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RELAZIONI INTERNAZIONALI

bene precisare che lambito delle relazioni internazionale riguarda unit politiche indipendenti
abbastanza coese da distinguere tra relazioni al proprio interno e relazioni tra di loro (allesterno).
La distinzione tra ordine interno e sistema internazionale ha cominciato a imporsi proprio con il
superamento dellet medievale e linstaurazione del sistema di stato moderno. La disciplina delle
RI si sviluppata intorno agli anni 20 del ventesimo secolo in Inghilterra per poi imporsi
definitivamente nel periodo della Guerra Fredda.

IL SISTEMA POLITICO INTERNAZIONALE


MODERNO
I due assunti di partenza quando si parla del SI moderno sono:
1) Il mondo attuale un sistema politico, economico e giuridico unitario tenuto insieme da una
rete sempre pi fitta di interdipendenze ;
2) Gli attori principali di questo sistema siano soprattutto gli stati seppur esistono altri tipi di
attori come le organizzazioni internazionali o i singoli individui;
il fatto che si pensi al SI come ad una politica interstatale un fenomeno abbastanza recente,
cominciato a grandi linee con la fine del medioevo e instauratosi definitivamente nel corso del XIX
secolo. Il passaggio cruciale di questo fenomeno stata la Pace di Westfalia (1648), che sancisce
latto di nascita del SI moderno (tanto da designarlo come sistema westfaliano).
La caratteristica principale del SI moderno lassenza di un governo globale. In questo senso, si
trova anche la prima grande differenza con lordinamento interno degli stati, dove c unagenzia
che detiene il monopolio della forza legittima. Nel SI lassenza di tale agenzia, situazione
denominata come anarchia internazionale, condanna tutti gli stati a fare da s. Una situazione
priva di governo richiama lo stato di natura di Hobbes, dove tutti i soggetti sono condannati alla
perpetua autodifesa e alla costante preoccupazione delle intenzioni degli altri soggetti. Questa
concezione ci porta a considerare unaltra questione, ovvero la sicurezza. Anche quando nessuno
dei soggetti ha intenzione di attaccare gli altri, il timore delle rispettive intenzioni porta ad
accumulare difese preventive da parte di tutti. Quindi, lincremento di potenza da parte di uno stato,
porta allincremento degli altri. Il sistema di sospetto reciproco porta al dilemma della sicurezza
internazionale.
Per rispondere alle questioni principali del SI si sono delineato tre grandi tradizioni di pensiero
allinterno delle RI:
1) Hobbesiana: basata sui diversi modi di organizzare la forza. In anarchia (ovvero lassenza di
unagenzia monopolistica della forza) ognuno fa affidamento sulla proprio forza e si
premunisce contro gli altri. Questa scuola di pensiero basata sullanalogia di anarchia I e
tutti gli altri tipi di anarchia.
2) Groziana: basata sul tentativo di limitare la violenza attraverso la creazione di istituzioni
internazionali. Ogni sistema sociale, compreso il SI, deve realizzare i suoi obbiettivi primari
(che Bull individua come: A) limitazione della violenza, B) mantenimento delle promesse e
C) stabilizzazione del possesso) e per fare ci deve vengono istituite delle istituzioni
necessarie al mantenimento dellordine e al gestire i cambiamenti.
3) Kantiana: basata sulla liberazione dalla guerra per uscire dal sistema anarchico. (progetto
attuale delle Relazioni Internazionali Interstatali).
La peculiarit del SI moderno rispecchia forme diverse di anarchia rispetto a quella delineata da
Hobbes. Esistono, infatti, tre differenze fondamentali:
I.
Innanzitutto gli stati non sono tutti uguali fra loro, ma esiste una certa diseguaglianza che
crea stati forti e stati deboli. Tali differenze creano di per se un valido sostituto del governo.
II.
Nel SI gli stati hanno continue relazioni e interdipendenze che fanno in modo da annullare le
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III.

possibilit di isolamento internazionale ( anarchia di Hobbes - gli individui hanno poche


possibilit di relazionarsi).
Nel SI lequiparazione tra interno e internazionale non si esaurisce nel potere, ma anche nel
diritto e nella sovranit.

Il SI come lo conosciamo oggi tuttavia, unanomalia storica. Nelle precedenti esperienza


internazionali infatti, non cerano gli stati, tutti titolari di sovranit e di uguali diritti, ma esistevano
entit ben diverse (imperi, citt-stato ecc.) le une dalle altre che mantenevano relazioni (come nel
sistema feudale). Il SI attuale ha dele caratteristiche del tutto nuove rispetto ai sistemi precedenti A)
sistema diplomatico istituzionalizzato, B) riconoscimento, quanto meno in via formale, delle Grandi
Potenze e C) il diritto internazionale.
bene tenere presente per, unimportante considerazione: il SI attuale nato e si sviluppato
sulla consuetudine europee, rende il SI molto fragile.
Nella politica internazionale non si sempre presentato un panorama fatto solo di stati. Al contrario
nel corso dellaffermazione del SI si assiste ad uno spostamento delloscillazione tra SI omogenei a
SI eterogenei.
Attualmente viene evidenziato un tendenziale logoramento del SI, tanto da considerarlo come un
sistema ibrido. Se i precedenti sistemi peccavano nellinstaurazione, questa volta il problema da
cercarsi nelle difficolt di adattamento al mutevole sistema mondiale delle RI. La crisi di crescita si
manifesta soprattutto in due settori: quello delleffettivit (gli stati tendono a cedere le proprie
prerogative sia sul piano delle iniziative private nazionali sia su quello delle istituzioni
internazionali e sovranazionali) e quello della legittimit (tendenziale cosmopolitismo globale che
porta un decentramento del soggetto: dallo stato allindividuo).
LA DISCIPLINA CONTEMPORANEA DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI
Le due eccezionalit delle RI contemporanee riguardano:
a) La centralit degli stati e lanarchia come punto di partenza della quasi totalit delle teorie di
RI;
b) La tendenza nel privilegiare le vicende a essa contemporanee del sistema bipolare prima, e
unipolare poi;
c) Protagonismo americano nellambito delle RI a partire dagli anni 60 fino ad oggi;
Nel periodo successivo alla WW1 la disciplina delle RI ottiene maggior rilievo anche in ambito
accademico. Da quel momento, si sono succedute varie correnti di pensiero, che affrontano la
materia delle RI da punti di vista differenti:
1. IDEALISMO (tra le 2 guerre) Le politiche I del periodo erano tese alla liberazione
definitiva dalla guerra e dallanarchia. Prima dellidealismo la guerra viene vista come
intelligenza politica, ma alla luce della devastazione della Grande Guerra, si comincia a
pensare ad una societ priva di guerra,creando le prime organizzazioni internazionali per la
tutela della pace. Lidealismo si muove principalmente su quelle che sono ritenute le cause
scatenanti delle guerre:
1. La frammentazione e la particolarizzazione delle RPI, in netta opposizione alla fitta
rete di relazioni e interdipendenze economiche tra gli stati.
2. La struttura anarchica del SI e le conseguenze che ne derivano (diplomazia segreta,
equilibrio di potenza, corsa agli armamenti, meccanismi di sicurezza collettiva).
3. Natura belligerante di alcuni stati, che sarebbero potuti diventare pi liberali.
2. REALISMO (tra la 2 GM e la GF) visione pessimista della natura umana corroborata
dal fallimento delle istituzioni internazionali per la tutela della pace. La guerra un male
inestirpabile, quindi il problema non pi come evitarla ma come combatterla. Il realismo
affida alla guerra e alla sua minaccia la tutela della pace. Per cui necessaria una guerra
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preventiva o una situazione di minaccia . Le soluzioni proposte dal realismo sono 2:


1. Dare maggiore importanza alle relazioni militari tra gli stati.
2. Recuperare la prassi della sicurezza nazionale a scapito di quella collettiva, proprio
perch la seconda non si rivelata efficace.
3. Ridistribuzione oggettiva del potere.
3. NEOMARXISMO (anni 60 -70) questa corrente nasce con il disincanto riguardo al
fatto che nulla era cambiato. una teoria trasversale tra le prime due: come nellidealismo,
riconosce grande importanza alle relazioni economiche tra gli stati e, come il realismo
riconosce la guerra come un male inestirpabile e da dover combattere allo stesso modo. Il
periodo della decolonizzazione evidenzia come la riproduzione su scala globale del sistema
capitalistico porti ad uno sfruttamento dei paesi pi poveri. (asse Nord vs Sud e non pi
Ovest vs Est). La soluzione proposta dal neomarxismo la rivoluzione. Attraverso le
rivoluzioni internazionali ci si pu sganciare dallinterdipendenza tra gli stati, che di fatto
produce diseguaglianza.
4. ISTITUZIONALISMO LIBERLE (anni 70) le preoccupazioni internazionali non
riguardano pi la guerra e la sicurezza militare, ma il mantenimento della fitta rete di
interdipendenze internazionali che si erano venute a creare sotto la guida degli USA (timori
dovuti ai vari scandali che avevano colpito lAmerica di quegli anni: Watergate, Bretton
Woods, sconfitta in Vietnam) . Secondo i liberali, tali relazioni avrebbero da sole favorito la
cooperazione tra gli stati.
5. COSTRUTTIVISMO (anni 90 ) spostamento del focus sulle norme sociali o idee
condivise come fonte di riduzione delle discordie internazionali. C una rivalutazione del
ruolo delle istituzioni internazionali come attori I insieme agli stati.

EQUILIBRIO DI POTENZA (Balance of power)


Il concetto di equilibrio di potenza non appartiene strettamente alle RI, ma da sempre stato
presente nel panorama culturale della politica. Essendo un concetto ampliamente utilizzato in vari
contesti, Wight evidenzia i 9 principali significati che lespressione assume nella PI:
1. uguale distribuzione di potenza;
2. principio di distribuzione egualitaria della potenza;
3. qualsiasi distribuzione di potenza esistente;
4. rafforzamento delel grandi potenze a spese dei paesi deboli;
5. la propria potenza dovrebbe avere un margine di potenza superiore per prevenire quella
altrui;
6. vantaggio nella distribuzione di potenza;
7. ruolo speciale nel conservare unuguale distribuzione di potenza;
8. preponderanza;
9. tendenza politica nel produrre unuguale distribuzione di potenza;
la definizione pi adatta di equilibrio di potenza quella secondo cui nel SI nessun attore, da solo o
tramite alleanza, pu dominare tutti gli altri. Questa situazione richiede due condizioni:
a) equilibrio: la distribuzione deve essere distribuita, non necessariamente in modo equo, ma in
modo che la potenza pi forte non sia in grado di distruggere gli altri attori.
b) Comportamento degli attori: deve prevalere una tendenza al bilanciamento (balancing),
dove gli attori si alleano con i pi deboli per contrastare gli attori pi forti e non viceversa
(badwagoning).
Gli effetti di una situazione di bilanciamento possono essere: pluralit del sistema internazionale e
anarchia (conseguenza della mancata imposizione di un attore sugli altri), sopravvivenza degli stati
pi deboli (grazie alla facilitazione nel trovare alleati in caso di minaccia, minore probabilit di
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guerra (situazione di mutua deterrenza in mancanza di dominatori).


Secondo Bobbio, la teoria dellequilibrio di potenza non una soluzione per la fine delle ostilit, ma
una teoria della continuazione dello stato di tregua dalla guerra.
EQUILIBRIO DI POTENZA E REALISMO il realismo influenza la teoria dellequilibrio di
potenza per 3 motivi:
1) Visione ciclica della storia: PI fatta di leggi eterne ed immutabili che, quindi, ricorrono in
diverse epoche storiche e in diverse aree geografiche.
2) I 3 cardini del realismo: 1) stato come attore principale, 2) anarchia del SI e 3) enfasi sulle
questione della sicurezza.
3) Equilibrio basato su fattori oggettivi e sugli interessi degli stati.
Nel realismo, riguardo allequilibrio di potenza ci sono due diversi punti di vista:
a) Realismo Classico (2 dopoguerra): secondo il quale lequilibrio emerge in modo volontario,
perch gli stati vogliono accumulare potenza. Kaplan (1. Accumulare potenza
pacificamente, 2. Opposizione agli stati che tentano il dominio e 3. Reintegrazione degli
stati sconfitti in vista di possibili future coalizioni).
b) Realismo Strutturale o Neorealismo: secondo il quale lequilibrio emerge spontaneamente a
causa di logiche sistemiche che prescindono gli stati.
Waltz: il SI composto da stati (unit) e dalla struttura in cui essi operano. La struttura
politica a sua volta formata da 3 elementi:
1. Principio ordinatore (anarchico o gerarchico).
2. Differenziazione funzionale tra le unit.
3. Distribuzione di capacit tra le unit.
Sappiamo che il principio ordinatore del SI attuale anarchico (1) e non c differenziazione
funzionale (tutti gli stati devono pensare alla propria sicurezza) (2). Lunica variante la
distribuzione di potenza: la variazione nella dotazione delle risorse tra gli stati (3)
bilanciata dalla naturale tendenza degli stati allequilibrio. Se la tendenza fosse contraria
(badwagoning), gli stati rischierebbero di non sopravvivere sotto gli abusi delle potenze pi
forti.
Secondo Waltz, le teorie precedenti (definite riduzioniste) riducono lesito complessivo a
una caratteristica delle unit. ?
una teoria opposta alla teoria dellequilibrio quella del Dominio che si basa
principalmente sul disequilibrio, sostenendo che un cambiamento iniziale possa essere
amplificato fino a trasformare il sistema stesso.
TIPI E FORME DI EQULIBRIO
Bipolarismo e multipolarismo
a) Realismo classico: preferisce le configurazioni multipolari e sottolinea il legame tra il
meccanismo dellequilibrio di potenza e un elevato numero di attori che produce un maggior
numero di possibilit di trovare alleati potenti. Secondo il realismo classico pi facile
limitare lespansione con pi risorse. Con pi nemici a cui badare lo stato belligerante
dissuaso dal tentare la guerra. In questo caso la flessibilit degli allineamenti offre agli stati
una certa rigidit nelle strategie.
b) Realismo strutturale: preferisce le configurazioni bipolari, perch concentrano la loro
attenzione sulla minaccia che pu derivare solo dallaltra potenza. C una minor
dispersione delle risorse (minor numero di attori coinvolti), perch ad unazione corrisponde
una reazione dellavversario. In questo caso la rigidit degli allineamenti offre agli stati una
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flessibilit nelle strategie. Nel bipolarismo non c rischio di backpassing, ovvero il rischio
di abbandono da parte degli alleati e di chaingangin, ovvero la tendenza ad incatenarsi
allalleato anche in questioni di minor rilevanza, trovandosi a dover fronteggiare
problematiche non direttamente pertinenti e, di conseguenza rischiando di allargare il
conflitto. Questi due effetti del multipolarismo creano, secondo Snyder, il dilemma della
sicurezza delle alleanze.
La semplicit della teoria dellequilibrio di potenza spiega con accortezza molti fenomeni storici,
ma non le eccezioni (alleanza degli stati con USA dopo la WW2). Walt introduce una teoria pi
complessa, non basata sulla variabile della potenza ma su quella della minaccia. La teoria
dellequilibrio di minaccia prevede che gli stati tendano ad allearsi contro quello pi minaccioso. La
minaccia una variabile complessa formata da quattro categorie:
1. La potenza aggregata: capacit a disposizione di uno stato.
2. La tecnologia militare: capacit che possono trasformarsi in potere offensivo
3. La geografia: posizione geopolitica il potere tanto pi minaccioso quanto pi n vicino
4. Le intenzioni
Le critiche a questa teoria non mancano. Si pensa infatti che le intenzioni degli stati siano piuttosto
aleatorie, nel senso che potrebbero anche essere fraintese dagli avversari.
Una soluzione potrebbe essere il considerare sia lequilibrio di potenza sia le preferenze degli stati,
guardando quindi, anche le variabili interne allo stato. La classica distinzione che si fa tra gli stati in
questo filone riguarda il conservatorismo e il revisionismo (interessate al cambiamento, anche
violento, del SI) degli stati. Secondo questa visione i meccanismi di bilanciamento si concentrano
contro gli stati revisionisti. Aron classifica cos, SI omogenei,dove le visioni politiche e le ideologia
sono tendenzialmente conservatrici ed eterogenei, dove al contrario le visioni sono diverse da attore
ad attore. I sistemi eterogenei, presentano al loro interno attori in disaccordo con il SI
contemporaneo e vorranno rivoluzionarlo, per cui questi SI sono ritenuti pi instabili.
Alcuni studiosi recuperando questa visione, hanno aggiunto alcuni elementi. Secondo il realismo
difensivo il meccanismo dellequilibrio gi un sufficiente deterrente per la maggior parte degli
stati poich il loro obbiettivo la massimizzazione della sicurezza, e si accontentano quindi quando
si raggiunge un livello di sicurezza ragionevole. Solo alcuni stati vogliono invece massimizzare il
loro potere, per cui lequilibrio non funziona pi da deterrente. Snyder, esponente del realismo
neoclassico studia il fenomeno della sovra espansione, ovvero il fatto che alcuni stati tendano a
sviluppare politiche spiccatamente pi aggressive, riprendendo la suddivisioni di Gerschenkron tra
stati industrializzatori precoci, meno propensi alla guerra e stati industrializzatori tardivi, che
cadono pi facilmente nelle mani di interessi specializzati che li rendono pi aggressivi.
Schweller considera le intenzioni degli stati fondamentali, perch gli stati revisionisti difficilmente
si alleeranno con i conservatori. Suddivide gli stati in 4 tipi:
1. Difensori dello status quo;
2. Difensori dello status quo ma deboli;
3. Difensori del revisionismo;
4. Opportunisti del revisionismo;
lequilibrio dipende dalla presenza sufficiente dei primi due vs gli ultimi due. Inoltre Schweller
introduce unaltra variabile: la capacit estrattiva, che dipende dal grado di consenso riscosso
nelle elit politiche al proprio interno, dal grado di coesione interna e dalla forza delle sue
istituzioni. Quanto pi queste caratteristiche saranno disgregate, tanto pi si crea la possibilit di
underbalancing.
Lo strutturalismo, risponde a tutte queste teorie che gli stati sono sempre e comunque tendenti alla
massimizzazione della potenza e della sicurezza, a causa della situazione di anarchia internazionale.
Mearsheiner convinto che ogni stato cerca sempre una posizione egemonica, per eliminare le
minacce alla sicurezza alla radice. Le potenze conservatrici, quindi, sono in una posizione che non
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gli consente aggressivit.


In generale, la tendenza degli stati comunque quella del bilanciamento, da qualsiasi punto si
guardi la faccenda. La ricerca si sviluppata sulla nozione di potenza come capacit e la sua
distribuzione. Riguardo alla capacit stata elaborata una proposta (correlates of war project)
basata su un indice di potenza (formato da peso demografico, peso economico e peso militare) che
per valido solo per il bipolarismo ma non per lintero SI. Per valutare l intero SI, invece, si
proposto un indice di concentrazione, ovvero il calcolo del grado in cui gli stati sono diversamente
dotati di risorse. Secondo lipotesi massimalista, una distribuzione equilibrata di potenza, riduce la
tendenza alla guerra, mentre secondo lipotesi minimalista la distribuzione equilibrata aumenta la
stabilit del SI (bha!- pag 83 nci capito naminghia)
Alcuni autori sostengono che al contrario di quanto detto finora, la distribuzione equa di potenza,
metta tutti gli attori su un piano di speranza di vincere una guerra e che quindi ci sia pi probabilit
di guerra, mentre in un sistema altamente polarizzato le probabilit siano minori. Bremer, studia le
guerre verificatesi tra il 1816 e il 1965 e nota che le guerre si sono sviluppate maggiormente tra
diadi di stati la cui potenza era simile. Lemke e Kluger affermano che in assenza di parit di potenza
gli attori scelgono di combattere solo guerre minori che producono effetti limitati. Il considerare
per le tendenze nei sistemi diadici non spiega il fenomeno nella totalit del SI.
Le risposte degli stati al fenomeno del bilanciamento sono varie: a) lautorestrizione dellaspirante
egemone (prevede le politiche di bilanciamento), b) politiche di bilanciamento diplomatico nel SI in
risposta al tentativo egemone di un attore, c) formazione di schieramento di bilanciamento in una
guerra generale. In questo senso il bilanciamento viene visto, non come comportamento che ci si
aspetta dagli stati nel SI, ma come una risposta ai tentativi di egemonia. Secondo Schroeder tra il
1648 e il 1945 ci sono state varie strategie di bilanciamento da parte degli stati e le suddivide cos:
a) Hiding nascondersi dalle minacce tramite neutralit o luscita dal conflitto;
b) Trascending risolvere il conflitto I tramite accorgimenti istituzionali basati sul consenso
I o su un accordo formale;
c) Badwagoning schieramento con la potenza pi forte;
Infine, citiamo le critiche alla teoria dellequilibrio. Secondo alcuni, come Cobden lequilibrio
pura illusione perch: non offre precise info sulle potenze che dovrebbero formare lequilibrio, non
fornisce soluzioni relative allaumento della potenza degli stati. La critica pi radicale ritiene che la
teoria dellequilibrio non sia attualizzabile. I fattori che la rendono obsoleta sono la massificazione
della politica, che induce ad una giustificazione pubblica delle scelte di PE (diffusione della
democrazia, che anche un regime pi stabile negli allineamenti); linnovazione tecnologica (ci
sono pi variabili non sempre quantificabili nella categoria della capacit degli stati); il rapporto
con la guerra (guerre pi volente grazie alle nuove tecnologie, portano a prevenire le guerre).
Secondo Ikenberry ci sono tre tipi di ordine nel SI: 1) ordine dellequilibrio (SPONTANEO),
2)ordine costituzionale (NEGOZIATO) e 3) ordine egemonico (IMPOSTO). Linefficacia del
primo, ha spinto verso gli ultimi due.

LEGEMONIA
Egemonia significa supremazia di uno stato che, sulla base di risorse di varia natura, ha una
preminenza sulle altre unit statuali. Designa linfluenza che una grande potenza stabilisce sopra gli
altri stati del sistema che pu variare dalla leadership al dominio. La PI vista come una
successione di ordini imposti al mondo dalla potenza egemone. Una potenza egemone lascia sempre
il posto ad unaltra in ascesa.
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Le teorie sullegemonia si dividono in due grandi filoni: le teorie olistiche o globaliste (teoria
delleconomia-mondo e teoria dei cicli lunghi), che hanno come unit di analisi lintero SI e teorie
riduzioniste (teoria della stabilit egemonica e teoria della transizione di potere), la cui unit di
analisi lo stato e le relazioni con gli altri stati.
Tutte le teorie dellegemonia sono accomunate dallidea di fondo che la stabilit del SI dipenda da
una concentrazione di potenza, cio da una distribuzione diseguale ma ottimale della potenza nel
sistema. Le teorie dellegemonia provengono principalmente dalla corrente realista. Secondo i
realisti che si rifanno alla teoria dellequilibrio il problema principale rappresentato dallevitare
che si produca legemonia di uno stato, per cui il mantenimento dellequilibrio il mezzo per
realizzarlo. Ogni tentativo egemonico finisce per rafforzare lequilibrio. I teorici dellegemonia
invece, ritengono che lordine derivi dalla concentrazione di potere e che quando questa sia assente
si generi disordine nellSI.
Un concetto fondamentale per comprendere legemonia quello di autorit, ovvero un potere
ritenuto legittimo. Le relazioni tra stati sono di carattere autoritario.
Le egemonie non sono tutte uguali, infatti, si dividono in leadership benevolenti (il leader fornisce
il bene collettivo della sicurezza) e leadership coercitive (il leader impone la partecipazione all
ordine tramite coercizione). Ovviamente legemonia deve essere basata sia sulla coercizione sia sul
consenso e anche dalla capacit di generare collaborazione tra gli stati.
Aron ritiene che la pace egemonica sia un livello intermedio tra pace imperiale e pace di equilibrio.
La giustificazione del potere egemonico cambiata nel corso degli anni. In special modo oggi si
calcolano alcune variabili come lemergere di un ordine internazionale pi solidaristico e la
globalizzazione.
Ikenberry ha elaborato una teoria evolutiva sulle modalit di sistemazione postbellica, per
analizzare le cause che producono legemonia di alcuni stati. Trova tre principi fondamentali:
1. Le strategie postbelliche sono passate da uno stato di dispersione alla ricerca di equilibrio
tramite un sistema basato su pesi e contrappesi, a causa del cambiamento dei modi di
autolimitazione nelluso del potere.
2. Capacit degli stati leader di utilizzare le istituzioni come meccanismi di controllo.
3. Gli ordini costituzionali riducono i dividendi (?????? Pag 103).
Partendo da questi concetti ikenberry individua tre tipi ideali di ordine internazionale: a) equilibrio
di potenza, b) egemonia (della quale esiste anche una variante rappresentata dagli stati liberali che
forma quasi unegemonia benevola) e c) costituzionalismo. Legemonia , quindi un modo per
realizzare lordine. Ikenberry, inoltre, attribuisce fondamentale importanza alle istituzioni nella fase
iniziale di unegemonia.
Il tema del cambiamento e il ruolo del conflitto
Gilpin spiega il tema del cambiamento nella successione egemonica, generato dai conflitti,
combinando il livello di analisi internazionale e quello statale. Il cambiamento secondo Gilpin
articolato su tre livelli:
1. Mutamento dei sistemi, che riguarda la natura degli attori.
2. Il mutamento sistemico, che riguarda il cambiamento nella forma di controllo
ridistribuzione del potere dopo la frattura di quello esistente.
3. Il mutamento di interazione.
Basandosi su 5 assunti fondamentali del cambiamento sistemico (pag 106), ritiene che solo la
potenza egemone pu garantire una certa stabilit del sistema, che per resa difficile dalla
diseguale distribuzione del processo economico e tecnologico che con il passare del tempo produce
un gap tra prestigio e potere potere che essi sono in grado di dispiegare.
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La teoria della transazione del potere muove proprio da questo gap tra rango e capacit. Pi le
capacit sono distribuite equamente, pi la probabilit di guerra alta, mentre la pace meglio
tutelata dallo squilibrio tra nazioni. La pace quindi il risultato di una distribuzione diseguale del
potere, perch quanto pi diseguale, tanto pi scoraggia la tentazione di sfida.
Secondo la teoria del ciclo di potere ogni stato ha un ruolo che riflette il suo potere relativo, le
aspirazioni e la loro accettazione. Quando ruolo e potere vanno fuori sincronia crescono i rischi di
momenti critici causati dalla percezione di disparit del potere. Pi basso il gap tra ruolo e potere
minore sar la probabilit di conflitto.
La teoria dei cicli lunghi sostiene che la guerra egemonica, in particolare quella globale (3
caratteristiche: coinvolgere la potenza leader, partecipazione delle maggiori potenze e guerra di
grandi dimensioni), il motore permanente del mutamento politico e un modo per selezionare la
leadership.
Le risorse dellegemonia: militari, economiche, intellettuali pag 117
Supremazia militare (HARD POWER) la forza militare non ritenuta lunica fonte
sufficiente di egemonia. Secondo le teorie cicliche la potenza marittima in grado di
proiettare il conflitto fino a livello globale consente di dominare leconomia mondiale.
Leadership economica la leadership militare economica rappresenta il focus delle teorie
economia-mondo. Secondo Wallerstein leconomia capitalista attraversa fasi di espansione e
contrazione; la relazione tra cicli economici e di potere sta nel diseguale sviluppo
delleconomia.
Lnfluenza intellettuale (SOFT POWER) fattore di fondamentale importanza la capacit di
influire sulle preferenze e gli interessi degli altri stati, ovvero la capacit di attrarre.
Limiti e alternative allegemonia
Tutte le teorie sullegemonia concordano sul fatto che ogni egemonia temporanea. impossibile,
infatti, conservare nel lungo periodo il monopolio delle capacit tecnologiche ed economiche
allorigine del proprio successo. Una determinazione di fattori interni ed esterni comporta, prima o
poi, una crisi. Legemone, quindi, o attacca lo sfidante o riduce il suo impegno internazionale. Il
fenomeno evidenziato si chiama ipertensione o overstretching del raggio dazione dellegemone.
Secondo la teoria economia- mondo la dispersione dei vantaggi tecnologici genera la perdita del gap
competitivo con gli altri stati, che genera un declino dello stato.
Kindleberger afferma la necessit di uno stabilizzatore affinch il sistema si mantenga stabile. La
stabilit garantita solo quando legemone decide di assumersi i costi necessari per fornire il bene
collettivo, attraverso 5 responsabilit:
Mantenere un mercato relativamente aperto;
Fornire prestiti a lungo termine;
Sostenere il credito durante la crisi;
Gestire la struttura dei tassi di cambio;
Alto grado di coordinamento delle politiche monetarie nazionali;
questi principi rappresentano il concetto di infrastruttura economica internazionale, che comprende:
lassicurazione di un mezzo di scambio internazionale, la garanzia di una sufficiente liquidit, la
capacit di protezione i diritti di propriet fondamentale.
Sul rapporto tra egemonia e cooperazione le ipotesi sono molto dibattute. In generale si individua la
relazione tra egemonia e il grado di apertura economica internazionale. Secondo Lake a economie
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capital intensive corrispondono egemonie liberali, mente a economie labour intensive


corrispondono sitemi imperiali.
Lautore ritiene, inoltre che le teorie sulla stabilit dellegemonia sia composta dalla teoria della
leadership e dalla teoria dellegemonia.
Secondo Keohane, legemonia facilita la cooperazione, mentre la fine dellegemonia genera
conflitto. Lautore ritiene per che legemonia importante per linduzione alla collaborazione ma
non necessaria al fine di ottenerla.

ISTITUZIONI INTERNAZIONALI
Le opinioni sulle istituzioni internazionali sono molto dibattute. C chi ritiene che esse giochino un
ruolo importante nella mediazione della PI e chi invece ne evidenzia la fallacia nellimpedire
effettivamente agli stati che violano le norme internazionali. Trovare una definizione univoca non
semplice, ma si pu innanzi tutto fare una distinzione tra due concetti: organizzazione e istituzione.
Lorganizzazione un gruppo di individui dotato di una struttura formale e orientato verso un
obbiettivo comune, mentre unistituzione un insieme di regole che sfruttano linterazione tra
individui e gruppi, definendo i comportamenti permissibili e quelli vietati. Nel contesto
internazionale, le organizzazioni sono entit materiali composte da personale di vario tipo, che
usano risorse per perseguire obiettivi stabiliti collettivamente dagli stati che le hanno create. Le
istituzioni sono sistemi di regole accettati dai vari stati che stabiliscono come essi devono o non
devono comportarsi gli uni nei confronti degli altri. Le istituzioni possono indicare due insiemi di
categorie differenti: da un lato il termine istituzione si applica allinsieme normativo
consuetudinario e il principio di sovranit, dallaltro designa linsieme delle istituzioni artificiale,
cio non generate dallevoluzione e il consolidamento di pratiche nel corso degli anni (trattati e
accordi internazionali). Anche allinterno di questa categorizzazione il concetto di istituzione non
uniforme. Alcuni studiosi le ritengono insiemi normativi del diritto consuetudinario, altri le
ritengono come atti fondativi progettati. Tra i primi, la Scuola Inglese di Wight, Bull e Buzan, ha
dato un importante contributo. Buzan divide le istituzioni in:
- Istituzioni primarie: che sono generate da processi evolutivi e definiscono gli attori e i loro
comportamenti nel SI.
- Istituzioni secondarie: che sono state create e mantenute dagli stati per la gestione dei loro
rapporti reciproci.
Listituzionalismo funzionalista
Questa corrente nasce intorno agli anni 80 e poggia le basi su due filoni: il funzionalismo e il
neofunzionalismo. Il primo approccio (David Mitrany), ritiene che lo stato abbia dimostrato di non
essere efficiente riguardo alla soddisfazione dei bisogni fondamentali degli individui e che, quindi
doveva essere affiancato a una nuova forma di autorit, ovvero agenzie funzionali che per non
minano la sovranit statale. La percezione dei vantaggi ricavati dalla nascita di nuove forme di
autorit, genera una pace pi duratura. Il secondo approccio afferma lidea che lintegrazione
sovranazionale di un settore di policy generi incentivi per lestensione dellintegrazione in altri
settori (effetto spill-over che pu essere di tipo funzionale, dovuto allinterdipendenza economica o
politico, promosso da elit amministrative ed economiche), la quale viene prodotta da un
progressivo allargamento delle sfere di competenza delle istituzioni regionali a partire dalle attivit
produttive e commerciali. Le critiche a queste dottrine ritengono semplicemente che la
cooperazione tra gli stati sia dovuta allesistenza di una potenza dotata di risorse nettamente
superiori rispetto agli stati.
Listituzionalismo razionalista (Keohane), mira a dimostrare come la cooperazione sia possibile
anche in assenza di un egemone e che le istituzioni internazionali hanno un ruolo importante nella
sua promozione. Lir accetta gran parte degli assunti del realismo ( 1)centralit degli stati nelle RI,
9

2)razionalit strumentale come guida dellazione degli stati, 3) egoismo statale, 4) anarchia
internazionale), ma con lobiettivo di dimostrare che questi assunti sono compatibili con elevati
livelli di cooperazione interstatale. Innanzitutto, si ritiene che le preferenze degli stati siano esogene
rispetto alla teoria (le preferenze sono gi date) e in secondo luogo in materia di cooperazione
internazionale ci sia una logica razionalista, ovvero lesistenza delle istituzioni si spiega sulla base
dei benefici prodotti per gli stati. Per cui attraverso una razionalit strumentale, vengono cercati i
modi migliori per raggiungere lobiettivo della cooperazione. Gli istituzionalisti aggiungono, che le
loro teorie si applicano laddove gli interessi degli stati non coincidono, per cui lesistenza di
unistituzione mediatrice sarebbe vana.
Tra i tipi di preferenze miste si considerano soprattutto:
- I giochi di collaborazione: maggiori benefici in situazione in cui si coopera rispetto a
situazioni in cui nessuno coopera. Per uno stato pu anche trarre maggior vantaggio in cui
lunico a non cooperare lui (esempio emissione dei gas serra). gioco del dilemma del
prigioniero (linteresse individuale a defezionare prevale sullinteresse di collaborare).
- I giochi di coordinamento: gli stati hanno interesse comune a raggiungere un accordo, hanno
idee diverse rispetto ai termini dellaccordo. Questi giochi richiedono, dunque, un processo
di negoziazione. Anche in questo caso linteresse individuale pu prevalere. gioco del
bluff (rifiutare soluzioni che sarebbero vantaggiose rispetto alla non cooperazione). In
questo caso per, i partecipanti, una volta raggiunto laccordo non hanno motivo di non
rispettarlo.
Rispetto alle considerazioni fatte finora, alla base esiste un deficit dellinformazione, al quale
potrebbe rimediare solo unistituzione I, tramite:
a) Diminuzione dellambiguit degli obblighi dei partecipanti;
b) Imporre obblighi si trasparenza e giustificazione agli stati;
c) Delegazione di agenti imparziali per la verifica del rispetto degli accordi;
d) Strutturazione della risposta collettiva e sanzioni in caso di violazione;
e) Assicurazione ai partecipanti di vantaggi futuri derivanti dalla cooperazione, punendo la
defezione;
secondo Fearon gli stati dovrebbero affrontare importanti questioni, come la negoziazione dei
vantaggi e lassicurazione dell efficacia dellaccordo.
[Risultati pag 167]
critiche del realismo: il punto di partenza lidea realista secondo cui la conflittualit tra stati sia
irrisolvibile e che non ci siano interessi comuni tra gli stati. I casi di compatibilit mista sono rari.
La mancata cooperazione non deriva da un deficit dellinformazione ma dallesistenza di interessi
incompatibili. Gli stati non rischiano che stati avversari acquisiscano forza derivante dalla
collaborazione anche se questa producesse vantaggi per se stessi. Quindi che il ruolo delle
istituzioni sia nullo quando gli interessi sono incompatibili (realismo) e anche quando sono
compatibili (istituzionalismo). Quando gli interessi sono misti le istituzioni hanno un grosso valore
(istituzionalismo). Secondo i realisti, gli istituzionalisti guardano solo i guadagni assoluti, senza
tenere i conto quelli relativi.
Unaltra critica realista si riferisce al valore delle istituzioni. Le istituzioni non rappresentano
effettivamente gli interessi degli stati, ma rispecchiano semplicemente i giochi di forza tra essi.
Listituzionalismo costruttivista
Lic ritiene che le istituzioni strutturino, non solo gli incentivi esterni, ma anche gli obiettivi
fondamentali e le stesse identit degli stati, tramite la definizione di modelli culturali di
comportamento appropriato e la promozione visioni del mondo condivise. Le norme internazionali
hanno un impatto causale indipendente sul comportamento degli stati, ma le preferenze di questi
ultimi sono endogene ( da istituz. funzionalista).
Limpatto delle OI avviene tramite socializzazione, attraverso la quale i nuovi attori interiorizzano
le norme fino al punto di darli per scontati.
10

Secondo Wendt bisogna studiare i rapporti costitutivi oltre che ai rapporti causali. La cultura, infatti,
un aspetto essenziale della costituzione degli stati.
La sovranit esiste in funzione delle attivit normative prodotte dalle Istituzioni Internazionali.
Wendt identifica tre livelli di internazionalizzazione delle norme internazionali:
1. Gli attori conoscono la norma, ma obbediscono solo nel caso in cui siano costretti;
[realismo]
2. Gli attori obbediscono alla norma perch nel loro interesse; [istituzionalismo razionalista]
3. Gli attori obbediscono alla norma perch la ritengono legittima; [istituzionalismo
costruttivista] lattore accetta il ruolo che gli stato attribuito dagli altri attori nel
sistema.
La World Polity Theory di Meyer, spiega perch le societ organizzate statualmente, nel mondo
contemporaneo, si assomigliano tutte e perch il cambiamento politico e sociale avviene in modo
simile nei vari paesi del mondo. Molti atteggiamenti degli stati derivano da modelli culturali
diffusi, e tra questi le OI.
Johnston identifica due modelli di socializzazione:
a) Influenza sociale: la conformit ad una norma risulta da benefici (benessere psico, senso di
appartenenza) e sanzioni sociali (esclusione). Queste influenza esercitano un ruolo
fondamentale sugli stati in quanto membri di OI.
b) Persuasione: insieme di atti comunicativi che generano una convergenza di preferenze e
opinioni in assenza di sanzioni materiali o psicologiche. Habermas: presupposti del
dialogo internazionale in un contesto istituzionale. Le forme di comunicazione nei negoziati:
contrattazione e argomentazione.
Contrattazione

Argomentazione

Rispetto allorientamento degli


attori

- orientati al successo.

- orientati alla reciproca


comprensione.

Rispetto alle loro azioni

- minacce e promesse.

- asserzioni condivisibili sui


fatti.

Possibile ruolo dei terzi

- mediatori e garanti.

- autorit morali e tecniche

Rispetto agli esiti

- compromesso che non


identifica un cambiamento delle
preferenze.

- pu portare ad un consenso,
che comporta la trasformazione
delle preferenze.

opinione comune tra gli istituzionalisti costruttivisti, che le OI favoriscano il la diffusione


e la penetrazione di nuovi modi di interpretare la realt.

INTERDIPENDENZA ECONOMICA E POLITICA


INTERNAZIONALE
La teoria che si occupa degli effetti dellinterdipendenza economica sulla politica internazionale
ascrivibile alla corrente liberale. Lo stato visto come uno dei livelli ai quali possibile aggregare
le preferenze degli individui ( realismo gli stati sono gli unici attori). Altri livelli sono
rappresentati dalle OI (sovranazionali), dalle multinazionali (transnazionali), e da agenti
11

subnazionali (importanza delle variabili di politica interna). Inoltre lambiente in cui gli stati si
muovono non sempre anarchico allo stesso modo. Lanarchia non omogenea nel tempo e nello
spazio e le RI non sono solo dominate dalla questione della sicurezza, anzi, la cooperazione tra gli
stati permette gli stessi di concentrarsi su altri settori, specialmente nelleconomia (obiettivo
importante il raggiungimento della ricchezza economica). I liberali vedono una certa evoluzione
storica delle RI, secondo cui la possibilit di progresso porta ad una riduzione delle guerre e dei
conflitti a vantaggio di una cooperazione pi duratura. La pace non pi vista come una tregua, ma
come un obiettivo di stabilit. Le tre principali fonti di liberazione dai conflitti sono: le istituzioni
internazionali, il commercio internazionale e la democratizzazione.Il progresso nelle RI coincide
con la diffusione delle moderne economie industriali di mercato (cominciate nel 700). La
diffusione della ricchezza ha portato gli stati a considerare prima di tutto il benessere economico
rispetto alla supremazia militare. I liberali trovano una certa relazione tra guerra e povert, cosa che
appare meno nei paesi pi stabili [Ricardo e Smith sui benefici del libero commercio se liberato
dalle istituzioni statale porta un benessere per tutti /teoria del vantaggio comparato: la
specializzazione produttiva porta una massimizzazione della potenza].Secondo il liberalismo
commerciale, il successo delleconomia produce pi scambi e quindi una maggiore intensificazione
delle RI.
Interdipendenza economica e politica interna
I processi economici, diversamente da quelli diplomatici e militari, dipendono in larghissima misura
da attori privati (gruppi di interesse), che possono essere influenzati dallo stato in maniera indiretta
e che possono influenzarlo a loro volta. Nel breve periodo il benessere, per non distribuito
uniformemente. Secondo Olson (teoria dellazione collettiva) i gruppi di interesse hanno la facolt
di distorcere la politica commerciale, nel senso che linteresse pi concentrato nei gruppi ristretti,
per cui tenderebbero a prevalere. Unaltra distorsione pu emergere in caso di allineamento dei
gruppi di interesse al fine di controllare meglio le decisioni pubbliche, secondo la logica del log
rolling. La variabile consisterebbe nella salienza delle questioni commerciali nel dibattito pubblico,
che secondo Katzenstein coinciderebbe con la capacit degli stati di resistere alle pressioni dei
gruppi di pressione (stati forti vs stati deboli). Gli stati autocratici riescono invece ad evitare il
dibattito pubblico e possono basare la loro legittimit attraverso la propaganda. Inoltre i gruppi sono
esaltati dallassenza della necessit della maggioranza.
Altra distorsione rappresentata dalla diffusione delle multinazionali, che non possono essere
facilmente controllate, perch sviluppate in pi paesi, oppure possono fare pressioni sui governi
costringendoli ad aprire le economie per il loro insediamento. Secondo l International Political
Economy, le multinazionali hanno addirittura modificato la diplomazia tradizionale che rende
necessario occuparsi anche delle relazioni dei governi con queste ultime e quindi non solo tra
governi e governi.
I neomarxisti si trovano in netta contraddizione con i liberali, anche se il punto centrale di entrambi
i filoni rimangono le relazioni economiche. Le societ sono composte, secondo i neomarxisti, da
classi sociali con interessi contrapposti. Il mercato porta solo allo sfruttamento di una classe e
larricchimento dellaltra. La modernizzazione quindi creerebbe solo altre oppressioni delle classi
deboli. Si giunger, infine, ad un conflitto. A livello internazionale lo schema rimane invariato. Gli
stati forti opprimeranno e sfrutteranno quelli deboli. Non si pu, quindi parlare di interdipendenza,
ma di dipendenza dei paesi ricchi da quelli poveri (teoria della dipendenza). Il sottosviluppo che ne
deriva causato dalla costrizione alla specializzazione in settori poco redditizi.
Altri neomarxisti ritengono che si sia sviluppato un modello a piramide in cui la divisione
gerarchica non varia anche se possono cambiare i paesi che costituiscono le varie fasce
(Wallerstein):
centro avanzato e industrializzato
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semiperiferia (paesi in via di sviluppo)


periferia (terzo mondo sfruttato)
Le conseguenze dellinterdipendenza sulla politica internazionale
Effetti positivi:
- intensificazione delle relazioni commerciali = collaborazione / conflitti
- peso agli individui che induce una maggior enfasi sulle questioni economiche
- Pace commerciale (scuola di Manchester):
1 Il commercio modifica gli incentivi degli stati gli stati riescono a ottenere i
prodotti di cui necessitano senza combattere.
2 I benefici economici diventano incentivo per favorire la pace.
3 Riduzione dei pregiudizi in termini sociali (liberalismo sociale) si tende a guarda
le somiglianze piuttosto che le differenze.
Non mancano ovviamente le critiche realiste a questa concezione delle RI. Per i realisti lapertura
economica degli stati non cos scontata perch realizzabile solo in determinate condizioni. In
molti casi gli stati hanno preferito garantire la sicurezza dello stato rinunciando allapertura dei
mercati. Il liberalismo commerciale favorisce solo economie forti.
Secondo gli strutturalisti, lapertura delleconomia da parte degli stati dipende dalla posizione
gerarchica nelle RI e non dalle dinamiche interne degli stati.
In generali i realisti rintracciano tre pericoli per la sicurezza nel sistema del libero commercio:
1. Economia capitalistica porta a crisi cicliche dovute allespansione e contrazione dei mercati.
Per cui causare conflitti.
2. Non esiste la mutua dipendenza che decantano i liberali, perch essa presuppone uno stato di
parit, che di fatto non c nellarena internazionale.
3. La vulnerabilit derivante da un settore non del tutto controllabile genera insicurezza e
incentiva il conflitto.
Interdipendenza e pace nella storia
la maggior parte della letteratura sostiene l'ipotesi liberale sulla relazione tra pace e scambi
commerciali. L'interdipendenza avrebbe un effetto pacificatore soprattutto nelle relazioni tra stati
con regimi politici liberali, dove i fattori commercio e democrazia si rafforzano. Come vista questa
idea contestata da realisti e neomarxisti che vedono invece una correlazione tra interdipendenza e
conflitto, soprattutto prima del 1945.
sebbene ci sia supporto empirico per la tesi liberale, il rapporto tra interdipendenza economica e
politica I complesso non lineare. Inoltre difficile stabilire se sia la cooperazione economica a
ridurre il conflitto, oppure se sia la riduzione del conflitto a permettere la cooperazione economica.
Secondo quest'ultima interpretazione, ci sarebbe un legame tra interdipendenza e pace in quanto a
sviluppare intense relazioni sarebbero stati tra i quali un conflitto difficile. Quindi qui
l'interdipendenza un effetto, pi che una causa della pace.
Vediamo cosa successo nella storia: nell'800 un forte aumento dell'interdipendenza economica
coincise con un periodo di pace seguito al congresso di vienna del 1815, interrotto poi dalle guerre
nazionali del 1848-1870. e ripreso a inizi '900 con il gold standard e il free trade. La pace veniva
mantenuto perch il sistema economico e finanziario I poteva essere stabile solo in situazioni di
pace. Ma i livelli di interdipendenza raggiunti non evitarono la 1 GM, cos le aspettative liberali
qui non sono state raggiunte.
Dopo 10 anni da Versailles arriviamo alla crisi del '29 che distrugge il sistema finanziario I e fa
13

rinascere il protezionismo. La 2 GM un problema per il realismo, soprattutto mercantilista perch


se l'interdipendenza portasse gli stati a competere, il protezionismo degli anni '30 avrebbe dovuto
portare a una competizione meno intensa e non alla guerra come invece successo. Da qui si nota
come gli effetti dell'interdipendenza non sono lineari.
La guerra fredda ha messo in evidenza la preferenza degli stati a commerciare soprattutto con i
propri alleati, sovrapponendosi ai legami diplomatici fra di loro. (app vecchi)

POLITICA INTERNA E PACE DEMOCRATICA


Nonostante molte teorie delle RI si concentrino soprattutto su un modello stato centrico, stato
ritenuto opportuno da alcuni studiosi fare riferimento anche alle dinamiche interne agli stati,
considerando alcuni processi fondamentali come le dinamiche intrastatali, le dinamiche
intrasocietarie e le dinamiche tra stato e societ.
Lo stato una costruzione mentale di concetti che rimandano ad aggregati complessi di persone,
organizzazioni e apparati.la politica burocratica considera e relazioni che questi apparati hanno,
partendo dal ruolo della burocrazia. Quindi la politica estera di un attore deriva dallinterazione dei
diversi apparati burocratici. In questo caso, linteresse nazionali diviene un negoziato tra i vari
livelli statali.
Gruppi di pressione e comunit epistemiche: se la visione non pi stato centrica, allora bisogna
considerare le richieste che derivano dallinterno. Il modo in cui uno stato persegue i suoi interessi
allesterno, produce delle conseguenze al suo interno. I gruppi di pressione interni determinano le
scelte di politica estera.
Putman elabora un modello a due livelli, dove il primo livello coincide con il livello internazionale,
fatto di interazione tra gli attori domestici e il secondo livello, che coincide con il livello
internazionale in cui i governi nazionali cercano di massimizzare la propria capacit di
massimizzare i l soddisfacimento delle pressioni domestiche. I governi in questo modo fronteggiano
sia le domande esterne sia quelle interne.
Ci sono altri gruppi che partecipano allelaborazione della politica nazionale sullo sfondo delle RI e
sono le comunit epistemiche, formate da esperti che hanno un ruolo molto importante nelle
decisioni di politica estera, specialmente quando queste decisioni si fondano su un panorama di
incertezza nazionale.
La politica estera stata sempre considerata un settore isolato rispetto alla popolazione. In realt
quando le decisioni della popolazione si compattano (fenomeno visibile tramite referendum elezioni
e cos via), esprimono lorientamento dellopinione pubblica che ha un forte impatto sulle scelte di
politiche estere, limitandone i comportamenti possibili, o stimolando certe altre decisioni.
Secondo Hill leffetto dellopinione pubblica pu essere di vari tipi: intermittente (svolgimento
periodico delle elezioni), sensibile (agli stimoli dei gruppi organizzati o del potere politico), debole
(tendenza popolare a concentrare le proprie forze su problemi nazionali come fisco e tasse),
favorevole. Gli studi di questo tipo hanno rivelato che nei paesi democratico- liberali la relazione tra
opinione pubblica e scelte di politica estera sono molto significative. A questo effetto si aggiunge il
ruolo fondamentale dei mezzi di comunicazione di massa (1. Producono e diffondono
linformazione, 2. rappresentano gli orientamenti politici dellopinione pubblica e 3. pongono
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rilevanza a questioni internazionali, influenzando lagenda politica Cnn effect).


Politica interna e politica internazionale: lespansione dellarena decisionale
Il panorama internazionale moderno molto cambiato rispetto al passato: una volta le decisioni
erano prese da una piccola elit di governo in modo abbastanza riservato. I fattori che hanno
causato un radicale cambiamento in questo settore si sono affermati nel corso del 900:
- Politica di massa e guerra generale;
- Democratizzazione e liberalizzazione;
- Crescita dellinterdipendenza economica;
- Crescita della velocit di diffusione dell0informazione;
- Espansione dei settori: linterdipendenza sempre maggiore, tra gli stati, divenuta politica
intermestica e di conseguenza settori di high policy sono stati affiancati a quelli di low
policy;
- Espansione degli attori: aumento del numero degli attori coinvolti nella politica estera
(vertici militari, banche centrali, ministri responsabili di vari settori, gruppi domestici e
popolazione);
- Espansione delle pratiche della politica estera: politica estera pi trasparente rispetto al
passato;
- Proliferazione delle OI;
La politica estera fra guerra e istituzioni politiche: la teoria della pace democratica
La teoria della pace democratica o pace separata fonda il suo pensiero, sulla relazione tra la natura
del regime politico degli stati e i loro comportamenti internazionali; in particolare fra regimi
democratici e guerra. Si ritiene, infatti, che le democrazie si comportino in mod differente rispetto
agli altri regimi per via della loro natura pacifica [Kant Per la pace perpetua]. La questione
fondamentale con quale frequenza i diversi regimi politici fanno la guerra. Si ritiene che non
vero che le democrazie non facciano la guerra, ma che la facciano con meno frequenza e non la
facciano con altre democrazie [Doyle e i dati sulla pace democratica dall800 a oggi]. La questione
evidenziata dai dati empirici dimostra alcune questioni rilevanti:
1. Le democrazie tendono a non combattere guerre preventive, cos che contro stati
democratici cercano la via pacifica, mentre se si tratta di stati non democratici, tendono a
sventare il problema attraverso sistemi di alleanze.
2. Le democrazie tendono a risolvere le dispute facendo ricorso allarbitrato internazionale,
strumento non considerato dai regimi non democratici.
Secondo Kant la pace democratica si poteva realizzare se si fosse diffuso il governo repubblicano
tra gli stati in modo pacifico (democrazia, unione pacifica tra repubbliche e rispetto del diritto
cosmopolitico). La natura repubblicana li avrebbe reso meno propensi alla guerra proprio per i
benefici che la repubblica produce. Le cause sono di tre tipi: istituzionali, normative ed
economiche:
a) Cause istituzionali: assetti istituzionali e meccanismi decisionali. Gli elementi fondamentali
delle repubbliche ruotano attorno al ruolo del governo :il governo dipende dalla capacit di
consenso tra i cittadini e inoltre sono limitati dal sistema di pesi e contrappesi. Questi due
elementi sono di importanza fondamentale nella scelta di guerreggiare o meno. In termini di
15

costi finanziari e umani il consenso diminuisce tanto pi si decide di entrare in guerra.


b) Cause normative: la cultura politica che caratterizza la classe politica e i cittadini. Nelle
democrazie le dispute sono risolte tramite atti giuridici e non con la violenza, per cui
risaltano i valori della risoluzione pacifica che conduce i cittadini stessi a sostenere politiche
aggressive.
c) Cause economiche: tutela della propriet privata e delle libert economiche.
Linterdipendenza economica, data dal libero scambio, fa aumentare i benefici prodotti da
una pace e aumenta i costi della guerra, in tal modo gli stati democratici sono meno propensi
a sostenere il danno economico causato dalle guerre.
Secondo Kant, lunione di questi fattori ha condotto un certo numero di stati democratici a formare
una comunit politica di sicurezza, un insieme di stati che rifiutano luso della forza nei loro
rapporti reciproci. La pace perpetua (stabile non infinita, in quanto il regime politico pu tornare
ad essere autoritario) e democratica (ristretta solo agli stati democratici, quindi separata). A queste
cause suggerite dai neokantiani, Panebianco ne aggiunge una quarta: d) la causa informativa,
intesa come credibilit delle democrazie nei negoziati di pace. Secondo Fearon le posizioni
negoziali delle democrazie sono sottoposti a giudizio degli elettori, per cui sono pi impegnative.
Inoltre le democrazie sono pi credibili anche perch: ci sono pi attori con potere di veto che
collaborano alla negoziazione, gli impegni presi non mutano con il cambio dei governanti, le
negoziazioni avvengono in modo aperto e in tal modo gli altri attori possono intervenire in caso di
cambiamento di frontiera.
Critiche:
secondo Dahl le democrazie sono tali se garantiscono costituzionalmente alcune condizioni: libert
associativa e di espressione, diritto di voto attico e passivo, elezioni libere, fonti alternative di
informazione, istituzioni che garantiscono una certa dipendenza popolare dalle decisioni collettive.
Lijphart aggiunge che tali condizioni debbano essere garantite per un periodo sufficientemente
lungo (30 anni). Le condizioni di Doyle sono pi blande e da questo punto nasce la critica. Come si
possono classificare democrazie paesi con caratteristiche blandamente democratiche? Possiamo
notare come i requisti di Doyle visti prima per la democrazia sono meno esigenti (durano almeno 3
anni, hanno un'economia di libero mercato, rispettano la propriet privata, hanno sovranit esterna,
tutelano i diritti dei cittadini, i militari sono subordinati al governo, il potere legislativo dotato di
poteri ed eletto dal popolo con elezioni libere e aperte). La scelta di una definizione operativa
larga necessaria per dare rilievo all'analisi storica, potendo quindi includere anche democrazie del
passato che non avevano ancora raggiunto la maturit di oggi.
Esistono casi dubbi e cio conflitti che sono stati combattuti tra democrazie e quindi fanno
eccezione alla teoria della pace democratica. In periodo di tempo dal 415 a.C a oggi sono stati circa
20 questi conflitti, quindi un numero comunque limitato. Soprattutto in 2 di questi conflitti si
trovano vere e proprie eccezioni alla pace democratica: la guerra tra Spagna e USA del 1898 e la 1
GM rispetto al comportamento della Germania. In entrambe i nemici erano democrazie, per
spiegare queste eccezioni Doyle ha detto che a questi paesi, in particolare la Germania, mancavano
delle caratteristiche da democrazia. Alcuni giustificano i 2 conflitti dicendo che i paesi coinvolti non
erano percepiti come democrazie dagli altri.
Panebianco lamenta che la teoria della pace democratica ha lasciato marginale un problema che
invece centrale, cio la pace democratica ha teorizzato la politica estera della democrazia in
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generale e non delle singole democrazie, con i loro particolari assetti istituzionali e politici, e questo
un aspetto centrale perch come detto le caratteristiche interne di uno stato influenzano il suo
comportamento nell'arena I. cos possiamo distinguere le democrazie, secondo Owen, tra liberali e
illiberali, i regimi illiberali possono essere considerati minacciosi dai liberali.
Questa distinzione riduce gli stati coinvolti nella teoria della pace democratica in quanto qui
possono essere compresi solo i paesi occidentali dove troviamo la democrazia e un alto liberalismo.
Quindi qui la teoria da globale diventerebbe locale, e quindi sarebbe una pace separata.
La pi importante obiezione realista a questa teoria che la pace democratica sarebbe causata da
fattori alternativi ai precedenti, cio mentre l'assenza di guerra fra le democrazie fino all'inizio del
'900 si spiegano semplicemente notando il numero basso di regimi democratici; dopo il 1945 la
pace democratica si spiegherebbe come esito dell'esistenza di un sistema bipolare in cui i paesi
occidentali si erano stretti agli USA. Ma sorge il problema su come scegliere fra spiegazioni
alternative dello stesso fenomeno. Possiamo avere 3 strade:
ipotesi derivate: un modo per scegliere consiste nel derivare da ciascuna spiegazione delle
ipotesi addizionali, e cio di estrarre logicamente dagli argomenti formulati per spiegare un
certo fenomeno delle ipotesi che riguardano fenomeni diversi e testarle empiricamente: se 2
teorie possono spiegare lo stesso insieme di eventi, ma solo una di queste pu spiegarne anche
un altro allora fra le 2 vince quest'ultima. Perci la spiegazione migliore della pace democratica
quella capace di spiegare altrettanto bene altri aspetti del comportamento delle democrazie nei
conflitti I. a questo proposito Gelpi e Griesdorf rilevano l'importanza della credibilit negoziale
delle democrazie.
Influenze multiple: tratta statisticamente i fattori esplicativi usati per spiegare la pace
democratica cos da pesare l'influenza che ognuno di loro ha nel causare questo fenomeno. A
questo fine Russet e Oneal si concentrano sulle dispute militarizzate dal 1886 al 1992 e
sottolineano il grande peso esercitato dai fattori selezionati da Kant, cio democraticit, apertura
commerciale e coinvolgimento delle organizzazioni I di uno stato.
Mutamento strutturale: consiste nel considerare come si sono configurati i rapporti fra
democrazia e guerra quando le cause realiste della pace democratica hanno assunto valori
diversi da quelli del periodo in esame. Se la pace democratica tenesse anche in un sistema I
diverso da quello bipolare, avremmo qualche elemento in pi per risolvere il problema
precedente. Ovviamente questa via ci porta la sistema I dopo il 1989.
La pace democratica e il sistema internazionale contemporaneo pag 234

LA SICUREZZA
Il pluralismo delle interazioni tra gli stati, produce sempre e comunque un rischio di incertezza
comportamentale degli altri. Da questo punto nasce il dibattito sulla sicurezza, coinvolta quando tra
gli attori di una disputa politica si decide di ricorrere alla minaccia o alluso della violenza.
Nonostante lo stato sia considerato come garante della sicurezza interna ed esterna, diventa, invece
il fattore scatenante delle incertezze sulle insicurezze nellarena politica anarchica internazionale,
perch in presenza di attori di pari livello, mentre sui cittadini esso detiene il monopolio delluso
della forza.
17

Il modello dello stato moderno che si imposto sui cittadini, non applicabile al contesto
internazionale, perch lo stato non pu rinunciare alla sua sovranit. Luscita dallo stato di anarchia
del SI, come soluzione delle controversie politiche I e creazione di una sicurezza collettiva,
rappresenta da sempre il focus centrale delle RI. Con il realismo classico per, rinasce il ruolo della
sicurezza nazionale.
il fatto che la sicurezza sia essenziale per l'individuo e che gli uomini creano comunit politiche per
garantirla allora facile capire come, nella relazioni I, la sicurezza debba intendersi come
sostanziale sopravvivenza politica dello stato. Quindi ogni stato deve essere in grado di difendere la
sua comunit da minacce esterne.
Sovranit all'interno significa supremazia nei confronti di ogni altra autorit interna, mentre verso
l'esterno significa non subordinazione nei confronti di nessun'altra autorit. La soluzione che
avviene all'interno degli stati dove gli individui cedono la loro sovranit allo stato che garantisce
loro protezione, non si pu fare nel sistema I perch se gli stati perdono la loro sovranit allora non
hanno pi ragione di esistere.
L'idea che per avere sicurezza bisogna superare la natura anarchica del sistema politico I appartiene
alla riflessione della disciplina delle relazioni I del suo nucleo idealista. Il concetto di sicurezza
verr poi ripreso dopo la 2 GM e ridefinito dal realismo classico come sicurezza nazionale, in
contrapposizione alla sicurezza collettiva. Per il realismo classico la protezione della propria
comunit dalle minacce esterne avviene attraverso la potenza, perch tutti gli stato sono possibili
nemici e perci tutti sono sottoposti al pericolo di un attacco da parte degli altri; qui lo stato pu
contare solo su se stesso per garantirsi la sicurezza.
Sottolineiamo, per, che la sicurezza non equivale alla potenza, anche se quest'ultima
fondamentale per garantire la sicurezza.
La sicurezza pu essere intesa in senso oggettivo, cio misura l'assenza di minacce nei confronti di
valori acquisiti; ma anche in senso soggettivo, cio l'assenza di paura circa il fatto che tali valori
saranno attaccati. La componente soggettiva della sicurezza l'elemento variabile da stato a stato e
tra sistemi politici I; mentre la componente oggettiva l'elemento costante cio l'obiettivo di tutti
gli stati attraverso la potenza. (controlla)

Il dilemma della sicurezza


Lunico modo per garantirsi la sicurezza nellarena anarchica massimizzare le proprie risorse
(militari) di potenza. In questo modo si minimizzano le conseguenze di potenza altrui nei propri
confronti. Proprio perch tutti gli stati si trovano nella stessa condizione, ognuno di essi provveder
a incrementare le proprie capacit per mantenere elevato il proprio livello di sicurezza (corsa agli
armamenti). Ogni sforzo individuale di accrescere la propria sicurezza porta a livello generale alla
formazione di uno stato di insicurezza dilemma della sicurezza, che pertanto una condizione
strutturale del SI. Questa teoria si sviluppata in un ambiente bipolare nel corso della Guerra
Fredda (equilibrio del terrore) che ha favorito lo sviluppo dei security studies.
Secondo Jervis (che aveva riformulato la questione del dilemma della sicurezza in termini di
cooperazione e di teoria dei giochi), la cooperazione produrr vantaggi solo nel caso in cui tutti gli
stati scelgano di cooperare, mentre produrr caos nel caso contrario. Oltre al dilemma della
18

sicurezza anche il fattore temporale (validit di una questione solo per un periodo di tempo
determinato) e le interazioni tra politica interna e politica estera.
Secondo Jervis esistono alcuni tipi di errori di percezione che portano alla creazione dei conflitti I:
- Non cogliere limportanza degli obiettivi degli avversari;
- Ritenere che gli altri stati abbiano un numero maggiore di alternative rispetto alle politiche
adottate;
- Presunzione che il proprio comportamento possa essere considerato pi trasparente degli
altri;
questi tre errori possono essere ricondotti a tre fattori: la sovraconfidenza cognitiva (sovrastima del
grado di comprensione del contesto), lancoraggio (nuove info assimilate a schemi esistenti) e la
negazione (rifiuto di comprendere stimoli minacciosi).
Secondo i realisti massimizzare la sicurezza e la sua forza relativa induce gli stati ad essere
posizionalisti difensivi, nel senso che cercano di raggiungere un determinato livello per mantenere
la posizione di potere relativo rispetto agli altri. La massimizzazione della potenza in se diventa un
fine secondario rispetto allautodifesa.
Il realismo offensivo
Limpossibilit di conoscere a priori la portata delle conseguenze di una corsa agli armamenti, causa
limpossibilit da uscire dalla trappola del dilemma della sicurezza. Secondo il realismo offensivo
di Mearsheimer le grandi potenze si comportano in modo aggressivo perch sono costrette a farlo,
per massimizzare la probabilit di sopravvivenza. Secondo Waltz invece, il SI spinge gli attori a
cercare occasioni per guadagnare potere a spesa di altri, perch il fine ultimo di uno stato
diventare egemone eliminando ogni possibilit di sfida da parte di unaltra potenza.
Fiammenghi sostiene che i tre realismi [difensivo (che non presuppone unintrinseca aggressivit tra
gli stati), quello classico (che vede nellespressione di potenza degli stati una riproduzione
dellistinto umano individuale) e infine quello offensivo] rappresentano il rapporto tra potere e
sicurezza in 3 momenti diversi delle potenza di uno stato:
1. Realismo offensivo: stato debole deve incrementare la sicurezza 2. Realismo difensivo:
laccumulazione di capacit produce una corsa agli armamento degli altri stati e 3.
Realismo classico (teoria della stabilit egemonica): lo stato forte domina gli altri che
scelgono la soluzione del badwagoning.
Cooperare per la sicurezza: il parziale superamento del paradigma anarchico
Allo stato attuale, sembra che la struttura anarchica si stia ridimensionando, in via di superamento.
La sicurezza vista come un bene raggiungibile non solo tramite competizione ma anche con la
collaborazione.
La logica egoistica dello spirito di autoconservazione, tipica della corrente realistica pu
tranquillamente garantire la preservazione del sistema. Alcuni studi del realismo si sono, infatti
interessati alla nascita dei concerti in Europa, ovvero quella forma di accordi tra potenze finalizzata
alla preservazione della comunit degli stati nel suo complesso, spinta da elementi egoistici e
interessi relativi. Nonostante ci necessario un impegno attivo da parte degli stati al fine di
stabilire lordine la sicurezza e il pluralismo nel SI. logica della sicurezza collettiva Thompson
un attacco a un singolo stato verr considerato come un attacco a tutti gli stati. Si propone
luniversalit della logica della deterrenza, con la quale la pace si guadagna se laggressore capisce
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che non c nulla da guadagnare ad attaccare uno stato che risponda, a sua volta con una vasta
contro coalizione. Secondo Claude la realizzazione di una sicurezza collettiva il motore principale
della formazione delle OI. Questo sistema si basa su una riduzione generale alluso della forza, non
per fortificare gli stati, ma per impedire gli abusi arbitrari della violenza al concerto, ma rispetto a
questultimo si contano un insieme di requisiti oggettivi (1) diffusione del potere e
monopolizzazione di questo da parte della comunit internazionale, 2) parziale disarmo e 3)
vulnerabilit economica e apparato legale e organizzativo capace di espressione istituzionale ) e
soggettivi (riconoscimento dellimportanza della pace).
Le critiche si concentrano sul fatto che la questione della sicurezza collettiva come fattore
universalmente riconosciuto, comporterebbe un estensione generale dei conflitti. Inoltre vengono
esposte principalmente tre critiche a questa teoria:
1. Non c una spiegazione sul modo in cui gli stati riescono a superare paure e incomprensioni
reciproche;
2. Rispetto di criteri molto complessi (es. distinguere laggressore dalla vittima);
3. Non si sicuro sul funzionamento dei sistemi internazionali nel caso di un conflitto
imminente;
negli anni 60 nasce la scuola della peace research, con lobiettivo di realizzare una pace attraverso
linfluenza delle istituzioni globali. La questione fondamentale quella della pace e non della
sicurezza.
Le istituzioni e la sicurezza internazionale
Le istituzioni ricoprono il ruolo di mediatori dei processi politici internazionali, in quanto
forniscono le informazioni, facilitano la comunicazione, riducono i costi di transazione e rendono
pi credibile limpegno degli stati. Questo ruolo di mediazione riduce linfluenza della struttura
anarchica del SI. Prendono vita, dunque, dei regimi di sicurezza basati sulla gestione collettiva
dellanarchia che necessitano di 4 condizioni fondamentali:
1. La volont delle grandi potenze di muoversi in un ambiente regolato e quindi un certo grado
di soddisfazione dello status quo.
2. La convinzione che tutti condividano lo stesso valore di cooperazione e sicurezza reciproca.
3. Lassenza di attori che prediligano lespansione.
4. Lidea che la guerra e il perseguimento individualistico della propria sicurezza siano molto
costosi.
necessario che il concetto di sicurezza ruoti introno al benestare dei cittadini e non solo alla
potenza militare. Levoluzione storica di questo concetto si traduce attraverso lespansione dei
confini internazionali, per cui oggi si considera la sicurezza come un bene internazionale. La
sicurezza come valore, viene intesa secondo tre modi diversi in relazione al valore di altri elementi:
1. Prime value approach: primato dello scopo della sicurezza come prerequisito per il
raggiungimento di altri beni.
2. Core approach value: primato della sicurezza giustificato .
3. Marginal value approach: il valore della sicurezza non assoluto, ma doppiamente relativo
Keohane e Wallander forniscono unanalisi delle istituzioni di sicurezza, non pi basate sul senso di
minaccia, ma legate al concetto di rischio, nel quale sono incluse tutte le problematiche di una
comunit di sicurezza una volta esaurita la minaccia militare diretta.
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Storicamente erano le alleanze a rappresentare gli strumenti pi utilizzati per incrementare la


propria sicurezza. Le teorie istituzionaliste dividono le istituzioni di sicurezza dalle comunit di
sicurezza. Le prime, anche chiamate istituzioni di security management, nascono in funzione della
gestione del conflitto tra i membri. Il vero problema sta nel riconoscere quali sono i fattori che
generano insicurezza internazionale al di la delle minacce, ad esempio linstabilit di uno stato, la
privazione delle risorse vitali o la diffusione di ideologie estremiste. In questo senso ha preso forma
l0idea della comunit di sicurezza, intesa come legame politico positivo, rivolto non solo alla
comune contrapposizione vs uno stato nemico, ma che comprende anche lintegrazione e la
solidariet. Deutsch ritiene che anche la popolazione e il territorio facciano parte della comunit di
sicurezza. Il sorgere di una comunit di sicurezza coincide con la presenza di alcune caratteristiche
(Adler e Barnett):
- Multilateralismo nelle procedure di decision-making;
- Frontiere prive di fortificazioni;
- Mutamenti nella programmazione militare (esclusione degli ostili);
- Comune definizione di minaccia;
- Standard comuni di discorso e di linguaggio della comunit;

Anche le norme, i valori e le culture sono considerati veri e propri attori del panorama
internazionale. Wendt ha fatto una proposta costruendo un concetto dove il posto della sicurezza
definito attraverso la specificit socioculturale del sistema, cio la sua cultura dell'anarchia. Le
diverse culture dell'anarchia spiegano un dato culturale che avviene all'interno delle pratiche di
attuazione di una identit, e riguarda i significati condivisi circa il problema della violenza. Wendt
ha individuato i processi di interazione I che nella storia europea moderna si sono espressi
attraverso 3 diverse sintesi, cio la cultura hobbesiana, lockeana e kantiana. Le 3 culture si
distinguono a seconda delle 3 diverse loro posizioni relative alla relazione con l'altro che Wendt ha
identificato come inimicizia, rivalit e amicizia.
Il concetto di sicurezza societaria spiega le dinamiche e i fenomeni che regolano lagire dei gruppi
sociali non-statali quando vengono posti di fronte al problema della sicurezza. lidentit collettiva
che rappresenta il valore fondamentale sottoposto a minaccia e lattenzione si sposta dalle risorse
materiali a quelle culturali. Le questioni di sicurezza riguardano la capacit di mantenere la propria
identit ( che vuole mantenere la propria sovranit).
Altro concetto importante quello di sicurezza umana che pone il focus sugli individui come mebri
dellumanit nella difesa dei valori come dignit e qualit della vita.
Esiste anche il concetto di sicurezza ecologica ambientale, che costituirebbe una variante ultraradicale della sicurezza umana il cui focus lecosistema.
Infine ad un livello generale, lindivisibilit della pace o della sicurezza al di la della propria
nazionalit rappresenta la sicurezza globale.
A causa della diffusione di questi concetti non direttamente legati al concetto di sicurezza
internazionale in senso statale si tende oggi a considerare la sicurezza globale come security
governante, basata sullinterazione di attori pubblici e privati.
Dilemmi della sicurezza degli stati: anarchie mature e stati forti
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Negli anni 90 la ricomparsa in Europa centrale di conflitti etnico- religiosi e il dilagare della
globalizzazione, con lannessa paura di frammentazione politica aveva prodotto lidea di statebuilding come cura verso lincertezza della sicurezza (proporre lo stato come tutore). Lidea della
diffusione di nuovi stati forti (rappresentano la coesione tra stato e societ e la monopolizzazione
della violenza) avrebbe consentito lampliamento dellanarchia matura, situazione in cui gli stati
non ritengono legittimo luso della forza nella risoluzione delle controversie. Al contrario i sistemi
politici poco strutturati sono tipici degli stati deboli in cui c scarsa coesione tra stato e societ e la
sicurezza viene minacciata anche dallinterno e dove il ricorso alluso della violenza come elemento
della vita politica. Questi stati tendono a subire minacce in una vasta gamma di settori (Buzan).
Dall 11 settembre 2001, abbiamo assistito a un radicale cambiamento del concetto di sicurezza
collettiva. Innanzi tutto la politica di guerra preventiva degli Usa non rispettava i canoni della
sicurezza collettiva, perch colpendo qualsiasi associazione reputata pericolosa in altri stati, minava
la sovranit dello stato in questione. Inoltre lesistenza di cellule terroristiche allinterno o degli stati
(Afghanistan) rappresentava il fallimento della sovranit dello stato che non era neanche in grado di
tutelare i propri cittadini dai crimini interni e non solo da quelli internazionali (stati falliti).
Ad ogni modo le considerazioni sulla sicurezza collettiva sono profondamente mutati dallattacco
alle Torri Gemelle. Per Buzan questo significa che neanche in uno stato forte il cittadino tutelato
dalla violenza di gruppi non statali. Quindi riformulando in termini qualitativi la questione:
- Hobbes per aumentare la sicurezza bisogna ridurre la libert.
- Locke sicuri perch liberi. Se aumenta la sicurzza aumenta anche la libert.
Riprendendo queste considerazioni Buzan sostiene che lo stato pu rappresentare una forma di
minaccia per i propri cittadini, attraverso 4 forme:
1. Enforcement: attraverso il processo legislativo;
2. Attraverso la diretta azione amministrativa;
3. Attraverso la lotta politica;
4. Attraverso gli effetti delle politiche di sicurezza esterna;
attraverso questo schema Buzan trova un certo grado di affinit tra Locke e Hobbes incrociando le
corve di probabilit dettate dalla questione di sicurezza: sopra un livello di libert (incrocio delle
linee) prevale la curva di Hobbes, mentre se si scende prevale quella di locke, perch alle minacce
di sicurezza dallesterno si sommano quelle provenienti dallinterno. (???)
La fine del bipolarismo e il multilateralismo ha trasformato lo scenario, in cui dotarsi di armi
nucleari era pericoloso e allettante, soprattutto per quei paesi che non avevano firmato il trattato di
non proliferazione che vedevano nel nucleare lo strumento per aumentare la loro potenza. Accanto
al terrorismo e alla proliferazione nucleare, ci sono altre minacce alla sicurezza fra cui il
moltiplicarsi degli stati falliti cio cos deboli da non riuscire a garantire alla comunit I che il loro
territorio non si trasformi in una piattaforma per gruppi terroristici o gruppi armati di natura
criminale agiscano indisturbati.
La classica spiegazione di Tilly della nascita del moderno stato europeo sostiene che fu la necessit
di affrontare conflitti su scala sempre pi ampia a costringere gli stati ad accentrare e migliorare le
proprie funzioni fiscali, amministrative e burocratiche.
Soresen per afferma che la guerra non ha funzionato con altrettanta efficacia per promuovere un
efficace state-building nei paesi in via si sviluppo. Molti fattori hanno portato a questo esito: i paesi
in via di sviluppo possono acquistare tecnologia militare sul mercato I senza doversi sottoporre a
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dolorose riforme istituzionali.


Probabilmente uno degli scenari pi inquietanti per la sicurezza dei prossimi anni quello in cui pi
minacce si saldano insieme. L'incubo peggiore sarebbe l'alleanza, in uno stato fallito, tra gruppi
terroristici in grado di acquistare armi nucleari sul mercato nero.
GLOBALIZZAZIONE E GOVERNANCE NAZIONALE
Molti analisti della globalizzazione si interessano ad essa per via del suo possibile impatto sul
carattere e l'esercizio delle funzioni di governo a livello nazionale e I. il termine governance viene
usato come concetto generale che include sia le attivit di direzione politica e amministrativa che si
svolgono dentro gli stati, sia le forme di gestione di interessi comuni che operano a livello
sovrastatale. In termini generali pu essere definita come la creazione e la gestione di sistemi I di
norme e regole che facilitano il coordinamento e la cooperazione degli attori sociali e determinano
la distribuzione dei costi e dei benefici dell'azione collettiva.
Il termine governance usato nelle relazioni I porta 2 messaggi: primo, l'assenza di uno stato
mondiale non deve oscurare il fatto che la cooperazione istituzionalizzata di molti attori non pu
produrre l'equivalente di uno stato che gestisce delle questioni di rilevanza globale; secondo, gli
stati non sono gli unici attori impegnati nella produzione di governance fuori dai confini nazionali,
ma ci sono anche attori non-statali.
Quindi il concetto governance diverso da government, inteso come struttura organizzativa
incaricata di gestire e attuare quelle regole, all'occorrenza tramite strumenti di tipo coercitivo.
Polity, politics e policy: la governance statale ha 3 aspetti: polity cio l'identit dello stato e le
caratteristiche generali del suo regime politico; politics ovvero il processo politico e decisionale;
policy ovvero il contenuto delle decisioni politiche. La globalizzazione pu influenzarle tutte e 3.
quanto alla polity la discussione pi generale riguarda le dimensioni territoriali degli stati: alcuni
credono che la competizione economica globale crei incentivi per gli stati di formare blocchi
regionali per sfruttare economie di scala e che questi blocchi possono raggiungere un'integrazione
politica tale da mettere in discussione la sovranit degli stati membri. Da una serie di polities pu
cos emergere una polity multilivello che possiede almeno alcune caratteristiche dello stato.
Secondo altri autori invece, la crescita dell'interdipendenza globale in vari settori dell'attivit umana
produce una spinta verso una forma organizzata sovranazionale che merita il nome di stato
mondiale. stato anche sostenuto che la globalizzazione economica, aprendo gli stati ai mercati I,
farebbe venire meno una delle condizioni che nell'et moderna ha promosso la formazione di stati
medio-grandi, cio la necessit di creare un mercato nazionale abbastanza grande da permettere lo
sviluppo industriale ed economico.
Un altro dibattito su globalizzazione e polity riguarda le prospettive per la democratizzazione di
stati non democratici: alcuni autori credono che l'effetto sia negativo perch ipotizzano che le
imprese transnazionali preferiscono che regimi autoritari restino tali nei paesi in cui investono ; ma
molto pi spesso si crede che l'effetto sia positivo perch l'apertura di un paese ai flussi economici
ne promuove la democrazia.
Quanto alla politics, la globalizzazione influisce su di essa soprattutto alterando le risorse che i vari
gruppi sociali possono usare nel processo politico: secondo alcuni analisti la globalizzazione
economica accresce la diseguaglianza dei redditi e redistribuisce il potere politico nello stato.
Per varie ragioni il capitale attraversa le frontiere pi facilmente del lavoro; perch la maggiore
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capacit dei capitalisti di scegliere dove investire li rafforza rispetto ai lavoratori.


Uno conseguenza della debolezza dei lavoratori sarebbe il declino dei sindacati e dei partiti della
sinistra socialista che hanno da sempre mirato a coniugare l'economia di mercato con politiche
pubbliche egualitarie e redistributive.
Si ritiene che la globalizzazione economica abbia condizionato e limitato le policies che i governo
possono attuare: la maggiore mobilit transnazionale del capitale scatena una competizione tra stati
per attrarre capitale e questo sfocia in una corsa al ribasso nelle politiche fiscali, salariali, sociali e
ambientali. Da un lato, i governi dovrebbero temere che l'imposizione di costi alle imprese nel loro
territorio produca un aumento del prezzo dei beni che producono; dall'altro essi dovrebbero temere
che le imprese spostino le loro attivit verso paesi con minori costi di produzione. Questi effetti
negativi deluderebbero gli elettori, e quindi policies favorevoli al capitale sono necessarie per i
governi.
Negli anni '90 molti predicavano il declino dello stato di fronte all'assalto di forze economiche
globali. Susan Strange diceva che oggi queste forze dei mercati hanno un potere maggiore degli
stati. La tesi del declino statale stata molto criticata, le critiche sono di 3 tipi:
prima critica: riguarda i fattori che ostacolano il cambiamento delle istituzioni politiche,
economiche e sociali. Il rapporto tra organi di governo, partiti e cittadini, tra sindacati e
imprenditori, sono di solito il risultato di lunghi processi storici che molto difficile modificare
perch ci sono dietro molti interessi e idee.
Seconda: essa non nega la possibilit del cambiamento come risultato della globalizzazione, ma
sostiene che esso pu essere un'espansione piuttosto che una riduzione del ruolo dello stato in
economia e societ.
Terza: osserva che uno stato sociale generoso non deve essere visto come un onere nella
competizione fra stati nei mercati mondiali. Uno stato attivo contribuisce direttamente alla
produttivit dell'economia attraverso la creazione di una forza-lavoro bene istruita e in buona
salute.
Riscontri empirici: per capire quanto la globalizzazione ha inciso sulla governance solo con teorie,
bisogna analizzare anche i dati empirici. I risultati non sono uguali.
Cominciamo dicendo che molti studi esaminano i paesi democratici industrializzati e le conclusioni
tratte spesso non sono applicabili anche ai paesi in via di sviluppo.
Quanto all'effetto della globalizzazione economica sulle disuguaglianze di reddfito esistono molti
studi empirici ma non una uguale conclusione. Alcuni studi mostrano che la globalizzazione ha
aumentato la diseguaglianza economica nei paesi industrializzati mentre secondo altri l'ha ridotta.
Lo stesso vale per i paesi in via di sviluppo.
Quanto alla differenza di potere contrattuale tra possessori di capitale e altre categorie economiche
possiamo esaminare la distribuzione del carico fiscale complessivo imposto dallo stato e in
particolare come questo carico viene ripartito fra 3 categorie: redditi da capitale, redditi da lavoro e
consumi. Se la tassazione sui redditi da capitale viene ridotta significa che la globalizzazione
avvantaggia i capitalisti e danneggia i lavoratori. Un altro indizio viene fornito dalla spesa pubblica:
negli ultimi 20 anni questa rimasta relativamente stabile a livello globale.
Tutto sommato possiamo dire che la globalizzazione ha avuto influenza sulla policy, ma meno di
quanto si aspettavano i declinisti.
L'impatto della globalizzazione sulle policies dipende dai caratteri della polity: cio le istituzioni
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politiche e sociali nazionali hanno un importante ruolo nella mediazione tra globalizzazione e
politiche pubbliche. Anche la forma dello stato sociale incisiva sul rapporto tra globalizzazione
del capitale e politiche sociali: paesi che hanno uno stato sociale di tipo universalistico (cio
coprono tutta la popolazione) e di tipo consevatore (cio hanno una redistribuzione limitata) offrono
una maggiore resistenza alle pressioni della globalizzazione di quanto non accade in paesi con uno
stato sociale di tipo liberale (cio previdenza pubblica modesta e servizi limitati).
Globalizzazione e governance internazionale
oltre lo stato?: alcuni studi cercano di dimostrare che l'esercizio di funzioni di governance non
limitato all'azione di governi che esercitano poteri sovrani nell'ambito delle loro giurisdizioni, ma si
svolge anche a livelli sovranazionale e transnazionale. In molti sostengono che governance non
coincide con government e dimostrano come l'assenza di un government mondiale non implica che
la governance scompare a livello I.
il rapporto tra globalizzazione e governance a livello I complesso. Per alcuni il fulcro del rapporto
la negazione reciproca, cio la globalizzazione quasi un sinonimo di ingovernabilit. Ma questa
posizione poco plausibile considerata la fitta rete di istituzioni I nel mondo contemporaneo. Due
forme di relazione sono pi comuni: la reazione che si ha quando forme di governance vengono
create allo scopo di ridurre gli effetti deleteri della globalizzazione e la promozione dove forme di
governance vengono create allo scopo di facilitare o rimuovere ostacoli a una o pi dimensioni della
globalizzazione. In entrambi i casi la dinamica simile, cio la volont di evitare gli aspetti negativi
della globalizzazione o la volont di produrre quelli positivi crea un incentivo a estendere e
intensificare la cooperazione I; cio si crea una governance I.
le varie interpretazioni della governance a livello I possono essere collocate in un continuum che ha
come 2 posizioni opposte: una che identifica una trasformazione fondamentale della governance e
una che ne sottolinea la continuit. Secondo la prima, funzioni di governance sono perse dai governi
e redistribuite fra vari attori pubblici e privati; la seconda invece presume che lo stato mantiene il
monopolio della governance e gli attori non-statali hanno un ruolo marginale.
Molti studi stanno in una posizione pi moderata, nel senso che appoggiano che gli stati siano
centrali ma credono anche ci siano altri attori coinvolti.
Intergovernativismo, sovranazionalismo, transnazionalismo: questi sono i 3 modelli della
governance e di differenziano in base a 2 criteri: la natura pubblica o privata degli attori che
sostengono la governance, il grado con cui poteri legislativi, esecutivi o giudiziari vengono delegati
ad agenti autonomi sovranazionali. I primi 2 modelli sono pubblici, mentre il terzo privato.
L'intergovernativismo si riferisce a una sistema di governance I incentrato sulla cooperazione
volontaria e consensuale tra governi nazionali. I governi gestiscono gli affari di rilevanza
transnazionale con scarsa partecipazione e controllo da parte di altri altri. Guardando le tendenze
degli ultimi decenni si osserva che le forme di cooperazione I chiuse sono in declino; infatti la
partecipazione delle ONG al processo politico globale aumentata molto negli ultimi 20 anni. E
possono influenzare la politica mondiale nei suoi vari livelli cio agenda-setting, decision making e
attuazione.
Ma sembra che non ci sia una eguale importanza tra stati e attori non-statali, infatti i processi
decisionali globali sono asimmetrici nel potere e oggi ancora a favore degli stati. Ma questo non
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toglie che gli attori non-statali sono molto presenti.


In una governance gli stati non possono essere soggetti a regole e vincoli senza il loro consenso.
Quanto al sovranazionalismo, nelle forme di governance sovranazionali esiste una riduzione della
sovranit degli stati con la creazione di istituzioni I con un significativo grado di autonomia dalla
volont dei singoli membri. L'aspetto centrale di questo tipo di governance la delega sostanziale di
poteri ad agenzie sovranazionali che possono svolgere funzioni legislative, esecutive o giudiziarie.
A livello globale, i casi pi importanti di delega si hanno nella risoluzione delle dispute, nel senso
che esistono una serie di corti I che interpretano norme I e le applicano a casi specifici.
L'effetto primario dello sviluppo di queste istituzioni la limitazione della sovranit degli stati, il
che ha portato alcuni a vederle come forme embrionali di legalizzazione delle relazioni I. tuttavia
notiamo che nelle istituzioni I gli elementi intergovernativi prevalgono su quelli sovranazionali.
Infatti la maggior parte delle regole I vincolano gli stati solo se essi danno il consenso e l'autorit
delle agenzie sovranazionali limitata.
L'eccezione pi importante a questa tendenza l'UE dove poteri legislativi, esecutivi e giudiziari
sono stati trasferiti a organi sovranazionali. Tra i membri dell'UE non corretto parlare di relazioni
I, ma di governance multilivello in cui i governi hanno un ruolo centrale ma non esclusivo.
Anche in contesti nettamente intergovernativi i funzionari di organizzazioni I svolgono un ruolo
attivo nei negoziati multilaterali influenzando le alleanze strategiche, stimolando l'attenzione del
pubblico verso certi aspetti.
Come detto intergovernativismo e sovranazionalismo sono forme di governance pubbliche, cio
create da stati per stati.
Ma la governance pu essere promossa anche da attori privati e si chiama transnazionale, quindi
arriviamo alla sua terza forma, il transnazionalismo: si basa sulle attivit di 2 variegate categorie di
partecipanti, cio le imprese con l'obiettivo di fare profitto e le ONG che promuovono specifiche
concezioni dell'interesse generale, la protezione degli interessi di gruppi vulnerabili, ecc.
le forme e le attivit delle strutture transnazionali sono di varia natura, ma si possono classificare
secondo una serie di funzioni primarie:
funzione di rappresentanza e promozione degli interessi
i rapporti transnazionali vengono istituzionalizzati per coordinare i comportamenti di
organizzazioni operanti nello stesso settore
risoluzione delle dispute: spesso le imprese di paesi diversi che effettuano transazioni
economiche tra loro includono nei contratti delle clausole che le impegnano a ricorrere
all'arbitrato privato in caso di dispute, piuttosto che ai tribunali pubblici. Tra le fonti privati nella
risoluzione delle dispute troviamo la lex mercatoria cio un insieme di regole che derivano dalle
pratiche commerciali e dalle interpretazioni di esperti di diritto commerciale I. in pi esistono
anche strutture di arbitrato specifico a particolari settori, come il tribunale arbitrale dello sport
creato dal comitato olimpico I.
la certificazione, una funzione svolta da attori non-statali. Essa pu riguardare solo la qualit dei
prodotti, o anche esiste la certificazione sociale e ambientale. Molte imprese hanno aderito a
iniziative per certificare che le loro attivit non violano i diritti umani o l'ambiente.
Quanto al ruolo di imprese e di attori commerciali nella gestione delle attivit e scambi I, esso non
trascurabile: alcuni ricercatori hanno mostrato che in molti settori gli attori commerciali hanno
creato regimi transnazionali per dare ordine e prevedibilit ai massicci flussi di transazioni che
attraversano ogni giorno i confini nazionali. Altri hanno mostrato diversi regimi i cui membri sono
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principalmente attori privati.


Molte governance a livello I hanno forme intermedie e ibride: un esempio l'organizzazione
mondiale del lavoro, nata dopo la 1 GM, dove i rappresentanti dei sindacati e dei datori di lavoro
sono membri a pieno titolo al pari dei governi.
Ovviamente i gruppi sociali (imprese, partiti, gruppi di interesse) hanno sempre esercitato
un'influenza pi o meno forte sulle politiche estere dei loro stati e quindi anche sulla loro
cooperazione interstatale.
In conclusione, quello che viene chiamato global governance implica che le imprese e le ONG non
sono solo i destinatari passivi di regole e norme negoziate dai governi, ma partecipano in vario
modo alla formulazione di queste regole.
MULTICULTURALISMO E SCONTRO DI CIVILT
L'incontro e lo scontro di identit: il multiculturalismo
la parola multiculturalismo si imposta dal continente americano, come chiave di lettura dei
mutamenti e della crisi nella definizione delle rispettive identit nazionali, essa ha investito in modo
crescente la rappresentazione della convivenza I.
essa anche una parola ambigua: perch sembra suggerire un'alternativa culturalmente e
storicamente povera tra unit e pluralit, societ chiuse e aperte, lasciando marginale le differenze
delle societ plurali fra di loro. Quello che rende pi equivoco il termine che reca in s la
confusione tra uno stato di fatto, cio l'esistenza di pi culture che vivono insieme, e una politica .
cioNel primo senso, quindi stato di fatto, il multiculturalismo esprime la realt incontrovertibile
della pluralit culturale che sempre stata presente nelle societ americana e europea (migrazioni).
Come politica, al contrario, il multiculturalismo non esprime la realt della convivenza, ma un
profondo mutamento del modo di concepirla. A differenza che in passato, gli effetti di unificazione
e di eguaglianza sociale prodotti da una lingua comune, da tradizioni e da valori politici condivisi,
oggi sono messi in discussione dal riemergere di molte identit parziali.
Multiculturalismo e potere: in questa tensione perenne tra il dato di fatto della pluralit culturale e
i modi in cui questa pu essere percepita e affrontata si vedono gi 2 nodi fondamentali per l'ordine
sociale e quindi anche per l'ordine I. il primo l'esistenza o l'inesistenza di un universo discorsivo
comune capace di comprendere le differenze. Il multiculturalismo come ideologia tende a eludere il
concetto sul quale era costruito il discorso occidentale sull'altro: cio tolleranza e intolleranza. Il
multiculturalismo non nega il diritto dell'altro di essere diverso, ma rifiuta l'assimilazione dell'altro,
anzi nasce per il suo fallimento. Quindi l'altro separato per proteggere la sua identit. E questa la
tolleranza.
Mentre il multiculturalismo come politica non muove dalla diversit, ma si ferma a questo punto. Il
confronto con l'altro si riduce alla reciproca esposizione della propria unicit: l'altro intoccabile,
ma per la stessa ragione per la quale non ci pu toccare. Il concetto si fonda sull'idea che con l'altro
non possibile creare dei terreni discorsivi comuni. Questa intolleranza.
Questa lacerazione ha un rapporto stretto con l'incredulit postmoderna nei confronti dei metaracconti la cui defezioni mette a nudo l'eterogeneit dei linguaggi e dei simboli. Quello che conta di
pi che, sospettando di ogni pretesa di universalit, la politica del multiculturalismo travolge la
cornice entro la quale avveniva la convivenza in passato. Ci che accomuna i suoi soggetti non
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tanto il riconoscimento che ciascuno ha il diritto o il dovere di conservare la propria cultura, quanto
la convinzione che non esista pi tra di esse un vero terreno di comunicazione.
Il secondo nodo ancora pi politico: se non si vuole confondere il palazzo del governatore inglese
a Bombay e i ristoranti indiani a Londra, si deve tenere conto del fatto che l'esperienza dell'altro non
cambia soltanto a seconda che si sia o no un terreno di comunicazione o di quanto l'altro sia diverso
da noi, ma cambia a seconda della posizione che noi abbiamo nei suoi confronti. Sul piano politicosociale c' una differenza sostanziale tra l'incontro al quale si riconosce la possibilit di canbiare la
costellazione della propria personalit e l'incontro del quale si sa in anticipo che non pu cambiare
nulla.
proprio nel contesto I odierno, dove la supremazia politica ed economica dell'occidente sfidata
da competitori culturalmente eterogenei, che sta il problema del rapporto tra cultura e potere.
Multiculturalismo e relazioni I: il mondo sempre stato multiculturale perch da una pluralit di
linguaggi hanno avuto origine processi diversi di elaborazione del pensiero e tipi di diversi di valori
e idee fondamentali. Non detto che le differenze culturali si trasformano sempre in conflitti
politici.
La societ I dell'800 non pu dirsi multiculturale nel senso in cui intendiamo oggi: vero che nel
tempo la societ I ha incorporato sempre pi popoli e culture diverse, ma rimasta sempre ancorata
alle istituzioni, norme e procedure diplomatiche della societ europea.
Quindi la societ I nasce come un monumento all'impatto occidentale sul resto del mondo; questo
non vuol dire che i sistemi pre-globali sono stati cancellati. Quando le regole della societ europea
vennero applicate fuori dall'Europa, le differenze culturali vennero chiuse nelle vari comunit e non
furono pi un problema di politica I.
la pi grande contestazione dell'ampliamento della cultura occidentale nel mondo fu la
decolonizzazione che, per, venne controbilanciata da 2 elementi delle relazioni I:
distribuzione ineguale delle capacit, cio la disuguaglianza degli stati fu un principio
organizzativo efficiente, cio tenne fuori dalla societ globale la periferia e cos anche la sua
diversit.
L'eterogeneit avvenne all'interno di un sistema I bipolare che continuava ad riflettere la
profonda frattura nella cultura occidentale sul resto del mondo. Il risultato del bipolarismo fu
ritardare il riconoscimento della pluralit che era gi presente nel processo di allargamento della
societ I.
questa combinazione di divisione e unificazione fu capovolta con la fine della guerra fredda: la fine
dell'Urss e del comunismo hanno permesso di riassorbire la grande lacerazione del '900 della
cultura occidentale e dando all'ideologia vincente, cio capitalista, il potere di attrarre e il prestigio.
Quindi la democrazie e tutti i valori del modello americano si sono imposti come la normalit I.
Inoltre la fine della guerra fredda ha liberato le tendenze alla deoccidentalizzazione che erano gi
implicite nella decolonizzazione.
I linguaggi locali hanno avuto una rivincita in diversi processi: il riemergere di identit etniche,
religiose, culturali nello spazio vuoto lasciato dalla fine del comunismo in Europa orientale, in Asia,
nel Caucaso; il discredito delle ideologie occidentali come nazionalismo e socialismo; la seconda
generazione di popoli indigeni istruita nelle universit locali; l'acquisizione da parte di popoli non
occidentali di un potere politico, economico o militare sempre maggiore.
Il riemergere di queste identit diventato un problema della politica I odierna.
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Le interpretazioni del contesto I attuale


dopo la 2 GM la teoria delle relazioni I non vide come un problema la diversit culturale. Le teorie
elaborate in materia oscillavano tra teorie che sottolineavano le diversit, ma non quella culturale, e
teorie che trattavano la dimensione culturale, ma non in termini di diversit.
Con la fine della guerra fredda, invece, la dimensione culturale ha trovato spazio nell'analisi delle
relazioni I grazie ai 2 processi visti prima, cio i valori democratici e liberali diventati universali e
la ripresa dei linguaggi locali.
Oggi le convinzioni destinate a dominare sono:
le preferenze politiche e culturali degli attori contano molto cambiando le radici della politica I
la scomparsa si sfide globali all'egemonia liberale e democratica svaluta le altre sfide a fatti
locali
questa riunificazione del mondo attuale pu essere vista in 2 versioni:
la versione pi debole: l'espansione del mercato e della democrazia sono il prodotto
dell'egemonia del paese o della coalizione vincitori dell'ultima guerra che hanno capacit di
attrazione e il soft power
la versione pi forte: la guerra fredda permette di riunificare il mondo grazie ai gi avvenuti
progressi tecnologici, nelle comunicazioni e nei trasporti. Quindi la riduzione delle distanze a
unificato stili di vita, modelli di consumo e valori di fondo.
In tutte e 2 le versioni viene rifiutata l'immagine cosmopolitica della riunificazione del mondo: da
un lato, la fine della guerra fredda non vista come il trionfo dell'occidente democratico e liberale,
ma come la ripresa della centralit euro-occidentale. Dall'altro lato, la tesi dell'evoluzione
multiculturale del contesto I nega che le elite occidentali stiano adottando la cultura occidentale e
sostiene il contrario, cio l'occidentalizzazione avviene tra le masse meno acculturate, mentre si
allontana dalla maggior parte delle elite.
Anche qui possiamo avere 2 versioni di questa idea:
la versione pi debole: il riflusso dell'egemonia culturale e istituzionale dell'occidente non va
oltre l'effetto di scomposizione sociale dato dall'emergere di diversi punti di riferimento che non
permettono di creare un terreno comune.
La versione pi forte: proposta da Huntington che sostiene il riemergere di differenze culturali
porta a conflitti di civilt, quindi conflitti culturali e non pi economici o ideologici.
Sistemi I omogenei e eterogenei
la tesi della convergenza e della scomposizione culturale sono molte diverse, quello che le
accomuna che in nessuna delle 2 c' posto per una comunit I culturalmente plurale. Il punto di
incontro fra le 2 nel fatto di dare per scontato che la comunit I possa sopravvivere solo
reggendosi su un fondo culturale comune.
Il termine sistema denota solo una rete di intedipendenze politiche, economiche e strategiche;
mentre la societ I qualcosa di pi: indica un'insieme di stati che riconoscono alcuni interessi e
valori comuni e quindi si sentono vincolati reciprocamente da regole comuni nei loro rapporti.
Uno stato per aderire al sistema deve solo mostrare la capacit di influire sugli altri, mentre per
entrare nella societ I deve condividere valori, interessi e regole comuni.
Ed proprio qui che entra in gioco la dimensione culturale:
gi l'esistenza di un cultura comune utile per condividere interessi comuno, anche se essi possono
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nascere senza una cultura comune, ma pi difficile.


Prima che questo nesso divenisse centrale nelle relazioni I, soprattutto nella Scuola inglese e in
particolare con Wight, bisogna aspettare la decolonizzazione.
Anche Aron si preoccupa per la crescente eterogeneit del sistema I anche se la sua attenzione si
pone verso la frattura interna alla societ occidentale per effetto del conflitto tra liberalismo e
comunismo. Aron sulla base di alcune domande che si pone, cio: quando gli stati riconoscono la
loro esistenza, qual la relazione tra politica interna e politica estera, quale significato danno gli
stati a pace, guerra e relazioni fra loro; quindi su questa base Aron distingue fra sistemi I omogenei
e eterogenei.
Innanzitutto definiamoli: omogenei il sistema composto da stati dello stesso tipo e hanno la stessa
visione della politica; gli eterogenei sono composti da stati che sono organizzati diversamente e
hanno valori diversi.
Aron preferisce quelli omogenei, cos come tutta l'analisi europea precedente, perch secondo lui
sono pi stabili. Motivi della sua preferenza:
Aron mette un confine netto fra politica interna e politica I e le altre dimensioni delle relazioni I
(economiche, sociali, ecc.). da qui Aron dice che: nei sistemi omogenei questa distinzione
riflette la situazione in cui le politiche estere possono concentrarsi sui calcoli dei rapporti di
forza; mentre negli eterogenei la politica estera pi sensibile alle caratteristiche interne degli
attori fino a trascurare l'interesse nazionale.
Nei sistemi eterogenei vengono fraintese le azioni degli altri perch gli stati non hanno basi comuni
per una giusta comunicazione fra loro.
Aron crede che il tessuto giuridico e istituzionale non sia separabile dalla presenza di un fondo
culturale comune perch porta gli stati a riconoscersi come membri legittimi dell'ordine I.
questa situazione un'altra differenza fra sistemi: negli omogenei gli stati non cessano mai di
riconoscersi a vicenda nemmeno in guerra; mentre negli eterogenei l'obiettivo degli stati
rovesciare il regime nemico e addirittura cancellarlo perch non hanno una cultura comune e
non riconoscendosi a vicenda non si fanno scrupoli ad attaccarsi.
Altra differenza tra sistemi sta nella moderazione della violenza: negli omogenei gli stati sono
portati a distinguere tra nemico di stato e avversario politico. Mentre negli eterogenei la guerra
diventa il luogo dove il non riconoscimento pu essere finalmente espresso
la situazione in cui l'eterogeneit d un colpo mortale all'ordine I nella crisi della distinzione
tra politica interna e politica I oppure, in termini di violenza, nella crisi della distinzione tra
guerra civile e guerra tra stati. Nei sistemi omogenei c' una rigida distinzione tra foro interno
ed esterno, negli eterogenei viene meno la possibilit di questa distinzione perch cade la
premessa che l'aveva resa possibile, cio la rinuncia a porre pubblicamente la questione della
giustizia.
Alcuni problemi storici, teorici e politici
la distinzione tra sistemi omogenei ed eterogenei molto utile nel contesto I odierno dove un
numero crescente di questioni e conflitti declinato in termini culturali e religiosi. In questa ondata
di ripoliticizzazione delle identit emergono anche i fattori di instabilit associati ai sistemi
eterogenei dove le decisioni degli attori sono legittimate sulla base di valori incompatibili fra loro
invece che con i valori comuni dell'interesse nazionale e dell'equilibrio di potenza.
La possibilit al negoziato ostacolata, da un lato, dall'idea che gli altri attori rispondono a modelli
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di razionalit diversi dai propri e, dall'altro, dal fatto che le vertenze culturali o simboliche si
prestano meno di quelle materiali a essere risolte con compromessi e concessioni reciproche.
Inoltre le norme del diritto I sono delegittimate.
La disponibilit a riconoscersi come legittimi interlocutori ostacolata dall'emergere di
discriminazione permanenti tra gli attori.
La diffusione di fazioni superterritoriali in mobilitazione politica permanente (come il radicalismo
islamico) produce nuovamente un intersecarsi dei conflitti civili e dei conflitti tra stati.
Vediamo alcuni nodi teorici e storici:
il primo nodo teorico riguarda la definizione stessa dei concetti di ideologia, cultura e civilt.
Una tesi come quella di Huntington sullo scontro di civilt deve definire con maggiore
precisione il concetto di civilt per potere elencare i soggetti interessati dallo scontro. Per
esempio Huntington ha identificato 7 civilt nella odierna politica I: sinica, giapponese, ind,
islamica, occidentale, latinoamericana e africana.
Secondo nodo riguarda le relazioni di causa fra i fenomeni. Non ancora stata capita la
questione del legame di causa fra differenze di civilt e conflitto. Per esempio il conflitto
palestinese nato a causa delle differenze culturali tra gli attori oppure le differenze culturali
sono state attivate politicamente per effetto del conflitto? O ancora: l'11 settembre 2001 stato
causato dall'ostilit verso i valori occidentali oppure dall'ostilit verso determinate politiche
dell'occidente?
Il vero nocciolo della questione l'ambiguit tra legami ereditati dai soggetti e di cui non si possono
liberare e altri che sono il prodotto di continue costruzioni sociali.
Qui bisogna fare 2 discorsi diversi r l'ideologia e per la cultura e civilt: l'appartenenza ideologica
un atto di volont e non c' dubbio; mentre ci sono dubbi sulle identit culturali e di civilt perch ci
sono 2 teorie:
la prima portata avanti dall'idea dello scontro di civilt di Huntington che vede la cultura
comune come indipendente e preesistente rispetto alla volont degli attori
la seconda deriva dal postmodernismo e dal costruttivismo. Essi credono che la cultura comune
un atto di volont, quindi non un'eredit imposta, ma il prodotto della loro capacit di costruire
ed imporre narrative comuni, comunit immaginate e tradizioni.
Questo dibattito si collega a quello sull'idea di nazione: essa stata vista come imposta dalla cultura
comune oppure come una libera adesione una una cittadinanza fatta di diritti e doveri.
Attorno a queste 2 diverse tesi si sono elaborati i diversi percorsi orientale e occidentale, ma anche i
2 diversi modelli di nazione, cio:
modello etnico: basato sulla trasformazione dei legami e sentimenti preesistenti in sentimenti
nazionali attraverso processi di mobilitazione, territorializzazione e politicizzazione
civico-territoriale: fondato sul senso del territorio e della comune cittadinanza e chiamato a
produrre un senso di appartenenza comune.

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