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ITALIANISTICA
Rivista
di letteratura italiana

ANNO XXXVIII N. 1
GENNAIO/APRILE 2009

estr atto

PISA ROMA
FABRIZIO SERRA EDITORE
MMIX
ITALIANISTICA
Rivista
di letteratura italiana
Periodico quadrimestrale diretto da
Davide De Camilli, Bruno Porcelli
*
Comitato di consulenza:
Johannes Bartuschat, Lucia Battaglia Ricci, Lina Bolzoni,
Maria Cristina Cabani, Alberto Casadei, Marcello Ciccuto,
Guglielmo Gorni, Franois Livi, Martin McLaughlin, Cristina Montagnani,
Emilio Pasquini, Lino Pertilei, Michelangelo Picone ,
Gianvito Resta, Luigi Surdich
*
Redazione:
Ida Campeggiani, Alberto Casadei, Marcello Ciccuto,
Maiko Favaro, Eugenio Refini
*
Inviare i dattiloscritti e i volumi per recensione, omaggio o cambio a
Italianistica, presso Dipartimento di Studi Italianistici, Facolt di Lingue,
Via dei Mille 15, i 56126 Pisa, tel. e fax **39 050 553088
*
Italianistica is a Peer-Reviewed Journal
LITALIA DI LEOPARDI
FRA ANTROPOLOGIA E STORIA (1818-1824)
Nicola Feo

O ggetto di questo studio la riflessione che Leopardi dedica al tema della patria
nel periodo compreso fra il 1818 e il 1824.1 In questi anni si registra infatti il distac-
co da una prospettiva fondata sulla concezione della nazione come comunit naturale,
di cui si enfatizzano gli elementi ascrittivi di inalterata continuit antropologica con il
passato e il cui diretto modello di riferimento costituito dallantichit classica,2 a fa-
vore del progressivo consolidarsi di una disponibilit realistica e pragmatica rivolta alla
societ italiana, di cui il Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani costituisce
il punto darrivo e la sede privilegiata.3 In questo scritto, a tale penchant pragmatico e
operativo si connette in maniera organica un approfondito impegno di definizione del-
le specifiche condizioni storiche dellItalia moderna, motivato appunto dallesigenza di
verificare in unottica costruttiva le effettive possibilit di attuazione di un programma
di riforma civile alieno da nostalgie politicamente improduttive e da un utopismo pu-
ramente astratto. Il Discorso dunque andr letto non come un episodio isolato e im-
provviso nella produzione di Leopardi, ma come il frutto maturo di un lungo processo
di riflessione, che si innesta sul tronco di uninesausta passione patriottica di cui trovia-
mo traccia fin dai testi giovanili.
Lo scarto anche notevole a cui il patriottismo di Leopardi soggetto nel corso della
sua evoluzione si verifica infatti non a livello dei grandi principi filosofici, tendenzial-
mente stabili in tutto il periodo di cui trattiamo, ma essenzialmente sul terreno della
concreta progettualit politica, entro cui si manifesta una sempre maggiore consape-
volezza della necessit di ricercare soluzioni calibrate in relazione agli specifici contesti
storici e geografici a cui sono indirizzate. I due momenti appena richiamati, specula-
zione filosofica e prassi politica, non restano comunque separati e incomunicanti, ma

1 Lindicazione del 1824 come data corrispondente al traguardo finale della nostra indagine si appoggia
evidentemente alla congettura formulata da Dondero sulla composizione del Discorso sopra lo stato presente dei
costumi deglItaliani fra la primavera e lestate di quellanno. Cfr. M. Dondero, Leopardi e gli Italiani. Ricerche sul
Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani, Napoli, Liguori, 2000, pp. 13-36. Naturalmente sono a
conoscenza anche di unipotesi alternativa riguardo alla datazione del Discorso, ossia quella di Savarese che
propone gli anni 1826-1827; tuttavia mi pare che ci che rileva dal punto di vista critico se non da quello filologico
sia non tanto il momento della stesura materiale del testo, quanto quello della sua concezione generale, che
come sembra ammettere lo stesso Savarese risalirebbe proprio al 1824. Dunque, quanto meno sotto il profilo
ideologico, a mio avviso il Discorso appartiene alla fase precedente allo spartiacque canonico segnato dal Dialogo
della Natura e di un Islandese.
2 Posso anticipare fin da ora come ulteriore motivo di interesse la presenza di numerosi punti di tangenza
ravvisabili nei testi datati 1818 con lidea di nazione elaborata dagli intellettuali del Risorgimento (talvolta
sorprendenti soprattutto per chi lo pensi come del tutto estraneo a quella cultura politica) cos come stata rico-
struita in un noto volume di Banti, come, p. es., il riconoscimento di unoriginaria base naturalistica, lidentifi-
cazione di un particolare carattere antropologico, lassimilazione del vincolo patriottico ad un nesso parentale, il
trasferimento di categorie di origine religiosa nel linguaggio politico eccetera. Cfr. A. M. Banti, La nazione del
Risorgimento. Parentela, santit e onore alle origini dellItalia unita, Torino, Einaudi, 2000.
3 Latteggiamento pragmatico e positivo del Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani stato
giustamente segnalato da M. Santagata, Quella celeste naturalezza. Le canzoni e gli idilli di Leopardi, Bologna, il Mu-
lino, 1994, p. 11.
italianistica xxxviii 1 2009
34 Nicola Feo
mantengono un rapporto di tensione reciproca, senza perdere la rispettiva autonomia:
il primo non si risolve cio completamente nel secondo, cos che le soluzioni di com-
promesso, quandanche obbligate, non ne escono alla fine pienamente giustificate, con-
sentendo allo sguardo di Leopardi di conservare tutta la sua originaria carica critica.1

UnItalia antropologica
Tenendo presenti queste premesse, possibile avviare la ricognizione dellitinerario
compiuto dallideologia patriottica di Leopardi. In deroga ai limiti cronologici indicati
allinizio, penso sia opportuno cominciare con alcuni cenni relativi ad un testo giovani-
le, lorazione AglItaliani per la liberazione del Piceno, composta nel 1815, e quindi
appartenente ad una stagione in larga misura estranea a quella del Leopardi maturo. Il
testo tuttavia merita almeno qualche parola, in quanto in esso gi emerge la segnala-
zione di alcuni limiti peculiari dellItalia contemporanea che mi sembrano rimanere
sostanzialmente immutati addirittura fino ai Paralipomeni della Batracomiomachia. Allu-
do alla condizione di sovranit limitata, ossia di scarsa autonomia internazionale del
Paese, che nellorazione viene ricondotta ad un carattere di passivit e inerzia proprio
degli Italiani, incapaci di liberarsi da soli dai tirannici usurpatori francesi:
arrossisco in confessarlo, se falangi straniere non venivano in nostro soccorso, il tiranno invec-
chiava in mezzo a una folla di schiavi. Uomini indegni, impinguati nel disordine, anelanti alla
rapina, vili e ributtanti nei pericoli, elevati ai supremi ranghi per aver saputo superare ogni senti-
mento di onore e aver traditi glinteressi della patria e del legittimo sovrano, passeggiavano colla
fronte sicura per la pi bella provincia della Italia e imponevano coi loro grossolani talenti agli spiriti
pi colti.2
Nel testo non si approfondiscono pi di tanto le ragioni delle condizione di scarsa reat-
tivit degli Italiani, non si precisa cio se essa dipenda da fattori storico-culturali o an-
tropologico-climatici; ma ci che importa rilevare la precoce consapevolezza dellin-
capacit del popolo italiano di porsi come soggetto della propria storia, che risulta
determinata in negativo o in positivo dallintervento delle potenze straniere, appunto
come nei Paralipomeni della Batracomiomachia in relazione allaffermazione militare del-
le truppe dei granchi reazionari. Anche se Leopardi, sotto linflusso dellideologia assi-
milata in famiglia, nel 1815 si dichiara alla fine conciliato con gli assetti politici vigenti,
esaltando la pace della Restaurazione e lopera paternalisticamente protettrice dei prin-
cipi legittimi, quel precedente sembra comunque porsi come un segnale preoccupante
per la vitalit interna dellItalia, perch egli, come risulter dalle pagine dello Zibaldone
di diversi anni dopo, considera lautonomia politica e militare come un fattore essen-
ziale per il costituirsi di uno Stato nazionale.
Analogamente, nei Paralipomeni della Batracomiomachia la terribile risposta dei topi
trapassati alla domanda del conte Leccafondi sulle possibilit di un aiuto da parte di
qualche nazione straniera (in particolare da parte della Francia di Luigi Filippo) pu es-
sere intesa in relazione a questo problema:

1 Estendendo il ragionamento dalle considerazioni sulle sorti della poesia al discorso politico, non posso che
concordare con L. Blasucci, Lo stormire del vento tra le piante. Testi e percorsi leopardiani, Venezia, Marsilio, 2003,
pp. 27-28 nel ricordare il carattere di tesa e non pacificata drammaticit sottesa alle concessioni fatte da Leopardi
alle risultanze della modernit, che non cancella il permanere di un costante rimpianto dellantico. Da parte mia
posso solo aggiungere che lisomorfismo di atteggiamenti fra poesia e politica depone a favore di una coerenza si-
stematica del pensiero dellAutore maggiore di quanto non si pensi.
2 G. Leopardi, Tutte le opere, i, con introd. e a cura di W. Binni, con la collaborazione di E. Ghidetti, Firenze,
Sansoni, 1969, p. 870.
LItalia di Leopardi fra antropologia e storia (1818-1824) 35

Addimand se la vergogna e il lutto


Ove il popol de topi era caduto
Sgombro sarebbe per la man de molti
Collegati da lui test raccolti.
[]
Ma primamente allor su per la notte
Perpetua si diffuse un suon giocondo,
Che di secolo in secolo alle grotte
Pi remote pervenne insino al fondo.
(viii, 23-25)
Il riso trattenuto dei topi non indica solo la cecit politica di chi non voleva vedere che
lintervento francese aveva pochissime possibilit di concretizzarsi, e che in tutti i casi
sarebbe stato mosso da interessi di potenza e non dalla volont disinteressata di recare
un beneficio allItalia. qui implicito un significato ulteriore e determinante, che giu-
stifica la reazione dei topi: il fatto stesso che una nazione per essere tale debba dipen-
dere dalle mosse di un sovrano straniero di per s una contraddizione in termini, che
rivela tutti i limiti della realt italiana nella sua globalit prima ancora che delliniziati-
va liberale moderata.
Seppure in una prospettiva molto diversa da quella del testo di tre anni prima, il pro-
blema del rimedio dallinerzia del popolo italiano si ritrova anche nella seconda tappa
del nostro itinerario critico, costituita dal Discorso di un italiano intorno alla poesia
romantica del marzo 1818, in particolare dallaccorato appello ai giovani Italiani con cui
esso si conclude: il discorso sulle teorie poetiche sfocia cos in intervento civile. Dal
punto di vista stilistico lattenta analisi di Ferruccio Monterosso ha gi mostrato come
il tono ardente e appassionato della peroratio finale, volto a suscitare un forte impatto
emotivo sul lettore e a spronarlo ad un intervento attivo nel presente, si realizzi attra-
verso un fitto intarsio di artifici retorici: serie di aggettivi contrapposti, allitterazioni, ri-
petizioni, imperativi, ricorso al lessico militare, personificazione della patria, metafore
ed immagini figurate in genere.1 Ne emerge con forza un impulso epico e combattivo,
sostenuto da movimenti di ammonizione e di esortazione al sopito spirito patriottico
degli Italiani, posti di fronte al contrasto fra la grandezza passata e la decadenza
presente, secondo un modulo ricorrente nella nostra tradizione letteraria.
Sul piano dei contenuti si attenua in questa prosa il compiacimento mostrato verso
lItalia contemporanea nello scritto del 1815, ma tale sentimento di delusione bilan-
ciato dalla fiducia nella persistenza di un retaggio naturalistico specificamente italiano
da difendere e possibilmente da riscattare dal suo stato di latenza. In questa prospettiva
politica spicca uniperbolica esaltazione del carattere degli Italiani fondata sulla pre-
messa di unastorica perennit dellindole nazionale e di un primato nel campo delle ar-
ti, che sopravvive a tutte le vicissitudini politiche;2 per questo esso deve essere protetto
dagli assalti dei romantici, che lo mettono a repentaglio con una dissennata politica di
arrendevolezza e di subalternit alla cultura straniera:

1 Cfr. F. Monterosso, Dalla parte di Leopardi, Cremona, Biblioteca Statale di Cremona, 1992, pp. 39-40.
2 Banti, op. cit., pp. 114-117 ha indicato in Vico il responsabile dellelaborazione di questo tema della continuit
di fondo dei caratteri di ogni nazione nella Storia, tema che sarebbe poi stato diffuso presso lintellettualit risor-
gimentale attraverso la mediazione di Cuoco. F. Chabod, Lidea di nazione, a cura di A. Saitta ed E. Sestan, Bari,
Laterza, 1972, p. 28, nellambito di un discorso di respiro pi europeo tende invece a far risalire la nascita di questi
stereotipi alla storiografia francese del Sei-Settecento.
36 Nicola Feo

perduta la signoria del mondo e la signoria di se stessa, perduta la gloria militare, fatta in brani, di-
sprezzata oltraggiata schernita da quelle genti che distese e calpest, non serba altro che limperio
delle lettere e arti belle, per le quali come fu grande nella prosperit, non altrimenti grande e re-
gina nella miseria. Questo solo regno questa gloria questa vita rimane alla patria nostra quasi le-
vata dal numero delle nazioni, grande avanzo dimmensa grandezza []. Io vi prego e supplico, o
Giovani italiani, io matterro dinanzi a voi; per la memoria e la fama unica ed eterna del passato, e
la vista lagrimevole del presente, impedite questo acerbo fatto, sostenete lultima gloria della no-
stra infelicissima patria []1
Come dimostrerebbero gli esempi gloriosi di Canova ed Alfieri, del genio innato del po-
polo italiano restano tracce consistenti fino a tempi recenti, e dunque esso pu essere
produttivo anche nel presente:
O Giovani italiani: lascio stare le cose antiche: purch vogliamo essere questo medesimo, io dico
italiani, ancora siamo grandi; ancora parliamo quella favella a cui cedono tutte le vive, e che forse
non cederebbe alle morte; ancora abbiamo nelle vene il sangue di coloro che prima in un modo e
quindi in un altro signoreggiarono il mondo; ancora beviamo questaria e calchiamo questa terra
e godiamo questa luce che god un esercito dimmortali; ancora arde quella fiamma che accese i
nostri antenati, e parlino le carte dellAlfieri e i marmi del Canova; ancora non cambiata quel-
lindole propria nostra, madre di cose altissime, ardente e giudiziosa, prontissima e vivacissima, e
tuttavia riposata e assennata e soda, robusta e delicata, eccelsa e modesta, dolce e tenera e sensiti-
va oltre modo, e tuttavia grave e disinvolta, nemica mortalissima di qualsivoglia affettazione, co-
noscitrice e vaga sopra ogni cosa della naturalezza, senza cui non c n fu n sar mai belt n gra-
zia, amante spasimata e finissima discernitrice del bello e del sublime e del vero, e finalmente
savissima temperatrice della natura e della ragione []2
La definizione dellidentit nazionale viene affidata in primo luogo alla continuit di
componenti di natura ascrittiva, quali la lingua (intesa non solo come dato formale ma
come mezzo espressivo spiritualmente caratterizzante),3 la terra, letnia, il sangue co-
mune.4 Ed proprio in virt di questa base ontologica immutabile, della capacit di
conciliare elementi opposti, natura e ragione, bellezza e verit, che lItalia appare come
il luogo privilegiato per la costruzione di quella civilt media gi realizzata dagli anti-
chi Greci e Romani, che qui rappresenta ancora il paradigma ideale a cui il nostro Pae-
se pu e deve ispirarsi. Grazie a queste caratteristiche lItalia si pone come lerede pi
diretta dellet antica nelleconomia della modernit europea, ed meno soggetta a ca-
dere nella barbarie che nasce dalla rottura di un fragile equilibrio. Si spiega in questi ter-
mini lostilit per il modello francese ed il rifiuto di prendere ad esempio i Paesi euro-
pei pi avanzati in vista di una possibile rigenerazione nazionale, come avverr pi tardi
nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani. Fiducioso nellesistenza di una

1 G. Leopardi, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, introd. e commento di V. Gatto, Roma, Ar-
chivio Guido Izzi, 1992, pp. 100-101. 2 Ivi, pp. 102-103.
3 Cfr. Zib., 2847: Ogni lingua perfetta la pi viva, la pi fedele, la pi totale imagine e storia del carattere della
nazione che la parla (cito da G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, a cura di G. Pacella, 3 voll., Milano, Garzanti, 1991).
4 Lipotesi che una base di carattere naturalistico e non il richiamo a un atto di adesione volontaristica (come
invece voleva Chabod) sia stata la pietra angolare della definizione del concetto elaborato dallideologia risor-
gimentale una delle tesi di fondo dello studio di Banti, op. cit., pp. 56-66. Naturalmente il mio compito non
quello di dar ragione a Banti, ma pi modestamente quello di segnalare come in un dato momento Leopardi sia
stato partecipe di un concetto di nazione corrispondente almeno in parte a quello da lui restituito. E se si consi-
dera la presa che i testi del cosiddetto canone risorgimentale ebbero sul pubblico, confermata nella fattispecie da
una lettera di P. Giordani del 5 febbraio 1819 (cfr. Leopardi, Epistolario, cit., i, p. 246) in cui si d conto dellacco-
glienza favorevole delle prime due canzoni, ritengo debba essere rivista lattribuzione, sostenuta da una parte del-
la critica, di un gusto archeologico e libresco in esse prevalente.
LItalia di Leopardi fra antropologia e storia (1818-1824) 37
riserva di valori antropologici ancora potenzialmente disponibili, per quanto minaccia-
ti nella loro concreta estrinsecazione, su cui fondare un riscatto nazionale legato ad
unidentit culturale specifica, autonoma e inconfondibile, Leopardi preferisce indicare
agli Italiani il compito di recuperarla attivamente rifiutando la suggestione di mode let-
terarie allotrie.
Del resto la proposta civile qui delineata coerente con i dettami estetici sostenuti
nella parte precedente dellopera, in cui si insiste con forza sui residui dati di invarian-
za strutturale dellessere umano: come il poeta, facendo leva sullinclinazione al primi-
tivo presente in ognuno, deve recuperare la condizione di primigenia sintonia con la na-
tura superando le incrostazioni della civilizzazione, cos gli Italiani devono riacquistare
la loro anima pi autentica e originaria. Il Discorso definito di un italiano non tanto per-
ch lAutore intende nascondersi dietro una maschera impersonale, quanto perch la
poetica che esso propone congruente con lindole degli Italiani.1
Un tipo di patriottismo, questo, in cui, come indica il fatto che la peroratio forte-
mente rilevata in senso retorico e letterario e come confermano le due canzoni pa-
triottiche di cui daremo conto fra poco, la poesia ha un ruolo centrale, proprio in virt
della sua capacit di sanare la frattura fra luomo corrotto dalla Storia e la purezza del-
la natura, reintegrando il primo, almeno temporaneamente, nella sua vera umanit:
necessario che, non la natura a noi, ma noi ci adattiamo alla natura, e per la poesia non si ven-
ga mutando, come vogliono i moderni, ma ne suoi caratteri principali, sia, come la natura, im-
mutabile. E questo adattarsi degli uomini alla natura, consiste in rimetterci collimmaginazione co-
me meglio possiamo nello stato primitivo de nostri maggiori, la qual cosa ci fa fare senza nostra
fatica il poeta padrone delle fantasie. Ora che cos facendo noi, ci sapra innanzi una sorgente di di-
letti incredibili e celesti, e che la natura invariata e incorrotta discopra allora non ostante lincivili-
mento e la corruzione nostra il suo potere immortale sulle menti umane []2
Insomma la Natura, nel suo essere immutabile, invariata e incorrotta, intesa co-
me il modello regolatore comune a cui devono ispirarsi tanto la creazione poetica quan-
to la rinascita patriottica: si potrebbe quasi dire che la natura sta allItalia come la civil-
t sta al Romanticismo europeo.
Ma come accennavamo sopra, nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica
sul piano politico Leopardi non nasconde i motivi di crisi che ostacolano la realizzazio-
ne del suo programma. Egli infatti non ritiene certo che quel complesso di dati fisici, et-
nici, antropologici permanenti siano di per s sufficienti a configurare una formazione
nazionale compiuta, anzi. Perch nellItalia attuale essi non rimangano come un mate-
riale inerte, ma acquistino pienamente senso, i cittadini devono mettere da parte le clas-
siche lotte fratricide e riprendere coscienza della loro unit originaria: in altri termini
deve risvegliarsi, ed ci per cui egli si sta impegnando, il sentimento di solidariet pa-
triottica attualmente assopito:
vedo languido e pressoch spento lamore di questa patria: vedo gran parte deglitaliani vergognarsi
dessere compatriotti di Dante e del Petrarca e dellAriosto e dellAlfieri e di Michelangelo e di Raf-

1 Si ricordi che Leopardi in questo periodo convinto della diretta discendenza della letteratura italiana da quel-
la classica, come si afferma in una lettera del marzo 1817 a Giordani: la nostra letteratura, sia pur poco coltivata,
la sola figlia legittima delle due sole vere tra le antiche. Cfr. Lettera a P. Giordani del 21 marzo 1817, in Leopardi,
Epistolario, cit., i, p. 71. Ma lidea risale almeno al 1816, visto che compare anche nella Lettera ai sigg. compilatori del-
la Biblioteca italiana. Per misurare levolversi della considerazione della letteratura italiana del suo tempo, suffi-
ciente ricordare come quello che era nella lettera a Giordani un semplice inciso (sia pur poco coltivata), da cui
peraltro traspariva gi lallusione fiduciosa pi ad una potenzialit che ad una realt effettiva, diventer il princi-
pale oggetto della sua indagine al riguardo.
2 Leopardi, Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, cit., pp. 18-19.
38 Nicola Feo
faello e del Canova. Ora chi potrebbe degnamente o piangere o maledire questa portentosa rabbia,
per cui, mentre i Lapponi e glIslandesi amano la patria loro, lItalia, lItalia dico, non amata, an-
zi disprezzata, anzi sovente assalita e addentata e insanguinata da suoi figli?1
In questo momento dunque per Leopardi, non diversamente da molti intellettuali suoi
contemporanei,2 la nazione si realizza ab origine come comunit strutturata naturalisti-
camente, ma, come dimostra il ricorrere martellante degli imperativi rivolti al lettore,
a ci deve corrispondere anche lesercizio di una consapevole volont unitaria (purch
vogliamo essere [] italiani). LAutore sembra convinto che, soddisfatte tali condizio-
ni, potrebbero riemergere risorse non estinte di grandezza, articolate su pi versanti: la
lingua, la discendenza etnica, la collocazione climatica, larte e la letteratura del passa-
to, lunicit del carattere originario. In definitiva, Leopardi nel 1818 tratteggia limma-
gine dellItalia ponendo prevalentemente anche se non esclusivamente laccento sul
suo patrimonio antropologico considerato in termini essenzialmente statici , entro
un piano complessivo di valorizzazione dei fattori naturali che ne garantiscono lauto-
nomia spirituale da ogni spinta livellatrice.3
Dopo gli interventi di Blasucci, assodato che le due canzoni patriottiche, composte
nellautunno 1818, si collocano nella medesima atmosfera intellettuale del Discorso di un
italiano intorno alla poesia romantica: per quanto concerne i nuclei tematici basti ricor-
dare la diagnosi della desolante condizione presente, il richiamo agli antichi predeces-
sori, il risentimento antifrancese, il motivo della primazia culturale dellItalia.4 Proprio
la concezione dellattivit estetica come ultimo terreno, in cui sono ancora concessi
allItalia un prestigio e unenergia vitale, si impone allattenzione del lettore fin dalla
dedica delle prime due canzoni a Vincenzo Monti:
Stante che oggid chiunque deplora o esorta la patria nostra, non pu fare che non si ricordi con
infinita consolazione di Voi che insieme con quegli altri pochissimi [] sostenete lultima gloria no-
stra, io dico quella che deriva dagli studi, e singolarmente dalle lettere e arti belle, tanto che per an-
che si pu dire che lItalia sia morta.5
Per completare il ragionamento impostato in relazione al Discorso di un italiano, op-
portuno definire sinteticamente il carattere del patriottismo delle due canzoni scritte a
distanza di pochi mesi, privilegiando di necessit il contenuto concettuale dei compo-
nimenti, a scapito delle essenziali sollecitazioni psicologiche e del nucleo patetico e af-
fettivo, se si vuole autobiografico, da cui sono originati.6
Cominciamo dalla lettura dellesordio di AllItalia:
O patria mia, vedo le mura e gli archi
E le colonne e i simulacri e lerme
Torri degli avi nostri,

1 Ivi., p. 102. Lallineamento di personalit appartenenti ad epoche diverse e lontane determina un effetto di
annullamento della temporalit storica, per cui gli artisti citati vengono percepiti come la manifestazione di uno
spirito metastorico costante, in cui anche il lettore indotto a riconoscersi.
2 Cfr. Banti, op. cit., pp. 161-162.
3 Una preoccupazione analoga era emersa durante il Settecento in alcuni intellettuali svizzeri, gi allora in
polemica con lappiattimento sul modello francese, come afferma Chabod, op. cit., pp. 26-27. Lammirazione di
Leopardi per la naturalit e lo straordinario amor patrio della comunit elvetica attestata in Zib., 1362. Ma pi
in generale chiaro qui il rifiuto degli ideali universalistici propri del cosmopolitismo illuminista.
4 Cfr. L. Blasucci, Leopardi e i segnali dellinfinito, Bologna, il Mulino, 1985, pp. 40-41. Le affinit stilistico-reto-
riche fra le canzoni e il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica sono state affrontate sempre da Monte-
rosso, op. cit., pp. 38-39.
5 Dedicatoria delle canzoni AllItalia e Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze, in Leopardi,
Epistolario, cit., ii, p. 2112. 6 Cfr. Blasucci, Leopardi e i segnali dellinfinito, cit., p. 42.
LItalia di Leopardi fra antropologia e storia (1818-1824) 39
Ma la gloria non vedo,
Non vedo il lauro e il ferro onderan carchi
I nostri padri antichi.
(vv. 1-6)
Da una parte lItalia rappresentata come un paesaggio storico di splendore e gran-
dezza: in primo piano si stagliano le tracce visibili di esso, le testimonianze esteriori, ar-
tistiche e architettoniche, colte sia nella loro componente ornamentale sia nella loro
funzione pratica e difensiva, a suggerire la necessit di una nuova integrazione fra la sfe-
ra artistica e quella politico-militare; ma dallaltra tale scenario contrasta con la denun-
cia del fatto che lillusione della gloria, di cui la magnificenza di quelle opere era espres-
sione, nel presente ha cessato di guidare la condotta degli individui. Per scuotere il
popolo italiano dalla condizione di abiezione in cui versa e per dar vita ad una rinnova-
ta civilt nazionale, Leopardi, puntando sulla forza della comunicazione poetica, indi-
ca direttamente lesempio degli antichi e dei valori a cui le loro azioni magnanime si
ispiravano. Qui il patriottismo del poeta si propone come un invito a comportarsi eroi-
camente, lasciandosi guidare da passioni vigorose e magnanime: Leopardi vive la patria
come un valore assoluto a cui ogni cosa deve essere subordinata. Egli fonda il suo idea-
le patriottico su una sorta di religione civile, per certi versi simile a quella prospettata
da Rousseau nella parte finale del Contratto sociale; non per niente il testo attraversato
da una fitta rete di termini connessi allarea semantica del sacro: Oh venturose e care
e benedette / Lantiche et (vv. 60-61); le invitte schiere / De corpi challa Grecia eran
devoti (72-73); Si sottrasse da morte il santo stuolo (78); Beatissimi voi (84, 119); La
vostra tomba unara (125); Ecco io mi prostro, / O benedetti (127-128).1 Come si ri-
cava dalle citazioni, questo pathos religioso si declina secondo due modalit: la disponi-
bilit al sacrificio di s da parte dei protagonisti attivi della battaglia in difesa della pa-
tria2 e la venerazione per chi chiamato a conservarne la memoria. Ed significativo il
fatto che nel corso del componimento il poeta si mostri pronto a far sue entrambe que-
ste forme, segno dellaspirazione ad una completa fusione con la coralit collettiva, da
cui al massimo pu distinguersi in qualit di portavoce lirico.
Ad ulteriore conferma della stretta consonanza ideologica con il Discorso di un italia-
no intorno alla poesia romantica va poi sottolineata lopzione per un fondamento di tipo
biologico dellappartenenza patriottica sviluppata nel corso della canzone. Ci si evin-
ce dalla presentazione della patria come figura materna donatrice di vita, rintracciabile
esplicitamente per non parlare del ricorso frequente ad aggettivi possessivi carichi di
risonanza affettiva in almeno due punti del testo:
Alma terra natia,
La vita che mi desti ecco ti rendo.
(vv. 59-60)

1 A proposito del trasferimento di valori religiosi in ambito politico da parte della cultura risorgimentale
dobbligo il rimando a Chabod, op. cit., pp. 61-65, in cui si cita tra gli altri lesempio dei versi finali dei Sepolcri di
Foscolo. Sullargomento, sempre a proposito del Risorgimento italiano, torna pi recentemente anche Banti,
op.cit., pp. 119-133. Ma il fenomeno risalirebbe alla Rivoluzione francese, come spiega, riprendendo unintuizione
di Tocqueville, R. Chartier, Le origini culturali della Rivoluzione francese, Bari, Laterza, 1991, pp. 112-113.
2 Che lintroduzione di un afflato di tipo religioso corrisponda probabilmente ad unoperazione consapevole
sembra risultare da un passo fondamentale in questo senso dello Zibaldone, risalente secondo una congettura di
Pacella alla prima parte del 1819, in cui Leopardi, in virt del comune atteggiamento mostrato verso la morte,
istituisce unanalogia fra il coraggio dei guerrieri spartani e lo spirito che animava il sacrificio dei cristiani. Cfr. Zib.,
44-45.
40 Nicola Feo

Per amor di costei chal Sol vi diede


(v. 86)
La cerchia dei compatrioti (che comprende le generazioni passate, presenti e future)
non pu che costituire una compatta comunit di fratelli, un indissolubile nucleo di af-
fetti unito da un vincolo di sangue, vale a dire una famiglia: gli antenati allora sono i
nostri padri antichi, mentre gli Italiani presenti naturalmente sono i tuoi figli (si-
milmente a quanto avveniva gi nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica);
e spicca nella sezione dedicata allantica Grecia il frequente richiamo ai legami paren-
tali, alla pia consorte e ai figli cari (vv. 55-56), ripreso al v. 98 col riferimento alle spo-
se e ancora ai figli; e infine al v. 126 lesempio degli eroi tramandato dalle madri ai
parvoli.1
Il modello politico prospettato in AllItalia, orientato alla completa dedizione del
cittadino al bene comune motivata da un fondato desiderio di gloria, non corrisponde
a nessuna realt concretamente esistente, ma si rif espressamente allidea antica di
patria, come sede che consentiva il massimo di virt pubblica e di espansione vitale del
singolo, integrato positivamente in una totalit organica unita dallodio verso lo stra-
niero (Lira de greci petti diretta contro il nemico persiano).2
In questa fase le idee filosofiche dellAutore si traducono immediatamente in propo-
sta politica, senza eccessive preoccupazioni pragmatiche e applicative, poich egli non
si rassegna a dare per acquisiti e irreparabili alcuni guasti etici fondamentali recati dal-
la civilizzazione.
Il titanismo di AllItalia discende inevitabilmente dallesigenza di un rovesciamento
del corso della Storia, di una lotta contro la necessit:
Larmi, qua larmi: io solo
Combatter, procomber sol io.
(vv. 37-38)
La metafora bellica indica la volont del poeta di ingaggiare uno scontro frontale con
la realt; volont che non deve essere intesa in senso realistico, come pretesa assurda di
cambiare la Storia con un atto isolato, bens come gesto eroico esemplare che non
ammette compromessi e non si colloca in un orizzonte utilitaristico, ma offre un esem-
pio di comportamento alternativo allindolenza dominante. Come ha suggerito Della
Terza,3 i famosi versi sopra citati avrebbero infatti un significato proiettivo, in quan-
to preludono alla successiva visione di una battaglia collettiva, che si vorrebbe combat-
tuta per la propria patria e che invece non lo :
Dove sono i tuoi figli? Odo suon darmi
E di carri e di voci e di timballi:
In estranie contrade
Pugnano i tuoi figliuoli.

1 Sulla tipicit di una definizione di patria basata su uno schema parentale nella mitografia risorgimentale cfr.
Banti, op. cit., pp. 67-70.
2 Come osserva W. Binni, Lezioni leopardiane, a cura di N. Bellucci con la collaborazione di M. Dondero,
Firenze, La Nuova Italia, 1994, p. 81: Lelogio stesso delle antiche et si connette a quel contrasto fra natura e
ragione, fra passato ricco di generose illusioni e presente immeschinito, che non un puro movimento di nostal-
gia evasiva, poich il poeta aspira profondamente a rinnovare, con la sua azione e con la sua poesia, quellet di
entusiasmo e di attivit.
3 Cfr. D. Della Terza, AllItalia, in Lectura leopardiana, a cura di A. Maglione, Venezia, Marsilio, 2003, p. 8.
LItalia di Leopardi fra antropologia e storia (1818-1824) 41
Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
Un fluttuar di fanti e di cavalli,
E fumo e polve, e luccicar di spade
Come tra nebbia lampi.
[]
Pugnan per altra terra itali acciari.
(vv. 41-53)

Lasservimento allo straniero sperimentato sotto il dominio napoleonico qui avverti-


to come emblematica espressione della crisi della civilt italiana, suscitando nel poeta
moti di intensa partecipazione affettiva.
Il motivo della spedizione delle truppe italiane in Russia viene sviluppato pi diffu-
samente in Sopra il monumento di Dante che si preparava in Firenze, in cui Leopardi prose-
gue sulla strada della lirica eloquente e appassionata, volta a svegliare lemotivit del let-
tore. Come nella prima canzone, i due moduli fondamentali del testo sono costituiti
dalla grandiosa rievocazione storica e dai movimenti concitati e accorati del soggetto
poetico;1 si ripropone inoltre il classico schema della contrapposizione fra la grandezza
passata e la condizione di vilt e meschinit del presente, anche se rispetto alla tensio-
ne agonistica di AllItalia nelle esortazioni del poeta subentra qui un tono di deplora-
zione e di compianto.2 Il componimento si apre alludendo al tema del sonno prolun-
gato, inteso come cessazione delle attivit vitali:
Perch le nostre genti
Pace sotto le bianche ali raccolga,
Non fien da lacci sciolte
Dellantico sopor litale menti
Sai patrii esempi della prisca etade
Questa terra fatal non si rivolga.
O Italia, a cor ti stia
Far ai passati onor; che daltrettali
Oggi vedove son le tue contrade,
N v chi donorar ti si convegna.
(vv. 1-10)

Gi da questi primi versi si ricava unimpressione di estinzione della vitalit, di radicale


assenza, ottenuta attraverso luso insistito di particelle negative (due volte non, una
volta n e poco sotto al v. 14 senza): una tramatura testuale che si pone in un ideale
rapporto di circolarit con limmagine di unItalia ridotta ad un grande deserto privo di
vita con cui si chiude la canzone:
Non si conviene a s corrotta usanza
Questa danimi eccelsi altrice e scola:
Se di codardi stanza,
Meglio l rimaner vedova e sola.
(vv. 196-200)

La realt italiana presente qui raffigurata come il luogo dellimmobilit, della nega-
zione e della morte; ma questo stato di inerzia non designa ancora una condizione spi-
rituale pi generale tipica della civilt moderna, poich il poeta continua a rappresen-

1 Cfr. L. Blasucci, I tempi dei Canti. Nuovi studi leopardiani, Torino, Einaudi, 1996, p. 16.
2 Cfr. Idem, Leopardi e i segnali dellinfinito, cit., pp. 58-63.
42 Nicola Feo
tare lItalia nella sua irriducibile singolarit, definendola come terra fatal,1 a motivo
tanto della sua estrema decadenza politica e morale, quanto dellunicit del patrimonio
civile e letterario di cui depositaria, che prova la sua capacit di essere danimi eccel-
si altrice e scola.
Solo con la canzone Ad Angelo Mai del gennaio 1820 i movimenti di risentita protesta
e di delusione del poeta tendono ad assumere una carica pi vasta ed universale di quel-
la patriottica, per cui il termine di riferimento polemico viene a coincidere con lepoca
contemporanea nel suo complesso, ed il patriottismo stesso appare subordinato al-
lesposizione di contenuti filosofici generali.2 La discrepanza fra il presente torpore del-
lItalia e la sua antica grandezza diventano allora solo un aspetto particolare della sto-
ria di decadimento dellumanit.3

La lezione della storia


Volendo tracciare un breve bilancio del modello di patriottismo espresso nelle prime
tre canzoni raccolte nei Canti, potremmo avanzare lipotesi che esso doveva apparire a
Leopardi non del tutto soddisfacente per due motivi. Da una parte negli aggiustamen-
ti a cui il pensiero dellAutore sottoposto nella canzone Sopra il monumento di Dante e
nel tono di amarezza e delusione che li ispira, in particolare nellimmagine conclusiva,
desolata e disperante, di unItalia abbandonata dai suoi cittadini e lasciata deserta, im-
plicitamente cominciano ad affiorare le prime perplessit sullefficacia operativa del-
limpeto generoso e volitivo di AllItalia; dallaltra la portata universale di cui questo mo-
dello di patriottismo tendeva a caricarsi soprattutto in Ad Angelo Mai rischiava di far
perdere di vista la percezione delle specifiche tare da cui era affetta la societ italiana.
Nel percorso che lo porter alla composizione del Discorso sopra lo stato presente dei co-
stumi deglItaliani lAutore sar cos indotto a modificare le strategie di intervento (o
quantomeno a integrarle, visto che la letteratura rimane per lui una risorsa preziosa per
la rigenerazione del Paese) e ad approfondire e rivedere la rappresentazione dellItalia.
Ma il fattore essenziale che interviene a distanza relativamente ravvicinata rispetto
alle prime due canzoni a mio avviso un altro. Nel corso del 1819 Leopardi infatti co-
mincia a riconoscere abbastanza chiaramente che luomo moderno irreparabilmente
diverso dalluomo antico.4 E proprio nella canzone Ad Angelo Mai, come ha mostrato
Blasucci, viene prospettata con estrema lucidit la visione di un processo irreversibile di
decadenza dellumanit.5
Tutto sommato, questa consapevolezza non implica sconvolgimenti sostanziali a li-
vello del sistema filosofico, ma alla lunga incide in modo non trascurabile sulla pro-
spettiva patriottica e civile. Sul terreno del patriottismo infatti si articolano due possi-
bili sbocchi della concezione della civilt elaborata da Leopardi: o un rifiuto in blocco

1 Con espressione quasi identica (Fatal terra) circa due anni dopo Manzoni chiamer lItalia nel coro dellatto
ii de Il Conte di Carmagnola.
2 Santagata, op. cit., p. 23, ha osservato come nella canzone Ad Angelo Mai si consumi il passaggio da un
patriottismo interventista a uno, diremmo oggi, di lunga durata, interpretando tale processo come il frutto
logico di una interna progressione di pensiero.
3 Cfr. F. Figurelli, Le due canzoni patriottiche del Leopardi e il suo programma di letteratura nazionale e civile,
Belfagor, vi, 1951, pp. 33-34. Come gli ha contestato Blasucci, Figurelli tende per ad anticipare in modo troppo
unilaterale gi alle prime due canzoni laffiorare del mito della storia del mondo.
4 Cfr. B. Biral, La posizione storica di Giacomo Leopardi, Torino, Einaudi, 1974, p. 14. Biral cita p. es. unannota-
zione probabilmente di fine 1818-inizio 1819 in cui si ammette che il gusto per la filosofia non passeggero, ma co-
stitutivo dellepoca moderna. Cfr. Zib., 31. 5 Cfr. Blasucci, I tempi dei Canti, cit., p. 25.
LItalia di Leopardi fra antropologia e storia (1818-1824) 43
della modernit in unopposizione di segno ora antagonistico ora puramente negativo;
oppure, in alternativa, ladozione di un atteggiamento pragmatico e realistico motiva-
to dallesigenza di non perdere contatto con la parte pi viva e dinamica dEuropa e di
non condannarsi ad uno sterile isolamento, pur senza nascondere, nulla al ver detra-
endo, le perdite che ci comporta in termini di virt, vitalit e immaginazione. no-
to che nel Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani, in base ad una distinzio-
ne fra astratta speculazione filosofica e concreta progettualit politica, lAutore aderir
risolutamente a questultimo partito, ma i presupposti di questa opzione in un certo
senso sono gi pronti dal 1819, con la scoperta dellirrevocabilit dellantico. Parafra-
sando Hegel, potremmo dire che Leopardi ad un certo punto rinuncia a pretendere che
la propria patria sia migliore del proprio tempo, limitandosi a chiederle di essere il pro-
prio tempo nel modo migliore.
Nel ripercorrere la vicenda intellettuale che culmina nel secondo Discorso, vorrem-
mo soffermarci sulle pagine dello Zibaldone del marzo 1821 relative alla poesia senti-
mentale, in cui espressa in modo inequivocabile la consapevolezza dellirreversibilit
della condizione spirituale dei moderni:
Vorrei che anche i tempi ritornassero indietro. Ma la nostra infelicit, e la cognizione che abbiamo,
e non dovremmo aver, delle cose, in vece di scemare, si accresce. Che smania questa dunque di
voler fare quello stesso che facevano i nostri avoli, quando noi siamo cos mutati? di ripugnare alla
natura delle cose? di voler fingere una facolt che non abbiamo, o abbiamo perduta, cio landa-
mento delle cose ce lha renduta infruttuosa e sterile, e inabile a creare? di voler essere Omeri, in
tanta diversit di tempi? Facciamo dunque quello che si faceva ai tempi di Omero, viviamo in quel-
lo stesso modo, ignoriamo quello che allora signorava, proviamoci a quelle fatiche a quegli eser-
cizi corporali che si usavano in quei tempi. E se tutto questo ci impossibile, impariamo che in-
sieme colla vita e col corpo, cambiato anche lanimo, e che la mutazione di questo un effetto
necessario, perpetuo, e immancabile della mutazione di quelli.1
Non che Leopardi improvvisamente sia diventato un fervente sostenitore della poesia
sentimentale, verso cui continua a nutrire notevoli riserve perch ritiene che essa sia
fondata sulla conoscenza filosofica, fino quasi a confondersi con essa; piuttosto egli si
vede costretto ad accettarla come lunica forma di poesia concessa alluomo moderno.
Nelle stesse pagine la mancanza del registro sentimentale in Italia viene spiegata con
una acuta descrizione della psicologia degli Italiani, che risulta estremamente significa-
tiva per il nostro discorso. La rappresentazione dellItalia raggiunta non mediante un
processo di indistinta assimilazione con il generico sfondo dellepoca presente, come
ancora avveniva nella canzone Ad Angelo Mai, ma con una strategia di precisa e attenta
differenziazione dagli altri Paesi europei, assunti ora a differenza di ci che avviene
nel Discorso sui romantici forse per la prima volta espressamente come modello positi-
vo per loro capacit di adeguarsi al cambiamento imposto dallaffermarsi del mondo
moderno:
Ma la vera causa per cui glitaliani, a differenza di tutti gli altri, non conoscono oggid altra poesia
che la immaginativa, e della sentimentale sono affatto digiuni, ve la dir io. In questozio, in que-
sta noia, in questa frivolezza di occupazioni, o piuttosto dissipazioni, senza scopo, senza vita, in
somma senza n patria n guerre n carriere civili o letterarie n altro oggetto di azioni o di pen-
sieri costanti, litaliano non capace di sentir nulla profondamente, n difatto egli sente nulla. Tut-
to il mondo essendo filosofo, anche litaliano ha tanto di filosofia che basta e per farlo sempre pi
infelice, e per ispegnergli o vero intorpidirgli limmaginazione, di cui la natura lavrebbe dotato;

1 Zib., 727-728.
44 Nicola Feo
ma non quanta si richiede a conoscere intimamente le passioni, gli affetti, il cuore umano, e dipin-
gerlo al vivo; oltre che quando anche potesse conoscergli, non saprebbe dipingergli, giacch biso-
gna convenire che allitaliano doggid manca la massima parte di quello studio ch duopo per iscri-
ver cose, come son queste, difficilissime. Sicch litaliano, ancorch si metta a scrivere col cuore
profondamente commosso, o sullo stesso incominciare non trova pi nulla, e non sapendo che si
dire, ricorre ai generali; ovvero volendo esprimere proprio quello chei sente, non sa farlo, e scrive
come un fanciullo.1
Attraverso constatazioni di questo tipo Leopardi sta imboccando la strada maestra che
lo condurr al Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani: si notino la costru-
zione dellimmagine dellItalia per accumulo di negazioni, la denuncia dellassenza di
spirito patriottico e di vita, i motivi dellapatia, della noia, della frivolezza e della dissi-
pazione. Sono poi ricordate la carenza di attivit civili serie e importanti in grado di dare
uno scopo allesistenza;2 e di seguito la diffusione insufficiente della cultura filosofica,
intesa come conoscenza del cuore umano, necessaria a rappresentare poeticamente gli
affetti; insufficienza a cui si accompagna tuttavia la partecipazione al pari delle altre na-
zioni alla logica filosofica moderna nel suo significato deteriore, che rende vano ogni
richiamo alla originaria indole immaginativa. Insomma, nel Discorso Leopardi attinger
a piene mani a queste considerazioni, sistemandole in maniera compiuta e organica.3
In sintesi, occorre fissare due punti, strettamente legati, che risultano da quanto
detto: il manifestarsi in questa pagina di unimpostazione pragmatica, che per ora inte-
ressa soprattutto i registri della poesia ma non esclude il ruolo della filosofia, ed il con-
temporaneo delinearsi di una determinata immagine dellItalia attuale.
Ma gi nella dedica al conte Trissino della canzone Ad Angelo Mai, databile al 1820, su-
perando le posizioni del primo Discorso e unificando la prospettiva estetica con quella
civile, il Poeta aveva abbandonato la rivendicazione di un residuo primato nel campo
della letteratura e aveva ammesso che lItalia subiva anche in tale ambito una oggettiva
condizione di subalternit e dipendenza:
Voi per animarmi mi solete ricordare che la storia de nostri tempi non dar lode aglitaliani altro
che nelle lettere. Ma eziandio nelle lettere siamo fatti servi e tributari; e io non vedo in che pregio
ne dovremmo essere tenuti dai posteri, considerando che la facolt dellimmaginare e del ritrova-
re spenta in Italia, ancorch gli stranieri ce lattribuiscano come nostra speciale e primaria quali-
t, ed secca ogni vena di affetto e di vera eloquenza.4
Dunque, quantomeno a partire dal 1821, lassillo di Leopardi quello di definire le con-
dizioni che consentano allItalia di adeguarsi al livello delle nazioni europee pi avan-
zate, e non quello di esortare i suoi cittadini a ripetere i modelli antichi ritenuti ormai
irriproducibili. Se a questaltezza cronologica viene a cadere un programma di poetica

1 Ivi, 729-731.
2 Quasi come contrappunto a questa connessione fra la disposizione allattivit pratica e la sensibilit poetica,
istituita in negativo in riferimento allItalia, Leopardi, in un passo dello Zibaldone del maggio 1822, con notevole coe-
renza collega i due momenti, stavolta in positivo, a proposito degli scrittori inglesi e francesi. Cfr. Zib., 2453-2454:
egli [Alfieri] fu vero scrittore, a differenza di quasi tutti i letterati o studiosi italiani del suo e del nostro tempo. Fra
quali siccome nessuno o quasi nessuno nato per fare (altro che fagiolate), perci nessuno o quasi nessuno vero
filosofo, n letterato che vaglia un soldo. Al contrario degli stranieri, massime deglinglesi e francesi, i quali (per la
natura de loro governi e condizioni nazionali) fanno, e sono nati per fare pi degli altri. E quanto pi fanno, o so-
no naturalmente disposti a fare, tanto meglio e pi altamente e straordinariamente pensano e scrivono.
3 Si noti anche come in questi passaggi dello Zibaldone il ricorso alle ragioni storiche della situazione italiana
appare come la chiave esplicativa privilegiata, mentre viene dato ben poco spazio alle categorie naturalistiche e
climatiche.
4 Dedicatoria della canzone Ad Angelo Mai, in Leopardi, Epistolario, cit., ii, p. 2116.
LItalia di Leopardi fra antropologia e storia (1818-1824) 45
e di intervento civile incentrato su un ingenuo e immediato recupero dellantico, resta
comunque il fatto che Leopardi, prima e per un certo periodo anche dopo le fonda-
mentali riflessioni del marzo 1821, nello Zibaldone tende ad ammettere lesistenza di
unessenza italiana senza tempo, a cui si avvicina avvalendosi di categorie di tipo pret-
tamente antropologico.
Uno dei segnali del persistere di un approccio naturalistico allindividualit italiana,
inauguratosi con il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, chiaramente rin-
tracciabile in un corollario della teoria del piacere del luglio 1820:
Glitaliani: 1. Come una volta per il loro entusiasmo figlio di unimmaginazione viva e pi ricca che
profonda, erano attivissimi, cos ora una delle cagioni per cui non si accorgono o almeno non si di-
sperano affatto di una vita sempre uniforme, e di una perfetta inazione, la stessa immaginazione
ugualmente ricca e varia, e la soprabbondanza delle sensazioni che ne deriva, la quale glimmerge
in una specie di rve, come i fanciulli quando son soli ec. cosa continuamente inculcata dalla Stal,
laddove i settentrionali non avendo tal sorgente di occupazione interna atta a consolarli, per ne-
cessit ricorrono allesterna, e divengono attivissimi. 2. La profondit della mente, e la facolt di pe-
netrare nei pi intimi recessi del vero dellastratto ec. quantunque non sia loro ignota a cagione
della loro sottigliezza, prontezza e penetrazione, (che rende loro pi facile il concepimento e la sco-
perta del vero, laddove agli altri bisogna pi fatica, e perci spesso sbagliano con tutta la profondi-
t) contuttoci non il loro forte.1
In questo passaggio Leopardi rivendica la componente immaginativa costitutiva del ca-
rattere degli italiani astrattamente considerato, ma non applica le categorie antropolo-
giche in modo del tutto meccanico, e anzi imprime ad esse un certo tasso di dinamici-
t, in quanto considera che lo stesso carattere pu dare in un popolo risultati opposti a
seconda delle circostanze.
Ma se continuiamo nella lettura del passo in questione, ci accorgiamo che Leopardi
per giustificare le differenze nazionali non rinuncia ad applicare schemi puramente an-
tropologici, esenti da qualsiasi verifica empirica. Un evidente punto di dissonanza fra
queste pagine dello Zibaldone e il Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani
concerne infatti la definizione gi staliana dellItalia come terra della poesia, in con-
trapposizione alle nazioni settentrionali:
sar sempre vero che la nostra propriamente la patria della poesia, e la loro quella del pensiero.2
Sar sempre vero: naturalmente qui Leopardi non sta parlando di unItalia storica-
mente determinata, ma sta alludendo soprattutto ad unipotetica Italia fuori dal tempo,
ad unItalia immutabile ed eterna; ad una patria dellanima.
Qualche mese dopo, nel novembre 1820, Leopardi torna sul confronto fra popoli set-
tentrionali e meridionali e indugia sulla compensazione, che si verificherebbe in questi
ultimi, della mancanza di attivit esterna e di illusioni sociali con una maggiore resi-
stenza agli effetti distruttivi del pensiero razionale, assicurata dalla persistente prote-
zione offerta dalla natura:
I lumi cagionati dal risorgimento delle lettere, erano appunto allora giunti a quel grado che basta-
va per cominciare linfelicit e il tormento di un popolo [sta alludendo a quello tedesco], al quale
la natura era stata meno larga dei mezzi di felicit, che sono limmaginazione ricca e varia, e le
illusioni. Ne avevano naturalmente quanto bastava (e cos glinglesi ai tempi di Ossian, come gli
stessi germani ai tempi de Bardi e di Tacito), ma non tanti, n tanto forti da resistere ai lumi cos
lungamente, come i paesi meridionali, e soprattutto (la Spagna e) lItalia, dove anche oggid si vive

1 Zib., 176-177. 2 Ivi, 177.


46 Nicola Feo
poco, vero, perch manca il corpo e il pascolo materiale e sociale delle illusioni, ma si pensa an-
che ben poco. [] La Spagna s trovata finora nello stesso caso. Il suo clima, e la situazione geo-
grafica, e il governo ec. proteggevano le illusioni come in Italia, senza per lasciarnela profittare,
n proccurarsene punto di vita, massime esterna e sociale.1
In queste righe ancora attiva lipotesi, che poi sar abbandonata, di unimmagine
ambivalente dellItalia, in quanto i gravi limiti propri della dimensione sociale sono
bilanciati dalla fiducia nella continuit di un retaggio naturale, climatico e geografico,
favorevole alle illusioni.2
Di tale fiducia troviamo del resto conferma in una pagina dello Zibaldone dellaprile
del 1821 in cui, in questo caso dopo i rilievi sulle ragioni della latitanza della poesia sen-
timentale in Italia, Leopardi continua a insistere sulla persistenza nella penisola di un
sostrato di maggiore naturalit e bellezza, sia pure ridotte dallavversit dei tempi ad
uno stato languente:
sebbene let moderna il tempo del pensiero, nondimeno il settentrione ne la patria, e lItalia
conserva tuttavia qualche poco della sua naturale immaginazione, del suo bello, della sua natura-
le disposizione alla letizia ed alla felicit.3
Abbiamo quindi ricostruito la presenza, nelle pagine dello Zibaldone del 1820-1821, di due
diverse modalit di rappresentazione dellItalia, che possiamo rispettivamente definire
una storico-evolutiva, laltra antropologico-strutturale, da cui scaturiscono risultati op-
posti. La coesistenza delle due prospettive, del resto sovente intrecciate fra di loro, non
costituisce necessariamente unincongruenza: anche nel secolo della ragione Leo-
pardi ritiene che la natura si sia corrotta ma non del tutto estinta (come si spiega nel
Dialogo di Plotino e di Porfirio),4 data la persistenza di alcune strutture psicologiche co-
stitutive dellessere umano, il quale non e non sar mai solo ragione, ma e conti-
nuer ad essere anche natura.
Ma linvestigazione zibaldoniana sullItalia che precede il Discorso non si ferma certo
qui. Come noto, fra il novembre 1822 ed il maggio 1823 Leopardi esce per la prima vol-
ta da Recanati e ha modo di sperimentare direttamente nel suo soggiorno romano il te-
nore della vita sociale e culturale della citt. Qui il Poeta tocca con mano il provinciali-
smo degli intellettuali, il loro disprezzo per la cultura filosofica moderna, la futilit degli
argomenti di conversazione, lassenza di costumi condivisi, e trova in ci una conferma
delle preoccupazioni sullItalia contemporanea gi ampiamente affiorate un anno e
mezzo prima nelle riflessioni dello Zibaldone sulla poesia sentimentale. Insomma quel-
lesperienza dovette costituire un potente stimolo a riprendere e sviluppare unindagi-
ne sulle cause della decadenza nazionale fondata su premesse di taglio storico invece
che sul sogno di una perenne essenza italiana, catturata attraverso schemi di matrice an-
tropologica.5
Lo attestano le interessanti annotazioni sulla storia dellItalia nellet moderna re-
datte nel novembre 1823, che costituiscono praticamente lanticamera del Discorso. Qui

1 Ivi, 350-351.
2 Il contrasto tra natura benefica e storia avversa, come schema archetipico ricorrente nella nostra cultura,
stato ricostruito da S. Jossa, LItalia letteraria, Bologna, il Mulino, 2006, pp. 101-148. 3 Ivi, 932.
4 Cfr. G. Leopardi, Operette morali, studio introduttivo e commento di M. Fubini, Torino, Loescher, 1993, p.272:
E quantunque sia grande lalterazione nostra, e diminuita in noi la potenza della natura; pur questa non ridot-
ta a nulla, n siamo noi mutati e innovati tanto, che non resti in ciascuno gran parte delluomo antico. Il che, mal
grado che nabbia la stoltezza nostra, mai non potr essere altrimenti.
5 A proposito dellincidenza determinante dellosservazione della societ romana sul Discorso sopra lo stato
presente dei costumi deglItaliani, cfr. le convincenti pagine di Dondero, op. cit., pp. 37-50.
LItalia di Leopardi fra antropologia e storia (1818-1824) 47
Leopardi istituisce un parallelismo fra la vicenda storica italiana e quella spagnola a par-
tire dallo spartiacque segnato dalla crisi del Seicento, in cui si verificato un crollo ver-
ticale in ogni ambito delle rispettive vite nazionali. La ragione di ci individuata in-
nanzitutto nella perdita di autonomia politica e militare sullo scacchiere europeo, in
seguito a cui Italia e Spagna hanno cessato di esistere come organismi nazionali viventi:
Come cagione assoluta, la nullit politica e militare deglitaliani e spagnuoli ha prodotto il mancar
essi di lingua e letteratura moderna dal 600 in qua, ed il mancarne oggi. Essa nullit cagione che
lItalia e la Spagna abbiano perduto dallora in poi il loro essere di nazione. Quindi essa cagione
che lItalia e la Spagna non abbiano, e dallora in qua, n letteratura moderna, n filosofia ec. Esse
non hanno lingua moderna propria, perch mancano di propria letteratura e filosofia moderna; ma
di queste perch ne mancano? perch non sono pi nazioni; e nol sono, perch senza politica e sen-
za milizia, non influiscono pi n sulla sorte degli altri, n sulla lor propria, non governano n si
governano, e la loro esistenza o il lor modo di essere indifferente al resto dEuropa.1
Per Leopardi, nel momento in cui i popoli non sono in grado di autodeterminarsi in
modo libero e di porsi come soggetti protagonisti della propria storia, smettono di es-
sere nazioni, e viceversa. Questo accade sia in una condizione di soggezione ad un do-
minio straniero sia quando la politica diventa patrimonio esclusivamente regio, senza
che i cittadini, o meglio i sudditi, ne partecipino in alcun modo:
Quanto al non influir sopra se stessi n governarsi, glitaliani o soggiacciono a un principe e ad un
governo decisamente straniero, o italianizzato il principe ma non il governo, o se il governo e il
principe sono italiani, come in Ispagna spagnuoli, lasciando star la continua influenza straniera che
li determina, modifica, volge a piacer suo, e che agisce insomma essa per mano italiana, s in Italia
che in Ispagna la forma del governo tale che la nazione non vha alcuna parte, gli affari sono in
man di pochissimi e separatissimi dal resto de nazionali, tutto si passa senza pur venire a notizia
della nazione, sicch la politica affatto ignota ed aliena alla nazione medesima, i suoi affari sono
per essa come gli altrui, ed oltre di ci la libert di ciascheduno massime privato, cio de pi e del
vero corpo della nazione, cos circoscritta che ciascheduno ben poco in grado di determinar la
sua sorte, e di governarsi, ma quanto pi si pu governato veramente da altrui, e ci non dalla
nazione, non dal comune, non ciascuno da tutti, ma tutti da uno o da pochissimi particolari, e il
pubblico, per cos dir, da privati.2
La concentrazione del potere nelle mani di un sovrano assoluto o di oligarchie ristret-
te rende la politica un affare privato, deteriora e restringe al massimo la dimensione
pubblica e comprime la libert degli individui. La partecipazione dei cittadini alla vita
civile costituisce quindi secondo Leopardi un tramite essenziale per superare almeno in
parte lindividualismo e lasocialit umana.3 Naturalmente egli sa che anche la Francia
e in parte lInghilterra, a cui riconosce il titolo di patria, sono rette da forme di governo
monarchiche, ma significativo che in una pagina dello Zibaldone del maggio 1826 si
noti che in quei Paesi i sovrani operano al servizio dei cittadini e non viceversa, per cui
il corpo sociale conserva un ruolo attivo nella sfera politica.4 Da quanto si detto risulta
quindi che per Leopardi non tutti i tipi di monarchia sono fra loro equivalenti; e qui si
impone il discorso sulla monarchia costituzionale, affrontato dallAutore da due punti

1 Zib., 3858-3859. 2 Ivi, 3859-3860.


3 Cfr. S. Timpanaro, Il Leopardi e la Rivoluzione francese, in Nuovi studi sul nostro Ottocentoi, Pisa, Nistri-Lischi,
1995, p. 138.
4 Cfr. Zib., 4179: in Inghilterra, [] in Francia, dove [] esiste una patria, ed i principi, vogliano o non voglia-
no, sono per li sudditi, e non i sudditi pel principe. Ma la stima di Leopardi va soprattutto al modello politico
inglese, apprezzato per il fatto di essere il pi vicino fra quelli europei alle organizzazioni statali antiche, come
recita Zib., 1044.
48 Nicola Feo
di vista diversi nel gennaio 1821 nello Zibaldone:1 a livello filosofico essa non certo ac-
colta come soluzione ottimale, anzi denunciata come un compromesso instabile e
contraddittorio, poich da una parte si fonda sul principio dellunit del potere, dallal-
tra si sforza di dividere e indebolire tale unit; ma sul piano della ragionevolezza empi-
rica e del realismo deve essere accettata come un male indispensabile per rimediare o
impedire un maggior male,2 ossia lassolutismo, in unepoca in cui non possibile re-
staurare le illusioni naturali necessarie al funzionamento della monarchia primitiva o
della democrazia repubblicana. In generale, comunque, sembra di poter affermare che
a Leopardi la monarchia costituzionale interessa non tanto come istituzione formale
ma soprattutto come espressione del raggiunto equilibrio tra un potere calato dallalto
ed il peso politico di una societ civile vigile e capace di far sentire la propria voce.3
Fin qui abbiamo dato conto dellanalisi della dimensione pi propriamente politica
della situazione dellItalia e della Spagna moderne. Quanto alle ricadute sulla societ ci-
vile, sulleconomia, sulla cultura e sulla vita privata, Leopardi si affida ancora una vol-
ta, come gi nel passo esaminato del marzo 1821, ad una desolante e impietosa sequen-
za di implacabili negazioni, incorniciate in apertura e in chiusura dallallusione esplicita
ad una condizione di morte civile:
Questa politica condizione dellItalia e della Spagna ha prodotto e produce i soliti e immancabili ef-
fetti. Morte e privazione di letteratura, dindustria, di societ, di arti, di genio, di coltura, di grandi
ingegni, di facolt inventiva, doriginalit, di passioni grandi, vive, utili o belle e splendide, dogni
vantaggio sociale, di grandi fatti e quindi di grandi scritti, inazione, torpore cos nella vita privata
e rispetto al privato, come rispetto al pubblico, e come il pubblico nullo rispetto alle altre nazio-
ni. Questi effetti nati subito, sono andati dal 600 in poi sempre crescendo s in Italia che in Ispagna,
ed oggi sono al lor colmo in ambo i paesi, bench le cagioni assegnatene, forse non sieno maggio-
ri oggi che nel principio, anzi forse al contrario [] Questo avvenuto perch niente in natura si
fa per salto, e perch un vivente colpito dalla morte, si raffredda appoco appoco, ed pi caldo as-
sai a pochi momenti dalla morte che un pezzo dopo. Nel 600, ed anche nel 700, lItalia gi uccisa,
palpitava e fumava ancora. Cos discorrasi della Spagna. Or luna e laltra sono immobili e gelate,
e nel pieno dominio della morte.4
Una crisi, dunque, quella italiana, che colpisce tutti i settori, politico, militare, econo-
mico, culturale, visti come manifestazioni reciprocamente connesse di un medesimo
sistema,5 e che determina progressivamente una situazione di immobilit e di stallo
pressoch totali. In queste pagine si impone allattenzione di Leopardi anche linsuffi-
ciente spirito di societ, che avr nel Discorso un ruolo centrale:
la Spagna e lItalia, dal 600 in qua, e negli ultimi tempi massimamente, non ebbero e non hanno
pi vita, non solo nazionale, chelle gi non sono nazioni, ma neanche privata. Senzattivit, senza
industria, senza spirito di letteratura, darti ec. senza spirito n uso di societ, la vita degli spagnuoli
e deglitaliani si riduce a una routine dinazione, dozio, dusanze vecchie e stabilite, di spettacoli e
feste regolate dal Calendario, di abitudini ec. Mai niuna novit fra loro n nel pubblico n nel pri-
vato, di sorta nessuna che dimostri in alcun modo la vita.6

1 Cfr. ivi, 575-579. 2 Ivi, 578.


3 A questo proposito cfr. anche Zib., 1563, in cui si sostiene come la corrispondenza fra esercizio della virt pub-
blica ed utilit individuale possa verificarsi non necessariamente in uno stato popolare, ma anche genericamen-
te dove la nazione partecipe del potere. In ultima istanza non sarebbe quindi la qualit delle istituzioni legali
in s ad essere determinante, ma la forza politica di cui dotata la comunit popolare e lo spirito complessivo che
nei fatti ispira la vita pubblica. E anche le significative concessioni al regime napoleonico di Zib. 229 sembrano an-
dare in tal senso. 4 Zib., 3860.
5 Cfr. ivi, 311: la vita domestica, la societ privata, qualunque cosa umana prende la sua forma dalla natura ge-
nerale dello stato pubblico di un popolo. 6 Ivi, 3861.
LItalia di Leopardi fra antropologia e storia (1818-1824) 49

Rispetto al Discorso si anticipano qui inoltre i motivi della ripetitivit trita, delle usanze
collettive contrapposte implicitamente ai costumi seguite meccanicamente per
mera abitudine, del languire delle attivit economiche, degli spettacoli sostitutivi di
interessi culturali autentici.
Data lassenza di risorse vitali autonome, in questa atmosfera stagnante dinamicit e
movimento derivano esclusivamente dallapporto delle nazioni straniere:
Tutto quello che possono fare si di ricevere in elemosina un poco di novit sia di cose, sia di co-
stumi, sia di pensieri, e quasi un fiato di falsa ed aliena vita, dagli stranieri. Questi sono che ci muo-
vono quel pochissimo che noi siamo mossi. Se noi non siamo ancora dopo un s rapido corso del
resto dEuropa allo stato e grado in cui era la civilt umana due o tre secoli addietro, (e gli spagnuoli
vi sono quasi ancora, e noi siam pure addietro delle altre nazioni), son gli stranieri soli che ci hanno
portati avanti. Noi non abbiam fatto un passo nella carriera, n abbiamo nulla contribuito allavan-
zamento degli altri, come gli altri hanno fatto ciascuno per la sua parte. Noi non abbiam cammi-
nato, noi siamo stati trasportati e spinti. Noi siamo e fummo affatto passivi.1
Sulla base di questi presupposti, anche se ci non viene dichiarato espressamente, unin-
tensificazione degli scambi con i Paesi pi avanzati appare auspicabile e potenzialmen-
te salutare. Se ci fosse vero, implicitamente Leopardi, pur senza mai auspicare la crea-
zione di istituzioni sovranazionali, porrebbe le premesse per laccettazione, sia pure
come soluzione di ripiego, di un inquadramento europeo dellItalia, inteso se non pro-
prio come una forma di vincolo esterno ante litteram, quantomeno come modalit ne-
cessaria per superarne il vuoto di iniziativa civile e allinearsi al grado di sviluppo rag-
giunto dalle strutture sociali delle principali nazioni continentali.2

Let della Rivoluzione


A conclusione delle riflessioni sulle note zibaldoniane che Leopardi dedica alla storia
italiana degli ultimi due secoli, opportuno soffermarsi sugli appunti relativi agli effet-
ti prodotti dalla Rivoluzione francese. Pochi giorni dopo la lunga annotazione relativa
alle affinit del percorso italiano e di quello spagnolo nel Seicento e nel Settecento, lAu-
tore torna a interrogarsi sullultimo segmento della storia patria per richiamare latten-
zione sul fatto che in conseguenza della Rivoluzione, con il declino del ruolo diploma-
tico della sede papale, lItalia ha perso anche gli elementi residui di prestigio
internazionale e di iniziativa politica e intellettuale:
Il dominio della religione ai tempi passati, e fino alla rivoluzione, (bench sempre decrescente, ma
non estinto fino ad essa rivoluzione) ma specialmente prima del 600, e per conseguenza il credito,
linfluenza, e limportanza del Papa e della Corte di Roma, contribuirono grandemente, e forse,

1 Ivi, 3861-3862.
2 Allinterno di questo piano dazione bisognerebbe ammettere allora che lesempio della lotta per lindipen-
denza condotta dal popolo greco a partire dal 1821 (a cui pure egli guarda con grande ammirazione, come testi-
monia Zib. 1590-1593, in virt della capacit di mantenere e valorizzare al massimo la propria diversit attraverso
una difesa attiva delle proprie memorie e tradizioni nazionali ed uno strenuo rifiuto di omologarsi ai costumi dei
dominatori) difficelmente sarebbe stato trasferibile nel contesto italiano, in cui ormai una totale chiusura al
progredire della civilizzazione rischierebbe di tradursi in una improduttiva chiusura provincialistica anzich in un
difficile recupero di identit ispirato allantico. In questottica, nuova sotto il profilo della strategia politica rispet-
to alle posizioni del Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica, lesempio da non seguire costituito pro-
prio dalla societ spagnola, caratterizzata da una ancora maggiore arretratezza rispetto allItalia, a cui ha contri-
buito non da ultimo la sua collocazione geografica periferica. Cfr. Zib., 3863: E quel che dico dellItalia, dico altres
della Spagna, la quale per, dal 600 in poi (come anche al suo buon tempo), vive e ha vissuto men dellItalia, non
per altro se non perch meno communicando cogli stranieri, men vita ha ricevuto di fuori.
50 Nicola Feo
massime in certi tempi, principalmente, a tener lItalia in azione, a darle campo di esercitarsi nella
politica e negli affari, materia e modo di negoziare, importanza e peso, negoziatori, diplomatici,
politici, uomini che ebbero parte attiva negli avvenimenti e ne destini dEuropa, e i cui nomi di-
vennero propri della storia. Sia nelle materie strettamente religiose, che allora erano strettamente
legate colle politiche, e di grande importanza temporale, sia nelle materie anche puramente poli-
tiche, glitaliani ebbero allora dalla religione grandi e continue opportunit occasioni e necessit di
agire e di pensare [] Questa causa di azione e di qualche vita per lItalia non si ristringeva ne suoi
effetti alla sola politica, diplomatica, affari pubblici. Naturalmente i suoi effetti si stendevano a tut-
te le parti della societ e del civile consorzio. Vera una vita in Italia. Or dunque tutte le parti della
nazione e della societ ne partecipavano, come suole accadere.1
E dalle sconfortanti conclusioni di queste pagine del novembre 1823 sullinerzia e il tor-
pore che caratterizzano la vicenda italiana moderna Leopardi non devier pi fino al
Discorso ed oltre. Rispetto a tali esiti, il Discorso si pu leggere proprio come unappen-
dice allo scavo promosso nello Zibaldone, in cui lindagine giunge fino al presente ana-
lizzando pi approfonditamente limpatto complessivo prodotto dalla Rivoluzione
francese in Italia.
Il Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani infatti, oltre che dallesigenza
di inquadrare il piccolo genere costituito dalla descrizione dei caratteri nazionali en-
tro unadeguata intelaiatura filosofica, animato anche da una volont di aggiorna-
mento dellimmagine degli Italiani, che, in particolare per quanto riguarda le classi col-
te, a parere di Leopardi sono cambiati in maniera sostanziale negli ultimi decenni,
soprattutto in seguito alla Rivoluzione francese e alla dominazione napoleonica:
i costumi e lo stato dItalia sono incredibilmente cangiati dal suo tempo, cio da prima della rivo-
luzione, al tempo presente. Allora, massime lItalia meridionale, era quasi in quello stato di opi-
nioni e di costumi in cui si trovata fino agli ultimi anni ed ancora in grandissima parte si trova la
Spagna. Ora per luso e il dominio degli stranieri, massime de Francesi, lItalia , quanto alle opi-
nioni, a livello cogli altri popoli [].2
Leopardi intende dunque raffigurare lItalia nella sua dimensione storica pi che indu-
giare su unItalia generica e astratta connotata dal suo immutabile retaggio antropolo-
gico. E in primo luogo il fattore che ha determinato una rapida evoluzione quello dato
dalle opinioni, ossia dalla mentalit diffusa; questa trasformazione si inevitabilmen-
te riflessa sui costumi e sulla realt nazionale nel suo complesso. E infatti la Rivoluzio-
ne ed il contatto con i dominatori francesi hanno causato un brusco e irreversibile salto
nella modernit e hanno contribuito potentemente allassimilazione di un atteggia-

1 Zib., 3887-3888. Non difficile accorgersi come Leopardi nel concludere con un giudizio sintetico la diagnosi
della decadenza italiana ricorra a categorie assolute, in particolare al binomio vita / morte, gi utilizzato nellop-
posizione antichi / moderni ad esempio nella canzone Ad Angelo Mai, per designare rispettivamente la complessi-
va condizione di attivit e di vigore nazionale dellItalia del Cinquecento (cfr. Zib., 842-843: Nel cinquecento, e an-
che durante il seicento [] la nazione conservava ancora un sentimento, uno spirito patrio, unazione, una vita)
e la paralisi subentrata nel periodo successivo. Linclusione del Seicento nel passo citato fra parentesi non deve
trarre in inganno, in quanto penso sia indizio soltanto della gradualit con cui si svolto il processo di perdita di
coscienza nazionale in Italia.
2 G. Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani, ed. diretta e introdotta da M. A. Rigoni,
testo critico di M. Dondero, commento di R. Melchiori, Milano, Rizzoli, 1998, p. 49. Come ha osservato G.
Lonardi, Classicismo e utopia nella lirica leopardiana, Firenze, Olschki, 1969, p. 31: Anche per Leopardi [] la
Rivoluzione e soprattutto loccupazione napoleonica non erano certo passate invano. Lesperienza della Francia
in casa, fino a Roma e oltre fino alle Marche, non poteva confrontarsi con le occupazioni e con i padroni sette-
centeschi. Quelloccupazione si era posta in modi minacciosamente nuovi, con una forza durto impensata, con
unintenzione colonizzatrice anche a livello ideologico abbastanza massiccia e ostentata, quale non vera mai
stata fino allora, pur in una storia gremita di occupazioni e di crisi.
LItalia di Leopardi fra antropologia e storia (1818-1824) 51
mento razionalistico e di conseguenza alla dissoluzione delle illusioni e dei valori tra-
dizionali che in passato guidavano i comportamenti:
GlItaliani dal tempo della rivoluzione in poi, sono, quanto alla morale, cos filosofi, cio ragione-
voli e geometri, quanto i Francesi e quanto qualunque altra nazione, anzi il popolo, il che degno
di osservarsi, lo forse pi che non quello daltra nazione alcuna. Voglio dire che quanto alla co-
gnizione del nudo vero circa i principii morali, quanto alle credenze che a questi appartengono,
quanto allabbandono delle credenze antiche, la nazione italiana presa insieme e paragonando
classe a classe conforme e corrispondente tra lei e laltre nazioni, appresso a poco a livello con
qualunque altra pi civile e pi istruita dEuropa o dAmerica. Per conseguenza da questa parte ella
priva come laltre dogni fondamento di morale, e dogni vero vincolo e principio conservatore
della societ.1
Queste considerazioni non compromettono in alcun modo la valutazione di per s so-
stanzialmente positiva degli eventi francesi posteriori al 1789, a cui in generale Leopar-
di attribuisce il merito di aver riattivato lo spirito di patria, le illusioni vitali, le passioni
collettive e quindi di aver promosso una generale rigenerazione etica, nella misura in
cui lo consentivano i tempi:
la rivoluzione francese (com stato spesso notato) ed il tempo presente hanno ravvicinato gli uo-
mini alla natura, sola fonte di civilt, hanno messo in moto le passioni grandi e forti, hanno restitui-
to alle nazioni gi morte, non dico una vita, ma un certo palpito, un certa lontana apparenza vitale.2
Se la valutazione di fondo della Rivoluzione non cambia, dal Discorso emerge con forza
ancora maggiore la gravit della situazione italiana: la dinamica rivoluzionaria infatti
non ha restituito al Paese un certo palpito di vita nazionale n ha contribuito a supe-
rare larretratezza delle strutture socio-economiche, ma anzi ha portato alla distruzio-
ne dei fondamenti etici tradizionali, senza sostituirli con valori alternativi; da qui una
condizione di frammentazione, disorientamento e disordine sociale:
lItalia , in ordine alla morale, pi sprovveduta di fondamenti che forse alcunaltra nazione euro-
pea e civile, perocch manca di quelli che ha fatti nascere ed ora conferma ogni d pi co suoi pro-
gressi la civilt medesima, ed ha perduti quelli che il progresso della civilt e dei lumi ha distrutti.3
Nel Discorso si manifesta la convinzione dellAutore che le stesse opinioni producono ef-
fetti diversi in contesti diversi, per cui in ultima istanza la civilt di una nazione non
determinata unilateralmente dalle opinioni, ma pi precisamente dallinterazione fra le
opinioni e le condizioni storiche oggettive. Le stesse opinioni infatti influiscono in ma-
niera peculiare sugli Italiani rispetto ai cittadini dei maggiori Stati europei moderni:
Queste opinioni per operano sullo stato e sulla vita deglItaliani in maniera diversa che presso gli
altri, per la diversit somma delle sue circostanze, e quindi ne risulta che con opinioni appresso a
poco, e massime in buona parte della nazione, conformi, essa di costumi notabilmente diversa
dagli altri popoli civili.4
Come si ricava dalle pagine dello Zibaldone datate novembre 1823, ci dovuto proprio
al peculiare retroterra storico su cui la recente trasformazione della mentalit si
innestata. In Italia infatti la Rivoluzione francese non riuscita a determinare una
situazione completamente nuova, visto che molti dei tratti negativi caratteristici degli
ultimi secoli ne escono confermati; ma neanche passata senza lasciare traccia, poich

1 Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani, cit., pp. 55-56. 2 Zib., 1078.
3 Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani, cit., p. 71. 4 Ivi, p. 49.
52 Nicola Feo
ha contribuito in modo determinante al superamento dei principi morali legati alla
tradizione.1 Ma poich tale superamento non stato compensato dallintroduzione di
valori alternativi, la Rivoluzione non ha potuto tradursi in un momento di autentica ri-
generazione civile, assumendo perci i contorni di una grande occasione mancata. In
realt Leopardi non nega gli effetti benefici recati dalla Rivoluzione francese nel libera-
re lItalia da alcune assurde sopravvivenze del sistema feudale, nellabolire istituti supe-
rati e nel riformare il gusto:
Applicate a questa osservazione le barbare e ridicolissime e mostruose mode (monarchiche e feu-
dali), come guardinfanti, pettinature duomini e donne ec. ec. che regnarono, almeno in Italia, fi-
no agli ultimissimi anni del secolo passato, e furono distrutte in un colpo dalla rivoluzione. (V. la
lettera di Giordani a Monti . 4.) E vedrete che il secolo presente lepoca di un vero risorgimento
da una vera barbarie, anche nel gusto; e qui pu anche notarsi quel tal quale raddrizzamento del-
la letteratura in Italia oggid.2
Tuttavia, il responso del Discorso sembra essere di segno diverso, poich esso fa indiret-
tamente apparire queste conquiste come positive ma circoscritte. Secondo Leopardi,
lesperienza della Rivoluzione avrebbe prodotto complessivamente tre esiti nel pano-
rama europeo: sarebbe passata senza innescare sconvolgimenti profondi nelle sue aree
pi ancorate al retaggio feudale, che lAutore intende scampare come la peste, conte-
stando tra laltro limmagine, trasmessa da Chateaubriand, di una Spagna rimasta in-
corrotta e naturale grazie alla sua condizione di separatezza anche geografica dal resto
del continente; avrebbe contribuito a rigenerare la vita pubblica dei Paesi maggior-
mente dotati di dimensioni collettive aggreganti, e perci capaci di far fronte ai rischi di
disgregazione sociale connessi alla diffusione della mentalit critica, responsabile della
propagazione di comportamenti individualistici; infine, in un contesto come quello ita-
liano avrebbe avuto un effetto tendenzialmente distruttivo dei valori etici tradizionali,
senza che ad essi subentrassero nuove forme di illusione ed una nuova cultura civica
condivisa.

La societ stretta
Com noto, nel Discorso il discrimine fra questi due ultimi scenari individuato prin-
cipalmente nella carenza di societ stretta, intesa come patrimonio di valori comuni,
di forme associative, di consuetudini che collegano le classi egemoni, dando vita a rela-
zioni sociali stabili, frequenti e strutturate:3 questa diagnosi, per quanto se ne possano
trovare brevi accenni in Zib. 3861, mi sembra uno dei contributi di maggiore originalit
apportati dal testo in questione rispetto alla restante produzione dellAutore, e da essa
traspare la sua eminente caratura pragmatica: con tale qualificazione si vuole designa-

1 Anche a proposito del nostro Paese, sia pure prendendo la questione e contrario per quanto riguarda il segno
della valutazione, ritengo vadano respinte entrambe le opposte interpretazioni del significato della rivoluzione in
Leopardi, formulate da E. Sanguineti, Leopardi e la rivoluzione, in Leopardi poeta e pensatore, a cura di S. Neumei-
ster e R. Sirri, Napoli, Guida, 1997, p. 495, secondo cui con essa sarebbe cambiato tutto, e da E. Gioanola, Senti-
mentale romantico e sentimentale leopardiano, in Leopardi e let romantica, a cura di M. A. Rigoni, Venezia, Marsilio,
1999, p. 37, per cui al contrario nulla sarebbe davvero mutato. Come ha dimostrato con molto maggiore equilibrio
R. Damiani, Limpero della ragione. Studi leopardiani, Ravenna, Longo, 1994, p. 140, Leopardi assumerebbe al ri-
guardo una posizione complessa e sfaccettata, rifiutando sia le teorie progressiste incentrate sulla fiducia in un uni-
co evento risolutivo una volta per tutte, sia quelle reazionarie volte a svalutarne limportanza sulla base dellidea
di una sostanziale continuit del processo storico. 2 Zib., 1078.
3 Cfr. A. Placanica, Commento a G. Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani, a cura di
A. Placanica, Venezia, Marsilio, 1989, p. 167.
LItalia di Leopardi fra antropologia e storia (1818-1824) 53
re un atteggiamento politico che rinuncia alla pretesa di conformare la societ ad un
ideale non pi realizzabile per puntare pi realisticamente sul conseguimento di risul-
tati concreti in condizioni storiche date; privilegia cio una strategia mirata al conteni-
mento del male piuttosto che alla sua eliminazione. Linvestimento sulla societ stretta
infatti si rivela nella sua natura di soluzione di ripiego nel momento in cui Leopardi, nel
ricercare i possibili fondamenti del vincolo sociale, denuncia preliminarmente come or-
mai impraticabili nellEuropa moderna, compresa lItalia, le modalit alternative che
presso gli antichi assicuravano un effettivo ordine alla societ, ossia il sistema degli
egoismi nazionali basati sullodio verso lo straniero ed una costituzione politica capace
di conciliare la virt pubblica con linteresse personale, come avveniva nella antiche
comunit democratiche:
Non da dissimulare che considerando le opinioni e lo stato presente dei popoli, la quasi univer-
sale estinzione o indebolimento delle credenze su cui si possano fondare i principii morali, e di tut-
te quelle opinioni fuor delle quali impossibile che il giusto e lonesto paia ragionevole, e leserci-
zio della virt degno dun savio, e da altra parte linutilit della virt e la utilit decisa del vizio
dipendenti dalla politica costituzione delle presenti repubbliche; la conservazione della societ sem-
bra opera piuttosto del caso che daltra cagione []1
La societ stretta tuttal pi pu dar vita ad una coesione sociale e nazionale relativa,
perch grazie allassidua frequentazione reciproca gli uomini sviluppano lambizione di
ottenere la stima altrui, fino al punto che essa diventa un elemento essenziale per la pro-
pria felicit, favorendo la diffusione di un forte sentimento di onorabilit, capace di svol-
gere la funzione di surrogato dellantica illusione della gloria, gi celebrata in AllItalia:
Lamore della gloria incompatibile colla natura de tempi presenti, cosa obsoleta come le usan-
ze e le voci antiquate, non sussiste pi, o cos raro, e dove anche sussiste cos debole e ineffica-
ce che non pu esser principio di grandi beni alla societ e molto meno servirle di vincolo, quale
egli era in gran parte una volta. A nostri tempi, presso quelle nazioni che hanno luso di quella so-
ciet intima definita di sopra, lambizione produce un altro sentimento tutto moderno, e di natu-
ra sua, siccome di fatto e di nascita, posteriore alle grandi illusioni dellantichit. Questo sentimento
quello che si chiama onore. unillusione esso stesso, perch consiste nella stima che glindividui
fanno della opinione altrui verso loro [] egli unillusione tanto poco alta e viva e luminosa che
facilmente nasconde anche agli occhi esercitati dalla cognizione del vero, la sua vanit, e pu com-
patire collo stato presente []. Questa illusione per potentissima nelle nazioni e nelle classi che
hanno luso di quella intima societ da cui solo ella pu nascere.2
Un esempio tipico della tendenza a risparmiare il pi possibile lamor proprio degli in-
terlocutori attraverso un rigoroso rispetto delle buone maniere, per consentire come in
circolo virtuoso il perdurare di legami stabili, offerto dalla pratica della conversazio-
ne, intesa come momento fondamentale della vita associata:
presso laltre nazioni la societ e conversazione, rispettandovisi ed anche pascendovisi per parte di
tutti lamor proprio di ciascheduno, un mezzo efficacissimo damore scambievole s nazionale che
generalmente sociale.3

1 Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani, cit., p. 50.
2 Ivi, pp. 52-53. In un certo senso, il passaggio da AllItalia al Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItalia-
ni si pu leggere come una sorta di parafrasi attuata in ambito civile in cui un termine prosaico come lonore ha
preso il posto in precedenza assegnato al nome troppo alto della gloria. E non stupir dunque se in questa tra-
iettoria si verificher il distacco dalla forma poetica o da una prosa eloquente come quella della peroratio e lado-
zione di uno stile analitico e argomentativo.
3 Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani, cit., p. 69.
54 Nicola Feo

Nella zona franca istituita dalla societ stretta, i singoli non si pongono quindi come
unit psicologicamente autosufficienti, ma danno vita ad uno spazio comune e a vin-
coli reciproci da cui pu nascere il senso dellappartenenza ad un unico corpo nazionale:
Per mezzo di quella societ pi stretta, le citt e le nazioni intiere [] divengono quasi una fami-
glia, riunita insieme per trovare nelle relazioni pi strette e pi frequenti che nascono da tale qua-
si domestica unione, una occupazione, un pascolo, un trattenimento alla vita [] la stretta societ
fa che ciascuno fa conto degli uomini e desidera di farsene stimare [] e li considera per necessa-
rii alla propria felicit, s quanto ad altri rispetti, s quanto a questa soddisfazione del suo amor pro-
prio che ciascuno in particolare attende desidera e cerca da essi, da quali dipende, e non si pu ri-
cever daltronde.1
In questo contesto caratterizzato dallinteresse primario per il giudizio degli altri lopi-
nione pubblica acquista una rilevanza imprescindibile in quanto terreno universalmen-
te riconosciuto e condiviso. Ma il fatto che Leopardi nel Discorso stia optando per una
strategia realistica non implica unadesione convinta agli istituti della civilt europea
dellepoca, come confermato dalla nota relativa proprio allopinione pubblica, in cui
egli esprime le sue non trascurabili riserve di natura teorica:
Lopinion pubblica di niun conto per se stessa e perch poco o nulla influisce sulla persona, sulla
fortuna e sui beni o mali, sulla felicit o infelicit dellindividuo, ed cosa di niuna sostanza, e sta
pi nellimmaginazione che nel fatto. Ma oltre a ci, filosoficamente, da esser disprezzata sopra
ogni altra cosa, perch posta fuori della potest dellindividuo, perch regolarmente incerta e sen-
za regola; incostante nei principii e nelle applicazioni; varia e mutabile ogni giorno intorno a uno
stesso individuo, a una stessa azione, o qualit.2
Lopinione pubblica quindi non pu funzionare in conformit a criteri fissi e oggettivi
n tantomeno al principio della corrispondenza fra esercizio della virt pubblica e uti-
lit individuale, fra merito e riconoscimento sociale vigente nelle democrazie antiche,3
essendo le pi volte ingiusta favorevole al male e a mali, contraria al bene e a buoni;4
al massimo essa pu garantire unomologazione sincronica unita ad una marcata quan-
to imprevedibile mutabilit diacronica, che non risponde a nessun disegno logico.
Considerazioni di questo tipo si pongono a mio avviso in stretto rapporto di affinit
con la satira dei processi di adeguamento conformistico legati alla fenomenologia delle
mode sviluppata nel Dialogo della Moda e della Morte, in cui si prende di mira la disponi-
bilit degli uomini ad unassimilazione immotivata e irriflessa della novit, non sotto-
posta a nessun filtro critico, determinata dalla volont di ottenere lapprovazione degli
altri. Lesistenza di un nesso di reciproca implicazione fra i due testi del resto suggeri-
ta in maniera abbastanza evidente dallAutore nel passaggio in cui indica nel bisogno di
riconoscimento il comune movente che spinge le persone sia a rispettare i principi etici
sia ad omologarsi esteriormente ai dettami imposti dalle mode:
Gli uomini politi di quelle nazioni [] si muovono a fare il bene per la stessa causa e con niente
maggiore impulso e sentimento che a studiar esattamente ed eseguir le mode [].5
Se teniamo presente questo nucleo concettuale comune, dovrebbe risultare chiaro che
il Discorso per la sua destinazione funzionale non contraddice, come sembrano ritene-

1 Ivi, pp. 51-52. 2 Ivi, pp. 52-53.


3 Cfr. Zib., 565: uno stato dove [] la virt e il merito non poteva mancar di premio.
4 Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani, cit., p. 53.
5 Ivi, p. 54.
LItalia di Leopardi fra antropologia e storia (1818-1824) 55
re Biral e Botti,1 bens integra la prospettiva delle Operette morali: mentre il primo, sor-
retto da un impianto propositivo concreto, tratta dellopinione pubblica come espe-
diente pratico adatto a creare sentimenti sociali e a garantire una certa uniformit di
opinioni e comportamenti nei moderni Stati occidentali non nascondendo peraltro i
suoi motivi di perplessit in merito , il secondo testo, in qualit di libro metafisico,2
scagliandosi contro i vizi e le infamie non degli uomini ma delluomo3 in genere, pu
permettersi di denunciare da un punto di vista prettamente filosofico i danni arrecati
dalle mode.4
La pars construens sviluppata nel secondo Discorso quantomeno nella sua parte
centrale 5 non contiene dunque lindicazione di una meta ideale a cui tendere. Nelle
maglie strette della civilt moderna segnata dalla morte della morale, Leopardi si trova
costretto a recuperare, come male minore rispetto ad una condizione di completa
frammentazione atomizzante del consorzio umano, ci che in opere appartenenti ad
un diverso genere di scrittura aveva criticato duramente; nella stessa logica si spiega
come la Francia, tanto vituperata nello Zibaldone per i meccanismi livellanti repressivi
delloriginalit del singolo che vi dominano, pu presentarsi nel Discorso come modello
da imitare.6
Proprio su questo terreno di compromesso tattico fra i propri principi filosofici e lesi-
genza di formulare unipotesi di riforma compatibile con le non aggirabili limitazioni
imposte dalla realt storica effettiva pu maturare la disponibilit ad una collaborazione
critica con il gruppo moderato organizzato intorno allAntologia di Vieusseux. Dei libe-
rali Leopardi condivide in larga misura la denuncia delle lacune della societ italiana,7
ma al tempo stesso ci tiene a non essere confuso con le loro posizioni: un conto infatti
invocare lampliamento della civilizzazione come unico parziale antidoto ai guasti che
essa stessa ha prodotto, ben altra cosa spacciarla come un bene in s, una manifestazione
delle magnifiche sorti e progressive e della illimitata perfettibilit del genere umano.8
Nel Discorso la rappresentazione dellItalia contemporanea si ricava guardando in
controluce, come il negativo di una fotografia, il quadro sopra delineato. La societ ita-
liana caratterizzata da un grave deficit di dimensione pubblica: gli Italiani si riducono
ad un aggregato anarchico, in cui lapparente diversit fra le persone il sintomo non
di un grado maggiore di libert individuale, ma del totale arbitrio in cui posta la defi-

1 Cfr., rispettivamente, Biral, op. cit., p. 195, e F. P. Botti, La nobilt del poeta. Saggio su Leopardi, Napoli, Liguori,
1979, p. 79.
2 Cfr. la lettera ad A. Stella del 6 dicembre 1826, in Leopardi, Epistolario, cit., ii, p. 1273.
3 Zib. 1393.
4 Lidea di un rapporto di complementarit fra le due opere sostenuta, mi pare con argomentazioni diverse,
da R. Damiani, Nichilismo e bon ton, in Miscellanea di studi in onore di Marco Pecoraro, i, a cura di B. M. Da Rif e C.
Griggio, Firenze, Olschki, 1991, p. 350.
5 Bisogna precisare come tale ipotesi interpretativa non copra del tutto la parte finale del testo, in cui riemer-
ge implicitamente le tensione verso lideale regolativo dato dalla sintesi fra civilt e immaginazione propria del-
lantichit, riattualizzata in forme nuove dalle nazioni dellEuropa settentrionale.
6 Ma le apparenti oscillazioni di giudizio sullo spirito di societ francese sembrano corrispondere ad unambiguit
oggettiva presente in re ipsa, come Leopardi consapevolmente dichiara in Zib., 773: i francesi hanno una scusa nella
natura della loro nazione, a cui la societ vita, alimento, diletto, e spavento, sanguisuga, tormento, morte.
7 Cfr. U. Carpi, Il poeta e la politica, Napoli, Liguori, 1978, pp. 143-145.
8 Sui retroscena della nascita del Discorso legati ai contatti con Vieusseux, cfr. E. Raimondi, Letteratura e identi-
t nazionale, Milano, Bruno Mondadori, 1998, pp. 31-35, e Dondero, op. cit., pp. 51-56. Vorrei precisare che se nel
corso della mia argomentazione ho preferito seguire soprattutto le linee interne al pensiero di Leopardi, con lo
scopo di dimostrare come il testo in questione non sia un frutto gratuito e ingiustificato nel quadro della sua
produzione, non per questo intendo negare limportanza del ruolo di stimolo svolto da Vieusseux, di cui peraltro
mi sembrava che la critica avesse gi sufficientemente dato conto.
56 Nicola Feo
nizione delle buone maniere e delle regole di condotta convenzionali. Gli Italiani si
comportano come monadi alla ricerca del loro immediato interesse materiale, in un
contesto oggettivo di esasperata disgregazione e conflittualit che determina un abito
di cinismo radicato e diffuso in tutti gli strati sociali, a detrimento dellorgoglio e del
sentimento nazionale:
Ed anche allamore e spirito nazionale visibile quanto debbano nuocere tali modi di conversare
per cui trattiamo e ci avvezziamo a trattare e considerar gli altri s diversamente che come fratelli,
ed acquistiamo o intratteniamo ed alimentiamo uno spirito ostile verso i pi prossimi.1
Ma se il tema della societ stretta costituisce il fulcro del discorso, nondimeno Leopar-
di per completare il quadro dellItalia del suo tempo affianca ad esso tutta una serie di
motivi tuttaltro che accessori. Nel corso dellargomentazione infatti egli richiama al-
lattenzione del lettore la mancanza la cui responsabilit possiamo attribuire agli ulti-
mi due secoli di storia italiana di un complesso di requisiti fondamentali allorganiz-
zazione di una patria moderna, posseduti invece da Francia e Inghilterra: i costumi,
concepiti come istituti capaci di far scattare nel popolo forti sentimenti identitari; un
teatro e una letteratura al passo coi tempi, in grado di assicurare una relativa uniformit
di gusti e di idee in un vasto pubblico; una capitale che eserciti la funzione di coordina-
re la vita sociale e culturale e imprima ad essa unimpronta unitaria:
Lascio stare che la nazione non avendo centro, non havvi veramente un pubblico italiano; lascio
stare la mancanza di teatro nazionale, e quella della letteratura veramente nazionale moderna, la
quale presso laltre nazioni, massime in questi ultimi tempi un grandissimo mezzo e fonte di con-
formit di opinioni, gusti, costumi, maniere, caratteri individuali, non solo dentro i limiti della na-
zione stessa, ma tra pi nazioni eziandio rispettivamente. Queste seconde mancanze sono conse-
guenze necessarie di quella prima, cio della mancanza di un centro, e di altre molte cagioni.2
Di tali requisiti si manifestano tuttal pi delle versioni degradate, assolutamente ina-
deguate a cementare una collettivit nazionale: rispettivamente Leopardi denuncia le
abitudini, viste come ripetizione meccanica di gesti esteriori frutto dellassuefazione ad
usanze tramandate dal passato; gli spettacoli e gli intrattenimenti frivoli e disimpegna-
ti, sganciati da qualsiasi coinvolgimento culturale serio; una frammentazione partico-
laristica letta come il sintomo di un municipalismo angusto e provinciale e non come
fattore di ricchezza in unottica policentrica.
Come le illusioni collettive, anche le illusioni individuali non trovano un terreno su
cui radicarsi, perch le insufficienze pi propriamente economico-sociali, dalle attivit
produttive al mondo delle professioni, proprie dellItalia ottocentesca, non aprono pro-
spettive concrete, che aiuterebbero a rendere sopportabile lesistenza distogliendo lo
sguardo dalla verit:
Lascio la totale mancanza dindustria, e dogni sorta di attivit, quella di carriere politiche e milita-
ri, quella dogni altro istituto di vita e di professione per cui luomo miri a uno scopo, e collaspet-
tativa, coi disegni, colle speranze dellavvenire, rilevi il pregio dellesistenza, la quale sempre che
manca di prospettiva dun futuro migliore, sempre ch ristretta al solo presente, non pu non parer
cosa vilissima e di niun momento, perch nel presente, cio in quello che sottoposto agli occhi,
non hanno luogo le illusioni, fuor delle quali non esiste limportanza della vita.3
Laddove allestero la societ stretta svolge anche una funzione di distrazione fornendo
un trattenimento alla vita, lesistenza degli Italiani si trascina in una dissipazione

1 Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani, cit., p. 69.
2 Ivi, pp. 56-57. 3 Ivi, p. 59.
LItalia di Leopardi fra antropologia e storia (1818-1824) 57
giornaliera, ossia in uno scialo di triti fatti secondo la celebre definizione di Monta-
le, in uno spreco del tempo privo di uno scopo e di una dimensione progettuale neces-
sari a conferirle un senso ed un orientamento: ne deriva la continua percezione della va-
nit delle cose, che fa meritare agli Italiani la poco invidiabile palma del popolo pi
filosofo nella pratica:
Ed ecco che glItaliani sono dunque nella pratica, e in parte eziandio nellintelletto, molto pi filo-
sofi di qualunque filosofo straniero, poich essi sono tanto pi addomesticati, e per cos dire con-
vivono e sono immedesimati con quella opinione e cognizione che la somma di tutta la filosofia,
cio la cognizione della vanit dogni cosa, e secondo questa cognizione, che in essi piuttosto opi-
nione o sentimento, sono al tutto e praticamente disposti assai pi dellaltre nazioni.1
Dunque nel Discorso sui costumi le definizioni dellItalia come luogo privilegiato della
poesia e della Germania come terra della filosofia, riportate dallo Zibaldone nel luglio
1820,2 appaiono completamente rovesciate. Evidentemente il patriottismo di Leopardi
pu dar vita a due immagini antitetiche dellItalia: quando prevale la volont di fare le-
va sulle risorse antropologiche connaturate al carattere nazionale, come nel Discorso di
un italiano intorno alla poesia romantica, il Paese si propone come lerede legittimo del
mondo classico; se invece nella rappresentazione predomina un taglio storico-evoluti-
vo,3 limmagine della societ italiana nella sua effettiva realt contemporanea corri-
sponde ad una versione estrema della logica della modernit.4 In essa infatti la civilt
moderna sprigiona in maniera radicale tutta la sua carica distruttiva: ne conferma lac-
cumulo di negazioni delle illusioni, dellimmaginazione, dei legami sociali, dello spi-
rito patriottico, delle attivit civili, ecc. che investono lindividualit italiana, fino a cul-
minare nella negazione che tutte le riassume, quella della vita stessa:
la vita non ha in Italia non solo sostanza e verit alcuna, ch questa non lha neppure altrove, ma
n anche apparenza, per cui ella possa essere considerata come importante.5
Questo passo sintetizza efficacemente limmagine dellItalia che Leopardi tratteggia
nel Discorso. Ci troviamo infatti davanti a un quadro coerente, privo di chiaroscuri, in
cui non appaiono, almeno a livello macroscopico, elementi positivi su cui rifondare la
vita nazionale. Anzi, nella situazione contemporanea Leopardi sembra piuttosto
mettere in evidenza come tutti i momenti unificanti propri di una nazione moderna
i costumi, la presenza di una capitale, la diffusione della letteratura, la coesione del-
la societ civile, ecc. 6 sembrino coalizzarsi per sbarrare le porte alla rigenerazione

1 Ivi, p. 64. 2 Cfr. Zib., 177.


3 Naturalmente non ignoriamo la presenza nel testo di passaggi tendenti ad una spiegazione climatica della
carenza di societ stretta, ma essi non si inscrivono in una logica di tipo deterministico, perch il riferimento al
clima al limite costituisce un elemento fra gli altri, in ultima istanza non determinante, come conferma Zib. 1951,
in cui si sottolinea come durante il Rinascimento al contrario gli Italiani siano stati capacissimi di societ. Ad
ogni modo, val la pena di notare che lambiente climatico, per le stesse ragioni per cui veniva visto come un fattore
positivo allinterno della proposta di ritorno allantico avanzata nel primo Discorso, si trasformi qui in ostacolo
rispetto allesigenza di unintegrazione con le realt nazionali di modernit avanzata.
4 Cfr. R. Damiani, Leopardi e il principio di inutilit, Ravenna, Longo, 2000, pp. 55-56: Leopardi [] definisce i
moderni in termini analoghi o addirittura identici a quelli con cui qualifica gli italiani, i quali sono per lui i filosofi
per eccellenza nella cognizione delle cose umane e di conseguenza, malgrado i loro ritardi sociali, i pi avanzati
nella sperimentazione nichilistica della modernit.
5 Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani, cit., pp. 58-59.
6 Come si pu facilmente osservare, di per s lunit politica, bench possa giovare, evidentemente non rite-
nuta in ultima istanza un aspetto n necessario n tantomeno sufficiente a dar vita ad una patria moderna: per-
tanto la Germania del primo Ottocento pu riuscire nellintento mentre la Spagna e per certi versi anche la Fran-
cia del Seicento no. Questo non significa certo che Leopardi fosse contrario ad un processo di unificazione politica,
58 Nicola Feo
del Paese.1 Visti questi presupposti, la diagnosi sul presente, suggellata da una frase del
1827, non potr che essere impietosa: Deglitaliani doggi non parlo; non so ben se ve
nabbia.2
Ad aggravare ulteriormente questo quadro, nella parte conclusiva del Discorso lAu-
tore, ricorrendo a un paradosso, chiama in causa in via ancillare anche fattori di natura
antropologica, relativi al carattere degli Italiani; qui per essi non vengono usati in
maniera statica e deterministica, ma anzi sono completamente storicizzati ed ancorati
ai risultati concreti che producono nella realt contemporanea. In questa sezione del
testo si tocca con mano tutta la distanza dal primo Discorso, rispetto al quale sembra
affievolirsi anche il bisogno di salvaguardare unoriginale individualit nazionale.
Lindole originaria degli Italiani infatti s descritta in relazione al sistema climatico
meridionale, che li rende vivaci, sensibili e immaginosi; ma proprio per la sua maggior
malleabilit, ad opera di circostanze storiche ostili alle illusioni naturali essa ha subito
una sorta di mutazione genetica, che ha potenziato in effetti le disposizioni opposte,
ossia un abito di freddezza, indifferenza ed apatia:
tanto mirabile e simile a paradosso, quanto vero, che non vha n individuo n popolo s vicino
alla freddezza, allindifferenza, allinsensibilit, e ad un grado cos alto e profondo e costante di fred-
dezza, insensibilit e indifferenza, come quelli che per natura sono pi vivaci, pi sensibili, pi cal-
di. Collocati questi tali o popoli o individui in uno stato e in circostanze o politiche o qualunque,
in cui niuna cosa conferisca allimmaginazione e allillusione, anzi tutto contribuisca al disinganno,
questo disinganno per la vivacit stessa della loro natura e in ragione diretta di essa vivacit com-
pleto, totale, fortissimo, profondissimo. Lindifferenza che ne risulta perfetta, radicatissima, co-
stantissima; linattivit, se si pu cos dire, efficacissima; la noncuranza effettivissima; la freddezza
vero ghiaccio, come accade nel gran caldo, che i vapori sono da esso elevati a tanta altezza che
quivi stringendosi nel pi duro gelo, precipitano ridotti in gragnuola.3
Lillustrazione del processo di trasformazione, sotto lurto di circostanze sfavorevoli,
del carattere dei popoli pi dotati di sensibilit e di risorse interiori nel suo estremo
opposto nasce da una generalizzazione di osservazioni analoghe applicate nel 1821 agli
individui, come risulta dallo Zibaldone:
Pare assurdo, ma vero che luomo forse il pi soggetto a cadere nellindifferenza e nellinsensibi-
lit (e quindi nella malvagit che deriva dalla freddezza del carattere), si luomo sensibile, pieno
di entusiasmo e di attivit interiore, e ci in proporzione appunto della sua sensibilit.4
Se Blasucci a proposito delle prime due canzoni ha brillantemente sottolineato il
carattere intimamente autobiografico del patriottismo leopardiano, alla luce del su-
bentrare di una condizione interiore di gelo e di apatia e del senso di inaridimento del-
la vena poetica che Leopardi spesso riferisce a se stesso5 uno dei motivi in riferimen-

ma semplicemente che questa da sola non sarebbe bastata a colmare le lacune di vario tipo accumulate nel corso
degli ultimi secoli dalla civilt italiana. Cfr. Damiani, Leopardi e il principio di inutilit, cit., p. 54: lo Stato-nazione
avrebbe comunque rappresentato nella penisola una costruzione artificiale, poich mancavano i presupposti cul-
turali e sociali per la sua efficienza.
1 Raimondi ha quindi messo giustamente in evidenza che un vero rinnovamento nazionale poteva attuarsi so-
prattutto in una prospettiva di medio o lungo periodo. Cfr. Raimondi, op. cit., p. 65: Leopardi si mostra [] scet-
tico sulla possibilit di un rapido risorgimento. Egli convinto che occorrono molti fenomeni e non una sempli-
ce congiuntura per una trasformazione strutturale.
2 Zib., 4261. Come spesso capita in Leopardi, la negazione di una convinzione diffusa si tinge dei colori del-
lironia, veicolata qui dallinterrogativa retorica indiretta.
3 Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani, cit., p. 79. 4 Zib., 1648.
5 LAutore ha raffigurato tale cambiamento di carattere, p. es., nei versi 39-44 della Vita solitaria, in cui tra lal-
tro ricompare la metafora termica del calore che si trasforma rapidamente in ghiaccio: Amore, amore, assai lun-
LItalia di Leopardi fra antropologia e storia (1818-1824) 59
to al quale si spiega anche il passaggio alla prosa avvenuto proprio nel 1824 , si potreb-
be parlare di un risvolto profondamente autobiografico, per quanto meno evidente e
immediato, anche per il patriottismo del Discorso sui costumi.
A proposito del rapporto fra levoluzione storica e i modelli antropologici, in con-
clusione vorrei discutere, alla luce dellanalisi fin qui svolta, i tre piani di lettura che Ri-
goni propone in relazione allo scritto di Leopardi:
Il paesaggio antropologico e morale italiano che egli delinea nel Discorso riveste una molteplicit
di significati. In primo luogo riflette senza dubbio unItalia storica: quella del tempo di Leopardi,
nettamente distinta e decisamente attardata sotto ogni profilo rispetto ai maggiori paesi euro-
pei. In secondo luogo cristallizza unItalia perenne, fissando una somma di caratteri antropologici
costanti, che travalicano le epoche e le differenze fra le epoche, per giungere fino ai giorni nostri:
pressa poco come la Russia vista da Custine nel 1839 non soltanto la Russia di Nicola I o la Rus-
sia zarista, ma la Russia di sempre. Infine esso assume forse un significato ancora pi vasto, un va-
lore simbolico o profetico, perch se si tiene presente il quadro generale del pensiero leopardiano
lItalia tutta filosofica, ossia cinica e nichilista, del Discorso, sembra rappresentare e prefigurare la
sorte o il rischio finale dellumanit stessa, incapace di sopravvivere alla strage di tutte le illusioni.1
Tralasciando qui per ragioni di spazio la terza prospettiva offerta da Rigoni, mi limito a
sottolineare che nel Discorso Leopardi non descrive i tratti costanti tipici degli Italiani, e
si rifiuta di illustrare lessenza dei popoli a prescindere dalla loro storia; lo prova anche
il fatto che quando nello Zibaldone ricorre ad unangolatura esclusivamente antropolo-
gica esprime una valutazione chiaramente positiva delle potenzialit dellItalia come
patria perenne della poesia. In questo testo semmai la necessit di un serio sforzo di ca-
ratterizzazione storica delle peculiarit dellItalia postnapoleonica posta come pre-
messa necessaria per formulare una credibile proposta di rinnovamento etico e politi-
co;2 proposta che nel prendere realisticamente a modello le tre grandi nazioni europee
ad avanzato grado di civilizzazione, pur continuando a rivolgersi quasi alla mia fami-
glia e a miei fratelli, lascia di fatto cadere lenfasi posta sui fattori identitari di impronta
ascrittiva lunit di sangue e di lingua, il carattere innato, ecc. presente nel Discorso
di un italiano intorno alla poesia romantica, non per accentuare lincidenza di un patto
volontaristico fra cittadini, ma per concentrarsi in maniera originale sulle strutture
storiche oggettive che assicurano un minimo di coesione ad una societ moderna.
E se si pensa che la societ stretta in primo luogo lespressione di un vincolo che si
instaura fra le classi egemoni di un Paese, fra coloro che sono dispensati dalla loro
condizione dal provvedere collopera meccanica delle proprie mani alla loro e allaltrui

gi volasti / Dal petto mio, che fu s caldo un giorno, / Anzi rovente. Con sua fredda mano / Lo strinse la sciaura, e
in ghiaccio volto / Nel fior degli anni. Peraltro la tendenza di Leopardi allautobiografismo presente in molti
momenti della sua opera rientra nella sua originale idea di conoscenza autentica, la cui organizzazione concet-
tuale non pu prescindere dallapporto di unesperienza personalmente sperimentata ed emotivamente vissuta.
Ovviamente non val neanche la pena di segnalare come con ci nulla si voglia concedere ad un rozzo biografismo
di marca positivistica, giacch implicito da parte nostra il riconoscimento della capacit di trasformare lespe-
rienza vissuta in strumento di comprensione della realt
1 M. A. Rigoni, Leopardi e i costumi degli Italiani, introd. a Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi
deglItaliani, cit., p. 22.
2 Alla luce di questo approfondimento di unattenzione di tipo storico non sembra funzionare, quantomeno
sul terreno del patriottismo, limmagine di un Leopardi sempre pi interessato alla comprensione dei dati comu-
ni inerenti alla condizione umana. Per spiegare la concomitanza cronologica (stando alla congettura di Dondero)
con la stesura delle Operette morali, converrebbe allora puntare, lo ribadiamo, sul riconoscimento di un rapporto
di coesistenza complementare fra un testo di taglio politico costruttivo come il Discorso ed unopera di respiro
compiutamente metafisico come appunto sono le Operette morali, rendendo cos giustizia alla versatilit sincro-
nica del genio dellAutore.
60 Nicola Feo
sussistenza e forniti del necessario alla vita col mezzo delle fatiche altrui,1 il Discorso si
potrebbe leggere come un durissimo atto daccusa rivolto non a presunti difetti natu-
rali degli Italiani, ma a precise responsabilit dei ceti dirigenti, refrattari ad adempiere
al compito di farsi interpreti di un interesse pubblico generale liberandosi dallinerzia
che li paralizza da almeno due secoli.2 Del resto
cosa gi mille volte osservata che i potenti imprimono il loro carattere, le loro inclinazioni ec. al-
le nazioni loro soggette.3

1 Leopardi, Discorso sopra lo stato presente dei costumi deglItaliani, cit., p. 51.
2 Coglie intelligentemente questo aspetto A. Placanica, Leopardi, o della modernit, introd. a Leopardi,
Discorso sopra lo stato presente, a cura di Placanica, cit., p. 87. Davvero non riesco a comprendere (soprattutto in
relazione a questo secondo Discorso) come in suo successivo articolo, La miseria morale deglitaliani: da Leopardi a
Pirandello, et ultra, La Rassegna della letteratura italiana, cv, 2001, contraddicendo implicitamente tale assunto,
egli accomuni invece i due scrittori nominati nel titolo per aver entrambi ricondotto lindividualismo sordo ad ogni
dimensione pubblica tipico degli Italiani non a ragioni storiche, bens a fattori ambientali e climatici, intesi come
elementi fondamentali nella formazione dei caratteri nazionali. 3 Zib., 1563.
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SOMMARIO
saggi
Alessandro Capata, Sondaggi sulla virt postmachiavelliana: Vettori, Giovio, Segni 11
Nicola Feo, LItalia di Leopardi fra antropologia e storia (1818-1824) 33
Bruno Porcelli, Segreti dellalbergo di Alvaro e le difficolt di un lettore 61

note
Luigi Derla, LUlisse demitizzato, o del naufragio come spettacolo (nota su Inferno, xxvi ) 71
Claudio Mariotti, Il sonno degli elefanti 87
Alberto Godioli, LOmero del cristianesimo: alcuni dantismi nei Poemi conviviali 93
Valerio Capasa, Fogazzaro nelle strettoie della ragione ottocentesca 107
Ida Campeggiani, Costa San Giorgio: ipotesi di lettura 119

critica e metodologia
David Quint, Poesia e ritratto nel Rinascimento. Note a margine 143

letteratura d oggi
Cesare Cat, Il lapsus della critica italiana novecentesca: il caso letterario Amelia Rosselli 149
Luciano Zampese, La fame allegra dei Piccoli maestri di Luigi Meneghello 175

bibliografia
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Angela Oster, sthetik der Atopie. Roland Barthes und Pier Paolo Pasolini (M. Ciccuto) 233

Notiziario 237

Libri ricevuti 267

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