi
recenti (Bermudez et
al., 2009) hanno

Figura 7. Differenze di attivazione corticale nei controlli (sopra) e nei


musicisti (sotto). Tratto da Ohnishi et al., 2001.

riscontrato differenze anatomiche anche nelle stesse aree dorsolaterali della corteccia
frontale: i soggetti con orecchio assoluto mostrano aree pi ristrette dei musicisti con
orecchio relativo.
Proprio queste aree sono quelle che nei compiti di confronto di note (riconoscimento degli
intervalli, in cui entrambi i gruppi hanno ovviamente successo), si attivano bilateralmente
in entrambi i gruppi; inoltre per, nei soggetti AP, larea dorsolaterale sinistra si attiva
anche nel riconoscimento di singole note (Bermudez et al., 2009).
In generale, lattivazione dellemisfero destro nei soggetti con orecchio assoluto molto
inferiore in questo tipo di compiti ed stata inoltre riscontrata una preferenza auricolare
inversa nei compiti di riconoscimento monoaurali, poich laddove i musicisti RP hanno

migliori prestazioni con lorecchio sinistro (quindi analizzando il suono con la corteccia
destra), i musicisti AP rendono risposte migliori con lorecchio destro (Brancucci et al.,
2009).
Anche in compiti di memorizzazione (Schulze et al., 2009) i soggetti RP e AP sembrano
attivare percorsi neurali simili ma in modi diversi: si verifica unattivazione
significativamente maggiore nel solco temporale superiore (STS) e nel solco intraparietale
(IPS) nei soggetti AP durante la fase iniziale di codifica dei suoni, mentre durante la fase di
rievocazione lattivazione di queste aree molto minore. Gli autori spiegano queste
differenze in termini di un minore utilizzo della memoria di lavoro tonale nei soggetti AP,
poich queste aree sarebbero preposte prima allanalisi e poi alla rielaborazione di dati
uditivi, da cui la loro attivazione. Le note sarebbero unit mnemonicamente pi
significative, semanticamente univoche, richiedendo quindi meno attivazione neurale.
Per quanto confusi e a volte contrastanti, tutti questi dati indicano, in generale, una minore
attivazione corticale nei soggetti con orecchio assoluto nelle stesse aree che invece si
attivano maggiormente nei soggetti con orecchio relativo, oltre ad una sostanziale
variazione del volume nella materia grigia nelle aree interessate. Queste e altre ricerche
(Itoh et al., 2005; Loui et al., 2011) dimostrano quindi una maggiore efficienza, per rapidit,
attivazione e connettivit intraemisferica del cervello nellelaborare i suoni a livello
temporale, in zone come STS e PT, e a riconoscerli e categorizzarli univocamente nelle
aree frontali posteriori, grazie allalta connettivit tra il planum temporale sinistro e aree
come DLPFC sinistro, preposte a funzioni di labeling semantico, ovvero di ricerca dei
significati e memorizzazione semantica, applicate in questo caso alle note. Capacit
queste acquisite grazie al tempo dedicato alla musica fin dallinfanzia, periodo in cui si
consolidata una tecnica di analisi tanto efficiente e fondamentalmente diversa dalla norma
(Ohnishi et al., 2001; Schlaug, 2001; Loui et al., 2011).

3.2.2. PERCEZIONE DELLA MUSICA


Abbiamo gi accennato alla maggior parte delle aree corticali interessate dallascolto di
musica nei paragrafi precedenti, abbiamo per tralasciato la precisa descrizione del
percorso dellinformazione neurale allinterno della corteccia e la precisa descrizione delle
funzioni delle diverse strutture cerebrali.

Gli studi confermano limportanza delle aree temporali destre nellanalisi delle melodie, sia
confrontando pazienti che hanno subito una cortectomia (Zatorre et al., 1994; LigeoisChauvel et al., 1998), sia utilizzando tecniche di neuroimmagine (Platel et al., 1997; Hyde
et al., 2008).
Larea preposta quella del giro di Heschl (Patterson et al., 2002), ma non affatto
lunica: come gi visto negli studi sullorecchio assoluto del paragrafo precedente, anche
aree frontali vengono attivate dallascolto di una melodia e un ruolo importante dato dalle
interazioni tra queste aree e il planum temporale.
Patterson e colleghi hanno dimostrato come il percorso dellinformazione neurale proceda
in direzione frontale con il crescere della complessit dello stimolo: semplici suoni o note
distinte attivano il giro di Heschl, ovvero A1, unarea della corteccia tonotopicamente
organizzata, in grado di rendere cosciente uno stimolo uditivo e darne una prima analisi,
anche nellascolto distratto; unanalisi pi fine delle frequenze e dei rapporti tonali risiede
invece in PT, la quale a sua volta dotata di unorganizzazione tonotopica (Lauter et al.,
1985); le analisi gerarchicamente successive delle melodie complessive risiedono nel giro
temporale superiore e nel planum polare (STG e PP), aree che si attivano in base alla
complessit dello stimolo (Patterson et al., 2002).
Della funzione del planum temporale si detto molto nel paragrafo precedente, dedicato
allanalisi del complesso ruolo che questa area svolge nei soggetti con orecchio assoluto.
Va aggiunto che non solo lallenamento in ambito musicale ha effetti neuroplastici sul
volume della materia grigia in questa zona, ma vi sono anche prove di come questa area
modifichi la sua attivit metabolica in funzione dellesercizio (Aydin et al., 2005).
Unaltra prova del ruolo delle aree frontali deriva dagli studi sugli individui affetti da amusia,
o sordit tonale. La mancata o quasi attivazione delle aree frontotemporali (Hyde et al.,
2011), aree in cui sono state evidenziate dagli stessi autori gravi anomalie nel volume
della materia grigia e della materia bianca che correlano con i risultati dei test dellanalisi
delle frequenze (Hyde et al., 2006; Hyde et al., 2007), potrebbe spiegare lincapacit di
percepire la musicalit delle sequenze di suoni, tipica dellamusia.
Gli studi neuroscientifici che hanno indagato le differenze anatomiche, funzionali e
comportamentali dei musicisti sono molteplici. Riassumendoli a grandi linee, oltre che
nellaumento di materia grigia delle aree interessate (Elbert et al., 1995; Amunts et al.,
1997; Schlaug, 2001; Ohnishi et al., 2001; Mnte et al., 2002; Schneider et al., 2002), i

ricercatori hanno riscontrato altre differenze, come una maggiore attivazione neurale delle
stesse aree (Schneider et al., 2002; Shahin et al., 2003; Gaab e Schlaug, 2003; Trainor et
al., 2003), rappresentazioni corticali aumentate (Pantev et al., 1998, 2001a, 2001b),
maggiore connettivit (Schmithorst e Wilke, 2002; Tervaniemi et al., 2005; Schlaug et al.,
2009) e infine lutilizzo di aree corticali che non vengono utilizzate dai soggetti inesperti
(Schmithorst e Holland, 2003; Gaab e Schlaug, 2003).
Anche nuovi studi sul metabolismo corticale (Aydin et al., 2005) fanno di recente la loro
prima comparsa, corroborando i dati di quelle ricerche che vedono nel cervello dei
musicisti delle abilit oggettivamente superiori alla media.
Abbiamo gi apprezzato i miglioramenti della manualit correlati allispessimento della
materia grigia nelle aree sensomotorie (Schlaug, 2001), abbiamo discusso poi della
maggiore rappresentazione dei timbri specifici di uno strumento nella corteccia uditiva dei
musicisti (Pantev et al., 1998) e parlando di orecchio assoluto abbiamo avuto prova del
valore delle connessioni tra aree diverse attraverso la materia bianca (Loui et al., 2011) e
pi in generale di come il corpo calloso dei musicisti sia pi sviluppato in concomitanza
con le aree sensomotorie (Schlaug, 2001; Schmithorst e Wilke, 2002; Schlaug et al.,
2009).
Uno dei tratti distintivi dellattivit neurale nei musicisti impegnati in compiti di analisi delle
melodie la maggiore attivazione di alcuni segnali elettrici caratteristici.
Shahin e collaboratori (Shahin et al., 2003), riprendendo il lavoro di Schneider di un anno
prima (Schneder et al., 2002) che dimostrava che nel giro di Heschl dei musicisti 19-30 ms
dopo lo stimolo lattivit elettrica era doppia rispetto ai non musicisti, cercarono di
confrontare N1, N1c e P2, ovvero tre segnali elettrici (i primi due negativi, il terzo positivo,
da cui le lettere usate per nominarli) che si scatenano allincirca nei primi due decimi di
ascolto. Questi segnali vengono chiamati AEP, auditory evoked potentials.
Il compito consisteva nellascolto passivo di una nota, il Do3, eseguita da un piano e da un
violino. Gli autori trovarono differenze sostanziali nei dati dellEEG, poich come ci si
aspettava, anche in base allesperimento di Pantev (Pantev et al., 1998), i musicisti
mostrarono una maggiore ampiezza donda per N1c e P2 rispetto ai soggetti del gruppo di
controllo e a loro volta i violinisti risposero meglio al suono di violino e i pianisti al suono
del piano. Veniva quindi confermata la maggiore rappresentazione dei timbri specifici dello
strumento che si padroneggia, anche in termini di maggiore attivit corticale e non solo di

espansione della rappresentazione corticale (Shahin et al., 2003)


Trainor, Shahin e Roberts (Trainor et al., 2003) hanno riproposto lo stesso test a bambini
di 4 o 5 anni, anchessi divisi tra studenti di musica e non: attraverso fMRI hanno ottenuto
risultati simili. Sono quindi arrivati alla conclusione che i diversi dati raccolti potevano
dimostrare come non solo simili fenomeni di neuroplasticit siano dovuti allallenamento in
tenera et, ma questi stessi cambiamenti funzionali della corteccia si possano verificare in
et pi adulta.
Lattivazione corticale nellascolto di melodie presenta anche fenomeni di lateralizzazione
differenti tra i musicisti e gli inesperti.
Gi nel 1974, Bever e Chiarello, registrarono uninversione della generica tendenza di
analisi delle melodie dallemisfero destro a quello sinistro nei musicisti professionisti,
risultato confermato a pi riprese (Altenmller, 2003; Peretz e Zatorre, 2005; Ono et al.,
2011). Questa ricerca apr il dibattito sulla esatta localizzazione dei centri corticali preposti
allanalisi delle melodie e agli effetti dellistruzione musicale in queste aree (Altenmller,
2001; Peretz e Zatorre, 2005).

3.2.3. PARTICOLARIT NEI MUSICISTI E ANALISI MELODICA SUPERIORE


Come funziona, in definitiva, la corteccia uditiva dei musicisti?
Innanzi tutto non chiaro se sia effettivamente possibile considerare lanalisi dei ritmi e
delle tonalit come separate e indipendenti, poggianti su due diversi pattern neurali. Certo
esistono prove di lesioni che rendono impossibile lanalisi di uno dei due componenti,
risparmiando la capacit di percepire laltro, ma non abbiamo a disposizione sufficienti dati
di neuroimmagine per chiarire la netta distinzione delle due fasi, anzi, Griffiths e colleghi
hanno illustrato un esempio contrario, ipotizzando una corrispondenza, almeno iniziale, dei
diversi livelli di analisi (Griffiths et al., 1999).
Altra difficolt nellanalisi sta nellambivalenza dellanalisi temporale: il tempo, infatti,
analizzabile sia a livello di velocit di esecuzione (dimensione alla quale in musica ci si
riferisce proprio con il termine tempo) e di eventuali variazioni di questa, oppure al livello
dei rapporti di tempi di esecuzione delle note e delle pause, delle regolarit e delle sincopi
che formano lo scheletro ritmico del brano (Peretz e Zatorre, 2005).
quindi abbastanza inutile cercare in uno o pi punti della corteccia le singole abilit
caratteristiche del musicista cos come inutile pensare che questo o quel gruppo di

neuroni basti a carpire una delle tante dimensioni in gioco e che si occupi solo di quella.
Infine, forti differenze individuali, spesso dovute allo strumento utilizzato, non permettono
generalizzazioni semplici (Altenmller, 2001; Peretz e Zatorre, 2005; Tervaniemi, 2011).
Il funzionamento superiore mostrato da questa categoria di persone nei compiti di ascolto,
analisi, esecuzione, memorizzazione e rievocazione sembra quindi essere frutto della
complessa interazione di fattori di varia natura compresenti nei loro cervelli.
In particolare (Gaab e Schlaug, 2003), lunione di risposte neurali pi efficienti, la maggiore
connettivit e limpiego di un numero maggiore di aree corticali bilaterali potrebbero
rendere conto di certe abilit.
Gaab e Schlaug hanno riscontrato che musicisti e non musicisti attivano le stesse aree
dellemisfero sinistro in un compito di memorizzazione della tonalit, ma che in pi i
musicisti richiamano le corrispondenti zone destre (Gaab e Schlaug, 2003).
Lo stesso anno Schmithorst e Holland ottengono risultati simili attraverso fMRI,
confrontando musicisti e non in un compito di analisi della melodia e dellarmonia
(Schmithorst e Holland, 2003).
In particolare, va sottolineato che le aree parietali inferiori (giro angolare, IPS, giro
sopramarginale) attivate bilateralmente in questi compiti solo nei musicisti, svolgono
solitamente compiti multimodali: uditivi, appunto, ma anche visivi (fanno parte della via
dorsale, detta via where, dellanalisi visiva corticale), attentivi (occupandosi dello
sganciamento dellattenzione). Lutilizzo contemporaneo e limplementazione di strategie
multisensoriali per lanalisi della scena uditiva potrebbe spiegare le prestazioni pi elevate
dei professionisti (Lappe et al., 2008).

Figura 8. Differenze di concentrazione di materia bianca tra STG e MTG in due soggetti con
orecchio assoluto (figure A e B) e un soggetto normale (figura C). Tratto da Loui et al., 2011.

Negli anni recenti ci si concentrati sempre pi sullanalisi della materia bianca e del
corpo calloso nei musicisti (Schlaug et al., 1995; Schlaug et al., 2005; Schlaug et al., 2009;
Hyde et al., 2009; Loui et al., 2011), dimostrando il valore chiave della connettivit neurale
in un processo cognitivo complesso come lascolto analitico della musica, ed estendendo
la possibilit di ricercare esempi di neuroplasticit in aree non corticali.
Unaltra area di recente indagata il cervelletto: si difatti scoperto, sia attraverso studi di
neuroimmagine (Schlaug, 2001; Schlaug et al., 2009), sia attraverso studi di pazienti
cerebellari (Parsons et al., 2009), che questa parte del cervello svolge un ruolo importante
nella codifica della tonalit, oltre che del gi noto ruolo di feedback motorio fine
nellesecuzione (Schlaug, 2001; Schlaug et al., 2009).
In particolare lo studio di Parsons ha mostrato come il deficit nel riconoscimento delle
tonalit fosse direttamente correlato al livello di compromissione funzionale dei suoi
pazienti, tutti affetti da atassia cerebellare (Parsons et al., 2009).
Tutti questi dati confermano un sostanziale vantaggio dei musicisti nei compiti uditivi, ma
non solo: suggeriscono, infatti, vantaggi anche in aree cognitive non correlate. Meno
chiaro come questo avvenga, in che misura e quanto sia frutto di una semplice
disposizione naturale e cosa sia dato dallo sviluppo neuro plastico, soprattutto
nellinfanzia, di abilit percettive e cognitive sopra la media (Schellenberg in Peretz e
Zatorre, 2001; Schn et al., 2007).

3.3. Orientamento visuospaziale e audiospaziale.


Un altro genere di abilit che lesperienza in campo musicale sviluppa in modo sensibile,
anche se meno palesi rispetto allabilit manuale, tuttavia di altrettanto intuitiva
spiegazione, sono le abilit che riguardano lorientamento nello spazio sia di stimoli uditivi
sia di stimoli visivi. La maturazione delle une e delle altre ha una spiegazione chiara
immedesimandosi nella prestazione di musicisti professionisti, come per esempio
immergendosi tra i diversi componenti di unorchestra e il direttore della stessa: questi
dovr controllare simultaneamente il ritmo, gli attacchi e il tono di ognuno dei componenti,
sapendo distinguere i movimenti di ogni sezione dellemisfero di fronte a lui e addirittura
ascoltando il singolo strumento nella melodia complessiva; i primi, invece, dovranno con
un colpo docchio controllare la propria prestazione manuale sullo strumento, il leggio,
magari per sfogliare lo spartito in una breve pausa prima di ricominciare a suonare, e i

movimenti del direttore, prestando sempre attenzione agli ordini della bacchetta.
Ci si trova quindi di fronte a una quantit di informazioni percettive che solo lesperienza
pu rendere comprensibile e che porta a ricercare anche in questo caso un correlato
neurale di questa expertise (Sergent et al., 1992; Mnte et al. 2003).
Le due abilit che i professionisti sviluppano negli anni, permettendo loro di affrontare una
simile mole di informazioni, sono la lettura a prima vista dello spartito, chiamato spesso
con il termine inglese sight-reading, e lidentificazione e localizzazione nello spazio delle
sorgenti sonore, oggetto di importanti studi neuroscientifici nellultimo decennio.

3.3.1. LOCALIZZAZIONE SPAZIALE DEI SUONI E CAPACIT ATTENTIVE


Partendo dagli studi di neuroimmagine sui direttori dorchestra e non solo, Mnte ha dato il
maggior contributo nellidentificazione delle abilit audiospaziali nei musicisti professionisti
(Mnte et al., 2001, Mnte et al., 2003).
Mnte ha utilizzato un paradigma di ricerca gi utilizzato per dimostrare abilit superiori
nella localizzazione dei suoni nei ciechi, applicandolo a un gruppo di direttori dorchestra,
un gruppo di pianisti e un gruppo di soggetti normali. Stimoli percettivamente neutri (
stato utilizzato il cosiddetto suono rosa) e stimoli di frequenze alterate venivano emessi da
sei altoparlanti localizzati su un quarto di circonferenza attorno al soggetto: il compito
consisteva nel prestare attenzione a due soli altoparlanti, quelli alle due estremit
dellarco, e di segnalare lapparizione degli stimoli bersaglio. Mnte registr unattivit
neurale differente nellascolto periferico dei direttori rispetto ai pianisti e ai soggetti
inesperti: i direttori dimostravano capacit attentive meglio distribuite verso la periferia del
campo uditivo, neurologicamente rappresentate da ERP negativi di ampiezza
significativamente maggiore nellascolto degli stimoli bersaglio, sia centrali che periferici,
oltre, ovviamente, a un minor numero di falsi positivi nel test (Mnte et al., 2001).
Queste differenze elettrofisiologiche nei musicisti sembrano essere fortemente correlate al
tipo di preparazione necessaria: in un articolo seguente (Mnte et al., 2003), oltre a citare
la propria ricerca sui direttori dorchestra, Mnte e i suoi colleghi riportavano uno studio
eseguito con la partecipazione di alcuni batteristi, flautisti e non strumentisti. I soggetti
ascoltavano passivamente una sequenza ritmica nella quale alcuni colpi ritardavano di 80
ms, scatenando i segnali MMN che venivano registrati: i musicisti avevano potenziali

maggiori dei soggetti normali e i batteristi ne avevano di significativamente maggiori


rispetto ai flautisti, dimostrando leffetto dellallenamento uditivo continuo.

3.3.2. SIGHT-READING
Con il termine sight-reading, che potremmo tradurre semplicemente come lettura a prima
vista, si intende la capacit di ricevere ed elaborare informazioni visive (in questo caso, la
lettura dello spartito) da stimoli di breve o brevissima durata: il musicista professionista
deve essere in grado di riconoscere melodie e fraseggi anche da uno sguardo di pochi
decimi di secondo al pentagramma.
Sergent e colleghi hanno studiato lattivazione corticale nei pianisti mentre questi
suonavano leggendo lo spartito (Sergent et al., 1992). stata registrata lattivit corticale
in sette prove differenti e con un metodo sottrattivo stata isolata lattivazione dovuta alla
lettura dello spartito: i risultati hanno suggerito una forte attivazione bilaterale del giro
sopramarginale superiore e nel lobulo parietale.
Schn e colleghi (Schn et al., 2002), invece, hanno chiesto ai loro pianisti lesecuzione di
un brano presentato con tre notazioni diverse: la notazione classica su pentagramma, una
in forma verbale (do, re, mi, fa, sol) e una in forma numerica (1, 2, 3, 4, 5). Attraverso una
condizione di controllo stata esaminata lattivazione in condizioni di sight-reading,
riscontrando (anche se in maniera pi precisa) sostanzialmente le stesse aree di
attivazione che trovarono Sergent e colleghi, in tutte le tre condizioni di lettura: il giro
parietale superiore, il giro angolare e il giro sopramarginale bilaterali. Queste aree quindi
avrebbero funzioni di localizzazione degli stimoli visivi e darebbero un feedback al
movimento delle mani. In questo compito svolgerebbe un ruolo cruciale il solco
intraparietale (IPS) che si occupa sia di controllare il movimento delle mani, sia del
mantenimento dellattenzione visuospaziale (Schn et al., 2002).
Anche in questo caso i dati ci forniscono limmagine di un cervello che elabora
contemporaneamente pi stimoli in aree corticali con funzioni diverse e trae beneficio
dallincrocio di queste analisi simultanee.

3.3.3 ABILIT VISUOSPAZIALI SUPERIORI


In due recenti studi morfometrici, Sluming e collaboratori sono partiti dagli studi sopracitati
e hanno teorizzato limportanza delle funzioni non verbali dellArea di Broca nelle abilit di

orientamento spaziale dei musicisti (Sluming et al., 2002; Sluming et al., 2007).
I musicisti, paragonati ad individui simili a loro per capacit verbali, et e sesso, mostrano
un ispessimento della materia grigia nellArea di Broca, spiegabile sia in termini di
maggiore sviluppo nellinfanzia, sia di miglior mantenimento nellet adulta.
Questo dato, inoltre, correla in modo significativo con le abilit di sight-reading (Sluming et
al., 2002), ma anche con la capacit di ruotare mentalmente le immagini nelle tre
dimensioni nel 3DMR task (3 Dimension Mental Rotation), ottenendo al primo approccio
risultati paragonabili solo a individui esperti in questo particolare test (Sluming et al.,
2007).
Questo secondo aspetto va meglio interpretato: noto, infatti, che lArea di Broca svolga
molte funzioni extralinguistiche, per esempio contribuendo alla comprensione degli stimoli
complessi e allordinamento delle azioni, in una maniera che stata definita sintattica per
le sue similarit con il linguaggio parlato.
Nellesperimento di Sluming e colleghi, i direttori dorchestra mostravano unattivazione di
questarea che non veniva registrata negli altri individui: stato quindi ipotizzato che nei
direttori dorchestra si sviluppi una maggiore connettivit tra questarea e il circuito neurale
visuospaziale e che larea di Broca fornisca il suo contributo sintattico non linguistico
allorganizzazione dello stimolo visivo (Sluming et al., 2007).
Il circuito di elaborazione visuospaziale formato da aree quali la corteccia parietale
inferiore di entrambi gli emisferi e il corpo calloso, il cui contributo gi stato
precedentemente sottolineato per altre abilit nei musicisti in questo elaborato: si pu
dunque ipotizzare che la spiegazione di prestazioni visuospaziali cos elevate derivi dalla
contemporanea specializzazione delle aree corticali che intervengono sia in ambito
musicale che in ambito visuospaziale e dalla implementazione di questi diversi contributi
attraverso la migliore connettivit del cervello allenato.

3.4. Abilit linguistiche correlate allesperienza in musica.


Il musicista svilupperebbe lArea di Broca e le regioni ad essa connesse fin dallinfanzia,
traendo quindi benefici in diversi ambiti cognitivi, grazie alla fitta rete di connessioni neurali
che attraversano questarea della corteccia e che la connettono ad aree con diverse
funzioni cognitive attraverso tutta la corteccia.

Tutte queste ricerche mostrano esempi di neuroplasticit del cervello umano in relazione
alle esperienze vissute nel tempo, in particolare nellinfanzia.
Con studi longitudinali, stato dimostrato come questo incremento nello sviluppo delle
aree corticali preposte allattivit musicale non solo influenzi le performance musicali, ma
possa contribuire a migliori
connessioni interemesferiche e
intraemisferiche tra aree
diverse e che inoltre lattivit
musicale rallenti il naturale
decadimento delle capacit
cerebrali (Sluming et al., 2002;
Wan e Schlaug, 2010).
Lo stesso studio di Sluming e
colleghi, riscontrando non solo
volumi aumentati nelle aree di
Broca dei musicisti, ma anche
una minore perdita di materia
grigia nonostante il passare
degli anni, hanno ipotizzato il
valore cruciale di questa area
in tutti gli aspetti della
prestazione musicale e hanno
inoltre suggerito lutilit di
studiare la prestazione dei
Figura 9. Lasterisco indica una differenza statisticamente
significativa nei risultati. Tratto da Moreno et al., 2009.

musicisti nei test linguistici e in


altri compiti cognitivi che

possano coinvolgere anche questa area corticale (Sluming et al., 2002).


Molte ricerche hanno studiato le abilit linguistiche nei musicisti in questi anni. Magne,
Schn e Besson hanno testato labilit di riconoscere alterazioni di tonalit nel linguaggio
in bambini di soli 8 anni (Magne et al., 2006). Ai bambini venivano fatti ascoltare 6 stimoli
diversi: frasi e brevi melodie la cui ultima nota o sillaba poteva essere congrua, lievemente
incongrua o fortemente incongrua, in base al livello di intervento operato a computer sulla

sua tonalit. I bambini che studiavano musica non solo discriminavano meglio gli stimoli
lievemente alterati di entrambi i tipi, ma dalla registrazione degli ERP si evinceva
unattivazione corticale del tutto assente nei bambini normali.
Gli stessi autori hanno ottenuto risultati simili con gli adulti (Magne et al., 2006).
Il vantaggio mostrato dai musicisti nellanalisi della tonalit del linguaggio stato messo in
correlazione con la prosodia della lingua di appartenenza, anche in base al fatto che chi
studia musica sembra pi abile nellacquisire una seconda lingua.
Il legame tra abilit musicali e abilit linguistiche stato ipotizzato anche per via inversa: in
test simili a quello sopra illustrato, i bambini dislessici hanno mostrato difficolt nel
riconoscere alterazioni di tonalit anche fortemente incongrue con la normale cadenza del
linguaggio (Besson et al., 2007).
In uno studio longitudinale successivo (Moreno et al., 2009), oltre allanalisi prosodica
stata indagata labilit nella lettura. I bambini, sempre di otto anni, nessuno dei quali aveva
studiato musica prima di allora, erano stati divisi in due gruppi casualmente e seguiti per 6
mesi: un gruppo aveva studiato musica, laltro pittura. I primi mostrarono abilit di lettura e
di discriminazione delle alterazioni tonali nei discorsi maggiori dei secondi.
I bambini quindi traevano questi benefici direttamente dallo studio di musica e non
indifferentemente dallimpegno in unattivit artistica (Moreno et al., 2009).
In un terzo e ultimo studio (Chobert et al., 2011) bambini francesi di 9 anni con esperienza
musicale sono stati confrontati con coetanei inesperti nellanalisi di singole sillabe: queste
venivano presentate sia normali che alterate per frequenza, durata o VOT, che coincide
con lesplosivit della consonante, la dimensione acustica che permette di distinguere la
consonante /BA/ (invariata) e la consonante /PA/. Gli stimoli bersaglio erano sillabe /BA/ di
diverse tonalit o lunghezza o sillabe spurie, la cui consonante iniziale tende pi a una /P/.
I dati riferiscono segnali MMN maggiori per i bambini musicisti in situazioni di ascolto
distratto e maggiore facilit di riconoscimento degli stimoli bersaglio nellascolto attento.
Questi dati mostrano dirette connessioni tra lo studio di uno strumento e lo sviluppo di aree
corticali frontali, quali larea di Broca, che avvantaggiano i musicisti in compiti linguistici.
Manca ancora il giusto approfondimento dei rapporti tra parola e nota, ma c tuttavia un
sostanziale accordo nel ritenere che la musica sia un fattore favorevole per lo sviluppo
delle abilit linguistiche (Schn et al., 2007; Besson et al., 2011).

4. Conclusioni.
In questi anni di ricerche, la musica si dimostrata unattivit altamente correlata a
fenomeni di neuroplasticit, strutturale e funzionale. I vantaggi di questo sviluppo cerebrale
sembrano potersi estendere, oltre al campo dellascolto e della pratica di uno strumento, in
ambiti cognitivi differenti e variegati, come abbiamo visto per le abilit linguistiche, anche
se i rapporti che questi abbiano con le abilit musicali sono lungi dallessere chiariti
(Chobert et al., 2011). Ricerche recenti (Besson et al., 2011; Trost et al., 2011) stanno
addirittura indagando il rapporto che le abilit musicali e quelle cognitive ad esse legate
possano avere con il mondo emotivo dellindividuo e come questi interagiscano tra loro.
A livello clinico, le potenzialit neuroplastiche della musica fanno ipotizzare che se ne
possa fare un utilizzo sempre pi diffuso nelle terapie di alcuni pazienti neurologici e per
prevenire disordini della crescita (Wan e Schlaug, 2010). I primi dati ne supportano il
valore positivo in entrambi gli ambiti.
Le prospettive di ricerca sembrano pressoch infinite e i temi da analizzare per le
neuroscienze, sia da un punto di vista clinico che da uno cognitivo, si stanno moltiplicando
con il progredire delle scoperte e delle teorie presenti.

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