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Introduzione all’International Symposium on Marxian Theory

di

Fred Moseley

Negli anni Ottanta, mi resi conto di un’importante lacuna negli studi marxiani: la
mancanza di rapporti e di dialogo fra economisti e filosofi marxiani.
Gli economisti marxiani si erano occupati in genere di problemi quantitativi (i
prezzi, il profitto, il “problema della trasformazione”, la caduta del saggio di profitto,
ecc.) e in gran parte si erano disinteressati di questioni più filosofiche e
metodologiche (la struttura logica delle teorie economiche, la natura delle assunzioni,
ecc.). Dal canto loro, i filosofi marxiani si erano dedicati più al metodo dialettico di
Marx e alla relazione fra Marx e Hegel, senza tentare di collegare queste osservazioni
metodologiche ai problemi quantitativi che interessano gli economisti. Io stesso sono
un economista con una modesta cultura filosofica. Iniziai così a domandarmi che cosa
potessero offrire i filosofi marxiani al dibattito quantitativo degli economisti e,
viceversa, che cosa potessero offrire gli economisti marxiani al dibattito
metodologico dei filosofi.
Così decisi di organizzare un piccolo seminario interdisciplinare, composto da
otto partecipanti equamente divisi fra economisti e filosofi per vedere se fosse
effettivamente possibile instaurare un dialogo reciprocamente proficuo. Ottenni un
fondo di ricerca dal Mount Holyoke College dove tuttora insegno e, quindi, cercai di
individuare, fra coloro che conoscevo o personalmente o leggendo la letteratura a
riguardo, i sette migliori studiosi internazionali.
I quattro filosofi scelti furono Chris Arthur (UK), Paul Mattick Jr. (USA),
Patrick Murray (USA) e Tony Smith (USA); i tre economisti (oltre me) furono
Martha Campbell (USA), Guglielmo Carchedi (Italia, ma docente in Olanda) e Geert
Reuten (Olanda). Quasi tutti questi studiosi avevano da poco pubblicato libri su temi
afferenti. Con mio grande piacere, tutti accettarono il mio invito e la conferenza fu
organizzata a giugno del 1991 a Mount Holyoke.
La struttura della conferenza (che è rimasta pressoché la stessa fino ad oggi)
era così organizzata: due sessioni al giorno, ogni sessione dedicata ad un saggio.
Questi erano già stati distribuiti alcune settimane prima, in modo che tutti i
partecipanti giungessero alla conferenza preparati a dibattiti approfonditi su ciascuno
di essi. Ne risultarono discussioni approfondite e molto estese: un modo di procedere
assai diverso da quello abituale nelle conferenze accademiche (ci permettiamo di
raccomandare questa forma di lavoro molto produttiva).
La conferenza ebbe buon esito, ben oltre le mie più rosee aspettative, e i saggi
presentati furono infine pubblicati dalla Humanities Press (si veda la lista alla fine di
questa introduzione). Il successo fu tale che decidemmo di ripetere l’incontro l’anno
successivo e l’anno successivo decidemmo di tenerne annualmente uno e di dare un
nome al gruppo: International Symposium on Marxian Theory. Le prime cinque
conferenze furono a Mount Holyoke; da allora, ci siamo riuniti a turno presso le varie
università dove insegnano i membri del gruppo: presso l’Università di Amsterdam
(due volte), l’Università di Bergamo (tre volte), la Creighton Univesity, Iowa State
University; in altri casi siamo stati invitati, per es. dall’Universidad Autonoma
Metropolitana a Città del Messico (due volte, conferenze organizzate da Mario
Robles-Baez). Colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta tutte queste
università per aver ospitato le nostre conferenze in questi anni e per aver
generosamente offerto un supporto alla scienza critica marxiana. La composizione del
gruppo è cambiata molto poco nel corso degli anni. Guglielmo Carchedi e Paul
Mattick hanno lasciato il gruppo in momenti diversi; essi sono stati degnamente
sostituiti da due italiani – Riccardo Bellofiore e Roberto Fineschi – che sono i
curatori di questa edizione. Nicola Taylor (Australia) si è aggiunta al gruppo da
alcuni anni e Andrew Brown (UK) si è unito a noi soltanto recentemente.
I temi generali e le questioni relative al metodo logico nel Capitale sono
rimasti pressoché gli stessi nel corso degli anni. Dopo un certo periodo abbiamo
deciso di dedicare un incontro al secondo libro del Capitale, di solito trascurato negli
studi marxiani. Abbiamo poi stabilito di fare lo stesso per il terzo e per il primo libro,
completando una trilogia sui tre libri che in seguito è stata pubblicata. Nel 2003
abbiamo organizzato una conferenza specifica sulla teoria marxiana del denaro,
invitando alcuni specialisti (Suzanne de Brunhoff, Duncan Foley, Makoto Itoh, Claus
Germer, Costas Lavapitas e Anita Nelson). In seguito è stato pubblicato un libro
contenente i saggi presentati alla conferenza. Nel 2006 (Bergamo) sono state oggetto
del nostro seminario le nuove prospettive aperte dalla Marx-Engels-Gesamtausgabe
(MEGA), la nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels, e abbiamo
invitato alcuni esperti tedeschi direttamente coinvolti nel progetto editoriale (Rolf
Hecker e Regina Roth. Vi hanno preso parte anche altri studiosi italiani e tedeschi).
Gli interventi saranno raccolti in un libro in uscita nel 2008. In certe occasioni le
nostre conferenze si sono concentrate su temi precisi, in altre non hanno avuto un
oggetto particolare; in questo caso i membri hanno presentato ciò su cui stavano
lavorando in quel momento.
È difficile riassumere le nostre discussioni di questi anni, ricorderò soltanto
alcuni punti salienti dal mio personale punto di vista (che non coincide
necessariamente con quelli degli altri membri). La sezione del Capitale che ha
maggiormente goduto della nostra attenzione nei saggi e nelle discussioni è stata
quella iniziale, il capitolo primo del primo libro. Non c’è da sorprendersene, infatti
esso è d’importanza cruciale oltre a essere estremamente complesso e aperto a
molteplici interpretazioni. Un punto nodale del primo capitolo, sul quale tutti noi ci
siamo trovati d’accordo, è che la merce con cui Marx inizia è un prodotto della
produzione capitalista, non della “produzione mercantile semplice” pre-capitalistica.
Marx analizza la merce come elemento più astratto della produzione capitalistica nel
suo complesso, da cui derivano tutti gli altri elementi. In altre parole,
l’interpretazione “logico-storica” del metodo logico di Marx, così come è stata
presentata da Engels e Meek, è erronea su questo punto importante.
Al di là di questo, però, ci sono dissensi significativi sull’interpretazione del
primo capitolo. Concordiamo in genere sul fatto che Marx cerchi, nel primo
paragrafo, di derivare il lavoro astratto come sostanza del valore che determina il
valore di scambio delle merci. Tuttavia, c’è un notevole disaccordo sulla validità e
necessità di questa derivazione. Alcuni membri affermano che Marx non è riuscito a
dare un’adeguata spiegazione del perché abbia indicato il lavoro come proprietà
comune delle merci che determina il loro valore di scambio, o che non è riuscito a
chiarire come il lavoro qualificato si riduca a lavoro semplice. Questi studiosi
sostengono inoltre che le importanti conclusioni qualitative della teoria di Marx
possono essere derivate attraverso il concetto marxiano di lavoro astratto come
sostanza del valore. Altri membri accettano, invece, la derivazione di Marx non come
una “dimostrazione logica”, ma piuttosto come un’argomentazione a sostegno della
plausibilità di questa ipotesi, la cui validità dipende dalla capacità che essa ha di
spiegare importanti fenomeni del capitalismo. Questi studiosi argomentano, inoltre,
che il principale vantaggio dell’assunzione del lavoro astratto è che esso permette una
teoria quantitativa del profitto, questione fondamentale della teoria marxiana.
Altro disaccordo connesso riguarda l’esatto significato e la determinazione del
tempo di lavoro socialmente necessario. La questione di fondo è se il tempo di lavoro
socialmente necessario sia determinato come una specifica quantità nella produzione
attraverso le condizioni medie di produzione, prima dello scambio, o se esso sia
determinato nello scambio e dipenda in parte dalla domanda. Personalmente ritengo
che in questa discussione si confondano due diversi significati di “tempo di lavoro
socialmente necessario” presenti nella teoria di Marx. Il primo significato (Tempo di
Lavoro Socialmente Nencessario 1 – TLSN1) è considerato dalla prospettiva di
un’industria nel suo complesso ed è il tempo di lavoro socialmente necessario che
determina i valori di scambio delle merci per l’industria in condizioni di equilibrio
(ad un alto livello di astrazione). Ritengo che questo primo significato del TLSN1 sia
determinato nella produzione, dalle condizioni medie di produzione. Poiché il TLSN1
determina i valori di scambio in condizioni di equilibrio, esso presuppone che
l’offerta sia uguale alla domanda nell’industria e che quindi la domanda non sia
determinante. Il secondo significato del tempo di lavoro socialmente necessario
(TLSN2) è considerato dalla prospettiva dei produttori individuali. Poiché la
produzione capitalistica non è pianificata ed è regolata soltanto attraverso lo scambio,
i produttori individuali non sanno mai quale sia la domanda per le loro merci né in
che misura il loro lavoro conterà come “socialmente necessario”. Se c’è un eccesso di
offerta di una merce, il suo prezzo di mercato scenderà al di sotto del suo prezzo di
equilibrio e un’ora di tempo di lavoro tecnicamente medio conterà meno di un’ora di
tempo socialmente necessario nel senso del TLSN2. Allora il TLSN2 si determina
nello scambio e dipende in parte dalla domanda. Ma questa conclusione è del tutto
compatibile con l’altra per cui il TLSN1 – che determina i valori di scambio di
equilibrio – si determina nella produzione ed è indipendente dallo scambio e dalla
domanda. Conseguentemente ritengo che gran parte del nostro gruppo concorderebbe
sul fatto che Marx assume di solito, nei tre libri del Capitale, che l’offerta sia uguale
alla domanda e che quindi la sua teoria del valore e dei prezzi di produzione sia
relativa ai prezzi di equilibrio e non agli effettivi prezzi di mercato. Allo stesso
tempo, c’è anche un accordo generale sul fatto che Marx enfatizzi anche quella
tendenza immanente al capitalismo al disequilibrio e alle crisi, dovute alla mancanza
di pianificazione e alla sua natura anarchica.
Un altro punto importante sul quale tutti i membri del gruppo concordano è
relativo al fatto che il denaro ha un ruolo molto più importante nella teoria di Marx di
quanto sia generalmente riconosciuto. Tutti pensano che Marx derivi il denaro nel
terzo paragrafo del primo capitalo come la “forma fenomenica necessaria” del lavoro
astratto e del tempo di lavoro socialmente necessario, sebbene ci siano disaccordi
significativi sulle interpretazioni particolari e sulla valutazione di questa derivazione.
Tutti gli autori concordano che il denaro continui ad avere un ruolo centrale in tutto il
primo libro come nei seguenti due. Il significato del denaro nel primo libro è espresso
chiaramente dalla “formula generale del capitale” che è introdotta nel quarto capitolo
ed è simbolicamente espressa in questo modo D-M-(D+ΔD) – denaro che diviene più
denaro. Questa formula generale pone il problema fondamentale di cui tratta il primo
libro – quale sia l’origine dell’incremento del denaro (ΔD) che è il tratto caratteristico
del capitale. Allora la comune interpretazione, secondo la quale il primo libro è
relativo soltanto ai valori-lavoro, è errata.
Un’altra importante questione su cui ritengo concordi la maggior parte del
gruppo (sebbene non tutti), pur da differenti prospettive, è che nella teoria di Marx
l’ammontare complessivo del plusvalore è determinato prima della sua divisione in
parti individuali (profitti per ogni industria, profitti commerciali, interesse e rendita).
La teoria del plusvalore nel primo libro riguarda la relazione di classe tra la classe
lavoratrice nel suo complesso e la classe capitalista nel suo complesso. Il plusvalore
totale che è prodotto dalla classe lavoratrice nel suo complesso è diviso tra i capitali
individuali (e tra differenti tipi di capitali) in relazione ad alcune leggi che sono
analizzate nel terzo libro. Il primo e più importante aspetto di questa distribuzione del
plusvalore è la determinazione del saggio generale di profitto e dei prezzi di
produzione nella seconda sezione del terzo libro. Secondo la logica di Marx, il saggio
generale del profitto è determinato dal rapporto tra il plusvalore complessivo (già
determinato) e il capitale complessivo investito, ed in seguito il saggio di profitto è
preso come dato nella determinazione dei prezzi di produzione. Questo metodo della
determinazione anteriore dell’ammontare complessivo di plusvalore è
fondamentalmente diverso dalla determinazione simultanea dei prezzi di produzione
e del saggio di profitto nella teoria sraffiana e nella lettura sraffiana della teoria di
Marx. In altre parole, l’interpretazione sraffiana fraintende questa questione cruciale.

Per il futuro prevediamo di continuare ad incontrarci annualmente per lavorare su


questioni essenziali relative al metodo logico di Marx nel Capitale. Incoraggiamo
altri, che siano interessati e che desiderino lavorare su questi temi, a contattarci via
mail o in altro modo (gli indirizzi di posta elettronica sono inclusi nelle biografie
degli autori).
Dovrei aggiungere che le nostre conferenze non sono “tutto lavoro e niente
divertimento”. Il duro lavoro durante le sessioni è di solito così stimolante che i
giorni volano. E la sera ci rilassiamo insieme mangiando, bevendo e conservando
piacevolmente. Questi gradevoli “simposi” non sono stati secondari per il successo
del gruppo, siamo infatti diventati amici e ciò ci ha permesso di lavorare molto
produttivamente, insieme, anche se in quelle circostanze in cui le discussioni sono
state aspre.
Infine, siamo molto grati al Ministro italiano dell’Università e della Ricerca per
aver finanziato il progetto di ricerca “Gli esiti della filosofia classica tedesca:
pubblicazione di testi e studi”, (PRIN 2004, Prot. 2004115789, coordinatore
scientifico nazionale Mario Cingoli, Università di Milano Bicocca) ed in particolare
alle unità di Siena (responsabile scientifico locale Maria Luisa Barbera) e di Bergamo
(responsabile scientifico locale Riccardo Bellofiore) che hanno fornito i fondi per
questa traduzione. Ci auguriamo che, negli anni a venire, essa possa stimolare anche
in Italia ricerche interdisciplinari tra economisti e filosofi marxiani.

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