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SOPHIA

Praxis 6

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EZIO FALAVEGNA DARIO VIVIAN


(a cura)

LA trasmissione
della fede
oggi
Iniziare alla vita cristiana,
dono e compito

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Pubblicazione realizzata con il contributo


del Servizio Nazionale per gli Studi Superiori
di Teologia e di Scienze Religiose della CEI

Imprimatur
Padova, 24 settembre 2011
Onello Paolo Doni, Vic. Gen.

ISBN 978-88-250-2932-1
ISBN 978-88-250-3073-0 (PDF)
ISBN 978-88-250-3074-7 (EPUB)

Copyright 2011 by P.P.F.M.C.


MESSAGGERO DI SANTANTONIO EDITRICE
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FACOLT TEOLOGICA DEL TRIVENETO
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Ezio Falavegna
La trasmissione della fede.
Un quadro di riferimento
introduttivo

Mettersi oggi di fronte alla sfida della trasmissione


della fede non semplice, dal momento che viviamo
unepoca che vede venire meno tutte le forme conso-
lidate di trasmissione sulle quali si poggiava la rela-
tiva stabilit di un mondo che ci sta alle spalle. Co-
me viene osservato da pi parti, la modernit non
solamente la crisi della trasmissione, dei suoi oggetti
e dei suoi processi; anche la crisi dellidea stessa di
trasmissione1. Daltra parte proprio questo scosso-
ne dalle fondamenta ci permette di chiederci che cosa
sintenda per trasmissione e soprattutto dove sinse-
risca questo processo che, per quanto riguarda la fe-
de cristiana, permette il passaggio di generazione in
generazione della confessione e della testimonianza
di Ges Cristo e del suo Vangelo; consapevoli, peral-
tro, che siamo di fronte al paradosso che ci chiede di
trasmettere lintrasmissibile2. Con tratti sintetici e
visivamente evocati, si potrebbe affermare che le for-
me di trasmissione solitamente messe in atto vedono
protagonista di volta in volta un essere umano fatto di
testa, di cuore, di mani e piedi. Ecco allora la preva-
lenza dei contenuti, con la spiegazione della dottrina
cristiana; la preminenza dei sentimenti, con la pratica
di forme religiose coinvolgenti; la preoccupazione dei

1
R. Kas, Transmission de la vie psychique entre gnrations, Du-
nod, Paris 2003, p. 16.
2
Cos titola il primo capitolo del suo libro Ch. Theobald, Tra-
smettere un Vangelo di libert, EDB, Bologna 2010.

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comportamenti, con linsistenza sulla morale. Non ci


pu essere autentica trasmissione, in realt, se a essere
coinvolta non la totalit di noi, se questo processo
non ci afferra fino a plasmare quella che il Documento
Base sul rinnovamento della catechesi chiama la men-
talit di fede3. Si tratta di una visione di noi stessi e
degli altri, del mondo e della storia, di Dio e delluo-
mo, che nei Vangeli viene spesso presentata come una
nuova possibilit di aprire gli occhi fino a quel mo-
mento impediti (Lc 24,16.31). Si costituisce cos luni-
verso simbolico interpretativo della realt, che il fine
di ogni autentica trasmissione.

1.Luniverso simbolico e la mediazione


del linguaggio

Anche senza addentrarsi in studi specialistici, si


oggi consapevoli che la percezione del reale non cos
ingenua come appare da certe semplificazioni indebi-
te. Non abbiamo un approccio bruto alla realt, quasi
che essa si imponga a noi in forma oggettivistica; nem-
meno la inventiamo soggettivisticamente, costruendo
un immaginario staccato dal reale. La percezione
simbolica, mette insieme ( questo il significato del
simbolo) oggetto e soggetto, garantendo cos lo spa-
zio del senso e della libert. Luniverso simbolico
pertanto lorizzonte interpretativo a partire dal quale
il caos diviene cosmos e si offre a noi in modo sensato4.
Entro questo orizzonte noi ci costruiamo come sog-
getti, in relazione di riconoscimento e di riconoscen-
za. Il linguaggio la mediazione prima e fondamen-
tale attraverso cui si plasma luniverso simbolico di

Su questo ha riflettuto L. Meddi, Integrazione fede e vita. Ori-


3

gine, sviluppo e prospettive di una intuizione di metodologia catechi-


stica italiana, ElleDiCi, Torino 1995.
4
Una sintesi di questo approccio simbolico si trova nella prima par-
te del testo di L.-M. Chauvet, I sacramenti, Ancora, Milano 1997.

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ogni cultura, ed appunto immergendoci nella lingua


madre che noi vi accediamo. Il processo di trasmissio-
ne avviene tramite questa immersione e inizia gi nel
seno della madre, che parla al bambino che tiene in
grembo e in questo modo comincia a farlo venire alla
luce, immettendolo in un mondo di senso.

2.Luniverso simbolico della fede

Lofferta di senso che la fede nel Dio di Ges Cri-


sto comunica a chi laccoglie fa riferimento alluniver-
so simbolico costituito dalla singolarit cristiana5. Es-
so giunge a noi e ci plasma attraverso la lingua madre
della Chiesa, che veicola lesperienza credente. Si trat-
ta di un linguaggio che prende avvio dalle Scritture,
si modella attraverso i sacramenti e approda alla vita
eticamente informata dal Vangelo. un linguaggio da
sempre inculturato, dal momento che la parola di Dio
ci giunge in parola duomo, anche se non si identifica
con nessuna cultura. Nel suo darsi e nel suo dirsi pone
in circolarit gli universi simbolici espressivi di ogni
realt culturale con luniverso simbolico scaturito
dallevangelo di Ges. La dimensione circolare e re-
ciproca del rapporto viene espressa con due afferma-
zioni: inculturare il Vangelo ed evangelizzare la cul-
tura. La prima allude allarricchimento che luniverso
simbolico della fede cristiana riceve quando viene a
contatto con i differenti universi simbolici di culture
altre; si realizza, in questo modo, quanto la tradizio-
ne ci consegna: la Scrittura (pi ampiamente, tutto il
linguaggio della fede cristiana) cresce con chi la legge.
La seconda rinvia alla necessaria purificazione, di cui
ogni universo simbolico culturale necessita non solo
per essere assunto quale tramite della fede, ma anche

5
Si parla anche di differenza cristiana: cf. E. Bianchi, La diffe-
renza cristiana, Einaudi, Torino 2006.

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per esprimere in verit lumano in tutto il suo signifi-


cato; in un certo senso, e rendendo reciproca la frase
di Gregorio Magno, lievita la dimensione culturale
con chi legge levangelo. Uneco di ci mi sembra si
possa trovare nella Nota dellepiscopato italiano dopo
il convegno di Verona, l dove si dice che la vita quoti-
diana alfabeto per comunicare il Vangelo6. Abbia-
mo bisogno delluniverso simbolico culturale sintetiz-
zato nei cinque ambiti (vita affettiva, lavoro e festa,
fragilit umana, tradizione, cittadinanza), se vogliamo
trovare parole per un annuncio significativo nelloggi.
Ma c anche la dimensione reciproca: il Vangelo al-
fabeto quanto mai significativo per dire la vita, soprat-
tutto in quegli ambiti nei quali sembrano mancare le
parole per esprimere un vissuto eccedente.

3. Passaggio di paradigma

Non c pertanto trasmissione della fede, se non


viene toccato luniverso simbolico: sia quello che dice
lumano (la vita e la morte, lamore e il dolore, se stessi
e gli altri, il mondo e la storia...), sia quello che esprime
il divino (il volto di Dio, il senso del sacro, limmagine
di Chiesa, la percezione dei riti, lapertura escatologi-
ca...). significativo che le ricerche di sociologia reli-
giosa si affidino oggi assai pi allindagine qualitativa
rispetto a quella quantitativa e facciano emergere dalle
interviste e dai racconti di vita ci che tocca luniverso
simbolico delle persone7. In questottica assistiamo a

Conferenza Episcopale Italiana, Rigenerati per una spe-


6

ranza viva (1Pt 1,3): testimoni del grande s di Dio alluomo, No-
ta pastorale dopo il 4o Convegno Ecclesiale Nazionale, n. 12, Roma
2007.
7
Va in questa direzione una recentissima ricerca condotta sul
mondo giovanile: Osservatorio socio-religioso triveneto, C
campo? Giovani, spiritualit, religione, Marcianum Press, Venezia
2010.

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un necessario cambiamento di paradigmi, nellambito


della trasmissione, segnando cos dei passaggi deline-
abili sinteticamente in questo modo8. Un primo para-
digma, tipico delle societ tradizionali, mette in atto la
pedagogia dellinsegnamento e si sforza di proporre
la dottrina cristiana spiegando i contenuti. Il cristiano
viene visto come colui che appartiene allistituzione,
in una Chiesa considerata il corpo organico del Cri-
sto. Un secondo paradigma emerge dalle societ in
cambiamento, dove la dottrina cristiana non basta
pi in quanto non si pu fare affidamento su pratiche
uniformi e condivise. Ecco pertanto il passaggio alla
pedagogia dellapprendistato, dove diviene primario il
compito di far fare esperienze; un po come se si doves-
se far apprendere unarte, andando a bottega dallarti-
giano. Non essendoci pi il supporto della famiglia e
della societ, bisogna che chi viene introdotto alla vita
cristiana ne faccia esperienza presso chi cristiano lo .
In questo paradigma la trasmissione avviene soprat-
tutto con il coinvolgimento nella comunit cristiana,
popolo di Dio in cammino dentro la storia. Il terzo
paradigma risponde a una societ complessa, dove
non si pu dare per scontato lorizzonte di cristianit
e si tocca con mano il venir meno di quel catecumena-
to sociale, le cui tracce sembrerebbero invece resistere,
ad esempio, nella richiesta sacramentale. La pedagogia
non pu che essere una pedagogia di iniziazione, che
predispone a vivere il passaggio pasquale mettendo a
prova di Vangelo la propria esistenza. Trasmettere per-
tanto iniziare, consapevoli che il processo iniziatico
ha la grande capacit di riplasmare luniverso simbo-
lico della persona. Lo fa non comunicando contenuti
dottrinali e nemmeno solo coinvolgendo in cose che

Si pu fruttuosamente leggere, a questo riguardo, la terza parte


8

del volume di D. Villepelet, Les dfis de la transmission dans un


monde complexe. Nouvelles problmatiques catchtiques, Descle
De Brouwer, Paris 2009.

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si fanno insieme, piuttosto sperimentando una dimen-


sione di morte da una parte e di vita dallaltra; a rischio
di Vangelo, infatti, lesistenza si sente stretta in un pas-
saggio critico, che la fa venire alla luce in modo nuovo.
La Chiesa che accompagna questa dinamica iniziatica
si autocomprende come tempio dello Spirito, il vero
iniziatore che soffia in libert e genera in novit.

I saggi raccolti in questo volume rappresentano


il frutto, senza dubbio non esaustivo ma comunque
incoraggiante, di un lavoro interdisciplinare svolto
allinterno di un seminario di studio9, nel desiderio di
contribuire a porre in campo riflessioni e prospettive
di impegno pastorale, tali da concorrere alla ricerca di
un fecondo servizio alla trasmissione della fede.
Lorizzonte entro cui si colloca la proposta il rap-
porto tra pratiche pastorali e universo simbolico: a
partire dalle pratiche si individuano i dispositivi della
trasmissione messi in atto (istruzione, apprendistato,
iniziazione) per evidenziare come ne esce trasformato
luniverso simbolico della fede cristiana.

Il seminario era originariamente diviso in due fasi. Nella prima


9

si offerto il quadro complessivo entro il quale stato poi inserito


il lavoro di ricerca degli studenti. Si trattato di una proposta in-
terdisciplinare, che i docenti invitati hanno elaborato in dialogo con
gli studenti stessi, fornendo materiale di riflessione e riferimenti bi-
bliografici. Nella seconda parte del seminario si sono costituiti alcuni
gruppi chiamati a prendere in esame una pratica pastorale nellambito
della trasmissione della fede, attraverso lelaborazione di griglie di
lettura e di valutazione, al fine di prospettare linee di rinnovamento
della medesima prassi. A met percorso i gruppi hanno avuto una
verifica con i docenti coordinatori, per mettere a fuoco la metodolo-
gia di ricerca, usufruendo dei contributi dei diversi interventi. Infine
ciascun gruppo ha presentato il proprio lavoro, confrontandolo e ac-
cogliendo le osservazioni dei docenti e degli altri studenti, in vista
della stesura dellelaborato finale.

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Roberto Tommasi
Crisi della trasmissione
e risorse simboliche
del campo pratico

Le riflessioni che seguono, nate allinterno di una


ricerca a pi voci sulla trasmissione della fede cristia-
na, intendono far luce sul senso e le possibilit del
trasmettere nel contesto contemporaneo1. Esse, in
particolare, vorrebbero mostrare come lindagine sul
campo pratico e le sue risorse simboliche aprano delle
prospettive per superare quelle unilateralit teoriche
di marca razionalista che spesso, perdendo di vista la
correlazione di pratico e teorico, affliggono il discor-
so sulla trasmissione rendendolo infruttuoso. Il ragio-
namento verr condotto con taglio prevalentemente
filosofico e culturale, muovendo da alcune problema-
tiche della trasmissione della fede cristiana oggi e tor-
nando a esse.

1.Latto del credere tra metamorfosi culturale


e crisi della trasmissione della fede cristiana

Da tempo nelle societ occidentali in atto unevo-


luzione culturale verso un sempre maggiore tasso di
secolarit. A essa sembra corrispondere un modo par-
ticolare di vivere il rapporto con il religioso segnato da
fenomeni come la de-istituzionalizzazione, il plurali-

Con il termine trasmettere intendiamo ci che in una societ,


1

piccola o grande, viene tramandato da una generazione allaltra in


maniera viva, sia oralmente che con la scrittura, con i modi di agire,
con le tecniche e con le arti. In questottica il senso del trasmettere

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smo, lindividualismo2. La Chiesa cattolica coinvol-


ta in questa evoluzione in quel momento particolare
della sua storia segnato dal concilio Vaticano II e dalla
sua complessa ricezione. Si tratta di un tempo fecondo
di crisi (nel senso letterale del termine) e di tensioni
che insieme un tempo di apprendistato3. Nel periodo

ricco e diversificato nelle sue sfumature. Qui rifletteremo sul tra-


smettere con particolare riguardo alla trasmissione della fede cristia-
na cercando di metterne in rilievo alcune condizioni fondamentali
di significanza e senza la pretesa di affrontare ed esaurire il tema da
un punto di vista propriamente teologico.
2
J.M. Donegani, intervenuto il 15 maggio 2008 presso la sede
padovana della Facolt Teologica del Triveneto sul tema Quale futu-
ro per la parrocchia?, ha indicato alcuni caratteri italiani di questo
modo particolare di vivere il rapporto con il religioso. Partendo dal
rilievo che, pur avendo radici in una costruzione della realt sociale
profondamente plasmata dalla Chiesa, la trasformazione della societ
italiana tale che la Chiesa stessa si rende conto che le basi del con-
senso etico che era riuscita a costruire si vanno via via indebolendo
in modo evidente (specie per quanto riguarda le questioni legate alla
morale familiare e sessuale) e, facendo riferimento ai dati e agli esiti
di alcune recenti ricerche sociologiche, Donegani ha evidenziato al-
cuni indicatori della modernizzazione del cattolicesimo italiano: il
fatto che soltanto la met dei fedeli ritiene che le chiavi dellinterpre-
tazione della Scrittura siano nelle mani della gerarchia ecclesiastica
mentre laltra met mette laccento sullideale egualitario della comu-
nit o sullideale moderno dellautonomia della coscienza credente;
losservazione emersa in uninchiesta condotta a Venezia che il
46% dei frequentanti lora di religione nelle scuole ritiene che la re-
ligione sia una ricerca del senso della vita, mentre solo il 24% vede
in essa una forma di comunione con Dio; la considerazione di come
la percezione della religione da parte degli italiani sia segnata dalla
privatizzazione, dal soggettivismo e dal relativismo. Questi elementi,
secondo il sociologo parigino, lascerebbero intendere come la societ
italiana stia sviluppando una concezione moderna della religione in
una misura molto maggiore di quanto i tassi della pratica religiosa
lascino supporre.
3
Cf. G. Routhier, La chiesa dopo il concilio, Ed. Qiqajon Co-
munit di Bose, Magnano 2007, pp. 20-21. Lautore nota come per
la Chiesa mettere da parte abitudini secolari comporti esitazioni, re-
sistenze, retromarce. Ci non toglie che in questa riforma si vada
prospettando una nuova figura di cattolicesimo. Per approfondi-
re le questioni legate allermeneutica del concilio (discontinuit,

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postconciliare la Chiesa dal punto di vista della sua


prassi ha conosciuto una trasformazione di equilibri
interni consolidati cos che fondamentali pratiche
ecclesiali sono entrate in processi che hanno prodotto
significative modificazioni a livello simbolico4.
In questo contesto si verifica un duplice fenomeno:
da un lato si fa pi chiaro che la fede cristiana tro-
va riscontro del suo vigore e della sua verit quando
diventa sale e lievito delle prassi della vita, quando
cio diviene lalfabeto con cui le persone interpretano
e orientano nella verit di Ges Cristo laffascinante
e complessa avventura della libert umana individua-
le e collettiva5, dallaltro la condizione e la sensibili-
t postmoderne fanno s che per larghi strati della
popolazione occidentale la fede cristiana incida molto
pi difficilmente che in un passato anche recente sulla
linfa vitale dellesistenza.
Per quanto riguarda questultimo aspetto , per dir-
la con le parole di Elmar Salmann, come se la cinghia
di trasmissione tra fede cristiana e vissuti quotidiani
si fosse logorata o addirittura rotta6. Peraltro non si
tratta di una situazione occasionale, ma del risultato
di una serie di processi che vengono da lontano e sono

riforma) cf. Benedetto XVI, Discorso ai membri della Curia e


della Prelatura Romana per la presentazione degli auguri natalizi,
22.XII.2005, in www.vatican.va.
4
Ivi, pp. 30 ss.
5
Con ci alludiamo al fatto che la verit di Dio che si offre in
Ges Cristo morto e risorto si rivela per la libert umana che lac-
coglie quando il legame con Dio accade nella relazione personale con
levento storico della comunit credente (la Chiesa corpo di Cristo)
che mette-in-pratica la rivelazione di Dio in Ges Cristo. A questo
sotteso che il senso, prima che con la verit come intesa dal
sapere e dalle scienze, ha a che fare con quella trasformazione degli
affetti e del rapporto tra lio e il mondo che si istituisce nelle relazioni
e nelle pratiche effettive che sono sempre cariche di teoria.
6
Cf. E. Salmann, Presenza di spirito. Il cristianesimo come gesto e
come pensiero, Messaggero, Padova 2000, p. 5.

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oramai radicati e incisivi7. Con ci la situazione del


cristianesimo nella storia non gi decisa nel senso
di un suo inesorabile declino: dato che la fede cristia-
na ha vissuto e vive sempre nella storia effettiva, dove
stringe alleanze o vive conflitti con le culture influen-
zandole e venendone influenzata, la situazione appena
tratteggiata, pur con tutta la sua problematicit e i suoi
rischi, si rivela come un nuovo kairos.
Camminare nella storia e nel tempo con lo stile di
paradossia (nel senso della cittadinanza paradossa-
le di cui parla gi lAd Diognetum) non infatti cosa
nuova e impossibile per il cristianesimo: molte volte
i cristiani, fedeli alla parola del Vangelo e sollecitati
dai cambiamenti della condizione umana nel tempo,
guidati dallo Spirito Santo hanno saputo via via inven-
tare e assumere nel loro cammino ormai bimillenario
diverse configurazioni che, se non esauriscono in ma-
niera totalizzante la possibilit di essere cristiani, ne
manifestano e testimoniano aspetti della sinfonica ve-
rit8. Oggi i cristiani vivono per tutto questo in una
contingenza particolare, perch nella trasvalutazione
di tutti i valori e nella fine delle grandi narrazioni

Ci dipende, in particolare, dalle metamorfosi della modernit.


7

A proposito della condizione della religione tra moderno e postmo-


derno ci permettiamo di rinviare a R. Tommasi, La forma religiosa
del senso. Al crocevia di filosofia, religione e cristianesimo, Messagge-
ro-Facolt Teologica del Triveneto, Padova 2009, pp. 420-432.
8
Limmagine della verit sinfonica ci viene da Hans Urs von
Balthasar: Che la verit cristiana sinfonica forse la cosa che oggi
con pi urgenza va annunciata e caldeggiata. Sinfonia non affatto
sinonimo di armonia sdolcinata, priva di forza. La grande musica
sempre drammatica, crea continuamente delle tensioni e le risolve a
un livello pi alto. La dissonanza non per cacofonia. Non nep-
pure lunico mezzo per tenere viva la tensione sinfonica [...]. La ri-
serva della Chiesa la profondit delle ricchezze di Dio in Ges
Cristo, che sta nel cuore della Chiesa stessa. La Chiesa faccia di tutto
perch questa pienezza si esprima in un inesauribile pluralismo, che
promana irresistibilmente dalla sua unit (H.U. von Balthasar, La
verit sinfonica. Aspetti del pluralismo cristiano, Jaca Book, Milano
1979, p. 20).

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che caratterizzano il nostro tempo9 i luoghi disertati


dalle evidenze di ieri mancano di segnali precisi e la-
sciano vacante la zona dei quadri di riferimento dive-
nuti incerti, per cui le convinzioni comuni, le dottrine
filosofiche e le teorie politiche non sembrano pi stru-
menti proporzionati al cambiamento che in atto10.
come se i punti di riferimento esplicito fondesse-
ro come colano i meccanismi dellorologio che si va
sciogliendo nel celebre quadro di Salvador Dal. Cos
se nei secoli passati la religione cristiana aveva trova-
to forme di sodalizio con diverse matrici della cul-
tura occidentale (greca, ebraica, romana, germanica)
che lavevano fatta apprezzare come valida premessa
e promessa per reperire unorientazione allesistenza
del soggetto individuale e collettivo verso una vita sal-
vata, buona e felice, al presente si assiste a una fase in
cui la condizione postmoderna, che modifica gli stili,
gli atteggiamenti e il pensiero delle persone, rende pi
arduo e fluttuante lincontro di queste con il cristia-
nesimo nel senso che, per molti, la fede cristiana non
sintende pi da s e occorre riscoprire ed esplorare i

9
Secondo F. Nietzsche la trasvalutazione di tutti i valori (non la
loro scomparsa, ma piuttosto la loro de-assolutizzazione) il segno
del compiersi del nichilismo che caratterizza il mondo occidentale:
Nichilismo. Manca il fine; manca la risposta al perch: che cosa
significa nichilismo? che i valori supremi si svalutano. Esso ambi-
guo (F. Nietzsche, Frammenti postumi Autunno 1877, in Opere
complete VIII**, Adelphi, Milano 1979, p. 12). Per quanto riguarda il
tema della fine delle grandi narrazioni cf. J.-F. Lyotard, La condi-
zione post-moderna. Rapporto sul sapere, Feltrinelli, Milano 1981.
10
Interessante in proposito quanto afferma Pietro Barcellona: La
pratica nella quale siamo immersi denotata sia dalla riduzione
della capacit comunicativa e della capacit di provare sensazioni at-
traverso leducazione e il rapporto stesso con la natura che dallimpo-
verimento dellapparato sensoriale che guida lorganizzazione di una
societ, segnando cos levanescenza del mondo (P. Barcellona -
T. Garufi, Il furto dellanima. La narrazione post-umana, Dedalo,
Bari 2008, p. 21).

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paesaggi di una fede ormai estranea alla mentalit vi-


gente11.
Questo si collega al passaggio da una logica dellap-
partenenza oggettiva a una logica pi soggettiva, pro-
pria di unidentit personale in continua formazione,
passaggio che contribuisce a dare anche alla religione
(alle religioni) una fisionomia nuova. E questa nel
momento in cui di fatto assistiamo alla smentita della
tesi sociologica della scomparsa della religione non
priva di ambiguit: infatti sempre in agguato il pe-
ricolo di una riduzione psicologistica, consumistica o
spettacolare della religione stessa. In questo caso pe-
r il sacro non articola pi ci che evoca, e questa
deriva del religioso rischia di tradursi ben presto in
una fatale dissociazione tra la credenza e la pratica
che impedisce la rigenerazione e la trasmissione del-
le espressioni liturgiche, morali e sociali della fede. In
questa situazione vi il rischio che non sia pi ope-
rante un linguaggio cristiano capace di trasmettere la
fede: il suo vigore specifico sbriciolato e restano solo
significazioni fluttuanti di una religiosit evanescen-
te. Mentre in realt la vita cristiana e la trasmissione
della fede non si qualificano anzitutto per il benefi-
cio che ne ricava una societ n per il profitto che ne
trae il religioso, ma per un atto, latto del credere,
che ne alla radice con tutto ci che esso significa e
comporta12. Ed proprio ci che accade e si manifesta
in questo atto, e per esso, quello che la fede cristiana
trasmette, esprime e dona in primis. In questo senso il

11
Nel senso che oggi, a proposito del cristianesimo, una sempre
pi larga fascia di persone non afferma, n nega, ma semplicemen-
te non sa di cosa si tratta. Sintomatico in proposito il caso di quel
giornalista che, dovendo spiegare il senso della Quaresima cattolica,
non ha trovato di meglio che paragonarla al Ramadan musulmano. O
ancor pi il fatto che un numero crescente di persone per orientare
le proprie decisioni concede pi ascolto e fiducia alle previsioni degli
oroscopi che alla parola evangelica.
12
Cf. sopra, nota 5.

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potenziale decisivo per la trasmissione della fede si


rivela proprio nella pluriforme prassi cristiana con-
tinuamente generata nellatto del credere, cio nei
vissuti e nelle pratiche della comunit credente e dei
singoli credenti costituiti da fatti e da parole intima-
mente connessi.

2.La trasmissione e le risorse simboliche


della correlazione pratico-teorico

Da quanto detto emerge che la trasmissione,


nel caso la trasmissione della fede cristiana, avvie-
ne in unessenziale relazione alla valenza simbolica
dellazione intesa come fenomeno globale dellesi-
stenza umana.
Considerando lazione in questottica possibile
superare lopposizione fra teoria e prassi e lasciar tra-
sparire come la conoscenza e levidenza razionale non
sono altro dallazione e come, nello stesso tempo, non
sono sufficienti a metterci in azione13. Del resto non lo
neppure lo sforzo volontario. Perch nellazione, che
fissa il passato e incide nel futuro, c qualcosa di pi
della conoscenza e della volont, un atto di fede (vi-
cino a ci che sopra abbiamo detto atto del credere)
che non abbiamo previsto n voluto e che pesa sulle
nostre vite e agisce in noi senza lasciarsi rapprende-
re in unanalisi completa da parte delle possibilit del
pensare e del volere di un soggetto finito. Con questo
abbiamo portato in luce la disequazione tra quello
che sappiamo, quello che vogliamo e quello che fac-
ciamo, che abita alla radice di ogni azione individuale

13
Questo, che non comporta alcuna svalutazione del logos e del-
la razionalit, uno degli insegnamenti fondamentali della filosofia
dellazione di Maurice Blondel (cf. in particolare la prima azione:
M. Blondel, Lazione. Saggio di una critica della vita e di una scien-
za della prassi, Paoline, Cinisello Balsamo 1993).

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e comunitaria. Maurice Blondel stato forse uno dei


primi a coglierla con chiarezza:

La prassi, che non sopporta alcun indugio, non consen-


te mai una chiarezza totale; la sua analisi completa non
possibile per un pensiero finito. Ogni regola di vita che sia
fondata unicamente su una teoria filosofica e su principi
astratti sarebbe temeraria: non posso procrastinare lagi-
re finch non sia apparsa levidenza e ogni evidenza che
brilla allo spirito parziale. Una mera conoscenza non
mai sufficiente a metterci in azione, perch non ci afferra
nella nostra totalit: in ogni atto c un atto di fede [en tout
acte, il y a un acte de foi]. Potr almeno realizzare quello
che ho deciso, qualunque cosa sia, come lho deciso? No.
Tra quello che so, quello che voglio e quello che faccio, c
sempre una sproporzione inspiegabile e sconcertante [di-
sproportion inexplicable et dconcertante]. Le mie decisioni
vanno spesso al di l dei miei pensieri e i miei atti al di l
delle mie intenzioni. Talvolta non faccio tutto quello che
voglio; talaltra, quasi a mia insaputa, faccio quello che non
voglio. E queste azioni che non ho completamente previ-
ste e non interamente ordinate, una volta compiute, pesano
su tutta la mia vita e sembra che agiscano su di me pi di
quanto io non abbia agito su di esse. Mi sento come se fossi
loro prigioniero: talvolta si rivoltano contro di me, come
un figlio ribelle al padre. Hanno fissato il passato, incidono
sul futuro14.

Le osservazioni blondeliane ci permettono di com-


prendere come la riduzione della trasmissione a un at-
to essenzialmente cognitivo (che da solo non esaurisce
neppure la descrizione della memoria considerata sot-
to laspetto oggettuale) non ci aiuta a vederne a fondo
la portata. E nello stesso tempo ci avvertono che se in
unepoca come la nostra, segnata (e non solo negativa-
mente) dallutilitarismo, la riscoperta di tale approccio
pratico sembra particolarmente produttiva, le mo-
tivazioni del ricorso a esso sono tuttavia pi profonde

14
Blondel, Lazione, pp. 66-67.

18

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della logica utilitaria, in quanto connesse al potenziale


integrale dellagire umano per cui lazione e la pratica
che essa genera, portando con s e indicando leviden-
za inevidente di una conversione interiore e di una fe-
de15, indica e significa oltre ci che possiamo volere
e conoscere in quanto proviene da un originario che la
nutre, al quale e nel quale ci troviamo legati. Questa
capacit di indicare e significare altro ci che co-
stituisce il potenziale simbolico dellazione. sempre
Blondel che ce lo fa vedere:

Ci che non possiamo conoscere, e che soprattutto non


possiamo comprendere chiaramente, lo possiamo fare e
praticare: qui sta lutilit, la ragione eminente dellazione.
Essa non soltanto il veicolo provvisorio che consegna
alla coscienza il dono agognato, la sua mediazione non
effimera, ma permanente, lo strumento perenne della
conversione interiore e del regno della fede. Infatti essa fa
scorrere fino al midollo, in un modo incomprensibile, il
senso di una fede ancora oscura, e percorre le vie misterio-
se che conducono alla luce della riflessione le verit impli-
cite di cui si nutrita. Questo il segreto del valore, questo
il principio naturale dellefficacia della pratica letterale.
Insomma la fede per vivificare le membra ha bisogno di
agire in loro, e per vivificare se stessa ha bisogno che esse
agiscano su di lei. Sempre lazione d pi di quanto riceve,
e riceve pi di quanto d16.

La prassi, con le sue risorse simboliche, non con-


sente mai una chiarezza totale. Tuttavia lazione, con
le sue risorse simboliche, in quanto prassi narrante e
narrabile (come racconto letterario o storia di vita)
pu e sa parlare17. Ed in questa prassi narrante e nar-

Si tratta di una fede vicina a ci che in precedenza abbiamo


15

chiamato atto del credere, colto nella sua dimensione antropolo-


gica, ontologica ed epistemologica prima ancora che propriamente
religiosa.
16
Ivi, p. 516.
17
Barcellona (Barcellona - Garufi, Il furto dellanima, pp. 16 e

19

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rabile, dove sono coinvolti diversi attori, che prende


forma la trasmissione. Anche a questo livello la con-
siderazione dellazione non esclude quindi il logos, la
considerazione cognitiva, perch la prassi individua-
le e comunitaria, che costituita dallintreccio di atti
puntuali e cangianti, tale in quanto narrata nel suo
continuum18. Si tratta di una narrazione che ne con-
figura lidentit e si attua a partire da un ricordarsi
che non consiste soltanto nellaccogliere o ricevere
unimmagine dal passato, ma anche nellesercitarsi a
cercarla, nel fare qualcosa19. Le nostre azioni, dunque,
vivono ed emergono nella narrazione che suppone il
ricordo (di un passato) e insieme il carattere di evento
per cui sono state prodotte da e portano in s per sem-
pre il segno di quellapertura in-vista-di (tensione al
futuro) che appartiene al loro generarsi20.

48) sostiene a buon diritto che, nonostante tutte le affermazioni sulla


fine del soggetto collegate con laffermarsi delle teorie sulla fine
della sostanza dellindividuo e sulla naturalizzazione della mente,
lessere umano non ancora riuscito a liberarsi dal vincolo della pro-
pria costituzione narrativa che un connotato specifico dellattitudi-
ne dellessere umano rispetto al rapporto con se stesso e la realt.
18
Anche le pratiche sociali, in quanto componenti dellagire-in-
comune, vanno ricondotte alla sfera delle rappresentazioni che gli
uomini si fanno di loro stessi e del loro posto nella societ. Le rappre-
sentazioni non sono dunque delle idee che galleggiano allinterno di
uno spazio autonomo ma sono delle mediazioni simboliche connesse
allinstaurazione del legame sociale.
19
Questa nozione di esercizio, che riferita alla memoria ci ri-
corda come anchessa sia azione, non meno antica rispetto a quella
di eikon, rappresentazione. Avviene qui qualcosa di analogo a quan-
to accade nella narrazione storica. Nellhistoria rerum gestarum le
azioni, i fatti e gli eventi sono sintetizzati e organizzati in un tutto-di-
racconto, nel quale allopera una selezione ed posta ununit che
dipende da colui che narrando-narrandosi fa storia e non proviene
unicamente dai fatti che dapprima non possono che essere percepiti
frammentariamente. In questo raccontare quindi in atto una si-
nergia di narratore e realt.
20
Alludiamo al fatto che le scelte e le azioni si generano a partire da
quella decisionalit caratterizzante lumano per cui esse sono sempre
lintenzionamento attualizzante di un soggetto, nellistante presente

20

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Cos i due approcci, pratico (teoria dellazione) e


cognitivo (teoria narrativa) si correlano e si interse-
cano. Seguendo Paul Ricoeur possiamo comprendere
come questo accada perch il rapporto simbolico tra
teoria narrativa e teoria dellazione che alla base
della comprensione di ci che in gioco nella tra-
smissione dipende, come si pu riconoscere con-
siderando tre nessi che intercedono tra la narrazione
dellazione e la comprensione, dalla correlazione tra
intelligenza narrativa e intelligenza pratica21. E solo in
questa correlazione si possono comprendere nel loro
senso e nella loro portata e si pu vedere chi il sog-
getto dellazione e della narrazione.
Il primo nesso a livello del dispositivo concettuale
dellazione. Lazione in s muta e si svela/dispiega/
comunica nel suo senso solo nel dispositivo concet-
tuale del racconto che esige una competenza linguisti-
ca. I racconti infatti, come dice Aristotele nella Poe
tica, hanno per tema lagire o il patire. Nello stesso
tempo per ogni racconto, anche il racconto cristia-
no, per funzionare presuppone da parte del narratore
e del suo uditorio anche una familiarit e una com-
petenza con ci che concerne il campo dellagire22.

e sulla scorta dellesperienza passata, di alcune delle possibilit carat-


terizzanti il futuro. Infatti da un lato il futuro, che fino a che futuro
sempre a un tempo possibilit dessere e possibilit di non essere,
non si presenta mai in modo gi determinato e, in certo modo, viene
determinandosi nellalternativa della scelta; dallaltro il possibile si
predica solo di ci che gi , in quanto non mai possibilit pura, ma
sempre possibilit di qualcuno o di qualcosa (nel senso soggettivo del
genitivo). Il passato invece, in quanto passato, sempre passato di un
futuro e si presenta nella forma della determinatezza e della necessit
del factum infectum fieri nequit.
21
Cf. P. Ricoeur, La memoria, la storia, loblio, Raffaello Corti-
na, Milano 2003, p. 84.
22
La frase narrativa minima infatti una frase di azione del tipo X
fa A in queste o quelle circostanze e tenendo conto che Y fa B in cir-
costanze identiche o diverse. Essa pu essere compresa e comunicare
solo se chi la dice e chi lascolta ha una minima competenza rispetto
al fare.

21

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Il racconto non si limita per a fare uso della nostra


familiarit con il dispositivo concettuale dellazione.
Vi aggiunge gli aspetti discorsivi che lo distinguono
dalla semplice successione di frasi di azione, nel senso
che lintelligenza narrativa non si limita a presupporre
una familiarit con il dispositivo concettuale costitu-
tivo della semantica dellazione e richiede familiari-
t anche con le regole di composizione che reggono
lordine diacronico della storia23. Passando dallordi-
ne dellazione allordine del racconto-storia i termini
della semantica dellazione acquistano cos integrazio-
ne e attualit. Attualit in quanto termini che avevano
un significato virtuale nellordine paradigmatico, cio
una pura e semplice capacit di utilizzo, ricevono un
significato effettivo grazie alla connessione sequen-
ziale che lintrigo conferisce agli agenti, al loro agi-
re e al loro patire24. Integrazione perch nellintrigo

Si pensi alla differenza tra una singola frase e un racconto.


23

Secondo Ricoeur rappresentare lazione significa anzitutto pre-


24

comprendere che ne dellagire umano: della sua semantica, della sua


simbolica, della sua temporalit. Lintrigo , in questottica, una
funzione di integrazione e di mediazione: tra eventi e accadimenti
individuali e una storia intesa come tutto; tra fattori eterogenei come
agenti, fini, mezzi, interazioni, circostanze, risultati ecc. che la com-
pongono; tra momenti temporali diversi in cui accade. Il suo senso si
capisce alla luce dellosservazione per cui seguire una storia vuol di-
re avanzare in mezzo a contingenze e peripezie sotto la guida di una
attesa che trova il suo compimento nella conclusione. Questa conclu-
sione non logicamente implicata in talune premesse anteriori. Essa
conferisce alla storia un punto finale, il quale, a sua volta, fornisce
il punto di vista dal quale la storia pu essere colta come formante un
tutto. Comprendere la storia vuol dire comprendere come e perch
gli episodi successivi hanno condotto a questa conclusione, la qua-
le, lungi dallessere prevedibile, deve essere congrua con gli episodi
raccolti. questa capacit della storia a essere seguita che costituisce
la soluzione poetica del paradosso di distensione-intenzione. Il fatto
che la storia si lasci seguire trasforma il paradosso in dialettica viva
(P. Ricoeur, Tempo e racconto/I, Jaca Book, Milano, 2001, p. 112).
In questo senso larrangiamento configurante di una storia e di una
narrazione lintrigo appunto trasforma la successione degli eventi
in una totalit significante: grazie a questo atto riflessivo teorico e

22

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termini cos eterogenei come quelli di agenti, motivi,


circostanze vengono resi compatibili e funzionano
congiuntamente entro totalit temporali effettive. In
altri termini: comprendere una storia significa com-
prendere al tempo stesso il linguaggio del fare e la tra-
dizione culturale dalla quale procede la tipologia degli
intrighi effettivi di cui la storia costituita. Infatti,
come sostiene lantropologo David Le Breton, senza
la mediazione culturale non vedremmo niente e non
potremmo avere alcuna percezione di quanto ci cir-
conda: i sensi stessi che sono allorigine delle nostre
azioni e dei nostri pensieri (senza il registro dellaffet-
tivit non sarebbe infatti possibile laccesso alla verit
esistenziale) si attivano nel rapporto con il mondo e
producono la percezione non in modo immediato, ma
strutturandosi grazie alluso e allapprendimento di
visioni del mondo che sono elaborazioni soggettive
funzionanti come filtri di significato per ci che i sensi
recepiscono in modo caotico25.
Il secondo nesso a livello della simbolica del
campo pratico. Se unazione pu essere raccontata e
compresa nel racconto vuol dire che essa gi arti-
colata in segni, regole, norme, ovvero che da sempre
mediata simbolicamente. Parlando di mediazione
simbolica evidenziamo i simboli di natura culturale
che sono in certo modo intrinseci allazione, al punto
da costituirne il primo significato prima che dal piano
pratico si separino degli insiemi simbolici autonomi

pratico lintero intrigo pu essere tradotto in un pensiero che ne


lo spunto e il tema e che nella sua costruzione interpella il lettore
trasformando latto del leggere in invito a riconfigurare la propria
esistenza.
25
Cf. D. Le Breton, Il sapore del mondo. Unantropologia dei
sensi, Raffaello Cortina, Milano 2007. Le Breton sostiene che le per-
cezioni sensoriali sono in prima istanza proiezione di valutazioni e
significati sul mondo e funzionano in certo modo come filtri che,
delimitando frontiere e interrompendo il flusso organizzativo, trat-
tengono nella rete solo ci che lindividuo ha imparato a mettervi.

23

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che dipendono dalla parola o dalla scrittura. In que-


sto senso si pu parlare di un simbolismo implicito
immanente allazione, che va distinto dal simbolismo
esplicito e in certo senso relativamente autonomo da
essa. Il che permette di notare il carattere pubblico
dellespressione significante: in questo senso il sim-
bolismo non anzitutto nello spirito individuale n
consiste primariamente in una qualche operazione
psicologica destinata a guidare lazione (in questi ca-
si si tratta di un modo di vedere che soggiace a una
concezione dualistica del rapporto mente-corpo), ma
un significato incorporato nellazione e decifrabile
a partire dallazione mediante gli altri attori del gioco
sociale26. Inoltre con il termine mediazione simboli-
ca intendiamo indicare il carattere strutturato di un
insieme simbolico. In tal senso si parla di un sistema
di simboli in interazione e di modelli di significati in
sinergia. Ci significa che prima di essere testo la
mediazione simbolica possiede in s una trama, unor-
ditura27. In questa maniera un sistema simbolico for-
nisce un contesto di descrizioni per azioni particolari
ed emerge come in funzione di una certa convenzio-
ne simbolica che siamo capaci di interpretare un certo
gesto come capace di significare una certa cosa28. Pri-
ma di essere sottoposti allinterpretazione, i simboli
sono perci degli interpretanti interni dellazione, che
conferiscono allazione una prima leggibilit. Con ci
non si deve scambiare lorditura testuale dellazione
con il testo della narrazione esistenziale o scientifica
che la spiega. Se si pu parlare dellazione come di un

Cf. Ricoeur, Tempo e racconto/I, p. 99.


26

Ad esempio: comprendere un rito vuol dire collocarlo entro un


27

rituale e questultimo in un culto, e via via, nellinsieme delle con-


venzioni, delle credenze e delle istituzioni che formano il dispositivo
simbolico di una cultura.
28
Ad esempio il medesimo gesto di alzare un braccio pu, a secon-
da del contesto, essere inteso come un modo di salutare, di chiamare
un taxi, di esprimere un voto ecc.

24

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quasi-testo, ci possibile nella misura in cui i sim-


boli, intesi come interpretanti, forniscono le regole di
significato in funzione delle quali un certo comporta-
mento pu essere interpretato. Si tratta di regole sia
nel senso di regole di descrizione e interpretazione per
singole azioni, sia di norme intese come programmi di
comportamento che si riferiscono a una possibile va-
lutazione (in termini di un apprezzamento come bene
o come male) connessa al codice culturale entro cui
lazione posta. Oltre questa funzione di leggibilit
dellazione propria del simbolo, ve n unaltra, al-
trettanto importante da considerare: si tratta della ca-
pacit instauratrice di rimandi, di legami e di identit
propria del simbolico. Essa gi segnalata dalletimo
di simbolo29. Di qui lo sviluppo di una catena di si-
gnificati che si riferiscono allatto formale della iden-
tificazione, anche a distanza nello spazio e nel tempo,
di un legame con la persona o levento che mi hanno
coinvolto: direttamente, o attraverso persone ed even-
ti collegati dallo stesso vincolo. Perci quello che im-
porta, in un simbolo, non sono la forma o il materiale
di cui composto, ma il rimando e il rapporto signifi-
cativo istituito da esso e per esso. Cos con struttura
simbolica sintende la modalit determinante e inso-
stituibile per levocazione e lattivazione di tutti quei
rapporti che sono tipicamente irriducibili a un mero
scambio di informazioni indipendente dal coinvolgi-
mento personale. La dialettica incrociata che ne risulta
la matrice stessa dellesperienza simbolica del mon-
do donde comincia a emergerne il senso di verit. Tale
senso che al tempo stesso forma della percezione
e atto intenzionale (pratico e teoretico) dellesserci
di per s indicibile, inestinguibile, irrappresentabile ed

29
Simbolo viene dal greco syn-ballein che letteralmente significa
con-gettare, mettere insieme, dunque collegare, ma anche condivide-
re. Il greco symbolon il nome che in antico veniva dato a un oggetto
(coccio o altro) tagliato in due parti, destinate allidentificazione di
due partners di un contratto avvenuto.

25

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piuttosto oggetto di interpretazione. Tale senso, che


non un oggetto o un referente e neppure una mera
intenzione o una semplice volont, pu essere identi-
ficato ultimamente attraverso la parola, ma non coin-
cide con il significato delle parole usate per dirlo. Esso
va dunque riconosciuto nellesistente, ma anche ac-
creditato allesistenza, in una stretta connessione con
i processi culturali30: in questo sta il senso primario
dellatto del credere di cui abbiamo parlato sopra.
Il terzo nesso quello che collega lazione narrante
e narrabile e la sua capacit simbolica con la tempora-
lit estatica (esser-stato, esser-presente, aver-da-essere)
della coscienza umana. Nelle mediazioni simboliche
dellazione vi infatti, implicita, lequazione tra nar-
rativo e tempo, che va considerata come induttrice del
racconto. interessante a questo proposito osservare
che, pi che la semplice correlazione tra alcune catego-
rie di azione e le estasi temporali prese una a una (come
il fatto che il progetto ha a che fare con il futuro o la
parentela tra la motivazione e la capacit di mobilitare

30
Cf. E. Cassirer, Saggio sulluomo, Armando, Roma 19866, in
particolare pp. 77 ss. In Cassirer il tema del simbolo strettamente
congiunto al concetto di cultura il quale, a sua volta, intrinsecamen-
te connesso alle forme e direzioni della produzione spirituale delluo-
mo. In questa prospettiva lessere non si pu cogliere altrimenti che
nel fare, energia formatrice che presiede al configurarsi nellesperien-
za stessa di qualsiasi campo oggettivo. Le produzioni della cultura
spirituale (il linguaggio, la conoscenza scientifica, il mito, larte, la
religione, ecc.) nella loro variegata diversit paiono a Cassirer mem-
bri di ununica grande connessione problematica e interpretativa e
questo non in quanto designano un reale sottomano in forma di im-
magine o di allegoria che allude e spiega, ma in quanto ciascuno fa
emergere da s medesimo un proprio mondo di senso, dimostran-
dosi cos organo per la visione spirituale. Lintrinseca e pecu-
liare sensatezza che la specifica legge stilistica della loro produzione
conferisce a ciascuno di essi fa s che risultino formazioni simboliche
significative per s medesime, ognuna secondo la sua interna connes-
sione anzich in rapporto a un reale preordinato o in dipendenza da
altre formazioni. Cos lesperienza di volta in volta vissuta si rivela
una funzione simbolica unitaria che d forma allesperire rendendolo
significativo.

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nel presente lesperienza ereditata dal passato), conta


lo scambio che lazione effettiva mette in atto tra le
estasi, ossia il modo in cui per dirla con Agostino
la praxis quotidiana ordina uno in rapporto allaltro il
presente del futuro, il presente del passato, il presente
del presente. Questo pu essere mostrato sia muoven-
do dallintratemporalit mediante unanalisi centrata
sul nostro rapporto alla temporalit intesa come ci
per cui e in cui agiamo quotidianamente (cf. lanaliti-
ca esistenziale di Martin Heidegger31), sia muovendo
dallintertemporalit con unanalisi centrata sul tempo
vissuto nella cooperazione con laltro (cf. le analisi di
Emmanuel Mounier e di Emmanuel Lvinas rispetti-
vamente sul senso cooperativo dellagire32 e sul tempo
come spazio per laccoglienza dellaltro33). In tutto ci
la modalit del riconoscimento ha a che fare con la
memoria e la promessa. E con queste la problematica
del riconoscimento di s (nel senso dellidentit nar-
rativa34) raggiunge due sommit: luna che si volge
verso il passato, laltra verso il futuro. Prendendole
insieme la loro contrapposizione e la loro comple-
mentarit danno ampiezza temporale allazione e al
riconoscimento di s nellazione. In proposito va tra
laltro segnalata la parte di alterit che sembra essere
costitutiva della promessa, a differenza della memo-
ria che contrassegnata dal fatto di essere sempre
mia. Ambedue hanno una relazione con la capacit e

31
Cf. M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi & C., Milano
2005.
32
Cf. E. Mounier, Il personalismo, Ave, Roma 19785, pp. 123 ss.
33
Cf. E. Lvinas, Il Tempo e lAltro, Il melangolo, Genova 1997.
34
In S come un altro e in Tempo e racconto/III di Paul Ricoeur
lidentit narrativa, collocata nellordine della temporalit, media,
con soluzioni diversissime, tra la medesimezza e lipseit (cio tra ci
che di un permanere nel tempo di un soggetto non semplicemen-
te riducibile a un sostrato/sostanza) permettendo di tenere aperto
il discorso sullidentit personale a fronte delle teorie della fine del
soggetto.

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lesercizio effettivo: nella memoria il riconoscimento


delle immagini del passato e il riconoscimento di s si
trovano a coincidere nellazione; nella promessa, che
riguarda pi propriamente lazione e che appartiene
alla categoria degli atti performativi35, appare piutto-
sto il carattere di affidabilit e di testimonianza (ma
anche il tradimento) insito nellagire. In ci luomo si
riconosce come esistenza gettata e aperta.

3.Le risorse simboliche della correlazione


pratico-teorico in ordine alla trasmissione
della fede cristiana

Ritornando alla questione della trasmissione della


fede cristiana si pu ora meglio comprendere come
essa avvenga per la valenza antropologica e teologi-
ca della prassi con tutto ci che la concerne sul piano
concettuale, simbolico e temporale. La prassi, in que-
sto caso, sempre prassi (comunitaria e individuale)
correlata allatto del credere. Infatti, come abbiamo
visto, il senso dellatto di fede cristiano si comprende
considerando come da un lato il logos di cui il cristia-
no vive36 si rende immediatamente accessibile come
tale nellesercizio della libert umana, che accoglien-
dolo lo mette in pratica37, e dallaltro come la media-
zione della libert umana sia la realt intrascendibile

Lo dice senza mezzi termini anche F. Nietzsche: Si possono


35

promettere azioni, ma non sentimenti, perch questi sono involonta-


ri (F. Nietzsche, Umano troppo umano. Un libro per spiriti liberi,
in Opere, IV/2, Adelphi, Milano 1964, p. 61).
36
Qui non stiamo parlando delle verit scientifiche, ma di quella
verit vitale capace di dare senso allumano esistere.
37
ci che permette di non scambiare latto della libert per un
atto autoreferenziale: esso inizia come accoglienza di un Altro che
non in suo potere (fosse pure latto con cui la libert si pone).

28

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che rende possibile limmediatezza della verit38.


Verit che il Cristo Vivente, narrazione del Logos-
Agape di Dio39.
Lincontro/confronto tra me/noi e la prassi (parole
e opere) proveniente dalla storia effettiva delle forme
della vita cristiana generata dallatto del credere e in-
carnata nella storia delle societ e dei popoli ne pro-
pizia la trasmissione come sua vitale reinterpretazione
fedele e creatrice40. Una tale trasmissione avviene nella
ricchezza e variet delle forme con cui la prassi cri-
stiana che incarna latto di fede liturgia, annuncio e
missione, carit oltre che edificare la Chiesa co-abita
i mondi pubblici sociali e culturali. I modi successivi
secondo cui, nei diversi tempi, si venuta delineando
la relazione tra lopzione particolare della verit/
libert (la fede cristiana di volta in volta tradotta in
pratiche) e le forme (religiose o no) che hanno via via
preso la prassi e la coscienza di una societ mostra-
no laccadere di una tradizione (da tradere = dare,
consegnare, affidare, narrare, tramandare, trasmette-
re) che si d per il rapporto simbolico dellatto di
fede cristiano con quel suo Altro che gli sempre
immanente e trascendente. In questo modo oggi il cri-
stianesimo vive, si rigenera e si comunica come prassi

38
Pierangelo Sequeri parla di questa dialettica intrinseca tra media-
zione e immediatezza nellaccadere della coscienza umana in termini
di evidenza simbolica (cf. P. Sequeri, Il Dio affidabile. Saggio di
teologia fondamentale, Queriniana, Brescia 1996, pp. 465-486).
39
Lo ha messo bene in luce Benedetto XVI: Nella verit la carit
riflette la dimensione personale e nello stesso tempo pubblica della
fede nel Dio biblico, che insieme Agape e Logos: Carit e Veri-
t, Amore e Parola (Benedetto XVI, Caritas in Veritate, 29 giugno
2009, n. 4).
40
Cf. M. De Certeau, Debolezza del credere. Fratture e transiti
del cristianesimo, Citt Aperta, Troina 2006, pp. 238-240. Si tratta di
una reinvenzione che non comporta una (impossibile) rottura
tra il passato, il presente e il futuro e va intesa nel senso in cui il rin-
novamento ecclesiale rinnovamento nella continuit dellunico
soggetto-Chiesa quale soggetto che cresce e si sviluppa nel tempo.

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generata dalla fede che vive rapportata ai caratteri fon-


damentali della cosiddetta postmodernit.
Uno di questi caratteri lindividualit quale
declinazione specifica del soggetto umano. Esso, nel
modo in cui oggi si d nella nostra societ, normal-
mente non implica anzitutto un ripiegamento su di s,
un solipsismo, ma piuttosto indica che tutto ci che
guida la destinazione, la ricerca e la definizione del
bene comune non pu essere indifferente al bene dei
singoli individui41. Il che significa che il valore di ci
che viene trasmesso sentito come tale nella misura in
cui ha interesse per gli individui e si esprime nellap-
porto che pu fornire in risorse simboliche capaci di
procurare indicazioni orientative al senso42.
Un secondo carattere della condizione contempo-
ranea la questione della libert, o meglio la messa
in questione della libert. Si parla spesso, in proposi-
to, di fragilit degli individui. Il problema ha molte e
complesse stratificazioni che si pongono a vari livel-

41
Con questo non si tratta di negare valore alloggettivo della
verit, quanto di riconoscere come non si dia verit se non in corre-
lazione allesistenza del soggetto. Lattenzione allaspetto soggettivo
della verit cos inteso implica labbandono di una concezione della
verit come di qualcosa a s stante, di irreale, di sovrapposto al piano
dellumano in nome di una verit relazionale che non pensabile al di
fuori del suo nesso con luomo e con la storia. In questa prospettiva
il novum del cristianesimo pu meglio manifestarsi e venire in luce:
la verit del Dio cristiano tale perch fa di tutto per indirizzare se
stessa alla relazione con luomo, fino a immedesimarsi nella sua stessa
condizione anticipando luomo in un donarsi alla libert di questi che
non aspetta per offrirsi la sua corrispondenza e va ben oltre la logica
dei meriti.
42
In questo senso lindividualismo contemporaneo avanza unesi-
genza di cui i governanti, i gestori della cultura, le istituzioni e le
chiese non possono non considerare la portata: occorre sempre avere
attenzione a curare il rapporto tra le proposte di senso e il bene dei
singoli individui. Dentro la vita frammentata dei nostri giorni do-
ve coesistono differenti sfere di pratiche e saperi, e dove il compito
dellunificazione lasciato allindividuo, le tradizioni viventi sono in
grado di offrire risorse simboliche capaci di propiziare questa unifi-
cazione.

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li. Ci che importante comprendere che quanto


appare come fragilit delle persone inevitabile den-
tro la forma societaria e non pi comunitaria in cui
ci troviamo a vivere43. Questa fragilit identitaria
diretta conseguenza delle nuove forme di libert che
gli individui sperimentano nei confronti degli statuti
ereditati. In tutto ci, pi che una perdita dellumano,
viene in rilievo quel tratto fondamentale della strut-
tura antropologica per cui lidentit delle persone
ek-sistentia, progetto gettato e aperto, libert sem-
pre in movimento e in continua ricostruzione, mai
interamente determinata e tanto meno prescritta44. Il
che non significa per che le identit siano vacillan-
ti e senza consistenza come un budino, ma piuttosto
che queste sono sempre in trasformazione, vengono
reinventate, riprese e rielaborate dai singoli in prima
persona perch non derivano pi principalmente da
prescrizioni e trasmissioni fissate e rigide, ma dalle
forme molteplici e diversificate, in fieri, che viene via
via ad assumere lineludibile correlazione di verit e li-
bert. Tutto ci trapassa anche a livello religioso. Ogni
verit/bene, ogni manifestazione del senso appare qui
sempre relativa-a, non in senso relativistico, bens in

43
Dal punto di vista sociologico la comunit una forma di esi-
stenza sociale che implica delle assegnazioni di stato e delle prescri-
zioni di comportamento a esse associate che si presentano a noi come
perenni. In una comunit le persone hanno unidentit e un posto as-
segnati cui sono associati dei comportamenti obbligati. Oggi tuttavia
noi viviamo delle forme societarie e non pi comunitarie. Il che non
significa soltanto che noi non viviamo dentro una comunit, ma che
viviamo delle forme societarie ovvero che ci identifichiamo a delle
forme collettive plurali ed effimere. Mentre in una comunit ognuno
appartiene a un insieme umano, storico, reperibile in modo oggetti-
vo, nella societ si possono rivestire, e di fatto si rivestono, identit
multiple, mutevoli e qualche volta contraddittorie.
44
Per una veloce disamina del tema dellidentit aperta cf. G.L.
Brena, Identit e relazione. Per unantropologia dialogica, Messag-
gero-Facolt Teologica del Triveneto, Padova 2009; I. Sanna, Liden-
tit aperta. Il cristiano e la questione antropologica, Queriniana, Bre-
scia 2006.

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quanto ha una relazione diretta con colui/colei che ne


fa esperienza. Il che impegna a compiere azioni e a co-
struire relazioni e legami. In questa prospettiva il vero
e il bene si riconoscono dai frutti e anche il credente
condotto dalla sua fede a compiere degli atti che la ren-
dono viva. Se la soggettivit della persona implica che
io, esistendo, mi costituisca in soggetto, questa costi-
tuzione narrativa passa per la chiamata, la vocazione,
lincontro con laltro e in quanto ogni credenza deve
essere convalidata, nel senso che non si pu credere da
soli (ho bisogno di un interlocutore che mi confermi
nella validit e nellutilit che io attribuisco alla mia
credenza testimoniandomi il suo credere) attraverso
uno scambio di credenze tra i locutori. Tale scambio e
tale dialogo avviene anzitutto nellagire.
Da quanto detto sopra emerge anche come nel se-
no di una stessa cultura i linguaggi e le pratiche diven-
tano simbolici quando la loro coniugazione rivela di
ciascuno ci che lui da solo non poteva dire. La tra-
smissione dei modi di vivere (cultura) ha a che fare con
tutto ci e questo riguarda anche lesistenza cristiana
(e le sue pratiche). I linguaggi e le pratiche della fede
cristiana sono simbolici in quanto nessuno di essi, da
solo, circoscrive la verit del cristianesimo. La Parola
e il Sacramento che intervengono nella nostra storia
convocano e ispirano la nostra libert e rendono pos-
sibile unesistenza nuova, la permettono. In questo il
Logos-Agape di Dio accolto nellatto del credere si
mette dalla parte delle condizioni di possibilit e con
ci coinvolge in un nuovo tipo di azioni e di pensie-
ri. Le azioni e gli interventi intellettuali dellesistenza
cristiana manifestano cos la loro origine, senza tut-
tavia esserne semplici applicazioni, conseguenze o
imitazioni. La prassi scopre e manifesta/testimonia
simbolicamente ci che lha autorizzata: nessuna del-
le iniziative cristiane identificabile con la Parola
e il Sacramento, ma esse non sono possibili senza di
essi. Allo stesso modo in cui non c fede (cristiana)
senza prassi (cio senza le opere che ne siano latto e

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il linguaggio45), non ci sono opere o prassi (cristiane)


che non suppongano e non rivelino, attraverso una
creazione di tipo particolare, la propria condizio-
ne di possibilit: lauctoritas che manifesta uno sti-
le di esistenza, che permette un modo di creativit e
di invenzione e che apre una serie nuova di atti ed
esperienze. La fede praticata, in questo senso, invita a
scoprire allorigine del suo agire e del suo linguaggio
quotidiano lazione e la parola di Qualcuno cui ri-
spondere. Come il linguaggio della fede prevenuto
dallesperienza reale dei credenti, allo stesso modo le
loro opere e le loro ricerche di uomini e donne non
cessano di essere chiamate, interpellate dalla certezza
che questo linguaggio ha loro svelato. Se lucida tale
certezza ha un carattere ancora aperto. fondata su
unevidenza simbolica che contestando le sicurezze
definite apre, nel punto pi vivo dellesistenza, la ne-
cessit dellAltro e si presenta come ci senza cui
impossibile vivere: Da chi andremo? Tu hai paro-
le di vita eterna (Gv 6,68). Ma per quanto eterna
e inaccessibile sia questa vita, essa non di meno
annunciata da una tradizione viva, da un agire e un
dire, da una Chiesa, realt storicamente e sociologi-
camente situata. La certezza della fede cos ha gi un
metalinguaggio che testimonia una presenza viva che
contemporaneamente memoria, senso e avvenire.
Non la si pu rifiutare senza tradire ogni linguaggio,
ma impossibile coglierla immediatamente nella par-
ticolarit di un linguaggio.
Del resto le dialettiche culturali individuano ogni
volta dei problemi che per il credente diventano il
problema del suo credere in Dio. Pi che elaborare
una teoria, le pratiche dei credenti dicono, narrandolo

Si rammenti la dialettica paolina della fede e delle opere, mostra-


45

ta in Rm 3,21-4,21 e 13, in Gal 3 e 4 ecc., ma anche la necessit della


sintesi di fede e opere presente nella Lettera di Giacomo 1,16-27 e
2,14-26.

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simbolicamente sia allinterno della Chiesa sia nel tes-


suto della societ, come si possa vivere dellAssoluto
nelle condizioni reali e relative, ovvero quali siano le
forme umane dellatto del credere incarnato nei vis-
suti affettivi, pratici e conoscitivi. Cos esse manife-
stano il loro potenziale di trasmissione della fede in
Dio che a patto che vi sia la capacit di interrogare
profondamente le pratiche lasciando che esse rivelino
se stesse si fa invito, possibilit di vita, di senso e di
rifigurazione di stile46. E mettono in luce che la ricerca
dellintelligenza della fede riferita al fatto che c una
grammatica antropologica dellumano che il cristiane-
simo porta in s e che di volta in volta viene ri-espressa
dentro il terreno culturale di unepoca e di una societ:
su questo punto assai stimolante quanto suggerisce
lepiscopato italiano a proposito della vita quotidiana
come alfabeto per comunicare il Vangelo:

Il linguaggio della testimonianza quello della vita quo-


tidiana. Nelle esperienze ordinarie tutti possiamo trovare
lalfabeto con cui comporre parole che dicano lamore in-
finito di Dio. Abbiamo declinato pertanto la testimonianza
della Chiesa secondo gli ambiti fondamentali dellesistenza
umana. cos emerso il volto di una comunit che vuol
essere sempre pi capace di intense relazioni umane, co-
struita attorno alla domenica, forte delle sue membra in
apparenza pi deboli, luogo di dialogo e dincontro per le
diverse generazioni, spazio in cui tutti hanno cittadinanza.
La scelta della vita come luogo di ascolto, di condivisione,

46
Lo stile una maniera di abitare il mondo (M. Merleau-
Ponty) in cui avviene una sintonia tra estetica ed etica, tra conoscen-
za, azione ed essere, tra piano storico e piano della trascendenza.
interessante, in proposito, quanto scrive Elmar Salmann: Lo stile
lo sposalizio sciolto tra le diverse componenti del personaggio, tra
ruolo e solitudine, carne e anima, il gesto stereotipo e attendibile e la
freschezza e prontezza della presenza. ovvio quanto la genesi e il
conservarsi di uno stile siano precari e come si muovano sempre sul
crinale tra idiosincrasia e anonimato, tra ruolo e originalit, tra volere
e grazia, tra natura e libert, tra lautogiudizio e lo sguardo degli altri
che si fissa su di me (Salmann, Presenza di spirito, pp. 9-10).

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di annuncio, di carit e di servizio costituisce un segnale


incisivo in una stagione attratta dalle esperienze virtuali e
propensa a privilegiare le emozioni sui legami interperso-
nali stabili. Ne scaturisce un prezioso esercizio di proget-
tualit, che desideriamo continui e si approfondisca ulte-
riormente. Si tratta di cinque concreti aspetti del s di
Dio alluomo, del significato che il Vangelo indica per ogni
momento dellesistenza: nella sua costitutiva dimensione
affettiva, nel rapporto con il tempo del lavoro e della festa,
nellesperienza della fragilit, nel cammino della tradizio-
ne, nella responsabilit e nella fraternit sociale47.

Conferenza Episcopale Italiana, Rigenerati per una spe-


47

ranza viva (1Pt 1,3): testimoni del grande s di Dio alluomo, No-
ta pastorale dopo il 4o Convegno Ecclesiale Nazionale, n. 12, Roma
2007.

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Ezio Falavegna
La parola di Dio.
Contenuto e forma
della trasmissione della fede

Introduzione
In una riflessione sulle azioni della trasmissione
della fede, oggi riveste un ruolo particolare il servi-
zio della Parola; c, infatti, lesigenza di recuperare
e mantenere uno stretto rapporto tra la parola di Dio
e lesperienza credente, permettendo cos di collegare
il servizio pastorale della Parola con la struttura fon-
damentale della vita di fede. Il riferimento autorevole
di questo impegno segnato dalla XII Assemblea ge-
nerale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, 5-26 ottobre
2008, e dal messaggio conclusivo che i Padri sinodali
hanno consegnato alle comunit cristiane1.
Il tema, affrontato prevalentemente nella prospet-
tiva pastorale, a partire dalleconomia della parola di
Dio, permette di riconoscere come lesperienza reli-
giosa assuma un ruolo di significativa importanza, in
quanto ambito in cui la parola di Dio raggiunge la co-
scienza degli uomini. La connessione di eventi e paro-
le che manifestano lagire di Dio non pu ridursi a un
fatto miracolistico, quasi che questi fossero immessi
dallesterno nella storia e proposti a unaccettazione
passiva come messaggio divino. La legge dellincarna-
zione, che coinvolge i dinamismi dellagire e della ri-

Cf. Sinodo dei Vescovi, La Parola di Dio nella vita e nella mis-
1

sione della Chiesa. Instrumentum laboris, XII Assemblea generale


ordinaria, LEV, Citt del Vaticano 2008 e Messaggio conclusivo del
Sinodo sulla Parola di Dio, Roma, 24 ottobre 2008.

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flessione delluomo allinterno del processo della rive-


lazione, fa s che la parola interpretativa e laccoglien-
za della coscienza credente delle persone diventino
luogo di incontro con la presenza di Dio. Lesperienza
religiosa, quale modo di vivere in profondit la realt
nellapertura al trascendente, offre il contesto perch
si realizzi questo incontro2.
Il Vangelo non unidea o una semplice dottrina,
ma la persona stessa di Ges Cristo, ed alla relazio-
ne con lui, e tramite lui con Dio, che mira la trasmis-
sione della fede; una relazione, questa, mediata dalla
testimonianza credente ed ecclesiale. Lincontro con
il Dio di Ges Cristo, infatti, anche incontro con
coloro che hanno accolto nella fede la sua Parola, la
sua persona, perch laccesso alla rivelazione pos-
sibile solo attraverso la libert di qualcuno (fede) che
vive di tale incontro. Per tale ragione, la testimonian-
za che correla intrinsecamente verit e libert
la lingua per nominare con precisione la realt e la
qualit della trasmissione della fede: la fede tra-
smissibile in quanto testimoniabile, dato che la verit-
che--vita (rivelazione) pu essere resa presente sola-
mente proprio nellesercizio di quelle libert che ne
vivono (fede)3.

2
Interessanti al proposito sono i contributi di riflessione pro-
posti in: C spazio per la Parola che salva? Problemi e prospet-
tive dellevangelizzazione nel contesto culturale europeo e italiano,
Esperienza e teologia 10/18 (2004). In particolare segnaliamo quel-
lo di A. Fossion, Quale annuncio del Vangelo per il nostro tempo?
La sfida dellinculturazione del messaggio cristiano, pp. 9-27 e di S.
Lanza, Evangelizzare in un mondo che cambia, pp. 28-55.
3
R. Maiolini, possibile trasmettere la fede cristiana? La testi-
monianza come figura della trasmissibilit dellesperienza cristiana
alla luce della relazione tra rivelazione, fede e Chiesa, Quaderni
Teologici del Seminario di Brescia (La trasmissione della fede), Mor-
celliana, Brescia 2007, p. 87.

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1.Contenuto, azione di fede e stile


comunicativo della Parola

ormai consapevolezza comune che lespressione


parola di Dio va intesa e proposta con una ricchez-
za di significati che non la identifica semplicemente
con la Sacra Scrittura. La parola di Dio, infatti, pre-
cede ed eccede la Bibbia, che pure ispirata da Dio
e contiene la parola divina efficace [...]. La nostra fe-
de non ha al centro solo un libro, ma una storia di
salvezza4.
La stessa riflessione sulla parola umana ci porta a
comprendere come questa si configura quale evento,
in quanto consegna unesperienza di vita: essa rela-
zione e genera relazioni, informa e forma, portatrice
di metafora, ha valenza simbolica e sacramentale5.
Certamente questo non significa ricavare a priori
laccezione da dare allattestazione biblica sulla parola
di Dio, ma indica lorizzonte comune allinterno del
quale ogni persona pu interrogarsi sul parlare di Dio
come di qualcosa che la incontra e la interessa, prima
ancora di ascoltare la puntualit delle parole che Dio
proferir.
dunque, quella di Dio, una parola che esce dalla
sua casa, il tempio, si avvia lungo le strade del mon-
do per incontrare il grande pellegrinaggio che i popoli
della Terra hanno intrapreso alla ricerca della verit6.
La parola di Dio, infatti, non allontana dal mondo,
non separa, ma apre al dialogo e alla comprensione.
Dio e luomo non sono stranieri tra loro, giacch so-

Messaggio conclusivo del Sinodo sulla Parola di Dio, I.


4

Per un eventuale approfondimento dellargomento, rimando a


5

quanto scritto in E. Falavegna, La parola al servizio della Parola, in


Id., Il servizio della Parola. Dallesperienza alla riflessione teolo-
gica, Messaggero-Facolt Teologica del Triveneto, Padova 2008, pp.
277-324.
6
Messaggio conclusivo del Sinodo sulla Parola di Dio, IV.

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no co-inquilini della parola, vivono entro un flusso di


comunicazione permanente7.

Il contenuto della Parola

Per quanto sorprendente possa apparire, il Dio del-


la Bibbia non definito in termini filosofici, ma re-
lazionali: il Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di
Giacobbe (Es 3,15) e soprattutto [...] il Signore, tuo
Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra dEgitto, dalla
condizione servile (Es 20,2)8. Rivelandosi, egli prece-
de e fonda lesperienza che luomo pu fare di lui, una
relazione che si basa sullascolto della Parola quale
elemento costitutivo delluomo nel creato (Gen 1-3)9,
del diventare popolo di Dio negli avvenimenti della
storia (cf. Ger 11,6), dellincontro e della possibilit
di vivere lesistenza umana secondo Ges Cristo (Gv
5,24: [...] chi ascolta la mia parola e crede a colui che
mi ha mandato, ha la vita eterna), dellesperienza di
essere Chiesa (cf. At 2,42)10. Parola di Dio che chiama
e fede che risponde si saldano insieme in un unico ac-
cadimento; e solo su questa base, che ha come fonda-

7
Lespressione di C. Bissoli, Una Parola che chiama. La dimen-
sione appellante della parola di Dio, Vocazioni 26/1 (2009), p. 6.
8
La stretta connessione e il progresso di queste due tappe della ri-
velazione di Dio, cio la manifestazione ai patriarchi e quella a Israele
nellesperienza dellesodo, sono ben messe in luce in Es 6,2-8.
9
Sulla forza, lefficacia e il carattere dinamico della parola di Dio a
chiamare il mondo e luomo e lesistenza, portando a compimento il
progetto di Dio, risuonano significative le parole del salmista: Dalla
parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni
loro schiera [...]. Perch egli parl e tutto fu creato, comand e tutto
fu compiuto (Sal 33,6.9; cf. anche Sap 9,1: Dio dei padri e Signore
della misericordia, che tutto hai creato con la tua parola).
10
Commentando lincipit della Dei Verbum, scrisse il teologo
Joseph Ratzinger nel 1967: come se lintera esistenza della chiesa
si trovasse raccolta in questo ascolto da cui solamente pu procedere
il suo atto di parola.

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mento lamore, possibile costruire una forte identit


di vita e di esperienza cristiana. In questo movimento
di crescita e di collaborazione sta lidentit pi vera
delluomo, e in questa offerta di salvezza la parola di
Dio vuole guidare luomo, permettendogli di vivere in
modo autentico e pieno la vocazione iscritta nella sua
stessa esistenza, quella di figlio di Dio.
Ora, questa parola di Dio ha avuto in Ges Cristo
la sua rivelazione pi alta: Dio, che molte volte e in
diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri
per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni,
ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito
erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche
il mondo. Egli irradiazione della sua gloria e impron-
ta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola
potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei pec-
cati, sedette alla destra della maest nellalto dei cieli,
divenuto tanto superiore agli angeli quanto pi eccel-
lente del loro il nome che ha ereditato (Eb 1,1-4).
Le molteplici e varie parole che Dio ha consegnato
sono ora condensate nellesperienza concreta di una
persona, Ges di Nazaret, nella sua vita e nella sua
morte. Egli riassume e porta a pienezza tutte le parole
di Dio.
Dire che Ges la parola di Dio (cf. Gv 1,14) signi-
fica dichiarare che egli ne il volto, la narrazione, la
rivelazione. Tutto ci che noi possiamo sapere e dire
su Dio si trova in Ges Cristo: Nessuno viene al Pa-
dre se non per mezzo di me (Gv 14,6). Nel contem-
po, questo evidenzia che egli contiene ci che fonda
il senso della creazione e della storia e il compimento
della vita delluomo, facendo s che il mondo assuma
la forma di Dio, quella dellamore; in tal modo Cristo
entra con la sua umanit nel mistero stesso della vita
di Dio, anticipando e compiendo in pienezza il Suo
disegno (Eb 1,3).
Qui la Parola si fa contenuto della fede, ricono-
scendo come lincontro con Ges Cristo consegni
unesperienza, una Parola, capace di affascinare e dare

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una direzione alla vita. Una Parola, questa, che per


luomo e per ogni uomo, perch lincontro con Ges
Cristo conferisce una figura precisa alle attese delluo-
mo e, attraverso di lui, allintera creazione.

Parola e azione di fede

Per quanto la Parola abbia in se stessa la forza di


realizzare quanto annuncia, tuttavia questo cammino
che illumina la ricerca delluomo e la interpreta uma-
nizzandola non si compie in modo magico o automa-
tico e sconosciuto, ma matura attraverso la fede degli
uomini. Dove la parola che Dio consegna alluomo
trova laccoglienza disponibile della fede, l la Parola
si fa storia, e l il mondo prende la forma di Dio11.
Lesperienza credente , dunque, una realt viva, un
percorso sempre da attuare, che implica il riconosci-
mento di un dono e una risposta continuamente da
consegnare. Parlare di fede dice innanzitutto la spe-
cificit della maturazione del credente, che deve fare
riferimento a Dio e al progetto di vita che la sua Parola
consegna, facendo dello stile dellagire di Ges Cri-
sto la misura della propria esistenza. La fede non si
identifica con un sistema di credenze, di pratiche, ma
un personale coinvolgimento, che non si riduce a un
aspetto particolare, ma tocca tutta lesperienza cristia-
na. In questa prospettiva, la maturit nella fede sta pi
nel prefiggersi un percorso di maturazione che in una
ipotizzata conclusione dello stesso.
Un percorso, quello della fede, suggerito e delinea
to dalla stessa parola di Dio e rinvenibile nella peda-

Emblematico di questo laccoglienza di Maria che, nel raccon-


11

to dellinfanzia di Ges consegnatoci dal Vangelo, viene presentata


come figura del discepolo chiamato a custodire e vivere la Parola (Lc
2,19.51).

42

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gogia dei molteplici incontri che le persone hanno con


Ges, ampiamente attestati nei Vangeli12.

La fede si innesta sulla domanda e la conseguente


ricerca che appartiene a ogni persona: la domanda del
senso per cui vivere, cio il desiderio che la vita sia
pienamente significativa. Lapertura e la ricerca since-
ra, infatti, costituiscono il primo passo verso lacco-
glienza della Parola, perch permettono di assumere
un atteggiamento di disponibilit a lasciarsi incon-
trare, liberi dalla presunzione di bastare a se stessi.
Cos, infatti, la fede si qualifica come esperienza rela-
zionale, collocandosi allincrocio di due libert, quella
di Dio e quella delluomo e, come in ogni relazione,
essa non mai totalmente esauribile e si presenta sog-
getta allimprevedibilit, al dinamismo e alle fatiche di
ogni rapporto: Dio viene a noi, perch noi andiamo
a lui: ci ha parlato e noi ascoltiamo la sua Parola;
si manifestato e noi lo riconosciamo; ci attira a s e
noi ci lasciamo attrarre in un abbandono consapevole
e fiducioso. Questo , in sostanza, il misterioso movi-
mento della fede13.

La fede evento di un incontro: la presenza del Si-


gnore risorto a noi e la presenza della nostra vita a lui.
Latto della fede una risposta alla rivelazione di Dio
e in quanto tale ha come punto di arrivo una persona
e come contenuto ha anche il mistero di questa per-
sona: Ges il Signore, luomo perfetto che ci apre la
possibilit di diventare umani a misura sua, in modo
tale che da questo incontro la nostra esistenza umana

12
Quanto suggerito ripreso in Falavegna, La parola al servi-
zio della Parola, pp. 348-353. Una esemplificazione del percorso di
fede scaturito dagli incontri con Ges rinvenibile in Ufficio Cate-
chistico Diocesano di Verona. quipe per la catechesi degli
adulti, Abbiamo incontrato Ges, EDB, Bologna 1994.
13
Conferenza Episcopale Italiana, Vivere la fede oggi, 12,
ECEI 2/3658.

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sia continuamente ri-significata, ri-orientata e realiz-


zata. lui, infatti, loggetto della fede cristiana, quale
determinazione storica e personale della rivelazione.
Loggetto della fede ricopre il duplice movimento/
azione con cui Dio e luomo si donano e si compren-
dono reciprocamente: una pura accoglienza a partire
da Dio di una Parola coinvolta nella nostra storia e
pienamente rivelatrice di Dio, e per questo una Parola
diventata nostra in tutta verit e libert.

La fede si nutre dellascolto della Parola. La fede


presuppone la parola di Dio, il suo annuncio e il suo
ascolto; di essa continuamente si nutre. come un
dialogo meraviglioso, sempre aperto, tra il credente e
il suo Dio. [...] Il credente , per vocazione, uditore
della Parola che il Padre dice in Ges14. Essa ci mette
in contatto con lesperienza viva che i primi testimo-
ni hanno avuto dellevento di Cristo, con i significati
e le realizzazioni di vita che da questo evento sono
scaturiti. Quando nel libro degli Atti degli Apostoli si
richiama lascolto della Parola, si sottolinea anche una
disponibilit ad accoglierla, e la parola evangelica di-
ce di un terreno adatto alla seminagione della Parola.
Ma lascolto della parola di Dio in forma umana esige
anche la fatica e lesercizio per penetrare nelluniverso
degli uomini che lhanno vissuta e scritta, esige lac-
compagnamento di una comunit che custodisce e di-
spiega i significati della stessa Parola.

La fede presuppone lattenzione alla vita e alla sto-


ria. nelloggi e per la nostra vita che il Signore risor-
to, per mezzo del suo Spirito, continua a parlare nella
Parola. La Parola ascoltata deve diventare signifi-
cativa per loggi, per la vita. Le stesse pagine bibliche
indicano che il credente pone al centro della propria

14
Conferenza Episcopale Italiana, Vivere la fede oggi, 14,
ECEI 2/3663.

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fede una storia di salvezza, e ci significa la persua-


sione che Dio agisce nel mondo storico in maniera e
in forme umane; che luomo trova Dio e il suo dono
di salvezza dentro la storia, non fuori di essa; che la
storia non soltanto il luogo in cui inserirsi per ser-
vire Dio, ma ancor prima il luogo per conoscerlo. Da
qui una prima caratteristica della spiritualit biblica:
lostinata fedelt alla storia. Pi che di un contenuto si
tratta di un metodo15.
Lattenzione alla vita, il lasciarsi interpellare seria-
mente dalle mille domande che essa suscita, permette
di accedere alla ricchezza di significati che posta nella
parola di Dio, consente di risentire la Parola nella sua
capacit di ridare significato allesistenza, di orientare
i giudizi e determinare scelte di vita.

La fede esige una comunit di discepoli in cui con-


dividere lascolto della Parola, la celebrazione della
fruttuosit della Parola, la novit e la qualit delle rela-
zioni nella forma della carit che da essa scaturiscono.
nella comunit dei discepoli di Ges, la comunit
ecclesiale, che il riconoscimento dello stile di vita sug-
gerito dalla Parola trova il suo termine di riferimento
e il suo criterio di verifica. La comunit ecclesiale
mediazione della fede, in cui accogliere la pregnanza
di significato e di realt della Parola che nel segno si
esprime e si attua.
Parola e vita, vita e celebrazione comprese e vissu-
te nel loro intimo legame sono le strade attraverso le
quali possibile avviarsi a essere credenti. E da questa
maturazione scaturiranno un impegno e stile di ser-
vizio evangelico, una ministerialit vera nelle forme e
nei modi nei quali ciascuno chiamato per i doni dello
Spirito.

15
B. Maggioni, La pedagogia della fede, La rivista del clero ita-
liano 78 (12/1997), pp. 802-803.

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Parola e stile comunicativo

Lapostolo Paolo cos afferma: Dio, che molte


volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parla-
to ai padri per mezzo dei profeti (Eb 1,1). questo
un dato ben riconoscibile nella Sacra Scrittura dove
la parola di Dio si comunicata dentro il dispiegar-
si della vita e della storia di un popolo, attraverso la
molteplicit dei fatti e degli eventi feriali e straordinari
che la compongono, nelle riflessioni di quanti hanno
esplorato le attese e le speranze delluomo, nella voce
ispirata dei profeti. Eppure, nella variet delle forme
in cui la Parola si esprime, ci sono alcune costanti che
diventano indicatori di un dire e di uno stile comu-
nicativo da assumere e di una pedagogia pastorale da
attivare16.

Innanzitutto riconoscibile il fatto che Dio par-


la al cuore stesso dellesperienza umana con le parole
stesse delluomo, dentro la sua vita e nella fedelt al-
la sua esistenza, alla sua cultura, al suo tempo, al suo
cammino e alla sua comprensione. A tal riguardo, cos
si esprime la Dei Verbum Dio ha parlato nella Sacra
Scrittura per mezzo di uomini e alla maniera umana17.
Disattendere questo orizzonte proprio del linguaggio
umano porterebbe di fatto a non cogliere lautocomu-
nicarsi di Dio, la stessa logica dellincarnazione della
Parola.

Una seconda costante rinvenibile nel dinamismo


del dialogo che la Parola attua. Il suo scopo quello di
permettere alluomo di entrare in dialogo con Dio, di
ascoltarne la voce, di cogliere il progetto divino della

Cf. B. Maggioni, In principio la parola e lascolto, La rivista


16

del clero italiano 88/12 (2007), pp. 819-821; Lumanit della Bibbia.
Liete notizie della Scrittura, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2008,
pp. 13-17.
17
DV 12, in EV 1/891.

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salvezza che attraverso di essa diventa proposta per


luomo di ogni tempo18. Punto darrivo e di nuova
partenza di questo dialogo Ges Cristo, la Parola
per eccellenza. In lui la prossimit di Dio non elimina
lalterit, ma la promuove e la garantisce. una Parola
che ospita, ma non si confonde, interpella e si lascia
interpellare, risponde e promuove risposte, si pone al-
la ricerca e accoglie la ricerca, in un dialogo che non
annulla ma promuove la verit dellaltro. La parola di
Dio, infatti, non si sostituisce mai alla persona a cui si
rivolge, ma ne sviluppa lautonomia, mettendola nel-
la condizione di prendersi in mano, di camminare
con le proprie gambe.

Una terza costante la sproporzione, un di pi che


la Parola attesta e che non esauribile nellesistenza
storica. una Parola che raggiunge e salva la storia
delluomo, ma non abolisce la diversit fra Dio e luo-
mo (Perch i miei pensieri non sono i vostri pensieri,
le vostre vie non sono le mie vie [...]. Quanto il cielo
sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre
vie; Is 55,8.9). Seppur dentro una diversit qualita-
tivamente invalicabile da parte delluomo, proprio il
venire di Dio verso di noi ci ha permesso di conosce-
re la sua alterit, non permettendo alluomo di ridur-
lo a un oggetto a propria disposizione, sovrastando
e superando continuamente ogni parola umana. Per

Paolo VI ha ben compreso ed espresso il carattere mite del dia-


18

logo e la dimensione ecclesiologica del dialogo stesso, costitutiva del-


la Chiesa. La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova
a vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si
fa colloquio. [...] Carattere [proprio del dialogo] la mitezza, quella
che Cristo ci propose dimparare da lui stesso: Imparate da me che
sono mansueto e umile di cuore (Mt 11,29); il dialogo non orgo-
glioso, non pungente, non offensivo. La sua autorit intrinseca
per la verit che espone, per la carit che diffonde, per lesempio che
propone; non comando, non imposizione. pacifico; evita i modi
violenti; paziente, generoso (Paolo VI, Ecclesiam suam, III,
in EV 2/192.196).

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quanto la fede maturi non potr mai esaurire le ric-


chezze della parola di Dio nella nostra esistenza stori-
ca. La fede vissuta si trova sempre in una condizione
di sproporzione che occorre saper mantenere, perch
una persona non riesce mai a vivere tutta la ricchezza
del messaggio della parola di Dio nella sua vita, essen-
do questa sovrabbondante rispetto a ogni attuazione.
Tale consapevolezza porta a riconoscere la mitezza e
la forza della Parola: mitezza in quanto non rifiuta di
stare in relazione.

Una ulteriore costante che la parola di Dio si in-


nesta nella trama dellesistenza, la segue nel suo pro-
cesso incessante di maturazione, fa vedere in che mo-
do tutte le situazioni umane siano sollecitate ad aprirsi
alla Parola, e tutte le risorse, che man mano la persona
scopre, siano chiamate a investire sul Vangelo. La pa-
rola di Dio si riferisce costantemente alla condizione
umana e si precisa in rapporto allesistenza quotidia-
na, riferita alluomo e a tutto ci che lo riguarda. La
connessione di eventi e parola che manifestano lagire
di Dio, permette di riconoscere che la sua Parola si
consegna sempre dentro unesistenza concreta, mai
senza lesistenza, e dallinterno di essa mostra il suo
vero significato. Lincontro e il confronto della Parola
con lesistenza, e dellesistenza con la Parola, costitui-
scono una correlazione fondamentale dello stile co-
municativo di Dio.

Infine, la parola di Dio sempre una parola parte-


cipativa, in quanto consegna e genera sempre unespe-
rienza di comunione. Attraverso la Parola avviene
lintroduzione a una trama di relazioni fraterne e fi-
liali, in cui la relazione fraterna si pone come un fatto
di disponibilit alla Parola e luogo di comunione e di
comunit. Cos la vita fraterna nella comunit si fa tra-
sparenza della realizzazione matura del suo annuncio,
divenendo in tal modo lo spazio accessibile e credibile
dei significati della Parola e di ci che essa va realiz-

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zando, facendo s che ogni vocazione si esprima come


con-vocazione. La Parola abilita anche allo scambio
della parola, alla condivisione attiva dellascolto, met-
tendo in circolazione lascolto stesso e il servizio co-
me atto di comunione, come spazio comunicativo che
la Parola sa creare.

2.Condizioni e forme della trasmissione

Il vivere la fede non solamente una dinamica in-


terna alla sua struttura, ma implica anche la sua co-
municazione, uno spazio in cui orientare la propria
esistenza allinterno di una comunit di testimoni,
in cui lasciarsi comunicare e comunicarsi19. La stessa
Chiesa abitata dal duplice movimento di ascolto e di
proclamazione della parola di Dio, lasciando scorgere
come solo una ecclesia audiens pu anche essere eccle-
sia docens20, consapevole che la Parola che annuncia e
testimonia non sua, ma di Dio.
Certamente rimane intatta la domanda sul come
incontrare oggi la Parola, in un mondo cos differente
da quello in cui i primi discepoli di Ges hanno avu-
to modo di udire e di accogliere quellannuncio cos
sorprendente e cos nuovo da affascinarli e cambiare
profondamente la loro vita.
In questo impegno si comprende il compito e la
testimonianza della comunit dei discepoli, di tutta
la Chiesa, chiamata a dire lattualit e la forza della
Parola, Ges Cristo, in modo che tutta lumanit sia
plasmata dalla ricchezza dellannuncio che essa porta:

19
Sul tema si veda linsieme dei saggi di carattere interdisciplinare
raccolto in Coordinamento Associazioni Teologiche Italiane,
La fede e la sua comunicazione. Il Vangelo, la Chiesa e la cultura,
EDB, Bologna 2006.
20
Cf. DV 1, in EV 1/872: In religioso ascolto della parola di Dio
e proclamandola con fiducia ferma (Dei Verbum religiose audiens et
fidenter proclamans).

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Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli (Mt


28,19); Andate in tutto il mondo e proclamate il Van-
gelo a ogni creatura (Mc 16,15); [...] saranno pre-
dicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei
peccati (Lc 24,47); Come il Padre ha mandato me,
anche io mando voi (Gv 20,21).
Dal Dio che parla alla comunit dei discepoli e dalla
comunit Chiesa, che a sua volta annuncia la parola di
Dio rivelatasi definitivamente in Ges Cristo, si stabi-
lisce un movimento di comunicazione e di comunione:
Quello che era da principio, quello che noi abbiamo
udito, quello che abbiamo veduto con i nostri occhi,
quello che contemplammo e che le nostre mani tocca-
rono del Verbo della vita la vita infatti si manifest,
noi labbiamo veduta e di ci diamo testimonianza e
vi annunciamo la vita eterna, che era presso il Padre e
che si manifest a noi , quello che abbiamo veduto
e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perch anche
voi siate in comunione con noi. E la nostra comunione
con il Padre e con il Figlio suo, Ges Cristo (1Gv
1,1-3). In questo modo la Chiesa non appare sempli-
cemente soggetto di evangelizzazione, ma diviene es-
sa stessa Parola, una Parola che trascende la Sacra
Scrittura, anche se questultima la contiene in modo
del tutto singolare, e che, sotto la guida dello Spirito,
chiamata a custodirla e conservarla nella sua Tradi-
zione viva (cf. DV 10), nella sua testimonianza di vita,
facendo in modo che sia possibile anche per luomo di
oggi ascoltarla e viverla21.

La Chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a


21

vivere. La Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si


fa colloquio... Carattere proprio del dialogo la mitezza, quella che
Cristo ci propose dimparare da lui stesso: Imparate da me che sono
mansueto e umile di cuore (Mt 11,29); il dialogo non orgoglioso,
non pungente, non offensivo. La sua autorit intrinseca per la
verit che espone, per la carit che diffonde, per lesempio che pro-
pone; non comando, non imposizione. pacifico; evita i modi
violenti; paziente, generoso (Paolo VI, Ecclesiam suam).

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Leconomia della rivelazione di Dio si compie in


eventi e parole, sul modello della comunicazione
umana che avviene attraverso diverse modalit e ser-
vendosi di molteplici mezzi espressivi. Cos il concilio
Vaticano II ha sottolineato che, come nella vita di Ge-
s i fatti e le vicende della sua vita svelano i contenuti
del regno di Dio, cos la rivelazione non va cercata
solamente nel dire di Dio, ma anche nel suo agi-
re che abbraccia tutte le mirabilia Dei narrate nella
storia della salvezza. Per la costituzione Dei Verbum
parole ed eventi sono intimamente connessi tra loro,
in modo che le opere, compiute da Dio nella storia
della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e
le realt significate dalle parole, e le parole dichiarano
le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto22.
Non si tratta quindi di un dualismo comunicativo, ma
di una reciprocit di intenti, dove le opere manifestano
il senso dellannuncio e le parole illustrano il mistero
contenuto nelle opere, la salvezza spiega il senso della
storia, ma anche la storia concretamente la realizza.
In questo sguardo unitario di lettura e di accoglien-
za della Parola, unitamente allimpegno di trasmettere
la fede, si pone lesigenza di individuare le condizioni
e le modalit della trasmissione stessa, dove fedelt al-
le origini e attenzione alla storia e alla cultura devono
essere ineluttabilmente coniugate.

Le condizioni

Le disposizioni positive di accoglienza e di testi-


monianza della Parola ci sono suggerite dallo stesso
Ges, il quale, istruendo i suoi discepoli sul significato
della parabola del seminatore ed esplicitando i desti-
natari del seme caduto sulla terra buona, afferma
che questi sono coloro che dopo aver ascoltato la

22
DV 2, in EV 1/874.

51

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Parola con cuore integro e buono, la custodiscono e


producono frutto con perseveranza (Lc 8,15): dun-
que, sono coloro che vivono la libert del cuore, la
libert da quelle realt che impediscono allinteriorit
del cuore di pulsare, di rendersi disponibili alla grazia
e alle radicali esigenze che la parola di Dio propone.

Questo cuore integro e buono (Lc 8,15a) indi-


ca al contempo un cuore libero, un cuore disponibile,
aperto, ma anche una umanit ricca e armoniosa, che
costituiscono i presupposti perch la parola di Dio
possa veramente attecchire: una disponibilit interio-
re di cuore, ma anche una ricchezza di umanit, un
equilibrio di umanit. Una ricchezza che esprime la
capacit di sperimentare il positivo di tutti gli aspet-
ti della nostra umanit, che permettono alla parola di
Dio di arricchirsi di nuovi significati e di nuove
prospettive. Quanto pi siamo ricchi dal punto di vista
umano, sappiamo cio che cosa significa essere umani
nellamore, nellamicizia, nella sofferenza, nelle realt
che sono autenticamente umane, tanto pi la parola di
Dio risuona, mostra tutti i riflessi della sua ricchezza,
trova un cuore non solo disponibile, ma anche capa-
ce di far rifrangere la ricchezza della Parola su tutti
gli aspetti della vita, della nostra umanit. Questa la
condizione preliminare perch la Parola possa essere
realmente accolta.
Cos il credente non deve coltivare solo un cuore
disponibile, ma deve coltivare tutti gli aspetti della ric-
chezza della propria umanit. Deve conoscere la pro-
pria umanit attraverso la propria esperienza e lespe-
rienza diretta della vita che ascolta gli altri.
A questa condizione la Parola pu essere custodi-
ta, trattenuta nel cuore. Non basta ascoltare la Parola,
apprezzarla, intuirne la grazia e le esigenze, bisogna
saperla trattenere nel cuore, perch la parola di Dio
accolta e interiorizzata diventi il cuore, il centro dei
nostri giudizi, dei nostri discernimenti, dei nostri
orientamenti. Perch la parola di Dio diventi il per-

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manente criterio di giudizio sulla vita, sulle situazioni


della storia di oggi, occorre trattenerla nel cuore; in
questo modo la Parola diventa luogo di discernimento
profetico della realt.

Solo cos la Parola comincia a portare frutto, co-


mincia a immettere nella nostra vita la perseveranza
(Lc 8,15b), cio il rimanere affidati e legati a essa, al
discernimento nuovo e profetico che essa produce
continuamente nella nostra vita, anche quando le si-
tuazioni sono avverse. La perseveranza proprio la
capacit di restare fedeli nei momenti della prova. La
prova sono le fatiche quotidiane, gli insuccessi, lap-
parente infecondit in alcuni momenti, la fatica di ri-
manere dentro un mondo complesso e difficile. Que-
ste sono le fatiche in cui occorre essere perseveranti,
in cui occorre non perdere la fiducia nella forza e nella
grazia della Parola. In questa perseveranza, lentamen-
te, la parola di Dio produce frutto e trasforma la vita
del credente, rendendola pienamente espressiva della
sua identit filiale.

La testimonianza la capacit di lasciar trasparire


e quindi di rendere visibile nella propria vita la Parola
accolta, trattenuta, conservata con fiducia anche nei
momenti della prova. La testimonianza non qualcosa
di straordinario, il presentarsi in pubblico, allester-
no, attraverso lo stile della nostra persona e della no-
stra azione, in modo tale da lasciar affacciarsi la Parola
che stata accolta e interiorizzata (Lc 8,16).
Tutto ci che una persona fa conta meno rispetto
allo stile di vita che manifesta con la sua persona, con i
suoi atteggiamenti, con lapertura vitale. C uno stile
di vita che rende credibile tutto il resto dellazione.
Questo stile la testimonianza. Levangelista Luca,
continuando la spiegazione della parabola del semi-
natore, riporta limmagine della lampada che non va
coperta, ma deve dare luce, affinch coloro che entra-
no nella casa vedano la luce. Si tratta, cio, della Parola

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che, trasformando la vita, d origine alla testimonian-


za. quella luce che non pu restare nascosta e che
permette, a chi entra nella casa e viene in contatto con
la vita del discepolo, di poter vedere. questo stile te-
stimoniale che rende efficace tutta la vita del cristiano,
che la rende credibile come esistenza illuminata dalla
Parola.
Il testimone colui che dice delle cose e le attesta
perch in queste cose implicata la sua esistenza, per-
ch sulla Parola ha giocato la sua vita.

Le forme del servizio alla trasmissione

Gli Atti degli Apostoli ci permettono di compren-


dere come il servizio della Parola possa essere offerto
in forme molteplici. Lo stesso apostolo Paolo nel suo
discorso agli anziani di Efeso, paragona il suo servizio
di annuncio a una corsa (At 20,24). nella natura
della parola di Dio correre, cos come corre chi ha in-
contrato la Parola e ne stato afferrato, come un atleta
nello stadio (1Cor 9,24), senza distrazioni e appesanti-
menti. la Parola che fa correre Paolo, non viceversa.
Leggerezza e concentrazione sono i presupposti affin-
ch anche oggi la Parola corra e non sia appesantita e
disorientata dagli strumenti che i cristiani utilizzano
per farla correre. Non solo nelle forme oggi istituzio-
nalizzate dellannuncio23, dellomelia o della catechesi,

23
Una delle forme pi espressive e incisive del servizio della Paro-
la rimane certamente la lectio divina, ovvero quella forma di lettura
della Scrittura che si fa ascolto di una parola attuale e contempla-
zione di una presenza. Tale significativit stata pi volte indicata
in modo autorevole. Alcune citazioni esemplificative possono dare
ragione a tale impegno: Come possibile ascoltare la voce di Dio?
La risposta semplice: ascoltiamo Dio ascoltando la sua parola dataci
nella Sacra Scrittura. Sono convinto che la lectio divina sia lelemen-
to fondamentale nella formazione del senso della fede (Benedetto
XVI, Discorso al consiglio delle Conferenze episcopali europee, 2005);
Vorrei soprattutto evocare e raccomandare lantica tradizione della

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ma attraverso una molteplicit di modalit di servizio


della Parola, che mantengono tutta la loro attualit e
che il libro degli Atti cos segnala:

Il Kerigma. Sappiamo come il primo annuncio


costituisca oggi uno dei problemi fondamentali del-
la pastorale. Poter riportare chi si allontanato, chi
sulla soglia, chi non ha ancora accostato leven-
to cristiano, saperlo portare al cuore, allessenziale
dellesperienza cristiana non certo un compito faci-
le. Oggi si parla di primo annuncio, di ricomincianti.
importante cogliere che cosa essenziale, che cosa
si pu annunciare come nucleo essenziale della fede, e
farlo soprattutto percepire come rilevante, come deci-
sivo per lesistenza anche oggi.

Linsegnamento, quello che oggi definiremmo


in modo pi generale catechesi. limpegno e la
responsabilit a tracciare dei percorsi, degli itinerari
che siano in grado di aiutare le persone a compiere un
approfondimento progressivo del mistero di Cristo e
delle esigenze di vita nuova che esso comporta. Que-
sto necessita di una grande saggezza da parte dellope-
ratore pastorale, perch egli deve saper commisurare
il progressivo approfondimento del mistero di Cristo,
delle esigenze nuove di vita che esso pone, alle situa-
zioni culturali e religiose dei suoi destinatari, differen-
ziando le proprie proposte di cammino.

lectio divina... Questa prassi, se efficacemente promossa, apporter


alla Chiesa ne sono convinto una nuova primavera spirituale. La
pastorale biblica deve dunque insistere particolarmente sulla lectio
divina e incoraggiarla grazie a metodi nuovi, elaborati con cura e al
passo con i nostri tempi (Benedetto XVI, Messaggio rivolto ai par-
tecipanti al Congresso internazionale sulla Sacra Scrittura nella vita
della Chiesa, Roma, 14-18 settembre 2005). necessario che lascol-
to della Parola diventi un incontro vitale, nellantica e sempre valida
tradizione della lectio divina che fa cogliere nel testo biblico la Parola
viva che interpella, orienta, plasma lesistenza (Giovanni Paolo II,
Novo millennio ineunte, 39, in EV 20/77).

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Lesortazione, cio la capacit di stimolare la fede


e la pratica della vita cristiana in coloro che lentamen-
te rischiano di allontanarsi da essa. Saper toccare le
corde giuste per riattivare linteresse e anche mostrare
la bellezza della vita cristiana a coloro che sono in dif-
ficolt. Paolo, rivolgendosi agli anziani di Efeso, parla
anche del suo servizio al Signore tra le lacrime (At
20,19.31). Le lacrime manifestano la passione spiri-
tuale di Paolo per coloro che si stanno allontanando.
nei dialoghi personali (At 20,31: Ciascuno di voi)
che occorre toccare le corde giuste per chi ha perso
il senso della fede, in modo da riattivare linteresse,
mostrare la preziosit dellincontro con la Parola che
salva.

Ancora, negli Atti degli Apostoli, si parla di raf-


forzare, confermare nella fede. Si tratta di saper dire
la parola di Dio adeguata nei momenti di difficolt, di
prova, di dolore, di oscurit nella vita delle persone.
Saper dire la Parola che mantiene viva la fede anche
quando la fede messa alla prova, quando sembra es-
sere esposta alla smentita dei fatti e alle esperienze ne-
gative e fallimentari. Un cristiano deve essere capace
di rendersi presente in queste situazioni, trovando la
parola adeguata, che aiuta la fede a mantenersi salda
di fronte alle situazioni difficili che inevitabilmente la
vita porta con s.

La narrazione, ovvero la capacit di raccontare la


vita, interpretandola in chiave di storia della salvezza.
Essa si esprime nel saper guardare la storia leggendovi
lagire salvifico di Dio. Di fronte alla vita che le persone
raccontano, saperla ri-narrare, raccontare nuovamen-
te in chiave storico-salvifica, cio facendo percepire
come dentro quella trama di situazioni, di esperienze,
di percorsi di vita, lazione di Dio non assente e gli
appelli di Dio non mancano. unoperazione delica-
ta, ma quando si riesce a ri-narrare, a reinterpretare
le esperienze vissute, mostrando che non assente la

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grazia di Dio, le persone tornano a ri-orientarsi, risco-


prono i percorsi piccoli, grandi, nuovi che la parola di
Dio sempre in grado di offrire alla loro vita.

In stretto rapporto con queste forme di trasmis-


sione della fede orientate dalla Parola, emerge una
dimensione comunitaria che va coltivata da parte di
colui che serve la Parola e che implica:

Lascolto della parola di Dio non solo personal-


mente, ma anche comunitariamente. E sulla base della
parola di Dio ascoltata insieme nascer una qualit di
relazioni nuove tra le persone, una comunit di cre-
denti, la famiglia di Ges (Lc 8,21: Mia madre e miei
fratelli sono questi: coloro che ascoltano la parola di
Dio e la mettono in pratica).
Proprio nellascolto comunitario la Parola cresce,
si arricchisce di senso (At 12,24: La parola di Dio
cresceva) e amplifica la sua ricchezza di significati.
E nel contempo, mentre insieme si ascolta e si scam-
biano significati della Parola, si alimentano relazioni
qualitativamente nuove.

Il discernimento comunitario. Si tratta di un


ascolto della Parola che diventa anche un discerni-
mento sulla realt. La Parola, intesa come dono, ap-
pello e progetto per la vita dei credenti, riconosciuta
capace di interpretare correttamente e aiutare a evol-
vere e crescere in pienezza e autenticit la loro stessa
presenza e il loro impegno nella storia. Sullo sfondo
di un orizzonte nuovo, di un giudizio nuovo creati
dallascolto condiviso della Parola, la comunit traccia
in questo modo la sua adesione libera e responsabile
alla storia, riconoscendola e vivendola quale luogo di
salvezza di Dio, luogo di annuncio e di purificazione.

Il suscitare ministerialit della Parola, cio la


disponibilit a far s che la Parola provochi in altre
persone il gusto non solo di accogliere, ma anche di

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mettersi al servizio di questa Parola nelle diverse for-


me ministeriali di cui una comunit ha bisogno per la
propria crescita.

Conclusioni
Dentro un contesto culturale frammentato im-
portante offrire riferimenti significativi e creare spazi
di progettualit, proporre cio un momento in cui la
comunit ecclesiale si manifesti non solo come luogo
di racconto e di memoria, ma anche di progetto. Lin-
contro con la parola di Dio dovrebbe infatti avere lo
stesso obiettivo che la Bibbia ha da sempre: presentare
il passato biblico in modo tale che le persone possano
ritrovarvi qualcosa di se stesse, delle proprie aspira-
zioni e ideali, dove il farsi storico della Parola diventa
una luce sul proprio vissuto, capace di orientare un
cammino in vista della maturit del vivere.
Per operare ci importante ritornare sul carattere
essenziale delladesione alla parola di Dio e sui suoi
presupposti di base, richiamandone i nodi centrali per
il cammino della fede. Nel contempo, per dare presen-
za visibile alla parola di Dio e superare cos la distanza
fra lesperienza cristiana e la sua mediazione storico-
ecclesiale, occorre interrogare quel complesso di ope-
razioni sociali che determinano gli spazi, gli strumenti
e i soggetti scelti nella nostra societ. Occorre inter-
rogare questi modelli culturali per cogliere il tipo di
identit che mettono in atto, il tipo di memoria che
costruiscono, le relazioni intersoggettive che mettono
in funzione, la figura di adulto e di comunit che rea
lizzano.
Questo comporta inoltre la ricerca di quei model-
li culturali che caratterizzano, come dei paradigmi, le
forme dellagire ecclesiale, portando allo scoperto le
figure del disagio attuale per arrivare, in prospettiva, a
identificare i poli culturali e le forme che, scaturendo
da un ascolto maturo della parola di Dio, meglio per-

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mettono di veicolare il messaggio della Parola stessa e


il servizio formativo con le persone; si eviter cos la
dissociazione tra le pratiche pastorali e il linguaggio
con cui si d loro senso.
Alla luce di queste istanze, e particolarmente del-
la struttura esperienziale della comunicazione del-
la parola di Dio, necessario favorire una fede che,
nella qualit della testimonianza evangelica, si renda
presente nel mondo contemporaneo e si comprenda
entro un impegno attivo nella trasformazione del pro-
prio ambiente, pienamente solidale con il cammino di
crescita delle persone, evitando cos che la fede, come
la Parola, sia relegata alla vita privata, ai margini della
collettivit, lontana dai problemi e dal processo di ma-
turazione propri di ogni persona.

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Gianandrea Di Donna
La liturgia.
Il simbolo rituale come
esperienza iniziatica fontale

1. Premessa
A partire dal XII secolo, la riflessione sul concet-
to di sacramento and focalizzandosi attorno ai sette
sacramenta maiora, istituiti come si precisava allo-
ra da Cristo. Su di essi la riflessione della Scolastica
e, in modo del tutto peculiare, di Tommaso dAquino,
si preoccup di individuare rifacendosi ad Aristote-
le la loro realt oggettiva, nonch le cause originanti
il sacramento e gli effetti della grazia conseguenti. Ne
scatur quella notissima descrizione di sacramento che
si articolava attorno ai tre elementi de necessitate per
una retta e valida celebrazione: la materia, la forma e il
ministro. Questa descrizione di sacramento aveva op-
tato perci per una prospettiva esclusivamente dog-
matica1 che confluir divenendo patrimonio di fede
ecclesiale nei testi autorevoli del magistero dei Con-
cili ecumenici. Il Concilio di Firenze (1439) nel De-
cretum pro Armeniis cos trattegger la definizione di
sacramento: Hc omnia sacramenta tribus perficiun-
tur videlicet rebus tamquam materia, verbis tamquam
forma, et persona ministri conferentis sacramentum
cum intentione faciendi, quod facit Ecclesia: quorum
si aliquod desit, non perficitur sacramentum (DS
1312). Il Concilio di Trento (1547), successivamente,

1
Non si trascuri di ricordare, a tale riguardo, la moltitudine di
controversie dogmatiche sui sacramenti, e in modo peculiare sullEu-
caristia, che attraversavano lEuropa cristiana di quellepoca.

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definir listituzione dei sette sacramenti da parte di


Cristo (DS 1601), indicando come essi contengano la
grazia che significano e la comunichino a chi non vi
si oppone (DS 1606); tale grazia per virt dello stesso
rito ex opere operato viene comunicata a quanti
se ne fanno fruitori (DS 1608). chiaro come questa
prospettiva, ben riconoscibile e comprensibile in quel
contesto, avesse omesso altre riflessioni riguardanti il
simbolo, la celebrazione, la partecipazione dei fedeli...
Per questo, spesso, la devozione dei fedeli suppl al
deficit simbolico-rituale che la prospettiva sacramen-
tale del tempo sembrava accusare.
Con il Movimento liturgico di inizio 900 e la suc-
cessiva teologia liturgica, si riscopr nellesperienza
simbolico rituale una via privilegiata per iniziare gli
uomini al mistero di Cristo. Ci in opposizione a ogni
monismo etico-catechistico che aveva bisogno sem-
mai di essere integrato da una mediazione simbo-
lico-rituale della fede. Ne scatur una decisa riforma
della liturgia, confluita in tutta la sua ricchezza nella
costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, con
la quale si giunse a quella altissima sintesi tra realismo
e simbolismo sacramentale, la cui autentica compren-
sione e receptio non pu essere ridotta e banalizzata
al fatto materiale lo diciamo quasi per celia di aver
girato gli altari o perch finalmente! direbbe
homo quidam ora la liturgia in lingua vernacolare
si capisce. La soluzione non da intravedere per la
mera via didattica dei riti!

2.Il simbolo rituale

2.1. Il simbolo liturgico cio del signum usato

Lacquisizione antropologica di partenza riguarda


il fatto che nella liturgia non entrano in gioco due or-
dini di realt contrapposti: da una parte lo spirituale
e dallaltra il corporeo, per cui Dio si raggiungereb-

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be attraverso unascetica risalita dal sensibile verso il


meta-sensibile, il puro spirituale. Spirituale e corporeo
sono invece strettamente uniti: lesterno espressione
dellinterno, ne lo specchio, la visibilit.
Questa acquisizione, iniziata con il Movimen-
to liturgico e sviluppatasi grazie allopera di Roma-
no Guardini, ci aiuta a chiarire e a ribadire qualora
fosse necessario lo scopo (id est lo spirito!) della
liturgia stessa. Si tratta cio di prestare attenzione al
ruolo dei santi segni, i quali, perch siano veramente
segno per luomo contemporaneo, necessario siano
sempre accessibili ed evidenti allanimo dei popoli cui
sono rivolti. altrettanto vero, inoltre, che la ragione
per cui la Chiesa si serve di riti e preghiere (segni del
celebrare cristiano) motivata non solo dal fatto che
la grazia sia intelligibile, ma anche perch, attraverso
la loro eloquenza velata, sia manifestato e incontrato
il Segno per eccellenza, lUr-Sakrament2 del Padre: la
Parola fatta carne.
Dai santi segni al Segno santo, dalla santa liturgia al
Liturgo santo: il principio fondamentale cui Guardi-
ni ha mirato, offrendo cos le basi pi solide per una
valida riforma della liturgia cristiana. Principio questo
con il quale lautentico spirito della liturgia sem-
pre rintracciabile laddove sia realizzato il riferimento
costante dei santi segni allunico e originario Segno,
autorivelatosi come , il quale
(Gv 1,14) (si fece carne e pose la
tenda fra noi): luomo-Dio, Ges di Nazareth.
Il , che dalleternit era (Gv
1,2), ora
(Eb 1,2): la carne del Figlio di Dio il segno elo-
quente della Parola del Padre allumanit, che egli dice
verbis gestisque nella vicenda storica di Ges di Naza-
ret, e successivamente e in relazione a tale evento

2
Cf. E. Schillebeeckx, Christus Sakrament der Gottbegegnung,
Mainz 1960.

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nel canone delle Scritture e nella vivente Tradizione


apostolica. Questa Parola del Padre, fattasi visibile
nella persona del Verbo incarnato, eternamente pre-
sente alla vita degli uomini, poich sussiste e continua
a operare attraverso i santi segni della liturgia, epifania
tangibile e in forma umana del Segno primo e irri-
petibile, memoria viva e ontologicamente sussistente
del Cristo sacrificato e risuscitato.
Il simbolo secondo questa dogmatica dato al-
lora dalla emergenza segnica di un quid materiale vi-
sibile, cosmico, antropologico che inaugura, rinvia,
evoca, contiene e comunica unaltra realt. Il simbolo
sorge, sgorga e comunica; non richiama per allego-
riam. Esso invece universalmente presente; sorge co-
me realt umana, legato al patrimonio pre-razionale
dellessere umano; esso unifica, dice fecondit, genera
una relazione reale, sperimentabile.

2.2.Il simbolo rituale cio dellambito (rituale)


del simbolo

Il simbolo non sufficiente; necessario che lam-


bito nel quale esso si d sia un ambito rituale. Dire
questo significa rifarsi a una complessit descritta
molto bene da E.M. Zuesse3. Secondo gli studi di an-
tropologia di questultimo, possiamo dire, anzitutto,
che rito antropologicamente un insieme di compor-
tamenti culturalmente definiti che assumono una con-
notazione religiosa quando esprimono luomo rituale;
laccezione di rito si sviluppa anche in una dimensione
psicoanalitica secondo la quale esso riguarda i com-
portamenti simbolici spiccatamente non razionali,
non formali ma pragmatici, diretti a un fine fortemen-

3
E.M. Zuesse, Rito, in M. Eliade (a cura), Il rito. Oggetti, atti,
cerimonie (Enciclopedia delle religioni, 2), Jaca Book, Milano 1994,
pp. 482-501.

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te empirico. Il rito in qualche modo si contrappone


alla scienza, al senso comune: esso dal punto di
vista sociologico maschera delle mete sociali la-
tenti di una societ. Infine, secondo il punto di vista
della fenomenologia delle religioni, tramite il rito luo-
mo incontra il numinoso, il sacro, connettendosi con
laltro ordine, con il totalmente diverso dalla realt
naturale; il rito esce dalla banalit della vita ordinaria.
Potremmo dire con Guardini4 che la via che con-
duce alla vita liturgica non si dispiega attraverso la
mera istruzione teorica, bens offerta anzitutto alla
pratica. Osservare e agire sono le sue forze fondamen-
tali in cui ha da essere radicato tutto il resto. Lagire
qualcosa di elementare; qualcosa in cui luomo ha
da ritrovare tutto con le proprie forze creative; un
eseguire compenetrato dalla vita; unesperienza di
vita. Questa visione traspare anche in Sacrosanctum
Concilium nella quale senza con ci dimenticare la
dimensione dogmatica della vita sacramentale di cui
la teologia tridentina vincolante testimone il rito
stesso viene descritto nei termini della teandricit: ci
significa che la dimensione antropologica dellactio ri-
tualis rende presente, allo stesso tempo, lactio divina.
La parola biblica, lassemblea, le feste, lo spazio, il si-
lenzio, la musica, larte, le suppellettili mostrano cio
lincarnato mistero che sempre si rende visibile e cele-
brabile. Eppure questa via umana del rito cristiano,
che celebra il Verbo fatto carne, sembra talora passare
in secondo piano dopo la riforma conciliare! ri-
spetto alla pedante e noiosa difesa della accessibilit
didattica ai riti; in ragione di ci, passando per posi-
zioni ravvicinate, linguaggi introduttori, parole di
spiegazione, semplicismi di sorta, linguaggi vicini
alla vita, canti giovanili... e banalit del genere... il
rito diventerebbe una didascalia sul dogma, fruibile

4
R. Guardini, Lo spirito della liturgia. I santi segni, Morcelliana,
Brescia 19967 (originale 1930), p. 115.

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come catechesi popolare: un pacchetto di contenuti


teologici, di cui lomelia sarebbe il cuore pulsante
dal quale si distribuiscono clericalmente contenuti
preconfezionati. Questa deriva della liturgia divente-
rebbe, cos, la morte dellesperienza rituale, la quale,
invece, essendo simbolica necessariamente una sorta
di non-comunicazione segnica (del fare ci che si dice,
non del dire ci che si fa), unesperienza anti-predi-
cativa. Lo diciamo en passant: la conseguenza di tale
esuberante didascalismo dei riti stata la loro morte
e la non infrequente fuga dei fedeli...
Lulteriore effetto di tale deriva si colloca a livello
etico-moraleggiante per cui il senso dei riti non sareb-
bero essi stessi cio la loro assoluta gratuit nella lo-
gica dellamore, della sovrabbondanza, dellincontro
fine a se stesso ma piuttosto il culto che genera
impegno nei confronti dei comportamenti, cio in vi-
sta delle esigenze etiche della vita cristiana; la veridici-
t del rito diventa lordinario: si tratta di quellassioma
diffusissimo, secondo il quale il banco di prova della
liturgia sarebbe la vita ordinaria, per cui i riti hanno
senso se cambiano i comportamenti dei cristiani. Il ri-
to non vale in se stesso, ma per la sua ricaduta (pensia-
mo a tutti i processi di iniziazione cristiana dei ragazzi
e la frustrante verifica che di frequente si fa a riguardo,
senza alcuna preoccupazione se il rito generi il legame
con il suo Fine). Gi si potrebbe dire che, se ovvio
pensare alla necessit di una ricaduta del celebrare cri-
stiano nella vita ordinaria dei credenti, essa non lo
per nel senso della funzionalit.
Questa deriva da cui Guardini vuole mettere in
guardia data dal rischio di relegare, o meglio sotto-
mettere, la liturgia a una dimensione etica, ponendola
come seconda rispetto allordine morale5. La liturgia
infatti sembrerebbe, di primo acchito, non avere n
rapporti immediati n propensione nativa nei con-

5
Ivi, p. 99.

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fronti di un impegno etico, nei confronti della cosid-


detta vita ordinaria. Anzi, sembrerebbe essere caratte-
rizzata da un certo distacco dalla vita concreta. Quasi
la liturgia amerebbe contrapporsi a temi come la fab-
brica, il lavoro, i problemi etici, la fame nel mondo...
Azione nel mondo e liturgia sembrano non ade-
rire facilmente tra loro: ci suona non troppo bene, ce
ne rendiamo conto! Proviamo a spiegarci.
Alcune istanze di rinnovamento, nate e sviluppate-
si anche a partire dal Movimento liturgico, mirarono
proprio a creare una maggior vicinanza della liturgia al
popolo e alla sua vita concreta, prendendo le distanze
dalla aristocraticit in cui i riti di alcuni monasteri
benedettini avrebbero voluto collocarla6. Allazio-
ne sembra contrapporsi la contemplazione, nel
tentativo di riconoscere una priorit; Guardini rico-
nosce infatti nella Welthanshaung kantiana il primato
dellEthos sul Logos7, poich nel mondo delluomo
accanto alla sua libert e al suo intelletto agisce la
volont dal cui postulato Kant fa scaturire il mondo
di Dio e dellanima. Un passaggio successivo avverr
con Fichte, Schopenauer e von Hartmann per i quali
la volont psicologica fa da vera padrona della vita;
infine Nietzsche postuler una volont di potenza8,
per cui vero ci che rende sana e nobile la vita; il
volere delluomo prevale sulla verit, che rimane un
fatto morale.
La conseguenza di ci che il , il dogma, non
pi rivelazione di verit, ma serve solo ad avere una
buona vita.
Questa visione porter a sancire un primato
delletica, dellazione, anche nella vita della Chiesa, al

6
M. Marschall, In Wahreit beten. Denker liturgischer Erneu-
erung mit einem Einfrung von Hanna-Barbara Gerl, Erzabtei St.
Ottilien 1986, p. 40.
7
Guardini, Lo spirito della liturgia, p. 102.
8
Ivi, p. 102.

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punto che questo atteggiamento spirituale sar il mo-


do di interpretare il senso stesso della Chiesa9, fino al
suo massimo epigone nella Riforma, secondo la quale
lesperienza personale del soggetto e il sentimento del
singolo sono i criteri della fede; non lortodossia ma
lortoprassi. Lesperienza di fede personale vale pi
della vera fede10. Luomo fonda su di s il principio
di fede, la sua natura, il suo pensare, la conoscenza del
mondo, del cuore umano; luomo pu, fa, agisce, tra-
sforma, crea, ma spesso tutto ci, sostiene Guardini,
rischia di essere un cieco brancolare nel buio, giacch
la forza fondamentale su cui egli ha poggiato la sua
vita, vale a dire il volere, cieca11.
Ora ecco il pericolo cui anche la liturgia pu es-
sere soggetta la verit data prima e non si fonda su
di un ambito morale, pratico. Essa trovata, scoperta
dal volere delluomo, non creata da esso. la verit
a dare luce, ordine, forma alla volont; non nel senso
che la volont, lagire morale non abbiano dignit, va-
lore: anzi, entrambe sono necessarie alla vita delluo-
mo; ma lessere, la verit, il dogma devono precedere
e fondare lagire delluomo. La liturgia, allora, non si
oppone allazione, alla morale, allethos; essa natural-
mente converge nellagire umano, ma solo dopo aver
accolto la verit che la illumina: il celebrare cristiano
in questordine ontologico non potr essere inteso
come indifferenza alle piccole miserie quotidiane12;
esso piuttosto attinge, con la sua placida pace e la sua
calma, allamore trascendente di Dio; colloca luomo
nella realt di Dio, facendolo vivere di lui: questi sar
il pi profondo motivo di ogni agire umano. Alle sacre
oblate del pane e del vino, custodite in vasi preziosi,
collocate sullaltare e venerate con incenso profumato,

9
Ivi, p. 103.
10
Ivi, p. 104.
11
Ivi, p. 106.
12
Ivi, p. 110.

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per la celebrazione del sacrificio eucaristico affinch


divengano corpo di Cristo, la Chiesa da sempre vuole
che durante la santa Liturgia si uniscano le altret-
tanto sacre oblate (elemosine) per i poveri che sono il
corpo di Cristo e vanno custoditi dalle amorevoli cure
dei credenti, collocati al cuore della vita ecclesiale e
venerati con il buon profumo della carit.

3.Il simbolo rituale e la sua forza iniziatica

In riferimento allesperienza della relazione delluo-


mo con Dio, raccogliamo gi dallAntico Testamento
la narrazione di numerose esperienze che si possono
definire simboliche a cui la teologia biblico-veterote-
stamentaria d il nome di t profetici; ne ricordiamo
schematicamente solo alcuni:

Osea: il profeta dellamore sponsale, per il quale


linfedelt idolatrica di Israele a Jahv la sua prosti-
tuzione: latto, portatore di significato, il vissuto del
profeta stesso, la sua dimensione esistenziale; Osea
realizza il suo t profetico sposando Gomer, la prosti-
tuta, e avendo da lei figli di prostituzione (Os 1,2);
linfedelt del popolo rende Dio un non-sono, un
non-Signore (Os 1,9), anzich il Io sono colui che
sono (Es 3,14).
Isaia: passeggia nudo e scalzo per tre anni per le
vie di Gerusalemme; cos il profeta mostra la nudit
dellesilio (Is 20,1-6). [TM: ot mofet teud; LXX:
; Vg: signum portentum
testimonium; It: segno sorpresa, iniziare impegno,
testimonianza].
Geremia: il profeta della cintura (Ger 13,1-11),
della brocca (Ger 19,1-15), del celibato, del giogo
(capp. 27-29). Luomo delle tribolazioni, delle soffe-
renze e delle difficolt condanna i falsi profeti ed esor-
ta il popolo a convertirsi a Dio: egli sradica e demoli-
sce (Ger 1,10) lidolatria e le ingiustizie con i suoi t

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ma anche edifica e pianta (Ger 1,10) annunciando il


ritorno di Jahv e la nuova alleanza (capp. 30-33).
Ezechiele: i suoi simboli sono la manducazione del
libro (Ez 2,8; 3,3); la sentinella (Ez 3,16-21; 33,1-20);
il pastore (Ez 34); con questi segni profetici egli invi-
ta Israele a pentirsi dei suoi peccati, percependoli con
responsabilit individuale, e a rinnovarsi orientando il
cuore a Dio.
Zaccaria: il segno della corona (Zc 6,14) per il
profeta annunzio di speranza nella nascita del nuovo
tempio.

Il Nuovo Testamento, e in modo del tutto parti-


colare i Vangeli13, inaugura i suoi racconti con lirru-
zione del Verbo fatto carne14; il racconto evangelico
continua la sua narrazione presentando il incar-
nato, Ges il Cristo, che tocca molti, immerso nelle
acque del Giordano; rovescia i tavoli dei cambiavalute;
abbraccia e benedice i bambini; mangia coi peccatori
e le prostitute; d il pane alle folle; mette il fango negli
occhi del cieco; usa la mano, il suo corpo: cammina,
piange, parla, dorme, ha sete... lava i piedi; egli spezza
il pane e rende grazie sul calice del vino con i dodici in
una cena daddio; il suo corpo flagellato, inchiodato
alla croce, sepolto; dopo la risurrezione, quello stesso
corpo passa attraverso le porte chiuse, e ancora parla,
si fa toccare; egli prepara il cibo e mangia... Potremmo
definire (sacramentum) lintera esistenza
umana di Cristo come ricordato in 1Cor 2,1; Ef 1,9;
3,9; 1Tm 3,16 (mistero della piet): la sua unesisten-
za simbolica; Ges Cristo compie cio azioni e gesti
umani che rivelano il mistero stesso della sua vita, il
mistero della vita del Dio trinitario.
Coerentemente con la rivelazione ebraico cristiana

13
F.J. Leenhardt, Parole visible. Pour une valuation nouvelle de
sacrament, Neuchtel 1971.
14
Potremmo dire anche manifestato nel segno della carne.

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e il mistero-dogma dellincarnazione, il rito, dunque,


opera un impatto del credente con questo stesso mi-
stero rivelatosi per signa. Il rito, rifiutandosi di essere
un mezzo educativo o un itinerario didattico-morale,
realizza lincontro delluomo con il mistero storico
e pasquale di Cristo che, sotto il velo dei simboli, si
pone come colui che genera tale contatto. Potremmo
dire che lagire simbolico-rituale mistero nel sen-
so che esso rivela (epifanizza) lagire (lopera, l)
di Dio, per mezzo di segni umani ed ecclesiali: nella
celebrazione del culto cristiano, pertanto, Dio opera
di persona e attivamente; egli il soggetto primo del-
la liturgia, colui cio che realizza e compie litinera-
rio con cui luomo iniziato e condotto allincontro
con il mistero di Dio; egli stesso introduce (nel sen-
so iniziatico del termine) luomo a conoscere il mi-
stero della sua stessa vita divino-trinitaria. Questa
lassoluta novit della liturgia! Nel rito cristiano, Dio
agisce come iniziatore poich attraverso i santi segni
egli instaura la presenza operante del Cristo e dellt
profetico del suo gesto redentore di passione, morte e
risurrezione; ci avviene in ragione della contempora-
neit che si genera tra levento iniziale (la salvezza pa-
squale) e i gesti-riti-atti simbolici ecclesiali: dinamica
presenziale tra lUr-Sakrament (Ges il Cristo) e i sa-
cramenta Ecclesi. Ci si concretizza non per astratta
convenzione n per via didascalica, ma rite secondo
un cultus receptus, cio riconoscibile15. Si supera cos il
pericolo della deriva cognitiva, sfuggendo alla banalit
della descrittivit dellagire di Dio, mentre si mostra e
si vive quello che simbolicamente viene celebrato.
Questa riflessione fa comprendere come tutto ci
appartenga a unantropologia complessa: il rito infatti
deve essere reiterato, necessita di riferirsi a valori tra-
scendenti e di lunga durata (ama la temporalit distesa,
limmutabile, la durabilit, la conservazione), irridu-

15
In sanscrito rita ci che conforme allordine.

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cibile allutile ed etico ma dice riferimento al simbolo,


cio media una relazione, va infine compiuto da
chi ha autorit per farlo. Si comprende, altres, che
lesperienza simbolico-rituale inizia alla fede perch
coinvolge le dinamiche fondamentali della fede stessa:
chiede, infatti, ladesione del credente (per essere rico-
nosciuta come esperienza simbolica e possa funziona-
re), generando cos latto iniziante fondamentale; evo-
ca il numinoso, il Santo; coinvolge il simbolo del corpo
e i suoi comportamenti, ordinati dalle parole.
Potremmo dire, sinteticamente, che la liturgia16 ser-
vendosi dell (- ) e non solo del , del
fare e non solo dire o ancor pi sinteticamen-
te del dire facendo, genera nelluomo unazione
profetica trasformante, e non una semplice conoscen-
za. Nemica del rito infatti ogni didascalia e pedago-
gia. Il rito funziona a prescindere dai significati perch
opera simbolicamente, cio permette lincontro. Ci
senza eterotopie (fughe) nel ritualismo esasperato al
massimo grado (ritualismo, ieratismo, tradizionali-
smo) n eterotopie al minimo grado (banalizzazione,
spontaneismo, appiattimento sulla vita quotidiana, di-
datticismo, infantilismo).
Il rito inizia nella misura in cui apre uno spazio
simbolico dove si fa lesperienza contemporanea
dellalterit di Dio, ma anche della sua presenza-vi-
cinanza, del contatto per mezzo dei simboli. Questo
significa che il rito riesce a iniziare perch non percor-
re larida via della sola conoscenza lo stesso miste-
ro non si offre a noi in modo completamente fruibile
dallintelletto umano ma per la via complessa, ma
forte, del simbolo.
Il simbolo attinge la sua forza proprio dalla sua se-
ria bellezza: esso cio rifiuta la via degli estetizzanti,
del bello vuoto di senso, ma si propone come bellezza

16
Il notissimo etimo di liturgia appunto azione del popolo (
+ ).

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sub specie enigmatis et Crucis; la bellezza quella del


(Gv 10,11), il bel pastore (trad. CEI
buon) che offre la vita per le pecore (Gv 10,16);
una bellezza seria cio trasformante per opera della
verit: in altre parole proviene dalla forza reale e armo-
niosa della verit17. Guardini sostiene come lo splen-
dore dei riti non sia equivalente a un palcoscenico
dello spirituale18, bens dalla vicinanza delluomo alla
realt di Dio; e ci non pu essere vissuto che con la
seriet della pi intima partecipazione19 di chi intu-
isce la corrispondenza dei riti e delle parole alle esi-
genze del mondo interiore20, potremmo dire al regno
di Dio e alla sua giustizia. In tal modo, la bellezza del-
la liturgia e dei suoi riti mette in relazione luomo con
Ges Cristo e la sua verit personale: questo lo spa-
zio nel quale Dio si rende presente allesperienza, si d
a vedere e non accetta di essere descritto, spiegato ma
si rivela alluomo. Questa la forza iniziatica del rito:
esso sfugge a ogni pretesa antropomorfizzante di Dio
e lascia che egli si dia in Cristo attraverso uno spazio
vuoto di parole meramente umane e ricolmo della pa-
rola divina...
Lazione simbolico-rituale si modella sul mistero
di Cristo: ne rivelazione e forma! Il simbolo rituale
diventa prolungamento dellincarnazione del Logos
sacramentum Patris in carne hominis e nella litur-
gia diventa via di relazione con tale mistero di epifani-
ca incarnazione.
In tal modo, limpatto simbolico-rituale che luo-
mo percepisce, capta e intuisce nella celebrazione dei
santi misteri permette che egli sia iniziato ai misteri
di Dio non per via di assunzione di norme e di azio-
ni religiose: si tratta di non assoggettare liniziazione

17
Guardini, Lo spirito della liturgia, p. 89.
18
Ivi, p. 95.
19
Ivi, p. 96.
20
Ivi.

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allethos, ponendola come secondaria rispetto allas-


sunzione di un ordine morale. Il primato etico-morale
precederebbe il darsi della verit che , invece, il cuore
di ogni iniziazione-incontro-sequela: la verit tro-
vata, scoperta dalluomo, non creata da lui. solo
la scoperta della verit nello spazio generato dal ri-
to che permette di aderirvi con libert e volont; si
tratta di lasciarsi iniziare a questa relazione, dopo aver
accolto una verit che mi illumina, che mi chiama
a s. In tale senso allora la liturgia e la sua forza sim-
bolica sono la via maestra delliniziazione delluomo
al mistero divino tripersonale della salvezza.
Romano Guardini, in una sua lettera del 196421 al
Segretario dellIstituto liturgico di Treviri, in occasio-
ne del Congresso di Magonza del 1964 (cui non avreb-
be potuto partecipare), scrive come la vera questione
della liturgia si d proprio a partire dallo spostamento
del dibattito dal piano dellagire, del fare, dei canti, del
cerimoniale (seppure tutti questi rivisitati, moder-
nizzati, popolarizzati o democraticizzati) al piano
della ontologia dellatto liturgico.
Guardini, in questa lettera, si preoccupa di defi-
nire latto liturgico nella sua essenza, sostenendo che
omettere di muoversi secondo la summenzionata pro-
spettiva significherebbe ridurre le azioni liturgiche,
lo spirito della liturgia, a oggettivit celebrata, a
interpretazioni di contenuti della fede e dei riti che
li rivestono22... Il vero passaggio epocale sta nel

Pubblicata in Liturgisches Jahrbuch, 2 (1964).


21

Quel che dunque importa soprattutto, linterrogativo, in che


22

cosa consista latto liturgico, che sta alla base di tutto ovviamente
qui si possono tentare solo brevi indicazioni. Ci che proprio di
questatto acquista la massima chiarezza quando si tratta di un agi-
re, quindi per esempio dove ce n labitudine la processione
offertoriale. Qui equivale a una differenza specifica se il credente
intenda questo cammino solo come un movimento diretto verso la
mta, che potrebbe in s essere compiuto altrettanto bene dal sacre-
stano con la borsa tintinnante, o se invece sappia come il portare [le
oblate al celebrante] sia in se stesso preghiera, disponibilit verso

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pensiero strabiliante di Guardini nel superare ogni


dualismo tra forma e contenuto, ritus e preces, tra lo-
gos ed ethos. Quanto avviene nella liturgia (nei riti e
nelle parole che la compongono) in se stesso lagire
di Cristo e della Chiesa: il significato non da dire,
da spiegare, ma sta, piuttosto, nellatto medesimo del
celebrare:

[...] lazione simbolica viene fatta da chi [ministerialmen-


te] la esercita come atto liturgico ed letta in un atto
analogo da chi lo percepisce, il senso interiore contem-
plato [e incontrato, ndr] nella realt esterna. Altrimenti
tutto uno spreco di tempo e di energia, e sarebbe meglio
semplicemente dire23.

Questa profonda prospettiva di Guardini ci per-


mette di ribadire il senso del simbolo liturgico come
atto antropologicamente ed ecclesialmente complesso
che permette a colui che iniziato alla fede laccesso
per signa sensibilia al mistero. Il simbolo, nella sua
accezione pi comune, viene spesso frainteso con le
allegorie o le analogie che, per altri aspetti e altri scopi,
forniscono quel linguaggio esemplificativo o allusivo
utile alla catechesi, alla parenesi, allanimazione. Il
simbolo, invece, procede da un mondo pi comples-
so e pertanto meno definibile, anche se pi attinente
allesperienza originaria e non catafatica del rito. Il

Dio, associazione nellattuare la preparazione dei doni, delle oblate.


Latto nel suo svolgersi pu assumere in s anche una cosa, nel caso
citato la moneta in rappresentanza di doni concreti, o nella oblazione
da parte del sacerdote, la benedizione del pane e del vino. Allora il
significato non viene giustapposto col dirlo o col pensarlo , ma
realizzato nellatto medesimo. Una considerazione corrispondente
vale per lo spazio e le collocazioni in esso, per i tempi e i giorni e le
ore...: Lettera in occasione del III Congresso Liturgico di Magonza
(1964) tradotta e pubblicata in italiano in R. Guardini, Formazione
liturgica, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 27-36. Il brano succitato
alle pp. 30-31.
23
Guardini, Formazione liturgica, p. 31.

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simbolo unisce in modo singolare e atipico il fare


e il dire, il corporeo e lo spirituale, gli affetti
e la conoscenza, i quali nelle allegorie, nelle analo-
gie o nelle rappresentazioni mentali del divino o dello
spirituale tendono a essere separati: anzi, una devia-
zione della vita cristiana potrebbe desiderare una via
solamente spirituale o solamente corporeo-sensitiva.
Solo una antropologia pienamente organica e armo-
nica di corpo e spirito (che rimandi al connubio tra i
segni visibili e lazione invisibile di Dio) pu aiutare la
Chiesa a comprendere e a celebrare i santi segni della
sua liturgia come una realt capace di rinviare e comu-
nicare il segno santo di Cristo, realizzando cos tra-
mite la via simbolico-rituale, nella vita di coloro che
seguono lAgnello crocifisso e risorto, unesperienza
iniziatica fontale.
La conseguenza pi immediata che scaturisce da
questa riflessione sulla funzione del simbolo e sullo
scopo della liturgia come via a Cristo che i san-
ti segni sono chiamati a essere solo dei trasmettitori
dellunico Segno, luomo-Dio Ges Cristo; la litur-
gia, pertanto, per essere fedele a questa sua intrinseca
vocazione dovr rispondere ad alcune esigenze fon-
damentali, la cui omissione pu corrompere la natura
stessa del rito cristiano.

4.Per signa sensibilia: i gesti e i riti,


via delliniziazione

Non superfluo ricordare che frequentemente si


assiste proprio nellactio celebrativa e nelle sue cor-
relate scelte operative pratiche, sia di ordine generale
come particolare allo smarrimento di quella virtus
intrinseca al simbolo liturgico. Per descrivere alcuni
esempi a noi contemporanei e non senza rilevanza di
prassi liturgiche (e dei rischi drammatici a esse corre-
lati) suggestionate e avvelenate dalloblio del simbolo
e della sua forza iniziatica fontale, basterebbe passa-

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re in rassegna un manipolo di parrocchie proprio


del nostro tempo e conseguentemente far proprie
le espressioni con cui gi Giulio Bevilacqua nel 1961
dava prefazione alla IV edizione di Vom Geist der Li-
turgie del 1918, tradotto per i tipi della Morcelliana
nel 1930:

Cos in ambiente turbato e polemico tra archeologi im-


mobilisti e innovatori ignari del punto di arrivo delle lo-
ro riforme tra giocolieri e dilettanti del divino e spiriti
sprezzanti e diffidenti dogni gesto esteriore tra indivi-
dualisti che guardano al divino solo per mezzificarlo al
servizio del proprio egoismo, e gregaristi solo assertori di
unassemblea ove ogni slancio personale a Dio eliminato,
tra materialisti del rito e spiritualisti che non scoprono che
impurit in ogni incarnazione in tale ambiente problema-
tico e arroventato appare questopera di Guardini24.

La questione che pi oggi attanaglia liturgisti e


pastori infatti questa: la liturgia della Chiesa, anche
dopo la benedetta e invocata riforma di Sacrosanctum
Concilium, riesce oggi a intercettare gli uomini del
XXI secolo? La questione liturgica cio per torna-
re al caso sollevato da Bevilacqua risolvibile sem-
plicemente in termini di conservazione o progresso,
tradizione o adattamento? Oppure gli uomini della
nostra epoca, come extranei vel muti spectatores (cf.
SC 48), ancora si sentono anonimamente lontani da
questo evento simbolico-rituale che la grazia della
celebrazione della Pasqua di Cristo?
Diviene necessario aprire lo spazio del simbolo,
attraverso luso delle forme, del corpo, dei colori e sa-
pori, degli eventi, dei silenzi, della luce, del buio, del
mangiare e bere, del fare: la via di una incarnatissi-
ma manualit umana che ponga liniziato sub lumine
Verbi e non a scuola di...

24
G. Bevilacqua, Prefazione alla quarta edizione italiana, in
Guardini, Lo spirito della liturgia, p. 12.

77

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Nel desiderio solo di evocare il fatto che linti-


ma vocazione della celebrazione cristiana, per ritus
et preces, del Crocifisso-Risorto sia via privilegiata
dellesperienza iniziatica, offriamo di seguito una bre-
ve litania per contrari delle azioni rituali tra le pi
rilevanti della vita ecclesiale, con lo scopo di invitare
a riflettere sulle possibilit che lesperienza iniziatica
del simbolo offre e, per contrario, delle deviazioni che
le semplificazioni (come preferenza del didascalico sul
simbolico) causano o hanno gi causato...

5.1. o infusio?

Immergere nella morte, buio, tenebra, silenzio, apnea...


o bagnare la fronte...
Emergere a vita nuova, rinnovata, luce, parola, ven-
tilazione, aria, vita...
o non uscire dalle acque...
Profumati, vestiti, unti, massaggiati...
o strisciando un batuffolino...
In Spirito e fuoco...
o senza ...
Nella piscina, vasca, Giordano, acqua viva...
o nella Acquasantiera con lacqua benedetta...
Ianua Ecclesi
o welcome...
Forza violenta e generante della Sequela Christi...
o festa del bambino...
Grembo della Chiesa che partorisce la vita dallal-
to, che immerge nella forza pasquale e sconfigge il
male...
o reductio a mera abluzione del peccatum originis...
Rivestiti di Cristo, profumati dalla carit divina,
unti di olio battesimale, di olio di esultanza, di Spirito
Santo...
o testimoni-soldati-teologumeni-crociati della militia
Christi...
Nudi davanti a Cristo, spogliati delluomo vecchio e

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rivestiti delle vesti candide lavate nel sangue dellAgnel-


lo e di forza dallalto per essere luomo nuovo...
o bambolotti gi bianchi prima di rinascere dallac-
qua e dallo Spirito su cui basta posare le vesti candide,
magari decorate di disegnini naif perch lo splendore
della luce non basta a illuminare gli occhi della fede...

5.2. Eucaristia

Manducare et bibere...
o lasciare il grido postconciliare dellInstitutio Gene-
ralis Missali Romani inascoltato25...

25
La Comunione sotto le due specie. 281. La santa Comunione
esprime con maggior pienezza la sua forma di segno, se viene fatta
sotto le due specie. Risulta infatti pi evidente il segno del banchetto
eucaristico e si esprime pi chiaramente la volont divina di ratificare
la nuova ed eterna alleanza nel Sangue del Signore ed pi intuitivo
il rapporto tra il banchetto eucaristico e il convito escatologico nel
regno del Padre. 282. I pastori danime si facciano un dovere di ri-
cordare, nel modo pi adatto, ai fedeli che partecipano al rito o che vi
assistono, la dottrina cattolica riguardo alla forma della Comunione,
secondo il Concilio Ecumenico di Trento. In particolare ricordino ai
fedeli quanto insegna la fede cattolica: che, cio, anche sotto una sola
specie si riceve il Cristo tutto intero e il Sacramento in tutta la sua
verit; di conseguenza, per quanto riguarda i frutti della Comunione,
coloro che ricevono una sola specie, non rimangono privi di nessu-
na grazia necessaria alla salvezza. Inoltre insegnino che nellammini-
strazione dei Sacramenti, salva la loro sostanza, la Chiesa ha il potere
di determinare o cambiare ci che essa ritiene pi conveniente per la
venerazione dovuta ai Sacramenti stessi e per lutilit di coloro che li
ricevono secondo la diversit delle circostanze, dei tempi e dei luo-
ghi. Nello stesso tempo per esortino i fedeli perch partecipino pi
intensamente al sacro rito, nella forma in cui posto in maggior evi-
denza il segno del banchetto. 283. La Comunione sotto le due specie
permessa, oltre ai casi descritti nei libri rituali: a) ai sacerdoti che non
possono celebrare o concelebrare; b) al diacono e agli altri che com-
piono qualche ufficio nella Messa; c) ai membri delle comunit nella
Messa conventuale o in quella che si dice della comunit, agli alunni
dei seminari, a tutti coloro che attendono agli esercizi spirituali o par-
tecipano a un convegno spirituale o pastorale. Il Vescovo diocesano
pu stabilire per la sua diocesi norme riguardo alla Comunione sotto

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Pane e vino...
o pane spiritualizzato fino allinconsistenza imma-
teriale e vino clericalmente riservato...
Comunione con Cristo nel compiersi della divi-
sone e del versamento...

le due specie, da osservarsi anche nelle chiese dei religiosi e nei piccoli
gruppi. Allo stesso Vescovo data facolt di permettere la Comunio-
ne sotto le due specie ogni volta che sembri opportuno al sacerdote al
quale, come pastore proprio, affidata la comunit, purch i fedeli sia-
no ben preparati e non ci sia pericolo di profanazione del Sacramento
o la celebrazione non risulti troppo difficoltosa per il gran numero di
partecipanti o per altra causa. Circa il modo di distribuire ai fedeli la
sacra Comunione sotto le due specie e circa lestensione delle facol-
t, le Conferenze Episcopali possono stabilire delle norme, approva-
te dalla Sede Apostolica. 284. Quando si distribuisce la Comunione
sotto le due specie: a) per il calice solitamente compie il servizio il
diacono, o, in sua assenza, il sacerdote; o anche laccolito istituito o un
altro ministro straordinario della sacra Comunione; o un fedele a cui,
in caso di necessit, viene affidato questo compito per loccasione; b)
ci che rimane del Sangue viene consumato allaltare dal sacerdote, dal
diacono o dallaccolito istituito che ha prestato servizio per il calice
e che poi, nel modo solito, purifica, asterge e ordina i vasi sacri. Ai
fedeli che vogliono comunicarsi solo sotto la specie del pane, la sacra
Comunione si dia in questa forma. 285. Per distribuire la Comunio-
ne sotto le due specie, si devono preparare: a) se la Comunione si fa
bevendo direttamente dal calice, o un calice di sufficiente grandez-
za o pi calici, con attenzione tuttavia nel prevedere che la quantit
del Sangue di Cristo da consumare alla fine della celebrazione non
rimanga in misura sovrabbondante; b) se si fa per intinzione, ostie n
troppo sottili n troppo piccole, ma un poco pi consistenti del solito,
perch si possano convenientemente distribuire, dopo averle intinte
parzialmente nel Sangue del Signore. 286. Se la Comunione al Sangue
si fa bevendo dal calice, il comunicando, dopo aver ricevuto il Corpo
di Cristo, va dal ministro del calice e si ferma davanti a lui. Il ministro
dice: Il Sangue di Cristo; il comunicando risponde: Amen, e il mini-
stro gli porge il calice, che lo stesso comunicando accosta alle labbra
con le sue mani. Il comunicando beve un po dal calice, lo restituisce al
ministro e si allontana; il ministro asterge con il purificatoio il labbro
del calice. 287. Se la Comunione al calice si fa per intinzione, il comu-
nicando, tenendo la patena sotto il mento, va dal sacerdote che tiene il
vaso con le particole, al cui fianco sta il ministro che tiene il calice. Il
sacerdote prende lostia, ne intinge una parte nel calice e mostrandola
dice: Il Corpo e il Sangue di Cristo; il comunicando risponde: Amen,
dal sacerdote riceve in bocca il Sacramento e poi si allontana.

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o pane che non si frange (gi particul) e vino che non


si versa per nessuno...
Carit che si manifesta nella trasfigurazione della
processione delle offerte per il sacrificio eucaristico e
per i poveri...
o solidarismo predicato...

5.3. Nupti o Matrimonio?

Coperti dalla nube dellAltissimo...


o contratto stipulato alla svelta...
Questo amore fino a dare la vita luno per lal-
tra mistero grande, grazia donata: sposo e sposa
sacramentum terreno del Cristo sposo e della Chiesa
sposa...
o esperti di dialogo, conoscenza, relazionalit affetti-
vo-psicologiche...
Dio copre, trasforma, consacra unisce, lega, nubet,
trasfigura di gloria, corona di grazia...
o contraenti che danno una parola, si impegnano (lo-
ro!) vis--vis, orizzontalmente...

5.4. Cresima o Maturit?

Sacramentum magnum: Battesimo-Cresima-Euca-


ristia di indissolubile forza pasquale
o terza (?) tappa...
E subito, uscendo dallacqua, vide squarciarsi i cieli
e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba
(Mc 1,10)... per essere altri cristi...
o fondazione del gruppo post-cresima dei testimoni
maturi che hanno fatto una scelta...
LEucaristia memoria-rinnovamento ebdomadario
delliniziazione, patto dalleanza, sacramento ripetu-
to, aperto...
o terzo atto, sigillo di chiusura...
Noi siamo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo
(2Cor 2,15)

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o nessun profumo...
Soave figliolanza dal cielo spalancato...
o solo impegni di martyria...
Neofiti cio bambini appena nati che desiderano
avidamente il genuino latte spirituale (cf. 1Pt 2,2)...
o i maturi-adulti della carta di identit...

5.5. Penitenza o Confessione

Celebrare la misericordia...
o una formula di assoluzione...
Un Padre che parla e un figlio che ascolta la rivela-
zione dellamore che sempre sorprende e mai stanco
di regalare il perdono...
o una confessione con assoluzione...
Un itinerario penitenziale ritualizzato (anticamen-
te dalla feria IV in capite jejunii alla Missa pniten-
tium in feria V hebdomad sanct)...
o dica una preghiera...

5.6 Ambone o leggio

Salire sulla tomba vuota a cantare la Pasqua, ine-


briati dai profumi del giardino...
o proclamare una Parola senza luogo, in un luogo
senza Pasqua...
Lettori come profeti, saliti sulle mura di Gerusa-
lemme a gridare al mondo che egli vivo...
o dignitosi e algidi proclamatori di brani biblici di alto
contenuto religioso...

5.7. Ancora Breviarium clericale

La Chiesa che canta il suo amore allo Sposo a ogni


ora della luce e del buio...
o preghiera difficile... non capiscono...
Al Benedictus perch si canti la potenza lOriens ex

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alto, mentre sorge il sole, memoria cosmica della luce


sfolgorante del Risorto
o preghiera per iniziare bene (?) la giornata...
Al Magnificat perch si canti il sacrificium obdien-
ti del Servo di Jahv, cui la Madre e la Chiesa si con-
fanno, mentre scende il sole, memoria cosmica del sa-
crificio vespertino...
... o preghiera per chiudere bene (?) la giornata...
I salmi: la preghiera della Chiesa...
o fotocopiare per i secoli dei secoli le sempre nuove
preghiere adatte per i giovani, adatte per gli anziani
o adatte per i lavoratori, o la preghiera del panettiere,
del fidanzato, della casalinga...

5.8. Esequie o funerali

La Memoria Paschatis in cui la nostra morte e ri-


surrezione...
o i ricordi delle attivit esemplari del carissimo estinto...
Il silenzio, unico vero simbolo di vita...
o delle belle testimonianze...
Liturgia stazionale domi, in ecclesia, in cmeterio...
o sepoltura non celebrata per schizzinoseria pasto-
rale di un rito a pezzi (solo la Messa!) perch si per-
de tutta la giornata...
Il congedo del volto, litinerario dalla terra al cielo,
tornare alla terra, coperto dal Vangelo, illuminato
dalla luce della sola Pasqua, ma anche con parole uma-
ne di congedo e lacrime, sepoltura silente nella terra
da cui veniamo...
o subire i ricatti di essere portato col carrello, di
non stare sulla nuda terra, sommerso di fiori misti
di negozio e coccarde piene di condoglianze, nessun
Evangelario copre tutti allo stesso modo, con la luce
che riluce da un tubo di plastica, per essere portati di
corsa davanti alla ruspa...
Et expecto resurrectionem mortuorum...
o porto ceste di dolore con grappoli damore...

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Giorgio Ronzoni
Opportunit e limiti
della iniziazione cristiana
dei fanciulli

1.Introduzione: attualit delliniziazione


cristiana

Sono ben noti il percorso, le tappe e le modalit che


segue oggi in Italia la cosiddetta iniziazione cristiana
dei fanciulli e dei ragazzi.
di gran lunga litinerario di socializzazione reli-
giosa pi conosciuto e praticato, anche se soprattutto
nelle grandi citt ormai non tutti i bambini vengono
battezzati e sono sempre pi numerosi i fanciulli che
diradano o sospendono la partecipazione alla cateche-
si, come pure i ragazzi che non ricevono la cresima.
Quel tipo di itinerario prospettato dal Concilio di
Trento, e lentamente ma saldamente affermatosi nei
secoli seguenti come scuola della dottrina cristiana,
mostra inequivocabilmente i segni del suo invecchia-
mento.
Da anni c chi lo d gi per morto, osservando il
paradosso e il fallimento di un processo di iniziazione
che diventato in realt un processo di conclusione
della vita cristiana1. Tra questi, ci sono coloro che in-
vocano chiarezza e vorrebbero maggiore coerenza di
comportamento in chi chiede di ricevere i sacramenti
della Chiesa.
C invece chi lo ritiene ancora valido, purch non
si chieda alliniziazione cristiana pi di una buona in-

1
E. Alberich, Considerazioni sul futuro, Il Regno attualit 45
(8/2000), p. 225.

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troduzione alla grammatica religiosa: Una introdu-


zione che tale deve rimanere, senza quindi portare ad
eccessi2. Sono coloro che scelgono o accettano una
Chiesa latitudinale, popolare, fatta di convinti e di in-
certi, di praticanti assidui e sporadici, perch ritengo-
no che solo a questa condizione la Chiesa non diventi
una setta.
Comunque si voglia valutare lo stato di salute di
questo percorso, si deve riconoscere che a tuttoggi si
dedica ancora ai fanciulli e ai ragazzi la maggior parte
dello sforzo catechistico delle nostre parrocchie3.
Negli ultimi ventanni questo itinerario si ap-
propriato del nome di iniziazione cristiana e si so-
no moltiplicate le pubblicazioni su di esso: gli studi
sui suoi vari aspetti come pure i sussidi per guidare
le varie iniziative pastorali, catechistiche e liturgiche
che lo sostengono o lo modificano. In questa mole di
scritti non facile trovare orientamenti comuni, ma
abbastanza chiaro il vivo interesse per questo tema,
motivato dalla speranza di poter trovare una modalit
efficace per introdurre alla fede le nuove generazioni.
Sembra che negli anni 70 la pubblicazione del
RICA4 abbia dato un nome iniziazione cristiana,
appunto a molte attese, speranze, forse addirittura
sogni: sotto un unico titolo si trovano raccolti temi,
istanze, problemi svariati e proposte diversissime.
Un nome o una formula non sono sufficienti per
risolvere i problemi, ma labbondanza di produzione

2
L. Bressan, Iniziazione cristiana e parrocchia. Suggerimenti per
ripensare una prassi pastorale, Ancora, Milano 2002, p. 58.
3
Circa il 90% dei catechisti, secondo le ricerche a livello nazionale,
si dedica alla fanciullezza: cf. G. Morante - V. Orlando, Catechisti
e catechesi allinizio del terzo millennio. Indagine socio-religiosa nelle
diocesi italiane, Elledici, Leumann (Torino) 2004.
4
Rito delliniziazione cristiana degli adulti, Libreria Editrice Va-
ticana, Citt del Vaticano 1978. la traduzione italiana dellOrdo
initiationis Christianae Adultorum. Editio typica, Typis Polyglottis
Vaticanis, Citt del Vaticano 1972.

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e la vivacit del dibattito su questo tema testimonia-


no che esso avvertito come molto importante nella
Chiesa italiana.

2.La prassi attuale (fase kairologica)

Se le posizioni teoriche differiscono fino a essere


antitetiche, le prassi delle diocesi e delle parrocchie
italiane non sembrano essere distribuite su una gam-
ma altrettanto ampia. Nella stragrande maggioranza
dei casi la catechesi parrocchiale ancora organizzata
come scuola della dottrina cristiana e la celebrazione
dei sacramenti disposta secondo la sequenza tradi-
zionale. solo pigrizia mentale?
L dove si sono tentati dei progetti di rinnovamen-
to o delle sperimentazioni, molto spesso non sembra
si sia trasformata la proposta precedente, ma sempli-
cemente riformata. solo mancanza di creativit pa-
storale?
Comunque la pensino gli autori pastoralisti, pa-
stori, opinionisti occasionali praticamente nessuno
di essi arriva ad auspicare labbandono o il supera-
mento della catechesi nella fanciullezza5. Al massimo,
alcune proposte puntano allevangelizzazione dei ge-
nitori di fanciulli e ragazzi che ricevono liniziazio-
ne cristiana, ma senza trascurare i piccoli. solo un
compromesso?
Per comprendere questa situazione credo si debba
ricordare che nascita e sviluppo della pedagogia av-
vengono nel XIX e XX secolo, quando in certo qual
modo si scopre let della fanciullezza. Inizialmente
si coltiv la convinzione ingenua che la buona educa-

Non si trovavano posizioni estreme nemmeno in libri dal titolo


5

drastico pubblicati nel fervore dellimmediato postconcilio, come ad


esempio: B. Dreher - A. Exeler - K. Tilmann, La sterilit della
catechesi infantile. Cause e rimedi, Edizioni Paoline, Modena 1969.

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zione del fanciullo di oggi potesse plasmare comple-


tamente ladulto di domani. Anche per questo i siste-
mi autoritari politici e religiosi profusero grandi
sforzi nel campo educativo. Fortunatamente, per,
non furono gli unici a occuparsi dellinfanzia: tra gli
educatori ci sono stati anche molti santi e profeti che
hanno cercato di far crescere la libert delle persone
loro affidate.
In ogni caso, abbastanza chiaro che leducazione
dellinfanzia diventata un punto di non ritorno pra-
ticamente per tutti: sarebbe strano che, proprio oggi,
proprio la Chiesa cattolica decidesse di disertare que-
sto campo, mentre la scuola, lo sport e anche il merca-
to (attraverso la televisione) cercano di occupare spazi
sempre pi ampi della vita dei piccoli.
La domanda che si pone, perci, non se dare o
meno allinfanzia uneducazione religiosa, ma a quali
condizioni istituirla e se la si possa chiamare iniziazio-
ne cristiana.
Il piccolo spiraglio aperto nel 1980 dal documen-
to della Congregazione della Dottrina della Fede sul
battesimo dei piccoli6 si sta allargando: se fino a non
molti anni fa il battesimo veniva impartito alla nasci-
ta praticamente a tutti, oggi si aspetta e si comincia a
verificare la presenza di condizioni minime per am-
ministrarlo. Si tratta di condizioni che riguardano la
fede dei genitori, la loro effettiva unione con la fede e
la vita della Chiesa.
Dal battesimo, la questione si allarga allitinerario
catechistico e sacramentale successivo: quali speranze
di incidenza potrebbe avere unora di catechesi setti-
manale senza il sostegno delle famiglie dei fanciulli e
di altre agenzie educative?

Congregazione della Dottrina della Fede, Istruzione sul


6

battesimo dei bambini Pastoralis actio (Instructio de baptismo par-


vulorum), 20 ottobre 1980, Acta Apostolicae Sedis 72 (1980), pp.
1137-1156.

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Ecco dunque motivata la ricerca di un qualche


cambiamento nellimpostazione tradizionale, che po-
teva contare sullappoggio della famiglia, della scuola
e della societ.
Come si visto, dagli anni 70 in poi, a parte alcuni
nostalgici tentativi di tornare a una catechesi modella-
ta nei contenuti e nelle forme su quella preconciliare,
la direzione di questo auspicato cambiamento cerca
ispirazione e modelli nellitinerario catecumenale pre-
cedente liniziazione cristiana degli adulti.
Sar il tempo a dirci se questa la direzione giu-
sta, tuttavia non si deve mai dimenticare che quella dei
fanciulli e ragazzi non potr mai assomigliare del tut-
to alliniziazione degli adulti, perch quella dei piccoli
deve essere iniziazione nella forma delleducazione,
non della conversione7.
Non si possono semplicemente trasferire le mo-
dalit, i tempi e i riti delliniziazione cristiana degli
adulti ai fanciulli e ragazzi perch il bambino non
un adulto in miniatura. La struttura del catecumenato
e delliniziazione cristiana degli adulti sottolinea il va-
lore della conversione, della rottura col passato, della
vita nuova, della rinascita. Il fanciullo praticamente
non ha un passato, non pu convertirsi perch non
c un prima diverso dal momento presente e la sua
rinascita col battesimo segue di poco la sua nascita e
quasi coincide con essa.
Tutto questo non un male: nel corso dei secoli
liniziazione cristiana si adattata alla situazione dei
fanciulli e dei ragazzi, quasi arrivando a una sorta di
inculturazione in essa. I valori che la cristianit ha
coltivato e sviluppato non cessano di essere tali solo
perch non riusciamo pi a realizzarli in modo altret-

7
Cf. G. Ronzoni, Le iniziazioni cristiane. Uno sguardo teolo-
gico-pastorale, in Sul sentiero dei sacramenti. Scritti in onore di Er-
manno Roberto Tura nel suo 70o compleanno, a cura di C. Corsato,
Edizioni Messaggero-Facolt Teologica del Triveneto, Padova 2007,
pp. 95-110.

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tanto esteso: educare alla preghiera, a valori umani co-


me limpegno personale, lonest, la condivisione, la
collaborazione e soprattutto introdurre alla conoscen-
za della parola di Dio, della liturgia, della spiritualit
ecclesiale... significa offrire alle nuove generazioni una
proposta di vita buona e bella.
La pedagogia cristiana perci non ha bisogno di es-
sere difesa, anche se certamente ci sono sempre nuove
acquisizioni che col passare del tempo si aggiungono
alle precedenti, confrontandosi con la situazione del
tempo e con nuovi modelli educativi.
Il cosiddetto fallimento delliniziazione cristiana
dei fanciulli e dei ragazzi tale anche perch prende a
carico la stragrande maggioranza dei bambini italiani8:
se tutti passassero indenni per la strettoia delladole-
scenza, tra i quattordici e i diciotto anni, forse non di
educazione si dovrebbe parlare, ma di manipolazione
e indottrinamento.
Leducazione per sua natura si offre a persone libere
e tende anzi a far crescere la loro libert: sarebbe vano
cercare una specie di antidoto alladolescenza, ma sa-
rebbe anche peggio abbandonare leducazione dellin-
fanzia solo perch non garantisce risultati certi.
Ci non significa che limpianto educativo che
abbiamo ereditato debba restare immutabile: i cam-
biamenti nella societ e nella Chiesa rendono anzi ne-
cessaria la ricerca di nuove proposte, mentre si affian-
ca alliniziazione dei fanciulli la crescente presenza
delliniziazione degli adulti e liniziazione dei ragazzi
che non sono stati battezzati durante linfanzia. Mol-
to probabilmente la presenza nelle nostre parrocchie

Cf. A. Castegnaro, La prassi pastorale dellIC nellattuale con-


8

testo socio-culturale. Situazioni, problemi, opportunit, Quaderni


della Segreteria Generale CEI 6 (2002), n. 13, pp. 24-48. LAutore
chiarisce che la vera domanda non : Come mai dopo la cresima
non vengono pi in parrocchia?, bens: Come mai in una societ
in cui solo il 20% delle persone frequenta la chiesa, pi del 90% dei
bambini inserito in parrocchia?.

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del catecumenato vero e proprio per gli adulti e per i


ragazzi andr a ibridare in un prossimo futuro anche
liniziazione dei fanciulli.

3.Le sperimentazioni (fase progettuale)

Alcune diocesi italiane, ad esempio Torino, Bre-


scia, Cremona, Trento, Verona, Modena... da alcuni
anni cercano di modificare il percorso tradizionale di
iniziazione cristiana dei fanciulli ispirandosi in modo
pi o meno diretto al catecumenato e alliniziazione
cristiana degli adulti.
Mi sembra che nonostante loriginalit e la spe-
cificit di ciascuna proposta ci siano dei punti co-
muni a tutte queste sperimentazioni: il tentativo
di evangelizzare i genitori e di coinvolgere maggior-
mente la famiglia nelleducazione cristiana dei figli; la
valorizzazione del giorno del Signore e delleucaristia
domenicale; la modifica del metodo catechistico tradi-
zionale per i fanciulli e i ragazzi; in alcuni casi anche
la modifica della sequenza in cui vengono celebrati i
sacramenti delliniziazione cristiana, per ritornare alla
successione: battesimo, cresima, eucaristia.

3.1.Levangelizzazione dei genitori


e il coinvolgimento della famiglia

Cercare di coinvolgere genitori e famiglia dei bam-


bini, fanciulli e ragazzi con una proposta di evangeliz-
zazione non solo un espediente pastorale pi o me-
no opportunistico per avvicinare una fascia di adulti
generalmente poco assidui alla vita ecclesiale.
Diventare genitori ed educatori delle nuove gene-
razioni un evento che cambia la vita. In questo tor-
nante antropologico spesso nascono o si riaffaccia-
no domande profonde circa il senso della vita, il suo
scopo e il suo destino. pastoralmente ragionevole

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e raccomandabile interloquire con queste domande e


avviare lazione di evangelizzazione nel momento in
cui le persone sono potenzialmente aperte a essa.
Questa apertura non deve essere presupposta: va
verificata nel momento dellincontro e sollecitata co-
stantemente nel dialogo. Una pura e semplice cateche-
si per adulti su temi attinenti ai sacramenti dellinizia-
zione cristiana pu rispondere alle esigenze di alcuni
genitori, ma certamente non di tutti.
Invece, nel vigente modello di iniziazione cristiana,
lincontro con i genitori avviene spesso durante incon-
tri di tipo assembleare dedicati a trattare temi di tipo
sacramentale, se non addirittura di ordine pratico. Gli
incontri sono organizzati e condotti come se i par-
tecipanti fossero tutti credenti ai quali viene offerta la
possibilit di approfondire conoscenze dottrinali. Si
tratta di incontri che possono essere definiti catechi-
stici, ma non certo di evangelizzazione.
lattenzione alle domande, ai dubbi, alle curio-
sit e alle richieste degli interlocutori lelemento che
maggiormente qualifica come evangelizzazione lan-
nuncio di contenuti evangelici, dottrinali e morali.
Lannunciatore deve essere disposto a modificare il
suo programma per rispondere alla situazione reale
dei soggetti coi quali interagisce9.
Le cosiddette sperimentazioni cercano di trovare
modalit di incontro con i genitori attraverso le quali
sia possibile interloquire davvero con loro, dare loro
la parola, fare spazio alle loro domande in un contesto
pi incoraggiante di una numerosa assemblea di semi-
sconosciuti.

Commissione Episcopale per la dottrina della fede, lan-


9

nuncio e la catechesi, Questa la nostra fede. Nota pastorale sul


primo annuncio del Vangelo, Roma 2005; e pure, Lettera ai cercatori
di Dio, Roma 2009.

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3.2.La valorizzazione del Giorno del Signore


e delleucaristia domenicale

Negli ultimi venti anni, si sono moltiplicati i do-


cumenti ecclesiali e i libri aventi come argomento il
giorno del Signore, la domenica10. Leggendoli, si av-
verte la crescita della distanza tra la realt e lideale:
consacrare a Dio e ad alcuni valori il tempo della festa
nel ritmo settimanale ritenuto indispensabile per la
sopravvivenza della fede, ma nella societ attuale la
domenica tende piuttosto a essere tempo di viaggi, di
sport e di acquisti.
Le sperimentazioni in atto cercano di coinvolgere
le famiglie dei fanciulli in attivit religiose che si svol-
gono anche di domenica per cercare di fare almeno
assaggiare a esse un certo modo di vivere la festa.
Ovviamente, al centro di queste attivit, c leuca-
ristia festiva e il tentativo di rendere pi attiva e consa-
pevole la partecipazione interiore dellassemblea.

3.3.La modifica del metodo catechistico


tradizionale

Un altro aspetto che qualifica le sperimentazioni in


atto il tentativo di modificare il tradizionale meto-
do catechistico modellato su quello scolastico. Oggi
i fanciulli e i ragazzi trascorrono a scuola molte pi
ore delle precedenti generazioni, e molte altre agenzie
educative e ricreative si contendono il loro poco tem-
po libero. Per questo nel metodo catechistico si rende
necessario un cambiamento di impostazione che sten-
ta ad avviarsi.

10
Solo per citarne alcuni, cf. CEI, Il Giorno del Signore. Nota
pastorale, Roma 1984; Giovanni Paolo II, Dies Domini. Lette-
ra apostolica, Roma 1998; E. Bianchi, Giorno del Signore, giorno
delluomo. Per un rinnovamento della domenica, Piemme, Casale
Monferrato 1999.

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Si pu ricordare infatti ci che dice la Nota11 del


1991 sul Catechismo delliniziazione cristiana dei
fanciulli e dei ragazzi. Pi di una volta essa esorta a
superare il metodo scolastico spesso ancora preva-
lente e a decidere per il metodo dellanimazione nel
contesto del piccolo gruppo.
Le guide e i sussidi pubblicati negli ultimi venti
anni dalle case editrici si sono in effetti orientati per
la maggior parte verso metodi di tipo attivo, ispirati
allanimazione, ma i catechisti stentano a padroneg-
giarli perch non ricevono unadeguata formazione.
Infatti, anche se i sussidi offrono testi, giochi, letture,
canti, preghiere e altro ancora, ricerche di sociologia
della pastorale12 hanno da tempo dimostrato che i pre-
adolescenti continuano a percepire la religione come
noiosa ed proprio lora di catechesi in parrocchia
pi della Messa a essere avvertita in questo modo.

3.4.La modifica della sequenza in cui si celebrano


i sacramenti

Alcune sperimentazioni, ispirandosi alliniziazione


cristiana degli adulti e soprattutto a quella dei ragazzi
di et compresa tra sette e quattordici anni, propon-
gono di far ricevere ai ragazzi in ununica celebrazio-
ne i sacramenti della confermazione e della prima eu-
caristia.
Si tratta di unevidente inversione di tendenza ri-
spetto al recente passato, quando si cercato di spo-
stare in avanti let della cresima rispetto ai circa dodi-

Cf. Ufficio Catechistico Nazionale, Il catechismo per lini-


11

ziazione cristiana dei fanciulli e dei ragazzi. Orientamenti e proposte


per laccoglienza e lutilizzazione, Roma 1991, nn. 3; 8; 25.
12
Cf. Castegnaro, La prassi pastorale dellIC nellattuale conte-
sto socio-culturale, pp. 24-48.

94

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ci anni stabiliti dalla CEI13, fino a quattordici, sedici e


magari venti o pi anni di et.
Questo spostamento a et considerate pi mature
ha fatto fiorire interpretazioni del sacramento piutto-
sto arbitrarie quando non addirittura erronee: sacra-
mento della maturit cristiana, conferma del batte-
simo14, ecc.
Probabilmente, anticipare la cresima alla preadole-
scenza o addirittura alla fanciullezza risulta sorpren-
dente per molte comunit e pastori, e ci si deve chie-
dere quali frutti ci si pu attendere da questo cambia-
mento.
Se spostare in avanti la cresima non ha risolto tutti i
problemi delliniziazione cristiana, anticiparla proba-
bilmente non ne risolver di pi, ma forse realizzer
una prassi liturgica teologicamente ed ecumenicamen-
te pi plausibile di quella attuale.

4.Quali passi per una rinnovata iniziazione


cristiana? (fase strategica)

Per poter sperare dei frutti da un cambiamento


nellimpostazione delliniziazione cristiana dei fanciulli
e dei ragazzi, vi sono alcune condizioni da rispettare.
In primo luogo, la formazione degli operatori
pastorali, parroci per primi, che dia loro una chiara
comprensione di ci di cui si sta trattando e, di con-
seguenza, di ci che resta fuori, perch non tutto
iniziazione cristiana. Di questa comprensione deve
far parte anche la consapevolezza degli obiettivi che
possibile raggiungere e di quelli che invece non sono
realizzabili: molte frustrazioni si possono evitare aiu-
tando gli operatori pastorali a esprimere le loro attese

13
Delibera n. 8 del 23 dicembre 1983, Notiziario CEI 1983,
7/210.
14
Cf. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1308.

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con chiarezza allinizio del percorso ed eventualmente


a riformularle in modo pi realistico.
In secondo luogo, necessario dedicare tempo ed
energie per suscitare il consenso: ben pochi accettano
di attuare nuovi programmi solo per obbedienza.
necessario essere convinti della bont delle scelte che
si vanno ad attuare.
Le esperienze citate sopra convergono nel mostra-
re che necessaria la reale assunzione da parte del ve-
scovo della titolarit del progetto. La percezione nei
parroci e negli altri operatori pastorali di uno scarso
interesse da parte del vescovo porterebbe immediata-
mente a dedicare poche o nessuna energia alla realiz-
zazione di un progetto percepito come oneroso.
Una riforma delliniziazione cristiana dei fanciulli
e dei ragazzi non pu essere guidata esclusivamente
dallufficio catechistico diocesano, con la eventuale
collaborazione dellufficio liturgico. Molti altri sono
i soggetti coinvolti: sacerdoti, famiglie, servizio per il
catecumenato, migranti ecc. La collaborazione e il co-
ordinamento degli uffici diocesani tra loro, col vesco-
vo e con le parrocchie perci indispensabile.
evidente lopportunit di far conoscere in modo
approfondito e diffuso a tutti gli operatori pastorali
le esperienze di coloro che hanno iniziato da tempo a
condurre sperimentazioni in questo settore.
Una diffusa lamentela degli operatori pastorali ri-
guarda il fatto che spesso i progetti pastorali vengono
calati dallalto. In altre parole, si lamenta la unidire-
zionalit della comunicazione, nella direzione che va
dagli uffici diocesani alle parrocchie. Appare quindi
necessario trovare il modo di coinvolgere le parroc-
chie nella elaborazione e adattamento del progetto.
Ci comporta:
a)la necessit di una fase previa in cui incontrarsi per
far emergere le domande, le obiezioni, le richieste
da parte degli operatori pastorali;
b)un accompagnamento da parte degli uffici diocesa-
ni durante la realizzazione;

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c)una verifica condotta in modo approfondito e pos-


sibilmente secondo modalit di incontro personale,
giacch i questionari riescono a raccogliere solo al-
cuni dati e non danno ragione della specificit delle
varie esperienze, oltre a costituire una modalit di
comunicazione unidirezionale.

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Ivo Seghedoni

Per una prossimit significativa


alla lontananza giovanile

1.Introduzione
La proposta che Riccardo Tonelli ci rivolge nellar-
ticolo di cui in nota1 quella di restituire alla Chiesa la
sua funzione di mediazione salvifica. una proposta
che vuole allontanare da noi la tentazione del ritorno
nostalgico alle sicurezze di un tempo, una tentazione
tanto comoda quanto de-responsabilizzante e di sa-
pore magico, che non affronta per nulla la sfida della
lontananza dei giovani.
La funzione di mediazione di salvezza non scatta
in modo automatico: ha bisogno di una dimensione
esperienziale, che Tonelli individua nella categoria
dellappartenenza. Una appartenenza che ha bisogno
di identificazione e perci richiede un duplice cammi-
no: quello dei giovani verso la Chiesa, chiamata a esse-
re il luogo del vieni e vedi e relazione interpersonale
e di condivisione educativa; e quello della Chiesa ver-
so i giovani, per servire la loro speranza, promuovere
la libert e dare responsabilit.
Per parte mia, approfittando del fatto che la rifles-
sione nasce allinterno di un seminario e quindi in at-
teggiamento di ricerca e di stimolo reciproco allap-
prendimento, mi avventurer in qualche interpreta-
zione, non preoccupandomi troppo del politicamente
corretto e andando oltre le rive sicure (?) delle inda-

1
R. Tonelli, Qualche sfida alla pastorale giovanile, Note di Pa-
storale Giovanile 41 (2007), n. 1, pp. 27-38.

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gini e delle interpretazioni degli esperti, per far ricorso


anche allesperienza e alla mia riflessione su di essa.

2.Di quale lontananza stiamo parlando?

Confesso che parlare di lontananza mi imbarazza.


Non perch non veda quanto sia inceppato il dialogo
tra la Chiesa e i giovani, ma perch quando parliamo
di lontananza noi ci poniamo in un luogo che diamo
per sicuro e da questo punto di osservazione misu-
riamo quanto gli altri i giovani siano distanti da
noi. Penso che dobbiamo contestare questa centralit
della Chiesa, anche perch dovrebbe essere il Vange-
lo, e non la Chiesa, il punto di riferimento per la mi-
surazione della distanza/lontananza dei giovani. Ma
proprio il Vangelo a criticare queste categorie: il
Vangelo che contesta il nostro schema di comodo vici-
ni/lontani, ricordandoci che gli ultimi saranno i primi,
ed proprio il Vangelo che ha la capacit di avvicinare
coloro che sono lontani e di mettere in discussione co-
loro che si ritengono vicini.
Per la mia formazione preferisco interpretare que-
sto spazio che tra la Chiesa e i giovani sembra allar-
garsi, come un dialogo difficile: un dialogo nel quale
ci sono disturbi di comunicazione causati dagli uni e
dagli altri. Questa categoria della comunicazione mi
pare opportuna anche perch stata la categoria che
il documento CEI di questo decennio ha assunto per
declinare il compito missionario della Chiesa2. E nella
comunicazione ci sono sempre due interlocutori, di
pari dignit, che condividono la responsabilit di un
dialogo riuscito o fallito.
Ritengo anche che noi, in Italia, abbiamo la tenta-
zione di preferire di vedere il bicchiere mezzo pieno,

2
Conferenza Episcopale Italiana, Comunicare il Vangelo in
un mondo che cambia, 29 giugno 2001.

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piuttosto che mezzo vuoto: lindagine IARD del 20063


ha certamente ragione ad affermare che nella maggior
parte dei giovani intervistati sembra di potere osserva-
re una fede cristiana che non definitivamente spenta,
ma che alla ricerca di nuovi spazi e nuovi riconosci-
menti, lontani dalle forme tradizionali di partecipa-
zione; ma forse troppo ottimista quando ci ripor-
ta il dato che solo una minoranza della popolazione
giovanile si mostra palesemente disinteressata rispetto
alla dimensione spirituale dellesistenza. In particolare
afferma che pi del 40% degli intervistati definisce la
propria fede alta o molto alta, mentre il 30% ritiene
di essere fortemente interessato alla dimensione spi-
rituale. Quel 44,6% del campione che i ricercatori
chiamano cattolici occasionali, ritualisti, intimisti
mi pare unillusione gi mediata dal linguaggio: vero
che questa fascia potrebbe avere una tensione che non
riesce a trovare una risposta attraverso le forme tradi-
zionali di partecipazione religiosa. Ma penso che sia
falso che possiamo considerare questo enorme bacino
(quasi la met della popolazione) un potenziale po-
sitivo di lontani-vicini e soprattutto non dobbiamo
dare per scontato che quelli che vengono siano dav-
vero in ricerca, n che i lontani siano davvero senza
domande di senso e di fede.
Sono infatti daccordo con chi afferma che misu-
rare la religiosit tuttaltro che facile: si tratta dav-
vero di limitarsi alla recensione degli atteggiamenti e
dei comportamenti formalmente religiosi o non piut-
tosto di capire lo stile generale di vita, le scelte che
la caratterizzano e le attese che la orientano? Lespe-
rienza religiosa, infatti, il tessuto connettivo di tutte
le altre esperienze, una specie di filigrana che orienta
e informa le altre esperienze. La presenza o lassen-
za di questa filigrana non emerge dalle dichiarazioni

3
R. Grassi, Giovani e religione. Una ricerca IARD, Il Mulino,
Bologna 2006.

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dei soggetti e dal loro abituale stile di pratica religiosa.


Si manifesta, invece, nel modo di pensare la realt, di
cercare o di esprimere un fondamento alle ragioni di
una scelta, si fa conoscere attraverso i segni in cui si
manifesta la speranza4. In tale concezione, a noi Chie-
sa, spetta di aprire cammini e di farlo con tutti, con
incontri, proposte, dialoghi, esperienze che offrano a
tutti una possibilit nuova, una via percorribile, supe-
rando i pregiudizi che sono soprattutto in noi. Non
rinchiudiamo i giovani in categorie, perch cos facen-
do ci precludiamo la possibilit di raccontare loro il
Vangelo.
Per questo motivo non voglio misurare la lonta-
nanza tra i giovani e la Chiesa: non lo far assumen-
do le indagini o citando gli articoli che riportano gli
episodi inquietanti, riferiti al bullismo a scuola, quelli
che lanciano lallarme sullabbassamento dellet per
laccesso alluso di alcool o per il debutto sessuale,
tantomeno voglio citare le violenze inaudite che gio-
vani o piccoli gruppi di giovani hanno perpetrato nei
confronti di amici, di ragazzine, di genitori o di figure
religiose e che hanno colpito cos violentemente la co-
scienza del nostro Paese.
Voglio misurare questa lontananza presentando
un dialogo, un colloquio in certo modo vero, avve-
nuto tra i vescovi della Regione Emilia-Romagna ed
Erika, una ragazza di ventanni della mia citt. Un dia-
logo che mostra come ci sia una distanza, un vuoto
che non riusciamo a riempire, come dice il titolo del
convegno del 4 dicembre scorso promosso dallOs-
servatorio permanente sui giovani e lalcool in colla-
borazione con la Doxa.

4
Il giudizio di Riccardo Tonelli.

102

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3.Lesperienza: i vescovi provano a dialogare?

Nel 1996 i vescovi dellEmilia-Romagna scrivono


un documento intitolato Giovani tra disagio ed eva-
sione. A proposito di discoteche. Il documento, indiriz-
zato alla politica, al mondo economico, alla famiglia,
ha un paragrafo finale in cui i vescovi si rivolgono ai
giovani. Vuole essere un invito diretto affinch non
si lascino cadere nel vuoto queste sollecitazioni e
siano loro stessi promotori di attenzioni nuove nel-
la societ. I vescovi li invitano a essere missionari in
mezzo ai coetanei, in forma creativa e propositiva, a
essere attenti al consumismo, al conformismo, alle
manipolazioni che si instaurano in discoteca, a lottare
contro la fuga dalla responsabilit che essi hanno nei
riguardi della societ, a usare lespressivit in forme
creative e libere dal consumo, a guardare anche a que-
gli amici che hanno fatto scelte di vita per gli altri, in
una donazione piena al Signore.
Dieci anni dopo, nel 2007, i vescovi scrivono di
nuovo una lettera, intitolata Giovani, non fate della
strada un cimitero (un titolo non proprio accattivan-
te!). Ricordo che avevo proposto Correre sulle strade
della vita: fu subito bocciato, senza una risposta alla
mia mail al vescovo referente. Il testo, molto breve,
in realt non rivolto ai giovani: ci sono le statistiche
dei morti, si parla di auto accartocciate, di madri co-
sternate, di lapidi sulla strada, di amici in lacrime al
funerale e il giorno dopo di nuovo in discoteca.
Ho fatto leggere a Erika, ventanni, questi due testi:
tu cosa ne pensi? Tu cosa rispondi?
Ecco il suo testo, la riflessione di una ragazza che ha
corso in auto con gli amici fino a qualche mese prima.

Vorresti una mia reazione?


Ti accontento, ma assolutamente critica.

I vescovi dellEmilia Romagna possono riunirsi con tut-


te le autorit possibili, chiedere aiuto allo Stato, a quanti

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collaborano con la Chiesa, ai genitori dei ragazzi rimasti


uccisi sulle strade, insomma a tutti, ma non otterranno al-
cun risultato.

Dei numeri e delle statistiche riportate non me ne faccio


nulla. Non mi serve sapere quanti sono stati i morti nellul-
timo anno o durante la notte dello scorso sabato sera.
Non mi interessa e soprattutto non mi fa paura.

Lunica cosa vera, per lo meno che io considero vera, ma


oggettivamente non provabile, che la maggior parte dei
ragazzi rimasti uccisi in incidenti stradali non avevano
paura di morire e di rimanere schiacciati fra le lamiere.
Sono morti provando un brivido che li ha attraversati, un
brivido non di terrore ma di piacere.
Forse solo alcuni di questi cercavano questo brivido, ossia
cercavano la morte, ma sono sicura o quasi, che a molti
altri non dispiaciuto sentire quella sensazione che parte
dalla testa e che arriva in ogni tua parte del corpo.
Questemozione pi forte di ogni cosa.
Di ogni canna, di ogni esperienza, di ogni momento bello e
soprattutto di ogni dolore.
Non hai tempo di pensare a nulla e ti godi quellistante
sperando che non finisca mai.

Con un po (... e dico un po, perch so che tu ci soffri) di


rammarico ti dico che questo brivido lho provato solo tre
volte.
Una in particolare stata durante una corsa in macchina
scendendo dalla strada di Pavullo, piena di curve e soprat-
tutto di dislivelli. Non mi ricordo di avertela raccontata,
ma stata unesperienza indimenticabile...
La macchina in cui ero io era seconda... gareggiavamo in
cinque macchine, eravamo quasi arrivati al traguardo e il
ragazzo che guidava a un certo punto ci ha chiesto: Ri-
schiamo...?, quasi per voler dividere la responsabilit. Io
con gli altri due a bordo ho risposto con molto, anzi mol-
tissimo entusiasmo, di s.
Lui ha iniziato il sorpasso. La strada non era strettissima in
quel punto, ma non si poteva vedere se dalla corsia opposta
arrivavano altri veicoli.
A met del sorpasso, esattamente accanto alla macchina dei
nostri amici, io che ero seduta dietro accanto al finestrino

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dalla parte destra, ho guardato in faccia una ragazza che


appunto in quel momento era mia avversaria. Ci siamo
scambiate unespressione assolutamente divertita, poi a un
certo punto i suoi occhi cambiarono, diventarono pieni di
terrore. Voltai lo sguardo in avanti e vidi un camion gigan-
tesco davanti a me.
La macchina dei nostri amici non rallentava e noi eravamo
ancora in mezzo alla strada.
Ecco il brivido.
Pesantissimo. In quel momento non riesci ad aprire bocca
e a reagire. Rimani immobile.
Ricordo di aver chiuso gli occhi.
Il camion continuava a suonare il clacson, ma noi non po-
tevamo andare n davanti n dietro laltra automobile, non
cera pi spazio e soprattutto non cera pi tempo.
...
Non abbiamo fatto un incidente. Ma lo dico con dispia-
cere.
Il camion sfior la mia macchina da una parte e nello stesso
istante noi sfiorammo quella dei nostri amici.
Mi chiedo ancora come sia stato possibile. La strada non
era strettissima, ma non ci potevamo stare tutti.
Questo attimo che ho vissuto durato tantissimo, e ricor-
do ogni momento di quei pochi secondi.
Ricordo soprattutto la mia e le altre richieste allamico
autista di rivivere unemozione cos forte e ricordo anche
un po la delusione di non esserci fatti male. Di non esse-
re diventati importanti almeno per una serata da passare
allospedale.

Come sai e come giusto che sia, ho smesso di gareggia-


re sulla strada con le altre macchine, una cosa stupida e
pericolosa perch puoi fare molto male ai tuoi amici. Non
oso pensare al senso di colpa che potrebbero provare oggi i
nostri amici se noi fossimo morti quel pomeriggio...
In teoria tu diresti che non ci hanno aiutato, perch non ci
facevano posto, quindi non potevamo concludere il sor-
passo, ma dopo noi ci abbiamo riso tutta la sera perch ci
hanno invece aiutato a vivere quel brivido.

Il rischio cera ed era anche alto. Ma alto per cosa?


Io non avevo nulla e nulla mi spaventava. Le cose di cui
aver paura erano altre. Prima fra tutte il mio futuro. Di

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quello ero terrorizzata e non lo volevo nemmeno raggiun-


gere.

La tua riflessione molto bella, la sento sincera.


Ma per me state lottando per una causa persa.
giusto combatterla ugualmente, ma secondo me non toc-
cher i giovani. Neanche da lontano. un argomento da
affrontare solo con gli adulti, non con i ragazzi.
I giovani che vogliono provare quel brivido, lo cercano an-
che se voi dite loro di non farlo.
Fumano e si drogano, anche se non si pu.
Si buttano via, anche se la mamma dice loro che gli vuole
bene.
Lo fanno apposta.
Ma perch? Non perch sono dispettosi, ma perch luni-
co modo che permette loro di provare unemozione forte.
A un certo punto non si crede pi a nulla.
A loro, a noi, difficile ormai far credere in qualcosa, so-
prattutto se riguarda lambito religioso e se legato ai valo-
ri. Quelli tanto predicati, che poi ci hanno distrutto tutto
quello che avevamo.
Io cambierei lorizzonte della vostra iniziativa.
Certo dei vescovi che scrivono e si rivolgono ai giovani
sembra molto bello e penso anche che lo facciano con sin-
cerit, ma se ci pensi molto pi facile sgridare i ragazzi e
dare la colpa a loro piuttosto di assegnare qualche respon-
sabilit agli adulti.
Ho scritto molto, forse non ti servir a nulla quanto ti ho
detto, ma la mia opinione sempre la stessa. I giovani non
vogliono diventare adulti. Non vogliono crescere per di-
ventare come quelli che li hanno distrutti.

4.C del vero nel nuovo

Di fronte alla sfida di questa riflessione, amara e


straordinaria al tempo stesso, credo che valga la pena
riprendere quanto i vescovi italiani, nel documento
Educare i giovani alla fede del 1999, hanno affermato:

Occorre assumere appropriate categorie interpretative, che


aiutino a conoscere e a comprendere le loro domande di

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sempre dei giovani, ma anche le loro nuove culture, i lin-


guaggi sempre pi variegati e gli strumenti con cui si espri-
mono, con forme e modalit spesso di non facile interpre-
tazione per il mondo degli adulti. Evitando atteggiamenti
di rifiuto, dobbiamo giungere a discernere il vero che
queste culture presentano sotto le vesti del nuovo.

Perci senza giudicare, anzi cercando il vero


sotto le vesti del nuovo cerchiamo di cogliere cosa
ci dice questa giovane. Lo far accostando la testimo-
nianza di Erika a quanto ci dice un libro di M. Bena-
sayag e G. Schmit, Lepoca delle passioni tristi. C una
straordinaria assonanza di prospettive tra lanalisi del
testo e le posizioni espresse da Erika.

4.1. Al di l del principio del piacere

Lesperienza di Erika e dei suoi amici riportata so-


pra sembra confermare che si dimenticato linsegna-
mento di Freud, che nel saggio Al di l del principio
del piacere spiegava che chi adotta un comportamento
per lui nefasto non lo fa per ignoranza del pericolo,
ma al contrario attraverso questa negativit del com-
portamento prova un godimento che non ha nulla a
che vedere con il piacere, che si pone appunto al di l
del principio del piacere. Per questo ogni enunciato
educativo che pone la minaccia in primo piano pu
provocare paradossalmente un aumento delle vittime,
come nel caso di avvertimenti riguardanti la velocit,
i pericoli del fumo, il collegamento tra la morte e il
piacere sessuale. Allepoca del mito del progresso si
credeva che nessuno si sarebbe consegnato al pericolo
con cognizione di causa. Si riteneva che leducazione e
linformazione avrebbero consentito di accedere gra-
dualmente a quel regno dei lumi al quale aspirava
Kant: noi contemporanei abbiamo assistito allinfran-
gersi di questo sogno. Gli adulti, educando i giova-
ni ricorrendo alla minaccia, sollecitano la pulsione di

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morte: lo fanno perch nessuno oggi pensa che quella


attuale sia unepoca propizia al desiderio e alla voglia
di vita5. E in effetti: a che serve per la voglia di vivere
limitarsi ad alzare il tono della minaccia nei confronti
di ci che potrebbe provocare la morte? Non forse
vero che noi adulti parliamo ai giovani solo di evitare
la morte perch non sappiamo raccontare a che serve
vivere?
Ecco una prima indicazione di come potremmo
diventare prossimi di questi giovani cos lontani: rac-
contare loro a cosa serve vivere.

4.2. Non aver paura di morire: per cosa vivere?

ancora Freud che ci aiuta quando ne Il disagio


della civilt affermava che in mancanza della felicit
gli uomini si accontentano di evitare linfelicit. Og-
gi, sembra che perfino evitare linfelicit sia un compi-
to troppo arduo per i giovani, ma in genere per i no-
stri contemporanei. Viviamo in unepoca dominata da
quelle che Spinoza chiamava le passioni tristi, cio
limpotenza e la disgregazione. La fine dellideale po-
sitivista ha gettato gli uomini nellincertezza e la crisi
si manifesta in una miriade di violenze quotidiane che
in gergo sono chiamate gli attacchi contro i legami.
Cos i giovani, in una sorta di autismo informatico,
praticano i videogiochi dove si diventa padroni del
mondo in battaglie virtuali contro il nulla e vivono
con una soggettivit estraniata dal mondo circostante
e dalla scienza, che offre tecniche per risolvere proble-
mi lasciando lindividuo nellignoranza e nelloscuri-
t6. E perch non essere protagonisti, dentro la batta-

M. Benasayag - G. Schmit, Lepoca delle passioni tristi, Feltri-


5

nelli, Milano 2004.


6
I dati del rapporto annuale Eurispes-Telefono Azzurro sui
giovani dicono che crescono i rapporti casuali e via sms, meno ro-
manticismo. Il sesso? Meglio se occasionale. E in casa dilagano i

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glia? Che importa se anzich essere virtuale il gioco


reale? Dov il discrimine? Non anche meglio pro-
vare davvero? Lemozione non pi intensa?
La domanda meno imbarazzante di quanto pen-
siamo: chi che offre ai giovani sentimenti autentici,
esperienze di vita dove si possa provare qualcosa che
vale, che sazia, che apre alla speranza? La visione di
Paranoid Park potrebbe aiutarci a comprendere questa
anaffettivit che uccide la coscienza e i suoi sensori7.

figli-padroni. Genitori poco presenti e molto permissivi con gravi


conseguenze. Dilaga il cyber-bullying, con messaggi ed e-mail in rete
(15 novembre 2007).
7
Paranoid Park, di Gus Van Sant (premio speciale della giuria al
Festival di Cannes 2007). Alex ha sedici anni e frequenta il liceo a
Portland. Un giorno un amico lo invita ad andare con lui a Paranoid
Park, luogo malfamato della citt in cui si confrontano i pi abili
esperti in materia di skateboard. Una notte, proprio presso il parco,
Alex uccide accidentalmente un agente. Decide di continuare la sua
vita senza dire nulla a nessuno. Alex ha i genitori che si stanno la-
sciando ma la sua condizione economica non deprivata. Gli manca
per quello di cui avrebbe pi urgenza: una guida. Quando il padre
ipertatuato gli chiede di dirgli di cosa ha bisogno per evitare a lui e al
fratello minore il trauma della separazione il silenzio di Alex elo-
quente pi di ogni parola. Necessita di un padre e di una madre che
sappiano capire di cosa ha veramente bisogno. Senza chiederglielo. In
un microcosmo in cui la leggerezza delle evoluzioni sullo skateboard
viene colta dalla macchina da presa in tutta la sua plasticit la co-
scienza di s come esseri umani in formazione che rischia di perdersi.
Trasformando quella leggerezza in un peso difficile da scrollarsi di
dosso e di cui si finge di non avvertire la presenza. Camminando in
corridoi deserti che sembrano non avere mai fine. Ci che colpisce in
questo film lassoluta impossibilit di cogliere una qualche forma di
sentimento... una difficolt a penetrare nellanima dei giovani. I ge-
nitori e gli insegnanti non riescono a essere figure autorevoli perch
cercano di compiacere i comportamenti dei ragazzi e di conquistare
la loro simpatia scendendo sullo stesso piano. Alex vive giornate tutte
uguali, senza nessuna richiesta e senza nessun dovere da compiere.
Anche nel rapporto con la sua ragazza Alex privo di affettivit: non
prova alcun piacere mentre lei cerca soltanto un rapporto che possa
essere raccontato alle amiche per segnare luscita dalla pubert. Esi-
stenze gi svuotate di ogni speranza.

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4.3. Terrorizzati del futuro

I giovani non vogliono diventare adulti. In un certo


senso non possono se gli adulti rubano loro la gio-
vinezza8. Senza rendersene conto la nostra societ ha
prodotto una ideologia della crisi, dato che la creden-
za fondamentale dellOccidente era la promessa di un
futuro messianico, una specie di redenzione laica: si
passati cos dal futuro-promessa al futuro-minac-
cia e le istituzioni educative agiscono come se non
ci fosse alcuna crisi, cercando di superare le difficolt
con un po di buona volont e servendosi di ideali
patchwork. Tra questi il passaggio dal desiderio alla
minaccia. Dimenticando che la motivazione fonda-
mentale allapprendimento il desiderio di imparare
e comprendere, educatori e istituzioni propongono la
via dellutilitarismo, sostituendo allinvito al desiderio
lapprendimento sotto minaccia.

4.4. Lemozione pi forte di ogni cosa

Non dunque per superficialit che vi oggi tra


i giovani un primato dellesperienza emotiva. A me
pare che questo primato sia, in un certo senso, unan-
sia di sapere, di conoscere. Giacch, come sostiene U.
Galimberti, oggi siamo analfabeti delle emozioni9,
allora si percorre il mondo emotivo alla ricerca di
comprenderlo, di chiarirlo a se stessi. Non solo il
vuoto di significati che fa ricorrere alla ricerca di emo-
zioni sempre pi forti: anche il non apprendimento
di emozioni felici che fa cercare ansiosamente un sa-

8
I. Diamanti, La giovinezza senza i giovani, Note di Pastorale
Giovanile 40 (3/2006), pp. 62-64 (tratto da La Repubblica, 3 lu-
glio 2005).
9
U. Galimberti, Gli analfabeti delle emozioni, La Repubblica,
13 ottobre 2002; Id., Lospite inquietante. Il nichilismo e i giovani,
Feltrinelli, Milano 2007.

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pore, un gusto per la vita. Magari a noi pu sembrare


che i giovani mangino della robaccia: ma chi li ha
educati a mangiar bene? Chi gli ha fatto gustare i sa-
pori della vita?

4.5. Sono gli adulti ad aver distrutto i giovani

Cos termina Erika la sua riflessione. I giovani non


vogliono diventare come gli adulti che li hanno di-
strutti. Ma in che modo gli adulti hanno distrutto i
giovani? Leclissi, o forse il tracollo, del principio di
autorit apre la strada a varie forme di autoritarismo,
perch in una societ dove i meccanismi di autorit
sono indeboliti non si inaugura unepoca di libert,
ma piuttosto un periodo di arbitrariet. Nella relazio-
ne genitore-figlio percepita come simmetrica, ladul-
to, incapace ormai di contenere le pulsioni e lansiet
derivante nel giovane, si propone come adulto-ven-
ditore, che utilizza prima la via della seduzione per
legittimarsi, poi quella della coercizione. Lautorit,
infatti, si basa sul principio di un bene condiviso, tra-
smesso da colui che per la sua anteriorit pu farsi
garante di una tradizione e assumere la responsabili-
t di dare un ordine allevoluzione, senza bloccarne il
cambiamento. Nellatmosfera esistenziale che si vive
gli adulti appaiono, invece, sempre pi disorientati e
incapaci di offrire ai giovani un futuro di promesse;
i giovani, dal canto loro, percepiscono di essere sotto
minaccia e reagiscono tentando di scappare per sot-
trarsi al disastro10. quello che vuole fare la prota-
gonista del libro Leleganza del riccio, decidendo di
suicidarsi il 16 giugno e di dare fuoco al suo appar-
tamento. una bugia universale che la vita ha un
senso e che sono gli adulti a custodirlo: i bambini,
purtroppo, credono ai discorsi dei grandi e, una volta

10
Benasayag - Schmit, Lepoca delle passioni tristi, pp. 28-33.

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grandi, si vendicano ingannando a loro volta i figli.


Poich quanto stato trasmesso ai piccoli non vero,
non resta che cercare di anestetizzarsi, nascondendo
il fatto che non riusciamo a dare un senso alla nostra
vita e ingannando i nostri figli per cercare di convin-
cere meglio noi stessi11.

5.Due linee per una prossimit significativa

Nel nuovo dei giovani, in questo nuovo che certa-


mente ci lascia in bocca un sapore amaro, c del vero.
Un vero che chiede a noi un cambiamento. Che chiede
di partire dagli adulti, non dai giovani. Savino Pezzot-
ta, al Convengo Ecclesiale Nazionale di Verona, nella
relazione ha affermato:

Il problema dei giovani siamo noi adulti, troppe volte ve-


niamo meno al nostro dovere di testimonianza e di tra-
smissione di valori, ideali e visione del mondo [...]. Sono
sottoposti a critiche dal mondo adulto proprio perch ci
ricordano le nostre manchevolezze educative e la debolez-
za dei nostri esempi, pensieri e valori.

Occorre quindi che la conversione sia anzitutto


degli adulti, noi possiamo dire della Chiesa. I giovani
chiedono ad alta voce una presenza, una speranza,
un futuro. Non vero che difficile discernere la do-
manda. difficile scrollarci di dosso una rappresen-
tazione di noi stessi e del nostro agire che ci porta a
perseguire ancora i modelli del passato, modelli che
abbiamo mitizzato (loratorio, la catechesi nei grup-
pi associativi...) e che non sappiamo pi aggiornare.
Modelli ripetendo i quali non siamo pi capaci di ac-
cogliere la domanda dei giovani. forse una forma di

11
M. Barbery, Leleganza del riccio, Edizioni e/o, Roma 2006, p.
14. In particolare le pp. 185-186 (il pensiero profondo n. 12 sul
destino gi stabilito).

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pigrizia intellettuale prima, di tipo pratico poi. Ci


pi facile percorrere le vie note che aprirne di nuove.
Al riguardo ritengo che la pastorale giovanile (e la
pastorale in generale) oggi subisca difficolt perch
abbiamo ridotto il problema. Tento di spiegarmi.
Perch non sappiamo dare risposta alla ricerca di
senso dei giovani? E non sappiamo attivare in loro
una tensione religiosa? Perch i giovani sono cos tri-
sti, perch non amano pensare al futuro? Perch sono
in crisi le nostre forme tradizionali di appartenenza e
di partecipazione? Si tratterebbe, come si dice spesso,
solo di mancanza di un linguaggio adatto a dialogare
con i giovani? Non credo, mi pare che sia una rispo-
sta riduttiva. Questa ipotesi, infatti, presume che noi
conosciamo il linguaggio della fede e le esperienze di
appartenenza utili a creare identificazione con la co-
munit cristiana, ma che non conosciamo abbastanza
la lingua dei giovani e le loro esperienze, per tradurre
il linguaggio, per aggiornarlo e renderci compren-
sibili a loro. S, vero, non conosciamo abbastanza il
linguaggio dei giovani, ma il problema pi serio, pi
radicale: noi oggi non abbiamo pi il linguaggio della
fede, perch non abbiamo un pensiero sulla fede. Ri-
petiamo formule corrette consegnate dalla tradizione
cristiana e non sappiamo pi dire oggi per noi il senso
di queste formule. Ripetiamo modelli di appartenenza
e riteniamo che siano gli unici a dire chi dentro e
chi fuori. Ci manca, cio, la capacit (forse il tempo
o la voglia) di ripensare lesperienza cristiana in questa
cultura, confrontandoci seriamente con la tradizione e
le sue ricchezze per loggi, per la nostra vita12.
Dal ripensamento verrebbe la capacit non cos ar-
dua di esprimere in modo comprensibile, per un de-
stinatario di questo mondo postmoderno e liquido,

12
G. Trentin, Il futuro della pastorale, in Teologia Pastorale in
Europa, a cura di G. Trentin - L. Bordignon, Edizioni Messaggero,
Padova 2003.

113

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il Vangelo e la ricca tradizione cristiana che esso ha


suscitato. Dobbiamo riprenderci il tempo, il diritto, il
coraggio di ripensare la fede e lappartenenza, anzitut-
to a partire da noi stessi, che non stiamo sempre bene
dentro il linguaggio ecclesiale attuale e le forme attuali
di appartenenza. Ripensarlo per noi, a partire da quel
nuovo che i giovani ci portano e che non ci estraneo,
se lasciamo la nostra supponenza e la falsa sicurezza
nella quale preferiamo chiuderci.

5.1. Orfanit: il figlio perduto o abbandonato?

Al riguardo, quindi, necessario che come Chiesa


ci riappropriamo anzitutto dellatteggiamento testi-
moniato dalla parabola di Lc 15,11-32. I giovani, molti
giovani, vanno riconosciuti oggi come soggetti esclusi
dal godimento dei diritti e delle risorse promesse dal
sistema. Sono esclusi dalla possibilit di partecipare
alle decisioni che li riguardano, sono in posizione di
irrilevanza sul piano del potere. Le esperienze che se-
gnalano questa marginalit sono: lesclusione dal la-
voro legale e da qualche anno dal lavoro garantito,
la condanna a funzioni di consumo coatto, la limita-
zione delle possibilit di partecipazione e di protago-
nismo, il prolungamento artificioso della permanenza
in strutture formative. Ci sarebbe (c senza dubbio!)
nei Paesi ad alto sviluppo industriale una specie di
pressione marginalizzante di cui rimangono vittime
le fasce del mondo giovanile meno attrezzate.
Credo che sia da leggere in tal senso la rivolta dei
giovani immigrati delle banlieues e quella dei giovani
studenti prima in Francia, poi in Italia, ora in Grecia:
la rivolta di una generazione che non ha pi avveni-
re (Jacques Le Goff) e che non a caso per esprimere
la propria ribellione incendia le macchine, distrugge i
negozi, i simboli del successo di una societ dalla qua-
le saranno per sempre esclusi: si rivolgono cos contro
la polizia e il governo perch contestano un modello

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di societ. Cosa pu sperare un giovane che nasce


in un quartiere brutto, che vive in un palazzo brut-
to, circondato da altre bruttezze, di muri grigi su un
paesaggio grigio e una vita grigia con una societ che
preferisce voltare lo sguardo e intervenire soltanto se
bisogna punire e vietare? (F. Mitterrand).
I giovani vivono oggi una profonda esperienza di
orfanit13. Molti giovani cercano negli adulti un riferi-
mento strutturante, una autorit con cui confrontarsi
o contro la quale scontrarsi. Spesso in modo nasco-
sto cercano un adulto che si iscriva nella loro storia,
un padre, qualcuno da imitare... Ad adempiere que-
sto ruolo di adulto di riferimento possono concorre-
re tutti gli adulti che incrociano ladolescente lungo i
tornanti in salita della sua crescita; a volte basta un in-
contro per ricevere la nomina e restare fotografati per
molto tempo nella memoria profonda delladolescen-
te, che dedica le proprie imprese al patto segreto sti-
pulato nel breve incontro in cui s detto e dato tutto
[...]. Bisogna ammettere che si tratta di una funzione
complessa, promossa da una domanda flebile e con-
troversa, da eseguire senza dare nellocchio, neppure
pronunciare il nome dellazione, fingendo di essere l
per caso, di passaggio, senza uno scopo preciso: con
gli adolescenti bisogna lasciare loro lillusione che tut-
to ci che fanno sia stato da loro stessi sognato e mol-
to desiderato14.
Per non essere figli mancati i giovani hanno bi-
sogno di padri che assolvano le loro funzioni fonda-
mentali: quella di conferire ai figli il gusto delle cose
nuove, di presentarsi come baluardi (il che non signi-
fica invulnerabili) per addestrare alle future battaglie,
quella di essere custodi dei passaggi (il padre qual-

R. Tonelli, Una pastorale giovanile alle prese con problemi


13

nuovi?, Note di Pastorale Giovanile 37 (2003), n. 8, p. 40.


14
G. Pietropolli Charmet, I nuovi adolescenti. Padri e madri
di fronte a una sfida, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000, pp. 48
e 51.

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cuno che rappresenta altro da s e crede in ci che


rappresenta), quello di essere testimone della legge,
ma anche occasione di apprendimento della trasgres-
sione (cio di rifiutare la seriet ostentata). Ci che
pi deleterio e frequente il mancare agli appunta-
menti, un mancare che poi molti padri non recupe-
rano pi, anche quando si pongono troppo in ritardo
allinseguimento del figlio15. Un esame va fatto anche
nelle nostre comunit parrocchiali, nei nostri orato-
ri: mentre alcuni si attrezzano con progetti nuovi (di
animazione di strada, di educazione nellinformalit),
altri inseguono le stesse proposte della societ aneste-
tizzante (la discoteca in oratorio), mentre molti altri si
limitano a ripetere i soliti clich, stanno ripiegati sul
ricordo nostalgico del passato, in sostanza hanno de-
ciso di gettare la spugna. Occorrerebbe, invece, che la
Chiesa si proponesse come apripista di un percorso
nuovo, di un atteggiamento di nuova paternit, libera
da ogni paternalismo e capace di promuovere nuovi
apprendimenti.

5.2. Quale iniziazione cristiana?

Parlare di iniziazione allesperienza cristiana qual-


cosa di pi complesso e articolato di quanto non sem-
bri. E pensando ai giovani ci potrebbe apparire anche
fuori luogo: non hanno gi terminato da anni linizia-
zione cristiana? La riduzione della categoria alla sua
mera dimensione sacramentale evidentemente non ci
utile. Come sappiamo liniziazione alla vita cristiana
finisce quando la vita comincia davvero. Di qui lesi-
genza di ricominciare dopo aver dato la grammatica
che il catechismo offre. Si tratta ora di passare a con-
segnare la competenza di costruire qualche costrutto

15
X. Lacroix, Passatori di vita. Saggio sulla paternit, EDB, Bo-
logna 2005, pp. 133-174.

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significativo, perch non si parla la lingua della fede


solo perch si conoscono alcune regole della lingua.
Le domande da porci sono due:
iniziazione a quale forma dellesperienza cristiana?
A quale edizione del cristianesimo ci riferiamo? In
sostanza, quale figura di giovane cristiano vogliamo
formare? Di qui a discendere tutto il discorso riferi-
to alla pratica formativa conseguente: da una pratica
nasce un certo tipo di cristiano e non un altro;
rispondere a questa domanda significa gi aver fatto
un lavoro complesso di inculturazione del Vangelo:
aver cio risposto alla domanda su quale sintesi tra
la cultura attuale e le sue aspirazioni e la fede cristia-
na e le sue esigenze. Da una teologia fondamentale,
cio, nasce una proposta pastorale che ipotizza un
certo tipo di Chiesa e di credente.
Sono due domande non eludibili se vogliamo par-
lare di iniziazione. Per questo io credo che dobbiamo
smettere di fare una iniziazione catechistica, ritualisti-
ca, moralistica, ma avviarci a pensare una iniziazione a
una figura di cristianesimo che sia centrata sullinizia-
re i giovani a vivere da credenti le aspirazioni autenti-
che della cultura che abitano. Iniziare alla fede, infatti,
non significa trasmettere conoscenze, educare a cele-
brare bene il rito, avviare a una pratica di vita mora-
le: il credo, la celebrazione e letica sono a servizio di
un buon vivere, cio di una espressione migliore e pi
piena di quelle aspirazioni e desideri, di quegli oriz-
zonti e di quelle sfide che la cultura che abitiamo ci
propongono. Certo, la proposta evangelica corregge,
orienta, critica quegli orientamenti e quelle aspirazio-
ni, ma mai senza assumerli, senza ascoltarne le voci.
Non li congeda sbrigativamente, licenziandoli come
non opportuni: li prende in esame e, pur volendo pu-
rificarli, ne discerne il vero. Comunque mai ha paura
del nuovo. In sostanza si tratta di aiutare i giovani a
vivere da credenti le domande e le esperienze profon-
damente umane bench a volte da correggere e ri-
orientare che la cultura attuale pone allattenzione

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degli uomini e delle donne di oggi. Si tratta di iniziare


i giovani a rispondere secondo la fede evangelica alle
domande che lumanit e la cultura oggi pongono a se
stesse.

6.Preoccupati dellesodo o attrezzati


al ritorno?

Termino questa lunga riflessione con una doman-


da. Una domanda che mi pare legittima oggi, in questo
tempo nel quale ci rendiamo conto che lappartenenza
alla comunit sempre pi difficile per i giovani (e
anche per gli adulti). Mi chiedo: siamo attrezzati per
il ritorno o solo ci preoccupiamo di arginare lesodo?
davvero possibile pensare che lesodo vada evitato o
non pi corretto chiedersi come prepararci alleven-
tuale ritorno? Con quali atteggiamenti, strumenti ed
esperienze aprire la porta quando ci sar un eventuale
riavvicinamento16?

16
I. Seghedoni, Era perduto ed stato ritrovato, Evangelizzare
36 (2007), pp. 429-432.

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Dario Vivian
Liniziazione cristiana
degli adulti: laboratorio
per una nuova prassi ecclesiale

1. Premessa
Liniziazione cristiana degli adulti in un Paese co-
me lItalia si presenta, a livello di numeri, come una
emergenza pastorale, dal momento che si tratta di
un segmento ancora piccolo dellimpegno richiesto
alle comunit cristiane. Non tuttavia insignificante,
se lo si sente gi come sfida a un accompagnamento
di fede rispetto al quale mancano cammini assodati
cui riferirsi. Si tratta di un ambito che rimane per ora
circoscritto a quanti operano nel catecumenato degli
adulti (l dove formalmente istituito, ma anche dove
listituzione a livello diocesano non avvenuta eppu-
re si fa fronte alla richiesta crescente di battesimi in
et giovanile e adulta) e apparentemente ininfluente
sul resto dellazione pastorale. qui invece che va
posta la riflessione, per non ridurre la portata di que-
sta emergenza.
Un errore sarebbe quello di pensare che emergenza
significhi che siamo alle prese con alcune situazioni-
limite, da tamponare al meglio riconducendole entro
la prassi consueta. In fin dei conti unesigua mino-
ranza, che deve essere recuperata per rimetterla alla
pari di tutti gli altri, in regola con i sacramenti celebra-
ti nelle scadenze giuste. Si tratterebbe quindi di una
eccezione e come tale va trattata, mentre la pastora-
le nel suo insieme pu continuare come prima. Chi
interpreta cos lemergenza delliniziazione cristiana
di giovani e adulti convinto, in cuor suo, che tut-

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ti i discorsi ricorrenti sulla postcristianit (o come la


si voglia chiamare) siano appunto discorsi. Dov poi
questa uscita dalla cristianit, se la stragrande maggio-
ranza chiede ancora i sacramenti, manda a catechismo
i figli, si affida alla Chiesa per elaborare i passaggi si-
gnificativi dellesistenza? sufficiente un po pi di
attenzione per i casi particolari e per il resto si conti-
nua sul solco di una tradizione consolidata, affidando-
si alla saggezza proverbiale: chi lascia la strada vecchia
per la nuova...
E se invece emergenza significasse lemergere an-
cora limitato di una realt assai ampia, quasi come la
punta di un iceberg di consistenza rilevante che do-
manda un cambiamento di rotta? Non primariamen-
te questione di numeri, nel senso che la cosa si farebbe
cruciale se e quando quello che adesso fenomeno
minoritario diventasse non pi eccezione ma regola;
non so se andr cos, ma non questo il punto. Il som-
merso da prendere in considerazione riguarda tutta
lazione pastorale della Chiesa, che attraverso questa
emergenza mostra il volto che necessariamente deve
assumere nelloggi della storia: la cura delle anime de-
ve diventare missione, la pastorale deve riprogettarsi
sullannuncio (in molti casi primo annuncio), la con-
centrazione su chi pratica deve farsi invio e compagnia
con tutti.
Il rilancio che ha avuto, nelle chiese dItalia, lantica
constatazione di Tertulliano Cristiani si diventa ri-
flette in modo inequivocabile una realt, che non pu
pi partire da un presupposto scontato. in questio-
ne la fede, che nasce dallascolto; per questo ci vuole
chi annuncia, anzi ci vuole una comunit che si fa an-
nuncio.
Linterlocutore adulto finisce per essere, nella pras-
si pastorale consueta, appunto uneccezione; infatti
noi facciamo iniziazione cristiana avendo come sog-
getti bambini, fanciulli e ragazzi. Il rischio grande di
mettere in opera un modello teologico-pastorale che
ruota attorno allinfanzia, arrivando a pensarla let

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pi adatta per la proposta di fede. Quante volte, in


occasione dei sacramenti dei piccoli, gli adulti vivono
una sorta di rimpianto e di nostalgia del tempo in cui
potevano pensare al buon Ges... sottintendendo che
la vita adulta, con i suoi problemi e le sue contrad-
dizioni, non tempo adatto alle cose della fede. Ma
il referente primo della proposta di fede ladulto, e
la stessa esperienza ecclesiale destinata a suscitare e
motivare una fede adulta, responsabile e critica, capa-
ce di dare ragione del proprio credere, immersa nella
storia. Gi qualcuno ha sottolineato lanomalia di un
cattolicesimo italiano infantile, femminile, senile. Qui
linterrogativo si fa ancora pi preciso e riguarda la
capacit da parte della comunit cristiana di attivare
cammini di fede adulti per interlocutori adulti; e la
volont di farlo, uscendo dal comodo equivoco di cri-
stiani eterni minorenni e per questo pi facili da gesti-
re pastoralmente.

2.Il cammino nei documenti magisteriali

La coscienza di una emergenza pastorale riguar-


dante gli adulti ben presente nella riflessione teologi-
co-pastorale del Magistero, che in questo caso (come
in altri) testimonia una consapevolezza pi avanzata
rispetto alla pastorale concreta delle comunit cristia-
ne. In particolare ripercorriamo qui alcune tappe della
progressiva presa di coscienza avvenuta nella Chiesa
italiana, sullo sfondo di unattenzione che di tutta la
Chiesa europea.
Lo facciamo attraverso il rimando ad alcuni docu-
menti, di cui ci limitiamo a sottolineare la prospettiva
di fondo; essi segnano comunque un cammino, pro-
gressivamente sempre pi concreto nei suoi orienta-
menti e nelle scelte da operare nella pastorale diocesa-
na e parrocchiale.

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2.1.Rito per liniziazione cristiana degli adulti


(OIC A 1972, RIC A 1978)

Gi nel 1972 la Chiesa universale sent essere giun-


to il momento di riproporre in modo autorevole a
tutte le chiese il cammino del catecumenato antico.
La progressiva uscita da un regime di cristianit, ga-
rante di un catecumenato sociale attraverso cui si di-
ventava cristiani per assimilazione allambiente, rinvia
alla necessit di iniziare alla fede e alla vita cristiana
attingendo alla sapienza spirituale e pedagogica delle
prime generazioni cristiane. La tipicit del catecume-
nato antico non va nel senso di riproporre nelloggi
qualcosa che sa di archeologia cristiana, ma nel rico-
noscere allinterno dellitinerario catecumenale lin-
treccio degli elementi costitutivi dellesperienza cri-
stiana di sempre. Per questo il testo viene proposto
non come semplice rituale per regolamentare i mo-
menti celebrativi, ma come vero e proprio libro pasto-
rale rivolto soprattutto alle chiese di antica cristianit;
a esse, infatti, affidato il compito di ripensare tutta
la proposta pastorale in chiave catecumenale (non si
era gi detto nel 1943 della Francia paese di missio-
ne?). La Chiesa italiana fece proprio il documento e
lo tradusse in lingua italiana nel 1978, limitandosi tut-
tavia a questo. Non accolse per il momento la sfida
di farlo diventare libro pastorale, operandone quindi
una rilettura e un adattamento per la situazione loca-
le. I tempi, evidentemente, non erano maturi. Tuttavia
chiara nei vescovi la consapevolezza che in questo
libro non sono presenti semplici indicazioni per le ce-
lebrazioni liturgiche.
Una breve ma significativa presentazione rinvia alla
comunit cristiana come soggetto primo e insostitui-
bile di ogni processo iniziatico, riconoscendo quindi
che in questione non sono puramente i singoli da far
diventare al pi presto come gli altri (in effetti nel-
la percezione media iniziare significa omologare) ma
la comunit che si fa madre e figlia nelliniziazione; e

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per questo si afferma: Auspichiamo che questo testo


diventi una feconda sorgente ispiratrice di iniziative
di evangelizzazione, di catechesi e di esperienze co-
munitarie.

2.2.Liniziazione cristiana
Orientamenti per il catecumenato degli adulti
(1997)

Quello che evidentemente non era maturo prima lo


diventa un ventennio dopo. Luscita dal regime di cri-
stianit si fa pi chiara nella percezione pastorale co-
mune e quindi la Chiesa italiana si avvia a ripensare in
modo pi globale la sfida del diventare cristiani. Come
prospetta la premessa al documento, siamo di fronte a
un vero progetto pastorale articolato, che costituisce la
rilettura per la situazione italiana della sfida posta dal
RICA: Nella prospettiva aperta dallimpegno per una
nuova evangelizzazione, riteniamo opportuno offrire
alle Chiese che sono in Italia un progetto che indichi
contenuti, finalit e modalit di un itinerario iniziatico,
per condurre luomo a diventare cristiano maturo, cio
membro cosciente e attivo della Chiesa. Lo facciamo
attingendo ai dati della divina rivelazione e della genui
na tradizione ecclesiale e con lo sguardo attento alla
situazione italiana, che, pur diversificata nelle singo-
le Chiese, presenta alcune costanti che richiedono un
profondo cambiamento dellazione pastorale.
Oramai c una percezione comune di che cosa sia
in questione, quando ci si fa carico del cammino inizia-
tico non pi solamente nellet infantile, ma nellespe-
rienza concreta di giovani e adulti chiamati a diven-
tare cristiani. in questione la missione stessa della
Chiesa, intesa come cuore dellevangelo, quindi come
scelta pastorale obbligata. I vescovi infatti consegnano
questa Nota alle comunit cristiane, affermando che
vuole essere un ulteriore stimolo che susciti in tutte
le nostre Chiese una salutare inquietudine per realiz-

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zare quella nuova evangelizzazione che lorizzonte


dellimpegno pastorale della Chiesa italiana in questo
tempo. Di fronte alle mutate condizioni socio-cultu-
rali e religiose della societ e della comunit cristiana,
essa sente infatti di dover passare a una pastorale di
missione permanente.

2.3.Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia


Orientamenti pastorali dellepiscopato italiano
per il primo decennio del Duemila (2001)

Tutta limpostazione del documento va nel senso


di percepire il mondo che cambia come interpellazio-
ne significativa al nostro comunicare il Vangelo, non
perch siamo di fronte a una emergenza ma perch ci
data lopportunit di una riscoperta vitale. Bisogna
avere il coraggio di trarne le conseguenze, se in appen-
dice al documento i vescovi affermano: In un tempo
di secolarizzazione e nel quale la nostra societ di-
venta multietnica e multiculturale, la comunicazione
del Vangelo rende necessario compiere una paziente e
coraggiosa revisione di tutto il tessuto pastorale delle
nostre comunit dal punto di vista missionario. Ci
significa una vera conversione pastorale. In partico-
lare i numeri dal 56 al 62 del testo, che vanno sotto il
titolo Una rinnovata attenzione a tutti i battezzati,
fanno intravedere che cosa pu voler dire trasformare
lemergenza pastorale attuale (adulti da far diventare
cristiani, anche quelli che anagraficamente lo sono gi)
in laboratorio per una nuova prassi ecclesiale. Dopo
aver elencato una serie di suggestioni pastorali per ri-
vitalizzare la vita delle parrocchie una sempre pi
convinta attenzione verso i cosiddetti non praticanti,
unattenzione ai battezzati che vivono un fragile rap-
porto con la Chiesa, valorizzare quei momenti in
cui le parrocchie incontrano concretamente quei bat-
tezzati che non partecipano alleucaristia domenicale e
alla vita parrocchiale, forme di dialogo e di incontro

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con tutti coloro che non sono partecipi degli ordinari


cammini della pastorale, occasioni di testimonianza
e di comunicazione del Vangelo nella vita quotidiana,
nel contatto giornaliero nei luoghi di lavoro e di vita
sociale... ci si sofferma sulla sfida complessiva, che
ha lambizione di riplasmare lazione pastorale della
parrocchia al fine di renderla vero e proprio labora-
torio di esperienza cristiana. La comunit cristiana
devessere sempre pronta a offrire itinerari di inizia-
zione e di catecumenato vero e proprio. Nuovi per-
corsi sono richiesti infatti dalla presenza non pi rara
di adulti che chiedono il battesimo, di cristiani della
soglia a cui occorre offrire particolare attenzione, di
persone che hanno bisogno di cammini per ricomin-
ciare. Ci richiesta intelligenza, creativit, coraggio.
Occorrer impegnare le nostre migliori energie in
questo campo, mediante una riflessione teologico-pa-
storale e attraverso lindividuazione di concrete e si-
gnificative proposte nelle nostre comunit. Al centro
di tale rinnovamento va collocata la scelta di configu-
rare la pastorale secondo il modello della iniziazione
cristiana, che intessendo tra loro testimonianza e an-
nuncio, itinerario catecumenale, sostegno permanente
della fede mediante la catechesi, vita sacramentale, mi-
stagogia e testimonianza della carit permette di da-
re unit alla vita della comunit e di aprirsi alle diverse
situazioni spirituali dei non credenti, degli indifferen-
ti, di quanti si accostano o si riaccostano al Vangelo,
di coloro che cercano alimento per il loro impegno
cristiano (n. 59).

2.4.Liniziazione cristiana
Orientamenti per il risveglio della fede
e il completamento delliniziazione cristiana
in et adulta (2003)

La terza Nota, che completa la rilettura del RICA


per la situazione italiana, prende in considerazione

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ancora giovani e adulti (in questo caso gi battezzati) e


si chiede come risvegliarne la fede e offrire un accom-
pagnamento che li introduca in modo pieno allespe-
rienza di vita cristiana. Si consapevoli che non si
tratta di aggiungere iniziative a una prassi pastorale,
che nelle cose da fare pu rimanere quella che , ma di
entrare ancora di pi in una conversione della pasto-
rale richiesta dai tempi. Per questo nella premessa si
precisa: La pubblicazione di questa terza Nota sulla
iniziazione cristiana potr aiutare le nostre Chiese a
operare quei cambiamenti ormai indifferibili e sempre
pi urgenti per comunicare il Vangelo in un mondo che
cambia: tenere presente che levangelizzazione non
impegno riservato agli specialisti, ma compito proprio
e prioritario di tutta la comunit; essere consapevoli
che liniziazione cristiana non tanto un settore del-
la pastorale, quanto il suo modello ispiratore e il suo
paradigma esemplare; basare ogni percorso formati-
vo sulla catechesi e, prima ancora, fondare ogni cate-
chesi, anche quella dei fanciulli battezzati, sul primo
annuncio. Dopo aver ribadito, nellintroduzione,
che la sete di Cristo inscritta nel cuore di ogni uo-
mo e ogni donna, il testo si articola in tre momenti
che delineano passaggi pedagogici e di fede: lascolto,
lannuncio, laccompagnamento. La prassi pastorale,
se riformulata alla luce di queste indicazioni, potrebbe
trovare insieme il modo di essenzializzarsi e di rin-
novarsi. Si tratta infatti di tre momenti non sempli-
cemente strumentali (ad esempio: un ascolto, finaliz-
zato ad annunciare quello che gi so, impedisce non
solo di accogliere la vita delle persone ma anche di far
risuonare in modo nuovo e non scontato il Vangelo)
piuttosto di unarticolazione costitutiva del cammino
di fede. La parte conclusiva, sugli itinerari, provoca a
un ripensamento delle proposte pastorali troppe vol-
te occasionali ed episodiche. La sfida infatti di far
diventare itinerario secondo la modalit esemplare
dellanno liturgico ci che spesso i singoli vivono
come parentesi che si aprono e si chiudono; non per-

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ch la comunit cristiana non debba farsi accogliente


di tutti, ma per non rinunciare a proporre i passi del-
la fede a partire dallascolto delle domande implicite,
inespresse o mal espresse.

2.5.Questa la nostra fede. Nota pastorale


sul primo annuncio del Vangelo (2005)

Sembra strano che si parli in Italia di primo annun-


cio, e infatti il termine andrebbe precisato rispetto al
significato che esso assume l dove il Vangelo non
mai risuonato. Tuttavia nella presentazione della Nota
non si esita ad affermare: In un contesto obiettiva-
mente missionario, come il nostro, occorre riportare
al centro di ogni Chiesa diocesana e di tutte e singole
le comunit parrocchiali il primo annuncio della fede.
Ci si colloca, naturalmente, allinterno del compito
ecclesiale della evangelizzazione, evidenziandone tut-
tavia il cuore riferito a Ges Cristo e alla sua pasqua di
morte e di risurrezione. Si cerca pertanto di precisare
che cosa si intenda per primo annuncio: Esso si pu
descrivere sinteticamente cos: ha per oggetto il Cristo
crocifisso, morto e risorto, in cui si compie la piena e
autentica liberazione dal male, dal peccato e dalla mor-
te; ha per obiettivo la scelta fondamentale di aderire a
Cristo e alla sua Chiesa; quanto alle modalit deve es-
sere proposto con la testimonianza della vita e con la
parola e attraverso tutti i canali espressivi adeguati, nel
contesto della cultura dei popoli e della vita delle per-
sone (n. 6). significativo che la Nota sia attenta a
delineare un impegno per il primo annuncio possibile
nella quotidianit di vita delle comunit cristiane, non
affidato primariamente a cammini particolari. Ci in
sintonia con il carattere stesso dellevangelo e quindi
del volto di Chiesa che ne deriva: Il Vangelo non
una proposta eccezionale per persone eccezionali, e la
Chiesa non potr mai diventare una setta di eletti o
un gruppo chiuso di perfetti, ma sar una comunit di

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salvati, peccatori perdonati, sempre in cammino die-


tro lunico Maestro e Signore (n. 10).
Limpegno per il primo annuncio diverr significa-
tivo per lintera prassi pastorale, nella misura in cui
la pedagogia della fede attivata in esso sar estesa al-
le proposte e ai cammini di ogni comunit cristiana.
Tale pedagogia cos sintetizzata nella Nota: Lac-
coglienza dellaltro come persona amata e cercata da
Dio; lannuncio schietto e lieto del Vangelo; uno stile
di benevolenza sincera, rispettosa e cordiale; limpie-
go intelligente di tutte le risorse della comunicazio-
ne interpersonale [...]; lattenzione alla segreta azione
dello Spirito Santo, primo e insostituibile Maestro che
guida alla verit tutta intera; la cura della relazione in-
terpersonale e del processo del dialogo (n. 20).

3.Le dimensioni del diventare cristiani quali


elementi fondanti il nostro essere Chiesa

Il fatto che i documenti insistano sul paradigma ini-


ziatico corrisponde a quella che potrebbe essere chia-
mata la grazia degli inizi. Anche se ogni iniziazione
deve avere logicamente un termine, ci che alla Chiesa
dato di vivere nel mistero della sua genesi delinea
dimensioni permanenti, da tenere vive sia nel singolo
come nella comunit. In questo modo, fare iniziazio-
ne diventa ridisegnare il volto della comunit cristiana
secondo i tratti di unesperienza di fede capace di dirsi
nella sua autenticit.

3.1.La conversione, dinamica permanente


della fede

Ladulto che chiede di diventare cristiano lo fa sol-


lecitato da una conversione di vita, che non solita-
mente un colpo di fulmine (anche se ha dei momenti
decisivi). Si inizia perci a partire da una conversione

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al Vangelo che significa rottura, cambiamento e


non semplicemente a partire da una tradizione, nella
quale si viene integrati. Il catecumenato sociale, eredi-
t del regime di cristianit, rischiava e in parte rischia
di compromettere la novit evangelica; non per niente
si sentita lesigenza di richiamare le chiese di antica
cristianit a una nuova evangelizzazione (cadendo in
una sorta di tautologia, dal momento che il carattere
di novit gi insito nel significato della parola evan-
gelo). La sacramentalizzazione generalizzata fa s che
i cristiani ci siano gi, belli e fatti, senza che sia mai
avvenuto limpatto con la proposta evangelica, con la
decisivit che le propria: Chi vuole essere mio di-
scepolo.... Ecco perch va recuperata la dimensione
di conversione, non come eccezione di qualcuno che
deve cambiar vita, mentre la maggioranza pu essere
semplicemente confermata in ci che e fa; ma come
dinamismo imprescindibile generato dalla proposta
evangelica (Che cosa dobbiamo fare, fratelli? viene
spontaneo chiedere a coloro che hanno udito il kerig-
ma). Una prassi pastorale attenta a questa realt sapr
valorizzare tempi e momenti di svolta in particolare
si misurer con le fasi della vita delle persone ma in-
sieme dovr curare un cammino, in cui la conversione
al Vangelo sia recepita anzitutto come dono prima di
essere conquista, mai compiuta definitivamente, capa-
ce di accendere sempre pi il desiderio nel momento
stesso in cui lo colma. Si tratta di una presa di coscien-
za lenta e paziente, di un cammino di interiorit che si
apre al nuovo e lo accoglie.

3.2.Lecclesialit della fede, un noi di novit


continua

Dove si fa esperienza di iniziare gli adulti alla vita


cristiana si da tempo avuta chiara la percezione di
quale sia la fase pi delicata del cammino: linserimen-
to nella comunit ecclesiale pi vasta, dopo che si

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vissuta una relazionalit normalmente molto intensa


nel gruppo catecumenale. In effetti, non si fa davvero
iniziazione se coloro che entrano nellesperienza del
noi della fede vengono integrati in un tipo di esistenza
prestabilito; sono invece associati a un modo di esi-
stenza cristiana, che deve accettare la sfida di definirsi
con essi e, in parte, grazie a essi. Iniziando alla fede i
nuovi venuti, la Chiesa ridice chi , si re-inizia, li acco-
glie come Vangelo, buona notizia di continua novit.
Non un atteggiamento facile da assumere, se pen-
siamo che molto spesso chi arriva in modi diversi
alla comunit parrocchiale per una richiesta, che ini-
zialmente pu essere confusa o espressa male, rischia
di vedersi di fronte una controparte sicura di s, alla
quale adeguarsi; non qualcuno che si mette in questio-
ne di fronte al Vangelo, nello stesso modo con cui si
messo in questione chi ha deciso di fare un primo
passo. Cos facendo la Chiesa non riesce a esprimere
il suo essere mistero di un cominciamento continuo,
se vero che essa profezia in atto della salvezza di
Dio, che si sta attualizzando giorno dopo giorno fino
a quando il mondo intero sar rinnovato. Le dinami-
che molto personali, che giovani e adulti mettono in
atto quando si accostano alla fede o ricominciano un
cammino, si scontrano con il noi ecclesiale quanto pi
esso si mostra sclerotico, fissato, rigido. Questo non
avviene se la comunit rivive il suo perenne inizio in
chi accoglie e accompagna.

3.3.Leco della Parola, cammino catechistico


che conduce alla professione di fede

Le persone hanno una loro domanda iniziale, che


va messa in correlazione con la fede della Chiesa nella
quale i cristiani trovano la luce per la loro vita. Per ar-
rivare a esprimere in modo personale e significativo il
Credo della Chiesa necessario un cammino non faci-
le; si tratta di fare eco alla parola di Dio, attraverso una

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catechesi capace di mettere in questione le evidenze


religiose prime. Il Dio di Ges Cristo non quello del
nostro sentimento religioso; la presenza del Risorto
nella storia si d attraverso una paradossale assenza;
non si fa Chiesa alla ricerca di un caldo rifugio, per-
ch essa un popolo di testimoni... Ci comporta una
iniziazione alla lettura credente della Bibbia, come pa-
rola di Dio; una sorta di immersione alla ricerca delle
radici della fede, per essere iniziati al mistero di Cri-
sto. Tutta la vita della Chiesa, in effetti, non dovrebbe
essere che eco della parola di Dio; per cui la catechesi
non riconducibile alla dottrina cristiana per i fan-
ciulli da preparare ai sacramenti. Il mondo degli adulti
si mostra particolarmente recettivo nei confronti di
proposte che sappiamo ripartire dalla Parola. Natu-
ralmente si fa eco alla Parola nella misura in cui non
ci si sostituisce a essa, non la si copre con le nostre
parole, non la si fa diventare libro cui riferirsi in for-
ma fondamentalistica. Gli adulti inoltre vanno iniziati
alla parola di Dio nel rispetto della dimensione adulta
della loro vita, in vista di una fede altrettanto adulta.
Non c iniziazione se non c presa della Parola, ri-
conoscimento della personale responsabilit, approc-
cio critico che non ha paura di suscitare domande di
fronte alle Scritture invece di offrire risposte precon-
fezionate.

3.4.Celebrare lalleanza, esperienza di comunione


vissuta nella liturgia

La grande tradizione l a dirci che si iniziati dai


sacramenti, che solo rendono possibile quel nascere
dallacqua e dallo Spirito tipico del cristiano. Non ba-
sta infatti, per essere cristiani, conoscere una tradizio-
ne ed esservi integrati; necessaria una vera e propria
ri-generazione, evento dello Spirito. Chiamata da par-
te di Dio e risposta da parte del credente si incontra-
no vitalmente nelloggi della liturgia, nel dono sacra-

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mentale che fa entrare nel mistero di comunione con


Cristo, anzi nel mistero di comunione che Cristo.
la liturgia che permette di fare alleanza in modo sin-
cronico e diacronico con tutti gli altri credenti, ma
esprimendo nella concretezza di s la relazione per-
sonalissima con il Signore. Nei sacramenti la parola
di Dio si inscrive nei corpi ed entrando in comunione
con Cristo avviene che in lui prendono corpo poco
alla volta i gesti dellalleanza: lode, azione di grazie,
perdono, supplica, intercessione... Il massimo della
singolarit personale della fede di ciascuno attraverso
la liturgia viene a esprimersi in una sorta di apprendi-
stato dai caratteri eminentemente comunitari; si rea-
lizza cos la reciprocit tra lio credo e il noi crediamo,
che al cuore dellesperienza cristiana. Non si tratta
di cadere in una prospettiva di sacramentalizzazione,
che risolve nella pratica liturgica lidentit cristiana
e il volto della Chiesa. Va tuttavia rivista una prassi
pastorale che privilegia da un lato la preparazione ai
sacramenti con modalit prevalentemente conosciti-
ve e di spiegazione e dallaltra fa della celebrazione
il momento esornativo e cerimoniale e non il bagno
vitale che trasforma.

4.Le opportunit offerte dalliniziazione degli


adulti per ridisegnare lesperienza ecclesiale

Ci che avviene nellincontro tra ladulto, che arri-


va alla comunit cristiana con una sua domanda spes-
so non ben chiarita, e la comunit stessa quanto mai
sintomatico di un modo di accogliere e accompagnare
rivelativo di uno stile di Chiesa. Camminare verso una
risposta di fede, adulta e responsabile, necessita di ri-
trovare tempi, modi e spazi per riappropriarsi di alcu-
ne dimensioni fondamentali dellesistenza; dimensioni
che descrivono anche lesperienza ecclesiale, se vuole
essere autentica. Per cui liniziazione degli adulti una
forte opportunit offerta allinsieme della vita della

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Chiesa, che attraverso i passaggi operati dai catecu-


meni (e pi in generale da ogni persona che voglia dare
spessore alla sua risposta di fede) ritrova la possibilit
di dirsi in modo antropologicamente e teologicamente
significativo.

4.1. Ridare umanit, ovvero la vita ripresa in mano

Sentiamo tutti la fatica di vivere in una societ in ra-


pida mutazione, sempre pi complessa e caratterizzata
da un rilevante nomadismo. Ci che giovani e adulti
fanno, quando si aprono allinterrogativo della fede,
riprendere in mano la loro vita per riplasmarla; si trat-
ta di unopportunit di umanizzazione, quanto mai
provvidenziale nella congiuntura odierna. Soprattut-
to perch permette di riscoprire lesistenza come un
interrogativo sul quale riflettere, piuttosto che la ri-
sultante di parametri esteriori predefiniti. E la risposta
va cercata non primariamente nellordine dei discorsi
ma del vivere concreto, risposta di vita (come lo la
domanda). La prassi pastorale chiamata a iniziare a
Ges Cristo e al Vangelo in modo che ci sia di aiuto
a vivere altrimenti la propria realt di donne e uomini,
in una societ in rapidissima evoluzione (non a rim-
piangere il tempo passato, quasi fosse tempo ideale
per vivere levangelo mentre non lo sarebbe la con-
temporaneit). Il cristianesimo non si offre come espe-
rienza religiosa nella quale semplificare la complessi-
t del vivere doggi anche se, molte volte, questo si
chiede allesperienza religiosa e quindi hanno successo
proposte che mirano a unillusoria semplificazione
dellesistenza. Si tratta piuttosto di offrire le radici di
un popolo e la prossimit di fratelli e sorelle nella fede,
di introdurre in una identit relazionale aperta e capa-
ce di confrontarsi con la pluralit. La Chiesa diviene
allora luogo di solidariet con altri cercatori, fraternit
che richiede confidenza e perdono, interesse per gli al-
tri e accoglienza dellAltro per eccellenza.

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4.2.Ridare trascendenza, ovvero il passaggio


dallessere qualcosa allessere qualcuno

Perch mai voler essere qualcosa, quando si pu


essere qualcuno? (G. Flaubert). La soggettivit mo-
derna si trasformata troppo spesso in dimensione
oggettiva che marca luomo, a partire dalle scienze
umane empiriche che vogliono spiegarlo e dedurlo.
necessario che ciascuno trovi il modo di fare esperien-
za di un cammino di personalizzazione e il cammino
di fede appunto questa possibilit. interrogandosi,
che si diviene persone. Ogni risposta non che il pun-
to di partenza per una nuova domanda, fino a com-
prendere che siamo domanda a noi stessi perch c in
noi uno sgorgare infinito di trascendenza. Potrebbe
innestarsi qui una dinamica di perenne insoddisfa-
zione, in un trascendere senza trascendenza che non
porta da nessuna parte. Per questo, iniziare allidentit
cristiana comporta un passaggio pasquale, di morte e
di vita. Accogliendo la sete di assoluto che costitu-
tiva del cuore umano, levangelo la misura con il reale
dellesistenza, individuale e collettiva. Questo obbliga
a vivere una morte per approdare alla vita: si muore
al proprio sogno ideale, a un trascendimento che se
viene da noi alla fine ha i nostri stessi limiti, per acco-
gliere il dono di una trascendenza che generazione
dallalto. Avviene unesperienza liberatrice e struttu-
rante, che guarisce le ferite profonde non perch le
cancella ma perch le consegna a Qualcuno, facendo
capire che il proprio nome lo si scopre ricevendolo da
Dio e dai fratelli. La dinamica di morte e vita trova eco
nellevento pasquale di Cristo stesso, come nostra ori-
gine. La sua pasqua diventa la nostra e viceversa, cos
siamo esseri di trascendenza, responsabili, trasformati
per vivere un dinamismo di continua risurrezione. Se
lesperienza ecclesiale non esperienza pasquale ha
perduto la sua focalizzazione; la grande notte di veglia
a Pasqua non solamente il luogo teologicamente pi
significativo per celebrare liniziazione soprattutto

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degli adulti, il luogo natio della comunit, la patria


dellanima alla quale ritornare e dalla quale ripartire
per una Chiesa viva e vitale.

4.3.Ridare parole, ovvero il raccontarsi come luogo


di rivelazione

Ladulto che domanda di diventare cristiano ha an-


zitutto la sua biografia da mettere in gioco, perch ci
che lo Spirito ha operato inscritto negli avvenimenti
della sua vita. Per questo diviene fondamentale il rac-
conto di s, che non racconto descrittivo bens nar-
rativo, che ha i caratteri dellimplicazione, dellinter-
pretazione, della testimonianza. Si tratta di persone
che non hanno un vocabolario religioso, quindi non
possono che dire se stessi o tacere; contrariamente a
chi dentro lesperienza cristiana da sempre e rischia
di fare uso del vocabolario religioso, senza minima-
mente dire se stesso (non per niente negli ambienti
ecclesiastici assai difficile che avvengano comunica-
zioni della e nella fede, racconti dove la propria fede
personale implicata). Nei catecumeni la scoperta di
Dio avviene nella scoperta di se stessi, vivono lavven-
tura di rileggere la propria storia e fanno esperienza
del proprio limite per dire la novit del Dio di Ges
Cristo; esperienza crocifiggente e insieme esperienza
di salvezza. Il racconto diviene luogo di rivelazione,
come succede nellepisodio di Emmaus: mentre di-
scorrevano e discutevano insieme, Ges in persona
si accost... Raccontando la loro storia e lirruzione
in essa di Dio, introducono nella loro vita lumani-
t di Dio (levento Ges). Come ci testimoniano le
Scritture, infatti, lumanit di Dio si introdotta nel-
la storia attraverso la narrazione. La Chiesa pertanto
non pu che essere luogo di circolazione della parola
venuta da Ges di Nazaret, parola che genera donne
e uomini nuovi e d volto a una comunit narrativa
di credenti.

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4.4.Ridare cammino, ovvero lesperienza di Chiesa


come soglia

Tra quello che vorremmo essere e ci che siamo


c una distanza; ci vale anche per lidentit cristiana
e soprattutto i catecumeni sono chiamati a operare la
rinuncia a un io spirituale ideale, che allinizio pote-
vano avere in mente. Lobiettivo del cammino inizia-
tico non , infatti, di condurre a una pienezza finale,
ma di fondare in ciascuno liniziazione sufficiente per
continuare insieme agli altri una ricerca di vita evan-
gelica. La dinamica battesimale permette di vivere le
primizie del progetto di Dio e nel medesimo tempo
di stare dentro lattesa della loro realizzazione (tra il
gi e il non ancora). La distanza tra lideale e il reale ,
per il credente, luogo della presenza di Cristo, luogo
di conversione continua, di perdono e di speranza.
accettando di non essere ancora cristiani che si ha
qualche possibilit di diventarlo, di oltrepassare altre
soglie: la vita cristiana tutta intera un passaggio, di
cui il battesimo sacramento. In questa prospettiva
anche la Chiesa diviene luogo provvisorio, non pun-
to di arrivo ma soglia, luogo di passaggio (cio luogo
di pasqua). Essa sacramento del regno, ci significa
che non il fine dellannuncio evangelico, il fine il
regno di Dio inaugurato da Cristo. Del resto Ges
dice di se stesso che la via, la porta: la Chiesa quin-
di luogo di passaggio verso la promessa che viene.
Iniziare gli adulti non significa farne dei cristiani inte-
grati rispetto a una Chiesa che conferma se stessa, ma
riscoprire attraverso il loro battesimo (evento genera-
tore, che delinea quindi il profilo di una identit coe-
rente: diventa ci che sei) il fondamento di un modo
di vivere cristianamente le soglie della vita, i passaggi
dellesistenza. Una prassi pastorale ispirata alla logica
catecumenale informa necessariamente una visione di
Chiesa.

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5.Verso una prassi pastorale riformulata


alla luce di chi viene iniziato

Raccogliendo in sintesi le indicazioni che vengono


dalla nuova sfida posta alle nostre chiese, alle prese per
la prima volta dopo un tempo di cristianit (che per
alcuni continua a rimanere come miraggio, abbagliati
dalla persistente richiesta sacramentale) con giovani e
adulti che chiedono di diventare cristiani, possiamo de-
lineare i tratti di una pastorale riletta a partire dai nuovi
venuti. Sempre che, abbiamo sottolineato pi volte, si
creda a una congiuntura voluta dallo Spirito e non si
pensi di avere a che fare con recuperi da operare, inte-
grandoli con minori costi possibili (spesso le richieste
dalle parrocchie sono di questo tipo: diteci come fare,
ma in fretta e senza troppe complicazioni!).

5.1. Una pastorale che dice il Dio di Ges Cristo

I catecumeni si incaricano sovente di ricordare al-


la Chiesa che essa non il punto di arrivo della loro
ricerca (anche problematicamente, dal momento che
la dimensione ecclesiale imprescindibile per la fede).
Ma, giustamente, per essi il problema Dio e nelle loro
richieste sottintesa la domanda: diteci Dio, il Dio di
Ges Cristo. La Chiesa non n la prima n lultima
parola del cristianesimo, totalmente riferita a Ges
Cristo, serva del Vangelo che annuncia. Con giova-
ni e adulti, che essa inizia allesperienza cristiana, la
Chiesa deve continuamente riscoprire ci che la fonda
prima di parlare di se stessa. Gli stessi accompagnatori
nel cammino catecumenale, se si lasciano interrogare
sulla loro fede personale, alla fine si ritrovano trasfor-
mati. Non va mai dimenticato che la conversione di
qualcuno passa sempre attraverso la conversione per-
manente di coloro che sono gi battezzati. In questo
modo, infatti, e solo in questo modo testimoniano che
la Chiesa non che linizio e non il fine della predi-

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cazione evangelica; si fa Chiesa perch il regno venga,


primizia e non realizzazione di questo stesso regno
di Dio. Un grande uomo di Chiesa come il cardinale
Martini ha lasciato, quale eredit alla comunit cristia-
na di cui stato pastore, Ripartire da Dio... (e aveva
iniziato ponendo In principio la Parola). La Chiesa
stessa chiamata a realizzare il progetto di un Altro,
per cui la dinamica catecumenale invito alle chiese di
udire ci che lo Spirito dice loro attraverso i catecu-
meni e domanda rivolta alle sicurezze pastorali che ci
fanno rimanere su terreni assodati: fino a dove sapre-
mo andare per metterci a servizio della novit di Dio
per il mondo?

5.2. Una pastorale di prossimit

Liniziazione cristiana fa entrare in una logica di


identit donata: Cristo che vive in me... Si tratta di
una appartenenza che costituisce il cristiano nel suo
essere persona, ma non pu risolversi nellappartenen-
za a una struttura. Prima di essere struttura la Chiesa
infatti confidenza nellaltro, volto di volti, prossi-
mit evangelica in cui le persone sono conosciute e
riconosciute. La stessa evangelizzazione non pu che
essere evangelizzazione di prossimit, dal momento
che lannuncio presuppone un incontro, un passag-
gio bocca a orecchio che diviene comunione cuore a
cuore. Camminando nella fede si fa esperienza di un
Vangelo che si vive nella carne uno dellaltro, dentro a
volti conosciuti, in storie anche accidentate che fanno
di questo stesso Vangelo molto pi di un testo (o lo
fanno, da libro, textus, tessuto di fili che sono nomi
e volti). La tradizionale pastorale di massa deve ridi-
mensionarsi per accogliere questa provocazione. Non
nel senso di diventare pastorale di lite, perdendo la
caratterizzazione di popolo che ha la Chiesa, ma nel
senso di accettare fino in fondo la logica della piccolez-
za tipica del Vangelo. Che senso ha parlare di pugno

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di lievito, granello di senape, piccolo gregge... se poi


non si vive fino in fondo la scelta di ci che ultimo,
piccolo, insignificante (misurando evangelicamente
persone, mezzi, obiettivi)? nella piccolezza la mi-
norit di Francesco dAssisi che si vivono i balbettii
della confidenza e della fede; il catecumeno lo sa, chi
lo accompagna condivide questa stessa esperienza, la
Chiesa nel suo insieme lo deve re-imparare arrivando
a scelte pastorali conseguenti.

5.3. Una pastorale che si prende tempo

Il processo di iniziazione domanda tempo; percepi-


re che il Vangelo libera la libert stessa non cosa che
simprovvisa. Prendersi il tempo di credere significa
mettere la distanza necessaria per discernere il Dio di
Ges Cristo nelle modalit con cui egli vuole fare al-
leanza con noi, darsi modo di vivere le tappe neces-
sarie per il cambiamento che levento cristiano provo-
ca nel credente. Il tempo delliniziazione un tempo
simbolicamente ricco, che fa entrare in un progetto di
salvezza; il Dio della rivelazione, infatti, si inscritto
nella storia e si preso lui stesso i tempi necessari al
suo progressivo svelarsi nella prima alleanza e nellal-
leanza definitiva in Ges Cristo. Ecco allora che il
cammino iniziatico diviene anche iniziazione ai tempi
della fede, che si modellano non sui nostri calcoli ma
sulliniziativa dello Spirito: Non spetta a voi conosce-
re i tempi e i momenti, ma avrete forza dallo Spirito
Santo.... Non semplice recepire questo stile nella
pastorale ordinaria, molto spesso gestita con tempi e
tappe predeterminati e omologanti; si semplifica cos
la gestione, ma si rischia di non essere minimamen-
te attenti ai ritmi delle persone e soprattutto allini-
ziativa dello Spirito. Rispettare i tempi di Dio e delle
persone, della sua e della nostra libert, domanda una
revisione delle scelte e della prassi vigenti e il coraggio
di un po di de-strutturazione per andare verso una

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personalizzazione dei cammini di fede. Una pastora-


le che si prende tempo sa anche distinguere il tempo
della semina da quello del raccolto (altri semina, altri
miete), vive senza ansiet il tempo dellattesa, in cui il
seme cresce da solo, legge i segni dei tempi attraverso
un paziente discernimento spirituale. Non si fanno i
cristiani a comando, si accompagna piuttosto una ge-
stazione con stupore e grande delicatezza. Come dice
la volpe al piccolo principe, nella deliziosa favola di
Saint-Exupry, non si dovrebbe mai arrivare in una
relazione importante e la relazione di fede sta al cuore
di tutte le relazioni a rimproverare le mille volte
che mi hai fatto fretta.

5.4. Una pastorale di identit meticcia

Il modo con cui un giovane o adulto si trova a esse-


re configurato a Cristo attraverso liniziazione cristia-
na vissuta in questet non certo il medesimo di chi
cresciuto nel cristianesimo fin dallinfanzia. Anche
socialmente egli dovr situarsi nel suo ambiente abi-
tuale con una etichetta diversa, come del resto vivr
una certa qual diversit rispetto alla comunit cristiana
costituita in prevalenza da credenti, che alcune realt
le praticano in certo senso scontatamente. Si trover
pertanto alla confluenza di due mondi, con il rischio di
una doppia estraneit; si pu cadere in identit deboli,
che non reggono alla prova del tempo, o fondamen-
talistiche, chiuse, addirittura aggressive. La situazione,
numericamente ancora eccezionale, delinea tuttavia un
orizzonte verso il quale si sta velocemente andando.
Siamo sempre pi nellera del meticciato, sfida e op-
portunit insieme, che vede il mescolarsi di persone,
idee, fedi, culture... Si pu cadere nellindifferenziato
o nellopporsi di identit rivendicate contro gli altri. Il
cristianesimo ha una grande carta da giocare, dal mo-
mento che fin dallinizio si caratterizza come annuncio
di una buona notizia proclamata nelle differenti lingue

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di chi laccoglie. C dunque una identit ben caratte-


rizzata, ma costitutivamente aperta a tutti i colori che
ne esprimono la ricchezza. Liniziazione marca una dif-
ferenza (non si diventa cristiani per essere come tutti)
ma non separazione, semmai immersione nellumano
di tutti con la specificit il sigillo dono dello Spirito
(al modo con cui, nella scena del battesimo, Ges si
immerge nella comune umanit e proprio l si rivela
la sua singolarit di Figlio diletto). La pastorale dovr
sempre pi farsi carico di elaborare proposte e cam-
mini, che facciano uscire dallindistinto di tanti pro-
fili di cristiano medio (dove la mediet si fa ovviet e
qualunquismo), ma aiutino i credenti in Cristo a non
aver paura di contaminarsi con laltro, il diverso, addi-
rittura lopposto o lavversario, offrendo la specificit
del Vangelo. Ci sar profezia di un mondo dove final-
mente si realizza la convivialit delle differenze.

Bibliografia
Documenti

Rito per liniziazione cristiana degli adulti (1978).


Liniziazione cristiana 1. Orientamenti per il catecu-
menato degli adulti (1997).
Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia.
Orientamenti pastorali dellepiscopato italiano per
il primo decennio del Duemila (2001).
Liniziazione cristiana 3. Orientamenti per il risveglio
della fede e il completamento delliniziazione cri-
stiana in et adulta (2003).
Questa la nostra fede. Nota pastorale sul primo an-
nuncio del Vangelo (2005).

Testi e articoli

H. Bourgeois, Identit chrtienne, Descle de Brou-


wer, Paris 1992.

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H. Bourgeois, Teologia catecumenale, Queriniana,


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M.L. Gondal, Communauts en christianisme, De-
scle de Brouwer, Paris 1993.
AA.VV., Spazi liberi per il vangelo. Accompagnare i
catecumeni doggi, EDB, Bologna 1994.
H. Bourgeois, Alla riscoperta della fede. Quelli che
ricominciano, Paoline, Cinisello Balsamo 1994.
Croire nouveau, Catchse 139 (3/1995).
A. Fossion, Dieu toujour recommenc, Lumen Vitae,
Bruxelles 1997.
AA.VV., Introdurre gli adulti alla fede. La logica ca-
tecumenale nella pastorale ordinaria, Ancora, Mi-
lano 1997.
Iniziazione cristiana degli adulti oggi. Atti della XXVI
settimana di studio dellAssociazione Professori di
Liturgia, Centro Liturgico Vincenziano, Roma
1998.
Il catecumenato oggi. 1. La prassi, La Scuola Cattoli-
ca 127 (1999), pp. 3-171.
Il catecumenato oggi. 2. Le domande, La Scuola Cat-
tolica 127 (1999), pp. 174-354.
Les adultes aussi, Catchse 135 (2/1999).
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tamenti pastorali 7-8/2002, pp. 29-97.
P. Bguerie - M. Pig, Il catecumenato, cammino di
vita, Dehoniane, Bologna 2002.
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stiana. Documenti e orientamenti della Conferenza
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2004.
R. Paganelli (a cura), Diventare cristiani. I passaggi
della fede, Dehoniane, Bologna 2007.
P. Caspani - P. Sartor, Iniziazione cristiana. Litine-
rario e i sacramenti, Dehoniane, Bologna 2008.

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Emanuele Bortolazzi Marco Preato Paolo Ursino


Elaborazione del lutto.
Percorsi di risurrezione
nelle situazioni di fallimento

1. Questioni introduttive

1.1. Lesperienza del lutto

Il dolore umano ha una diversit di lacrime e sof-


ferenza, una molteplicit di volti numerosa quanti
sono i volti degli uomini e delle donne che vengono
alla vita. Il dolore in tutto il suo spessore accompagna,
talvolta precede e sempre segue la vita delluomo per
quanto lungo o breve sia il suo cammino.
Attraversare le fasi della crescita, lo stesso venire
alla vita comporta un progressivo incontro con la sof-
ferenza che va maturando nella consapevolezza e nel-
la percezione. Ci sono infiniti volti della sofferenza
umana che passano dalla malattia allassenza, dalla de-
pressione alla paura, dallattesa incompiuta ai patemi
danimo.
Forse tutto potrebbe essere riassunto dentro lim-
magine reale della morte. Questa realt racchiude la
totalit del dolore se ne cogliamo lo spessore e la tragi-
cit nelle sue forme pi diverse, non soltanto in quella
comune della perdita della vita del soggetto. Morte
anche assenza, separazione, distanza, distacco, abban-
dono, fallimento...
Morte tutto ci che lacera non soltanto il corpo
ma la totalit della persona, raggiungendo lanima nel
suo profondo.

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1.2. I tanti volti del lutto

Intendiamo per lutto:


La nascita, considerata la vera prima grande perdita, il
primo grande distacco.
La crescita, fatta di continue perdite.
La perdita dei beni materiali.
La perdita dei legami affettivi. La rottura di un rap-
porto sentimentale si accompagna a un senso di fal-
limento che porta lo strascico della delusione e il
timore di affidarsi a nuove relazioni.
La perdita dellidentit personale, distacco che non
porta ferite sulla pelle, ma che segna profondamen-
te lanima.
La perdita della salute.
La perdita di ci che non si mai avuto: certi sogni che
rimangono irrealizzati carriera o un progetto di
vita, bambino che non ha potuto conoscere i pro-
pri genitori o i propri nonni, coppie che soffrono
il dramma della sterilit e si sentono private di un
diritto sono veri lutti che procurano dolore per
ci che non si mai avuto.
La morte. la separazione pi temuta, sia che riguardi
noi stessi, sia che riguardi una persona cara1. Quan-
do si vive questa perdita, si entra in quel tipo spe-
ciale di lutto che chiamato cordoglio.

Di tutte queste esperienze tenteremo di analizzare


distintamente due particolari prassi dellelaborazione
del lutto: quella legata alla perdita di una persona cara
e quella legata al fallimento di una relazione specifica-
tamente nei casi di separazione.

1
La paura che afferra il malato in ci che pi profondo di lui
lattaccamento alla vita contagia facilmente quanti lo assistono
risvegliando in essi, oltre che il pensiero della propria fine, anche
esperienze passate di separazione e di lutto non risolto: A. Brusco,
Attraversare il guado insieme, Gabrielli, San Pietro in Cariano 2007,
p. 213.

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2. Fase dellosservazione-comprensione

Il metodo teologico-pastorale del vedere-giudica-


re-agire prevede che lo studio e lanalisi di una deter-
minata prassi siano effettuati distinguendo i tre mo-
menti dellosservazione, della comprensione e della
proiezione. Il nostro studio unisce le prime due fasi:
mentre osserviamo, tentiamo gi di capire le modalit
con le quali si sono strutturate le prassi e il senso che
in essi risiede.

2.1.Mappatura delle esperienze e strumenti


utilizzati

La nostra indagine si muove allinterno delle espe-


rienze incontrate nella diocesi di Verona. Pi precisa-
mente le proposte si sono mosse su due direzioni:
Un itinerario di spiritualit rivolto a coloro che
hanno perso un proprio caro, in particolare un figlio:
Tuo figlio vive.
Gruppi di Auto Mutuo Aiuto: Eppure il vento
soffia ancora.
Le proposte sono distribuite capillarmente in tutta
la diocesi. Il nostro studio ha preso in considerazio-
ne entrambe le tipologie, analizzando le esperienze di
Bovolone e Vago, per il primo caso, e quelle di Sezano
(Vr) e Verona (quartiere Borgo Roma) per il secondo
caso.
A queste abbiamo aggiunto anche lesperienza del
Gruppo di condivisione e sostegno, diretta allelabora-
zione del lutto di persone che hanno vissuto il trauma
della separazione.
Nella nostra analisi ci siamo serviti di interviste ai
parroci, racconti di vita, questionari2. Oltre che met-

2
I risultati dei questionari che abbiamo tradotto in grafici, per ov-
vi motivi di spazio, non sono stati inseriti in questo contributo.

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terci a disposizione materiale vario, come volantini,


testi di preghiere, spunti di meditazione ecc., ci stata
data anche la possibilit di prendere parte ad alcuni
incontri.

2.2. Itinerario di spiritualit: Tuo figlio vive

Genitori con figli in cielo Parrocchia di Bovolone

Lesperienza nata cinque anni fa nella parrocchia


di Bovolone (Vr), come desiderio della comunit cri-
stiana di condividere, con le famiglie colpite da un lut-
to per la morte di un figlio, un momento di preghiera
e di semplice dialogo sul loro vissuto.
Il nome scelto si rif allesperienza dellassociazio-
ne nazionale Figli in cielo Scuola di fede e di preghie-
ra con sede a Parma, guidata dalla signora Andrea
na Bassanetti. Aggiungendo genitori il gruppo di
Bovolone ha inteso darsi una connotazione specifica
e in qualche modo distinguersi dallassociazione na-
zionale.
Inizialmente il gruppo si riuniva il primo luned del
mese e lincontro consisteva in un momento di pre-
ghiera con la recita del Rosario, cui seguiva un secon-
do momento di confronto tra i genitori, aiutati da una
scheda realizzata dalla signora Bassanetti, contenente
una meditazione e alcune domande.
Da un anno e mezzo si aggiunto un secondo in-
contro, il terzo luned del mese, con la recita del Ro-
sario cui segue la celebrazione della santa messa. A
questo momento sono presenti un maggior numero di
persone, perch in chiesa pi facile nascondere la
propria sofferenza e vivere leucaristia nel ricordo del
figlio scomparso prematuramente. La messa quella
dorario, alla quale partecipano anche altre persone
della comunit, e non una celebrazione esclusiva per il
gruppo Genitori con figli in cielo.
Il cammino non ha alcuna scadenza. Obiettivo de-

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gli incontri come di tutte le attivit parrocchiali


quello dellevangelizzazione: far risuonare il Vangelo
a quanti si trovano nel dolore e nella sofferenza per la
perdita di un figlio, affinch ognuno diventi evange-
lizzatore nei confronti di quanti vivono la medesima
esperienza umana.
Molto positiva la testimonianza di alcuni genitori
che, dopo un cammino di fede, sanno mettersi accan-
to ad altri genitori per condividere la loro sofferenza
e farsi cos compagni di strada in un tratto di vita
segnato da un lutto.

Tuo figlio vive itinerario di spiritualit

Il titolo si riferisce allespressione pronunciata da


Ges di fronte al funzionario del re che aveva chiesto
la guarigione del proprio figlio malato (Gv 4,50). Que-
sta immagine di un padre disperato che, per la sorte
del suo bambino, ricorre a Ges diventa paradigmatica
dellesperienza di tanti genitori che piangono la mor-
te dei loro figlioli e cercano nella Chiesa una parola
di speranza, di consolazione e di certezza. Nel titolo
Tuo figlio vive c dunque la consapevolezza che il
gruppo pu diventare eco di quella parola pronunciata
da Ges, capace di ridare conforto, vita e speranza.
Avviata alcuni anni fa a Verona per iniziativa del ret-
tore del santuario della Madonna della Corona, lini-
ziativa da un anno e mezzo assunta a livello dioce-
sano tramite lufficio di Pastorale della Salute, su sol-
lecitazione anche di due convegni diocesani sul tema
dellelaborazione del lutto. La proposta si rivolge ai ge-
nitori che hanno perso un figlio, con lintento di aiutarli
a elaborare il lutto alla luce del mistero pasquale, attra-
verso un cammino scandito da momenti di preghiera,
di amicizia, di confronto e condivisione fraterna.
Attualmente sono state individuate in ogni vicaria
una chiesa (santuario o parrocchia) e alcuni sacerdoti
incaricati della celebrazione della messa per quei geni-

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tori e persone che vivono con fatica il tempo del lutto


a seguito della perdita di persone care o significative.
Per questi sacerdoti prevista pure una formazione
che li aiuti ad acquisire una maggiore capacit di ani-
mare gli incontri di preghiera e di svolgere un accom-
pagnamento spirituale.

Tuo figlio vive Parrocchia di Vago

Lesperienza fa riferimento alla parrocchia di Vago


(Vr) ed guidata dal parroco don Gianni Naletto, gi
cappellano dellOspedale, che ricopre anche lincarico
di vicedirettore dellUfficio della Pastorale della Salu-
te e che segue pure un gruppo di Auto Mutuo Aiuto.
Lincontro Tuo figlio vive viene tenuto nella
parrocchia la quarta domenica del mese al pomerig-
gio e consiste nella celebrazione della messa prevista
esclusivamente per il gruppo composto di genitori che
hanno perso un figlio. I presenti sono circa una cin-
quantina.
Don Gianni precisa che la celebrazione non si ri-
duce semplicemente a una messa di suffragio dei figli
defunti, ma vuole essere un momento di condivisione
delle proprie esperienze, difficolt e sofferenze, per
sentire la vicinanza di altre persone che hanno dovuto
fare i conti con lesperienza buia della perdita di una
persona cara. Si tratta di un percorso a tappe mensili,
un cammino da compiere insieme.
Lobiettivo che si propone il sacerdote non tanto
quello di dare soluzioni o ricette pronte, ma piuttosto
dar voce a quei sentimenti che si annidano nel cuore
dei presenti e farsi loro vicino.

Quale comprensione di queste esperienze?

I dati raccolti evidenziano anzitutto la positivit


di queste prassi analizzate. I partecipanti che abbia-
mo intervistato si sono detti, allunanimit, soddisfatti

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dellesperienza vissuta e hanno sottolineato come la


partecipazione al gruppo li abbia aiutati a ridare senso
al loro dolore.

Come e perch si sono costruite e portate avanti


queste prassi?

Le due prassi nascono come espressione di una co-


munit cristiana che si fa accanto a chi vive il momento
del lutto e si propongono lobiettivo di evangelizzare
lesperienza umana del dolore e della sofferenza.
La Chiesa comprende perfettamente il desiderio di
un genitore che ha perso un figlio di entrare in con-
tatto con lui anche se non lo vede pi, e gli offre con-
cretamente lo strumento: la preghiera. Una preghiera
dentro gli avvenimenti, che diventa riconoscere i passi
delleterno nelle vicende umane, specie nella propria
vicenda personale, come se ogni frammento del vissu-
to nascondesse una presenza di Dio, del Dio che viene.
Se il genitore prega per il figlio e il suo riposo eterno,
non potremo mai sapere quanto la preghiera del figlio
in cielo sostenga e illumini la fede e la vita del genitore
in terra. il mistero della comunione orante!
Chi ha perso un figlio e sta soffrendo non pu es-
sere consolato da consolazioni effimere, illusorie, ma
unicamente dalla verit e la verit, per un credente,
detta da una morte, la morte del figlio Ges, una mor-
te da cui viene la salvezza, in quanto svela la verit
dellamore del Padre, e che d pure un significato a
tutte le morti, di tutti i figli. Ecco dunque il senso del-
la celebrazione delleucaristia come celebrazione della
pasqua, la risurrezione di Cristo, e quindi celebrazio-
ne di ogni morte terrena.
Il perch di queste prassi lo possiamo ritrovare nel-
le parole che il direttore dellUfficio della Pastorale
della Salute ha pronunciato in occasione della presen-
tazione del convegno sullelaborazione del lutto tenu-
tosi a Verona nellottobre 2007:

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Perch ci sentiamo spingere da Ges buon pastore che co-


nosce le sue pecore una ad una, condivide la loro vita e per
esse la dona, e da Ges buon samaritano, che si preso le
nostre sofferenze e si addossato i nostri dolori, ad aprirci
alle persone che vivono una sofferenza devastante, a volte
nascosta, dopo la morte.

Appare evidente che le due esperienze analizzate


sono pi allineate sul versante della spiritualit che su
quello antropologico-psicologico.
Osservando la prima esperienza, Genitori con figli
in cielo, dalla prospettiva del come si costruita ed
stata portata avanti possiamo evidenziare unevolu-
zione della prassi. Dallincontro di preghiera e di con-
fronto chiuso al solo gruppo, c stata una successiva
apertura alla comunit, con la celebrazione della mes-
sa e la recita del Rosario aperto a tutti.
Questa apertura resa possibile dai sacerdoti della
parrocchia d beneficio da una parte agli interessati
al lutto, che si sentono sostenuti e accompagnati da
una comunit che prega e si fa loro vicina, e dallaltra
alla comunit stessa, che di fronte allesperienza della
morte provocata ad assumere un volto pasquale e
offrire speranza. Ma emerge pure la tentazione di una
certa chiusura e autoreferenzialit nelle parole di alcu-
ni partecipanti intervistati, che vorrebbero una messa
celebrata esclusivamente per il gruppo e sentirsi paro-
le dirette a consolare il loro dolore.
Solo continuando su questa linea di apertura alla
comunit si potr evitare il rischio dellautoreferen-
zialit, facendo sentire che la fede di tutta una comu-
nit che si trova a celebrare il mistero della pasqua ed
chiamata a offrire speranza a chi la chiede.

2.3. Eppure il vento soffia ancora

Lesperienza del lutto spesso cos forte da toglie-


re il fiato, da far dire a chi la vive: Quando ci penso
mi sento soffocare. Ci si sente come chiusi sotto una

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campana di vetro, chiusi a qualsiasi altra possibilit


di incontro e di relazione. E pian piano laria viene a
mancare.
Lopportunit di confrontarsi e di scambiare le
esperienze nel gruppo di mutuo aiuto agisce come da
grimaldello, che solleva quella campana di vetro e co-
mincia a far passare laria. Finalmente si tira il fiato,
si torna a respirare, si pu riprendere a vivere.
Ma limmagine porta in s anche una valenza reli-
giosa, per chi vive il lutto in unottica di fede. Il vento
che soffia evoca il luogo della manifestazione della
presenza del Signore, la brezza leggera il passaggio di
Dio nella vita, il vento il soffio di Dio che crea la vita
e lo Spirito di Ges donato dalla croce sul punto di
morire.
Limmagine del vento che soffia ancora dunque
come una medaglia a due facce, che pu essere signifi-
cativa sia per chi vive lesperienza da un punto di vista
semplicemente umano, sia per chi si sente toccato,
provocato, sostenuto dal dono della fede.

Sezano: lAuto Mutuo Aiuto


A. Che cos?

Si tratta di unesperienza di ascolto e condivisione


di vissuti da parte di persone in lutto per la morte di
una persona cara (un figlio, un genitore, un fratello,
il marito, la moglie, un amico...). Gli incontri hanno
cadenza mensile e sono condotti da un sacerdote-par-
roco di Poiano (Vr), don Luciano Ferrari. Lobiettivo
quello di far fare ai partecipanti un percorso che non
si limiti a un numero ristretto di appuntamenti, ma si
estenda negli anni.

Spesso chi perde un proprio caro vive lo smarrimento, il


vuoto, la rabbia, i sensi di colpa. [...] Con laiuto di un con-
duttore, si impara a condividere e a cercare, dentro se stes-
si, le ragioni morali e spirituali per vivere.

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Queste parole del volantino di presentazione in-


dicano gi lo stile e le intenzioni del gruppo: il con-
duttore non ha la pretesa di dare risposte gi pronte
a coloro che vi partecipano ma, attraverso la condivi-
sione, ognuno ha la possibilit di esprimere i propri
sentimenti o le proprie reazioni di fronte allevento
del lutto. Poter esternare le proprie emozioni diven-
ta un modo per ridimensionare molti tratti negativi o
aspetti problematici.
A volte, nel silenzio, semplicemente mettendosi in
ascolto del vicino, possibile riconoscere, in quello
che lui dice, la modalit giusta per esprimere anche
personalmente ci che si prova dentro, ma per cui non
si trovavano le parole. E cos, esprimendo il proprio
dolore, si pu essere di aiuto a un altro, che proprio in
quelle parole si riconosce, identificando gli stessi stati
danimo, le stesse emozioni... quelle emozioni che pri-
ma non riusciva a tematizzare esplicitamente.

B. I risultati del questionario

In questa occasione i partecipanti sono 14 (di cui 9


donne e 5 uomini). Let media di 49 anni. La mag-
gior parte di essi venuta a conoscenza dellesperien-
za tramite la figura del parroco.
Il questionario consente di mettere a fuoco alcune
realt. Le domande infatti ruotano principalmente at-
torno a tre temi: i propri sentimenti/sensazioni, lim-
magine di Dio e limmagine di Chiesa, prima durante
e dopo il lutto. I risultati tuttavia si presentano molto
variegati. Dal confronto delle risposte sembra emer-
gere una realt: con lesperienza del lutto, in molti ca-
si, fa capolino limmagine di un Dio severo, giudice,
imprevedibile, talvolta castigatore. Tali immagini ne-
gative si ridimensionano nei periodi successivi e gra-
zie anche alla partecipazione ai gruppi di Auto Mutuo
Aiuto. Ma non sempre. Infatti alcuni dati raccolti sem-
brano addirittura essere in contrasto fra loro.

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Il lutto si presenta come qualcosa di negativo, di


opprimente, qualcosa che toglie luce alla vita. I cam-
biamenti che si hanno nel modo di pensare Dio, degli
attributi e delle caratteristiche, dipendono da diversi
fattori (et, educazione, carattere personale). In molti
casi la persona continua a relazionarsi a Dio e la sua
immagine non subisce delle variazioni assolute, sola-
mente vive in maniera problematica la relazione.

C. Il valore del silenzio

Il silenzio assume un valore rilevante allinterno


del gruppo. I silenzi, seppur vissuti con sofferenza e
disagio, permettono di prendere fiato, diventano mo-
menti di comunione che ridanno forza e consentono
di interiorizzare. Silenzi non sopportati ma molto elo-
quenti, che diventano di grande riflessione e di aiuto
al pensiero.

2.4. Gruppo di condivisione e sostegno

Nel corso della nostra ricerca ci siamo accorti che,


oltre alla vastit dellargomento, c un particolare
lutto che coinvolge un numero considerevole di per-
sone. Si tratta del lutto inteso come separazione, co-
me distanza; quello che nasce da un fallimento affet-
tivo-sentimentale, da una crisi e rottura di un legame
matrimoniale. Purtroppo la sensibilit pastorale non
risponde cos prontamente a questa realt di soffe-
renza.
Nella diocesi di Verona attivo un Gruppo di con-
divisione e sostegno guidato da un sacerdote-parroco
di Garda (Verona), don Giuseppe Marchi, che opera
una pastorale diretta allelaborazione del lutto di per-
sone che hanno vissuto il trauma della separazione.
Talvolta questo trauma sembra essere ben pi pro-
fondo della perdita fisica di una persona cara, con il

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rischio di sfociare anche in forme patologiche. Non


n la morte n una malattia, ma lo pu diventare.
Non per nulla facile accettare e rielaborare las-
senza di una persona viva, in quanto una porta rimane
comunque aperta per il cuore umano, che sempre
invincibilmente teso verso la speranza. Significative,
a tale riguardo, sono le parole di una signora che ha
partecipato al gruppo: Almeno chi perde un figlio ha
una tomba su cui piangere, mentre mio marito anco-
ra vivo, ma non pi mio, non pi con me.
Don Giuseppe vive lesperienza dei gruppi di Auto
Mutuo Aiuto da pi di undici anni. Gi formato a li-
vello personale sulla terapia di gruppo e il counseling
professionale, appoggiato al Centro Camilliano, segue
la pastorale dellelaborazione del lutto in riferimento
specifico ai casi della separazione e del divorzio o di
situazioni di coppia conflittuali.
Questo tipo di pastorale uniniziativa diocesana
promossa dal Centro di Pastorale Familiare, che coin-
volge persone provenienti da tutto il territorio della
diocesi.
Il corso proposto si strutturato in un biennio. Da
un cammino specificatamente antropologico si realiz-
za progressivamente unelaborazione dellassenza del
coniuge che porta a una riconciliazione con se stessi,
con laltro, con Dio e a volte anche con la Chiesa.
I due anni sono tassativi, dopo di che c linvio: le
persone che lo richiedono o arrivano alla consapevolez-
za di alcune loro difficolt o iniziano altri cammini di
psicoterapia o di fede. Non previsto un terzo anno.
Nel corso dei due anni viene fatto divieto ai parte-
cipanti di trovarsi fuori dal gruppo, per evitare che ci
siano appoggi ulteriori su cui ricadere.
Si chiarisce fin dallinizio che il gruppo non fina-
lizzato a trovare un compagno o una compagna, ma a
ritrovare se stessi. Per tale ragione sono vietate unioni
o approcci sentimentali tra i componenti del gruppo, il
che porterebbe a spostare il problema personale, cer-
cando un rifugio, una stampella, una sostituzione...

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Si tratta dunque di un cammino lungo, anche se


non sempre realizzato in pieno, ma che permette alle
persone di riscoprire un senso allinterno di unespe-
rienza vissuta che porta i tratti della drammaticit.
La separazione, infatti, ha talvolta uno spessore di
infelicit e di fallimento che travolge il soggetto nella
dimensione pi totale della sua esperienza, raggiun-
gendo il profondo della sua intimit, al punto che la
rabbia e la disperazione gettano un grosso peso su
tutta la persona. Da ci la necessit di riprendere con-
sapevolezza che anche la propria storia pu avere un
senso.
Il biennio strutturato in due gruppi. Le perso-
ne coinvolte arrivano a un numero massimo di 12/15.
Let molto varia e va dai 35 ai 65 anni.
Il biennio prevede tappe molto chiare: dallascolto
delle realt vissute allaccettazione di quanto si co-
struito o ci si trovati a vivere, fino alla riconciliazio-
ne con se stessi e con la propria storia.
Sar lapertura al perdono il momento della vera
evangelizzazione.
Fondamento del biennio e dellattivit di gruppo
lascolto. Per ascolto si intende quella capacit di sta-
re senza giudizio, aperti a ci che laltro vuole dire,
permettendogli di raccontarsi nella forma, nei tempi e
nelle espressioni che pi crede opportune e adatte per
dire la sua storia.
Raccontare il proprio vissuto un momento fon-
damentale di tutto il programma.

3. Fase della proiezione

3.1. Quale immagine di Dio?

Dai questionari e dalle interviste raccolte possiamo


cogliere come limmagine di Dio nelle persone non
mai venuta meno, anche se nel momento del lutto si
fatta pi problematica, entrando in crisi.

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Nel modo di pensare Dio sembra non influire tanto


let quanto la situazione esistenziale e particolare di
vivere lesperienza del lutto. Ci sono persone giova-
ni, adulti e anziani maggiormente disposte a lasciare
ristrutturare la loro immagine di Dio, come ce ne sono
altre che fanno pi fatica e vivono legate alla loro im-
magine, anche dopo aver frequentato il gruppo. Non
si tratta solo di una semplice modifica dellimmagine,
ma di una vera e propria destrutturazione che con-
sente alle persone di riscoprire un Dio pi personale
e pi vicino.
Nellambito del gruppo di elaborazione del lutto del-
la separazione, limmagine di Dio appare strettamente
legata allimmagine di Chiesa. Una Chiesa giudicante
e che mette alla porta ha fatto nascere limmagine di
un Dio giudice, severo. La frequentazione agli incontri
ha permesso alle persone di scoprire via via un volto
nuovo di Chiesa pi vicina e accogliente, e conseguen-
temente ripensare a unimmagine di Dio pi positiva.
Alcuni intervistati hanno sottolineato come lespe-
rienza di dolore partecipata nel gruppo sia stata unoc-
casione positiva e feconda per interrogarsi su Dio, per
riscoprirne un volto nuovo, nonch per aprirsi a una
visione di fede pi adulta. Ci avviene necessariamente
attraverso laccettazione della propria fragilit, del pro-
prio dolore, che riconoscimento della propria creatu-
ralit. Nelle fragilit umane possibile riconoscere una
via di apertura al mistero dellamore di Dio.
Anche gli animatori-operatori che si prendono ca-
rico di queste iniziative sono chiamati in prima perso-
na a elaborare la propria immagine di Dio alla luce dei
propri lutti e dellesperienza condivisa.

3.2. Quale immagine di Chiesa?

Dal momento che il tema stato affrontato in due


prospettive, si pu dire che limmagine di Chiesa che
ne emerge porta sfumature diverse.

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Nei partecipanti ai gruppi di Auto Mutuo Aiuto e


agli Itinerari di spiritualit emerge sostanzialmente
unimmagine di Chiesa positiva, accogliente, capace di
farsi accanto, di stare in ascolto e condividere le espe-
rienze di morte.
Diversa la situazione per i separati che devono
rielaborare il lutto. C un risentimento molto forte
verso la Chiesa istituzionale, che viene vista come giu-
dicante, lontana, priva di sensibilit e solamente capace
di porre leggi. Una Chiesa insomma che esclude, che
categorizza i cristiani in base agli errori o ai fallimenti.
Allo stesso tempo, per, lattenzione pastorale di sa-
cerdoti verso le persone che vivono il dramma della
separazione ha offerto loro la consapevolezza di essere
dentro una Chiesa che comprende, non giudica, rima-
ne accanto. Una Chiesa, questa, che tuttavia non viene
considerata in continuit con quella istituzionale.
I sacerdoti, che come il buon samaritano si fanno
carico delle sofferenze e delle ferite delle persone, e
la stessa comunit cristiana diventano cos unimpor-
tante mediazione ecclesiale e permettono di far speri-
mentare la realt di una Chiesa compagna di viaggio e
solidale con chi vive esperienze di lutto.
Limmagine di Chiesa passa anche attraverso la cura
della celebrazione dei funerali: significativo momento
di evangelizzazione e di concreta vicinanza a quanti
vivono il momento acuto del dolore.
Laddove la messa di orario viene sostituita da un
funerale, diventa ancora pi vera limmagine di Chiesa
per la presenza della comunit cristiana che, celebran-
do il mistero pasquale, offre aiuto spirituale al defun-
to, consolazione e speranza a quanti ne piangono la
scomparsa.

3.3. Alcune indicazioni pastorali

Il percorso che abbiamo svolto ci sembra suggerire


alcune indicazioni utili per la pastorale. In particolare

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lelaborazione del cordoglio e della separazione apre


la strada ad alcune nuove prospettive:
1. Come gi sperimentato in alcuni paesi, si potreb-
bero celebrare le esequie durante la messa dorario, in
modo da dare un senso comunitario a un momento
tanto importante come quello della morte.
2. Al posto della recita del Rosario per il defunto si
pu proporre la celebrazione di momenti comunitari
di ascolto della Parola e di possibilit di sfogare il pro-
prio dolore condividendolo nel ricordo della persona
scomparsa.
3. Creare luoghi di ascolto e condivisione per tutte
le persone che si trovano nella solitudine e nella diffi-
colt di rielaborare un lutto.
4. Considerare la fragilit come una risorsa per la
Chiesa, una opportunit grande per verificare se e in
che misura siamo capaci di servire Dio nelluomo e
che la via elettiva in proposito lascolto, laccoglien-
za delluomo fragile e la condivisione della fragilit
non soltanto come risorsa ma come dono. Il primo
atteggiamento che un uomo, una donna dovrebbero
avere quello di fermarsi per ascoltare, guardare, ve-
dere e capire, come fece il samaritano. Potr non toc-
care a noi la risposta necessaria, ma tocca sempre a
noi lascolto, la vicinanza il voler andare a vedere cosa
possiamo fare, cio offrire speranza a chi la chiede3.
5. Essere segno di una carit pastorale ministero
di umanit di condivisione4 che si astiene dal giudizio
e dallaccusa verso persone che sperimentano il dram-
ma del fallimento di una storia damore.

3
A. Sabatini, Dietro quelle ombre la luce del volto di un Padre
buono, Atti del Convegno Ecclesiale di Verona, 17 ottobre 2006,
p. 132.
4
A. Sabatini, Quante ferite ancora in attesa che qualcuno se
ne curi, Atti del Convegno Ecclesiale di Verona, 17 ottobre 2006,
p. 186.

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4. Conclusioni
4.1. Liniziazione alla fede

La prassi dellelaborazione del lutto si presenta e si


struttura sul paradigma delliniziazione alla fede. Cre-
diamo che per tanti fra coloro che sono coinvolti in
questa esperienza ci sia davvero un passaggio pasqua-
le: la morte con il suo irrompere spezza dei legami,
porta via qualcosa, stende la sua notte su coloro che
rimangono. Chi vive il lutto sperimenta di essere con
le spalle al muro, sente lassenza della persona cara,
che a volte anche assenza di Dio. E il problema pi
grande che da questa situazione sembra non poterne
venire fuori; come una discesa agli inferi.
La partecipazione alle iniziative di elaborazione
del lutto costituisce per molti uno spiraglio, un gettar
luce sullesperienza buia della morte. Qualcosa che ti
raggiunge timidamente, per linvito del parroco, per
la parola di un amico, per il coinvolgimento della co-
munit. Ti prende per mano. Ti senti acciuffato. Per
la prima volta percepisci che si pu risalire. Ma c un
passaggio che occorre fare: la realt nuova nella quale
ci si affaccia non pu essere un semplice ricostituirsi
del prima...

4.2. Maddalena, un paradigma

Lesperienza di Maria di Magdala al sepolcro (Gv


20,11-18) diventa paradigmatica. Lelaborazione di un
lutto si presenta certamente come un cammino. Le af-
finit tra Maria di Magdala e coloro che fanno un per-
corso di rielaborazione sono tante. Spesso si rimane
chiusi nel proprio dolore e lunico conforto sembra
quello dato dal ricordo passato, dal culto degli oggetti
cari, dalla reiterazione di momenti vissuti insieme. Il
cammino pian piano metter in luce che bisogna com-
prendere che la persona defunta non c pi. C una

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nuova forma di presenza alla quale corrisponde un


nuovo modo di cercare. In questo contesto possibile
relazionarsi con la persona defunta: non possiamo far-
la rivivere, ma possiamo mettere a frutto quello che ci
ha lasciato in eredit, in termini affettivi e relazionali.
Il ruolo della comunit di fondamentale impor-
tanza. Le prassi mettono in evidenza che possibile
elaborare il proprio lutto dentro quella rete di relazio-
ni umane che si instaura nei gruppi. Nella logica della
condivisione, del farsi carico, del narrare e ascoltare,
nei silenzi condivisi. proprio l che risuona lannun-
cio pasquale. Maddalena ce lo insegna.
Unultima considerazione. Lelaborazione del lutto
trova nellepisodio di Maria di Magdala un punto di
riferimento per un motivo ben preciso: dietro la ricer-
ca di Maddalena vi tutta la comunit cristiana gio-
vannea che si interroga sullassenza del Signore. E che
cos la vita cristiana se non proprio lelaborazione
di un grande lutto, quello di Ges Maestro? Trovare
senso a tale domanda costituisce una risposta ai tanti
piccoli o grandi lutti con i quali bisogna fare i conti.
E viceversa: una domanda sulla morte una domanda
sulla vita e sul Dio della vita.
Il lutto cos, da esperienza negativa, pu diventare
occasione per interrogarsi su Dio, sulla propria fede,
sulla propria vita cristiana... e, in molti casi, occasio-
ne per ri-cominciare a credere. Ma c di pi: alcune
persone nate cristiane (semplicemente cristiane per il
fatto di essere nate in contesto cristiano) lo diventano
per la prima volta proprio passando da quel battesi-
mo esistenziale di morte e risurrezione: dal buio, dal
freddo, dallo sgomento di un lutto, alla pienezza di
una vita alla quale, in Cristo, riconsegnato senso e
sapore.

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Maria Teresa Camporese Stimamiglio Maria Ferro


Adriana De Vito Piovan Luciano Todesco
La fragilit affettiva
come luogo iniziatico

1.Introduzione
Come individuare i passaggi di fede? Quali sono gli
elementi che li favoriscono? Che ruolo gioca la parola
di Dio in tutto questo? Le transizioni della vita posso-
no essere luoghi iniziatici? Come?
Bastano queste poche domande per spalancare lo
scenario affascinante e intricato della trasmissione
della fede.
Il presente intervento non vuole fornire una tratta-
zione sistematica dellargomento, ma semplicemente
proporre i punti salienti e le conclusioni pi significa-
tive di un lavoro di analisi di una prassi pastorale: nel-
lo specifico si tratta di una serie di incontri proposti
dallUfficio di pastorale familiare della diocesi di Pa-
dova, denominati Incontri di spiritualit per persone
in condizione di separazione coniugale e/o divorzio1.
Stando alla distinzione fatta propria dal Convegno
Ecclesiale di Verona (ottobre 2006) si pu dire che la
prassi presa in esame si colloca nei due ambiti dellaf-
fettivit e della fragilit o se si preferisce nellambi-
to della fragilit affettiva.
Lidea portante di questa analisi che la fede si tra-
smette l dove il soggetto vive unesperienza pasquale,

1
Il presente lavoro frutto di unanalisi nata, sviluppatasi e com-
piutasi allinterno del seminario interdisciplinare dal titolo La tra-
smissione della fede oggi. Iniziare alla vita cristiana, dono e compito,
tenutosi a Padova presso la Facolt Teologica del Triveneto nellanno
accademico 2008/09.

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quando sperimenta il passaggio da una situazione di


morte, chiusura, sofferenza a una situazione di aper-
tura, novit, rinascita e tale passaggio illuminato dal-
la luce della risurrezione.
Lesposizione si articola nei seguenti punti: breve
descrizione della prassi presa in esame e studio di un
singolo incontro; lettura e interpretazione, in ordine
alla trasmissione della fede, dei dati raccolti durante
un incontro; proiezioni e considerazioni.

2.Una storia che parte da lontano

Partendo dalla lettura di documenti e dal raccon-


to/testimonianza di persone che hanno vissuto le sta-
gioni della pastorale familiare nella diocesi di Padova,
possibile una ricostruzione del percorso storico e
delle motivazioni e intenzioni pastorali che negli anni
hanno dato alla prassi la sua forma attuale. Si sono in-
dividuate le seguenti tappe:
nel triennio pastorale 1999-2001 la Commissione
diocesana per la famiglia programma una riflessione
sul disagio familiare partendo dalla realt dei vissuti
di cui veniva a conoscenza lUfficio diocesano per
la famiglia, dalle richieste di aiuto dei parroci e dal
numero crescente di coppie che, dopo un lungo o
breve cammino di vita matrimoniale, e per diverse
ragioni, decidevano di rompere il legame coniugale.
Il desiderio di riuscire a essere vicini a queste cop-
pie in un momento difficile, doloroso e di solitudine
della loro vita e, nello stesso tempo, quello di aiutare
le comunit a riflettere sul loro ruolo di accompa-
gnamento delle coppie, sia nei percorsi verso il ma-
trimonio che dopo la sua celebrazione;
successivamente lUfficio diocesano per la famiglia
propone un incontro di formazione permanente per
presbiteri (febbraio 2005) per riflettere sul tema: Cop-
pie di sposi in difficolt e in condizione di irregolarit:
inquietudini in pastorale. Si cerca cos, con lapporto

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di tutti, di indicare un modo di essere nella pastora-


le in cui sia possibile la condivisione di un cammi-
no di fede con coniugati che si trovano in situazio-
ni difficili. Si tenta di tratteggiare forme concrete di
condivisione individuando alcune linee di impegno
pastorale: uno stile pastorale che coinvolga tutta la
comunit cristiana; la valorizzazione del soggetto fa-
miglia; una duplice strategia da inventare e attuare
con pi coraggio e creativit: prevenzione (ripensan-
do la pastorale giovanile e la pastorale dei fidanzati...)
e differenziazione (come capacit di coinvolgersi pa-
storalmente con le diverse situazioni esistenziali e
come possibilit di proposte diversificate);
a seguito di questo ulteriore approfondimento e
confronto si costituisce un gruppo di lavoro che
propone una sperimentazione pastorale, accompa-
gnando persone separate e divorziate in un triplice
incontro di spiritualit nellarco dellanno pastorale
2005/2006. Si tratta essenzialmente di unesperienza
condivisa di fede per sostenere le persone nel cam-
mino di sequela di Cristo e non primariamente di
una forma di terapia di gruppo. Intanto cresce la
consapevolezza della necessit di confronto e con-
divisione fra presbiteri e laici;
negli anni a seguire la proposta dei cammini di spi-
ritualit si definitivamente articolata in quattro in-
contri e continua ancora oggi con le stesse modalit.

3.Un incontro tipo: struttura e inviti a fare


Pasqua
I singoli incontri presentano una struttura che si
richiama e si ripete. Ci sono momenti assembleari di
saluto, di accoglienza, di proposta, altri a piccoli grup-
pi per riflessione e condivisione; in conclusione lin-
contro conosce un tempo celebrativo con lutilizzo di
alcuni segni.
Analizzare lincontro in ordine alla trasmissione

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della fede significa innanzitutto cercare se presente,


nella riflessione sulla Parola e nella consegna del se-
gno, un elemento che provochi un passaggio o meglio
un elemento che sia un invito esplicito a fare Pasqua (a
lasciare una situazione di morte, chiusura, sofferenza
per muovere verso situazioni di maggior luce e vita). Si
constatato che in ogni commento offerto dallquipe
c questa attenzione-provocazione; in sottofondo si
avverte la delicatezza, unita alla chiarezza dellespri-
mere in modo esplicito ci che pu provocare sta-
gnazione, nella situazione che le persone separate e/o
divorziate vivono; si coglie lattenzione alle situazioni
concrete fatte di dolore, rifiuto, memoria, speranza.
Questo permette alla Parola di entrare nel vissuto del-
le persone, di illuminare, decantare e dire il nuovo che
essa porta.
Una celebrazione conclude gli incontri: aiuta a fare
sintesi e porta in s la provocazione simbolica di un
nuovo futuro possibile. Ai partecipanti viene conse-
gnato un segno che rimanda allOltre, al non total-
mente espresso. Un segno che nel toccarlo, riguardar-
lo, ricordarlo nei giorni successivi allincontro, porta
loro un messaggio di speranza e relazione.

4.Lettura e interpretazione, in ordine


alla trasmissione della fede, dei dati raccolti
durante un incontro

Individuare e verificare i passaggi pasquali dei di-


versi soggetti coinvolti nella prassi2, ricercare gli ele-
menti che li hanno preparati e favoriti (elementi pre-
pasquali ed elementi pro-pasquali), considerare linci-

Non solo i partecipanti agli incontri, ma lquipe stessa che li


2

propone e il gruppo di lavoro che ha condotto lanalisi seminariale


possono dirsi a pieno titolo soggetti coinvolti nella prassi; lindagine
dei passaggi di fede riguarda anche loro.

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denza della prassi sulle variazioni delle rappresenta-


zioni religiose diventa lobiettivo di questa sezione.

4.1. I passaggi dei partecipanti

Una volta raccolti i dati3 si cercata la modalit pi


adeguata per leggerli e interpretarli alla luce dellobiet-
tivo, modalit che stata individuata in queste tre fa-
si:
individuare i passaggi;
pensare ed elaborare un criterio per verificare lau-
tenticit dei suddetti passaggi (quindi un criterio
per vagliare le dichiarazioni pi o meno esplicite dei
partecipanti a tale proposito);
cercare e verificare gli elementi che pi di altri sem-
brano aver determinato il passaggio.

1. I passaggi di fede quando avvengono com-


portano una modifica delluniverso simbolico del sog-
getto interessato. Lindividuazione di tali passaggi un
momento delicato perch occorre mettersi in ascolto
di un linguaggio. In alcuni casi i partecipanti hanno
detto apertamente di aver vissuto un passaggio da una
situazione a unaltra; in altri casi i riferimenti a un pas-
saggio sono rimasti pi velati. Il metodo pi consono
per mettere in luce passaggi di vita e di fede sembra
essere quello del rimanere in ascolto di una storia che
il soggetto narrante racconta, storia che contiene ele-
menti che mettono in risonanza (fanno riecheggiare) i

3
I dati relativi ai partecipanti agli incontri sono stati raccolti at-
traverso interviste e un questionario. Il questionario ha permesso di
raccogliere in maniera sintetica dati anagrafici, motivazioni a parteci-
pare, immagine di fragilit, Dio e Chiesa (prima e dopo gli incontri),
aiuto e provocazioni dalla parola di Dio, aspetti personali maturati,
valutazioni. Altre informazioni si sono ricavate dalle domande aper-
te. Lintervista mirava invece a rilevare limportanza dellesperienza,
la coscienza di qualche passaggio, le immagini di Dio e Chiesa.

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passaggi di chi ascolta. Si insiste nel dire che lquipe


che accompagna la pi abilitata a tale ascolto.

2. Individuati i passaggi si tratta di verificarli ri-


spondendo alla domanda: i passaggi di vita sono anche
di fede? Non si tratta ingenuamente di individuare dei
vocaboli religiosi perch, di solito, le persone usano
parole proprie per narrare lesperienza pasquale che
hanno vissuto. Si tratta, piuttosto, di indagare dentro
la storia4 delle persone per mettere in luce gli elementi
che fanno dire:
a) il reale viene percepito con gli occhi della fede;
b) la fragilit vissuta nellottica della fede cristiana5.
Applicare questi due criteri aiuta ad approfondire
la fede alla luce della fragilit.

3. Il confronto incrociato tra le tabelle che riporta-


no le risposte dei partecipanti circa le motivazioni ad
aderire alla proposta e le loro valutazioni circa la bon-
t della proposta stessa mette in luce che le aspettative
dei partecipanti sono state ben corrisposte: vengono
valutati positivamente laccompagnamento ricevuto,
le chiavi di lettura offerte dagli incontri per la vita per-
sonale e di fede, il loro coinvolgimento nella proposta.
interessante notare che lquipe pone come obiettivo
della proposta laccompagnamento e la ricarica spiri-
tuale. La proposta di senso viene avvertita come buo-
na dai singoli individui. Lindagine delle motivazioni
permette di dire gli elementi che maggiormente hanno
attivato la partecipazione (accoglienza, condivisione,
accompagnamento...). Questi elementi vengono qui
definiti pre-pasquali.

4
Si tenga conto del carattere narrativo e simbolico del linguaggio
di fede.
5
Cf. G. Laiti, Vivere la fragilit secondo la fede cristiana, Espe-
rienza e Teologia 12 (2006), n. 22, pp. 105-118.

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Dallascolto delle storie appare chiaramente lim-


portanza che la Parola assume in questa prassi, nellor-
dine del passaggio di fede: in alcuni casi si instaura un
vero e proprio circolo virtuoso tra Parola e vita6.
Le storie restituiscono nella maggior parte di
casi persone rasserenate. Questa serenit (che non
significa aver smesso di soffrire) favorita dal con-
forto/confronto che viene dagli incontri di spiritualit
(persone che si accompagnano in un cammino dove al
centro c la parola di Dio). Gli elementi pre-pasquali
(desiderio di conforto/confronto, accompagnamento,
ascolto, condivisione...) sono come germogli da colti-
vare. L dove la prossimit evangelica dellquipe7 cor-
risponde alle richieste dei partecipanti si crea la condi-
zione favorevole perch questi elementi pre-pasquali
diventino condizioni pro-pasquali (nel senso che le re-
lazioni evangeliche rendono i passaggi di vita terreno
fertile perch la Parola possa crescere e trasformare la
vita). In questi casi la prassi si rivela una Nazaret della
Parola e conserva anche una connotazione missiona-
ria. In altre parole: le relazioni evangeliche creano un
clima di ascolto simbolico, dove la lingua madre della
Chiesa simbolicamente dice.

4.2. I passaggi dellquipe

Del materiale raccolto sullquipe8 si fatta una


lettura incrociata, con la presentazione dellesperien-
za in Regione e in occasione di un aggiornamento dei

6
La fede nasce dallascolto di un Dio che parla e tocca/raggiunge
il cuore delluomo. Dio parla con parole e azioni, con gradualit, pa-
role umane (cf. Documento Base).
7
Cf. il potenziale simbolico della prossimit.
8
Per i membri dellquipe si usata in prevalenza la modalit del
focus group. Le domande rivolte avevano lobiettivo di verificare se e
come era avvenuto un passaggio, da come essi pensavano inizialmen-
te la proposta a come si era evoluta, quale incidenza aveva lesperien-

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presbiteri, cercando di cogliere le azioni messe in atto


e i passaggi avvenuti nei membri. Nei confronti dei
partecipanti agli incontri lquipe ha compiuto delle
azioni e vissuto degli atteggiamenti che hanno crea-
to il clima perch avvenisse un passaggio: una acco-
glienza a braccia aperte delle persone con tutto il loro
dolore, facendo sentire il calore di una vicinanza; la
comprensione della loro situazione, che ha portato a
comprendere meglio anche la propria situazione di vi-
ta; lascolto delle loro storie di sofferenza, facendole
scoprire storie di Vangelo vissuto.
Il lavoro di preparazione non stato qualcosa cala-
to dallalto o pensato a partire dal presbitero, ma frut-
to di un lavoro di gruppo, che ha cercato di ascoltare
i bisogni delle persone, di proporre degli incontri di
spiritualit a partire dalla parola di Dio offerta dagli
orientamenti pastorali diocesani, quindi allinterno di
un cammino di Chiesa diocesana, per far vivere mo-
menti di serenit valorizzando la concretezza delle
persone e mettendo in gioco il bene che ognuno porta
dentro di s.
Fin dallinizio si sono chiarite con i partecipanti le
regole del gioco, esplicitando che si trattava di un
cammino di spiritualit e non di una terapia psicolo-
gica, che si desiderava porre attenzione al loro vissuto
lasciandosi tuttavia provocare dalla parola di Dio e
mettendosi in gioco; di conseguenza, proprio perch
provocati dalla Parola che vita, si intendeva offrire,
qualora si fosse manifestata lesigenza, qualche contri-
buto specialistico (nullit, educazione dei figli, aspetti
psicologici, aspetti legali), mantenendo comunque la
verit nella carit.

za di lutto vissuta dalle persone nel cammino, come avevano favorito


dei passaggi pasquali, in che cosa si sentivano provocati, personal-
mente e come Chiesa, nel modo di annunciare il Vangelo, dalla realt
dei separati-divorziati, quale posto aveva avuto la liturgia, che tipo di
celebrazioni erano state vissute e infine che visione di Chiesa aveva in
mente il gruppo di lavoro.

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Il percorso stato vissuto e gestito nella correspon-


sabilit, cercando insieme la modalit per proporre la
Parola, per entrare in essa con la propria vita, per aiu-
tare la comunicazione di un vissuto a volte doloroso,
per mettere in movimento questo vissuto e donargli
la possibilit di diventare fecondo. Ogni componente
dellquipe si messo in gioco ed stato valorizzato
per le proprie competenze, partendo dalla sensibilit
maturata grazie a situazioni a volte molto vicine di se-
parazione e divorzio e creando una gestione condivisa
degli incontri.
Peraltro si messo in luce un duplice pericolo: che
la preoccupazione per la forma dellincontro e per il
rispetto del programma pensato a tavolino mortifichi
un ascolto autentico del vissuto; che lesperienza cos
coinvolgente e significativa diventi un nido caldo, un
movimento diocesano piuttosto che un ponte per un
reinserimento nella propria comunit parrocchiale.

Questi i passaggi significativi compiuti dallquipe9:


Dal pensare a una proposta per chi in una situazio-
ne irregolare al vivere un cammino con al centro
la parola di Dio, che aiuta tutti a interrogarsi, a rico-
noscere le proprie fragilit, a convertirsi, a comuni-
care, a crescere.
Da una proposta considerata come favore-dono ai
separati/divorziati (o vanto di una pastorale attenta
e sensibile), alla comprensione del dono che queste
storie-presenze sono per la comunit cristiana.
Dal considerare lamore, la relazione coniugale, la
fede come un possesso sicuro, al comprendere che in-
vece il legame, la fede hanno bisogno di essere conti-
nuamente coltivati, riscoperti, alimentati.
Dal pensare e vivere la fragilit come debolezza a

9
Anche questi passaggi come quelli dei partecipanti chiede-
rebbero di essere continuamente sottoposti a un adeguato criterio di
verifica.

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scoprirla come dimensione dellessere creature e


quindi luogo di forza/risorsa che appartiene al dina-
mismo di crescita di un adulto.
Dal considerare la separazione, il divorzio come
realt lontane dalla nostra vita allo scoprire che sepa-
rarsi, divorziare sono logiche che appartengono alla
vita della comunit, dicono della situazione esisten-
ziale della Chiesa (pensiamo alla vita dei gruppi den-
tro una comunit cristiana). Questa consapevolezza
smonta la presunzione di essere salvaguardati solo
perch ci si trova dentro un cammino definito.
Da un Vangelo ascoltato e compreso alla necessi-
t di riascoltare/ricomprendere il Vangelo nella vita
per trovare nuovi significati. Ascoltando le storie di
sofferenza si ascoltano storie di un Vangelo vissuto,
vicende di chi nella disperazione riesce a intravedere
ancora, e di pi, la luce di Dio.
Dal sentirsi dentro la Chiesa allo sperimentare che
non c un essere dentro o fuori. Siamo tutti pro-
vati dallerrore, ma in cammino verso la vita eterna.
Chiesa come famiglia dei figli di Dio chiamata ad
avere una predilezione per chi soffre.
Da una Chiesa preoccupata di chiarire le posizioni a
una Chiesa vulnerabile, che accetta le sfide della vita,
la sua lotta, tutti i suoi virus. Una Chiesa che vuo-
le avvicinarsi alle famiglie irregolari con profondo
amore materno, distinguendo fra lerrore e lerrante,
il peccato e il peccatore, da ripudiare e condannare il
primo, da comprendere e sempre amare il secondo.
Una Chiesa come Maria di Magdala, che esprime il
suo bisogno di amore, non la protagonista, non
preoccupata di dare, ma vive la dinamica dellaman-
te, dellamore. La fiducia nasce dallamore che si
sperimenta, dalle attenzioni che si ricevono, non
dai permessi concessi. Cos anche con Dio e con
la Chiesa.

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4.3. Passaggi del gruppo di analisi seminariale 10

I singoli membri del gruppo ritengono che que-


sta esperienza di analisi della prassi abbia favorito un
progressivo intreccio di storie: il continuo ascolto delle
elaborazioni personali, dei contributi a volte diversi
e molto pi ampi dellobiettivo di lavoro, la fatica di
richiamarsi allobiettivo stesso hanno portato a una
conoscenza pi profonda, a un mutuo arricchimen-
to, a una stima reciproca che hanno aiutato ciascuno
a gustare il lavoro e a donare il meglio di s; un modo
adulto di lavorare nella Chiesa intrecciando vocazioni
e carismi diversi senza prevaricazioni.
Si sono registrati questi passaggi: dalla rappresen-
tazione della fragilit come debolezza alla fragilit
come condizione che ci mantiene aperti; accogliere e
accompagnare la fragilit affettiva non significa assu-
mere tutta la sofferenza che si incontra, ma farsi spazio
perch la sofferenza narrata passi dal cuore delle per-
sone al cuore di Cristo.

5. Proiezioni e considerazioni finali

Dallesperienza seminariale sembra di poter coglie-


re alcuni messaggi che diventano indicazioni di cam-
mino:

I luoghi esistenziali possono diventare luoghi


iniziatici

La fragilit affettiva stata sperimentata come gran-


de luogo iniziatico: una Chiesa che sa incontrare il

Il gruppo di lavoro che ha partecipato al seminario era composto


10

da due donne sposate, entrambe da tempo impegnate nella pastorale


familiare, una religiosa elisabettina in servizio alla Casa della Provvi-
denza e un giovane presbitero della diocesi di Belluno-Feltre.

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luogo di vita delle persone per farlo diventare occasio-


ne di un cammino di iniziazione. Il rischio che si corre
come comunit cristiana di proporre una iniziazione
che ha caratteristiche di tipo teologico, ma scollata
da una iniziazione di tipo antropologico. Liniziazione
rischia di non avvenire mai, perch non c annuncio,
presenza nei passaggi antropologicamente significati-
vi. Le persone che vivono lesperienza del fallimento
nella relazione affettiva hanno segnalato la solitudine,
la non-presenza della comunit cristiana. Viene spon-
taneo chiedersi come possano sentire il Cristo che li
afferra e li solleva, in che modo far percepire come
vero che il morire personale un morire-con Cristo
e il risollevarsi un risorgere con Cristo? Le prassi
ecclesiali dovrebbero essere meno preoccupate di tra-
smettere contenuti e pi attente a entrare in relazione
con le persone per liberare i racconti, farli incontrare
con il Racconto che tutti li sostiene e far scoprire la
propria storia come storia di salvezza.

I limiti possono diventare opportunit

Una proposta caratterizzata dalla gratuit che in-


terroga la pastorale. La prassi pastorale esaminata
connotata da una parte da una realt esistenziale carica
di attesa e domanda, dallaltra, per, ha una caratteri-
stica di gratuit enorme, perch lobiettivo il puro
accompagnamento in un cammino di spiritualit che
ha al centro la parola di Dio. difficile trovare nella
pastorale ordinaria proposte che si connotino gratui
tamente in questo modo. Questo ci mostra quanto il
Vangelo sia generatore quando ritrova spazi di gene-
rosit creativa, non quando si attivano cammini ne-
cessitati dalle tappe sacramentali. In questo senso si
percepisce che la proposta interroga la pastorale in
senso pi ampio.

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Essere iniziatori alla fede

Un modo adulto di trasmettere la fede: la proposta


pensata per le persone in situazione di separazione e
divorzio divenuta, nella sua realizzazione, un cam-
mino insieme dove i soggetti del gruppo di lavoro
diocesano si sono rivelati accompagnatori e non mae-
stri. Non possibile trasmettere la fede se non met-
tendosi in gioco e condividendo lo stesso percorso,
accogliendo con meraviglia le parole di bene che an-
che le storie di vita pi travagliate possono donarci. In
un cammino di iniziazione, liniziatore sempre un
iniziato, espressione di una Chiesa che sempre essa
stessa re-iniziata.

Una conversione pastorale

Passare dalla pastorale di appartenenza alla pasto-


rale della generazione: i passaggi di vita nel caso in
questione la fragilit affettiva si rivelano come oc-
casioni preziosissime per la trasmissione della fede se
si favoriscono, nella potenza dello Spirito, relazioni
profondamente evangeliche illuminate dalla Parola.
Per concludere si pu affermare che nonostante la
prassi presa in esame sia cominciata solo da pochi anni
e conosca un numero contenuto di partecipanti, essa
rivela un notevole potenziale simbolico in ordine alla
trasmissione della fede. Inoltre pu suggerire forme,
stili e modalit esportabili anche in altri contesti pa-
storali.

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Indice

La trasmissione della fede. Un quadro di riferimento


introduttivo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5
(Ezio Falavegna)
1. Luniverso simbolico e la mediazione del linguaggio 6
2. Luniverso simbolico della fede . . . . . . . . . . . . . . . . . 7
3. Passaggio di paradigma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 8

Crisi della trasmissione e risorse simboliche


del campo pratico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 11
(Roberto Tommasi)
1. Latto del credere tra metamorfosi culturale e crisi
della trasmissione della fede cristiana . . . . . . . . . . . . 11
2. La trasmissione e le risorse simboliche della
correlazione pratico-teorico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 17
3. Le risorse simboliche della correlazione pratico-teo-
rico in ordine alla trasmissione della fede cristiana . 28

La parola di Dio. Contenuto e forma


della trasmissione della fede . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
(Ezio Falavegna)
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
1. Contenuto, azione di fede e stile comunicativo
della Parola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 39
2. Condizioni e forme della trasmissione . . . . . . . . . . . 49
Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58

La liturgia. Il simbolo rituale come esperienza


iniziatica fontale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
(Gianandrea Di Donna)
1. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 61
2. Il simbolo rituale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62
3. Il simbolo rituale e la sua forza iniziatica . . . . . . . . . 69
4.Per signa sensibilia: i gesti e i riti, via
delliniziazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76

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Opportunit e limiti della iniziazione cristiana


dei fanciulli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85
(Giorgio Ronzoni)
1. Introduzione: attualit delliniziazione cristiana . . . 85
2. La prassi attuale (fase kairologica) . . . . . . . . . . . . . . . 87
3. Le sperimentazioni (fase progettuale) . . . . . . . . . . 91
4. Quali passi per una rinnovata iniziazione cristiana?
(fase strategica) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 95

Per una prossimit significativa alla lontananza


giovanile . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
(Ivo Seghedoni)
1. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 99
2. Di quale lontananza stiamo parlando? . . . . . . . . . 100
3. Lesperienza: i vescovi provano a dialogare? . . . . . . 103
4. C del vero nel nuovo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106
5. Due linee per una prossimit significativa . . . . . . . . 112
6. Preoccupati dellesodo o attrezzati al ritorno? . . . . . 118

Liniziazione cristiana degli adulti: laboratorio


per una nuova prassi ecclesiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
(Dario Vivian)
1. Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 119
2. Il cammino nei documenti magisteriali . . . . . . . . . . . 121
3. Le dimensioni del diventare cristiani quali
elementi fondanti il nostro essere Chiesa . . . . . . . . . 128
4. Le opportunit offerte dalliniziazione degli adulti
per ridisegnare lesperienza ecclesiale . . . . . . . . . . . . 132
5. Verso una prassi pastorale riformulata alla luce
di chi viene iniziato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 137
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 141

Elaborazione del lutto. Percorsi di risurrezione


nelle situazioni di fallimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143
(Emanuele Bortolazzi - Marco Preato - Paolo Ursino)
1. Questioni introduttive . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 143
2. Fase dellosservazione-comprensione . . . . . . . . . . . . 145
3. Fase della proiezione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 155

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4. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 159
Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 161

La fragilit affettiva come luogo iniziatico . . . . . . . . 163


(Maria Teresa Camporese Stimamiglio - Maria Ferro
Adriana De Vito Piovan - Luciano Todesco)
1. Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 163
2. Una storia che parte da lontano . . . . . . . . . . . . . . . . . 164
3. Un incontro tipo: struttura e inviti a fare Pasqua . . . 165
4. Lettura e interpretazione, in ordine
alla trasmissione della fede, dei dati raccolti
durante un incontro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 166
5. Proiezioni e considerazioni finali . . . . . . . . . . . . . . . 173

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Finito di stampare nel mese di ottobre 2011


Villaggio Grafica Noventa Padovana, Padova

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