rso questi omicidi non mai puramente naturale e spontaneo.
Esso dipende da un com
plesso macchinario (storico, politico, mediatico eccetera). Che si tratti di ris posta o di reazion e psicologica, politica, poliziesca o militare, bisogna arren dersi a un'evidenza - allo stesso tempo qualitativa e quantitativa: per l'Europa , per gli Stati Uni ti, per i loro media, per la loro opinione pubblica, delle c arneficine quantitat ivamente comparabili o anche superiori in numero, siano ess e dirette o indirette , non producono mai uno sconvolgimento cos intenso quando s i producono fuori dall o spazio europeo o americano (Cambogia, Ruanda, Palestina , Iraq eccetera). Quell o che "sembra" nuovo e major, non nemmeno l'arma utilizzat a: degli aerei che distr uggono palazzi pieni di civili. Non c' nessun bisogno di ritornare, ahim, a tutti i bombardamenti della seconda guerra mondiale, a Hirosh ima e Nagasaki, per trova re tanti altri esempi. Il meno che si possa dire di qu este aggressioni che, da u n punto di vista quantitativo, le loro dimensioni non sono state inferiori a que lle dell'11 settembre. E gli Stati Uniti non sono semp re stati, diciamolo pure con un "understatement", dalla parte delle vittime. Bis ogna dunque cercare altre spiegazioni, sensate e "qualitative". Innanzitutto, ch e si sia o meno alleati degli Stati Uniti, che si approvi o meno ci che c' di p i c ontinuo, di pi costante nella politica degli Stati Uniti da un'amministrazione al l'altra, nessuno contester, penso, un fatto massiccio che determina l'orizzonte d el mondo fin da quella che viene chiamata la fine della Guerra fredda (dovremo rei n terpretare incessantemente questa cosa, la cosiddetta fine della Guerra fredda, d a pi punti di vista, e lo far tra poco; ma per il momento mi permetta di ricordare soltanto che l'11 settembre ancora per molti aspetti un effetto ritardato della G uerra fredda, ancora prima della sua fine, e dei tempi in cui gli Stati Uniti sos t enevano, armandoli e addestrandoli, per esempio in Afghanistan, ma non solamen te , i nemici dell'Urss che ora diventano i loro). Qual questo fatto massiccio? Dal la fine della Guerra fredda quello che possiamo chiamare l'ordine mondiale, ne lla sua relativa e precaria stabilit, dipende in larga parte dalla solidit e dall' affi dabilit, dal "credito", della potenza americana. Su tutti i piani: economico , tec nologico, militare, mediatico, e anche su quello della logica discorsiva, dell'a ssiomatica che universalmente difende la retorica giuridica o diplomatica, e dun que il diritto mondiale, anche l dove gli Stati Uniti lo violano senza smettere d i farsene i campioni. Quindi rendere fragile questa superpotenza, che gioca se n on altro il ruolo di tutore dell'ordine mondiale, significa rischiare di render e f ragile il mondo intero, ivi compresi i nemici dichiarati degli Stati Uniti. Che cos' minacciato allora? Non solamente un gran numero di forze, di poteri, di cose che dipendono, anche presso i pi agguerriti avversari degli Stati Uniti, dal l'or dine pi o meno assicurato da questa superpotenza; anche, e "ancor pi radicalm ente" (vorrei sottolineare questo punto), il sistema di interpretazione, l'assio matic a, la logica, la retorica, i concetti e le valutazioni che si crede permet tano d i "comprendere" e di spiegare proprio una cosa come l'11 settembre. Sto par lando d i tutto il discorso che si trova "accreditato" in maniera prevalente, ma ssiccia, egemonica, nello spazio pubblico mondiale. Ci che cos legittimato attrave rso il s istema prevalente (l'insieme costituito dall'opinione pubblica, i media , la reto rica dei politici e la presunta autorit di tutti coloro i quali, second o meccanis mi di tipo diverso, hanno la parola o prendono la parola nello spazio pubblico) sono le norme implicite in tutte le espressioni apparentemente sensat e che si po ssono creare con il lessico della violenza, dell'aggressione, del cr imine, della guerra e del terrorismo, con la supposta differenza tra la guerra e il terroris mo, tra terrorismo nazionale e internazionale, terrorismo di Stato o non di Stat o, con il rispetto per la sovranit, del territorio nazionale eccete ra. E allora, mai possibile che ci che stato toccato, ferito, traumatizzato da qu esto doppio "c rash" sia solamente questo o quello, cosa o chi, degli edifici, delle strutture urba ne o strategiche, dei simboli della potenza politica, militare e capitalistica, un considerevole numero di persone di ogni origine che vive su u n territorio che non stato toccato da tanto tempo? No, chiaro che non "solamente " questo, ma piu ttosto, attraverso di esso, l'apparato concettuale, semantico, ermeneutico che i n teoria avrebbe potuto permettere di veder arrivare, comprend ere, interpretare, descrivere, parlare, nominare l'11 settembre - e cos facendo di neutralizzare il t rauma, di attenuarlo attraverso l'elaborazione del lutto. Quest o pu sembrare astrat to e sin troppo fiducioso in ci che appare come una semplice attivit concettuale o discorsiva, una questione relativa alla conoscenza; in effe tti, come se mi acco ntentassi di dire: ci che vi di terribile nell'11 settembre, c i che rimane infinito i questa ferita, che non si "sa" che cos', non la si sa n desc ivere, n identificare e neanche nominare. Ed proprio quello che voglio affermare. Ma per poter dimost rare che questo orizzonte di non-conoscenza, ovvero questo non-orizzonte di cono scenza (l'impotenza a comprendere, conoscere, riconoscere, identificare, nominar e, descrivere, prevedere) tutto meno che astratto e ideal istico, bisogna che dic a di pi. E anche in maniera pi concreta. Lo far dunque in " tre tempi": "due volte" in riferimento a ci che abbiamo chiamato Guerra fredda, la f ine della Guerra fredda, o l'equilibrio del terrore. Questi tre te mpi, queste tre serie di arg