This entry was posted on 6 febbraio, 2011, in Sillabario. Bookmark the permalink.
di Ernst E. Vardiman
Il testo tratto da E.E. Vardiman, La grande svolta. La Giudea tra ellenismo e primo cristianesimo,
tr. it. di A. Satirana, Garzanti, Milano 1987 (ed. or. Dsseldorf 1978), pp. 192-208.
Nel 332 a.C. il Sommo Sacerdote di Gerusalemme si present ad Alessandro Magno
orgogliosamente abbigliato come un satrapo persiano. Portava tiara e turbante, indossava i pantaloni
dei cavalieri persiani sotto una leggerissima gonna pieghettata, aveva un pettorale dorato tempestato
di pietre preziose e il mantello trapuntato di stelle scintillanti. Labito del sacerdote cercava
chiaramente di imitare quello che si riteneva labito di Dio.
Secondo la leggenda quella figura cos stranamente vestita impression a tal punto
Alessandro Magno che questi scese da cavallo e si inginocchi. Duecentosettanta anni pi tardi,
prima di occupare Gerusalemme, il romano Pompeo ricevette a Damasco una delegazione giudea di
cui facevano parte anche alcuni giovani aristocratici che si erano proposti di fare colpo sul
condottiero romano, famoso per il suo filoellenismo, presentandosi al suo cospetto abbigliati
secondo lultima moda ellenistica.
Essi portavano un largo copricapo e un elegante chlamys, il mantello dei cavalieri macedoni che
scendeva fino alle ginocchia. Labbigliamento doveva sottolineare la loro elevata posizione sociale
e culturale, ma suscit anche la riprovazione del rigoroso cronista dei libri dei Maccabei, che ci ha
tramandato la scena. Bastava la vista di un giovane elegante che portava il chlamys per irritare un
contadino dellAttica. Il Sommo Sacerdote aveva accolto Alessandro in abiti persiani, i giovani
giudei accolsero il romano Pompeo vestiti secondo gli ultimi dettami della moda greca: cos
cambiano le mode e le convinzioni, a seconda delle necessit del tempo.
1. Labbigliamento maschile
Allora la moda non mutava tanto rapidamente come accade ai giorni nostri. Ci vollero decenni
perch anche gli ambienti pi conservatori abbandonassero lantico caffetano armeno frangiato per
abbigliarsi esclusivamente alla greca. Nellet arcaica erano le frange che pendevano dalle tuniche
degli uomini a distinguere gli abiti maschili da quelli femminili. I vangeli affermano che anche
Ges portava una tunica frangiata, sebbene le frange non fossero lunghe come quelle di quanti
volevano ostentare la loro fedelt alla tradizione e la loro ortodossia. Scrive W.F. Albright:
Labbigliamento tradizionale giudaico si basava sostanzialmente sugli stessi indumenti che
formavano quello greco. sbagliatissimo rappresentare gli uomini dellepoca avvolti nella tunica e
nel mantello che oggigiorno indossano gli arabi. Il turbante, il fez e il keffije (un fazzoletto quadrato
che gli arabi fermano intorno al capo con una fascia di lana) comparvero solo nel Medioevo.
La moda segue strane vie. Per quanto possa sembrare paradossale, il chitone, un caposaldo
dellabbigliamento greco, aveva origini semitico-babilonesi. Perlopi era di lino e veniva cucito o
annodato sulle spalle e lungo le braccia. I giovani e gli uomini del popolo portavano un chitone
corto e sbracciato o, eventualmente, a maniche corte, mentre quello che indossavano gli anziani e i
nobili scendeva fino alle caviglie. Il corrispondente ebraico del chitone era il kutonet, paragonabile
a quella che noi oggi definiremmo una tunichetta.
Un paio di caligae.
Lo scrittore latino Marco V. Marziale (40 circa 100 d.C.), fanatico collezionista di calzature,
raggiunse a Roma fama e ricchezza ma, dimenticato da tutti e caduto in ristrettezze, invecchiando
dovette abituarsi a girare scalzo e ritirarsi a vivere in campagna. Marziale ammette di aver appreso
dal suo ciabattino quasi un prototipo dellHans Sachs tedesco larte dellepigramma conciso e
pungente e ribadisce anche che stato il suo furbo ciabattino, con i suoi prezzi elevati, a fare di lui
un uomo povero:
Qui lappetito (a Roma) richiede troppa spesa e il mercato ti manda in rovina (); qui quattro
toghe o pi si consumano in una sola estate, l (in campagna) una sola mi ricopre per quattro lunghi
autunni.
Anche in Giudea non mancavano i saggi ciabattini. Molti scribi, il rabbi Johanan ha-Sandelar, il
rabbi Jose, il rabbi Chaninja e il rabbi Oshaja erano ciabattini. I poveri laboratori degli ultimi due si
trovavano nelle viuzze tortuose del quartiere delle prostitute. Quando provavano loro le calzature,
infilando e sfilando i sandali, i ciabattini mormoravano salmi e voltavano il capo per non perdersi
nellammirare la grazia di quelle gambe affusolate. A contatto con le etere e lavorando come schiavi
per esse, furono presto in grado di plasmare le anime mentre muovevano abilmente le mani.
4. Lacconciatura delle donne
Cera un tempo un uomo ricco di nome Kalba Sabua che possedeva molte greggi. Rachele, la sua
unica figlia, incontr un pastore chiamato Aqiba. La fanciulla vestita di sete, affascinata da
quelluomo di aspetto selvatico ricoperto di ispide pelli, supplic il padre di farglielo sposare. Mai
e poi mai, fu la risposta del vecchio, che scacci di casa la figliola. Rachele e Aqiba fuggirono di
nascosto e trascorsero la loro notte di nozze in una capanna abbandonata, su un giaciglio di paglia.
Al mattino il pastore raccolse i fili di paglia infilatisi fra i capelli della donna amata, la baci e le
disse: Un giorno, invece di una corona di paglia, ti porr sul capo un diadema doro.
In quel momento buss alla porta della capanna il profeta Elia che, fingendosi un mendicante,
chiese un po di paglia per la moglie, presa dalle doglie mentre erano in cammino in aperta
campagna. Vedi, mia cara, disse il pastore alla sua sposa mentre il finto mendicante si profondeva
in mille ringraziamenti per la paglia ricevuta, anche una corona di paglia molto, perch c gente
ancora pi povera di noi che non possiede nemmeno questo. Il pastore dallo sguardo penetrante
divenne su desiderio di Rachele un famoso dotto con una propria scuola e ventimila discepoli.
Questa leggenda ben si adatta al famoso rabbi che riusc a far accogliere nel Canone il Cantico dei
Cantici, questo ardente canto damore, affermando che lamore celeste altro non che una
sublimazione di quello terreno.
Fin qui la leggenda. Prima che si diffondesse luso del velo e di altri copricapi, le donne solevano
legarsi intorno al capo una semplice corda di lino, lana o cotone per evitare che i lunghi capelli
ricadessero loro sulla fronte. Da questa semplice cordicella deriv in seguito il diadema delle ricche
matrone e delle principesse. Gerusalemme dorata era il nome di una corona muraria ornata di
perle, oro, monete dargento e porpora. Anche il capo della dea siriaca Iside era adornato da una
corona muraria. Pi belli della corona e del velo erano i lunghi, folti, vaporosi capelli femminili.
Nella prima lettera ai Corinzi leggiamo:
Non vi insegna la natura stessa che disonorevole per luomo portare i capelli lunghi? Per la
donna invece la capigliatura gloria! Perch la chioma a lei stata data in luogo del velo
(1Corinzi 11,14).
Accanto allabbigliamento o, piuttosto, unitamente a esso, le acconciature sono sempre state
espressione delle varie civilt. Da questo punto di vista lepoca di cui ci stiamo occupando fu una
delle pi creative dellantichit. Sulle terracotte alessandrine cos come sugli affreschi e i dipinti
delle tombe romane, si vedono le acconciature pi particolari e originali, che vanno dallostentata
semplicit di un semplice nodo o di una treccia alle forme pi raffinate ed elaborate.
Esempi di acconciature.
Ovidio descrive dettagliatamente come le eleganti dame romane sfoggiassero in ogni occasione una
pettinatura diversa, sempre pi raffinata e carica di riccioli. In epoca imperiale ci si affidava
allarte di un onatrix, un abile acconciatore, che sapeva raccogliere sapientemente i capelli della
cliente sulla sommit del capo lasciando ricadere mille riccioli sulla fronte e sulle tempie. Per
renderli lucidi si utilizzava grasso di capra, cenere di legno di betulla e olio doliva, mentre per
fissare la pettinatura si ricorreva allo sterco bovino, allargilla, alla cera o al burro. Infine si
spruzzava sui capelli acqua fortemente profumata.
Per dare un riflesso ramato ai riccioli che incorniciavano il volto Plinio consigliava il fiore del
cipero, che cresceva a Gerico. Fra i reperti archeologici sono stati rinvenuti anche nastri e reticelle
(di cui alcune in metallo), forcine, catenelle, spirali, pomate profumate, tinture, pettini davorio e
non, ma soprattutto specchi. Nella maggior parte dei casi si tratta di specchi con impugnatura o di
specchi da viaggio montati su cerniere e racchiusi in cofanetti. Fra gli specchi con impugnatura vi
sono alcune delle pi belle creazioni dellartigianato dellepoca. Dice il testo di un grazioso
indovinello che ha per oggetto appunto lo specchio:
Se mi guardi ti guardo. Tu mi vedi con gli occhi, io ti vedo senzocchi. Se lo vuoi posso parlare
senza voce, perch la voce appartiene a te, e le mie labbra si aprono senza emettere suono.