1. Il concetto di cultura
Vita Zoe:esprime il semplice fatto di vivere in comune a tutti gli essere viventi
Vita Bios:Il termine che esprime la vita propria di un singolo o un gruppo
Esempio:ripararci dal freddo è vita Zoe,farlo con abiti e ornamenti è vita Bios
Nei testi liturgici rito designa l’ordinamento complessivo della liturgia mentre
cerimonia indica la prassi delle azioni liturgiche;quest’ultimo termine oggi è usato
per indicare qualunque azione formalizzata e codificata di tipo laico,spesso di
carattere pubblico. Nello studio del rituale si possono individuare due
orientamenti: il primo focalizza l'attenzione sulle funzioni e sugli effetti dei riti
analizzati nel contesto sociale; il secondo privilegia il contenuto simbolico del
rituale o la sua storia.
a) Gli effetti dei riti collettivi sull'individuo: valori morali e simbolismo rituale
In quanto espressione di una collettività, i riti possono essere considerati un
veicolo per trasmettere idee ed esperienze ai membri di una comunità. Li si può
paragonare a un testo o a un'opera teatrale che viene rappresentata perché
possa comunicare il suo messaggio alle generazioni successive o esercitare su di
esse la propria influenza; l'autore del testo in questo caso è la società stessa.Il
rituale ha un ruolo importante nella conservazione e nella trasmissione della
cultura. Attraverso la partecipazione ai riti i membri di una società apprendono
valori e conoscenze importanti per la comunità e in questo senso i riti possono
essere considerati una forma di condizionamento sociale delle percezioni e dei
comportamenti individuali. Lo studio dei riti può gettare luce sull'ordine morale
di una società. Le celebrazioni rituali generano esperienza e nello stesso tempo
riaffermano le credenze e gli ideali collettivi fondamentali della comunità.
È questa la concezione, assai vicina a quella di Durkheim, che sta alla base degli
importanti studi sul rituale di Victor Turner, in particolare quelli dedicati al
simbolismo rituale dei Ndembu dello Zambia (v. Turner, 1957, 1967 e 1969).
Nella società Ndembu la cui sussistenza si basa sugli scarsi raccolti consentiti da
un ambiente desertico e sulla caccia, le condizioni di vita sono piuttosto dure.
All'instabilità dovuta ai continui cambiamenti di insediamento si aggiunge quella
derivante dal conflitto tra un modello di residenza patrilocale (per cui la coppia
va a vivere presso la famiglia del marito) e un sistema di discendenza
matrilineare (ossia calcolata per via femminile). Al centro dell'interpretazione di
Turner vi è l'idea che il simbolismo rituale dei Ndembu abbia la funzione di
richiamare e rendere tangibili i valori morali fondamentali della società. I valori
connessi ai legami e alle obbligazioni matrilineari, alla fertilità e all'abilità nella
caccia, che nella società ndembu hanno un'importanza centrale, vengono evocati
nel rituale attraverso una serie di oggetti e di qualità simbolici (ad esempio
arbusti e piante, il corpo e i suoi fluidi, i colori) che possono assumere un ampio
ventaglio di significati. Secondo Turner, una società costretta a vivere in un
ambiente che offre scarse opportunità di seguire un modello ecologico stabile
trova le proprie regolarità nei processi biologici e nella natura allo stato selvatico,
piuttosto che nei ritmi 'artificiali' del calendario agricolo o della vita stanziale.
Una particolare pianta dal cui gambo tagliato stilla un liquido bianco simile al
latte diventa un simbolo del seno, della maternità, dei vincoli matrilineari;
un'altra pianta dalla linfa rossa evoca il sangue, la caccia, il pericolo; un arbusto
che i cefalofi (una specie di antilopi) utilizzano come nascondiglio viene usato nei
riti della caccia e nelle tecniche di divinazione per scoprire le cose nascoste (v.
Turner, 1967). Un oggetto concreto come il ramo di un albero può essere dotato
di significati astratti e indicare per associazione di idee determinati attributi
umani o funzioni corporee; può essere mosso da una determinata persona, o
posto in relazione con qualcuno o con qualcosa per illustrare un'idea, per
suggerire un legame tra persone e concetti, o valori ed emozioni. Gli oggetti e le
azioni dei riti ndembu spesso sono piuttosto comuni, ma hanno significati ed
effetti alquanto complessi. Turner paragona gli oggetti concreti (i simboli) del
rituale alle note di una partitura musicale organizzate in schemi o strutture al fine
di evocare idee, atteggiamenti e sentimenti. La polisemia delle note (gli oggetti
simbolici) fa sì che i loro significati possano cambiare di volta in volta ed essere
associati in modo evocativo e creativo. Gli oggetti simbolici sono come i segnali
che un cacciatore incide sugli alberi per indicare il percorso, o come luci
nell'oscurità che connettono il noto e rivelano l'ignoto. Le metafore delle tracce
incise sul tronco degli alberi e dei segnali luminosi fanno parte del repertorio di
immagini usate dai Ndembu per spiegare i loro riti a Turner. In generale, egli non
ebbe alcuna difficoltà a ottenere dai membri di questa società spiegazioni
dettagliate sul complesso ventaglio di significati e sulle associazioni emotive e
cognitive delle loro azioni rituali.
I diversi tipi di riti possono essere classificati in molti modi, ma nessuno schema
classificatorio ha incontrato sinora un consenso unanime. Mentre i riti di
passaggio che segnano gli stadi e i mutamenti principali nel ciclo di vita (nascita,
matrimonio, morte, ecc.) sono identificati quasi universalmente, la classificazione
di altri tipi di rito è resa più difficile dal fatto che le motivazioni, gli scopi, gli
accenti e le tematiche variano da cultura a cultura. I riti di passaggio che segnano
i cambiamenti del ciclo di vita hanno un carattere diverso a seconda di come
vengono percepiti e segnalati i processi evolutivi. In alcuni casi le transizioni
possono essere considerate e celebrate come processi normali che hanno un
andamento ciclico e regolare, mentre in altri sono percepite come momenti di
crisi che la comunità cerca di controllare o di risolvere attraverso una risposta
rituale. Turner (v., 1957) contrappone così ai riti fissi e prestabiliti i riti 'riparatori',
con i quali una società tenta di fronteggiare le situazioni di incertezza e di stress.
È questo il caso dei culti di iniziazione dei Ndembu, che rispondono alle situazioni
di conflitto e di crisi richiamando e riaffermando i principî e i valori su cui si fonda
la società, al fine di suscitare un coinvolgimento emotivo e morale nei
partecipanti.
L'importanza del rito nella vita dell'uomo è stata ribadita da alcuni autori
contemporanei (v. ad esempio Bell, 1992; v. Douglas, 1970; v. Luhrmann, 1989),
secondo i quali attraverso i drammatici rovesciamenti dell'esperienza quotidiana,
le prove ordaliche e gli eccessi che li caratterizzano, i riti possono avere effetti
significativi sugli atteggiamenti, sulla conoscenza, sui legami di fedeltà, sulla
percezione di sé, sull'identità e sulle credenze degli individui. L'impatto
psicologico di alcuni riti emerge chiaramente dai commenti degli attori e degli
spettatori. Le società che hanno subito radicali trasformazioni sociopolitiche e
hanno cercato di abolire i riti per eliminare i valori sorpassati che questi
rappresentano - come la Francia e la Russia dopo le rispettive rivoluzioni (v. Lane,
1981) - hanno dovuto constatare che questi continuano a ripresentarsi, o si sono
viste costrette a creare nuove forme rituali. Il tentativo di costruire una società
priva della dimensione rituale è naufragato di fronte al bisogno di offrire
un'istituzione in grado di esprimere e sacralizzare l'ordinamento sociale, di
ottenere il consenso sui suoi sistemi di valori e di segnare i passaggi fondamentali
del ciclo di vita. I riti continuano a esistere nella società industriale moderna, sia
come espressione di una 'religione civile' (v. Bellah, 1967), che associa valori
religiosi tradizionali e valori politici, sia nei riti legati alle religioni politiche, che
mirano in modo più esplicito ad assicurare il consenso sui fini e sui valori della
sfera macropolitica. Come osserva Geertz (v. 1968, p. 7) i riti rappresentano sia
un 'modello di' relazioni sociali, sia un 'modello per' tali relazioni. Nonostante le
controversie teoriche e i confini incerti del concetto di rito, esso continua a
sopravvivere ai suoi detrattori.
5. Le cicatrici significative
In moltissime società si vedono le modificazioni praticate dagli altri popoli come
“mutilazioni” e le proprie come “perfezionamenti”,occultando così il carattere
culturale delle pratiche altrui nel primo caso e quello cruento delle proprie nel
secondo caso. Le mutilazioni genitali femminili sono considerate come pratiche
barbare e violente che ledono la dignità e il corpo della donna. Fermo restando la
netta presa di distanza ,è compito dell’antropologo osservare tali modelli
culturali sotto un’altra prospettiva
Tutte le culture elaborano un sapere sul corpo e non può essere studiato
astraendolo dalla costruzione sociale della realtà. Vi è una difficoltà nel definire il
corpo, le sue parti e i suoi confini in modo univoco poiché ciò che per una società
è una mutilazione per un’altra si tratta di perfezionamento del corpo tramite
escissioni di parti ritenute superflue. La percezione stessa del corpo,in questo
caso i genitali,modificati viene interiorizzata come un qualcosa di normale.
Ogni società pensa al corpo a modo suo e cerca di renderlo sempre più conferme
all’idea proprio,come se il corpo ,dalla nascita, non fosse perfetto e avesse
bisogno di modificazione. Queste pratiche sono definite da Mauss cosmetica
permanente e rientrano in questa categoria operazioni quali
scarificazioni,deformazioni cicatrizzazioni e quant’altro. Le cicatrizzazioni hanno
un importante aspetto:dal punto di vista simbolico hanno una doppia
spiegazione riferita al particolare tipo di interazione tra corpo e mondo
esterno,in quanto le ferite sono viste come soglie di uscita di
sostanze(sangue,carne) e luoghi d’entrata di una materia esterna.
Il segno ha la funzione d’informare mentre il simbolo opera delle trasformazioni
sia ideali che materiali. L ‘aspetto materiale e corporeo del simbolo permette che
i valori culturali che vi sono associati possano essere percepiti come naturali. I
significati simbolici sono spesso legati da un rapporto d’interdipendenza con la
materia e la forma del significante. Nella medesima cultura, le diverse tecniche
con le quali si opera un corpo per modificarlo sono investite di significati precisi.
Il gesto del taglio con il quale si produce la ferita riveste spesso un significato
particolare nel contesto del sistema simbolico costituito dall’operazione e in base
alla cultura ove la si fa.
L’intervento sul corpo implica generalmente perdita di sangue e di parte del
corpo che spesso sono considerate parti integranti del processo tecnico; per
esempio per alcune culture il sangue perso durante l’operazione,come anche le
parti del corpo escisse, assumono connotati positivi e guaritori ,per altre culture
invece assume tratti impuri. Non solo ci si separa da parti del corpo
nell’operazione,ma in alcuni casi si ricevono anche sostanze dall’esterno che
rappresentano per lo più parte stessa del simbolismo.
Dopo l’operazione, oltre all’applicazione di sostanze cicatrizzanti, possono essere
applicate una serie di prescrizioni riguardanti l’alimentazione e le norme di
comportamento – ad esempio l’isolamento – il cui scopo sarebbe quello di
contribuire alla guarigione delle ferite e di ottenere dunque un risultato finale
perfetto. Presento qui di seguito qualche esempio del valore che possono
assumere tali prescrizioni. La creazione di aperture sul corpo e la loro chiusura,
nonché il trattamento delle sostanze corporee fuoriuscite costituiscono l’ampio
corollario delle modificazioni corporee. Queste operazioni tecniche implicano
perdite e acquisizioni di sostanze attraverso “passaggi” del corpo creati
artificialmente, e tali entrate e uscite sono investite di significati diversi a
seconda delle società. Tali aspetti possono contribuire a una comprensione del
senso che, in ogni società, viene attribuito a queste pratiche.
Un altro aspetto del processo tecnico suscettibile di chiarire il senso generale
della modifica corporea riguarda la postura degli operatori e dei pazienti. le
posture adottate nel corso delle differenti operazioni (rituali o estetiche)
indicano non solo una certa coerenza interna dell’insieme delle “tecniche del
corpo” (cfr. Mauss, 1950), ma anche le loro correlazioni simboliche. Siamo in
presenza di una “serie” di trasformazioni, incentrate sul corpo femminile, che
scandiscono e organizzano gli avvenimenti biologici che lo riguardano. Negli
esempi delle donne Mooese del Burkina Faso, la serie sembra convergere verso
l’avvenimento del parto.
Il dolore è il corollario inseparabile dei segni permanenti del corpo e svolge un
ruolo cruciale nella loro produzione. In effetti il dolore non è, in molti casi,
soltanto una conseguenza inevitabile, ma anche una necessità, a causa del suo
valore formativo di prova e della sua azione trasformatrice. Un tratto comune a
un gran numero di queste operazioni, se non vengono eseguite nei primi anni di
vita, è l’attitudine richiesta da parte di coloro che la subiscono: il dolore provato,
infatti, non deve essere manifestato in alcun modo. Se così fosse, l’operato/a e la
sua famiglia subirebbero una sanzione sociale, ovvero la vergogna. Si noti che
questa norma vige non solo durante le iniziazioni, dove il carattere di prova
costituito dal dolore è stato commentato ampiamente, ma anche in quelle
operazioni considerate semplicemente “estetiche”. Nel caso delle donne Moose
come anche nelle donne Peul il dolore è una scelta volontaria; le prime si
sottopongono a scarificazioni ventrali cosicché nel parto non avranno dolore,le
seconde sceglieranno di tatuarsi l l’interno del labbro in opposizione alla
famiglia,poiché se la donna dovesse dimostrare debolezza nel momento
dell’operazione l’intera famiglia sarebbe ricoperta di vergogna per generazioni
mentre in caso di resistenza al dolore la famiglia sarà fiera della donna. Il dolore
connesso alle operazioni sul corpo implica che il segno diventi testimonianza
della sofferenza affrontata. Il segno rende visibile il dolore, e in questo senso è
bidirezionale: da un lato agisce sull’individuo e lo trasforma, dall’altro testimonia
il dolore della prova agli occhi della collettività. La resistenza al dolore costituisce
una sorta di negazione del corpo attraverso la quale si afferma la volontà e
l’identità individuale. “Chiunque sia insensibile alla sofferenza è capace di
comandare alla propria bocca e a sé stesso”, dicono i Bambara a proposito delle
auto-flagellazioni iniziatiche” (Zahan, 1960: 99). Ancora, le ferite alla base di tutte
queste modificazioni permanenti del corpo ci colpiscono troppo per non portarci
a pensare che esse contengano in sé un valore fondamentale, quale che sia la
rappresentazione veicolata dalla grafia o dalla forma plastica. Di fronte a dei visi
solcati da lunghi tagli, c’è la tentazione di vedere il segno allo stato puro,
“primario”, nel suo significato essenziale: la ferita, dolorosa e irreversibile.
Gregory Bateson (1976) ha proposto di considerare lo stile come una fonte di
informazioni e come un significato fondamentale dell’opera d’arte. Assumendo
questa prospettiva, sembrerebbe possibile considerare che le operazioni di
modifica del corpo producano uno stile, uno stile “doloroso”, lo stile “ferita”. In
Occidente si può ritrovare un eco, seppure tenue, di questo valore essenziale del
segno. In Italia, i giovani cittadini che negli anni Ottanta si tatuavano spesso
dichiaravano che ciò che più li ha motivati è l’idea di “avere un tatuaggio”, e non
quello di essere decorati con una specifica immagine50. Se le connotazioni
mitologiche trasgressive tipicamente occidentali (evocazione di mondi
avventurosi, di personaggi quali marinai, prigionieri, gente della malavita,
motociclisti, ecc.) hanno un incidenza su questo desiderio, l’aspetto di prova o di
sfida è nondimeno presente. Si potrebbe dire, con uno slogan forse ormai un po'
datato, che “il mezzo è il messaggio” (McLuhan, 1964). Così, in fondo, le
polemiche sorte in Italia a seguito alla proposta di sostituzione simbolica
dell’infibulazione, da operare eventualmente nell’ambito di strutture sanitarie
pubbliche51, sembrano mostrare il valore estremamente im- 49. Per una
discussione degli effetti delle operazioni sulla sessualità femminile, cfr.
Gruenbaum, 2001; Bellas Cabane, 2001-2002 e Catania, Hussen, 2005. 50. Le
seguenti considerazioni sono basate sul lavoro di ricerca da me condotto nel
1987 nelle città di Milano e Bologna. 51. Riguardo tale proposta, cfr. Catania,
Abdulcadir (2004; 2005). Per un commento antropologico critico a tale proposta,
cfr. Busoni (2005). La proposta del medico somalo era quella di operare, per
evitare l’infibulazione, una puntura del prepuzio del clitoride con fuoriuscita di
qualche goccia di sangue (con uso locale di crema anestetica). 28 portante
dell’azione simbolica al di là della sua forma concreta. Aver o non aver praticato
tale azione simbolica sembrerebbe, sia per chi sostiene che una puntura è
sufficiente, sia per chi sostiene che non dovrebbe essere praticata, più
importante del tipo di operazione realizzata, ovvero puntura oppure
amputazione e cucitura. Quest’azione risulta essere un simbolo così potente che i
gruppi che si sono opposti, anche solo alla puntura, temono che l’ufficializzazione
di quest’ultima potrebbe avere ripercussioni sui movimenti contro le Mgf in
Africa. La sola presenza della pratica in Occidente, infatti, potrebbe indebolire la
forza della motivazione al cambiamento nell’Africa stessa dove si potrebbe
pensare: “se anche in Italia si eseguono operazioni sui genitali femminili, perché
noi dovremmo smettere?”52. Se avere o non aver subito un’operazione diventa
più importante della qualità (“mutilatoria” o meno, secondo i canoni stessi della
biomedicina) dell’operazione, allora è chiaro che nessuna mediazione è più
possibile, e che il cambiamento deve passare per un’interruzione brusca della
pratica. Si assiste oggi a un fenomeno paradossale: mentre movimenti giovanili
hanno portato alla ribalta, e poi alla moda, pratiche come tatuaggi, piercing,
branding53, si legifera in molti paesi europei e africani contro le Mgf (in Italia
quest’anno è stata approvata una legge specificamente dedicata ad affrontare il
problema). Così, le ostetriche di Milano54, possono trovarsi a fronteggiare al
momento del parto, non solo (rari) casi di donne africane infibulate, ma anche la
sorpresa di piercing e tatuaggi praticati sui genitali di donne italiane. Tuttavia il
tatuaggio dei genitali è percepito come un fatto “un po’ meno barbaro” rispetto
alle pratiche di escissione o infibulazione, in quanto si pensa sia stato fatto, per
libera scelta, in età adulta. Fra l’altro è bene notare, a questo proposito, come
ragazzi italiani minorenni esprimano oggigiorno il desiderio di tatuarsi, forarsi55
oppure di sottoporsi alla chirurgia estetica, e talvolta chiedono ai propri genitori
la firma di consenso per potersi presentare da un professionista. Se alcune di tali
pratiche occidentali di trasformazione del corpo sembrano andare nel senso di
una trasgressione, ed altre sembrano tradurre una spinta alla conformità,
bisogna tuttavia considerare come queste connotazioni mutino nel tempo. Un
movimento continuo di trasformazione del senso attribuito 52. Da una
conversazione con una donna somala avvenuta nel corso di questo lavoro. 53 .
Branding: marchio a fuoco; il disegno viene impresso tramite uno stampo di
acciaio rovente. 54. Interviste realizzate nel quadro di questa ricerca nel 2005.
55. Riguardo al piercing tra gli adolescenti dal punto di vista psicologico, cfr.
Pietropolli, Charmet, 2000. 29 al tatuaggio nella società occidentale, lo ha
portato a trasformarsi da gesto trasgressivo in pratica estetica. Ma la sua
estetica, in cui il carattere artificiale e la presenza del segno sono fondamentali, si
differenzia nettamente da quella della chirurgia estetica, che potremmo definire
come un’estetica “del naturale”56 . La chirurgia estetica e altre pratiche di
modellazione del corpo – come ad esempio, pratiche sportive quali il body-
building, oppure alimentari come le diete – infatti, rappresentano in maniera più
evidente la tendenza alla conformità. Ma forse il tatuaggio e le altre pratiche di
modifica del corpo appaiono complementari ed esprimono appieno come,
all’interno della stessa società, convivano non solo estetiche diverse, compatibili
tra loro, ma anche, attraverso di esse, la spinta alla conformità e l’affermazione
di un’identità individuale. Ed è proprio perché, per lungo tempo, il tatuaggio è
stato malvisto nella nostra cultura, che esso ha potuto assumere una funzione di
rivendicazione dell’unicità individuale e che è stato apprezzato dai giovani.
Attraverso questo gesto trasgressivo si è affermata una volontà personale che
forse, in altre culture, si è manifestata attraverso la prova dolorosa, come se la
negazione – della norma o del corpo – fosse il modo più adatto a consolidare
l’identità individuale. I segni sul corpo possono essere “letti” per identificare colei
o colui che li porta ma non è detto abbiano un senso identificativo poiché posso
coesistere molteplici significati all’interno di un segno.
La permanenza del segno indelebile riguarda l’individuo (sul piano della forma) e
dunque il tempo individuale, ma non il tempo della società. Forme e significati,
che variano diacronicamente, devono essere studiati in una prospettiva
dinamica, cercando di capire come l’interazione tra culture produca
cambiamenti. Se esistono alcuni segni “etnici” abbastanza caratteristici e
identificabili, esistono anche fenomeni di mode che portano all’adozione, da
parte di un certo gruppo, di segni indelebili di cui si fregiano altre popolazioni.
Così, ad esempio tra gli Azande, la circoncisione non era una pratica tradizionale,
ed è stata adottata imitando le popolazioni vicine verso la fine del
Diciannovesimo secolo (Evans-Pritchard, 1962); si diceva infatti, che le donne
mostrassero una netta preferenza per gli uomini circoncisi. In alcuni casi il
contatto tra gruppi produce varianti. Così, secondo l’interpretazione di Muller,
tra i Dìì del Camerun, che come abbiamo visto praticano una finta escissione,
“tutto avviene come se – in virtù della prossimità geografica o
dell’incorporazione delle donne gbaya nell’etnia Dìì, o per i 60. Gruenbaum arriva
a ipotizzare che l’infibulazione rappresenti, nella zona del Sudan in cui ha svolto
le sue ricerche, una sorta di “marker” di gruppi etnici privilegiati, emulato da
coloro che aspirano a uno status di classe più elevato (Gruenbaum, 2001). 61 .
Comunicazione personale di Rupert Hasterok, antropologo che ha svolto ricerche
in Sudan, raccolta nel 1990. 33 due fattori congiunti – le donne Dìì avessero
reinterpretato l’escissione gbaya e deciso che non conveniva loro.” (Muller,
1993). Ugualmente, tra le varianti nate recentemente, si annoverano in Sudan
nuove tecniche di sunna e di infibulazione praticate da levatrici, dove si lascia
intatto il clitoride (Gruenbaum, 2001). In altri casi si può assistere ad una
completa inversione del valore delle operazioni, quando il segno positivo del
gruppo diventa un segno che ha un valore negativo È il caso testimoniato a
Dasima (in Nigeria) dai marchi etnici, scomparsi perché ricordavano i marchi
imposti con la forza dai mercanti di schiavi (Armitage, 1924). Allo stesso modo, in
Sudan, alcuni Dinka scolarizzati portano protesi dentarie in sostituzione dei due
incisivi inferiori che gli erano stati estratti verso l’età dei sei-otto anni62 . Vi sono
anche riti di sostituzione simbolica come quello proposto di sostituire
l’infibulazione con una puntura;evitare il trauma e il dolore mantenendo
l’efficacia del simbolo,anche se nel caso proposto non si conservava intatto il
simbolismo dato che i significati di un’amputazione sono diversi da quelli di una
puntura . Come si è visto, il marchio indelebile non corrisponde necessariamente
ad una forma di controllo della società sull’individuo, e la volontà dell’individuo
di acquisire il segno sembra, in diversi casi, tutt’altro che secondaria. Diversi
studi sulle modificazioni genitali femminili hanno suggerito che interpretare tali
pratiche come una forma di dominazione maschile è una semplificazione
riduttiva (Gruenbaum, 2001; Couchard, 2003)67. Il marchio naturalmente può
corrispondere a forme di potere sul corpo femminile, ma esso può costituire, in
alcuni casi, anche una forma di potere per chi lo acquisisce (MacCormack, 1994;
Bellas Cabane, 2001-2002). Alcune donne somale intervistate, residenti in Italia,
hanno sottolineato con fierezza la loro autonomia evidenziando come possano
circolare liberamente senza dover essere accompagnate dai mariti, come invece
accade alle donne egiziane: “da noi uomo e donna sono uguali!» 68. Una di loro
così ha commentato la loro condizione “privilegiata”: “abbiamo barattato la
nostra libertà con... [l’infibulazione]”69 . Da diversi esempi sembra emergere
l’idea che il controllo corporeo possa, in alcuni casi, essere inversamente
proporzionale al controllo sociale sulla persona. Il controllo della fecondità
sarebbe all’origine della dominazione maschile: poiché gli uomini non possono
procreare, tenderebbero ad appropriarsi di tale potere esercitando un controllo
sulle donne. Tuttavia questa interpretazione non sembra applicabile per tutte le
società, specie in quelle dove la verginità non è oggetto di una valorizzazione. Il
tema delle fecondità sembra comunque costituire un nodo centrale nelle
pratiche di modificazione dei genitali femminili, anche se questo non permette
ancora di conferire un significato uniforme a tali pratiche. L’interpretazione che
vede una simmetria tra escissione e circoncisione maschile è stata criticata a più
riprese da diversi antropologi. La frontiera che stabilisce come situare una
pratica, tra le “mutilazioni” o tra i “perfezionamenti”, sembra essere mobile per
natura, variando in funzione del punto di vista. È dunque importante ricordare
che essa varia anche in funzione delle situazioni di potere, di egemonia culturale
o religiosa che si vengono a determinare73. È opportuno forse segnalare che i
movimenti internazionali contro le pratiche nocive alla salute della donna hanno
come riferimento il sapere biomedico, e che in alcuni paesi africani, nella
sostituzione delle pratiche di infibulazione con forme meno invasive, svolge un
ruolo attualmente l’influenza di alcune correnti dell’Islam contemporaneo74 . Al
termine di questo percorso antropologico risulta evidente la problematicità di
un’assegnazione unica di significato alle varie pratiche di modificazione (genitale
e non) del corpo. Emerge, inoltre, come i significati non siano mutabili e come
possano trasformarsi, assieme alle forme che li supportano. Vorrei infine
sottolineare, a conclusione di questo contributo, quali siano l’importanza e
l’utilità dell’antropologia nei progetti di intervento. Mi riferisco alla necessità di
applicare un’ottica decentrata che permetta una migliore comprensione dei
contesti in cui le modificazioni del corpo vengono effettuate. La comprensione e
l’ascolto infatti appaiono come il preliminare imprescindibile e indispensabile
strumento per un qualsiasi progetto di intervento.