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INCONTRO CON UN UOMO STRAORDINARIO - 23

tratto dal blog http://ilgrandeignoto.blogspot.com di Angelo Ciccarella

1.
Scandurra era un modificatore di universi. Sembra un'espressione a dir poco azzardata, quasi si
trattasse di un essere divino, titanico. Invece, dopo anni di frequentazione e di esperienze, il maestro
faceva sembrare facile, semplice, ordinario lo straordinario; il bello era che te lo faceva vivere,
provare. Allora, ci dimostrava che in un angolo angusto del nostro mondo interiore, poco frequentato,
in profondità ma attingibile, vi era un quid di potenza ignoto a tutti. [Il Grande Ignoto, in pratica,
eravamo noi, in quanto esseri umani ignari di possedere le leve dell'universo: le spolette.]
Modificare universi, significava operare incessantemente tra più dimensioni al fine di restaurare un
ordine là dove esso era in pericolo. Ma a che tipo di ordine alludeva Scandurra?
Ci raccontava che gli atlantidi avevano scoperto una singolare instabilità dell'universo, che
comportava la progressiva e inesorabile fine di ogni forma di vita. L'accrescimento dell'instabilità in
rapporto alla deformazione del continuum spazio-temporale, produceva una collisione tra universi
tangenti dalle conseguenze inimmaginabili, e tutto questo avveniva in una unità-tempo ben precisa:
un centesimo di secondo.
Più volte ho accennato alla tesi del maestro sulla scomparsa del mitico continente. Ebbene, Atlantide
scomparve, frapponendosi tra la nostra e un'altra dimensione. Ora, tutto accadde, allorché le fazioni
contrapposte del Regno di Atlantide, sembravano contendersi il potere politico. In realtà, non di
poltrone parliamo. L'una, voleva salvaguardare l'equilibrio cosmico tentando di ripristinare l'instabilità
entro limiti accettabili; l'altra fazione, contro ogni umano sentire, si adoperava per incrementare
l'instabilità, così da anticipare la fine dell'universo.
A tal fine, i maghi neri (o i loro referenti ibridi, i saturniani) avevano costruito delle cosmonavi capaci di
apportare entropia laddove erano destinate, soprattutto nei pressi delle cosiddette botole sul baratro
senza fondo. Interrogammo il maestro sulle motivazioni che spingevano degli esseri umani come noi,
sebbene evolutissimi scientificamente, a voler distruggere l'universo. La sua risposta era più o meno
questa:
“Il male è un parassita molto tenace, distrugge solidità e bellezza della creazione e tutto ciò che è
fertile, e vi lascia solo macerie. A certi livelli di conoscenza, l'essere, a qualsiasi universo appartenga,
diventa folle e il suo delirio, la sua febbre, possono essere attenuati soltanto distruggendo tutto. Egli è
spinto da una necessità indomabile di vuoto; è come sentirsi un dio inverso. Si guarda, infine, negli
occhi Dio...”
Lo scontro fu così feroce, da portare l'intera Civiltà Umana sull'orlo dell'autodistruzione. I 'bianchi',
onde limitare le conseguenze disastrose in cui si veniva a trovare il pianeta, che fecero? Sacrificarono
Atlantide, facendola trasferire in blocco sulla linea di confine tra gli universi, in una sorta di stasi
dimensionale. Evitarono così la distruzione della Terra. Tuttavia non riuscirono a neutralizzare
completamente le forze sinistre. Infatti, i 'neri' si salvarono in buona parte, rimanendo su questo piano,
con tutte le cosmonavi e annessi. Come fecero, è un'altra storia. Ma ne riparleremo.

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2.
Scandurra mi aveva mostrato una nuova condizione dell'essere, un incoraggiamento al suo credo
nell'Universo Magico, per cui era necessaria una completa rivalutazione della conoscenza del mondo.
Ho rinunciato, e questo già nei primi anni settanta, al tentativo di spiegare, di cercare risposte in
termini di causa ed effetto e previsione. Mi sono lasciato dietro la struttura pragmatica tipica del
pensiero occidentale votata alla ricerca di risultati, vantaggi e domande da porre. Ho mutato tutto il
mio modo di concepire i fatti.
Ognuno di noi sa tutto di qualcosa. Ci sono fisici che studiano il caos attraverso intricate formule
matematiche e lambiccati modelli, cercando di capire se è possibile che “il battito d'ali di una farfalla a
Los Angeles provochi un uragano a New York”, interpreti della teoria delle catastrofi, seguaci
clandestini delle sinuose rappresentazioni dei frattali. Tutta gente che ricerca un criterio alternativo di
razionalità nella disarmante irregolarità dell'universo.
Il mio maestro Scandurra, già titolare di una bottega di frutta e verdura nella Viterbo anni settanta
(questi i suoi titoli accademici), dal canto suo, decifrava l'amorfo del contingente, l'arbitrio del casuale,
attraverso una percezione a priori, e lo tramutava in una struttura intellettuale dominata da vincolanti
criteri di necessità. Scandurra era la prova vivente della possibilità di un principio ordinatore del
cosmo, che tutto il reale è razionale in un modo speciale, che ci sono sintesi a priori del tutto
incommensurabili.
Per lui, passare da una dimensione all'altra, era come salire sulla scala mobile di un grande
magazzino. Utilizzava, infatti, il passaggio automatico di trasferimento che permetteva di infrangere la
linea di separazione tra gli Universi. Una botola, praticamente, verso il FOSSO SENZA FONDO che
crea i confini del Cosmo.
Il concetto di universo parallelo sembra oggi tornato di moda [scrivevo questo il 1973], anche presso
autorevoli fisici e matematici. Nel nostro ambiente poi, è pane quotidiano. Non c'è ufologo, contattista,
medium, che non offra la sua versione esplicativa su tale teoria. Di cosa stiamo parlando? Si tratta
dell'esistenza, vera o presunta, parallelamente al nostro universo sensibile percettivo, ma secondo
modalità analoghe di manifestazione, di altri universi sensibili. Queste regioni normalmente si trovano
tagliate fuori, indipendenti dal nostro universo, ma possono talvolta interferire con il nostro. Scandurra
è quel “talvolta”. L'idea di universo parallelo presuppone dunque quella di separazione tra due sfere
percettive, ma anche quella di passaggi occasionali da una sfera all'altra. Tra gli universi paralleli
esiste solamente un'interazione debole.

3.
Scandurra indicava nell'anno 2012 l'apertura di un Varco cosmico, che avrebbe interessato l'intera
galassia. Tutti noi dell'anonima, gli chiedevamo ulteriori informazioni e, soprattutto, cosa avremmo
dovuto e potuto fare. Su questo evento, in preparazione di tale cosmico cambiamento, vertevano le
nostre immersioni interdimensionali. Zac era tra noi, il più esperto in fatto di viaggi, ma la sua
reticenza ci indignava alquanto. Tuttavia ce ne dovevamo fare una ragione, perché lui obbediva ad
una consegna.
Frequentando Zac anche in ambiti diversi dalla bottega, mi resi ben presto conto che stava

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cambiando. Questo suo mutamento riguardava sia l'aspetto fisico che quello interiore. Il suo sguardo,
poi, era lontanissimo. Da qualche battuta che Zac si concedeva intorno ad un tavolo imbandito di ogni
ben di Dio (nota era la sua passione per la buona cucina), emergeva uno status nuovo, che la sua vita
principale non era più di questo pianeta. In chissà quali mondi passava buona parte del tempo
speciale (diverso e dilatato rispetto alla nostra dimensione). Compresi che l'esperienza IVI (sigla che
sta per immersione varchi interdimensionali, coniata dal nostro sodale tecnico-scientifico) coinvolgeva
a tal punto il viaggiatore da trasformarlo sin nel profondo, DNA memoria intelligenza volontà, tutto
cambiava.

VERSO LO SCALO INTERDIMENSIONALE


Decisi di ritornare sui miei passi e dirigermi verso la cittadella, con un semplice atto di volontà. Mi
allontanai dal grande orologio, la sala comandi, fino alla sfera cangiante, abbassando le braccia e
come un mirage a geometria variabile, atterrai in piedi sulla riva. Ebbi la forte sensazione che era il
paesaggio a muoversi e non io a volare. Comunque, il globo luminoso si allontanò, ma sarebbe
meglio dire, si smaterializzò; mi girai e di fronte a me, con quel muso da topo, stava il grosso roditore.
Mi prese un colpo. Non me lo aspettavo. Mangiucchiava non so cosa e mi guardava. E se mi avesse
parlato? Avrei sicuramente avuto la convinzione di vivere in un sogno acido. Invece se ne stava buono
buono a masticare. Tentai un approccio amichevole, allungando la mano verso il suo capoccione.
Pessima idea: digrignò i denti giallastri e mi sfiatò addosso del vapore grigio. Il suo fiato denunciava
pasti pesanti: una cloaca di gas mi colpì. Certo, gli animali nei romanzi fantastici avevano ben altri
aspetti, comportamenti e profumi. Continuava a fissarmi. Cambiai strategia. Agitai le mani per tentare
di spaventarlo. Niente. Mi rivolsi al topolone con voce decisa:
“Che dobbiamo fare? Io devo andare lassù, in quella cittadella, tu che vuoi da me? Sono grosso da
mangiare, vengo dalla Terra del sistema solare e non ti piacerei.”
Così avrebbe parlato un eroe in un qualunque romanzo di fantascienza anni quaranta. Sarà stato il
mio tono scocciato, oppure la mia provenienza, il topolone si girò, inoltrandosi poi nel bosco.
Cominciavo a sentirmi più a mio agio. Non c'era ostilità su quel mondo. Tutto ciò che è nuovo crea
disagio.
Uscii dal boschetto e guardai affascinato la splendida cittadella, aggrappata su quel picco. Stava lì, la
magica cittadella, davanti a me. Una enorme porta trapezoidale preannunciava ricchezze
architettoniche, artistiche, inimmaginabili. Difficile capire di cosa fosse fatta. Granito luccicante
azzurro, levigato. Quello che però mi disorientò, era la mancanza di vita, o almeno all'apparenza.
Colossale, alta 35/40metri, la oltrepassai con una certa apprensione.
I palazzi sembravano fatti da mani umane, ma con una visione diversa, come dire, una altra
possibilità costruttiva. Le forme erano diversificate fino a non distinguerle affatto: cubi piramidi sfere e
altri volumi, su una medesima struttura e collegate da pontili da mozza fiato. Gli sfavillanti colori si
fondevano benissimo, con sfumature che non avevano una ragione, o non la percepivo io. Era, la mia,
una visione globalizzante, un grandangolo psichico che abbracciava buona parte della città. Mille
stradine, vicoli, rampe che si slanciavano verso i piani alti dei palazzi, il tutto aveva una sua
dimensione organica, un'alveare urbano non asfissiante sebbene intrigato, collegato.

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Ecco, la definizione della cittadella: un tutto collegato armonico.
Mentre guardavo affascinato, qualcuno mi diede un colpetto sulla spalla destra, mi girai di scatto
perché pur con la mia nuova capacità onnipercettiva, non lo avevo visto. Un giovane uomo (umano?),
dalla corporatura robusta, slanciato, belloccio, dall'incarnato rosa, occhi blu e capelli lunghi nerissimi
che portava all'indietro, con un vestito all'inglese, mi sorrise e con fare cortese si rivolse a me:
“Faccio gli onori di casa. Mi chiamo Roberto Castelli Fornasieri, sto qui da alcuni anni terrestri. Sono
un trasferitore. Sono ben contento di esserti di aiuto.”
Non avevo capito molto. Fornasieri, trasferitore... traccheggiavo. Non riuscivo a rispondergli. Stavo
facendo una figuraccia. Pure da maleducato, sarei passato. Presi fiato e improvvisai una possibile
risposta: “Roberto, grazie della tua cortesia. Angelo è il mio nome. Mi aspettavi?”
“Non preoccuparti. Tra spirito e sensi si innesta un nuovo equilibrio. Sei ancora in rodaggio. È
accaduto a tutti quelli di passaggio. La prima volta è così. Ti attendevo. Scandurra mi aveva avvertito
9 anni fa del tuo arrivo.”
Nove anni fa avevo cinque anni e non mi ero ancora trasferito con la famiglia a Viterbo. Ma perché mi
stupivo ancora? Parlavo con un trasferitore di origine terrestre, che somigliava ad un modello dell'alta
moda, in uno scalo interdimensionale. Che problema c'era? IVI.

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