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Andrea Pani

Una commedia italiana


Capitolo Primo. Inferno

Soffoco. Apro le labbra. Inseguo l'aria che mi sfugge. Mi massaggio le tempie

che pulsano furiosamente. L'emicrania colpisce cos violenta che a stento riesco a

tenere gli occhi aperti, lo stomaco si contrae e si dilata, come qualcuno gli avesse

tirato un pugno. Adesso che lo ascolto, il mio cuore si ribella, pulsa alle tempie,

ricordandomi ad ogni battito che esiste ed infuriato. Mi sento stordito, come se non

capissi pi dove sono.

Ho bisogno di fuggire da questa stanza soffocante, densa di chiacchiere inutili

e maniere parlate troppo forte, sfilate di abiti su misura, ori e rubini sfavillanti.

Contorte signore con le mani adunche sono chine sui piattini di porcellana, levano una

fitta nebbia di parole inutili, mentre i loro mariti e padri con lo stesso incarnato da

morti e da vivi, abbruttiscono la stanza con le sigarette e la loro presenza. Che ansia

questa selva di stereotipi malfatti.

Mi tremano le mani fredde. Sale la tachicardia. Il sapore ferrigno del dolore mi

impasta la lingua. Fatemi uscire da qui, da questa penombra che non mi d sollievo.

Devo uscire in terrazza o morir.

"Professore, prenda ancora un po' di champagne." con uno scatto rapido il

padrone di casa mi offre un bicchiere, parandosi tra me e la portafinestra. Le sue mani

da vecchio, rugose e picchiettate di macchie color tabacco, mi disgustano. Mi tira una

cameratesca pacca sulla spalla. "Su, non faccia il morigerato professore, non c'

bisogno: oggi festa per tutti."


Rimango ipnotizzato dalla cravatta di dubbio gusto, a macchie nere, e spero

che il mio timido sorriso risulti abbastanza cortese e scoraggiante da risparmiarmi

un'inutile conversazione.

Mi frugo nelle tasche della giacca senza curarmi di nascondere i miei gesti,

come al solito l'Optalidon rimasto sulla scrivania del mio studio: complimenti,

Tommaso, complimenti. Forse avrei fatto meglio a lasciarci direttamente anche la

testa, cos non dovrei subire la tortura di questi ragli e muggiti solo in apparenza

addomesticati.

"Caro," si avvicina a noi la padrona di casa, i suoi passi sono amplificati dai

tacchi. Il suo volto feroce, con quelle labbra strette, troppo rosse, e l'ombretto

celeste sembra quello di una maschera tribale, dalla quale sporge una criniera di

capelli biondi cotonati "il Cavalier Ferrido ti stava cercando, perch purtroppo deve

gi congedarsi." I suoi occhi inquisitori mi levano la speranza di potermi liberare

presto di lei, anche se il marito si allontanato.

"Professore, le posso portare qualcosa da mangiare? Un canap, una fetta di

torta... Dovrebbe provare le tartine al caviale, lo abbiamo ordinato pi di un mese fa

da Castroni, importato direttamente dalla Russia." Vorrei trovare un motivo per

uscire, faccio un mezzo passo verso la porta-finestra, la salvezza...non mi importa che

lei mi segua, fuori all'aria aperta anche le sue chiacchiere saranno pi sopportabili.

Poi un ragazzo esce dalla terrazza e mi viene incontro, sorridendomi con quei denti

troppo bianchi.

"Professor Mattioli! La stavo proprio cercando!" Saluta con affetto la padrona

di casa, la chiama 'zia' ricevendo in cambio un silenzioso sorriso, infine mi prende

sottobraccio con una confidenza che non gli ho mai concesso. Squadro il ragazzo,

magrissimo di quel magro senza muscoli, ottenuto solo con sciocche privazioni
volontarie. Il vestito di ottima fattura non nasconde le infelicit del suo corpo. Questo

un finto asceta, che ha sotto il sedere piatto una Maserati e una villa al Circeo. Mi

colpiscono solo gli occhi grigi, di un'intelligenza astiosa e violenta.

"Professore, un onore conoscerla per me. Mi chiamo Carlo, Carlo

Cappuccini." Corre a stringermi la mano, ha una stretta molle, appiccicaticcia. "Mi

avevano detto che forse non sarebbe venuto e me ne stavo rammaricando. Ci tenevo

cos tanto a conoscerla." Carlo mi disturba, il tipo di persona che non ti guarda mai

in viso e che rende fin troppo esplicite le proprie intenzioni. Posso prevedere con

estrema facilit dove l'argomento andr a parare.

"Sa, sto finendo l'Universit... ho letto tutti i suoi libri, su Boccaccio, sul

Petrarca, persino quel pamphlet contro d'Annunzio. La sua prosa a un che di sublime.

E naturalmente i suoi romanzi!"

"Grazie." rispondo, mentre un'altra fitta mi rovescia lo stomaco, lasciandomi

in bocca acidi e fiele.

"Mi hanno consigliato di fare un dottorato... Sa, professore, ne avessimo di

pi, di fini pensatori come lei. Che sappiano oltretutto ornare a un lucido cervello,

anche una certa bella presenza. Come nella migliore tradizione greco-romana della

kalokagathia." Cerco di ignorare il suo sguardo, di voltare la testa da un'altra parte,

come per un momentaneo giramento. La situazione imbarazzante, perch sono una

persona onesta, perch il ragazzo non mi piace, perch ho la sicurezza che stia

semplicemente giocando sporco. Le lusinghe distribuite al proprio ego fanno sempre

piacere, sentirsi desiderati anche se dall'ultimo dei reietti anche, perch so che alla

fine cedere agli istinti pi facile che obbedire alla razionalit, specialmente quando

Carlo si fa pi vicino.
"Pu chiamarmi in Dipartimento, dal luned al venerd, meglio nel

pomeriggio, quando non sto insegnando, cos potr espormi le sue idee per il progetto

di ricerca." Adesso lo guardo in volto, vedo il suo disappunto, il volto pare ancora pi

deformato per la rabbia. Avrei potuto indorare la pillola con una giustificazione, ma

non se lo merita.

"Tommaso, mi stavo appunto chiedendo dove fossi finito." Lucia mi mette una

mano grassoccia sulla spalla, con dolorosa intimit. Carlo ci guarda e se ne va, senza

dire niente.

"Ho interrotto qualcosa?"

"Ma che dici. Mi annoio." Allento la cravatta per permettere alla mia gola

l'illusione della libert. Non ne posso pi di questo ricevimento patinato, di confetti

azzurri e bianchi, fiocchi e chiacchiere vuote. Non me ne frega proprio niente del

battesimo del secondogenito dell'onorevole Cappuccini. Non che biasimi Lucia per

avermi costretto a venire. Lucia ha ragione, lo so. Bisogna coltivare i buoni rapporti,

non si pu sempre sputare in faccia alla societ senza aspettarsene conseguenze...in

fondo mi hanno chiesto solo di presenziare a questo balletto di buone maniere

borghesi.

Io non voglio appartenere a questo zoo, eppure non posso fare a meno di

sentirmi un animale abbandonato nell'ultima gabbia del circo. Mi afferra la mano. La

sua sudaticcia, la mia fredda e mortuaria. Sono grandi le sue mani, senza anelli.

Gioca con l'opale che porto al mignolo. Con premura mi fa strada per la bella terrazza,

quasi vuota. Ci avviciniamo alla ringhiera.

Il solo vedere uomini e donne andare e venire per Campo de' Fiori mi fa

sentire meglio: l c' vita che si invera. Chiudo gli occhi coprendomi il volto con le

mani. Lucia lascia che mi accasci addosso a lei.


"So che ti faccio sempre la predica, ma le medicine lasciate sul comodino

servono a poco, gioia mia." Come per magia dalla sua borsa spunta il flacone della

speranza.

"Grazie." Immagino i miei occhi liquidi mentre le parlo. Conto con avidit le

mie venti gocce sulla lingua. Sento la sua mano tra i miei capelli, a massaggiare lo

scalpo e il cervello.

come se a un tratto la testa si aprisse, leggera, i polmoni tornassero a

gonfiarsi d'aria e rivedessi una via d'uscita.

"Andiamo, dai." Mi prende per mano. Ci lasciamo alle spalle cori di finti

ringraziamenti, convenevoli preconfezionati, salmodie di "arrivederci", "buona

serata", "grazie di essere venuti". Prendiamo l'ascensore, quasi tutto occupato dalla

sua presenza giunonica. Si riavvia i capelli, ripassa il rossetto sulle labbra, stretto fra

le dita come un fucile carico. Mi incantano i suoi gesti riflessi allo specchio. Cos mi

accorgo in ritardo che i suoi occhi lucenti mi sono addosso, nello specchio vedo il

capriccio della sua bocca e mi preparo alla difesa. "Ti sei messo di nuovo a dieta?"

Non mi degno neppure di risponderle. "Guarda che se dimagrisci troppo ti riempi di

rughe." Mi dice, mentre tira fuori dalla borsetta i suoi occhiali da sole.

Una donna con un bel seno e dei bei fianchi bella perch donna, un uomo

con la pancetta solo un anziano. Questi, per, sono pensieri che mi tengo per me.

Spinge in avanti il portone del palazzo e poi si arresta, bloccandolo con la

schiena.

"Ma guarda se dopo dieci anni di fidanzamento ti devo ancora insegnare il

galateo!" gonfia le guance, si mette le mani sui fianchi. "Eh, quando eravamo giovani

almeno i fiori me li portavi!" Le alzo i grandi occhiali da sole rossi. Scoppiamo in una

risata prolungata, la sua voce risuona spettrale nell'atrio del palazzo gentilizio.
"Madame" le porgo il mio braccio, aiutandola a scendere i gradini. Mi lascia

con un gesto brusco, quasi si fosse dimenticata di qualcosa, rimane immobile, un

piede sui sampietrini e l'altro ancora sul gradino, manda indietro la lunga chioma

castana e liscia.

"Non mi portare nel bosco di sera ho paura del bosco di sera..." comincia a

canticchiare, le tendo la mano. La canzonetta lascia il posto a un valzer immaginario,

mentre tento di guidare i suoi passi a ritmo, in una selva di motorini e macchine.

"Hai impegni per cena?" le domando, appena riusciamo a recuperare un po' di

seriet.

"Di domenica sera? Scherzi? Se stai meglio, come mi sembra, sono tutta per

te, solo per te!" cinguetta allegra, mentre ci dirigiamo in piazza. Le ombre lunghe gi

la divorano, rendono i ragazzi sagome di cenere, alcuni giovani oziano scherzosi sotto

lo sguardo torvo di Giordano Bruno. Scherzano, ridono, forse fanno programmi per la

notte che incombe, stretti nei loro jeans e nelle magliette consunte dai colori

sgargianti e larghe scritte in una lingua che non conoscono. Li riconosci subito, i

ragazzi delle borgate, quando scendono in centro al sabato sera, per la loro

esagerazione, quell'irruenza allo stesso tempo violenta e bonaria. Loro e Carlo sono

fatti da due argille diverse, non c'entrano nulla con tutto quel mondo ai piani alti.

Saluto con uno sguardo d'odio la terrazza dalla quale io e la mia fidanzata

platonica ci stavamo affacciando poco fa: per fortuna l'altezza impedisce all'inutile

chiacchiericcio di arrivare fin gi. Non appartengo a quel mondo autoproclamatosi

celeste, dove al linguaggio inequivocabile dei corpi si sostituisce la doppiezza della

parola.

Lucia mi conduce verso via dei Giubbonari, dove la ressa si fa pi pressante.

La gente si spinge e si accalca, si ferma a chiacchierare, a mostrare gli ultimi acquisti.


Come fanno a essere felici? Se mi sottometto a questo ridicolo palcoscenico soltanto

per Lucia, per sentire la sua risata sguaiata, perch so che con lei posso acquietarmi

un po', a volte persino concedermi il lusso di pensare a velocit inferiore. Perch

neppure lei capace di prendere sul serio quel mondo ipocrita; allora sempre meglio

affrontarlo in due che farsi consumare da una sterile rabbia in solitudine.

" troppo presto per andare a cena, fammi vedere due vetrine." Ci

incamminiamo per la via, a braccetto come una coppia di fidanzati: la gente non pare

neppure fare caso a noi. All'improvviso si ferma di fronte a un negozio, mi stringe

forte il braccio.

"Che ne pensi di quella camicia?" picchiando sulla vetrina indica una camicia

maschile color carminio, con piccoli ricami blu. Non le chiedo per chi sia.

" elegante. Credo che me la metterei anche io." Mi ha colto di sorpresa. Di

solito i regali che sceglie per i suoi uomini sono vistosi, giovanili e dozzinali come lo

sono quei giovani amanti, volti di ventenni indistinguibili che non si fermano mai

troppo a lungo. Io e Lucia ci assomigliamo.

"Sei geloso che faccia regali al mio nuovo garon?" ride, la lingua schiocca

sulla parola 'garon', segno tangibile di un'abitudine tutta femminile agli eufemismi

che persino in lei dura a morire. "Sai, anche il tuo ragazzino non sarebbe male, se gli

dessi una ripulita. Dovresti fargli qualche regalo ogni tanto."

"Non sono sua madre." Rispondo seccato.

"Guarda che non stavo scherzando, davvero carino. E poi sembra una

persona a posto." Mi sta certo prendendo in giro, ovvio.

"Comunque, non voglio venire a sapere che frequenti certi posti. Non sono

adatti a una signora." Solo gli uomini possono scendere all'inferno.


"Dammi un'altra volta della signora e ti lascio uno stampo a cinque dita sul

viso. Per rassicurare il tuo istinto patriarcale, comunque, l'ho incontrato di giorno.

Lavora per un fornaio di via Ostiense. Comunque, si tu le veux savoir, il tuo Biondino

ha un nome."

"Non lo voglio sapere." Sa benissimo quanto mi d fastidio che invada la mia

vita privata. "E comunque non proprio il 'mio' qualcuno."

"Brunetto." si volge verso di me e tira fuori la lingua. "Un nome non proprio

azzeccato, per uno che biondo come un angelo."

"Mi meraviglio che tu ti ricordi la sua faccia, l'avrai visto due volte forse e

sempre di sera."

"Non scordo mai un bel culo e un bel pacco, specie quando si presentano

insieme, gioia mia." Con nonchalance tira fuori il bocchino dalla borsetta, me lo

passa, accende una centos e la infila nello strumento. Quando aspira cos, con la testa

lievemente inclinata, sembra una Marlene Dietrich di provincia. "E devo dire che

Brune' ben dotato."

"E tu che ci facevi fuori di casa all'ora in cui lavorano i fornai?"

"Anch'io ho i miei giri."

"Mi disturba che i tuoi amanti ti lascino girare da sola a quell'ora."

"E chi ti ha detto che fossi sola? Comunque apprezzo il tuo tentativo mal

riuscito di chevalerie".

"Ah dott!" Noto un'ombra cenciosa sulla scalinata di San Carlo ai Catinari, la

chiesa si proietta in avanti come un sepolcro.

"Compagno Farinata!" lo saluto, avvicinandomi. Lucia ha borbottato qualcosa

che non ho sentito.


Mi sorride con quella sua bocca guasta, i cui pochi denti neri rimangono

appesi per miracolo, poi mi saluta col pugno sinistro chiuso e ben alzato. Quando si

alza nel suo metro e novanta imponente. I quattro stracci che indossa nascondono un

corpo che deve essere stato possente, prima che il vino avesse la meglio su di lui.

"Vene daa sezzione?" mi chiede, inclinando il capo unto nella direzione della sezione

del PCI.

"No, passeggiavo con un'amica."

"Ecco, 'nfatti ho sonato, ma nun c'era nessuno, allora me so' messo qua a

rompe li cojoni ai preti." Sbiascia e sputazza. "Dott, ma ce crede che quer compagno

voleva per davvero fa' n'attentato?" Farinata rimasto sconvolto, chiss perch, dalla

tragica fine di Feltrinelli.

"Non molto, Farinata."

" corpa doo stato!" urla, alzandosi in piedi. "Lo stato canaja! Lo stato fascista

che ce vole morti a tutti! E quei cojoni de compagni nun so' manco 'rivati aa sede!

Mortacci loro! Me vojono pij ppe' fame!'

"Lo sai, la domenica vengono pi tardi." gli sorrido, allungandogli diecimila

lire. "Vai a farci cena, mentre aspetti quelli della sezione, cos ti scaldi."

"Tutt'a pecora dietro i tonaconi, artro che!" tuona con voce possente. "Lei,

per...Lei nun come l'altri, professo'! Lei 'o vede davero er mondo come noantri,

vero signo'?" grida a Lucia, che rimasta in disparte, con aria spazientita "Jo dica

pure lei, che deve da sta attento. Lei deve da sta attento!' mi guarda con gli occhi

sgranati. 'Nun cio volemo mica trov bbruciato a'n palo o sparato'n piazza!'

"Non ti preoccupare, Farinata. Stammi bene." lo saluto, voltandogli le spalle e

riprendendo Lucia sotto braccio.


"Non ti farai spaventare dalle farneticazioni di un povero mendicante?" Lucia

si deve essere accorta del mio braccio che, contro la mia volont, trema. "Dove

andiamo a cena?" Ha messo via il bocchino e adesso mastica insistentemente una

gomma americana dall'odore dolce e un po' nauseante.

"Dove vuoi, ma chrie." lei la buongustaia che si intende di cucina, per me

il cibo solo una necessit della quale non mi curo pi di tanto.

"Andiamo dal sor Gino a Trastevere, ho voglia di abbacchio fatto come si

deve."

"Vuoi passeggiare fin l o prendiamo la mia macchina?"

"Pensi che sia cos pigra? Guarda che riesco a camminare anche su un tacco

dodici, cosa credi?" scherza lei, mostrandomi l'alto tacco. "E poi non vorrai andare a

mangiare alle sette!" Attraversiamo la strada, lei che mi trascina tenendomi per mano,

correndo sui binari del tram, che si vede gi all'orizzonte. Mi volto d'istinto, attratto

dal rumore: un gruppo di ragazzi e ragazze dal tram canta a squarciagola stornelli

osceni, hanno le gote rosse, abbrustolite dal primo sole. I loro scherzi sono molesti per

tutti gli altri passeggeri, che reagiscono con bestemmie e male parole. Eppure saranno

tutti stipati l dentro per ancora qualche minuto e chiss per quanto lo sono stati.

"Ti sei incantato? Andiamo, su!" Lucia mi trascina dentro il ghetto, in un

labirinto di edere e palazzi dall'intonaco rovinato, panni stesi e odori di cucina.

"Quei poveretti sul tram...perch anche la domenica?"

"Si vede che sono andati a divertirsi da qualche parte. Non che li abbia

costretti nessuno a prendere i mezzi."

"La societ che non permette loro di comprarsi un'auto, non li obbliga alla gita

fuori porta." la mia seriet ritorna un sorriso bonario.


"Bada che alla fine il cuore non ti scoppi di compassione." la sua voce un

rimprovero canzonatorio, ma in fondo dolce. In piazza delle Cinque Scole alcuni

bambini giocano con un pallone consumato. I loro volti concentrati hanno una seriet

che niente ha da invidiare ai giocatori professionisti. Corrono, gridano, si insultano.

Uno di loro scatta in avanti, portando il pallone verso l'immaginaria area di rigore,

quando un compagno ne ferma la corsa con un calcio. Il bimbo cade per terra. Il suo

pianto bizzoso arriva qualche secondo dopo.

"Poverino." mi sfugge.

"Per una sbucciatura non mai morto nessuno." Ci facciamo deglutire in

silenzio dalla decadenza del portico d'Ottavia, che pare nascondere mille occhi nelle

sue crepe, triste di sporcizia e sterpaglie. Il Teatro Marcello ghigna dalle sue colonne:

nell'aria si sente gi il lezzo di fogna e di zolfo.

"Comincio ad avere fame." I nostri passi muti solcano velocemente il

lastricato come se il suolo bruciasse, mi sento imprigionato da una sensazione

stagnante di morte. Questa l'ora in cui il sole sta morendo e quella che riaccende il

desiderio, la voglia di un vivere senza speranza per sfuggire alla noia della notte. Ho

bisogno di sentirmi vivo nella notte. Ho bisogno di amare, prima che l'amore marcisca

nel mio cuore e imputridendo mi uccida.

Mi lascio guidare da Lucia su Ponte Sisto, si alzato il vento che sferza

l'acqua indaco del Tevere, che vomita via gli ultimi barlumi di tramonto. Lei corre

davanti a me, i lunghi capelli ondeggiano sul soprabito rosso, spavalda contro il

crepuscolo.

"Ma non sono Liviana e Corrado quei due?" mi chiede quando la raggiungo

dall'altra parte del ponte. Chi altri potrebbe essere con quel suo cappotto immacolato e

il sigaro toscano in bocca.


"Corrado!" richiamo la sua attenzione. Ci avviciniamo ai due, Liviana tiene

stretto il braccio del suo compagno come se lui potesse volare via. Corrado ed io ci

salutiamo con un cenno della mano, sicuri che smancerie e convenevoli possano

essere lasciati alle donne. Liviana ha uno sguardo triste mentre risponde alle domande

di cortesia di Lucia, non fa neppure il suo solito tentativo di avvicinarsi a me e

abbracciarmi (non che mi dispiaccia non doverle ricordare che non amo gli abbracci).

"Che fate da queste parti?" Liviana trema nel suo soprabito leggero che le

svolazza sopra l'ampia gonna.

"Eravamo a un ricevimento in Campo de' Fiori. E passavamo un po' di tempo

prima di andare a cena."

"Andiamo a prenderci un aperitivo?" Propone Lucia.

"Stavamo tornando a casa." Risponde Liviana, con la sua voce squillante.

"Magari potete accompagnarci per un pezzetto?" Mi chiedo ancora perch Corrado

non stia parlando, magari non si sente bene, di solito sono io quello di poche parole.

Restiamo a fare il gioco del silenzio, per un po'. Lucia si ferma di fronte a un bar.

"Devo comprarmi le sigarette." Corrado la segue, lasciando me e Liviana da

soli. La nostra 'piccolina', Liviana ha compiuto vent'anni quest'anno, la nostra amica

pi giovane, mi afferra il braccio, come se stesse perdendo l'equilibrio sui tacchetti.

"Che fortuna avervi incontrati." Mi sussurra all'orecchio, portando con s il

suo profumo dolcissimo di cipria e vaniglia. "Ci possiamo vedere una di queste sere,

Tommaso?"

"S, certo. Magari ti porto fuori a cena, non penso Corrado ne avr a male."

Liviana ha un tremito.

"Secondo te sono troppo appariscente?" Guardo il suo soprabito blu, dal quale

spunta la gonna lunga.


"Non direi proprio appariscente, sei un fiordaliso di campo." come se si

incrinasse, caccia indietro le lacrime.

"Tu sai quanto ami Corrado..." le porgo il mio fazzoletto, il rimmel comincia

gi a colarle dagli occhi.

"Avete litigato?"

" sempre nervoso... Credo che abbia problemi sul lavoro. Ti ha detto niente?"

"Come vedi mi ha a malapena salutato."

"Ma magari, altre volte..." scuoto la testa. L'ho sentito ieri al telefono e tutto

pareva come al solito.

"E poi deve anche partire per Milano, la prossima settimana...volevo andare

con lui, ma non posso, non posso, devo tornare a trovare la mia famiglia, il

compleanno di mia nonna..." la tenerezza del suo canto di uccellino mi marchia lo

stomaco.

"Fai bene, se quello che vuoi fare. Non credo che Corrado abbia problemi a

sopravvivere senza di te per qualche giorno." Appena Liviana apre le labbra lucide

per dirmi qualcosa, Corrado la prende nuovamente per un braccio. Dietro di lui,

Lucia, con l'ennesima sigaretta tra le labbra, mi fa cenno di andare.

"Dai, che se no poi non troviamo posto."

"Ci si vede presto." Mormoro, senza rivolgermi a nessuno dei due in

particolare. Con Lucia prendiamo un'altra strada, capisco che non ha voglia di fare un

metro di pi in loro compagnia.

"Che ti ha detto Liviana? Hanno litigato."

"Non esattamente quello che mi ha detto, ma..."

"Ma si vede. Non avevo mai visto Corrado cos immusonito."


"Io s, ma mai da quando sta con Liviana. Lei pensa che abbia problemi sul

lavoro, ma non quella la reazione. Se gli bocciano un articolo si attacca al telefono e

urla. E bestemmia. Poi sbatte il telefono in faccia al direttore. Chiama me e urla di

nuovo. Finisce che ce ne andiamo da qualche parte con lui che si fuma un pacchetto di

Toscani in una serata."

"E tu come al solito stai zitto e ascolti."

"Che gli dovrei dire? Che a volte scrive roba impublicabile? Non sto parlando

di censura, ma di italiano. Che non si capisce quello che vuol dire. A volte penso che

stia perdendo il tocco. La vecchiaia, ma non bene dirglielo quando arrabbiato."

"Dio, quanto sai essere velenoso!"

"Non che abbia problemi a dirglielo in faccia."

"Bastardo."

Quando arriviamo, il ristorante pieno, come praticamente ogni sera. Un

cameriere ci viene incontro, senza guardarci in faccia.

"C' da aspett parecchio." Non faccio in tempo a rispondere che possiamo

anche tornare pi tardi che Gino in persona si avvicina, con la lunga barba bianca.

"E 'llevate! Mortacci!" urla con la voce che raschia la sua gola e le mie

orecchie, scansando il malcapitato cameriere. "Nun vedi chi questo? Venga,

professore, che per lei e la sua amica c' sempre posto. Dottoressa." fa una grottesca

mezza riverenza a Lucia, che a stento si trattiene dal ridere.

"Allora, che dice, Sor Gino, ce la fa a trovarci un tavolo per stasera? Anche un

po' pi tardi."

"Ma vi pare che vi faccio aspetta'? Er mejo tavolo der ristorante vi do!" ci

accompagna furbescamente tra i clienti fino ad un tavolo appartato in un angolo.


Scosta la sedia a Lucia, con premura. Gli occhi neri del Sor Gino stasera sono gonfi e

venati di sangue.

"Professore, stasera siete ancora pi elegante. E anche lei dottoressa, ma lei

sempre la pi bella. A pparte mi moje, che se no quella me mena." Lucia sorride. "Me

fate passa' pure 'sta brutta allergia."

"Ci deve mettere molto collirio, Sor Gino, se no fa come gli altri anni, che non

le passa fino all'estate."

"S, dottoressa... grazie. Che vi porto da bere, intanto?"

"Il solito."

"Allora acqua e 'n quartino de vino della casa per la signora. Poi stasera ho 'n

abbacchio che la fine der monno. Sapete, quanno cucina mi moje..."

"Io prendo l'abbacchio, coi carciofi. Lo sa che mi piace l'agnello."

"Per me, invece, uno spaghetto al pomodoro. Per favore, Gino, una porzione

non troppo abbondante." L'oste scrive chino sul taccuino, con la sua mole che nulla ha

di rassicurante.

"Dottoressa, ma magna cos poco pure a casa er professore? Certo che se vede

che ce tiene alla linea, c'ha 'r fisico de 'n ragazzino." Lucia si mette la mano sulla

bocca, coprendo un sorriso. Aspettiamo che Gino se ne vada, scortando altri

avventori, poi ci lasciamo andare in una risata liberatoria.

"Dici che glielo dovremmo spiegare che non siamo una coppia?" mi domanda.

"Lasciagli le sue illusioni, che t'importa. Non c' peggior sordo..."

"Allora mi devo ricordare di non portare mai qui uno dei miei amici pi

focosi." Lucia mi fa l'occhiolino.

"Ma perch? Le storie di corna son sempre le pi succulente."


"Vorr dire che avr un peccato in pi per finire all'inferno." Scuote le spalle,

la luce giallognola della lampadina che ha dietro le illumina la testa, riflettendosi sui

capelli chiari come una sorta di aureola.

"Non mi ci vorrai mica lasciare da solo!"

"E poi hai ragione, il Paradiso dev'essere noioso, con tutte i suoi salmi e

gloria... Per chiss, qualche bell'angioletto con un posteriore un po' michelangiolesco

me lo prenderei volentieri." La sua battuta imbarazza il giovane cameriere che si

avvicina a portarci le bevande e che rischia quasi di rovesciare il vassoio. Guardo

questo ragazzo, avr diciott'anni al massimo, forse meno, la faccia ancora innocente,

ricoperta di brufoli, una massa informe di capelli scuri, tenuti pi o meno insieme con

il gel. Credo che il mio sguardo indugiato abbia peggiorato il suo imbarazzo. Posa la

brocca di vino e la bottiglia di naturale, poi si volta e se ne va, con l'andatura sgraziata

delle persone cresciute tutto d'un colpo. Mi dispiace d'averlo trattato male, quella sua

fragilit mi fa quasi tenerezza, che ti viene voglia di mettergli le mani tra i capelli

unti. Mi perdo, guardando il muro di fianco a me. Non avevo mai notato che le pareti

dell'osteria fossero cos scrostate: come se d'un tratto tutto l'ambiente fosse

diventato tetro. Forse sono solo stanco.

"Dove ti sei perso?" mi canzona Lucia, riportando su di s l'attenzione. Gino si

avvicina al nostro tavolo con una candela accesa in mano. Gli proietta strane ombre

sul viso, lo fa apparire mostruoso, deformato, con gli occhi di brace.

"Scommetto che tra npo' torna la luce," ci rassicura "anche se me sembra che

annata via dappertutto." Ci lascia la candela, che serve appena a rischiarare un po' i

nostri volti. Qualche avventore si accalcato fuori a cercare di capire che cosa stia

succedendo: in questi giorni di tensione anche un incidente cos banale porta sulla
bocca di qualcuno la parola terrorismo. Il buio fisico, per, non dovrebbe instillare

terrore.

"Adesso mi aspetto anche una torta con le candeline per il mio ennesimo non-

compleanno. E tu vedi di prestarmi un po' pi attenzione, che lo so che stai

macchinando qualcosa l dentro." si porta un dito alla fronte, picchiettando e cerca di

imitare quella che secondo lei deve essere la mia espressione.

"Ti giuro che non stavo pensando a niente."

"Si vabb, lo so io." risponde con aria sorniona. A volte penso che la prima a

essere ossessionata dal sesso sia proprio lei. "Parliamo di cose serie, piuttosto. Ho

letto che Lotta Continua ha convocato il congresso ad Aprile."

"Mi hanno chiesto di andarci per fare un intervento critico. Gli piace il lavoro

che faccio, anche se sono solo un professore. Lucia non crede alla mia falsa

modestia.

Comunque fai bene ad andare, sono l'unico movimento che, secondo me,

faccia ancora una politica vera, di cuore, fuori dalle logiche del Potere." commenta.

Senti Liviana se vuole venire con te, le farebbe piacere.

"Quando si molto giovani facile far politica cos." commento. Ma anche

loro cresceranno e sar la fine. Sto per aggiungere che bisogna essere quasi essere

mitologici per non farsi corrompere dal Potere, dalla disillusione, dal compromesso,

quando Lucia mi ferma:

"Risparmiami una delle tue paternali, per favore. Te l'ho gi detto che stai

invecchiando male, s?" eppure mentre mi rimprovera, sfiora il dorso della mia mano

con le sue dita e le sfugge un sorriso.

"Noi non eravamo cos."


"Noi siamo stati giovani quando c'era la guerra. Per fortuna che loro non sono

come noi." Sbuffo. Ho bisogno di far riposare il cervello. Arrivano i nostri ordini e

con perfetto tempismo torna anche la luce.

"Odio non vedere cos'ho nel mio piatto, meno male che tornata la luce."

Lucia si appresta a spolpare minuziosamente il suo abbacchio, con la pazienza da

chirurgo che ha. "Vuoi assaggiare?"

"No, grazie." Affondo annoiato la forchetta nel piatto, non ho fame. Lucia si

porta un boccone alla bocca, mastica lentamente, con gusto, poi si blocca e mi guarda.

A volte si incanta cos, quasi si divertisse a contarmi le rughe, o come prendesse la

mira per dire qualcosa che riuscir a colpirmi, in bene o in male.

"Non hai mai paura di morire da solo?" mi chiede, seguendo un suo corso di

pensieri che, a vedere il pezzo di bestia morta che ha nel piatto, mi pare grottesco.

" difficile che si muoia in compagnia, in ogni caso." rido, per scacciare i miei

pensieri neri.

"Ho paura che...a volte il tuo scappare sia paura di avere una relazione."

"Di' la verit, da prima che mi volevi fare un bel discorsetto moralistico;

vorrei ricordarti, per, che venendo da te assume piuttosto le connotazioni di uno

scherzo."

"Tommaso" Lucia non mi chiama mai per nome, se non quando in collera

"non da te sbattermi la porta in faccia in questo modo."

"Ho te per le mie esigenze affettive, per il resto meglio un bel corpo da

comprare per un'ora." Sbatte le posate, facendo traballare il tavolino e macchiando la

tovaglia dozzinale.

"Almeno le mie relazioni non durano il fiat di un'eiaculazione!" urla, facendo

tremare il tavolino. Sono sicuro che abbiamo avuto gli occhi di tutto il ristorante
addosso per qualche secondo. Se solo prestassi ascolto, potrei sentire i commenti

imbarazzati dai tavoli vicini. Ecco, almeno gli altri avventori avranno qualcosa da

raccontare agli amici, con fare scandalizzato.

Lucia si concentra sul piatto, anche se schiuma di rabbia. Lo so che a volte mi

spingo troppo in l persino per lei, che in fondo donna e per quanto libera certe cose

non arriva proprio a capirle. proprio stuzzicarla fino a farla scoppiare che mi fa

divertire, so che con lei posso farlo, che dopo qualche minuto tutto torna a posto.

Essere donne deve essere bello per questo auto-inganno del mito dell'amore, per

pensare che comunque l'uomo giusto prima o poi arriver. Sono romantiche e forse

per questo che un po' le invidio. Ma non invidio la loro fragilit infinita. Finiamo di

cenare su discorsi futili.

"Mi riaccompagni a casa?" mi chiede, quando abbiamo saldato il conto.

"Certamente." la prendo nuovamente sotto braccio, ma lei si allontana con uno

scarto. arrabbiata?

"A volte penso che dovresti soltanto trovare la persona giusta."

Non facciamo una scenata sulla pubblica via, per favore. evito di

riavvicinarmi, non sarebbe la prima volta che mi allunga uno schiaffo solo perch si

innervosita. Si accende unaltra sigaretta dal suo assurdo bocchino.

Io non faccio scenate, sei tu che ti rifiuti di affrontare largomento. mi soffia

il fumo in faccia.

"Ne abbiamo gi parlato, non mi interessa. non riesco a mantenere un tono

pacato, sono stanco delle solite discussioni. Lucia dovrebbe capire che non mia

madre, non ha nessun diritto di preoccuparsi per la mia vita. I miei affetti sono altro

dalla mia vita sessuale." Accelero il passo verso la macchina, senza curarmi che lei

rimanga indietro.
"Non una cosa sana, non sana per niente!" mi urla, agguantandomi per un

braccio. Sai che c? Vivi da dissociato. E lo fai perch hai paura, hai paura di

rapportarti agli altri, sia mai che ti feriscano. la sua voce almeno tornata a un tono

normale. Dovresti cercare di lasciarti i tuoi traumi alle spalle. E poi ho un po paura

che in fondo tu ancora non ti accetti, che il tuo inconscio

"Freud senz'altro ti darebbe ragione. sbuffo. Non voglio sentire la sua

psicanalisi da rivista femminile, mi concentro nel frugare le mie tasche alla ricerca

delle chiavi, nellaprire lo sportello. Sai qual il difetto della tua bellissima analisi?

Che a me va bene cos." e con questo spero di aver chiuso largomento per i prossimi

giorni a venire. I discorsetti di Lucia sono ciclici come una mestruazione. Sale in

macchina, si sistema sul seggiolino.

Hai di nuovo lavato la macchina. commenta, sniffando rumorosamente.

Lo sai, mi piace che le mie cose siano a posto.

Se un giorno vuoi lavare anche la mia ride. Non ci parliamo pi, la

osservo di sfuggita mentre tira fuori lo specchietto e si ripassa il trucco.

"Tommaso mi chiama quando siamo quasi sotto casa sua per non hai

detto 'sto bene cos'."

"Ci conosciamo abbastanza da non sentire il bisogno di raccontarci bugie." le

sorrido.

"Ci vediamo domani a casa mia?"

"Certo, ora di cena. Poi decidiamo che film andare a vedere."

"Stavolta tocca a te proporre. So gi che mi annoier a morte."

"A forza di sacrifici quindicinali, ti guadagnerai davvero uno di quegli angeli

di cui parlavamo prima." Sul portone di casa mi stringe forte per un momento di
troppo, baciandomi entrambe le guance. "Ci vediamo domani, eh, domani, non fra tre

mesi."

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