- una notevole percentuale di questi anziani presenta una disabilità medio - grave
nelle attività di vita quotidiana;
- nel corso dell'evoluzione della malattia, oltre al deficit cognitivo, insorgono gravi
problemi comportamentali e psichici (agitazione psicomotoria, deliri, allucinazioni),
che diventano causa primaria di stress famigliare e della richiesta di ricovero in
strutture residenziali;
- nella maggior parte dei casi la famiglia è costretta a fornire l'assistenza, con gravi
ripercussioni sulle persone coinvolte.
- consentire a chi assiste l'ammalato di prepararsi per far fronte alla malattia.
CAUSE
Le cause sono sconosciute. Ci sono diverse teorie: alcuni studiosi ipotizzano una sola
causa, altri parlano di più fattori compresenti. Tra questi:
- una predisposizione genetica;
- fattori esterni (ad esempio un virus, anche se non è dimostrato con l’Alzheimer sia
contagioso);
- disordine del sistema immunitario, che non riconosce più il cervello come proprio e
lo autoaggredisce;
- sostanze tossiche;
FATTORI DI RISCHIO
Gli unici fattori di rischio finora individuati sono rappresentati dall'età e dalla familiarità.
L'Alzheimer è certamente una patologia dell'anziano, ma non é vero che il
rischio di ammalarsi aumenta con l'età: il confronto tra le varie fasce di
età sembra evidenziare che i soggetti ultranovantenni non hanno un
maggiore rischio di ammalarsi rispetto ai soggetti di un età compresa tra i
70 e gli 80. Quindi anche se la malattia di Alzheimer rimane un problema
fondamentale dell'età avanzata, non c'è relazione esponenziale tra
demenza ed invecchiamento: esiste uno specifico intervallo di età a
rischio maggiore. La familiarità rappresenta un fattore di rischio dal
"peso" variabile a seconda dei casi: nella stragrande maggioranza dei casi
l'Alzheimer non è una malattia ereditaria, anche se i familiari di un
soggetto affetto hanno un rischio di ammalarsi lievemente più alto
rispetto ai soggetti che non hanno un caso in famiglia. Sono state finora
individuate in tutto il mondo almeno quaranta famiglie in cui la malattia di
Alzheimer è trasmessa geneticamente con un meccanismo di tipo
autosomico dominante (un soggetto che svilupperà la malattia, in quanto
portatore del gene alterato, ha il 50% di possibilità di trasmetterlo ai
figli). Queste forme familiari, rarissime e caratterizzate da precoce età di
insorgenza e rapida evoluzione, costituiscono per i genetisti una preziosa
fonte di informazioni. Le mutazioni finora individuate riguardano i
cromosomi 21, 14, 1. Mutazioni localizzate nel sito del cromosoma 21
responsabile della sintesi della proteina beta-amiloide determinano una
abnorme produzione di questa sostanza, ed un suo patologico accumulo a
livello cerebrale sotto forma di "placche senili" tipiche dei cervelli
Alzheimer. Nei cromosomi 14 e 1 si trovano i geni responsabili della
sintesi di alcune proteine della membrana neuronale (Preseniline).
Mutazioni a questi livelli determinano la produzione di proteine non
funzionali, con conseguenti probabili anomalie di trasmissione di messaggi
tra i neuroni. Alterazioni genetiche localizzate nel cromosoma 19
sembrano avere una importanza non limitata solo ad un ristretto gruppo
di famiglie: in questo cromosoma infatti si localizzano i geni responsabili
della produzione delle proteine che veicolano i grassi nel sangue
(apolipoproteine). Un particolare assetto genetico determinerebbe la
produzione di una apolipoproteina (ApoE 4) non efficiente nel trasporto
del colesterolo, costituente essenziale delle membrane neuronali. I
soggetti portatori sarebbero più vulnerabili ad aggressioni di varia natura
portate al sistema nervoso centrale, in quanto non sarebbero in grado di
veicolare il colesterolo a riparare eventuali siti di membrana
danneggiati.La malattia di Alzheimer potrebbe essere il risultato della
deficitarietà di questi meccanismi riparatori.
ANATOMIA PATOLOGICA
Nei soggetti Alzheimer si osserva un aumento di densità delle placche senili ed una loro
diffusione anche in zone "neocorticali", ossia in quelle zone probabilmente deputate alle
attività più elevate del nostro comportamento.Le placche senili sono composte, oltre che
da residui di neuroni degenerati e da rare cellule infiammatorie, dalla "sostanza
amiloide", costituita principalmente da un polipeptide, la beta-proteina amiloide.
SINTOMI
- stress;
- depressione;
- ripetitività;
- sospettosità;
- trauma cranico, che rende manifesta una malattia cerebrale già presente.
- agitazione;
- sentirsi abbandonati;
Oggi si conoscono bene le fasi di evoluzione del male, dovuto a una distruzione dei
neuroni, le cellule che controllano le funzioni superiori della corteccia cerebrale.
All’origine del processo degenerativo c’è, come già detto, una proteina presente nel
cervello, che si trasforma (non si sa ancora come, o perché) in betaamiloide e che
depositandosi tra i neuroni, agisce come un collante, inglobandone vaste aree e dando
luogo alla formazione di placche “neurofibrillari”.Il risultato di queste modificazioni
cerebrali è l’impossibilità per il neurone di trasmettere gli impulsi nervosi. Si è scoperto
inoltre che la malattia è accompagnata da una diminuzione nel cervello della quantità di
acetilcolina (fino al 90%), una sostanza fondamentale per la memoria e per altre
capacità intellettive.
a. AMNESIA
b. AFASIA
c. AGNOSIA
d. APRASSIA
DISTURBI COGNITIVI
ALTRI DISTURBI
Importantissima è la comparsa di disturbi aprassici, che costituiscono una delle
principali cause di disabilità: il paziente, pur non presentando deficit di forza, non riesce
più ad organizzare atti motori finalizzati e coordinati e diviene incapace a utilizzare gli
strumenti della vita quotidiana con conseguente difficoltà a mangiare, vestirsi, lavarsi,
ecc. L'aprassia può manifestarsi con la difficoltà nel cucinare, nel vestirsi, nel disegnare
(aprassia costruttiva).Le agnosie, anche esse frequenti nel paziente Alzheimer in fase
avanzata, non permettono di capire l'uso e la funzione di oggetti che possono
normalmente essere visti e toccati.Caratteristica delle fasi più avanzate è anche la
prosopoagnosia, ossia la incapacità di riconoscere i volti, anche dei familiari. Nei casi
estremi il paziente giunge a non riconosce il proprio volto, e l'osservarsi allo specchio
può essere all'origine di gravi sentimenti di angoscia.
La richiesta di una valutazione delle capacità di memoria viene avanzata nelle seguenti
circostanze:
- accertare una modificazione delle capacità mnesiche del soggetto nel tempo
attraverso controlli longitudinali;
- valutazione di ogni singolo paziente per definire meglio il profilo cognitivo e le abilità
residue ai fini di una impostazione di strategie riabilitative
1. test che permettono un inquadramento generale delle funzioni cognitive come il Mini
Mental State, che permette di ottenere un punteggio di efficienza cognitiva generale
che discrimina la normalità e patologia;
3. test che esplorano la memoria a breve termine verbale e spaziale (test di span
verbale): valutano la memoria immediata e cioè la quantità di informazioni che un
soggetto può riprodurre immediatamente dopo la presentazione; gli stimoli che
solitamente vengono presentati con modalità acustica o visiva sono serie di cifre,
sillabe parole (span verbale): oppure ritmi, sequenze di posizioni spaziali (es. Block
tapping test di Corsi) sequenze di gesti privi di significato (span spaziale);
DISTURBI COMPORTAMENTALI
DIAGNOSI E ASSISTENZA
DIAGNOSI Gli unici segnali che possono confermare con certezza la malattia, cioè la
formazione di placche nel cervello, possono essere rilevati solo dopo la morte, con
l’esame del tessuto cerebrale. Alla diagnosi si arriva dopo aver escluso altre malattie. E’
fondamentale la collaborazione dei familiari, ai quali verranno chieste più informazioni
possibili sul comportamento del paziente.Per escludere la presenza di altre malattie che
potrebbero spiegare la demenza, di solito vengono prescritti alcuni esami di laboratorio.
Sono utili anche la Tac, in grado di rilevare lo spessore del cervello, oppure la risonanza
magnetica, che fornisce un’immagine particolareggiata.Ci sono alcuni aspetti che è
importante prendere in considerazione all'inizio della malattia.L'orientamento attuale è
quello di informare sempre più spesso la persona della diagnosi che la riguarda. Questo
è forse dovuto ad una maggior consapevolezza della malattia. Si ritiene, comunque, che
ogni persona debba avere il diritto e l'opportunità di scegliere se e quando essere
informata.In molti casi, si arriva alla diagnosi in seguito a preoccupazioni espresse dai
familiari. Sovente la persona malata non si rende conto di avere dei problemi e non
condivide le osservazioni dei familiari; non ha perciò alcun interesse a chiedere una
diagnosi.E' importante valutare la capacità del malato di comprendere, ma anche tener
conto delle opinioni preconcette o dei pregiudizi che può avere sulla malattia,
prevedendo così le sue possibili reazioni. Alcune persone sono in grado di capire che
cos'è la malattia, come evolve e quali conseguenze può avere sulla vita quotidiana,
mentre altri possono riconoscere soltanto una malattia che comporta la perdita della
memoria. Sarebbe importante trovare un medico capace di adeguare la spiegazione al
grado di comprensione del malato e della sua famiglia, come pure di prospettare
eventuali soluzioni dei problemi.In alcuni casi vi può essere una reazione depressiva alla
notizia e la persona può aver bisogno di aiuto per arrivare a convivere con i propri
sentimenti di rabbia, di colpa, paura e depressione. In alcuni casi può essere utile la
partecipazione a gruppi di supporto e auto-aiuto, purché la malattia non sia a uno stadio
troppo avanzato.Sapere di essere affetti da demenza e capire che cosa essa comporti
presenta tuttavia notevoli vantaggi: quando una persona sa, può programmare come
passare al meglio gli anni di relativo buon funzionamento mentale che le rimangono.
Può anche avere un ruolo attivo nel programmare la propria assistenza, stabilire chi
dovrà prendersi cura di lei, prendere importanti decisioni finanziarie e persino
partecipare alla ricerca sulla malattia di Alzheimer, o disporre la donazione post-mortem
del proprio tessuto cerebrale per la ricerca.
ASSISTENZA All'inizio della malattia, può darsi che il malato cerchi di nascondere agli
altri le sue difficoltà. A volte ci riesce, perché i suoi problemi non sono gravi e forse
perché anche la famiglia e gli amici tendono a minimizzare, convinti che la perdita di
memoria sia una conseguenza naturale dell'età. Questo periodo può essere fonte di
enorme stress per la persona malata; può darsi che il futuro la spaventi, che abbia
paura di soffrire e di morire. Ad un certo punto, quando i sintomi diventano più evidenti,
nascondere il problema sarà sempre più difficile. Può prevalere, allora, l'imbarazzo per i
propri errori e l'umiliazione per le difficoltà nelle attività quotidiane, come lavarsi e
vestirsi.E’ importante prestare attenzione a questi sentimenti e a queste paure. A volte
può essere importante poterne parlare; se non è possibile confidarsi con un familiare,
potrebbe essere utile ricorrere ad uno psicologo.E’ importante discutere su come
organizzare l'assistenza. Anche in famiglie non particolarmente unite, un incontro di
questo tipo può creare un clima di solidarietà e di sostegno reciproco. Se il malato non è
ad uno stadio troppo avanzato della demenza, può essere un'opportunità ideale per farlo
partecipare alle decisioni che lo riguardano.Tutti i membri della famiglia devono cercare
di essere presenti, anche se questo comporta per alcuni uno spostamento:
- durante la riunione, ognuno deve poter dire quello che pensa, senza critiche o
interruzioni. Se qualcuno dei familiari tende ad essere un elemento disgregante o
non rispetta il diritto degli altri a parlare, può essere utile chiedere ad una figura
esterna - un medico, un sacerdote o uno psicologo - di presiedere la riunione.
In alcune famiglie si preferisce individuare una sola persona che avrà la responsabilità
principale dell'assistenza, mentre in altre si decide di suddividere tale compito. Di fatto,
anche se una sola persona è stata designata a farsi carico dell'assistenza, gli altri
familiari possono fornire un aiuto consistente, occupandosi dei trasporti, della
corrispondenza, di tener compagnia al malato, ecc. Una riunione di famiglia può essere
utile per selezionare le persone disponibili: può essere utile predisporre una tabella degli
orari e dei compiti. Una riunione di famiglia può anche servire per mettere in evidenza
eventuali difficoltà pratiche di qualche familiare (distanza, problemi economici, ecc.),
che possono essere motivo di frustrazione e sensi di colpa. La collaborazione da parte di
persone esterne, come i vicini di casa, permette di allentare lo stress e di dedicare più
tempo all'assistenza al malato.Quando si è impegnati nell'assistenza ad un malato di
Alzheimer - da soli, o con il supporto di familiari e amici - è importante essere
consapevoli dei propri limiti.
Fin dall’inizio della malattia sarà necessario affrontare alcune questioni relative
all'autonomia della persona che riguardano soprattutto la libertà personale (guidare la
macchina, uscire da solo, bere alcolici, fumare, ecc.) e la gestione del denaro (emissione
di assegni, compravendite, investimenti, ecc.). Questi temi dovranno essere discussi col
malato ad uno stadio iniziale della malattia, quando è ancora in grado di prendere delle
decisioni. Nell’affrontare questo tipo di problematiche, ci si troverà probabilmente
combattuti tra il desiderio di lasciare al malato la maggior indipendenza possibile e
quello di proteggerlo da eventuali rischi o danni.
TRASPORTI PUBBLICI Allo stadio iniziale della malattia, il malato di demenza può essere in
grado di usare i trasporti pubblici. Ma, col progredire della malattia, può cominciare ad
avere difficoltà a ricordare dove sta andando, a pagare il biglietto, a prendere l'autobus
o il tram giusto, a scenderne alla fermata giusta, ecc. Quando questo si verifica, il
malato proverà imbarazzo e paura, specialmente se non ricorda dove sta andando o
dove abita.
USCIRE DA SOLO Ci possono essere diverse ragioni che rendono preoccupante il fatto che
il malato esca da solo, come ad esempio il traffico, il rischio che si perda o che venga
derubato, ecc.
FUMARE Bisogna di regola evitare che il malato di demenza fumi quando è solo, per il
rischio di incendi o di scottature. È meglio cercare di convincere il malato a ridurre
drasticamente il fumo, o meglio ancora a smettere del tutto. I malati di demenza spesso
si dimenticano di fumare e una volta che l'abitudine è interrotta non sentono più la
mancanza della sigaretta. Il rischio maggiore si ha quando il malato fuma da solo a
letto. Un buon compromesso può essere quello di persuadere il malato a fumare
soltanto quando è in compagnia, piuttosto che proibirgli completamente di fumare.
GESTIRE DENARO La difficoltà a gestire il denaro rappresenta uno dei primi problemi
nella demenza. L’incapacità di comprendere il significato simbolico del denaro e la
perdita della memoria, possono indurre la persona a pagare più volte la stessa cosa, non
pagarla per nulla, regalare i propri soldi o perderli.
TUTORE O CURATORE Col progredire della demenza, il malato avrà sempre più difficoltà a
difendere i propri interessi. È possibile nominare un tutore che protegga il patrimonio e
prenda decisioni per conto suo. Questo istituto può essere necessario nei casi in cui il
malato non abbia dato disposizioni utili all’inizio della malattia.
Il malato di demenza giovane è più consapevole dei propri disturbi, più frequente è
perciò il senso di impotenza e la frustrazione. Inoltre, il malato giovane è in genere più
forte e attivo fisicamente, il che può rendere particolarmente difficile controllarne il
comportamento irrequieto o aggressivo.
Se la persona colpita da demenza è giovane, è ancora più probabile che debba cambiare
o lasciare il lavoro. È importante assicurarsi che il datore di lavoro sia al corrente della
malattia, perché il malato non rischi di essere licenziato per incompetenza. Questo
potrebbe essere ulteriore motivo di frustrazione se questo comporta anche una perdita
di status sociale ed economico.