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Da G. della Volpe, Opere
Marx e il segreto di Hegel
(Introduzione ad alcuni problemi di filologia marxista)
Nel riferirsi alle opere filosofiche giovanili (postume), di cui, nel presente volume, si
dà qualche saggio in traduzione e si studia qualche tratto fondamentale, Carlo Marx
osserva, nel poscritto alla seconda edizione tedesca del Capitale (1873), quanto segue:
«Ho criticato l’aspetto mistificatore della dialettica hegeliana circa trent’anni fa, in un
momento in cui essa era ancora di moda. Ma, proprio negli anni in cui stavo elaboran
do il primo volume del Capitale, l’uggiosa, arrogante e mediocre genìa degli epigoni,
che va oggi per la maggiore nella Germania colta, era arrivata al punto di trattare He
gel come il bravo Mosè Mendelssohn trattava Spinoza al tempo di Lessing, — come un
“cane morto”. Perciò mi dichiarai apertamente scolaro di quel gran pensatore, e qua e
là, nel capitolo sulla teoria del valore, mi posi anche a civettare con le espressioni che
gli erano proprie. La mistificazione che la dialettica subisce nelle mani di Hegel non
distrugge in nessun modo il fatto che egli per primo ha esposto in forma completa e co
sciente le forme generali del movimento dialettico. In Hegel la dialettica è collocata
con la testa all’ingiù. La si deve arrovesciare, per scoprire dentro alla scorza mistica il
nucleo razionale. Nella sua forma mistificata la dialettica era diventata una moda te
desca, perché sembrava ch’essa trasfigurasse la realtà. Nella sua forma razionale essa
causa alla borghesia e ai suoi portavoce nel campo della scienza dispetto e orrore, per
ché nella comprensione della realtà essa include la comprensione della sua negazione,
della sua necessaria distruzione; perché concepisce nel flusso del movimento ogni for
ma esistente, e quindi la concepisce pure nel suo aspetto transitorio; perché non si la
scia incutere timore da nulla; perché è, per l’essenza sua, critica e rivoluzionaria. Il
movimento pieno di contraddizioni della società borghese è avvertito dal borghese pra
tico nel modo più evidente nelle vicissitudini del ciclo periodico che l’industria attra
versa, e nel suo ciclo culminante, che è la crisi generale. Questa è di nuovo in marcia,
benché si trovi tuttora negli stadi preparatori, e grazie all’ampiezza delle sue manife
stazioni, grazie alla intensità dei suoi effetti, essa farà penetrare la dialettica perfino
nei cervelli dei felici rampolli del nuovo sacro impero tedesco prussiano!» 1.
Ora, ci sembra si possa dire senza esagerazione che, dopo la pubblicazione postuma,
abbastanza recente (dal 1927 in poi), delle opere filosofiche giovanili, tutte le questioni
fondamentali del marxismo teorico, da quella del «nucleo razionale» della «dialettica» a
quella del praktischer Umsturz o «rovesciamento pratico», alle quali esplicitamente o
implicitamente si riferisce Marx in questo poscritto prezioso, tutte sono da riesamina
re. In altri termini, con tale pubblicazione si ripropone ex novo la questione della natu
ra e portata precisa della critica marxiana della dialettica platonicohegeliana, e del
bilancio degli interessi hegeliani nel marxismo. Tale questione si può articolare in tre
domande costituenti, ci sembra, le istanze fondamentali di una filologia marxista ag
giornata: 1. che cosa intende Marx per dialettica «mistificata»? 2. che senso e limiti ha
1 Carlo Marx, Scritti scelti, Mosca, 1943, I, pp. 3223; corsivo nostro.
il kokettieren, il «civettare», di Marx, con la dialettica hegeliana, dopo averne criticato
il lato «mistificatorio»? 3. che cosa si ha da intendere per quel «nucleo razionale» della
dialettica, che resta dopo averne sgombrato la scorza mistica e mistificatoria, e che la
costituisce «critica e rivoluzionaria» per eccellenza?
Potrebbe sembrare (anzi sembra a molti, se non ai più dei teorici marxisti) che una
risposta ancora soddisfacente, almeno al terzo di questi interrogativi, si abbia propria
mente nella messa a punto del marxismo contenuta nello Antidühring engelsiano. Ma
non ci sembra che sia così. Già Lenin, in una nota sulla Dialettica (1915), ha osservato
che, come poi in Plechanov, in Engels (sia pure «nell’interesse della volgarizzazione»),
l’«essenza» della «dialettica», cioè «la divisione dell’uno e il riconoscimento delle sue
parti contraddittorie», «di regola riceve un’attenzione inadeguata», ché «la identità de
gli opposti è assunta come una somma totale di esempi (“per esempio, un seme”, “per e
sempio, il comunismo primitivo”)»2.
Certo, non si può dimenticare che, particolarmente nel primo libro dell’Antidüh
ring, dedicato alla Filosofia, Engels ha talvolta trattato felicemente la questione del
«nucleo razionale» della dialettica, cioè del modo criticorazionale, moderno, di intende
re la dialettica; come quando, ad es., scagiona la trattazione marxiana sulla «accumu
lazione capitalistica» dall’accusa dühringhiana di essere (con l’uso che fa della formula
della «negazione della negazione») un «micmac di idee, secondo cui tutto è uno», osser
vando che: «è soltanto dopo aver portato a termine la sua dimostrazione storica e eco
nomica che Marx continua dicendo che “il sistema d’appropriazione capitalistico, deri
vante dal modo di produzione capitalistico, e in conseguenza la proprietà privata capi
talistica costituiscono la prima negazione della proprietà privata individuale fondata
sul lavoro personale” etcetera»; e che insomma, «quando Marx qualifica questo seguito
di fatti come “negazione della negazione”, non pensa affatto a provarne così la necessi
tà storica», ma che «al contrario: quando ha provato mediante la storia che la cosa si è
in parte prodotta e in parte deve prodursi ancora, designa ciò al contempo come un fe
nomeno che si compie secondo una legge dialettica determinata; ed è tutto» (corsivo
sempre nostro).
Non si può, dunque, non si deve dimenticare la duplice lezione implicita in questo
felice chiarimento metodico engelsiano: 1. che Marx (non il marxista scolastico!) ha,
nella sua ricerca positiva, scientifica, veramente solo «civettato» con le formule della
«dialettica», usandole come innocenti metafore per riassumere icasticamente, secondo
l’«immaginoso» linguaggio intellettuale, colto, del tempo, i processi storici di cui ha sco
perto le leggi scientifiche; 2. che la dialettica che sola interessa Marx e il marxismo au
2 V.I. Lenin, Selected works, London, 1943, XI, p. 81. Cfr. il seguente giudizio generale di Antonio
Gramsci, che può valere contro la confusione di Engels con Marx iniziata, da noi, da Antonio Labrio
la: «Non bisogna sottovalutare il contributo di Engels, ma non bisogna neanche identificare Engels e
Marx, né bisogna pensare che tutto ciò che il primo ha attribuito al secondo sia assolutamente au
tentico e senza infiltrazioni» etcetera (in Rinascita, marzo 1947, supplemento al n. 3). In quanto alle
critiche rivolte da J. P. Sartre a Engels e al marxismo dell’Antidühring (in Temps modernes, giugno
1946, n. 9, pp. 1545 sgg.), la sola cosa interessante da notare è che esse (ad es.: «réalisme naïf», «on
t’ils voulu donner à la matière le mode de développement synthétique qui n’appartient qu’à l’idée»,
«extériorité et intériorité, inertie et progression syntétique, sont simplement juxtaposées» etc.) sono
già implicite e ricavabili, come avvertimento autocritico avantilettera, nella e dalla critica marxia
na della dialettica «mistificata» (vedi sopra, e avanti: il saggio seguente): cosa che Sartre, che critica
(ed è più comodo) il marxismo limitandosi a Engels, e a un certo Engels, è forse ben lontano dal sup
porre!
tentico è la dialettica determinata, cioè coincidente con la legge scientifica (e questo ci
sembra il nuovo grave problema della dialettica, cioè del «nucleo razionale» di essa, po
sto da Marx).
Ma d’altra parte, tornando alla posizione di Engels, Engels si è poi contraddetto, ha
come annullato quel suo felice avvertimento metodico, quando (e qui incide l’appunto
fattogli da Lenin) ha, nello stesso luogo, dialettizzato (immediatamente) degli esempi,
dei fatti empirici, ha cioè ipostatizzato, «sostantificato» la dialettica, l’universale, l’ide
a; ripetendo (con intenzioni diverse da Hegel, certo) un errore come quello rimprovera
to a Hegel da Marx, nella sua critica della dialettica mistificata (vedi il saggio che dia
mo avanti di tale critica, a proposito della concezione hegeliana del diritto statuale).
Quando, infatti, Engels assume che un «seme d’orzo», che cade su terreno acconcio
etc., e germoglia, «come tale trapassa, cioè è negato», e in suo luogo sorge la pianta che
produce nuovamente semi d’orzo e, «come appena questi giungano a maturità, lo stelo
muore, ossia è negato», e «abbiamo, infine, quale risultato della negazione della nega
zione, l’iniziale seme d’orzo, ma moltiplicato per dieci» etc.; che fa Engels di sostanzial
mente diverso da ciò che fa Hegel, quando, ad es., nella Filosofia della natura, dialet
tizza suono e calore, assumendo che «il riscaldarsi dei corpi sonanti, come di quelli per
cossi, e anche di quelli soffregati l’uno sull’altro, è il fenomeno del calore, che, in con
formità del concetto, nasce col suono»; o quando, nella Filosofia del diritto, dialettizza il
sovrano e il popolo, giustificandosi col dire che «appartiene alle vedute logiche più im
portanti che un momento determinato, il quale, in quanto sta in antitesi, ha la posizio
ne di un estremo, cessi di esser tale e sia un momento organico, per il fatto ch’esso è,
nello stesso tempo, un medio»; e suscitando così i sarcasmi di Marx? E l’ultimo passo
citato di Hegel non è richiamato puntualmente dall’esaltazione engelsiana (che chiude
la sua dialettica di esempi) di «quei giri dialettici che Marx va adoperando [sic]», per
cui «ecco il ripiegare di un estremo nel suo opposto, e da ultimo, come nocciolo di tutto,
la negazione della negazione»?
È vero che poi Engels si affretta ad avvertire: che «si intende da sé ch’io non dico
nulla di positivo su quello specifico processo di sviluppo che il seme d’orzo percorre dal
venir germogliando fino al morir della pianta ch’ha recato nuovo frutto, finché mi fer
mo a dire: negazione della negazione. Poiché, come il calcolo integrale è anch’esso ne
gazione della negazione, tanto farebbe, a rimaner sulle generali, che io pronunciassi
questa assurda proposizione: essere il processo biogenetico di uno stelo d’orzo un calco
lo integrale o addirittura il socialismo [intendi: tanto varrebbe unificare astrattamen
te, ossia confondere, tutte le cose particolari, nella dialettica, nell’idea o universale]. E
questo è il modo surrettizio con cui i metafisici àlterano la dialettica» (e qui si fa palese
l’influenza benefica su Engels di quella critica marxiana della dialettica mistificata
ch’egli almeno doveva pur conoscere!). Ed è vero che Engels conclude, in sostanza, che
«ciascun genere di cose ha il suo modo particolare di comportare la negazione, affinché
ne consegua uno sviluppo».
Ma è anche vero che egli mantiene che: «quando dico di tutti codesti processi ch’essi
sono negazione della negazione, li abbraccio tutt’insieme sotto una sola legge evolutiva,
e perciò appunto faccio astrazione dalla peculiarità di ciascun processo particolare». È
anche vero, cioè, che Engels tien fermo alla sua convinzione che sia lecito e fruttuoso i
solare, «astrarre» la dialettica dall’esperienza; correndo così continuamente il rischio di
ipostatizzarla e però di giustapporla ai processi particolari, che restano così gratuiti, e
surrettiziamente assunti; mentre è vero ch’essi implicano già, come loro «legge genera
le» incorporata, concretata in essi, la dialettica, l’universale. Perché, proprio per attin
gere la dialettica reale ch’è lo scopo del marxismo (e qui l’intenzione di Engels, quando
dice che «la negazione della negazione realmente ha luogo», e la sottolineatura è sua,
«nei due regni del mondo organico» etcetera, è radicalmente altra da quella hegeliana,
panlogistica); proprio per ciò bisogna tener fermo che la dialettica ha un senso o valore
solo in quanto dialettica determinata ossia assorbita nelle leggi scientifiche, cioè condi
zionante queste, e con queste coincidente in concreto.
Bisogna, insomma, persuadersi che dialettizzare ha un senso solo in quanto sia un
dialettizzare (cioè unificare) dividendo, cioè classificando, in concreto; ma perciò non
ha senso dialettizzare dall’esterno, astrattamente, degli «esempi», cioè dei fatti, che, in
quanto tali, presuppongono già la dialettica, di cui essi, come tali, hanno da essere e
sono la puntualizzazione o realizzazione. È, nel migliore dei casi, un innocuo doppione,
un fuor d’opera, un metaforizzare, come accade con le «civetterie» di Marx, del Marx
autocritico.
E «rivoluzionaria» è, certo, la dialettica, ma non in se stessa e per se stessa (ché, se
mai, guardata in sé, nell’analisi, essa rappresenta, avendo la funzione dell’«universa
le», l’aspetto dell’unità e continuità e permanenza, almeno se il termine «dialettica» si
gnifica qualcosa d’altro dalla categoria scientifica, positivistica, della «lotta darwinia
na» con cui è stata contaminata da Engels in poi): rivoluzionaria è in quanto è «criti
ca», cioè in quanto entra come coelemento (razionale) nella costituzione delle scienze
(l’altro elemento non può essere nient’altro che l’«esperienza»): chi potrebbe, infatti, so
stenere che il marxismo è rivoluzionario mediante i «giri dialettici», di cui sopra? o non
piuttosto mediante le determinate scoperte scientifiche, economiche e sociologiche, del
Capitale? Dire, come dice Engels (nella prefaz. alla sec. ed. dell’Antidühring), che an
che «la scienza naturale ha ora progredito tanto che non sfugge più alla concezione
dialettica» è riavvicinarsi, pur senza volerlo, alla filosofia hegeliana della natura, a u
na metafisica della natura: o nel migliore dei casi è ancora «civettare» con quel «mobile
mistificato» ch’è, secondo il Marx critico del conservatore Hegel, il preteso dinamismo
dialettico del «pensiero astratto»; e, del resto, fattore specifico di dinamismo non è l’«e
sperienza» con la «novità» del «fatto»? La scienza, naturale o non, è già, è sempre dia
lettica, proprio in quanto scienza; non ha bisogno di «progredire» nel senso di diventare
«dialettica». E, d’altra parte, come si spiegherebbe ciò che dice Marx (vedi sopra in
principio) della dialettica «nella sua forma razionale», cioè criticorazionale, per cui si
mostra il «flusso» e «movimento» di ogni «esistente», ossia il suo aspetto «transitorio»?
Come si spiegherebbe, se la dialettica (che presa per sé, e metafisicizzata, è movimento
chiuso, «circolare», non aperto) non dovesse intendersi in funzione dell’esperienza e cor
relativa «probabilità» (noncertezza!) o apertura? Se non dovesse insomma intendersi
incorporata, come sua condizione (non unica), nella scienza?
Stante quel che precede, dovremo concludere dunque che il problema del «nucleo ra
zionale» della dialettica si riduce tutto al problema di una coscienza della scienza? No,
se si intenda per «coscienza della scienza» qualcosa di simile all’epistemologia tradizio
nale, che, basata com’è, nel migliore dei casi, su preconcetti positivistici e fenomenisti
ci, e, nel peggiore, oggi frequente, su preconcetti metafisici e teologici, rivela una co
scienza dogmatica, un’assenza di coscienza della «dialettica determinata» ch’è ogni
procedimento scientifico. Sì, se s’intenda una coscienza critica della scienza; se s’inten
da, cioè, semplicemente una coscienza materialisticopratica, che, oltrepassata ogni
metafisica, sia quella del materialismo tradizionale, «teorico», che che quella dell’idea
lismo, è in grado sola di salvare il nucleo razionale della dialettica.
Che significhi «coscienza materialisticopratica» è indicato schematicamente nella
pregnante formula fondamentale del praktischer Umsturz o «rovesciamento pratico»,
per cui è detto da Marx che «le circostanze [cioè l’economico, la natura etc.] fanno gli
uomini [la coscienza etc.] tanto quanto gli uomini fanno le circostanze» 3. Il che ci indica
già come si sia al di là tanto del dogmatico determinismo positivistico e materialistico
(tradizionale) quanto dell’indeterminismo dogmatico dell’idealismo; con la nuova pro
blematica generale che ciò importa. E per quel che significhi «coscienza materialistico
pratica» specificamente, riguardo al problema del nucleo razionale della «dialettica»,
cioè, infine, dell’«universale», basti qui accennare che ci sembra che la forma corretta
che questo problema deve assumere, in sede di critica dell’ideologia filosofica tradizio
nale, non possa esser che questa: come si concilia, non estrinsecamente, la contraddi
zione, la dialettica, con la noncontraddizione (da Hegel misconosciuta) che caratteriz
za il pensiero empirico e scientifico in genere, per cui un «uomo» è un «uomo» e non un
«albero»? Il che significa chiarire il problema della dialettica determinata, della scien
za cioè, da cui siamo partiti.
Questi, nella forma più rapida, i problemi più generali che ci sembrano urgere oggi
nel marxismo, oggi che possiamo abbracciare e connettere la critica marxiana della
dialettica «mistificata» (in quanto «interpolazione» allegorizzante, teologica, del conte
nuto, dell’empiria, della storia, con la conseguenza dell’empirismo o positivismo «fal
so», «acritico», di un’empiria surrettizia perché gratuita, e gratuita perché trascesa
nell’allegorismo aprioristico), questa critica svelatrice davvero del «segreto di Hegel» 4,
con la realizzazione consapevole della dialettica nella scienza economica e sociale del
Capitale.
Chiarire e sviluppare il senso di questa consapevole realizzazione della dialettica
nella scienza ci sembra il compito «teorico» più generale (e non certo il meno importan
te «praticamente», se si riflette soltanto che, in quanto «dialettico» nel senso suinteso,
il materialismo storico dà all’uomo coscienza della sua forza reale, umana, e della sua
condizione, al di là di ogni fatalismo, anche «economico»), il primo compito impostoci
dal marxismo integrale che ora cominciamo a conoscere.
3 Deutsche Ideologie, I, 18456 (cfr. MarxEngels historischkritische Gesamtausgabe, I, 5, p. 28). Cfr.
la «prassi rivoluzionaria», e la «coincidenza del variare dell’ambiente e dell’attività umana», che «può
solo esser concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria», nelle note Tesi su Fe
uerbach (1845), tesi prima e terza, etcetera. E cfr. l’engelsiana umwälzende Praxis e simili, e il noto
avvertimento autocritico di Engels stesso (nella lettera a Giuseppe Bloch, del 21 sett. 1890): «Di
fronte agli avversari noi dovevamo sottolineare il principio essenziale da loro negato [il fattore eco
nomico, la produzione etc.], e allora non trovavamo sempre il tempo […] di render giustizia agli altri
fattori che partecipano all’azione reciproca» (Carlo Marx, Scritti scelti, I, pp. 3945, 363; corsivo no
stro).
4 Oekonomischphilosophische Manuskripte (1844), III (Gesamtausgabe, I, 3, p. 155): «schon in der
Phänomenologie […] der unkritische Positivismus […] der späteren Hegelschen Werke — diese phi
losophische Auflösung und Wiederherstellung der vorhandenen Empirie — latent liegt, als Keim, als
Potenz, als ein Geheimnis vorhanden ist» (corsivo nostro). E vedi avanti, a pp. 168 sgg., i Testi tra
dotti.