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estratto da sentenza

Presidente Dott. Oddo Massimo, Relatore Dott. Parziale Ippolisto

La chiostrina (o cavedio - oggi sinonimo della chiostrina, ma in origine individuante l'atrium o anche "pozzo
luce") costituisce uno spazio, funzionale a dare aria e luce ai cosiddetti ambienti di servizio (bagni, corridoi,
locali deposito, ecc.), vale a dire a tutti gli quegli ambienti non destinati ad essere abitati: essa, dunque, serve
a soddisfare esigente igieniche e a garantire la salubrit degli edifici ed, in questo ambito, di norma
disciplinata dal Regolamento Edilizio che ne stabilisce l'area e l'ampiezza minima.

Ancorch sovente la chiostrina sia ubicata all'interno di un edificio ovvero sia stata prevista nell'ambito di
un'unica progettazione relativa a pi edifici nulla impedisce che la chiostrina medesima costituisca un'area
contornata da unit immobiliari distinte

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1 - L'odierno ricorrente, P.A., aveva chiesto in primo grado la demolizione (o arretramento) del fabbricato
realizzato da G.R. per la parte costruita in violazione della distanza di 5 metri prevista dalle norme tecniche
di attuazione del regolamento edilizio del Comune di Diso.

Per quanto riportato nella sentenza impugnata della Corte territoriale il giudice di primo grado riteneva la
regolarit della costruzione del G. sino all'altezza di metri 2,50, condannandolo ad arretrare "di almeno cm.
2,00 la parte del muro prospiciente la finestra lucifera di propriet P., superiore all'altezza di metri 2,50", ed
il P. a regolarizzare la luce, compensando interamente tra le parti le spese processuali.

In particolare la Corte territoriale rilevava, quanto alla decisione del primo giudice, quanto segue: "Premesso
che la questione insorta ineriva all'osservanza o meno della distanza legale tra il fabbricato - preesistente -
del P. e quello realizzato dal G. nella parte in cui "prospettavano in una chiostrina", rilev che secondo il
R.E.C, di Diso la chiostrina - per essere tale - doveva avere "una superficie minima superiore ad 1/8 di quella
delle pareti circostanti, le quali non abbiano un'altezza superiore a m. 20,00 ed una normale minima davanti
ad ogni finestra non inferiore a m. 3,00";

soggiunse che tale normativa di carattere speciale prevaleva su quella di carattere generale; osserv che nella
specie, come appurato dal C.T.U. il muro di fabbrica dell'immobile, realizzato dai G., distava - sino
all'altezza di m. 2,50 dal piano terra m. 3,05 dal muro di propriet del P. e per la parte superiore m. 2,98,
sicch solo per tale parte andava disposto l'arretramento di almeno cm. 2,00".

2. - La Corte d'appello rigettava l'impugnazione del P., ritenendo che correttamente era stata applicata la
norma sulle distanze tra costruzioni prevista per le chiostrine, cos confermando la qualificazione della
situazione di fatto operata dal primo giudice, ritenendo anche corretta la statuizione sul calcolo della distanza
dal muro di confine.

In particolare, la Corte territoriale, quanto al primo motivo di gravame, giudicava infondata la tesi
dell'appellante, che escludeva potesse qualificarsi lo spazio tra i due fabbricati come "chiostrina", in quanto
concepibile solo con riguardo a "spazi interni situati tra corpi di fabbrica di un edificio di un solo proprietario
o di uno stabile in condominio", con conseguente esclusione dell'applicabilit della norma dello strumento
edilizio che prevedeva in tali casi una distanza di soli 3 metri.

Al riguardo la Corte territoriale osservava che "nulla impedisce che la chiostrina medesima costituisca
un'area contornata da unit immobiliari distinte (come nella specie): tale ultima evenienza da ritenere che
ricorra nella presente vicenda in quanto la normativa regolamentare in proposito - individuata dallo stesso
appellante - si riferisce agli spazi interni ad edifici, senza alcun altra specificazione, sicch resta superata
(anche per l'uso del plurale) sia la fattispecie dell'edificio unico, sia quella dell'unica progettazione di pi
edifici, non essendo praticabile tale limitazione in difetto di previsione".
3. - P.A. impugna la su indicata decisione e formula due motivi di ricorso.

Resiste con controricorso G..

Le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

1. I motivi del ricorso.

Col primo motivo parte ricorrente denuncia: "violazione e falsa applicazione dell'art. 873 cod. civ. e degli
artt. 7 e 43 delle norme tecniche di attuazione del regolamento edilizio del Comune di Diso in relazione
all'art. 360 c.p.c., n. 3".

Sostiene che la corretta interpretazione delle norme tecniche del regolamento edilizio (artt. 7 e 43) avrebbe
dovuto portare il giudice territoriale ad accogliere la prospettata tesi dell'applicabilit alla fattispecie in
esame della distanza di 5 metri invece di quella di 3 metri, relativa alle chiostrine.

La norma al riguardo dettata dall'articolo 43 non poteva derogare alle norme che disciplinano in via generale
le distanze (articolo 7 n. 5).

Sostiene il ricorrente che l'interpretazione data dalla Corte territoriale sarebbe "contraria ai criteri
ermeneutici e criteri di interpretrazione sistematica delle norme" non essendo stata valutata la volont del
legislatore e il "senso della disposinone alla luce dell'intera normativa che disciplina la materia" ed essendo
stata applicata una norma speciale di stretta applicazione non espressamente richiamata dal legislatore.

Col secondo motivo viene dedotto vizio di motivazione.

A giudizio del ricorrente "la circostanza che la chiostrina fosse stata realizzata nel rispetto della distanza
minima di 3 metri tra le pareti fronteggianti non sufficiente a ritenere soddisfatto anche l'altro requisito
prescritto per le nuove costruzioni in zona A2, ovvero il distacco di metri cinque dal confine interno".

2. - Il ricorso infondato e va respinto.

I motivi, strettamente tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Infatti, il ricorrente
sostanzialmente dissente dalla avvenuta qualificazione dello spazio esistente tra le costruzioni come
"chiostrina", da cui consegue l'applicabilit della normativa di maggior favore quanto alle distanze.

Al riguardo, occorre rilevare che la Corte territoriale quanto alla qualificazione giuridica dello spazio definito
"chiostrina", ha osservato quanto segue: "Com' noto la chiostrina (o cavedio - oggi sinonimo della
chiostrina, ma in origine individuante l'atrium o anche "pozzo luce") costituisce uno spazio, funzionale a dare
aria e luce ai cosiddetti ambienti di servizio (bagni, corridoi, locali deposito, ecc.), vale a dire a tutti gli
quegli ambienti non destinati ad essere abitati: essa, dunque, serve a soddisfare esigente igieniche e a
garantire la salubrit degli edifici ed, in questo ambito, di norma disciplinata dal R.E. che ne stabilisce
l'area e l'ampiezza minima.

Ancorch sovente la chiostrina sia ubicata all'interno di un edificio ovvero sia stata prevista nell'ambito di
un'unica progettazione relativa a pi edifici nulla impedisce che la chiostrina medesima costituisca un'area
contornata da unit immobiliari distinte (come nella specie): tale ultima evenienza da ritenere che ricorra
nella presente vicenda in quanto la normativa regolamentare in proposito - individuata dallo stesso appellante
- si riferisce agli spazi interni ad edifici, senza alcun altra specificazione, sicch resta superata (anche per
l'uso del plurale) sia la fattispecie dell'edificio unico, sia quella dell'unica progettazione di pi edifici, non
essendo praticabile tale limitazione in difetto di previsione".
La conclusione raggiunta, oltre che motivata adeguatamente, non appare contraria ai principi al riguardo
affermati in via generale da questa Corte.

Infatti, in linea generale l'affermazione in diritto della Corte territoriale circa la possibilit di qualificare
come chiostrina lo spazio esistente tra due edifici di propriet di soggetti diversi e non in condominio, appare
condivisibile, specie se operata, come nel caso in questione, con riguardo all'esigenza di applicare nel caso
concreto la specifica normativa edilizia comunale, la cui testuale formulazione (con l'uso del plurale)
consente tale lettura.

Proprio la specificit della funzione della chiostrina, inoltre, giustifica l'applicabilit della normativa dettata
dallo strumento urbanistico a tale riguardo, che non appare illegittima in ragione del circoscritto e specifico
ambito della sua applicazione.

3. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in 2.000,00 Euro per
onorari e Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

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