La Polonia è uno dei Paesi che ha registrato negli ultimi anni un maggiore
incremento di vocazioni al sacerdozio. In questo fenomeno svolge un ruolo
indubbiamente importante l'immagine del sacerdote che i cittadini polacchi
desiderano per la loro Chiesa. Potrebbe spiegare, Eminenza, quali aspettative
ha la Chiesa in Polonia in tal senso? Prima di tutto devo dire che dobbiamo
all'ultimo Sinodo dei vescovi il fatto che si sia intensificata e sistematizzata la
riflessione sul tema del sacerdozio ministeriale e che tale riflessione abbia
coinvolto tutta la Chiesa, passando dalle Conferenze episcopali alle Chiese
locali e a tutti i fedeli. In tal modo abbiamo affrontato uno dei punti
fondamentali della coscienza della Chiesa. A questa coscienza della Chiesa
ravvivata dal Sinodo si pone anche, per quanto riguarda la Polonia, il
problema delle aspettative dei cattolici rispetto alla figura del sacerdote.
È vero che la forte carenza di organizzazioni cattoliche nel nostro Paese ci ha
impedito molte volte di consultare tutti i settori del laicato nella fase
preparatoria del Sinodo; tuttavia altri eventi ci hanno permesso di prendere
nota in modo diretto dei suoi sentimenti riguardo al problema del sacerdozio.
La celebrazione nel 1970 del cinquantesimo anniversario dell'ordinazione
sacerdotale di Paolo VI, vissuta con particolare intensità in Polonia, il
venticinquesimo anniversario della liberazione dei 250 sacerdoti dai campi di
concentramento di Dachau, e, lo scorso anno, la preparazione della
beatificazione di Massimiliano Kolbe - il sacerdote cattolico che diede la
propria vita ad Auschwitz in cambio di quella di un padre di famiglia - hanno
rappresentato per i nostri fedeli una sorta d'introduzione spirituale al Sinodo
e, per noi, un'occasione per constatare che la figura del sacerdote si trova al
centro della coscienza della Chiesa in Polonia.
Lo dimostrano anche le risposte date dai nostri sacerdoti, la scorsa primavera,
alle domande formulate dalla Segreteria del Sinodo nella fase preparatoria.
Tali risposte si attengono a questa coscienza, ossia definiscono la figura del
sacerdote nelle sue convinzioni proprie e allo stesso tempo in conformità con
le esigenze concrete del resto del Popolo di Dio. In Polonia è un elemento
confortante la stretta relazione che esiste fra la vita sacerdotale concreta - il
modo in cui il sacerdote vede se stesso - e le esigenze della fede viva della
Chiesa: il sensus fidei del Popolo di Dio per il quale egli è stato chiamato al
ministero. Da quelle risposte si deduce che per i cattolici polacchi la
problematica del sacerdozio verte soprattutto sul momento stesso della
vocazione sacerdotale. Viene giustamente concepita come una
particolarissima chiamata personale di Cristo, come il prolungamento naturale
della chiamata rivolta da Gesù agli Apostoli. Tutti i fedeli, nelle diverse forme
dell'esistenza umana, cercano di condurre una vita in sintonia con la speciale
intenzione di Dio contenuta nel Battesimo, ma la vocazione sacerdotale
s'intende proprio nella sua peculiarità. A questo nuovo "vieni e seguimi"
pronunciato in modo imperativo da Cristo, corrisponde, nella sensibilità dei
nostri fedeli, la certezza che, al carattere personale di tale chiamata, deve
seguire un impegno totale della persona. Riassumendo, si vive, letteralmente,
l'espressione con la quale la lettera agli ebrei descrive il sacerdote, ossia ex
hominibus assumptus (Ebrei, 5, 1).
Ciò spiega come, nonostante le difficoltà obiettive, i seminari siano oggetto di
particolare attenzione da parte di tutti e vengano mantenuti grazie,
esclusivamente, alle donazioni dei fedeli. E spiega anche la straordinaria
partecipazione con cui - specialmente nelle comunità di provincia ma anche
nelle grandi città - si seguono le ordinazioni sacerdotali e le celebrazioni delle
prime Messe.
Possiamo continuare a servirci del modello del testo paolino per illustrare un
secondo aspetto importante di questa coscienza dei cattolici polacchi relativa
al sacerdozio: pro hominibus constituitur. I fedeli vedono nel sacerdote il
sostituto e il seguace di Cristo, che sa affrontare con piacere qualsiasi
sacrificio personale per la salvezza delle anime che gli sono state affidate.
Hanno fiducia in lui e apprezzano soprattutto il suo zelo apostolico concreto e
il suo instancabile spirito di sacrificio per il prossimo, realizzato nello spirito
di Cristo. Ed è proprio insistendo su queste dimensioni dell'esistenza
sacerdotale che penso si possa superare qualsiasi "crisi d'identità". Il sacerdote
è utile alla società se riesce a utilizzare tutte le sue capacità fisiche e
spirituali nello svolgimento del suo ministero pastorale. I fedeli non hanno
bisogno di funzionari della Chiesa, o di efficaci dirigenti amministrativi, ma di
guide spirituali, di educatori (fra la mia gente regna la convinzione che il
cristianesimo possieda principi morali e possibilità educative insostituibili).
Tornando al documento sinodale, per vedere riflessa in esso la situazione
polacca, sarebbe necessario apportare una lieve correzione: più che insistere
sulla crisis identitatis, sarebbe bene mettere in evidenza la identificatio per
vitam et ministerium che costituisce l'elemento più importante del modo in
cui i nostri fedeli considerano il sacerdozio, alla luce di tutto ciò che hanno
già sottolineato alcuni documenti conciliari come la Lumen gentium, e il
Presbyterorum ordinis. Ciò non significa che i sacerdoti polacchi non guardino
con gratitudine al compito realizzato dal Sinodo.
Dalle sue parole si può desumere che la crisi che ha coinvolto il sacerdozio
deriva soprattutto da difficoltà di fede e dalla mancanza di una genuina
spiritualità sacerdotale nella Chiesa di oggi. Le sembra tuttavia che, al di là
di questa crisi, agisca anche una cultura enormemente scristianizzata? Il
Sinodo, a cui lei ha fatto riferimento, ha affrontato anche questo aspetto:
qual è la sua opinione al riguardo?
Il fatto che Massimiliano Maria Kolbe sia stato beatificato durante i lavori del
Sinodo attribuisce alla sua figura - come ha sottolineato il cardinale Duval,
presidente di turno dell'assemblea sinodale - un significato che valica i confini
nazionali e fa di lui un esempio per tutti i sacerdoti: il simbolo di un tempo
segnato da crudeltà disumane, ma anche da consolanti episodi di santità. Poi,
per noi polacchi, la sua beatificazione acquista chiaramente un carattere
particolare: ai più anziani fra noi sacerdoti ricorda i tormenti subiti con il
resto della popolazione nei campi di sterminio, dove il dolore e la solidarietà
prepararono la Chiesa in Polonia a nuove prove. Ma per i più giovani, padre
Kolbe rappresenta un'indicazione di quanto il sacerdote deve esigere a se
stesso nel servizio agli altri.
Si possono anche considerare paradigmatici altri aspetti della sua personalità
(basti pensare alla sua devozione a Nostra Signora e alla sua azione apostolica
nella stampa). Tutta la sua figura, tanto intimamente raffigurata dalla croce,
è un appello pressante alla finalità apostolica della vocazione cristiana e alla
totale rinuncia a se stessi, che costituisce una dimensione costante
dell'esistenza sacerdotale.
di SILVIA GUIDI
"A proposito: se uno di voi trovasse la mia canoa, che ho lasciato sui laghi tra
le montagne di Masuren, può usarla fino alla fine della sua vita. Gliela regalo":
la vignetta che conclude L'amico Karol. Giovanni Paolo II, la sua vita
raccontata ai bambini di Philipp e Caroline von Ketteler (Venezia, Marcianum
Press, 2011, pagine 70, euro 13) non raffigura, volutamente, il protagonista
del libro, ma ne sintetizza visivamente il messaggio: la celebre canoa
ormeggiata in tutta fretta sulla riva del lago - la notizia della nomina a
vescovo di Cracovia lo raggiunse durante un'escursione lungo il fiume Lyne -
indica il cammino della vita, diretto verso orizzonti infiniti, ma percorso ogni
giorno grazie ai piccoli, faticosi, apparentemente insignificanti colpi di pagaia
del quotidiano.
L'amico Karol - ma il titolo originale è molto più bello, Karols Geheimnis, il
"segreto di Karol" - racconta ai bambini l'infanzia del piccolo Lolek, il suo
amore per il teatro, la letteratura e lo sport, senza omettere gli aspetti
drammatici di una vita segnata dalla perdita prematura delle persone più
care; la madre, scomparsa quando Karol aveva solo nove anni, la sorella Olga
e l'amatissimo fratello maggiore Edmund: narrando questi episodi, i disegni a
colori vivaci sfumano nel monocromo blu per indicare il dolore di un passato
sereno che si allontana e la durezza della prova presente.
"Leggi, Lolek, prega e leggi! Solo così imparerai a sopportare la tristezza"
ripete il padre al suo bambino, che riesce ad "attraversare" la sofferenza
impegnando tutto se stesso nello studio e lasciandosi sostenere dall'affetto
degli amici: con loro va a nuotare, organizza lunghe gite in bicicletta, gioca a
hockey su ghiaccio, pattina e impara a sciare. Una passione, quella per la
neve, che continuerà anche negli anni della maturità e delle "chiavi pesanti"
del ministero di successore di Pietro; una celebre foto lo ritrae nel 1984
sull'Adamello in perfetta tenuta da sci; altre immagini simili sono state
recentemente raccolte da Roberto e Stefano Calvigioni a corredo del libro Lo
sport in Vaticano appena pubblicato (Città del Vaticano, Libreria Editrice
Vaticana, 2011, pagine 180, euro 16). Philipp e Caroline von Ketteler, gli
autori di L'amico Karol, raccontano in modo sintetico e chiaro anche le ferite
più profonde della storia: le minacce alla Chiesa, le lunghe ombre della
guerra e dell'ideologia totalitaria: "In Polonia la vita era diventata ancora più
difficile. Un uomo di nome Stalin era salito al potere in Russia. Poiché la
Polonia era strettamente legata alla Russia, Stalin decideva quello che doveva
succedere anche in Polonia. Stalin sosteneva che bisognasse togliere tutto agli
uomini, anche la fiducia in Dio e la Verità. Perciò, più nessuno sembrava dare
più importanza alla Verità. E poiché questo era ciò che la Chiesa
rappresentava, i preti furono deportati e uccisi e le chiese vennero chiuse.
Chiunque aveva fiducia in Dio per i comunisti rappresentava un pericolo". La
stessa semplicità e chiarezza di narrazione, unite a una simile scelta di
rappresentare per immagini la vita di Giovanni Paolo II, si possono ritrovare
nell'ultimo libro di don Marcello Cruciani, sacerdote dal 1982 e parroco del
Crocifisso a Todi. Ogni settimana don Cruciani pubblica una sua vignetta sul
settimanale "La Voce" delle diocesi dell'Umbria; tra i volumi che ha
pubblicato, c'è anche una Vita Francisci (Todi, 2010) una sorridente biografia
a fumetti in cui il santo di Assisi dialoga attraverso gli episodi più celebri della
sua vita con i miti della contemporaneità. "Questo piccolo lavoro - si legge
nella quarta di copertina di Don Karol parroco del mondo (Todi, Tau editrice,
2011, pagine 31, euro 1) - presenta in modo semplice ed agile la vita di
Giovanni Paolo II ed è illustrato dallo stesso autore del testo con i fatti
salienti della sua vita; è un opuscolo popolare, adatto alla gente che non ha
molto tempo da dedicare alla lettura ma che senz'altro è affascinata dalla vita
di uno dei più grandi uomini della storia recente".
Il Papa- scrive don Cruciani - "non trova solo applausi; viene più volte
contestato ma tutto questo non lo spaventa, come afferma durante una
catechesi: "Guai se il romano Pontefice si spaventasse delle critiche e delle
incomprensioni". Non è un propagandista, è un innamorato; la preghiera e,
soprattutto, la celebrazione dell'Eucaristia sono il respiro delle sue giornate.
Giornate intense, faticose, dove il colloquio con Dio rimane sempre al primo
posto. I collaboratori sono attenti a non farlo passare durante gli spostamenti
dei suoi numerosi viaggi, di fronte ad un tabernacolo con il Santissimo
Sacramento, perché il Papa si sarebbe prostrato in adorazione, creando ritardi
sulla tabella di marcia. Ha una certezza granitica: il primo compito del Papa
verso la Chiesa e verso il mondo è pregare".
di KONRAD KRAJEWSKI
di GIOVANNI COPPA
Cardinale diacono di San Lino