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Il Sindaco

Discorso per il LXXII anniversario della Liberazione


25 aprile 2017

Buongiorno a tutti,

ringrazio le Autorit civili e militari, le associazioni partigiane,


dei combattenti e dei reduci e tutti Voi per aver voluto
partecipare alla celebrazione del settantaduesimo
anniversario della Liberazione dellItalia.

Come ogni anno Pistoia, medaglia dargento al valor militare,


festeggia il 25 aprile, la ritrovata libert della Nazione, con
un ricco programma di iniziative, che coinvolgono ogni
generazione di pistoiesi: dai bambini e i ragazzi delle nostre
scuole ai tanti giovani che sempre affollano il pranzo in
strada in porta al Borgo, fino ai molti cittadini di tutte le et
che partecipano alla biciclettata al Cippo di Silvano Fedi, alla
maratonina del partigiano e alle tante altre occasioni di
commemorazione e festa, che, iniziate nei giorni scorsi,
proseguiranno per tutta la settimana. Anche questanno,
infatti, il Comitato Unitario in Difesa delle Istituzioni
Repubblicane ha voluto organizzare un calendario di
appuntamenti che consentisse di celebrare questa giornata
come un momento di riflessione, ma anche di partecipazione
gioiosa, semplice e popolare. Proprio come fu il 25 aprile del
1945.
Questanno, in particolare, - memori dellesortazione di
Sandro Pertini a non considerar bisognosi i giovani di
sermoni, ma di esempi di onest, di coerenza e di
altruismo - abbiamo deciso di dedicare alcuni spazi pubblici
ad altrettante figure esemplari che contribuirono, anche con
il loro sacrificio, alla liberazione di Pistoia, della Toscana e del
Paese. Si tratta di donne e uomini, diversi per storia
personale e sensibilit culturali e politiche, ma tutti animati
dal desiderio di costruire una societ pi libera e pi giusta,
e di riscattare la loro terra dalla miseria morale, prima
ancora che economica e sociale, del ventennio fascista.
Pochi giorni fa abbiamo intitolato a Dino Niccolai, partigiano
e antifascista pistoiese, il giardino in via Mameli, vicino ai
luoghi dove egli abit.
stata una cerimonia intensa, molto partecipata e perfino
commovente. Erano presenti i figli di Dino, Nadia e Luciano,
alcuni studenti della scuola primaria Carradori insieme ai loro
docenti, le autorit civili e militari del nostro territorio, le
associazioni combattentistiche e d'arma e molti cittadini.
Dino Niccolai partecip alla Grande Guerra e incontr la
passione politica poco pi che ventenne, nel 1919. Nel 1921
prese parte agli "Arditi del Popolo", ader al partito socialista
italiano e nel 1923, a seguito della scissione, pass al Partito
Comunista dItalia, divenendone presto un attivista e un
dirigente. Lavorava nelle ferrovie, ma nel 1923 venne
licenziato per aver partecipato agli scioperi nazionali dei

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ferrovieri. La sua attivit antifascista lo port ad essere
fermato ed arrestato pi volte nel corso degli anni, fino ad
essere condannato a tre anni di carcere e a tre di
sorveglianza, nel 1927, dal Tribunale Speciale. Scont
integralmente la sua pena, e soprattutto rifiut sempre di
chiedere la grazia a Benito Mussolini, opponendo dinieghi
reiterati agli inviti in tal direzione, rivoltigli dal regime, come
avveniva in genere per gli antifascisti in carcere, al fine di
minarne lautorevolezza, la credibilit e la dignit. Alluscita
dal carcere prosegu, con determinazione e coraggio,
nellattivit antifascista clandestina, subendo altri arresti.
Alla caduta del fascismo venne designato a rappresentare il
PCI nel Comitato di Liberazione Nazionale. Fu eletto
consigliere comunale e nominato assessore al Comune di
Pistoia, nella prima giunta pistoiese dell'Italia Repubblicana,
quella guidata da Giuseppe Corsini.
A chi chiese a Dino Niccolai cosa avesse fatto per lItalia, egli
rispose: Ho fatto quello che mi sembrato pi giusto in
quel momento.
Parole, quelle di Dino, che evocano quelle con le quali Alex
Langer spronava le donne e gli uomini di buona volont a
continuare in ci che giusto: un impegno tanto difficile
da onorare, quanto necessario.
Proseguire in ci che giusto significa - oggi, come ieri -
dar voce alle ragioni di chi non ha voce; rifiutare la logiche
clientelari e scegliere la via del rigore e della semplicit;
rifiutare di essere forte con i deboli e debole con i forti e

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riaffermare, anche in solitudine, le ragioni dell'umanit e
della civilt, della libert e dell'eguaglianza di tutti e di tutte,
quale che sia la provenienza e la destinazione di ognuno.

Dare un nome ad uno spazio pubblico un atto dal grande


valore simbolico perch significa raccontare lidentit di una
comunit, significa evocarne la storia e scegliere, tra i molti
episodi, quelli pi luminosi ed esemplari; significa dire a noi
stessi chi siamo e quali sono i nostri modelli di convivenza
civile. Dedicare i luoghi della citt a coloro che hanno
edificato la nostra Repubblica, dunque, significa ricordare a
noi stessi che dobbiamo sforzarci di non esser mai faziosi,
ma sempre invece partigiani, che vuol dire discernimento tra
ci che giusto e ci che non lo , scelta di fronte al bivio
per ci che pi essenziale. Essere partigiani significa, in
definitiva, ieri come oggi, prender parte per la promozione e
la difesa di valori universali di civilt e umanit; ingaggiarsi
per la pace e la democrazia, per la libert e leguaglianza,
contro ogni forma di sopraffazione e violenza.

la parte che scelse anche Dino Fabbri, la cui memoria


domani celebreremo con una cerimonia di commemorazione,
in un altro giardino a lui intitolato. Anchegli ferroviere,
trasferito e poi licenziato per le sue attivit antifasciste,
conobbe come e talvolta insieme a Dino Niccolai la
violenta repressione del regime fascista. Fu condannato al
confino per quattro anni e costretto a lasciare sole la moglie

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e la figlia di appena un anno. Fu ripetutamente imprigionato
e, in ognuna di queste occasioni, dovette patire le violenze
fisiche e psicologiche che il regime perpetrava nei confronti
di coloro che gli si opponevano.
Come Dino Niccolai, prosegu nel dopoguerra il suo impegno
di autentico democratico, divenendo un importante dirigente
del movimento sindacale e cooperativo.
Entrambi questi uomini videro conculcate le proprie libert
politiche e sperimentarono direttamente lintrusione cruenta
del Fascismo nelle loro vite private; senza mai piegarsi
lottarono per tutto il ventennio e durante la Resistenza
perch il Paese potesse riscattarsi dalla meschinit morale,
civile e politica, alla quale lo aveva condannato una dittatura
feroce quanto tronfia e grottesca.
Furono tra coloro che videro il crollo del Regime, la fine della
guerra e la nascita della Repubblica e che parteciparono, in
prima persona, alla costruzione di quella democrazia difficile
che, nel 1946, sorse in Italia.

Domani celebreremo anche due giovanissime donne, che


dopo l8 settembre 1943, ad appena 21 anni, Liliana, e 17
anni, Lina, senza esitazione alcuna, si unirono alla forze
partigiane, divenendo preziose e coraggiose staffette,
rischiando la vita nel trasporto di armi alle forze partigiane
che combattevano in citt e in campagna.
Liliana e Lina sono ritratte, insieme a Lele Bemporad, Marino
Gabbani e a Bumeliana Pisaneschi Ferretti, in una fotografia

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scattata fra l8 e il 9 settembre 1944, in via Abbi Pazienza.
unimmagine che molti di voi avranno presente: un gruppo di
ragazzi, con le armi in spalla, lo sguardo concentrato e fiero,
si trovano in una strada della loro amata citt, che anche la
nostra, allora appena liberatasi dalloccupazione nazifascista,
anche grazie al loro contributo. Quei volti, giovani e gravi,
quelle spalle femminili, esili eppur saldissime, che reggono
armi che hanno sparato e che avrebbero potuto tornare a
farlo, ci raccontano pi di mille parole ci che quelle donne,
e i loro compagni, stavano vivendo.

Questa lotta scriveva Giorgio Agosti a Dante Livio Bianco


proprio per questa sua nudit, per questo suo assoluto
disinteresse, mi piace. Se ne usciremo vivi, ne usciremo
migliori; se ci resteremo, sentiremo di aver lavato troppi
anni di compromesso e di ignavia, di aver vissuto almeno
qualche mese secondo un preciso imperativo morale.
Commentando queste parole Giovanni De Luna scrisse poi:
a questo slancio vitale si accompagnava la sensazione di
vivere una fase assolutamente irripetibile della storia
italiana, in cui tutto era possibile, anche 'una scommessa sul
mondo', una resa dei conti con tutto quanto di sbagliato,
corrotto, ingiusto il fascismo aveva fatto affiorare nel
costume nazionale, l'azzeramento dell'eredit di un'Italia
liberale ancora intrisa di trasformismo, con uno Stato
unitario sempre forte con i deboli e debole con i forti.

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Lina e Liliana condivisero quello slancio vitale e quella
sensazione e, anch'esse, si impegnarono affinch tutte
quelle alte aspirazioni potessero inverarsi nel corso della
storia repubblicana, raccogliendo il testimone di quanti,
lottando per la Liberazione del Paese, invece perirono, come
accaduto ad un'altra straordinaria donna, Modesta Rossi.

Sabato mattina abbiamo intitolato a Modesta la piazza di


Bonelle, raccogliendo una proposta degli abitanti del paese.
stata una festa davvero molto partecipata, a dimostrazione
di come la Resistenza e i suoi valori siano ancora vivi nella
nostra comunit. La storia di Modesta anchessa
testimonianza esemplare del contributo fondamentale che le
donne offrirono al movimento di Liberazione.
Madre di cinque figli, fu una partigiana combattente:
portaordini della banda partigiana alla quale aderirono lei e
suo marito Dario Polletti, coordinava le diverse squadre
partigiane quando si spostavano da una base all'altra. Fu la
sarta dei partigiani dal Casentino alla Maremma e
partecipava attivamente alle discussioni che si svolgevano
nella banda. Fu un punto di riferimento sicuro per i suoi
compagni di lotta, pronta ad ascoltarli e a spronarli nei
momenti difficili di sconforto.
Fu portatrice di armi e di sorrisi.
Modesta fu uccisa barbaramente, insieme a suo figlio
Gloriano di appena 13 mesi, perch si rifiut di rivelare dove
si trovassero i suoi compagni. Le fu strappato dalle braccia il

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figlioletto. Lo vide morire e dopo pochi attimi ne condivise
l'orribile fine. I loro corpi furono ritrovati in una capanna
data alle fiamme.
Questo sono stati il Fascismo ed il Nazismo.
bene ricordarlo.
Ma cosa spinse queste donne e questi uomini a compiere
scelte tanto difficili?
Quali ragioni mossero, in tutta Europa, tantissimi, di ogni
estrazione sociale, di varia provenienza culturale,
giovanissimi e anziani, a decidere di prendere le armi per
porre fine alla guerra e ad agire per mutare radicalmente lo
stato delle cose che avevano conosciuto sino a quel
momento?

Gianfranco Pasquino, commentando le lettere dei partigiani


condannati a morte, ha annotato: Sullo sfondo, per tutti, sta
ovviamente laspirazione alla pace, vale a dire a porre
termine alle ricorrenti guerre. Tuttavia, ancora pi chiara la
richiesta di giustizia sociale nella consapevolezza che
nessuna pace pu essere duratura se non una pace
riconosciuta come giusta ovvero basata su un assetto che
protegga e promuova i diritti dei cittadini e che stabilisca
criteri condivisi per la suddivisione delle risorse. No, non
n ricerca n anelito alla prosperit, ma lobiettivo indicato
anche laccesso ai frutti del proprio lavoro. Infine, ma
assolutamente non come elemento marginale, questi
condannati a morte condividono un elemento, forse

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embrionale, ma che si affaccia alle loro menti: il
superamento dei gretti nazionalismi guerrafondai. Lidea che
una pace giusta debba essere costruita superando, se non
abolendo del tutto i nazionalismi, circola in molte lettere.

L'ideale di un mondo senza guerra si fondava sul


riconoscimento dell'appartenenza di tutti e di ciascuno ad
un'unica comunit, quella del genere umano, vasto e vario
quanto vasto e vario il mondo.
Ne troviamo traccia anche tra i principi fondamentali della
nostra Costituzione, in quell'art. 11 secondo il quale l'Italia
ripudia la guerra come strumento di offesa alla libert degli
altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali; consente, in condizioni di parit con gli altri
Stati, alle limitazioni di sovranit necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni;
promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte
a tale scopo.

Occorse il sangue versato in due guerre mondiali, due inutili


stragi, affinch noi europei comprendessimo che solo
superando i rispettivi egoismi nazionalistici sarebbe stato
possibile costruire una prospettiva concreta di crescita civile,
economica e sociale, e soprattutto una pace duratura.
Cos iniziato il processo di integrazione europea e, tra
molte difficolt, incertezze e contraddizioni, si dato vita ad
istituzioni comuni e forze politiche transnazionali.

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Sono passati pi di settant'anni dalla fine della seconda
guerra mondiale e stiamo oggi assistendo alla crisi profonda
di quegli ideali universali: abbiamo visto l'uscita del Regno
Unito dall'Unione Europea, l'elezione di Donald Trump alla
presidenza degli Stati Uniti d'America, la vasta affermazione
della destra sciovinista persino alle elezioni francesi di due
giorni fa. Vediamo cio intorno a noi la rinascita di
sentimenti, forze politiche e persino governi nazionalistici
che ci vorrebbero chiusi entro i nostri confini, carichi di
risentimento nei confronti non solo di chi giunge, disperato e
privo di tutto, nei nostri paesi alla ricerca di una vita migliore
per s e per la propria famiglia, ma anche nei confronti dei
popoli con i quali da sempre confiniamo.

Assistiamo cio ad un'involuzione pericolosa che trova


alimento nella reazione spaventata di milioni di persone,
cittadini e popoli, che non comprendono pi il mondo nel
quale vivono e che non riescono pi a scorgere un orizzonte
di senso che dia loro fiducia nel futuro.
Se non saremo tutti insieme, sinceri democratici, capaci di
orientare verso un cambiamento, anche radicale, la societ
nella quale viviamo, secondo quei valori di giustizia e di
libert, che sono stati la stella polare dell'Europa
contemporanea, si affermeranno pericolosi demagoghi,
incapaci di offrire una reale prospettiva di futuro per le
nostre comunit; e gi ve ne sono abili imbonitori i quali,

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coltivando la paura e la disperazione che tanti provano,
promettono il ritorno ad una mitica et delloro, nella quale
ogni problema sarebbe risolto grazie ad un consolatorio
ripiegamento autarchico in noi stessi: ciascuno chiuso dentro
la propria casa, al sicuro dietro pesanti porte blindate e
finestre serrate, circondato dai pochi intimi degni di fiducia.

Se il Vecchio Continente si abbandoner a queste


pericolosissime sirene, mancher anche un attore
internazionale potenzialmente decisivo per svolgere il ruolo
di pacificatore nei tanti, troppi conflitti che insanguinano il
globo, e rischiamo che non vi sia pi nessuno in grado di
evitare che da uno di questi focolai divampi l'incendio di una
nuova guerra mondiale, inimmaginabile per gli effetti che
potrebbe produrre per la nostra stessa sopravvivenza.

Le donne e gli uomini della mia generazione sono cresciuti


nell'idea che l'umanit avesse bandito, o comunque avesse
reso del tutto remota, la possibilit che deflagrasse un nuovo
simile conflitto. Eppure, proprio la mia generazione, che si
trova, oggi, ad avere responsabilit di governo diffuse e
dunque a misurarsi con questo nuovo, concreto pericolo.

Ci troviamo cio, di nuovo, al bivio tra ci che giusto e ci


che non lo . Occorre scegliere chiaramente e senza
ambiguit alcuna, da che parte stare: se da quella degli
apprendisti stregoni, che giocano con il fuoco dellodio e

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della paura, i quali per ottenere facili consensi alimentano gli
istinti peggiori che abitano in ciascuno di noi, maneggiano
con spregiudicatezza sentimenti razzisti e xenofobi. Oppure
possiamo scegliere di essere dalla parte del futuro e di
riaffermare sempre, anche a costo di essere impopolari o
controcorrente, il primato della ragione, che si nutre della
curiosit per laltro e per il mondo, che si alimenta del
confronto e delle differenze. Possiamo cio scegliere di
seguire la strada che fu, tra gli altri, quella di Modesta, di
Dino Fabbri e di Dino Niccolai, di Lina e Liliana: avere il
coraggio delle proprie idee e operare, con coerenza e
dedizione, affinch possano tornare ad essere attuali quegli
ideali di fratellanza universale che hanno animato le
resistenze europee ed anche la Resistenza italiana.

Siamo dunque al bivio e dobbiamo scegliere.


Questo significa che siamo chiamati di nuovo ad adunarci,
ora e sempre, morti e vivi con lo stesso impegno, intorno a
questo nostro monumento, per dignit non per odio, decisi
a riscattare il terrore e la vergogna del mondo.

Buona Liberazione a tutti!


Viva la Resistenza!
Viva la Repubblica, democratica e antifascista!

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