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FACOLTÀ TEOLOGICA DEL TRIVENETO

Il rapporto Chiesa-Mondo nella Gaudium et spes a


partire dal testo “Chiesa e Mondo” di Karl Rahner

Seminario Teologico

Studente: Andrea SCALVINI

Docente: Assunta STECCANELLA

Padova, A.A. 2013-2014


Introduzione

Con il seguente elaborato vorrei presentare l’opera di Karl Rahner Nuovi Saggi,
volume III e precisamente la parte VII, “Chiesa e Mondo” che ho esposto durante il
seminario teologico Il rapporto Chiesa mondo in Gaudium et spes e nella ricezione
postconciliare. Per fare ciò vorrei iniziare con la contestualizzazione del testo preso
in esame all’interno del percorso che ci è stato proposto durante il corso, con qualche
indicazione riguardo l’autore, prima di andare fissare i punti essenziali dello scritto
analizzato.
Parlando del rapporto Chiesa-mondo alla luce del documento conciliare
Gaudium et spes è importante collocare il nostro lavoro nel contesto di una storia
travagliata e caratterizzata da una difficile dialettica. È stato infatti un cammino
tortuoso quello dell'incontro tra la Chiesa e il mondo moderno e poi post-moderno, e
questo nei diversi ambiti: sociale, culturale, religioso e politico. A partire dal
Concilio di Trento, e nei secoli successivi, assistiamo ad un inasprirsi del confronto
tra fede e ragione, dove la Chiesa assume sostanzialmente una posizione difensiva;
non mancheranno diverse personalità come Maritain, Paolo VI e altri fino a Rahner
di cui appunto tratteremo, che tenteranno non senza rischi di riscoprire la vocazione
evangelica della Chiesa e così riallacciare i rapporti per un dialogo proficuo e
orientato al futuro.
Karl Rahner, teologo dogmatico e figura di spicco del concilio Vaticano II è
stato definito da Ignazio Sanna come colui che ha “ridato il mondo a Dio e Dio al
mondo”1. Un affermazione importante, che in effetti può trovare riscontro oltre che
nell’enorme mole di scritti prodotti, anche nel modo in cui egli ha cercato di favorire,
sulla linee di altri grandi pensatori come Yves Congar e Papa Paolo VI, una certa
“simpatia” per il mondo. L’estraneità che il mondo sembra nutrire nei confronti del
cristianesimo, trova invece nei cristiani una rinnovata spinta per la missione e
l’annuncio della salvezza in tutto il mondo.
Uno dei suoi grandi meriti è stato quello di proporre una riflessione teologica e
di aver avuto il coraggio di porre interrogativi scientifici alla teologia e interrogativi
teologici alla scienza. Da grande teologo e filosofo, ha cercato di integrare il pensiero

1
I. SANNA, «La visione antropologica di Karl Rahner», in L'eredità teologica di Karl Rahner, Lateran
University Press, Città del Vaticano 2005, p. 25.

1
filosofico post-moderno, soprattutto a partire dall’esistenzialismo di Heidegger,
cercando una sinergia tra la teologia e il mondo (la cosiddetta “svolta
antropologica”), che andava subendo trasformazioni profondissime. Una delle tesi di
maggior effetto è nella dimensione pastorale, quella dei “cristiani anonimi”: ogni
uomo può incontrare Dio nella sua coscienza aprendosi all’assoluto, la possibilità
non è preclusa a nessuno.
Fondamentalmente egli pone un problema di autocomprensione della Chiesa,
che quindi riflette a partire dal suo interno per guardare poi all’esterno: come può un
cristiano dichiararsi tale, se non si pone l’interrogativo della salvezza di chi, non
credente, gli vive accanto? La grazia interiore che ogni uomo possiede, trova
complementarietà nell’annuncio esplicito del Vangelo: questa domanda vuole aiutare
anche a comprendere i processi articolati e a volte ostili al cristianesimo che
avvengono nella società, riscoprendo così la vocazione missionaria, dell’annuncio
del Vangelo, propria della Chiesa, che non può essere abolita.2

1. Problematica teologica di una «costituzione pastorale»3

Esaminando la Gaudium et spes Rahner afferma che la Chiesa non può vivere
solamente della Rivelazione in quanto deposito della fede, ma ha bisogno anche di
una conoscenza della situazione odierna. In questo è assistita dallo Spirito Santo che
la aiuta a comprendere la situazione e avvicinandosi con atteggiamento umile alle
varie conoscenze, le discipline ausiliarie e con analisi approfondite operare nel
mondo con obiettività. Il teologo tedesco riconosce la nota preliminare sulla
Costituzione pastorale come inedita. Essa non ha una validità che va al di là del
tempo e che porta in sè significati universali, ma è legata a un'epoca storica ben
precisa che è quella in cui è stata scritta. Riconosce la difficoltà di definire che cosa
sia una costituzione pastorale: la Costituzione Gaudium et spes pone sul tappeto il
problema dell'uomo di oggi nell'ambito del mondo moderno. È vero anche che il
termine “pastorale” potrebbe essere attribuito a tutte le altre costituzioni del Concilio
perché in verità tutte sono utili alla salvezza degli uomini, perciò pastorali. Rahner si
pone pertanto alcuni interrogativi: forse la definizione di questa Costituzione

2
IBIDEM, P. 28.
3
K. RAHNER, Nuovi Saggi III, Edizioni Paoline, Roma 1969, p. 693.

2
conciliare rispecchia solo in parte o in maniera imprecisa la sua essenza? Di fatto,
secondo lui non sussiste differenza dal resto dell'ufficio magisteriale e dunque non
rifletterebbe a sufficienza la sua specificità di Costituzione pastorale pur senza
perderne il carattere.

2. Riflessioni teologiche sulla secolarizzazione4

Per Rahner esistono diverse accezioni della secolarizzazione (e cioè il netto


distanziarsi tra mondo e Chiesa, tra sacerdotium e regnum), nata con l’esproprio
violento da parte dello Stato delle “cose” materiali e sociali della Chiesa. Nel
definirla ci si può riferire al rapporto con l’istituzione Chiesa oppure al rapporto con
Dio e la sua grazia. Egli distingue tra secolarizzazione (laicizzazione), secolarità
(tentativo di instaurare una profanità atea) e secolarismo. La prima non può essere
identificata semplicemente con una profanità atea del mondo. La profanità non è solo
atea, infatti la religiosità non si può relegare solo all’idea cristiana di religiosità. Il
teologo di Friburgo afferma che anche il mondo secolarizzato si muove nella volontà
salvifica di Dio, e in questo senso può non essere definito ateo, ma in certi casi
ignorante di questa realtà. Secolarizzazione e secolarismo non sono separate tra loro
ma maggiore sarà la laicizzazione e più alta sarà la probabilità di trovare una
profanità atea. L'approfondimento che troviamo in questo saggio non riguarda tanto i
temi caldi della secolarizzazione come la “morte di Dio”, il “mondo senza religione”
o il “mondo maggiorenne”, ma la distinzione tra mondo (Stato e società) e Chiesa,
che ha una storia specifica a livello di teoria e di prassi. Rahner riassume questa
riflessione in cinque tesi.

2.1 Prima tesi5


«Nella storia della Chiesa è spesso emerso un falso integralismo, di fronte al quale
la secolarizzazione presenta una legittimità autenticamente cristiana».6
Viene qui analizzato il concetto di integralismo: in questo senso sarebbe una
condotta teorico-pratica fondata sulla convinzione che la vita dell'uomo si possa
manipolare deducendo questo processo dai principi che la Chiesa proclama. Questo

4
RAHNER, Nuovi Saggi III, op. cit., p. 723.
5
IBIDEM, p. 727.
6
IBIDEM, p. 751.

3
ragionamento volge soprattutto a sostenere il metodo induttivo in teologia, a cui
anche la prassi sarebbe soggetta. Due sono gli interrogativi a cui rispondere per
riuscire a superare questo tipo di integralismo:
I. La Chiesa può stabilire concretamente il dovere del mondo solamente sulla base di
una liceità etica? Rahner si chiede se non sia legittima un’autonomia (responsabile)
del mondo senza privarlo della sua significatività. Secondo il suddetto concetto di
integralismo a cui facciamo riferimento, la Chiesa sarebbe legittimata a esercitare un
dominio manipolatore sul mondo. Il teologo tedesco arriva alla conclusione che
l’etica non è deducibile solo da principi universali ma anche dall’etica individuale.
II. A partire dal presupposto che l'uomo sappia cosa non deve fare, possiamo pensare
che l'uomo sappia ciò che deve fare? A questa questione non può certo rispondere la
Teologia Morale teorica ma occorre arrivare a una risposta che abbia carattere
contingente nel rispetto dei principi universali e che non diano una risposta concreta
già preconfezionata. La Chiesa non può determinare univocamente l'umano e
nemmeno può essere manipolatrice della realtà dell'umano. Non è il “tutto” (che
peraltro oggi sarebbe pluralistico), ma solo una parte di questo “tutto”. L'azione di
unificare la prassi dell'uomo è opera di Dio, infatti il mondo possiede già una sua
significatività dal punto di vista etico e salvifico e non può essere diretto
integralisticamente dalla Chiesa. Essa rimane un punto di riferimento per i principi e
per gli orizzonti ultimi, senza dimenticare che il mondo è il terreno in cui la Chiesa
realizza la sua umanità e verso cui esercita una responsabilità.

2.2 Seconda tesi7


La legittima secolarizzazione del mondo mette la Chiesa di fronte ad un compito
completamente nuovo: quello di una nuova integrazione ecclesiale tra i fedeli sia nella Chiesa
universale che nelle singole comunità.8

Il nuovo compito della Chiesa è quello di creare una nuova interazione


ecclesiale tra i fedeli sia nella Chiesa universale che nelle singole comunità. La
Chiesa è chiamata ad essere comunità non solo attraverso le strutture giuridiche, la
professione di fede e la celebrazione della Liturgia. Questo processo era più semplice
una volta quando la cultura era unica, la società omogenea e l'ethos comune ovvio

7
IBIDEM, p. 733.
8
IBIDEM, p. 733.

4
per tutti; i limiti del singolo erano segnati dalla sicurezza e della stabilità della
società. Allora la fede comune era socialmente ovvia. Oggi invece la società e
secolarizzata e non può essere base per la costruzione di una comunità ecclesiale. È
molto più complessa nelle diverse componenti: scienza, comunicazione, politica,
quindi più difficile anche da guidare. L’integrazione diviene complicata. Ora è la
Chiesa che deve creare quel substrato naturale e sociale dove configurarsi come
comunità: non si tratta di tornare alla situazione di un tempo, cosa impossibile senza
evitare una realtà ghettizzata, ma la Chiesa è chiamata a diventare socialmente aperta
a partire dal proprio interno. In essa dovrebbero trovare posto i conformisti e anche i
non conformisti, le varie tendenze politiche e filosofiche, destra e sinistra. La Chiesa
ha il compito di attuare l'integrazione di un ordine superiore e cioè questo pluralismo
spirituale, altrimenti prenderebbe la forma di una setta dove chi ha potere
soddisferebbe i propri bisogni e gli altri verrebbero automaticamente tagliati fuori. A
quel punto la Chiesa non avrebbe più una responsabilità e una funzione per il mondo.
Come deve avvenire allora l'integrazione?
1. La Chiesa è chiamata ad integrare i suoi battezzati assistendo le categorie più
svantaggiate perché tutti trovino un posto nella società. 2. È necessario ottenere una
democratizzazione che concretamente significa l'istituzione di organi,
comportamenti, regole, perché non ci sia confusione nel pluralismo, ma un ordine
armonico. Questo processo non è per forza una lotta contro il potere gerarchico, ma
dovrebbe portare ad integrare la società profana e pluralistica nella Chiesa.
3. ricordare una nuova funzione ecclesiale che si spiegherà nella terza tesi.

2.3 Terza tesi9


Se la Chiesa deve lasciare la società nella sua situazione secolarizzata, se non può manipolarne
integralisticamente le decisioni concrete, né dal punto di vista dottrinario, né giuridico; ne
deriva per essa un compito nuovo: “profetico”.10

Questa funzione profetica può essere raggiunta solamente una volta realizzata
la formazione del Popolo esposta nella seconda tesi. La terza tesi vorrebbe
rispondere alle domande che nascono dall'osservazione delle prime due: È corretta
l’interpretazione del rapporto Chiesa-mondo? E veramente la Chiesa può influire

9
IBIDEM, p. 737.
10
IBIDEM, p. 738

5
sulla formazione del mondo secolarizzato? Secondo l'autore la Chiesa è chiamata a
qualcosa in più che non semplicemente a dare consigli sui propri principi attraverso
l'impegno dei singoli nel mondo. Nella società democratica e pluralistica qualsiasi
gruppo dovrebbe avere un programma di azione con elementi fondati razionalmente,
pensati, con obiettivi e finalità chiari. Dovrebbe possedere caratteristiche anche
creative: ovvero quella capacità di trasformare l'utopia in realtà storica, realizzando
una possibilità tra le altre. Questo processo che la Chiesa dovrebbe avere sempre
l'ardire di raggiungere e ottenere, non può essere proibito dalla società a meno che
non ci troviamo in un sistema totalitarista. Per Rahner la Chiesa ha questa identità
missionaria ed esiste in quanto sacramento di salvezza per il mondo e per esso è
anche lievito. il cristiano compiendo un'azione profana opera la propria salvezza, ma
non agisce in due ambiti distinti, sono invece due aspetti dell'unica ed identica
esistenza cristiana. Questo avviene nell'Intercomunicazione, concreta, della storia
nella Chiesa visibile. Quindi sostanzialmente la Chiesa in maniera legittima esercita
un influsso sul mondo, al di là dell'azione di ogni suo singolo appartenente.
Ora il teologo tedesco prova a definire la natura dell'intervento cercando di
comprendere quale debba essere la struttura concreta della Chiesa e insieme la
mentalità dei suoi membri, perché questo influsso sia effettivo sulla società odierna. I
documenti magisteriali a cavallo del Concilio dalla Pacem in terris alla Gaudium et
spes evidenziano una novità e cioè un’intenzione “pastorale”. Sono presenti
imperativi, accentuazioni e punti prioritari di un programma storico che invita il
mondo a prendere decisioni. Secondo Rahner, l'analisi della situazione attuale, non si
può dedurre in maniera diretta dalla Rivelazione e nemmeno in maniera
scientificamente indubitabile. Qui conoscenza e azione storica si condizionano
reciprocamente. Non ci troviamo di fronte a una conclusione teologica ma a
programmi d'azione con carattere decisionale che vengono attuati dalla Chiesa in
forma precisa e concreta. In questo senso possiamo parlare di “profezia”, cioè di una
direttiva pastorale che la Chiesa prende in quanto decisione storica, indeducibile,
rivolta al mondo profano. La domanda che ci si pone è questa: È veramente la Chiesa
il soggetto che realisticamente può indirizzare al mondo questo programma così
concepito? Da una parte la Chiesa gerarchica non può essere molto più che l'araldo di
un dinamismo profetico e ad essa compete tanta autorità e dinamismo quanto agli

6
altri gruppi “chiesa”. D'altra parte essa non può intervenire per vincolare i fedeli, ma
ciò non significa che il popolo di Dio non debba seguire questi imperativi che
portano il loro effetto nella società profana. La Chiesa non può essere tanto
l'istituzione che detta le ragioni teoretiche della fede, quanto colei che attua la
ragione pratica, le intuizioni a lei proprie. La Chiesa è anche “pellegrina” e questo
esprime la sua dimensione escatologica nella società del mondo: vuole, non
integralisticamente, insieme al mondo, determinarne il cammino.
Occorre inoltre elaborare i principi di una teologia politica sviluppando così la
teologia in genere e l'ecclesiologia in particolare, tenendo conto della loro rilevanza
socio-politica e creatrice della storia. In questo modo viene superata la riduzione
individualistica della Rivelazione e si innesta una mentalità capace di recepire gli
impulsi profetici, mettendo in comunione atteggiamenti e scelte. Se la gerarchia
avalla questi impulsi ecco che di conseguenza l'influsso sul mondo diviene più forte.
In una frase si può riassumere come la responsabilità ad aumentare l'integrazione
intraecclesiale per poter così avere un peso significativo nella società del mondo.

2.4 Quarta tesi11


Il rapporto della Chiesa col mondo secolarizzato richiede oggi che all'interno della “teologia
pratica” si costituisca e si elabori una disciplina teologica specifica che si potrebbe nominare
“cosmologia ecclesiologico-pratica”.12

Volendo illustrare di cosa si tratta quando parla di “teologia pratica o


pastorale” Rahner mostra quale sia l’oggetto e il metodo di tale scienza. Questa
disciplina studia il modo in cui la Chiesa può e deve realizzarsi nella situazione
concreta. La Chiesa infatti è chiamata ad una auto-attuazione: attenzione però, questa
non consiste solo in una traduzione pratica dei principi universali perenni, ma
occorre un'analisi approfondita. L'oggetto peculiare di questa materia non
riconducibile ad altre materie teologiche, è non “rivelato” e quindi richiede un
metodo teologico peculiare. La teologia pratica è disciplina autonoma, pur
presupponendo tutte le altre. Il rapporto Chiesa-mondo secolarizzato (ovvero nella
sua concretizzazione attuale) deve essere affrontato in maniera precisa, specifica,
metodologicamente esatta.

11
IBIDEM, p.745.
12
IBIDEM, p. 745.

7
Questo rapporto in costante mutazione, è tanto complesso che è impossibile
conoscere questa dinamica solo sulla base della mera esperienza prescientifica
(esperienza vicina alla concezione platonica della scienza, non empirica) dei singoli.
Questa relazione a carattere profetico-decisionale nella sua essenza è da considerarsi
anonima cioè senza una vera esistenza nella Chiesa e nella teologia. La si può
intravedere in Gaudium et spes, quando si comprende che quel suo elemento
profetico non è riducibile a nessuno dei dogmi, o alla teologia morale, o alle scienze
sociali. Il teologo tedesco suggerisce di chiamare questa disciplina come
“cosmologia ecclesiologico-pratica”. Egli inoltre sottolinea come la Chiesa ancora
non conosca a sufficienza la complessità del mondo odierno: capita che essa prenda
posizione formale su alcuni temi, mancando però di fornire un’indicazione profetica
e concreta. Questa “cosmologia” non sarà in grado di formulare gli imperativi
profetici, ma certamente di prepararli, riflettere e condividerli, costruendo una
coscienza scientifico-critica, coraggiosa e concreta.

2.5 Quinta tesi13


La situazione di pluralismo di concupiscenza inerente la secolarizzazione del mondo e
l'accettazione irriflessa di essa, non costituiscono già di per sé una colpa. Significano invece in
tutte le dimensioni della realizzazione umana dell'esistenza la premessa è il campo essenziale
della vita umana del cristiano caratterizzata dalla lotta è minacciata dalla colpa. Il cristiano ha il
dovere di accettarle e di sopportarla con realismo, senza ideologizzare integralisticamente
questo mondo.14.

Il rapporto Chiesa-mondo non è costituito né da una dimensione di


integralismo né da una distanza negativa della funzione critica della Chiesa nei
confronti del mondo. La Chiesa infatti è solo segno efficace della grazia. Ora
considerando il mondo secolarizzato in se stesso: l'intento è quello di approfondire
con una affermazione teologica ulteriore la "mondanità" del mondo.
Per comprendere meglio la tesi è necessario fare alcune considerazioni sulla
“concupiscenza” umana. Il genuino significato di questa parola ci dice che in tutte le
dimensioni dell'uomo e nei suoi impulsi regna un pluralismo che può essere integrato
solamente quando egli usa della sua libertà scegliendo Dio. Questo insuperabile stato
di disintegrazione si manifesta in tutti gli aspetti della vita dell'uomo: nell'agire a

13
IBIDEM, p. 751.
14
IBIDEM, p. 751.

8
anche nel conoscere. È importante notare come l'uomo sia un sistema aperto, un
ambiente portato fuori di sé e che si identifica con qualcosa di diverso da sé. C’è
corrispondenza tra la struttura concupiscente interna dell'uomo è quella del mondo in
cui vive, perciò per comprendere meglio cos'è la concupiscenza l'autore prova ad
analizzare il mondo stesso.
Ora vengono sottolineate tutte le tre affermazioni fondamentali del Concilio di
Trento sul mondo secolarizzato. Primo: Il pluralismo non integrato nella realtà
umana non costituisce una colpa di per sé, ma una fase della storia della salvezza
aperta verso il futuro e cioè la perfezione del Regno di Dio. Possiamo trovare davanti
alla negazione di non colpevolezza del pluralismo mondano quando interi settori o
particolari scelte di vita nel mondo vengono condannati a priori (una particolare
professione o una qualsiasi situazione del vissuto umano). Operatori che però non
tengono conto della complessità del mondo e lo giudicano colpevole, prima del
tempo. La Gaudium et Spes distingue le perturbazioni e tensioni inevitabili della
realtà sociale da una parte e le perturbazioni che derivano dalla colpa. Se l'uomo
definisce già peccaminose le prime, non fa altro che volersi scaricare dalle sue
responsabilità. Secondo: il mondo pluralistico secolarizzato e non integrato
dell'uomo non è un luogo idilliaco, di pace, ma il luogo dell'agone. La lotta tende
certamente ad un fine che è l'integrazione di tutta la realtà nel perfetto amore in Dio.
Non si accetta la lotta quando non si accoglie la concupiscenza come definita
precedente. Quando cioè si preferisce un sistema di scienza che può essere la
teologia o la metafisica, pretende di dominare sulle altre senza accettare un dialogo
che contempli mutamenti e verifiche, una scienza che teme le sorprese e non vuole
trasformare se stessa. L'atteggiamento di chi rifiuta la lotta è forse il pericolo
maggiore perché essa dopo essere stata negata e repressa si ripresenta più
problematica di prima. Terzo: qui ci si limiterà a richiamare un solo aspetto della
concupiscenza (come inclinazione al peccato) che interessa la nostra ricerca. La
colpa consiste nella difficoltà di accettare e sopportare questo stato di cose della
dimensione privata o pubblica dell'uomo. Infatti l'uomo che si sente colpevole è
angustiato dal non avere alcun punto di riferimento fisso davanti all'esistenza umana.
L'uomo non ha il coraggio di affidarsi totalmente. Questo “timore della morte” viene
posto come punto unico e centrale della presunta integrazione autonoma del mondo.

9
Ecco che allora ci troviamo davanti ad una integrazione che trasforma il mondo
rendendolo mondo della colpa; i rapporti e la situazione oggettiva sono colpiti dalle
conseguenze del peccato. Finché questa integrazione del mondo non sarà concessa da
Dio, l'uomo potrà sempre cedere alla pressione del disarticolato pluralismo del
mondo. La separazione univoca e “normativa” tra pluralismo concupiscente non
colpevole del mondo e disintegrazione che la colpa imprime, sarebbe un ostacolo
all'integrazione oggetto della tesi esposta. Nel mondo secolarizzato convergono
diverse visioni: quella della creazione pluralistica buona, l’opera pluralistica e
legittima dell'uomo, e l’oggettivazione della colpa dell'uomo che integralisticamente
e con arbitrio vuole arrivare a portare ordine nel mondo stesso. Quel mondo diviso e
sconvolgente, è lo stesso che Dio ha reso oggetto del suo amore, accettandolo e
dando la vita per lui. Il cristiano che vive questa verità instaura un giusto ed efficace
rapporto col mondo al suo servizio secondo la volontà di Dio.

3. Teologia pratica e attività sociale della Chiesa15

In questo paragrafo Rahner sottolinea come sia necessario riflettere sul


rapporto che lega il cristiano e la Chiesa con il mondo e con l'esistenza terrena
dell'uomo. La Gaudium et spes è solo l'inizio di quella teologia pastorale di cui il
documento stesso del Concilio ha parlato. L'autore divide le considerazioni su questo
argomento in quattro trattazioni e rispettive dimostrazioni.
I. La dottrina sulla caritas16 e l'attività sociale della Chiesa costituisce una parte
della teologia pastorale meglio definibile come riflessione teologica sul complesso
delle attività con cui la Chiesa attua se stessa. Tutti i gradi della gerarchia
ecclesiastica partecipano a questa autorealizzazione: nel culto, nell'insegnamento,
nella cura d'anime e nella caritas della Chiesa e in tutte quelle attività che essa
svolge nel mondo. In questo concetto di Chiesa non rientra la sfera privata del
singolo cristiano, ma tutto ciò che qualifica e impegna la Chiesa nelle forme e gradi
più diversi. La teologia pratica non si limita a ricavare solo delle conseguenze
concrete da questa ecclesiologia, ma costituisce una scelta autonoma e originaria. E

15
IBIDEM, p. 761.
16
Virtù teologica intesa secondo Rahner in senso ampio come l’ufficio ecclesiale dell’agire
evangelico caritativo e operoso, da non considerare solo come agire concreto; scaturisce da una
materia teologica trascendentale alle “teologie”, riflessione necessaria per una “rivoluzione” ecclesiale
e prima di tutto ecclesiologica.

10
questo va affermato con tono profetico; deve dire quale forma essa deve assumere
nella precisa situazione attuale. ha inoltre il compito di progettare le forme sempre
nuove della caritas e del rapporto Chiesa-mondo. Nonostante il punto di partenza
della Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II non disponiamo ancora di un
termine che definisca in maniera sufficientemente esaustiva il lavoro teologico: Ci
troviamo di fronte all'essenza ma senza ancora averne il nome. A Rahner infatti
interessa il rapporto Chiesa-mondo visto come entità sociale, come opera dell'uomo e
non direttamente come azione di Dio. Cercando delle possibili definizioni, egli si
pone la seguente domanda, ovvero se questa Caritas ecclesiale non debba
ristrutturarsi per diventare una “cosmologia ecclesiologica”, trasformazione
necessaria e urgente visto che tale disciplina cerca ancora un terreno e una
collocazione definita.
II. Il secondo enunciato è espresso in questo modo: la differenza tra Chiesa e
grazia, da una parte e “mondo profanizzato” dall'altra, caratterizza anche il rapporto
che intercorre tra la grazia come caritas e la Chiesa come manifestazione storico-
sociale di questa caritas, da una parte, e la caritas diventata profana dall'altra. Qui si
guarderà alla grazia, alla Chiesa e al mondo in generale. Nel procedere della storia il
mondo diventa sempre più indipendente crescendo nella sua autorealizzazione; con
uno sguardo attento si osserverà come questa liberazione e legittimazione del mondo
realizzano in esso la grazia e la Chiesa in maniera peculiare. Di conseguenza
l'istituzione Chiesa non pretende di manipolare le realtà del mondo e della storia,
perché questa sarebbe una via integralista e profondamente anticristiana. Tutto ciò
che caratterizza le relazioni del vissuto umano fa parte anche del mondo e ne viene a
far parte proprio in virtù della grazia e della Chiesa. Esiste anche una interumanità
costituita solo dalla grazia ed è proprio la caritas in senso teologico; essa trova
all'interno della Chiesa la sua manifestazione specifica che differenzia la Chiesa dal
mondo. Questa seconda interumanità presuppone la prima che come realtà autonoma,
ne è la premessa. Il cristiano esercita con maturità la sua responsabilità
nell'interumanità mondana. In questo modo la Chiesa evita la tentazione di diventare
complice del mondo con la necessaria distanza, gli dedica il suo servizio essenziale e
prezioso. La Chiesa non si sostituisce alla gestione delle attività profane e a livello

11
teorico non si occuperà mai concretamente dell'urgenza e della direzione del lavoro,
perché sua indole particolare resta l'annuncio profetico.
III. La Chiesa17 deve svolgere nel mondo l'attività sociale e caritativa. Può
essere che i piani della chiesa e del mondo in questo operare si sovrappongano. Il
fatto evidente è che manca un istanza autonoma, un piano che regoli le eventuali
sovrapposizioni. Parliamo di attività caritativa e sociale, ma sul piano teologico non è
possibile distinguere queste due azioni: Caritas e amore (che si incarna) che unisce
Dio agli uomini e gli uomini tra di loro. È l'essenza comprensiva dell'esistenza
cristiana che possiede una dinamica che la fa realizzare sempre in forme diverse a
seconda delle situazioni della storia concreta e degli uomini. Questa azione va
moralmente posta sopra tutte le altre azioni comunemente caritative. Ha il dovere e il
diritto di esercitare questa diaconia del lavoro sociale in cui rientrano anche le azioni
caritative tradizionali; essa è però, sacramento fondamentale dell'unità nella diaconia
dell'amore. L'attività sociale della Chiesa è là dove dei cristiani decidono di operare
insieme, ovviamente dentro la chiesa che però non significa ci debba essere una
necessaria presenza della gerarchia. Ecclesiale non significa ecclesialmente ufficiale,
poiché per l'appartenenza è sufficiente il carisma. L'autoattuazione della chiesa di cui
si parlava sopra è qualcosa che va al di là dell'azione svolta dall'ufficio.
Tornando al cuore della questione, è impossibile tracciare una divisione tra
l'attività sociale profana e quella ecclesiale, anzi secondo Rahner essa non è
nemmeno necessaria. E questo perché la caritas nella sua totalità si realizzerà
solamente nella pienezza del regno di Dio. In realtà tale limitazione e competenza
della storia è legata al tempo e all’imprevisto e non essendo mai riducibile alla teoria
è da assimilare alla prassi. Se la Chiesa comprende il problema dal punto di vista
esposto, le difficoltà nel gestire la situazione da parte della gerarchia, saranno
decisamente ridotte. La Chiesa può affidare al mondo tutte quelle attività sociali che
non derivano dalla sua essenza; questo è un passaggio di responsabilità che le
garantirebbe libertà di movimento e di azione. Con questa audacia può agire con
creatività e coraggio, che derivano dall' amore, possedendo così quell'entusiasmo
genuino di chi si lancia in una nuova “avventura”. Il teologo tedesco vede in questo
cammino della Chiesa uno scemare delle prestazioni istituzionali per lasciare spazio

17
Qui il termine Chiesa è inteso nella sua realtà complessa e poliforme.

12
ha interventi di carattere “immediato” e “spontaneo”. In poche parole la Chiesa non
deve avere paura della società pluralistica ma entrare in questa realtà inviando i suoi
membri nel mondo perché portino a compimento la loro missione.
IV. Le dimensioni presenti nell'uomo hanno carattere di pluralità, nonostante la
sua struttura unitaria che tende ad armonizzare il tutto. Possiamo però trovare anche
diverse disfunzioni, che possono riguardare una dimensione piuttosto che un'altra,
ma che certamente possono condizionare fattori di diversa importanza e peso.
Applicando questo principio alla realtà che si sta affrontando qui, si deve sottolineare
l'esistenza dei conflitti sociali come dato reale sia a livello individuale che collettivo.
Per superare e portare il peso di certi attriti che nascono dalle relazioni interumane, è
indispensabile raggiungere quella pace che solo la libertà dei figli di Dio può
restituire. In questo senso Dio è l'aiuto autentico alla nostra esistenza ed è oggetto
della nostra lode in quanto è fine e non mezzo per il superamento di una situazione di
stallo; quando ci si affida a Lui con fiducia la strada è quella giusta.
L'opera necessaria dell'amore non può essere compiuta se manca quell'amore
stesso sorretto dalla fede e dalla speranza. La comunità cristiana oggi è ben diversa
dalla chiesa di un tempo: è sempre comunitaria, ma sono mutati gli scenari dal punto
di vista sociale, religioso, culturale e politico. Essa deve evitare il rischio settario e
rimanere sempre missionaria. Questa integrazione ecclesiale e sociale è diventata
problematica, certamente far fronte a questa problematica significa provare a
rispondere a tutte le situazioni di divisione dentro e fuori la Chiesa, un compito
arduo.
V. Rahner prova un po' a riassumere i vari passaggi. Espone con onestà le
critiche di astrattezza e complessità che potrebbero essere fatte al suo scritto.
Riconosce che probabilmente ciò che ha prodotto è anche corrispondente alla materia
teologica dogmatica che gli è propria.
Conclude con tre punti riassuntivi: 1. La scienza della caritas in cui trova tutto
il suo senso e a cui tende l'agire cristiano, deve essere ripensata a livello teologico. È
chiamata a diventare il luogo della responsabilità del cristiano nei confronti del
mondo, evolvendo in una “cosmologia teologica”. La caritas non è l'agire
assistenziale della Chiesa. 2. Le sfere di coesistenza dell'attività cristiana, ecclesiale e
profana, non sono delimitabili. Il problema non si può superare a livello teoretico ma

13
solo affrontandolo con la decisione storica, ovvero riconoscendo che occorre
assumere nuove forme d'azione e attualizzazione nelle funzioni sociali e profane. Il
grado di libertà e di autonomia insieme alla responsabilità, dovranno inevitabilmente
crescere. 3. Nella coesistenza di questi diversi raggi d'azione, la Chiesa trova una sua
azione specifica inedita ed attuale dentro e fuori di sé.

4. La pace di Dio e la pace del mondo18

I. Rahner parlando di pace in ambito teologico delinea i limiti entro i quali


trattare: la pace con Dio, con noi stessi, con gli altri; la pace nei rapporti fra
generazioni, fra le classi, i due sessi e anche della pace fra due nazioni. Il problema
dei rapporti fra queste forme di pace interessa in maniera specifica il teologo, che ha
la netta sensazione che queste diverse forme siano tra loro correlate, tanto che l’una
non può fare a meno dell’altra. Solo chi vive in pace con Dio può avere un
atteggiamento atto anche a creare la pace fra gli uomini.
La pace non è semplicemente il risultato della negazione del concetto di “lotta” e di
“guerra” dal punto di vista metafisico-ontologico-esistenziale, come l’ideologia
pseudo-cristiana che afferma che il primo dovere di un cittadino è quello di starsene
buono; ma nemmeno l’ideologia anti-cristiana che afferma che l’unica forma
concreta possibile di pace è quella dell’equilibrio del terrore.
Il cristianesimo e la Chiesa si sono occupati del problema del rapporto fra
cristianesimo e vita militare, guerra, nazionalismo. All’interno del cristianesimo
trova più terreno e attualità lo slogan della non-violenza.
Un concetto importante, in rapporto con l’idea di pace, è quello del potere. Cristiani e
teologi non ne danno una valutazione univoca. Considerando il potere come
l’influsso che un uomo ha di determinare un altro uomo prima ancora che
quest’ultimo possa prendere liberamente una decisione è da pensare che nel mondo il
potere è inevitabile e possa rientrare negli esistenziali costitutivi della dimensione
umana. Il concetto di potere solleva il problema della lotta e, in un significato
teologico-metafisico, di guerra.
Ciò che deve interessare il cristiano è di precisare le forme e le figure concrete
del potere e della lotta secondo una visuale cristiana, di imprimere cioè alla storia

18
IBIDEM, p.789.

14
una tendenza a vincere questi esistenziali inevitabili attraverso l’amore che solo chi
sa di essere amato da Dio può avere. Per avvicinare nel modo giusto il fenomeno
teologico della pace, se non si vuole postulare un’immagine errata e romantica di
tranquillità assoluta e di permanente equilibrio, è necessario ricercare anche un
concetto opposto a quello di pace. Riflettendo sul concetto di “concupiscenza” ci si
trova a una lacerazione interiore dell’uomo. Si parla di una “guerra”, di una “lotta”
che l’uomo combatte in se stesso, quindi un concetto opposto a quello di pace con se
stessi attraverso Dio e partendo da Dio.
Il significato di pace come ordo iustitiae mette in evidenza il concetto di
giustizia e di ordine. Là dove queste nozioni sono assai oscure ci poniamo il
problema di una dinamica della storia che rifiuta di fissarsi su un equilibrio preciso di
potere, di rapporti sociali e si solleva la questione di una teologia della rivoluzione
che soprattutto nei popoli in via di sviluppo, anche attraverso i rappresentanti
cristiani, tende ad affermarsi.
Esiste il problema del rapporto tra una teologia della storia da una parte e una
teologia della pace dall’altra, due aspetti da considerarsi strettamente uniti fra loro.
Oggi la pace dipende come non mai dalla evoluzione della storia, sempre più unica
per tutti e caratterizzata dalla profanità della cultura, della società, dello Stato e della
politica. Il problema di una teologia della pace diventa un problema della teologia
della mondanità del mondo e dell’unicità della odierna storia umana.
A seconda dell’interpretazione che il teologo dà all’unità tra amore a Dio e amore al
prossimo cambia anche il suo concetto di pace che deriva da questo amore. La
teologia affronta anche il problema di un umanesimo cristiano e profano collegato
con la teologia della pace. L’unità tra tutti gli uomini in un solo umanesimo presenta
contenuti materiali su cui possono accordarsi sia i cristiani che i non cristiani e
permette di elaborare un concetto comune di pace anche se ciò è tutt’altro che ovvio
e manifesta la poliedricità di una teologia della pace.
II. Il concetto biblico di pace è nel Vecchio e nel Nuovo Testamento uno dei
più importanti concetti religiosi. “Shalom” nel Vecchio Testamento indica la
guarigione, il superamento di un male di qualsiasi genere e significa quindi
“benessere”, cioè “avere salute”. Ciò che dobbiamo impetrare da Dio, perché senza e
fuori di Lui non c’è pace. Pace significa dunque il ripristino della pace edenica

15
distrutta dal peccato originale. Per questo il Nuovo Testamento verrà chiamato il
“vangelo della pace”, la quale nasce da Dio e passa attraverso la mediazione di
Cristo. Cristo è quindi la nostra pace. Essa viene vista come la pace tra Dio e l’uomo
e, solo così, tra gli uomini. Si presenta come intima soddisfazione di una persona
prima interiormente lacerata dalla colpa. Su questa base è possibile estendere l’uso
teologico del termine “pace” a tutti i trattati. Nella cristologia, Cristo impersonifica la
pace tra Dio e il mondo; nell’escatologia potremmo definire la Chiesa come la
manifestazione storica della promessa che Dio ha fatto e che unisce il mondo con
Lui. La morale potrebbe considerare la pace come la meta ultima del lavoro per
l’avvento del regno di Dio.
III. La lotta e la guerra, finchè durerà il mondo nel quale noi oggi viviamo, fino a quando cioè
per opera di Dio non esisterà il regno di Dio, sono realtà permanenti ed esistenziali
ineliminabili dall’esistenza umana19,

è una tesi che suona non molto cristiana. Tuttavia obbligo continuo del
cristiano è quello di creare la pace, l’esigenza di umanizzare sia la lotta che la guerra.
Questa tesi scaturisce da un realismo cristiano e antiideologico. Ogni uomo già per la
sua essenza è nello spazio comune destinato all’esistenza di tutti, un elemento che
modifica la situazione e il campo di libertà degli altri e la limita. Il cristiano
comprende che questo esistenziale naturale è inevitabile quindi legittimo, ma anche
co-determinato anche da un suo uso colpevole. Quando ciò passa nella dimensione
della società e dei popoli, un realismo cristiano antiideologico considera inevitabile
ciò che chiamiamo guerra, lotta o contrasto. La plurale autorealizzazione di
molteplici esistenze implica appunto esercizio di potere. Tale esercizio non può esser
guidato da una istanza terrena poiché questa amministrazione totalitaria
rappresenterebbe la più radicale violentazione dell’uomo. Il realismo cristiano e
antiideologico riconosce obiettivamente dunque il potere e la lotta. Il cristiano si
colloca idealmente tra una demonizzazione del potere e una assolutizzazione e
monopolizzazione del potere dall’altra. I due estremi in fondo coincidono:
l’eliminazione assoluta del potere potrebbe aversi solo attraverso una assoluta
tirannide. Il cristiano conoscendo già a priori il suo carattere di creatura, sa di non
poter essere il rappresentante assoluto di Dio nel mondo per i propri limiti e sa che né
la Chiesa, né lo Stato, né un partito o la scienza o qualcosa di comunque finito e
19
IBIDEM, p. 799.

16
concreto potranno arrogarsi il diritto di sostituto assoluto di Dio. Il cristiano ritiene
che ideologizzare una pace temporale assoluta significherebbe la morte, la fine della
storia, porterebbe a una civiltà senza volto, alla assoluta tirannide. Proprio il realismo
privo di entusiasmi e di ideologia del cristiano che tiene conto della lotta, della
contraddizione e della guerra, è l’unica autentica possibilità per risolvere in maniera
non disumana il problema. Il cristiano ha l’obbligo di ridurre sempre più la lotta
inevitabile, di umanizzarla, di evitarla con tutte le forze; conoscendo l’esistenza del
peccato, guarda con mentalità critica il potere e la violenza. La teologia dunque
afferma che il potere e quindi la lotta sono inevitabili. Ciò non significa che le
tradizionali forme di ricorso alla violenza debbano conservarsi inalterate. Vero
invece il contrario: la lotta contro queste forme di guerra ancora inumane va condotta
con un idealismo cristiano critico che evita facili commozioni e fascinose ideologie.
IV. Sono due le parole che si presentano ad un teologo cristiano che si chiede
come umanizzare la lotta e la violenza: giustizia e amore. Il Vaticano II ha affermato
che la pace è in senso vero e proprio opera della giustizia. Senza entrare nell’essenza
dei due termini vengono dati però alcuni cenni. Si ha pace quando ciascuno riceve
equamente il “suo”, ma come è possibile raggiungere quella uguaglianza che non fa
torto a nessuno? La giustizia è sempre esposta al pericolo di ridursi a un egoismo
organizzato. Per l’amore cristiano la frase “a ciascuno il suo” viene trasformata in
“quello che è mio è anche tuo”. Se non vogliamo rinunciare al nostro realismo,
dovremmo avere la consapevolezza della frattura fra giustizia e amore. Esiste anche
un pluralismo degli atteggiamenti cristiani che è difficile adeguare in una sintesi
superiore, ad esempio nell’amore. La vita cristiana nel suo pluralismo concreto dà
all’uomo il dovere di schierarsi dalla parte di quella giustizia che cerca di fare posto a
tutti attraverso una distribuzione cosciente e saggia dei diritti. L’amore è per il
cristianesimo qualche cosa di diverso da una organizzazione razionale dell’esistenza
umana. Assomiglia veramente alla follia, a ciò che non rende, ciò per cui uno viene
considerato sciocco. L’amore è ciò che dà il coraggio di prendere iniziative ardite.
L’esistenza cristiana non può venire trasformata in un meraviglioso parossismo di
amore e non-violenza. Il cristiano deve ripetere sempre a se stesso, secondo lo spirito
del discorso della montagna, che nella situazione storica concreta in cui si trova, in
tutte le sue incertezze, ambiguità, dubbi, la scelta individuale-personale e collettiva-

17
politica deve pendere dalla parte della follia dell’amore, secondo l’esempio della
follia del Dio in croce. L’esperienza umana dimostra che la giustizia abbandonata a
se stessa non può da sola portare alla pace. Un mondo nel quale tutti gli uomini
potessero affermare in uguale misura la loro esistenza giustificata diverrebbe una
miccia di un composito ad alto potenziale esplosivo, prenderebbe corpo un’ideologia
che afferma che c’è una sola cosa da fare, attribuire a un vertice assoluto il potere e il
diritto di decidere quale sia il “suo da dare a ciascuno”.
V. Il cristiano si chiede come sia possibile arrivare a rinunciare a un proprio
diritto vero o supposto. Nella singola esistenza di ognuno e nella vita politica
arrivano dei momenti in cui è necessario rinunciare a qualche cosa e ciò ci fa sentire
danneggiati nel nostro sforzo di autoaffermazione. Sussiste in questi casi una
differenza tra la sfera privata e quella politico-statale. Posso rinunciare a qualche
cosa di vitalmente necessario se ho la consapevolezza che qualcuno mi ama al punto
che la sua infinita pienezza di vita è anche mia. In questi casi un egoismo organizzato
e razionalistico non è sufficiente. L’uomo può concedere all’altro qualche cosa che
sarebbe “suo” soltanto quando sa che entrambi sono avvolti nell’infinitezza
dell’amore e della libertà e nella pace di Dio.
Queste considerazioni non pretendono di essere una ricetta che porta il mondo
alla pace. Tutto si realizza in una storia in divenire, in una sintesi tra l’amore che sa
sacrificarsi e una giustizia che tende alla propria affermazione. Il giusto sa di poter e
dover essere una persona capace di arricchire gli altri, di dare se stesso, di prendere
decisioni molto ardite, solo quando è sorretto dalla speranza che esiste già il regno
divino e quindi la pace che supera ogni senso, che non si fonda più sull’equilibrio di
tutti gli aspetti costitutivi dell’esistenza umana. Come uomini e come cristiani si
dovrebbe produrre ciò che assomiglia alla “pace” in un mondo empirico e concreto
che vede ancora tanta fame, tanto analfabetismo, che conosce i pericoli della bomba
atomica, in un mondo dove gli Stati e le loro storie si intrecciano, un mondo della
tecnica, dei mezzi di comunicazione, della esplosione demografica. Al termine di
queste riflessioni il cristiano concreto, può accantonarle e affrontare i problemi
concreti e attuali della pace. I teologi lasciano che il loro posto e i loro compiti (che
riconoscono anche propri) passino ai cristiani, agli uomini dell’esistenza concreta.

18
Conclusione

Prima di andare a raccogliere le linee sintetiche di questo lavoro vorrei sottolineare


come la riflessione del teologo di Friburgo sia stata fatta negli anni ’60 e come
nonostante questo possieda ancora oggi una carica e un peso profetico non
indifferente. Il suo pensiero ha subito molte critiche, che forse è corretto prendere in
considerazione, ma non si può non rendergli omaggio per il grande sforzo di apertura
e lungimiranza, che ha saputo donare alla Chiesa con il suo pensiero e la sua
produzione teologica, soprattutto alla luce della situazione odierna. L'Attualità della
teologia rahneriana può essere vista nel fatto che essa ha restituito Cristo all’uomo e
l’uomo al Cristo. Rahner vedeva nella cristologia la chiave dell’antropologia, egli
non vuole eliminare il passato, ma si rende disponibile ad affrontare le nuove sfide.20
Prima di tutto è fondamentale conoscere i problemi che mettono in crisi la fede
e l’umanità, le sfide della secolarizzazione e della complessità che hanno raggiunto
determinati sistemi di vita, i sistemi politici ed economici, la multiculturalità (che
oggi possiamo chiamare globalizzazione e fenomeni migratori) e il pensiero libero,
anti-religioso o ateo. Insomma, una presa di coscienza che il passato non esiste più e
che la situazione attuale va accolta senza moralismi e allarmismi, ma anche
analizzata senza superficialità. In altre parole, come indica la Gaudium et spes, saper
leggere “i segni dei tempi”.
Addentrandosi nella questione del rapporto Chiesa-mondo Rahner prende
coscienza del fatto che oggi c'è bisogno di una radicale spiritualità e insieme di una
radicale responsabilità nei confronti del mondo. Questi due poli devono viaggiare
insieme e non sono in alternativa, ma secondo il teologo questo dovrebbe essere un
percorso lungo da affrontare con pazienza per poter cogliere i primi frutti e così in un
futuro forse ancora lontano, raggiungere questo obiettivo. Secondo questa visione la
Chiesa non può più mantenere la forma di un tempo, la forma che aveva assunto nel
Medioevo: la Chiesa oggi ha una missione e questa missione è per il mondo attuale.
Le istituzioni politiche e civili almeno su larga scala, non sono più nella condizione
di sostenere la Chiesa e nemmeno la cristianità. Sarebbe inoltre anacronistico per il
popolo di Dio rinchiudersi in posizioni sterili e poco costruttive per la società.

20
SANNA, «La visione antropologica di Karl Rahner», op. cit., p. 22.

19
L'immagine di Chiesa che esce dal Concilio Vaticano II per Rahner21 è
l’immagine di una Chiesa costituita da laici attivi, impegnati e coscienti della loro
identità: questa situazione secondo lui crescerà sempre di più. Nel futuro questo
comporterà che «la Chiesa verrà a trovarsi nei confronti del mondo contemporaneo
in un rapporto ben più diretto rispetto al passato»22. Assumerà quindi un’identità più
missionaria dove alcune persone di fede lasceranno un’impronta forte ai singoli
fedeli. In tutto ciò non va dimenticato che l'annuncio del Vangelo assume la funzione
di portare la verità (non intesa integralisticamente), che non può essere taciuta, e che
rimane l’unica via di discernimento per il mondo.
La Chiesa è chiamata ad una grande maturità (maturità che non nasce da sè
stessa, ma dall’essere Sacramento di Cristo) che a mio avviso è la sfida più grande
per questo nuovo millennio, ma anche la speranza certa che il Vangelo continuerà a
fiorire.

21
A. RUSSO, «Chiesa e mondo contemporaneo in Karl Rahner», in Itinerarium 12 (2004) 3, p. 65.
22
IBIDEM.

20
BIBLIOGRAFIA

A. Fonti
CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Cost. past. Gaudium et spes, 7 dicembre1965, in
AAS, 58 (1966), pp. 1025-1120.

B. Studi
PH. CHENAUX, L’ultima eresia. La Chiesa cattolica e il comunismo in Europa da
Lenin a Giovanni Paolo II, Carocci editore, Roma 2011.
J. MARITAIN, Umanesimo integrale, Borla, Roma 1977.
R. REPOLE, Come stelle in terra. La Chiesa nell'epoca della secolarizzazione,
Cittadella Editrice, Assisi (PG) 2012.
K. RAHNER, Nuovi Saggi III, Edizioni Paoline, Roma 1969, pp. 693-810.
A. RUSSO, «Chiesa e mondo contemporaneo in Karl Rahner», in Itinerarium 12
(2004) 3, pp. 19-104.
I. SANNA, «La visione antropologica di Karl Rahner», in L'eredità teologica di Karl
Rahner, Lateran University Press, Città del Vaticano 2005, pp. 9-30.

21
INDICE

Introduzione…………………………………………………………………...pag. 1

1. Problematica teologica di una «costituzione pastorale»... ………….......… pag. 2

2. Riflessioni teologiche sulla secolarizzazione…………………………...… pag. 3

3. Teologia pratica e attività sociale della Chiesa….……..……………..…. pag. 10

4. La pace di Dio e la pace del mondo……………………………………… pag. 14

Conclusione…...…………………………………………………………….. pag. 19

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