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23/10/2000 - Lettura Liturgica dei Padri - 1a. Lezione, Prof. Ephrem Carr osb.

(v. l'Ordo Anni Academici 2000-2001 dove si trova una sintetica descrizione del Corso,
insieme ad una bibliografia essenziale di Patrologia. Nel Seminario Metodologico ne parleremo
di più).
Questo corso è un'iniziazione allo studio dei Padri, in funzione dello studio della Liturgia: i
Padri sono gli scrittori ecclesiastici sino a S. Giovanni da Masceno, l'ultimo teologo, morto verso
l'anno 750. Per i Padri della Chiesa Latina alcuni indicano come ultimo è Isidoro di Siviglia
morto nell'anno 636, ma altri indicano il monaco Beda il Venerabile, morto nell'anno 735. Per il
professore, l'VIII secolo è già medioevo e si trova al di fuori del periodo patristico.
In questo semestre si studieranno alcuni testi di diverso tipo, ma sempre di carattere liturgico
(v. la lista del Docente). I testi patristici verranno spiegati in base agli autori e al contesto
storico-liturgico. Circa la liturgia dei Padri, si possono consultare i voll. di Scienza Liturgica (v.
Vol. I, pp. 67-94, Liturgia dei Padri, a cura di P. Basil Studer; Documenti liturgici, 217-242; v.
il Nuovo Diz. di Liturgia - Padri e Liturgia - coll. 1008-1015; art. Liturgia dei Padri, a cura di P.
Pellegrino, in Diz. Patristico, Voll. II, pp. 1976-1979, n. 30 del Seminarium, del 1990 è specifico
sul tema Liturgia dei Padri o Padri e Liturgia).
In questo contesto troviamo il tema dei Padri impostato in 4 modi:
1) di studiare l'uso dei Padri nella Liturgia attuale (es. l'ufficio divino, l'ufficio delle letture);
2) i Padri come fonte della Liturgia (es., Leone Magno, circa il Sacramentario Veronese,
detto anche Leoniano; v. il sacramentario gelasiano, quello gregoriano; v. per la liturgia
Ispanica Isidoro di Siviglia);
3) i documenti liturgici che vengono dal tempo patristico (es. il sacramentario di Serapione,
Vescovo di Thumuis; v. la Didaché come documento liturgico del tempo patristico);
4) i Padri possono essere considerati come testimoni della Liturgia (es. pratica dei
sacramenti e della stessa liturgia).

In questo corso vedremo alcuni documenti di natura liturgica che ci presentano i Padri come
testimoni della liturgia dal II secolo sino al IV secolo.
I Padri sono essenzialmente testimoni fondamentali del dialogo fra Dio e l'uomo, che continua
anche nella Chiesa di oggi. Noi siamo gli eredi di questo dialogo che è iniziato con i Padri (v. ad
es., le collette oggi in uso nel messale, di natura apostolica). A tale riguardo c'è un testo
importante: la Cost. Dei Verbum del Conc. Vat. II, cap. 8:
«Pertanto la predicazione apostolica, che è espressa in modo speciale nei libri
ispirati, doveva esser conservata con una successione ininterrotta fino alla fine dei
tempi. Gli apostoli perciò, trasmettendo ciò che essi stessi avevano ricevuto,
ammoniscono i fedeli ad attenersi alle tradizioni che avevano appreso sia a voce che
per iscritto (cfr. 2 Ts 2,15), e di combattere per quella fede che era stata ad essi
trasmessa una volta per sempre. Ciò che fu trasmesso dagli apostoli, poi, comprende
tutto quanto contribuisce alla condotta santa del popolo di Dio e all'incremento della
fede; così la Chiesa nella sua dottrina, nella sua vita e nel suo culto, perpetua e
trasmette a tutte le generazioni tutto ciò che essa è, tutto ciò che essa crede. Questa
Tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello
Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole
trasmesse, sia con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor
loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza
delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione
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episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. Così la Chiesa nel corso dei
secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano
a compimento le parole di Dio. Le asserzioni dei santi Padri attestano la vivificante
presenza di questa Tradizione, le cui ricchezze sono trasfuse nella pratica e nella vita
della Chiesa che crede e che prega. È questa Tradizione che fa conoscere alla Chiesa
l'intero canone dei libri sacri e nella Chiesa fa più profondamente comprendere e
rende ininterrottamente operanti le stesse sacre Scritture. Così Dio, il quale ha
parlato in passato non cessa di parlare con la sposa del suo Figlio diletto, e lo Spirito
Santo, per mezzo del quale la viva voce dell'Evangelo risuona nella Chiesa e per
mezzo di questa nel mondo, introduce i credenti alla verità intera e in essi fa risiedere
la parola di Cristo in tutta la sua ricchezza (cfr. Col 3,16)».
In altre parole, il documento sottolinea l'azione attiva e presente dello Spirito Santo nella
Chiesa. La sua presenza è necessaria per un carisma che assicuri la Verità nella Chiesa: le
asserzioni dei Padri attesta la vivificante presenza di questa tradizione che crede nella Chiesa
Orante. Dio non cessa di parlare con la Sposa del suo Figlio diletto e per mezzo dello Spirito
Santo introduce e guida a tutta la Verità intera.
Ma cosa è la liturgia dei Padri? Dando uno sguardo all’inizio, le strutture liturgiche hanno
origine nell'epoca apostolica e si sviluppano nei primi secoli: un esempio concreto è la prassi
eucaristica (v. l'anno 150 in San Giustino, dove si parla della Liturgia e della Parola, ancora oggi
presente). L'iniziazione cristiana è fortemente indicativa di questo sviluppo, attorno alla quale si
viene a sviluppare la liturgia dei Sacramenti, che inizia con la catechesi e trova il suo culmine
nell'Eucaristia. Nei Padri si vede lo sviluppo dei ministeri della Chiesa ed uno sviluppo della
Liturgia nelle Chiese di una certa importanza, come ad es., Alessandria, capitale d'Egitto,
Antiochia, Gerusalemme (v. anche Cesarea di Cappadocia, ed Efeso che per la liturgia di lingua
siriaca, che era la seconda lingua, dopo il greco, c’è un forte richiamo alla tradizione liturgica di
Edessa, intorno all’anno 673) Ci sono diverse Chiese di una certa importanza, in merito allo
sviluppo della tradizione Occidentale come ad es., Roma, Milano, Siviglia, Lione e Cartagine.
La lettura liturgica dei Padri è importante anche per la regula fidei, sotto il profilo teologico e
nell’ambito del rapporto tra Fede e Liturgia: come la Sacra Scrittura era norma della Liturgia,
per i Padri, tale lettura diventa norma per lo sviluppo della Teologia. La massima Lex Orandi,
Lex Credendi è intravedibile nel contesto della fede e richiama al contesto liturgico della
catechesi in preparazione del battesimo: già San Basilio il Grande nel suo De Spiritu Sancto, cita
una dossologia come prova indiscutibile della personalità divina dello Spirito Santo. A ciò
bisogna profondamente credere, altrimenti non c'è corrispondenza tra la liturgia celebrata e la
fede professata (v. l'anno 375) in Dio uno e Trino.

Passando al primo documento (v. fotocopia della Didaché del Professore), ci troviamo alle
pp. 5-6, 7-8 dell'Edizione critica di Bill Majer: è una compilazione di diversi testi circa la vita e la
liturgia in una Chiesa locale della Siria Romana (sembra lontana da Antiochia e pare che sia una
Chiesa di campagna e non di città). Il suo genere letterario è di ordine pratico in seno alla
Chiesa, con elementi di diritto, di Liturgia e di Spiritualità escatologica. Il compilatore ha preso
qua e là diversi elementi di diverse epoche: gli studiosi parlano di un arco di tempo che va
dall'anno 50 al 150 massimo (la compilazione sarebbe avvenuta tra il 100-110, siamo già nel II
secolo).
E' intitolato "Didaché" che significa l'insegnamento dei Dodici Apostoli alle genti. Il testo
c'è stato trasmesso da un manoscritto che risale al sec. XI (è stato scoperto nel 1883).
La Didaché la possiamo dividere in 16 capitoli e in diverse sezioni:
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a) le due vie (la dottrina richiamano all'AT e parlano della via della vita e della morte - sono i
primi sei capitoli); era un documento già esistente, per il quale ci sono dei frammenti (ad
es., l'epistola di Barnaba). Ci sarebbe alla radice una catechesi giudaica, tradotta in
catechesi morale;
b) diversi elementi liturgici (v. il cap. 7: c'è la necessità del digiuno prima del Battesimo,
come pure della preghiera - cap. 8).
c) Nei capp. 9-10 c'è il tema dell'Eucharistia, cioè il rendimento di grazie sul pane e sul
vino.
d) I Capp. 11, 13 e 15 sono di natura disciplinare in merito ai ministeri della Chiesa.
e) Nel cap. 14 parla della celebrazione domenicale.
f) L'ultima sezione del cap. 15 parla della scomunica e della disciplina penitenziale.
g) Il Cap. 16 ha uno sbocco escatologico ed un ammonimento. Elementi liturgici sono
sparsi in tutta la Didaché.

Riportiamo il testo bifronte di Greco con a fianco la traduzione in italiano (i capp. dal 6 al
10.3):
 L’INSEGNAMENTO DEI DODICI APOSTOLI.
VI.1. VI.1. Guarda che alcuno non ti distolga da
 questa via della dottrina, poiché t’imparti-
rebbe un insegnamento che è fuori di Dio.
6.2 6.2 [Se tu puoi portare tutto intero il giogo del
 Signore, sarai perfetto; se non puoi, fa quello
 che puoi.
6.3 6.3 Quanto ai cibi, osserva quanto puoi; ma
 astieniti assolutamente dalle carni immolate
 agli idoli, poiché questo sarebbe il culto degli
dei morti].

Il cap. VI appare un documento flessibile, ma pone un principio assoluto: non si può


mangiare il cibo offerto agli idoli. Circa il giogo del Signore, vi è l’osservanza della Legge
Mosaica, alla quale alcuni volevano che fossero sottoposti anche i cristiani provenienti dal
paganesimo (v. la questione dei giudaizzanti). La questione fu trattata dagli Apostoli nel Concilio
di Gerusalemme (At 15), le cui disposizioni, al riguardo dei cibi, lasciano la responsabilità alla
propria coscienza. At 15,3 si può richiamare a Rm 14,1-5: «Ognuno segua la sua coscienza…».
Pare proprio che l’Apostolo voglia arrestare gli scrupoli, che potevano sorgere dal precetto della
Didaché, che chi vuol essere perfetto deve portare intero il giogo del Signore. E’ questo un
indizio che i due scritti riflettono la stessa situazione e lo stesso ambiente.

7.1 7.1 Intorno al battesimo, battezzate in questo


 modo: Dopo aver premesso tutte queste cose,
 battezzate nel nome del Padre, del Figlio e

dello Spirito Santo nell’acqua viva.
7.2 7.2 [Se non avessi acqua viva, immergi in altra
 acqua; se non puoi nella fredda, immergi nella
 calda.
7.3 7.3 Se non avessi abbastanza né dell’una né
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 dell’altra, versa sul capo tre volte in nome del


 Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
7.4 7.4 Prima del battesimo digiunino il battezzan-
 te ed il battezzando e se altri lo possono; al
 battezzando però, ordina che digiuni uno o due
 
giorni prima].
Il cap. VII parla del battesimo: c'è una catechesi prebattesimale. C'è già una struttura che
toccherà tutto il periodo patristico che richiama al comando di Gesù di battezzare in acqua viva
(acqua corrente: v. anche l'ambiente giudaico vive già questa tradizione che indica non idonea al
battesimo l'acqua ferma o stabile). Se uno non può battezzare con acqua corrente o fresca,
almeno il battesimo avvenga in una piscina (v. le terme al tempo di Roma: ad es., la Chiesa di
San Prudenziana è costruita dentro le terme romane). Il testo dà quattro possibilità: acqua,
corrente, acqua calda, acqua fresca e acqua versata sul capo: quest'ultima è la possibilità oltre la
quale non è possibile battezzare. Viene poi posta la condizione secondo cui è fondamentale il
digiuno di almeno due giorni prima del battesimo.
Da ciò si rende visibile una certa struttura alla preparazione del battesimo:
a) catechesi pre-battesimale;
b) invocazione trinitaria;
c) preparazione del battesimo con il digiuno;
d) l'acqua del battesimo.

8.1 8.1 I vostri digiuni non coincidano con quelli


 degli ipocriti; infatti essi digiunano il secondo
 e il quinto giorno della settimana; voi invece

digiunate il quarto ed il sesto.
8.2 8.2 Neppure pregate come gli ipocriti, ma
 come il Signore comandò nel suo Vangelo, così
 pregate: Padre Nostro che sei nel cielo, sia

 santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia
 fatta la tua volontà come in cielo così in terra.
 Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti
 a noi il nostro debito, come anche noi lo
 rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre

in tentazione, ma liberaci dal male.

 Perché tua è la potenza e la gloria nei secoli.



8.3 8.3 Pregate così tre volte al giorno.
Il periodo migliore per il digiuno era la Quaresima. I vostri digiuni non siano come da ipocriti
(v. i Giudei: gli ipocriti sono coloro che non si sono convertiti): più precisamente si tratta dei
Farisei (Mt 6,16; 23,13-15. 23. 25. 27. 29). Il documento continua e raccomanda la tradizione
cristiana del mercoledì e del venerdì, rispetto ai Giudei che digiunavano il lunedì ed il giovedì. In
tale contesto non c’è alcuna questione teologica. Circa la preghiera l'autore raccomanda di
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pregare come il Signore ha preordinato e prescritto nel suo Vangelo: il Padre Nostro (v. Mt 6,9-
13). C'è un richiamo alla tradizione giudaica della preghiera. Questa sezione finisce: così pregate
per tre volte al giorno, secondo la divisione naturale della giornata (mattina, pomeriggio e sera)
che si aggancia alla liturgia del nostro tempo: le Lodi, la Messa e i Vespri. Chi non prega
secondo l’insegnamento del Signore, la sua preghiera è vana. Tale preghiera si conclude con una
dossologia.

9.1 9.1 Circa l’Eucaristia, rendete grazie così:



9.2 9.2 Prima per il calice: Noi ti rendiamo
 grazie, Padre nostro, per la santa vigna di
 Davide tuo servo, che a noi rivelasti per

 mezzo di Gesù tuo Servo; a Te la gloria nei
secoli! (Amen).
9.3 9.3 Dopo per il pane spezzato: Ti rendiamo
 grazie, Padre nostro, per la vita e per la cono-
 scenza, che a noi rivelasti per mezzo di Gesù

tuo Servo; a Te sia Gloria nei secoli! (Amen).
9.4 Come questo pane, sparso sulle montagne e
 riunito è divenuto uno, così sia riunita la tua
 Chiesa dalle estremità della la terra nel tuo

 regno; poiché a Te appartengono la gloria e la
potenza nei secoli! (Amen).
9.5 9.5 Nessuno mangi, né beva della vostra
 eucaristia, al di fuori di quelli che sono
 battezzati nel nome del Signore, poiché al

riguardo il Signore ha detto: Non date le cose
sante ai cani.
L’espressione «Vigna di Davide» si riferisce ovviamente alla Chiesa in quanto continuazione
della vigna veterotestamentaria cioè dell’Israele antico, ormai pervenuto alla fase perfetta del
regno messianico. Cristo è chiamato “servitore di Dio”, particolarmente per la sua funzione di
rivelatore della fase perfetta del regno di Dio, ma anche perché è il mediatore dei beni della
salvezza di questo regno.
Con l’espressione “Ti rendiamo grazie per la vita e la conoscenza” ci troviamo nel contesto
dell'AT dove si conosce solo per relazione: ciò è avvenuto per mezzo di Gesù Cristo.
Con l’espressione “Gesù tuo servo” essa è caratteristica della cristologia più antica, che
identifica Gesù come il Servo di Jahvé (Is 42. 49-50. 52-53). Questa espressione “pàis” è
applicata a Gesù in Mt 12,18 che riporta Is 42,1-4: in uno dei più antichi discorsi di Pietro, nella
preghiera dei cristiani a Gerusalemme (At 4,27.30) e nell’epistola di Barnaba (6,1) che cita Isaia.
Circa l’espressione greca “”, letteralmente “pane spezzato”, si tratta del pane destinato
alla frazione, se non a un pezzo di pane. Si dice che presso gli Ebrei esisteva una tradizione per
la quale a Pasqua non si usava un pane intero, per significare la povertà del popolo che usciva
dall’Egitto. Non si deve tuttavia confondere questo fatto con la frazione da farsi dopo la
benedizione dello stesso pane in ordine alla distribuzione. Certamente la Didaché fa un
interessante collegamento fra il pane, di cui parla e l’unità della Chiesa: si tratterebbe proprio del
pane eucaristico (v. 1Cor 10,17) che connette la sua unità con l’unità della Chiesa. Il richiamo al
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comando del Signore di non dare le cose sante ai cani si riferisce verosimilmente al pane ed al
vino che sono divenuti Corpo e Sangue di Cristo.
E’ significativo l’ammonimento forte: la comunione non è per tutti, ma solo peri battezzati. In
questo senso c’è un nesso forte tra Catechesi Battesimale, Battesimo ed Eucaristia.

10.1 10.1 Dopo esservi saziati, rendete grazie


 così:
10.2 10.2 Ti ringraziamo, Padre Santo, per il tuo
 nome santo, che hai fatto abitare nei nostri
 cuori, e per la conoscenza e la fede e

 l’immortalità che hai rivelato a noi per
 mezzo di Gesù tuo Servo; a Te sia gloria nei
secoli. (Amen).
10.3 10.3 Tu, Signore Onnipotente, hai creato
 tutte le cose a causa del tuo nome, cibo e
 bevanda hai dato agli uomini in godimento,

 perché ti rendessero grazie, ma a noi hai
 reso grazia di un cibo e di una bevanda
spirituali e della vita eterna per Gesù Tuo
Servo.
10.4 10.4 Per tutto ti rendiamo grazie, perché tu
 sei potente; a te la gloria nei secoli. (Amen).

10.5 10.5 Ricordati, Signore, della tua Chiesa,
 per liberarla da tutti i mali e renderla
 perfetta nel tuo santo amore e riuniscila dai

 quattro venti, questa (Chiesa) santificata nel
 tuo regno, che le hai preparato: perché a Te
 appartengono la potenza e la gloria nei
secoli dei secoli. Amen.
10.6 Venga la grazia e passi questo mondo.
 Amen. Osanna al figlio di David. Chi è
 santo si avvicini, chi non lo è si penta.

Maran athà. Così sia.
10.7 10.7 Lasciate che i profeti rendano grazie
 come vorranno.

Nei capp. 9-10 si parla dell'Eucaristia. Ci sono diverse ipotesi: la prima è massimalista (le
preci sono eucaristiche), la seconda è minimalista (le preci non sono eucaristiche) ed altre che
ritengono i capp. 9-10 non siano eucaristici. Altre ipotesi ancora parlano di preghiera in
occasioni di banchetti, ma non di natura eucaristica, ma in base al testo all'inizio del cap. 9 e del
cap. 10 c'è un riferimento al termine eucaristia. In riferimento alla prima ipotesi, c’è la
convinzione che questi due capitoli siano una vera e propria preghiera eucaristica, anche se
ovviamente diversa da quelle dei secoli seguenti. Però non tutti la spiegano allo stesso modo:
alcuni vedono nel rito del vino e del pane del cap. 9 la doppia consacrazione ed identificano il
pasto che segue con la comunione (v. cap. 10.1). Considerano poi la preghiera dopo il pasto (v.
10.1-2) un ringraziamento alla comunione. Secondo costoro il rito del vino precede quello del
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 7

pane. Altri, invece, limiterebbero il momento della consacrazione alla preghiera che seguiva il
pasto, chiamato a volte, come si è visto, la Birkat ha-mazon cristiana. In riferimento alla seconda
ipotesi, la descrizione e le preghiere in questione sono un agape fraterna che rispecchia la
tradizione giudaica non cristiana. Si tratterebbe di un’Eucaristia minore o di un rito vigiliare
preparatorio e di transizione all’Eucaristia vera e propria. Se ci si basa alla descrizione lucana
della berakà (v. Lc 22,14-29) si ha la stessa struttura: Primo rito del Calice (vv. 14-16); primo
rito del pane (v.19), pasto (v. 20) e secondo rito del Calice dopo il pasto (v. 20). C'è forse
una preghiera eucaristica che non corrisponde alla nostra teologia, ma ciò non è una ragione
sufficiente che la debba indicare come non eucaristica. Orbene, in qualche comunità della Siria
Occidentale, verso il 40/50 o anche prima doveva esistere un’impostazione ripresa anche dal
Vangelo di Luca.

30/10/2000 - Lettura Liturgica dei Padri - 2a. Lezione, Prof. Ephrem Carr osb.

Ritornando a parlare del capitolo 10 (v. il testo originale con la traduzione nelle pp. 6-7) della
Didaché, dando uno sguardo ai paragrafi si può notare in modo evidente la struttura della
preghiera giudaica (la berakà), di cui è già stato detto nella lezione precedente del 23 c.m.
Secondo il racconto di Luca, le parole di Gesù avvengono prima della cena (1a.Coppa) e dopo la
cena (2a. coppa), secondo questa struttura:
1) Lc 22,14-16 – Primo rito del Calice
2) Lc 22,19 – Rito del Pane
3) Lc 22,20 – il Pasto
4) Lc 22,20ss. – Secondo Rito sul Calice dopo il pasto.
Il primo rito del calice sarebbe solo una benedizione preparatoria, come lo fu nell’ultima Cena
descritta da Luca. Il rito stesso, che molti mettono in parallelo col Qiddush giudaico, poteva
essere una specie una specie di aperitivo. Il fatto che le altre tre fonti non ne fanno cenno, come
atto iniziale, è segno che la comunità apostolica lo riteneva del tutto secondario.
E’ probabile che alcune comunità seguissero lo schema descritto da Luca. La Didachè si
riferirebbe a tale uso, che poi sparì perché si considerava non appartenente all’istituzione
essenziale del Cristo, come si può dedurre da Marco, Matteo e da 1Cor 15.
Infine, per alcuni la frase. «dopo esservi saziati»1 significherebbe «dopo aver fatto la
comunione», perché pensano non potersi concepire un pranzo o una cena fra la consacrazione e
comunione del Corpo di Cristo e quella del sangue. Con tutta probabilità i capp. 9-10 danno la
più antica preghiera eucaristica, rimasta fino a noi. Nel testo di questi due capitoli il rito del
primo calice è del tutto secondario, mentre quelli essenziali sono il rito consacratorio del pane
prima e quello del vino dopo.
Il Cap. 10, indica tra l’altro, che il nome di Dio, come suggerisce il compilatore, è soprattutto
la Sua presenza nei nostri cuori. C'è un concetto forte di conoscenza, seguito da una dossologia.

1
Questa espressione alquanto realistica potrebbe riferirsi all’agape, che nei primi secoli era congiunta alla
celebrazione eucaristica; ma espressioni simili (cibo potuque saginati) si trovano frequentemente a proposito
dell’Eucaristia.
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 8

La preghiera, dopo una piccola dossologia, continua con un'orazione che si riferisce al cibo e
alla bevanda: si tratta di una preghiera giudaica di ringraziamento: Dio che è onnipotente, Dio
ha creato tutte le cose. Tutto è avvenuto a causa del tuo nome. Dio ha dato cibo e bevanda agli
uomini per il loro piacere. Questo fa comprendere che il cibo non è dato solo per il corpo, ma
anche per la gioia dell'uomo. Dio ci ha dato gratis (v. il t. karis) cibo e bevanda spirituale,
nonché la vita eterna per mezzo del suo Figlio Gesù. Si sviluppa, così, una cristologia molto
presente nei primi secoli, ma che tramonterà dopo le prime controversie cristologiche.
Prima di ogni cosa Tu hai il potere su tutto e puoi fare tutte le cose. Segue, poi, una piccola
dossologia.
La sezione cinque inizia con una intercessione: “Ricordati Signore della tua Chiesa, Tu che
l’hai preservata da ogni male”. Ciò richiama al contesto del Padre Nostro: non solo ci ha
preservato da ogni male, ma Dio ha reso la Chiesa perfetta nel suo amore. Dio ha raccolto la
Chiesa dai quattro venti e dai quattro angoli del mondo e l'ha santificata verso il suo regno che
Dio ha preparato per la Chiesa. Qui si trova una dossologia più grande: non c'è solo un
ringraziamento, ma c'è la coscienza di aver ricevuto un cibo ed una bevanda spirituale.
Dopo segue una serie di acclamazioni (nell'antichità vi era l'usanza di acclamare il re). Si trova
una preghiera del Regno, per il Regno, senza il quale il mondo finisce. L'acclamazione, "Osanna
al Dio di David" è proprio del testo greco e non può essere tradotta diversamente. C'è anche un
riferimento ai santi che sono i cristiani che si sono convertiti al Vangelo di Cristo. Il Cap.10
finisce in aramaico mediante l'espressione "Maranathà". A Coloro che sono profeti Dio permette
di rendere grazie in ogni circostanza e in ogni luogo. In questo senso si può celebrare l'eucaristia
in qualsiasi luogo.

Le sezioni che seguono dal XI al XV sono propriamente liturgiche. Parlano delle diverse
categorie di ministri. In esse vediamo tre figure:
a) ministri itineranti;
b) ministri della Chiesa stabili;
c) ministri con nuovi uffici che diventano vescovi o diaconi, dietro l’elezione da parte della
comunità. Qui di seguito riportiamo il testo originale, assieme alla traduzione dei rispettivi
capitoli, commentati, ad uno ad uno. Iniziamo con il Capitolo XI.

Come si devono accogliere gli Apostoli ed i Profeti.


11.1 11.1 Se qualcuno, dunque, venuto fra voi,
 vi insegnerà tutto quello che fu detto
sopra, accoglietelo;
11.2 11.2 ma se il maestro stesso, pervertito, vi
 insegnasse un’altra dottrina, mirando di
 distruggere, non ascoltatelo; se invece (il

 suo insegnamento) mira ad accrescere la
giustizia e la conoscenza del Signore,
accoglietelo come il Signore.
11.3 11.3 Quanto agli apostoli e i profeti,
 secondo il precetto del Vangelo, fate così.

11.4 11.4 Ogni apostolo che viene tra voi, sia
 accolto come il Signore;
11.5 11.5 ma si fermerà un solo giorno; se vi
 fosse bisogno anche un secondo; ma se si
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 9

 fermerà tre giorni, egli è un falso profeta.


11.6 11.6 Partendo, l’apostolo non prenda altro
 che il pane sufficiente fino al luogo dove
 alloggerà; se chiede denaro, è un falso

profeta.
11.7 11.7 Non sottoponete a prova o ad esame
 ogni profeta che parla nello spirito;
 poiché tutti i peccati saranno rimessi, ma

questo peccato non sarà rimesso.
11.8 11.8 Non è però profeta chiunque parli
 nello spirito, ma solo colui che abbia i
 costumi del Signore. Dai costumi dunque

si conosceranno il falso e il (vero)
profeta.
11.9 11.9 E ogni profeta che, in spirito, ordina
 d’imbandire una mensa, non ne mangia, a
 meno che non sia un falso profeta.
11.10 11.10 Ogni profeta che insegna la verità,
 e non pratica quello che insegna, è un
 falso profeta.
11.11 11.11 Ogni profeta provato e veridico,
 che opera in vista del mistero cosmico
 della Chiesa, ma tuttavia non insegna che

 si debba fare tutto quello che egli fa, non
 deve essere giudicato da voi, perché ha il
giudizio da Dio; così fecero anche gli
antichi profeti.
11.12 11.12 Se però alcuno dirà in spirito:
 dammi denaro o qualche altra cosa, non
 lo ascolterete; ma se egli dirà di dare per

altri bisognosi, nessuno lo giudichi.

Il Cap. XI è importante perché parla dell'insegnamento. San Paolo, elencando i carismi,


scrive: Dio pose nella sua Chiesa, in primo luogo gli apostoli, in secondo luogo i profeti, in
terzo luogo i dottori (1cor 12,28). Lo stesso ordine segue la Didaché nell’elencare i ministri
carismatici. Gli apostoli (non si tratta dei Dodici, ma dei loro successori) sono elencati per primi,
perché depositari del kérigma, gli araldi del vangelo; hanno la missione di predicare il Vangelo
come fecero Barnaba, Sila, Timoteo. I profeti parlano sotto l’ispirazione dello Spirito Santo ed
hanno il compito di edificare, esortare, consolare e preannunziare il futuro. I dottori, infine, sono
i catechisti delle Chiese. Come si vedrà, i profeti ed i dottori possono stabilirsi in una Chiesa,
mentre l’apostolo non può rimanere più di uno o due giorni al massimo. Dunque per essere
apostoli bisogna essere itineranti: a motivo di ciò pare che non ci sia, almeno apparentemente,
una distinzione tra l’apostolo ed il profeta, perché ambedue hanno alcune cose in comune. Una
condizione essenziale, però, che stabilisce chi è il vero profeta, o il vero apostolo è che da parte
loro non ci deve essere l’interesse per le cose materiali, tanto meno del denaro o dell’argento o
dell’oro.
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 10

Se si segue il pensiero di questo capitolo, la struttura liturgica dei Capp. 7, 8 e 10 va accolta e


rivista: l’autore mostra una certa unità del suo pensiero e fornisce elementi preziosi che
tratteggiano la comunità dove lui è vissuto. Egli stesso ribadisce più volte che chi insegna una
dottrina diversa da quella della Chiesa non va ascoltato, ma va considerato falso profeta o falso
maestro o falso apostolo. Chi, invece, lo fa per il Signore, venga accolto ed ascoltato. Il vero
apostolo può chiedere il pane soltanto, ma non altro. Se c'è un profeta che parla in modo ispirato
và messo alla prova, anche se la comunità non può trovare alcuna prova contro di lui se egli
parla secondo Spirito. Un elemento importante è riferito alla sezione 7 del cap. XI, perché c’è un
preciso riferimento al sacramento della riconciliazione e alla remissione dei peccati: l’unico
peccato che non può essere rimesso è proprio quello contro lo Spirito Santo. Anche in questo
caso c’è un chiaro riferimento al Padre Nostro quando si dice: “Rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Tale contesto si ricollega a quello che l’autore dice al
Cap. XIV, sezione 2, dove pone una condizione primaria per celebrare l’eucaristia: è necessario
riconciliarsi con i fratelli prima di alimentarsi del corpo e del sangue di Cristo, altrimenti si
rischia la profanazione dell’Eucaristia. Certamente coloro che peccano contro lo Spirito Santo,
sono quelle persone che sottomettono alla prova il vero profeta, ispirato da Dio. Un altro
criterio per distinguere i falsi dai veri profeti è se costoro hanno le usanze del Signore, cioè se
vivono alla stessa maniera del Signore. Da questa norma generale diventa criterio giudizio.
Il testo dà, poi, alcuni esempi: colui che è ispirato dallo Spirito è colui che raccomandando la
Comunità di organizzare la cena (mensa) per i poveri, non vi partecipa. Egli non può insegnare la
verità se poi non la mette in pratica: prima di predicare bisogna vivere. Un altro esempio è che se
ogni profeta fa un mistero con un gesto fisico, ed assume un comportamento strano, ma non
pretende che lo facciano anche gli altri, non può essere giudicato. Lui avrà il giudizio da parte di
Dio, per il suo operato. In tal senso, anche i profeti dell’AT facevano delle stranezze, ma non le
insegnavano, né le imponevano, tanto che sul loro esempio si devono adeguare anche i profeti
della Chiesa, i quali, se chiedessero il denaro, l'oro o l'argento non per sé, ma per i poveri della
Comunità di Gerusalemme, non possono essere giudicati, ma vanno ascoltati. Infine ritornando
al termine “mistero” forse si potrebbe intendere a qualche strana pratica religiosa, che si prestava
alla critica, ma che bisognava scusare per rispetto i profeti, antichi e recenti, che l’avevano
seguita. Un po’ di luce, almeno ambientale, può portare il passo di 1Cor 14,26-33.

12.1 12.1 Chiunque viene nel nome del


 Signore sia accolto. In seguito, mettendo-
 lo, alla prova, potrete conoscerlo, poiché

avrete senno da distinguere la destra dalla
sinistra.
12.2 12.2 Se colui che viene è solo di passag-
 gio, aiutatelo quanto potete; ma rimarrà
 presso di voi solo due o tre giorni, se sarà

necessario.
12.3 12.3 Se vuole stabilirsi presso di voi, ed
 esercita un’arte, lavori e mangi.
12.4 12.4 Che se invece egli non ha alcuna
 arte, provvedete, secondo il giudizio
 vostro, affinché un cristiano non abbia a
vivere tra voi ozioso.
12.5 12.5 Se egli non vorrà far così, è uno
 sfruttatore di Cristo. Guardatevi da
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 11

siffatta gente.

Il Cap. XII parla dei cristiani che vengono da fuori: essi devono essere accolti. Mettendoli
alla prova si può vedere se sono della destra o della sinistra. Ma come discernere? L'autore da un
criterio basato sul permanere dei giorni in quella Chiesa o Comunità. Ma se uno vuole stabilirsi
ed ha un mestiere, lavori e mangi. ma se non ha un lavoro o mestiere, secondo il buon senso, è
bene vedere come un cristiano possa vivere senza che si trovi in ozio. Occorre per lui trovare
qualche lavoro. Se qualcuno non può fare alcun lavoro è chiaro che è uno che fa commercio di
Cristo. Qualcuno che guadagna con il nome di Cristo, da questi bisogna stare attenti. In
sostanza, tale regola è il precetto ripetuto più volte da San Paolo e confermato costantemente
dal suo esempio. A Corinto, in casa di Aquila egli si mise a fabbricare le tende (At 18,1-4);
parlando agli anziani di Efeso, può asserire che ai suoi bisogni hanno provveduto le sue mani (At
20,4). Nella 2Ts raccomanda con forza il lavoro, fino a ricordare che chi non vuol lavorare
neppure deve mangiare (2Ts 3,7-12). Si può notare così una certa uguaglianza tra la Didachè e
San Paolo: l’indizio è che i due scritti sono vicini, sia per lo sviluppo di questo argomento, sia
per il contesto generale che offrono.

13.1 13.1 Ogni vero profeta, che desidera di


 stabilirsi tra di voi è degno del suo
 nutrimento.
13.2 13.2 Similmente il vero dottore (maestro)
 è degno egli pure, come l’operaio, del
 suo nutrimento.
13.3 13.3 Prenderai dunque le primizie dei
 prodotti del torchio e dell’aia, dei buoi e
 delle pecore e le darai ai profeti, perché

sono i vostri sommi sacerdoti.
13.4 13.4 Se non avete profeti, date ai poveri.

13.5 13.5 Se tu fai il pane, prendi la primizia e
 dàlla secondo il precetto.
13.6 13.6 E così pure, se apri un’anfora di
 vino o di olio, prendi la primizia e dàlla ai
 profeti.
13.7 13.7 Del denaro, del vestiario e di ogni
 tuo possesso prendi la primizia, come ti
 parrà bene, e dàlla secondo il precetto.
Con il Cap. XIII si parla de ministri stabili, cioè i profeti della comunità. Ogni vero profeta
che vuole stabilirsi presso di voi, è degno del suo nutrimento. Anche l'insegnante (dottore o
maestro) è degno come l'operaio del suo nutrimento. Allora ci sono due tipi di ministri: il profeta
ed il maestro. Tutti e due sono degni del loro nutrimento nella comunità locale. La comunità
dovrebbe prendere le primizie di tutte le cose prodotte per destinarle ai profeti: è un'usanza
veterotestamentaria che viene applicata a profeti e ai sacerdoti perché essi sono considerati come
Sommi Sacerdoti, anche se la Chiesa non ha ancora una struttura gerarchica vera e propria. Se
qualcuno produce un bene ne prenda la primizia assolvendo al precetto. Rimane, dunque viva la
tradizione giudaica, in merito a questa usanza. Bisogna dare anche del denaro ed il vestiario a
questi ministri stabili, al contrario di quello che l’autore pone all’inizio come condizione per gli
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 12

apostoli. Tutto questo si basa sul precetto di questa usanza veterotestamentaria, ancora presente
nelle prime comunità cristiane.

Per completare il quadro relativo alle diverse figure di ministri andiamo, per il momento alla
prima sezione del Cap. XV della Didaché:

15.1 15.1 Eleggetevi dunque vescovi e diaconi


 degni del Signore, uomini mansueti, non
 bramosi di denaro, veritieri e provati;

 poiché anch’essi esercitano per voi il
 ministero dei profeti e dei dottori.
15.2 15.2 Perciò non disprezzateli; essi, infatti,
 insieme ai profeti e ai dottori, sono
 uomini onorati tra voi.
15.3 15.3 Correggetevi a vicenda, non con ira,
 ma nella pace, come avete nel Vangelo.
 Se alcuno offende il prossimo, nessuno

 gli parli; che egli non senta una parola da
parte vostra, finché non sia pentito.
15.4 15.4 Le vostre preghiere, le elemosine e
 tutte le azioni fatele come avete nel
 Vangelo del Signore nostro.


Nel Cap. XV si trova la terza categoria di ministri: non ci sono più profeti e maestri, ma ci
sono gli episcopi ed i diaconi, che sono coloro che hanno potere elettivo (potere di scegliere) e
vengono eletti dalla comunità. Ciò equivale all'ordinazione di un ministro. Mentre nei capitoli XI
e XIII si parla dei ministri carismatici del Vangelo, qui è nominata la gerarchia locale: vescovi e
diaconi (non sono ancora nominati i presbiteri). Essa è ancora subordinata al personale
missionario: è un indizio relativo ad uno stadio molto antico dell’organizzazione ecclesiastica.
Però il personale missionario è già circondato da notevole diffidenza. Ciò fa comprendere che
non si tratta più dei grandi evangelizzatori della prima ora, noti a tutto il mondo cristiano.
Ritornando al contesto del cap. XV, c'è anche un invito all'elezione di coloro che sono degni
del Signore. Il verbo  ha due sensi: ha il senso di scegliere e di votare con la mano
(eleggere), ma ha anche il senso di mettere la mano su qualcuno per indicare la scelta che è
rivolta a quelle persone che sono completamente distaccate dal denaro e da ogni cosa materiale.
Si tratta di coloro che sono bene educati alla fede: sono dunque degni del Signore. Questa scelta
di indicare con la mano alzata o con la mano sulla testa, diventa per il cristianesimo la prassi per
l’ordinazione dei futuri vescovi e dei futuri diaconi, cioè di coloro che saranno destinati ad un
servizio liturgico (pubblico) per il popolo. Ci troviamo in un momento di sviluppo della Chiesa,
dove si nota il passaggio da un ministero profetico itinerante a quello più organizzato del
diaconato e dell’episcopato, anche se non è presente il termine di presbiteroi. Così l'autore
sottolinea il servizio liturgico come caratteristica del diacono o del vescovo che non devono
essere schiavi della superbia, come pure coloro che devono essere guidati da loro. Essi hanno lo
stesso diritto ed onore, sia i vescovi, sia i diaconi, rispetto ai didascaloi e ai profeti.

14.1 14.1 Ogni domenica, giorno del Signore,


94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 13

 riuniti, spezzate il pane e rendete grazie,


 dopo che avrete confessato i vostri

peccati, affinché il vostro sacrificio sia
puro.
14.2 14.2 Chiunque ha qualche lite con il suo
 compagno, non si riunisca a voi prima
 che siano riconciliati, affinché non sia

profanato il vostro sacrificio.
14.3 14.3 Questo infatti è il sacrificio di cui ha
 detto il Signore: In ogni luogo e in ogni
 tempo, mi sia offerto un sacrificio mon-

 do; poiché io sono un gran re, dice il
Signore, e il nome mio è ammirevole tra
le genti.
Ritornando al Cap. XIV c'è un richiamo al giorno del Signore (la domenica) quando tutta la
Comunità si raduna per celebrare l'Eucaristia e spezzare il pane eucaristico. Prima di tutto,
ancora prima d spezzare il pane, è importante confessare le vostre trasgressioni. La forma attuale
di questo gesto è la confessione vera e propria. Nel 4° cap. della Didaché c'è un passo simile,
dove si dice che prima di pregare bisogna confessare i peccati. In realtà se uno è santo può
venire, ma se uno non lo è deve cambiare vita. In questo senso, c’è un richiamo alle parole di
Gesù nel Vangelo: “Se uno viene per fare l'offerta all'altare, ma ha qualcosa contro qualcuno,
lasci l'offerta per riconciliarsi con il fratello”. Ciò dà il senso vero del sacrificio puro. Nel Cap.
XIV è la prima volta che si usa il t. "sacrificio" che segna l'inizio di uno sviluppo teologico
dell’Eucaristia – nell’orizzonte del pasto – in seno alla Chiesa. C'è una forte raccomandazione al
fatto di evitare i sacrifici profani. Alla sezione terza abbiamo anche la profezia di Malachia: è un
testo variante di Mal 1,11.14. La prima cosa è quella di riunirsi: la Chiesa spezza il pane e rende
grazie. Lo “spezzamento del pane” è chiamato due volte “sacrificio vostro”, cioè sacrificio dei
cristiani, ed è riportato, a conferma, il brano di Malachia, sopra citato, in cui si preannuncia il
sacrificio della Nuova Legge, che sarà offerto in ogni luogo; e la Didaché aggiunge “in ogni
tempo” (Malachia invece dice: in ogni luogo), cioè universale e definitivo. C'è nuovamente
l'invito ad offrire un sacrificio puro, giacché il Signore dice di essere un Dio grande tra le
nazioni. Dopo il NT la Didaché è il testo liturgico più antico.

Concludendo, la Didaché risale al tempo in cui il NT non gode ancora di una piena autorità
scritturistica. C’è ancora la predicazione di Gesù, ma non c'è ancora nessuna versione scritta sui
detti ed insegnamenti di Gesù. Ci troviamo ancora nel contesto della Tradizione Orale.
Certi elementi ripresi dalla Didaché sono, senza dubbio anteriori ai nostri vangeli canonici.
Questo documento ci fa conoscere anche una parte della vita della Chiesa e ci da informazioni
preziose (es. la campagna Siro-Romana verso la seconda metà del II secolo) della comunità
primitiva sull'iniziazione cristiana, sul’osservanza domenicale, sulla Eucaristia, sulla preghiera
quotidiana e sul digiuno.
La Didaché attesta chiaramente il nesso fra la Liturgia cristiana e quella della Sinagoga
contemporanea, per non parlare della liturgia domestica, della Cena, nonché il nesso il
Cristianesimo di questo documento e la dottrina morale delle due vie nel giudaismo. La Didaché
è il prototipo di tutti i documenti posteriori, circa l’ordinamento della vita ecclesiale. Si rivela,
così, come fonte straordinaria circa l'ordinamento della vita ecclesiale. E' una fonte di valore
straordinario sia per la liturgia, sia per il diritto della Chiesa. Questi documenti posteriori sono
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per es., la Didascalia o la Traditio Apostolica utilizzano la Didaché come documento


fondamentale, mediante un aggiornamento che assicura il progresso della Chiesa sul piano
spirituale e sul piano liturgico, sacramentale e teologico.

Giustino - Prima Apologia.


INTRODUZIONE GENERALE.
Per la vita e le opere di Giustino abbiamo tre studi generali (il Docente li cita brevemente):
1) BARNARD L. W., Justin Martyr. History life and though, Cambridge 1967.
2) OSBORN E. F., Justin Martyr. Beiträgen zur historischen. Theologie 47, Tubinga 1973.
3) KAMMENGIESSER CH., - SOLIGNAC O., ART. DAL DIZ. DI SPIRIT (in francese) col. 1640-
1647 (1974).
Per la parte italiana vi è un’opera della Biblioteca Santoro, che non è propriamente scientifica.
Per l'edizione critica, non c'è un'edizione veramente critica della Apologia o delle Apologie di
Giustino: c'è solo un manoscritto completo, formato da un testo di 1364, che non è molto
accurato. Per i capp. della Liturgia (61-67) c’è un altro manoscritto del 400. Ci sono anche dei
frammenti nella Storia di Eusebio che verrebbero attribuiti a San Giovanni Damasceno.
L’edizione migliore è quella del GOOD-SPEEL Die ältersten Apologeten, Göttingen 1915, pp. 26-
89 (ristampa anastatica a New York 1950: dà solo il testo greco).

L'origine ed il carattere dell'opera.


I testi liturgici di Giustino si trovano nell’apologia di questo maestro (didascalos), vescovo e
martire. Quest’opera è sottoposta alla questione se la seconda Apologia sia un’opera vera e
propria oppure se si tratta di un’Appendice della Prima Apologia di Giustino.
L’Apologia, insieme al dialogo con Trifone, sono tra i pochi scritti che ci sono rimasti e che
dalla Tradizione sono attribuiti a Giustino. L’Apologia è stata composta verso l'anno 150 a Roma
e rappresenta un documento di importanza particolare perché offre elementi preziosi sulla
liturgia del tempo (v. l’Historia Ecclesiastica di Eusebio).

_________Note Personali di Studio_______________________________________________


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06/11/2000 - Lettura Liturgica dei Padri - 3a. Lezione, Prof. Ephrem Carr osb.

Circa, gli scritti degli Apologisti si può dire che essi rispecchiano l’incontro del cristianesimo
con il mondo pagano e con il giudaismo. Infatti, il cristianesimo nel suo primo espandersi, urta,
come organizzazione religiosa, contro lo stato pagano, come religione monoteista, contro il
politeismo, come religione del Messia, contro il giudaismo, come verità rivelata, contro la
filosofia pagana.
Lo stato pagano reagisce scatenando dure persecuzioni ed accusando i cristiani, attraverso il
popolo, di cannibalismo, incesto, ateismo. I dotti cercarono di mettere in ridicolo o di
smantellare le credenze dei cristiani. Tra le testimonianze più accreditate abbiamo quella di
Luciano il quale, intorno al 170, assale i cristiani con l’arma dell’ironia e del sarcasmo nel suo
De morte Peregrini, ma le sue affermazioni sono una bella testimonianza dell’amore che univa i
cristiani della forza della loro organizzazione.
Un altro avversario del cristianesimo fu proprio il giudaismo il quale non ammetteva che i
giudei si convertissero al cristianesimo tradendo la religione madre. Grazie anche alle denunce
alle autorità pagane, come fa anche notare S. Giustino, dei Giudei contro i cristiani incoraggiò le
persecuzioni.
Gli apologisti si prefiggono un triplice compito:
1) Confutare le accuse, cioè sia i delitti legali e sia quelle infamanti che giravano tra il
popolo.
2) Contrattaccare la religione e la filosofia pagana, per giustificare il rifiuto dei cristiani di
aderire alla religione e al pensiero pagano, ritenuti immorali.
3) Esporre la dottrina cristiana, per dimostrare che solo i cristiani possiedono la verità.

Gli apologisti sono coloro che, convertiti al cristianesimo, non solo vogliono dimostrare la
superiorità della dottrina cristiana, ma vogliono rendere gli altri partecipi della loro personale
esperienza di conversione e di adesione al cristianesimo. I loro scritti sono pieni di vita e di
entusiasmo, sovente sono scritti di battaglia.
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 16

La dottrina teologica degli apologisti si fonda sul fatto che i Padri Apologisti, come i Padri
Apostolici, sono testimoni della tradizione (es., vedi le pagine di S. Giustino sul battesimo e
sull’Eucaristia). In essi è presente il concetto di ispirazione della Sacra Scrittura, nonché quello
di Dio e Trinità, cioè quello di Dio trascendente (ma assolutamente separato dal mondo secondo
anche il concetto neoplatonico), presente nella storia dell’uomo attraverso il Verbo. Sia
Atenagora che Taziano sono i primi che usano il concetto di Lógos endiáthetos e Lógos
prophorikós. Ma come esiste il Verbo nel Padre? Come una dynamis, come un Lógos
endiáthetos (ragione immanente). Ammettono anche l’esistenza degli angeli e dei demoni, come
pure sviluppano una chiara escatologia, come la ricompensa o il castigo dopo la morte e come il
tema della risurrezione della carne.
In conclusione l’atteggiamento degli apologisti di fronte alla filosofia e alla cultura pagana è
piuttosto complesso, dove è evidente una certa tensione dialettica di amore e odio che li porta da
una parte ad accettare il patrimonio della paideia greca nel suo complesso - soprattutto nella sua
componente retorica - e per l’altro verso a prendere però le distanze di fronte a qualunque
cedimento possibile circa il dato rivelato nella Bibbia e la santità morale della vita.

Circa la vita di San Giustino martire, invece si può dire che egli emerge tra i Padri del II
secolo come il più importante apologista greco e tra le più affascinanti e significative personalità
del cristianesimo antico: egli stesso si presenta come il figlio di Prisco. Nacque intorno al 100
d.C., probabilmente da dei coloni di origine latina. Frequentò le diverse scuole filosofiche (i
peripatetici, gli stoici, i pitagorici), ma rimase deluso. Approderà per un certo tempo al
platonismo, ma grazie ad un episodio singolare (l’incontro con un personaggio strano, un
vegliardo) entrerà in crisi e scoprirà la “vera filosofia”, cioè la via che conduce a Dio, dopo aver
scoperto che l’anima da sola non è in grado di soddisfare la sua aspirazione al divino. Questa
“vera filosofia” la scoprirà nelle Sacre Scritture. Il vegliardo lo esorta alla preghiera, perché a
lui si aprano le porte della luce: infatti la comprensione dei libri sacri è dono concesso da Dio.
Così egli si convertirà al cristianesimo intorno al 130, forse ad Efeso, luogo in cui, secondo S.
Eusebio, si sarebbe svolto il dialogo con Trifone. Divenuto cristiano si impegnò con ardore a
difendere la fede cristiana e divulgarla come la vera ed unica filosofia. Nel 140, giunto a Roma,
fondò una scuola, durante il regno di Antonino Pio (138-161) per coloro che si volevano iniziare
al cristianesimo. Fu, per la sua opera indefessa di diffusione della fede cristiana, arrestato,
condannato dal prefetto Giunio Rustico e decapitato intorno al 165 d.C. Uno dei discepoli fu
proprio Taziano, futuro apologista, mentre uno degli avversari fu proprio il filosofo cinico
Crescente.
Circa le opere, secondo anche S. Eusebio, lasciò un grandissimo numero di scritti che
rivelano la sua cultura ed il suo zelo per le cose divine e che sono di grande utilità in ogni
campo. Purtroppo a noi ci sono soltanto pervenute la Prima Apologia (intorno al 150-155), la
Seconda Apologia (intorno al 160) e il Dialogo con Trifone [vedi il Bosio pp. 163-166].

L'apologia di Giustino è formata da due apologie: il loro genere letterario è da considerarsi


nell'insieme del movimento apologetico del II secolo, iniziando da un certo Quadrato (verso il
125). I cosiddetti apologisti greci del II secolo (Quadrato, Aristide, Giustino, Atenagora, Teofilo
di Antiochia, ecc.) e del mondo latino (Tertulliano e Minucio Felice) dovevano da una parte
difendere l’esistenza della comunità cristiana contro il comportamento della società civile.
Quindi, L'apologia era quasi un documento legale di appello alle autorità statali per le ingiustizie
subite e, nella sua natura, difendeva i cristiani dalle accuse di gravi crimini, fatte dai pagani (v.
l’accusa di ateismo e di antropofagismo, ecc.). D'altra parte gli apologisti sentivano il desiderio
di promuovere una propaganda missionaria, che arrivasse anche nei ceti più alti della Società di
allora. A questo proposito essi rifiutavano le opinioni e le posizioni politico-religiose dei pagani,
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ma dall’altro lato esponevano le ragioni positive per un’affermazione della religione cristiana.
L'apologia aveva come scopo anche quello di spiegare ai cristiani stessi la realtà del cristianesimo
nella mentalità e nella cultura ellenistica, ben sapendo che il cristianesimo era nato nell’ambiente
semitico e non in quello pagano. Ciò comportò anche un adattamento della spiegazione del
cristianesimo a quella che non era più la realtà giudea, ma solo l’ellenismo che si era diffuso a
partire già dal III secolo a.C.
L’apologia di Giustino viene considerata come difesa davanti al pubblico non cristiano, ma
non manca del carattere di missionarietà, per il quale, il contenuto dell’apologia è rivolto a tutti
sia ai cristiani, sia ai pagani per la loro conversione.
Per capire meglio il significato della apologia di Giustino, dobbiamo avere presente la sua vita
e dobbiamo soprattutto porre l'attenzione su due fatti:
1) il valore biografico dei primi capitoli nel Dialogo con Trifone (dove Giustino descrive
il suo passaggio dal paganesimo al cristianesimo come vera filosofia);
2) la ricerca della verità tramite le diverse filosofie (stoicismo, aristotelismo, pitagorismo,
sino ad arrivare alla filosofia medio-platonica del suo tempo).
Secondo questi due punti si può dire che Giustino considera e riconosce la vera e più antica
filosofia la religione cristiana. Giustino ha visto nel Cristianesimo la continuità della realtà
giudaica. Le sue considerazioni sono di natura biblica, teologica e filosofica. Un buon esempio è
la sua dottrina del Logos: in sostanza, egli presenta un dialogo tra Logos nella cultura della
filosofia greca (ragione parola e intelletto) e il discorso della Bibbia (v. la creazione; v. il logos,
principio della creazione, v. Gv1,1ss.). E' un dialogo tra la filosofia greca e la Bibbia. E' un modo
di unire il pensiero biblico a quello ellenistico, soprattutto quello filosofico.

I capp., che vedremo in questa sede , sono il 61, il 65, il 66, il 67, dove c'è la descrizione del
culto cristiano, in contrasto alle opinioni false della sua epoca. Essi si trovano nel contesto
centrale della sua apologia. Il contesto immediato che si sviluppa nei 68 capp. della Apologia,
trova nei primi tre capitoli sono un’introduzione, mentre nel cap. 4 si trova una confutazione
delle accuse fatte ai cristiana ed una difesa dalle medesime. Dal cap. 13 al cap. 60 Giustino
riporta la giustificazione della religione cristiana, soprattutto della condotta di vita del cristiano
che risulta migliore rispetto a quella dei pagani. L’autore, tra l’altro, insiste molto sul
fondamento storico del cristianesimo, a partire dal contesto del profetismo cristiano come
preparazione e dalla stessa religione cristiana come attuazione delle Verità annunciate, mediante
la quale si snoda tutto il discorso del culto cristiano e della via della verità.
Come è già stato detto, la seconda apologia è un'appendice della prima apologia: essa dà una
spiegazione della vera causa delle persecuzioni mosse contro i cristiani. La Prima Apologia
agisce in un contesto positivo perché, come si è già detto, descrive il culto cristiano.
Dopo aver parlato dei miti pagani, i demoni (dei del paganesimo), come l’autore li ama
definire, illustra il concetto di “consacrazione” dei cristiani, della preparazione dei candidati al
battesimo, la preparazione – in forma immediata – sotto le forme delle preghiere comunitarie e
del digiuno. Infine parlando del rito battesimale, spiega, poi, il significato e lo svolgimento del
medesimo, presentando il Battesimo come rigenerazione, come perdono di peccati e come
illuminazione. In questo senso, si può notare uno sviluppo teologico del Battesimo promosso da
Giustino.
Nei Capp. 62-64, questa spiegazione viene approfondita mediante un confronto dettagliato
tra i riti cristiani e quelli pagani (v. il culto di Mitra), visti come imitazione demoniaca del rito
cristiano. Il cap. 65 continua la descrizione del rito battesimale, e dell’iniziazione cristiana, con la
spiegazione del secondo momento del rito, quando i neo-battezzati entrano nel luogo di culto
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della comunità, nonché entrano a far parte della comunità stessa. Giustino parla anche
dell'Eucaristia e della Comunione.

Iniziamo, dunque, dal cap. 61:

61.1 61.1 In qual modo rinnovati da Cristo ci


 siamo consacrati a Dio, esporremo affinché

 non sembri che tralasciando ciò, noi nella
esposizione siamo in errore.
61.2 61.2 A quanti si siano convertiti e credano
 alla verità degli insegnamenti da noi esposti,

 e promettano di saper vivere così, viene
 insegnato a pregare e a chiedere con digiuni
 a Dio la remissione dei peccati, mentre noi
preghiamo e digiuniamo con loro.
61.3  61.3 Quindi sono da noi condotti dove è
 l’acqua e nello stesso modo di

 rigenerazione, col quale noi medesimi
 fummo rigenerati, sono rigenerati giacché
 nel nome di Dio Padre e Signore

dell’universo e del Salvatore nostro Gesù
Cristo e lo Spirito Santo, compiono il
lavacro dell’acqua.
61.4  61.4 E infatti Cristo disse: Se non sarete
 rigenerati, non entrerete nel regno dei cieli.

61.5  61.5 Che sia impossibile che quelli che una
 volta nati entrino nel seno delle madri è

chiaro a tutti.
61.6 61.6 E dal profeta Isaia, come sopra
 abbiamo scritto, è stato detto in quale

maniera eviteranno i peccati quelli che li
commisero e se ne pentano.
  61.7 Fu detto così: Lavatevi, fatevi togliere

 il male dalle anime vostre, imparate a fare il
  bene, difendete l’orfano e rendete giustizia
 alla vedova, e venite qua e facciamo i conti,
 dice il Signore; e se (i vostri peccati) fossero
 
come scarlatto li schiarirò come lana; e se
fossero come neri, li sbiancherò come neve.
61.8 61.8 Ma se non mi ascoltate, una spada vi
 divorerà; infatti così la bocca del Signore ha
parlato.
61.9 61.9 Ed è questa la dottrina su questo
 argomento abbiamo imparato dagli Apostoli.
 61.10 Poiché nella nostra prima nascita

siamo stati generati, senza averne coscienza,
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 19

 né poterne fare a meno, da umido seme, per



 il mutuo rapporto d’unione dei genitori e
 siamo stati procreati in una natura perversa e
 con inclinazioni malvagie, per non rimanere
 però figli di necessità o d’incoscienza, ma di

 elezione e di scienza, e otteniamo la
 remissione dei peccati prima commessi, per
 colui che ha deliberato di rigenerarsi e s’è
pentito dei peccati s’invoca nell’acqua il
nome di Dio Padre e Signore di tutte le cose.
Chi porta il battezzando al lavacro pronunzia
questo solo nome.
61.11 61.11 Infatti, nessuno è in grado di dare un
 nome al Dio inesprimibile; e se qualcuno

osasse dire che vi sia, sarebbe preso da
incurabile pazzia.
61.12 61.12 Ma questo bagno è detto «illuminazio-
 ne» in quanto illumina la mente di coloro

che hanno imparato a conoscerlo.
61.13 61.13 E nel nome di Gesù Cristo, crocifisso
 sotto Ponzio Pilato, e nel nome dello Spirito

 Santo, il quale per mezzo dei profeti
 predisse tutte le cose che riguardano Gesù, è
lavato chi è illuminato.

Il verbo principale è "exegesometa", dove si indica la realtà della consacrazione di chi si fa


cristiano. La parola utilizzata per indicare la consacrazione comporta il paragone tra il rito
cristiano e quello pagano. Come cristiani si è fatti nuovi da Gesù così da essere a Dio consacrati.
Si è, dunque, nuova creazione. Si ha qui un tipo di Mistagogia. Il verbo anetitemi è una forma
medio riflessiva dell’aoristo ed indica di mettere qualcosa verso l’alto: dà l’idea di
consacrazione, ma tale concetto non è presente nel NT. Nel nostro contesto si trova sotto la
forma riflessiva: "mettersi" (dal greco ): è un concetto che proverrebbe dal
paganesimo, dove è presente l’idea di consacrare gli altari e le statue del paganesimo. In questo
modo pone un confronto tra la realtà pagana e quella cristiana, ponendo la forma riflessiva
( ). Ma cosa vuol dire essere cristiano? Vuol dire dedicarsi totalmente
a Dio. Ma per essere tali occorre diventare . Anche questo termine non è presente
nel NT, ma è presente già nell’ambiente cristiano come concetto. Giustino usa dei termini che
provengono dalla religioni misteriche, soprattutto per quanto riguarda un verbo.
Quali sono le tappe di questo processo che comporta la consacrazione? Nel NT abbiamo due
elementi: convertitevi e credete al Vangelo. In Giustino vi è l'espressione “siamo persuasi” che
categoria intellettuale e non è una semplice categoria affettiva. Se nel NT credere è credere in
Cristo, nella prima apologia vuol dire considerare e credere alle cose che sono state già
insegnate. C'è un'espressione di fede molto forte, ma che non si basa sulla relazione: ciò è tipico
del mondo greco. Ciò comporta una fiducia in Dio, un abbandono totale a Lui e ci introduce al
confronto tra il concetto di fede nell’AT e nel NT e quello presente nel mondo ellenistico, che –
invece – insiste con la categoria intellettuale.
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 20

Per Giustino la filosofia cerca la verità: è la verità dell'insegnamento della fede, cioè la
religione cristiana. Giustino parla anche della promessa che si può vivere secondo la verità per
spiegare la realtà del catecumenato. Viene a svilupparsi in questo caso una vera e propria
catechesi di ordine teologico-morale e dogmatico, a differenza della Didaché che è di sola
natura morale. Di questa promessa non c’è alcuna traccia prima di Giustino, nel mondo cristiano.
Il catecumenato comporta la piena convinzione della propria fede cristiana.
Per Giustino si impara a pregare e a chiedere al Signore, secondo la remissione dei peccati.
Ciò comporta la preghiera e il digiuno per prepararsi a pregare anche comunitariamente. Ciò
comporta la preparazione immediata al battesimo: a questa azione di preparazione è tutta la
Chiesa che si prepara, insieme ai battezzandi. Tutta la Chiesa è partecipe di questo evento
battesimale che darà luogo al tempo liturgico della Quaresima. C’è, qui, un senso molto positivo,
nel senso che c’è un momento di preparazione di tutta la Chiesa. Questo momento è di aiuto per
i catecumeni chiamati a ricevere il Battesimo.
Per il fatto che i cristiani sono condotti dove c'è l'acqua, indica a Roma la presenza di molta
acqua. Qui manca, però, la categoria giudaica di "acqua viva". In Giustino c'è anche l'idea di
rigenerazione (nascere una seconda volta). E' interessante il vocabolario greco che troviamo nel
§ 3: (anaghennà - anaghennesis) che si trova soltanto nella 1Pt : è un termine già
noto alla cultura ellenistica, dove non è estraneo il concetto di “rinascita”. Anche qui abbiamo
elementi di una tradizione già esistente che dimostra una struttura ecclesiale già presente da
tempo. C’è, quindi una tradizione della struttura del Battesimo: una cosa simile si trova anche
nella Didaché.
L'altro elemento della rinascita è il nome di Cristo nel quale avviene il battesimo: ciò segna
l'inizio del credo battesimale. C'è il richiamo al lavacro dell'acqua: l'acqua non è solo per
rigenerare ma è anche per lavare. Siamo all’inizio dello sviluppo dei credi battesimali.
Il lavacro per i catecumeni è accompagnato dall'invocazione trinitaria. Giustino passerà a dare
alcune giustificazioni richiamandosi a Gv 3,3-5 (dove si parla dell’incontro di Gesù con
Nicodemo). Cristo ci invita a rigenerarci nell’acqua e nello spirito. Successivamente Giustino
cita la profezia di Isaia (Is 1,16-20): il lavacro è anche per togliere il male dalle nostre anime e
per imparare a fare il bene. C'è dunque una giustificazione dell'AT (lavare le colpe) e del NT
(remissione dei peccati). L'autore cita questi passi per dimostrare le veridicità della dottrina degli
Apostoli. Giustino fa anche un paragone tra la nostra prima nascita (v. la realtà dei pagani) e la
seconda nascita suggellata della remissione dei peccati. Per tale ragione c'è l'invocazione
sull'acqua per la remissione dei peccati. Essa avviene nel nome del Signore Padrone (despota) di
tutte le cose: Giustino usa queste espressioni per dire che a Dio non si può dare alcun nome. Se
qualcuno tentasse di dare un nome a Dio, sarebbe un pazzo senza rimedio. Qui Giustino usa
un'espressione forte per indicare il pericolo dell'apostasia.
Un altro elemento teologico è l'uso del t. fotismos (illuminazione): nella Sacra Scrittura lo
troviamo, ma indica il Battesimo come illuminazione; è un fatto nuovo, anche se il t. fotismos è
presente già in altre religioni ed è presente nella terminologia teologica e liturgica greca, ancora
oggi. Il NT non parla dell'illuminazione dell'intelletto, ma della conoscenza delle cose. Questa
terminologia era già presente nelle religioni misteriche. Ancora oggi, nella Chiesa greca il
battezzato è chiamato fotizomenos, cioè illuminato nella mente e nel cuore. Ciò indica una certa
enfasi che è tipica del mondo greco. Una cosa simile la troviamo nel rito dell’iniziazione cristiana
degli adulti. Giustino richiamandosi a ciò passa a parlare della fede in Cristo Gesù per mezzo
dello Spirito Santo che parla al cuore dell'uomo e ha preannunziato tramite i profeti tutte le cose
che riguardano il Figlio di Dio.
Giustino prosegue, poi, con la descrizione del rito e promuove anche uno sviluppo teologico
del Battesimo, secondo tre fasi: rigenerazione, lavacro e illuminazione. Ciò comporta l’inizio
della nostra teologia.
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Proseguiamo adesso con il cap. 65:


La celebrazione eucaristica per i neobattezzati.
65.1 65.1 Dopo aver così lavato (col Battesimo)
 chi crede e ha aderito, lo conduciamo tra

 quelli che si chiamano fratelli, dove essi
 sono radunati, per fare con fervore preghiere
 comuni per noi stessi e per l’illuminato e per

 tutti gli altri in qualunque luogo siano,
affinché meritiamo, dopo aver appreso la
verità, di diventare attraverso le opere buoni
cittadini e osservanti dei comandamenti, al
fine di conseguire l’eterna salvezza.
65.2 65.2 Cessate le preghiere, ci abbracciamo
 con scambievole bacio.
65.3 65.3 Quindi viene recato a chi presiede
 all’assemblea dei fratelli, del pane e una

 coppa di vino con acqua, ed egli nel
 prenderli, innalza lode e gloria al Padre
 dell’universo per il nome del Figlio e dello

 Spirito Santo, facendo poi una lunga
 preghiera di ringraziamento a Dio, che si è
degnato di concedere questi doni. Quando
egli ha terminato le preghiere e il
rendimento di grazie, tutto il popolo
presente acclama dicendo «Amen».
65.4 65.5 Amen in lingua ebraica vuol dire “così
 sia”.
65.5 65.5 Quando il presidente ha reso grazie e
 tutto il popolo ha acclamato, quelli che noi

 chiamiamo diaconi, fanno partecipe ciascu-
 no dei presenti del pane, del vino e
dell’acqua su cui è stata compiuta l’azione
di grazie, ed essi li portano agli assenti.

Nel cap. 65 Giustino prosegue nel discorso sul battesimo e nella descrizione del rito: ritorna
all’introduzione del cap. 61 e richiama nuovamente al concetto di adesione, di convincimento del
neo battezzato che ha acconsentito al suo battesimo, per ribadire l'idea di promessa. Quelli che si
chiamano fratelli indicano un modo di essere e di parlare. Nel difendere i cristiani dall’accusa di
orge sessuali, Giustino ci fa notare come nel mondo greco-romano i vocaboli “fratello” e
“sorella” avessero un significato molto diverso: secondo la mentalità pagana, dire “fratello” o
“sorella” vuol dire indirizzare il proprio amore fisico verso il marito o verso la moglie, mentre
nel mondo cristiano richiama al concetto di agapè fraterna. Si tratta di coloro che sono uniti da
un’unica Fede e, Figli di un unico Padre, sono fratelli e sorelle. In questo senso, Giustino rileva,
dunque, la falsità delle accuse fatte ai cristiani.
Si verifica, così, il passaggio dal luogo del battesimo a quello dove i fratelli sono riuniti. E' un
fatto importante seguito dall'offerta delle preghiere comuni, cioè le preghiere dei fedeli, fatte con
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gioia e con fervore. Giustino raccomanda anche la preghiera per colui che è stato battezzato, ma
anche per le proprie necessità personali e degli altri. Si tratta della preghiera universale. Tutto
questo deve avvenire affinché si divenga degni di Cristo nella Verità accolta e vissuta. C'è un
invito a diventare buoni cittadini tramite le buone opere. Questa idea di essere cristiani come
“cittadini” () è un concetto molto importante per l'Impero Romano, giacché la polis è il
cuore della vita civile di tutti i giorni. I buoni cittadini sono quelli che osservano i comandamenti
che portano alla salvezza come realtà eterna.
Giustino descrive, poi, la pausa delle preghiere contraddistinto dal saluto del bacio: si tratta di
un bacio di fraternità (v. il t. filos). Questa usanza è tipica delle liturgie Orientali ed indica
l'essere veramente in pace con gli altri. Ciò avviene dopo la preghiera dei fedeli, ma si differenzia
dalla liturgia romana che con Papa Gregorio I, ha abbandonato questa tradizione ed ha posto il
saluto fraterno prima della comunione: è il saluto della pace. Liturgicamente parlando, questa
variazione non è molto appropriata perché tale saluto andrebbe posto – come all’origine
avveniva – prima delle offerte all’altare (dopo la preghiera dei fedeli): il suo significato sta nel
fatto che non si può celebrare l’Eucaristia se i fratelli vivono in discordia.
Successivamente Giustino descrive i preparativi della preparazione per la celebrazione
eucaristica. Egli parla del vino e dell'acqua, perché? Nell'antichità greco-romana chi beveva solo
il vino, veniva considerato un uomo ubriaco. Ciò si discosta molto dall’ambiente giudaico, dove
l’Eucaristia ha visto la sua nascita. Così la Chiesa, per un motivo culturale, ha iniziato a
mescolare il vino con l'acqua. Solo la Chiesa armena ha conservato la tradizione del solo vino.
Il presidente nella preghiera eucaristica inizia con la lode e la glorificazione innalzando la
coppa del vino ed il pane, ponendoli in alto, in segno di offerta. Il primo elemento di questa
preghiera è proprio la lode e la glorificazione tramite il Figlio e dello Spirito Santo. Si tratta di
un’enfasi della lode trinitaria. Un altro elemento della prece eucaristica è proprio il ringrazia-
mento per essere resi degni delle cose di Dio. E' una preghiera non breve, che – nel corso del
tempo – è stata semplificata e modificata, a partire già da Papa Gelasio.
Continuando a leggere il testo, però, non sembra una sola preghiera, ma diverse preghiere per
le quali tutto il popolo è reso partecipe della celebrazione eucaristica, caratterizzata
dall'acclamazione che era già presente nel mondo greco-romano. E’ interessante notare come
Giustino rilevi l’espressione “Amen” come un’acclamazione, giacché fa rilevare la sua origine
ebraica, il cui significato è “così sia”. Al termine della celebrazione eucaristica, coloro che sono
chiamati, i diaconi, distribuiscono ai presenti l'eucaristia (pane, vino e acqua), ma anche a coloro
che non sono presenti.

La Comunione del corpo e del sangue di Cristo.


66.1 66.1 E questo alimento noi lo chiamiamo
 «Eucaristia» e non è dato parteciparne se

 non a chi crede vera la nostra dottrina ed è
 stato lavato per la remissione dei peccati e
 per un bagno di rigenerazione, per vivere
così come Cristo ha insegnato a fare.
66.2 66.2 Poiché noi non lo prendiamo come un
 pane comune ed una comune bevanda, ma

 secondo abbiamo appreso dal nostro
 Salvatore Gesù Cristo, incarnatosi in virtù
 del Verbo di Dio. L’alimento sul quale fu

94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 23

 compiuta l’azione di grazie e di cui si


nutrono il nostro sangue e le nostre carni,
per virtù dell’orazione di grazie sono
trasformati nella carne e nel sangue del
medesimo Gesù incarnato per la nostra
salvezza.
66.3 66.3 Gli Apostoli infatti nelle loro Memorie
 dette “Evangeli” proprio questo tramanda-

  rono; che Gesù lasciò loro questo comando,
  prese il pane, rese grazie e disse loro: «Fate
 questo in memoria di me. Questo è il mio
  
 corpo»; poi preso similmente il calice, rese
grazie e disse: «Questo è il mio sangue».
Solo essi rese partecipi.
66.4 66.4 Per imitazione i malvagi demoni ne
 fecero partecipi i seguaci dei misteri di

 Mitra: infatti anch’essi pongono innanzi del
 pane e un calice d’acqua nei riti d’inizia-
zione, pronunziando nel contempo delle
formule, come sapete o potete apprendere.

Nel cap. 66 Giustino continua a spiegare l'Eucaristia nell'orizzonte del mistero


dell'Incarnazione. Giustino porta il paragone tra il pane e l’acqua che diventano carne e sangue
di Cristo e l’incarnazione medesima: il pane ed il vino, in un certo senso, diventano la garanzia
vera e propria dell’Incarnazione. Parla anche delle imitazioni da parte della religione pagana dei
riti cristiani (v. ad es., il culto di Mitra).
Giustino parla anche della religione cristiana, come la vera via alla Verità, come oggetto
autentico della filosofia. Riprende, tra l’altro, il discorso della remissione dei peccati. Troviamo
in questo capitolo un concetto molto importante: si tratta della “memoria degli Apostoli” che
suggella la tradizione della Chiesa sulla celebrazione eucaristica e garantisce la successione
apostolica, insieme all’autenticità delle parole e dei gesti consacratori del pane e del vino,
mediante la paradosi.

Proseguiamo, ora, con il cap. 67:


L’assemblea eucaristica della domenica, giorno chiamato «del Sole».
67.1 67.1 Di questo nelle nostre assemblee
 rinnoviamo la memoria da allora in poi. Così

 chi ha soccorre chiunque ne abbia bisogno, e
siamo sempre uniti gli uni verso gli altri.
67.2 67.2 In tutte le offerte che facciamo,
 benediciamo il Creatore dell’universo per

mezzo del Figlio suo Gesù Cristo e per
mezzo dello Spirito Santo.
67.3 67.3 Nel giorno poi chiamato «del Sole»,
 tanto quelli che abitano in città, come quelli

 che abitano in campagna, si adunano in una
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 24

 stessa assemblea, dove si leggono finché il


tempo lo permette, le “Memorie degli
Apostoli” e gli altri scritti dei porfeti.
67.4 67.4 Quando il lettore ha terminato, il
 presidente fa un discorso di ammonizione e

di esortazione a tradurre in imitazione di vita
la santità di questi misteri.
67.5 67.5 Quindi tutti ci alziamo in piedi ed
 eleviamo preghiere, e, come abbiamo detto,

 cessata la preghiera, si porta ad altri il pane,
 il vino e l’acqua: il presidente, nel confine
 del suo potere, alla stessa maniera eleva

 preghiere e rendimento di grazie, e il popolo
acclama dicendo “Amen”. La distribuzione e
la partecipazione all’eucaristia raggiunge
ciascuno in quanto la si manda, per mezzo
dei diaconi, ai non presenti.
67.6 67.6 Chi è ricco e anche volenteroso, cia-
 scuno liberamente dà ciò che vuole; ciò che

 si raccoglie, viene consegnato al presidente,
 il quale se ne serve per soccorrere sia gli
 orfani che le vedove, sia gli ammalati che

 quelli altrimenti bisognosi, sia i carcerati che
i forestieri di passaggio: per dirla in breve
egli si prende cura di tutti coloro che si
trovano nel bisogno.
67.7 67.7 Ci raduniamo in assemblea il giorno del
 Sole, perché è il primo giorno. Allora infatti

 il Padre creò il mondo, a partire dalle
 tenebre e dalla materia; nello stesso giorno
 anche il nostro Signore Gesù Cristo risuscitò

 dai morti. Di fatto lo crocifissero prima del
 giorno di «Saturno» e apparve agli Apostoli
 e discepoli l’indomani del giorno di Saturno,
cioè il giorno del Sole, insegnando loro le
dottrine che abbiamo sottoposte anche al
vostro esame.

Il Cap. 67 dà una descrizione e spiegazione del giorno di Domenica chiamato anche il giorno
del Sole. La stessa vita cristiana si snoda a questo giorno santo, nel quale si celebra la
Risurrezione del Signore. Circa la celebrazione dell’Eucaristia nel giorno “del Sole”, ci sono
diversi elementi:
1) lettura degli scritti profetici e delle memorie degli Apostoli (non c’è ancora il
lezionario);
2) il discorso sul Logos (ha già il senso di omelia, come discorso organizzato);
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 25

Giustino da delle ammonizioni vere e proprie di natura spirituale, ribadisce il valore della
celebrazione dell’Eucaristia ed esprime un invito forte all'imitazione di Cristo. Si tratta di una
vera e propria omelia.
In questo capitolo si nota, dunque, già una struttura della liturgia domenicale attuale, giacché
l’autore parla delle offerte per le persone più bisognose, oltre che della preghiera universale (la
preghiera dei fedeli). Dunque, si può così individuare la struttura della celebrazione domenicale –
già al tempo di Giustino – in questo modo:
a) Liturgia della Parola;
b) L’Omelia;
c) Liturgia delle Offerte;
d) Liturgia Eucaristica
e) Comunione;
f) Conclusione e congedo.
Da tale schema si può comprendere come già a quel tempo ci fosse una struttura già fissata e
a noi familiare.

__________Note Personali di Studio______________________________________________

13/11/2000 - Lettura Liturgica dei Padri - 4a. Lezione, Prof. Ephrem Carr osb.

Circa Giustino, concludendo il par. 67, si parla della Domenica come il "giorno del Sole":
si tratta della liturgia domenicale, dove è presente la Liturgia della Parola, costituita dai Libri
profetici, dalla memoria degli Apostoli. A quel tempo non c'era ancora il Lezionario. La Chiesa fa
adunanza in un determinato luogo. Si hanno due momenti della Liturgia: la Parola e l’Eucaristia.
Il sermone ha due elementi:
1) l'ammonimento;
2) l'incoraggiamento.
E' importante l'invito ad alzarsi dopo la predica perché indica un particolare modo di pregare.
La descrizione di queste preghiere universali, richiama profondamente al sensu ecclesiae. C'è
un'azione di preghiera anche di ringraziamento. Non è di meno la figura del Presidente, che
presiede alla carità, che secondo la sua capacità innalza la preghiera eucaristica, mentre il popolo
dopo acclama come espressione di assenso.
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 26

Come si è già visto, dopo il Battesimo viene distribuita la Comunione, anche ai non presenti,
mediante il diacono. Coloro che sono benestanti, devono fare parte comune con coloro che non
hanno: essi danno secondo il proprio piacere, mentre il Presidente dell'Assemblea liturgica si
prende cura di tutti quelli che hanno bisogno.
Dopo segue la liturgia della domenica che è:
a) una commemorazione della creazione (Dio avendo cambiato le tenebre in luce, ha
creato il mondo ordinato, cioè il Kosmos);
b) Gesù Cristo è morto e Risorto. Egli è il nostro Salvatore. Giustino dà un senso pasquale
della domenica come giorno in cui si festeggia la Resurrezione di Cristo.

Ireneo di Lione
OSTENSIO APOSTOLICAE PRAEDICATIONIS

All’origine aveva il titolo: Esposizione della dottrina degli Apostoli. Fra le opere numerose di
Ireneo, a parte qualche testimonianza da parte di S. Eusebio di Cesarea e qualche frammento di
epistole, quasi certamente due opere ci sono state trasmesse. Si tratta dei cinque libri
dell’Adversus Haereses e l’Epidexis. Mentre possediamo i cinque libri della prima opera citata,
in una versione latina antica, mentre la Demonstratio catholica (epidexis) ci è pervenuta solo
nella versione armena. Fu scoperta solo nel 1904 e fu tradotta in lingue moderne. La prima
pubblicazione in armeno data, per la prima volta, almeno nel 1907. L’originale non lo
possediamo: per la difficoltà della lingua il testo rimane di difficile interpretazione. Un certo
aiuto lo troviamo nella versione moderna dell'Adversus Haereses che si trova nelle Schr., nella
quale i diversi studiosi hanno cercato di ricostituire il testo greco delle parti conservate in latino
e dei diversi frammenti in armeno. Con l’aiuto del greco ristabilito, insieme dei frammenti
armeni, c’è la possibilità di farci un’idea del testo dell’Epidexis nella sua origine.
Il testo in nostro possesso, dà una versione latina del testo armeno: si tratta una versione
latina molto letterale (v. Schr n. 406 del 1995: ha una buona introduzione con un numero alto di
note). Non mancano le versioni moderne in italiano, in francese, tedesco inglese e spagnolo. Non
c'è nessun dubbio che l'Epidexis sia di Ireneo, che Eusebio gli ha già attribuito nella sua Historia
Ecclesiastica.
Guardando alla sua vita si può dire che è il più importante tra i teologi del II secolo e, in un
certo senso, il «padre della dogmatica cristiana». Oriundo dell’Asia Minore, era stato in gioventù
discepolo di S. Policarpo martire (Eus., Stor. Eccl. 5,20,4sgg.). Di lui non si conosce l’anno
esatto della sua nascita, ma esso va probabilmente fra il 140 ed il 160. La sua città natale è senza
dubbio Smirne. Ai tempi dell’imperatore Marco Aurelio era prete a Lione; venne inviato a Roma,
presso Eleuterio, dai confessori di quella diocesi per avere chiarimenti sulla controversia con i
Montanisti. Divenne poi successore del vescovo e martire Fotino di Lione, nel 177/78. Ireneo
condusse una strenue lotta contro la falsa gnosi. Quando papa Vittore I lanciò la scomunica
contro le Chiese dell’Asia Minore, sulla questione della Pasqua, Ireneo esortò il papa ed i
vescovi interessati alla pace. Null’altro di certo si sa della sua vita; molto più tardi e solo con
Gregorio di Tours (Hist Franch. 1,27) si ha la notizia del suo martirio, avvenuto intorno al 202.
Poiché Eusebio non vi fa nessuna illusione, questa tardiva notizia sembra molto discutibile.
Secondo la testimonianza di Eusebio, Ireneo avrebbe avuto dei rapporti con Roma (a quel
tempo vi era Vittore I che era convinto della tradizione romana come modello assoluto della
tradizione liturgica). Dopo la morte di Ireneo (tra l'anno 220ss.), egli ebbe un influsso grande
nella teologia sia greca, sia latina, specialmente su Tertulliano e, tramite Tertulliano, su Cipriano.
Nel mondo greco ebbe un forte influsso nella teologia del grande Atanasio. Ireneo può essere
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 27

anche considerato come uno dei Padri della teologia moderna, a motivo della sua idea di
salvezza e di storia della salvezza2. Egli ebbe a che fare con gli gnostici3, tanto che il vero titolo
dell'Adv. Haer., si richiama ai veri gnostici che devono combattere l'eresia nella Chiesa. Il vero
titolo dell’Adv. Haer. è il modo di scoprire e sottoporre alla Chiesa il cosiddetto insegnamento
degli gnostici. Nell'Epidexis, non c'è una vena polemica, ma non manca neppure un indirizzo
antignostico (v. ad es. il cap. 99). Affrontando il problema dello gnosticismo, per Ireneo si deve
parlare della salvezza dell'uomo intero e della sua risurrezione, e non soltanto della sua realtà
spirituale. Con Ireneo la Bontà della creazione e la realtà dell'Incarnazione del Verbo 4, suggella
l'unità della salvezza. A questo scopo sono importanti le affermazioni dell’unità della Creazione e
della Redenzione. In sostanza c'è una visione globale della storia della salvezza, suggellata da
questa unità, ristabilita da Cristo e rimessa nelle mani del Padre.
A tutto questo corrisponde un metodo teologico, per il quale Ireneo cerca di dimostrare la
validità degli scritti dell'AT, che costituiscono il senso proprio della Scrittura Ispirata, il cui
autore è lo Spirito Santo. A questo proposito, Ireneo si indirizza ai Vangeli e agli scritti
apostolici e conferma le sue prove neotestamentarie per mezzo della dottrina e della Tradizione
Apostolica che include l’interpretazione cristologica della Bibbia.
L'Epidexis si sviluppa in base alle formule di fede: si tratta di una catechesi dottrinale. Si
presenta come ricordo delle verità principali, ovvero come esposizione della Regula Fidei che si
professa nel Battesimo. In essa non mancano considerazioni sui Sacramenti e sulla vita cristiana.
Questa catechesi dottrinale è soprattutto indirizzata a coloro che sono ancora catecumeni. Anche
se l'esposizione di detta opera ha un evidente carattere epistolare, in realtà è più un riassunto e
guida per la catechesi pre-battesimale, fondata sulla Regula Fidei, tramandata dagli anziani. Per
tale ragione è considerata da Ireneo parte integrante della Tradizione. Dunque, si può parlare di
un'esposizione del Credo battesimale con un uso ampio delle Sacre Scritture.
L'Epidexis è anche una chiara esposizione contro la dottrina gnostica, sulla creazione e
redenzione dell’uomo.
In quest'opera ci sono due aspetti:
a) ha uno scopo catechetico;
b) ha uno scopo apologetico.
La dimostrazione o esposizione è un primo esempio che abbiamo di una presentazione
catechetica della Storia della Salvezza, che diverrà importante nello sviluppo di nuove catechesi,
nei secoli successivi

2
La SOTERIOLOGIA si fonda sul fatto che ogni uomo che ha bisogno di redenzione, è capace di redenzione. La
redenzione operata da Cristo ha liberato l’uomo dalla schiavitù di Satana, dal peccato e dalla morte. Ritorna qui
il concetto di ricapitolazione. La conseguenza sarà che la redenzione dell’individuo è realizzata in nome di Cristo
dalla Chiesa e dai suoi sacramenti, in modo particolare il battesimo che rigenera l’uomo nuovo. L’E SCATOLOGIA è
legata alla ricapitolazione. Ireneo parla anche dell’anti Cristo come l’antiricapitolatore e si spinge fino a
dimostrare le proprie opinioni millenariste servendosi della sua teoria sulla restaurazione del mondo.
3
Ireneo smaschera il carattere pseudo-cristiano della gnosi e difende in modo efficace gli articoli di fede negati o
male interpretati dagli gnostici. Ireneo sviluppa il concetto di T RINITÀ, confutando principalmente la dottrina
gnostica, secondo la quale il Creatore del mondo sarebbe diverso da Dio. Ireneo esprime chiaramente il concetto
della circumincessio delle persone divine: «Il figlio è nel Padre e porta in sé il Padre». La storia dell’umanità per
Ireneo dimostra chiaramente l’esistenza del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e la loro pre-esistenza. Ireneo
non si stancò nel dire che lo Spirito Santo è al servizio del Logos e che riempì i profeti del crisma
dell’ispirazione.
4
C’è anche una CRISTOLOGIA, secondo la quale la redenzione deve essere reale e non soltanto una gnosi
comunicata, perché operata da Cristo come Uomo-Dio. Il nucleo centrale è la ricapitolazione, cioè una ripresa nel
Cristo della totalità dell’origine. Dio ricostituisce, per mezzo del Figlio, l’umanità come era all’origine prima del
Peccato Originale. Cristo è il secondo Adamo. L’uomo vecchio viene restaurato e diventa l’uomo nuovo. Il P.O. è
stato del tutto cancellato anche se rimane nell’uomo la sua forza negativa, cioè la concupiscenza.
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 28

Questa esposizione di Ireneo presenta una certa organicità che si inserisce nella tradizione
catechetica dei primi tempi. Essa, però, non è più di morale, ma è piuttosto una catechesi
battesimale, acramentale e teologica (nel senso dell’interpretazione della Scrittura).
La struttura dell’Epidexis appare semplice: Ireneo stesso esprime la sua intenzione di dare
una presentazione completa e breve. Infatti, l’Epidexis comprende:
1) un’introduzione - Ireneo spiega lo scopo del suo scritto. In sé è una lettera indirizzata ad
un fratello di nome Marciano
2) due sezioni principali:
a) la prima sezione (cc. 4-41) spiega le verità principali della fede battesimale. Esse
sono presentare nel quadro della storia della salvezza, cioè dall’Incarnazione alla
Redenzione;
b) la seconda sezione (cc. 42-97) è più una dimostrazione o esposizione della fede in
Cristo per mezzo delle prove riprese dall’AT ed utilizzate in grande parte nella
Tradizione anteriore.
3) una conclusione breve, composta dai cc. 98-100. Essa è un riassunto, dove sono
condannate le eresie e dove si trova, in modo marcato, il concetto di parusia.
Tale opera è poi composta da 100 capitoletti che si richiamano ad un certo simbolismo e sono
originati da un numero simbolico, il “100” che richiama alla parabola del Buon Seminatore: il
seme che trova un suolo buono, produce il centuplo.
La prima parte è più espositiva, mentre la seconda è più dimostrativa della verità della nostra
fede in Cristo Gesù. Infatti, Epidexis vuol dire tutte e due le cose e prende forza dal contesto
delle due parti.
L'Epidexis può essere considerata una testimonianza della tradizione catechetica del II secolo.
Essa fu scritta prima dell’Adv. Haer., quindi un po’ prima dell’anno 200 (Ireneo dopo essere
divenuto vescovo intorno al 178, scrisse l’Adv. Haer. Proprio intorno all’anno 200). Anche se
l’Epidexis è un'iniziazione alla dottrina cristiana è piuttosto indirizzata alla vita cristiana vissuta.
Da una parte l’Epidexis è orientata verso i tre articoli della fede, Padre, Figlio e Spirito Santo,
che un cristiano professa con il Battesimo, mentre dall’altra essa presenta la fede battesimale
come fondamento della vita stessa, secondo i Comandamenti di Dio. In questo ambiente Ireneo
ci fa capire che pure il culto cristiano, in special modo l’iniziazione cristiano-sacramentale è
sempre da mettere nell’ambito dell’unità del due Testamenti e della vita di Gesù e dei suoi
misteri. In questo quadro storico della Storia della Salvezza, si possono enumerare i seguenti
punti:
1) l'Eucaristia è un simbolo di unità della creazione e della redenzione;
2) la celebrazione del battesimo, che culmina nell’invocazione del nome trinitario,
richiede anche l'ortodossia del ministero del battesimo stesso (es., chi non crede nel
nome trinitario non può battezzare);
3) la vita nuova dell’uomo intero (corpo e anima) è la gloria di Dio, suggellata
dall’unione con lo Spirito Santo che dà nel battesimo la salvezza sia del corpo che
dell’anima (nell’Adv. Haer. nella versione latina del Libro IV, cap. 31, sotto-sezione IV
[numerazione alternativa: Libro IV, sezione 18, sotto-sezione V], si trova questa frase o
sentenza di Ireneo, citata anche da Giovanni Damasceno: «Il nostro pensiero invece è in
pieno accordo con l’Eucaristia e l’Eucaristia, a sua volta, conferma (sostiene) il nostro
pensiero». Si tratta della formulazione più antica del detto “Lex Orandi”, “Lex
Credendi”. Ciò è interessante nel contesto liturgico-teologico.

Passando, adesso, al testo direttamente, consideriamo la versione latina come comple-tamente


letterale. Ci troviamo nell’introduzione così disposta:
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 29

Ostensio Apostolicae Praedicationis ESPOSIZIONE DELLA DOTTRINA


APOSTOLICA
1. Sciens, dilecte mi Marciane, prompti- 1. Conosco, o mio diletto Marciano,
tudinem tuam circa pietatem-conversationis quanto tu sia disposto a camminare nella via
(qeosšbeia), quae et sola ad aeternam del servizio di Dio, che sola conduce l’uomo
vitam ducit hominem, et congratulor tibi et alla vita eterna; me ne rallegro e prego che,
vota facio ut intactam fìdem conservans custodendo intemeratamente la fede, tu
placeas (ei) qui fecita te Deo. Et utinam simul riesca gradito a Dio tuo Creatore. Volesse il
liceret semper esse nos et invicem utilitatem cielo che ci fosse possibile star insieme e
praestare (çfelšw) et adlevare (eam quae) giovarci l’un l’altro e alleviarci le
circa terrestrem vitam (est) occupatiorìeni per preoccupazioni di questa vita terrena per
adsiduam de utilibus communicationem- mezzo della continua comunanza di colloqui
collocutionis (Ðmil…a). Quoniam igitur in su utili argomenti! Ma ora, poiché in questo
praesenti tempore corporaliter procul sumus momento siamo col corpo lontani l’uno
ab invicem, sicut possibilitas est, per scriptum dall’altro, noi non abbiamo tardato a discor-
tecum pauca loqui non cunctati sumus et per rere un po’ con te, per quanto è possibile,
compendiosa (sÚntomoj) veritatis mediante lo scritto e a farti una breve
ostendere (špide…knumi) praedica-tionem esposizione della predicazione della verità
(k»rugma) ad confìrmandam tuam fidem. allo scopo di confermare la tua fede. Ti
Velut summarium (kefalaiwd»j) mandiamo questo compendio dei punti prin-
commentarium (ØpÒmnhma) mittimus cipali: molta materia in poco spazio, ma tu
tibi, ut per pauca multa sis nanciscens et verrai a conoscere in succinto tutte le
omnia membra corporis veritatis per modica membra del corpo della verità e riceverai in
intellegens et demonstrationes (¢pÒdeixij) breve le prove delle verità divine. Ciò
rerum (quae) a Deo (sunt) per compendiosa recherà frutto non solo alla tua salvezza, ma
(sÚntomoj) recipiens: sic enim et tuam potrai confondere tutti quelli che hanno idee
fructificabit (karpoforšw) salutem et errate, e a chi voglia conoscerle potrai
confundes omnes falso opinantes (yeudo- esporre con piena sicurezza, nella loro
doxšw) et, omni qui vult cognoscere, integrità e purezza, le nostre ragioni.
nostrum sermonem sanum et incontaminatum
exhibebis (par…sthmi) cum omni fiducia
(parrhs…a).
Dovere di Credere

Una est enim et elevans (¢nwfer»j) La via di coloro che vedono è una sola,
omnium videntium via illuminata a caelesti ascendente e illuminata dalla luce, invece
lumine, sed multae et caliginosae-et-opacae molte e tenebrose e opposte sono le strade
(skoteinÒj) non videntium viae; et illa di quelli che non vedono; quella conduce al
(quidem) rn caelorum ducit regnum uniens regno dei cieli, congiungendo l’uomo con
hominem Deo, hae autem deferunt in mortem Dio, mentre queste precipitano nella morte,
separantes hominem a Deo. Propter quod separando l’uomo da Dio.
necessarium est et tibi et omnibus qui curam E’ perciò necessario a te e a tutti quelli
habent suae ipsorum salutis sine diversione che attendono alla salvezza delle anime,
(¢klinîj) et strenue-et-firmiter (˜dra…wj) procedere senza fuorviare, con coraggio e
iter facere per fìdem, ne remissi-et-desistentes tenacia, sotto la guida della fede, affinché
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 30

transeant-maneant (diamšnw) in non accada che, mancando di impegno e di


materialibus concupiscentiis vel deviantes costanza, essi si diano alle cupidigie
excidant a recto. materiali, oppure, traviati, escano dal retto
cammino.

La parola greca qeosšbeia è un termine che indica la pietà. Letteralmente si traduce:


“verso Dio”. Ireneo, con questa parola, vuole dire che Marciano è già un buon esempio di vera
pietà e di vera religione che conduce alla Vita Eterna. Il primo posto della fede è la carità vissuta
tra fratelli in Cristo. Ciò costituisce il preludio al discorso del Kerigma, che è la parola utilizzata
per la predicazione tradizionale del messaggio cristiano. Ireneo, illustra, poi, a Marciano, i
contenuti dell’Epidexis, secondo i suoi punti principali. Ciò si oppone alla falsa dottrina: in tal
senso, la parola greca Doxa, non si richiama soltanto alla gloria, ma anche al concetto di
opinione. Nel nostro caso si tratta di una falsa opinione dalla quale è bene discostarsi.
Quando Ireneo dice che «La via di coloro che vedono è una sola, ascendente e illuminata
dalla luce del cielo, invece molte e tenebrose e opposte sono le strade di quelli che non
vedono», in realtà vuol dire che dietro a questo discorso c'è l'idea di battesimo come
illuminazione: questo concetto, come abbiamo già visto, è presente anche in Giustino. La prima
strada conduce al Regno dei Cieli che, per Ireneo, è ciò che congiunge l'uomo a Dio: non ha un
connotato geografico, né relazionale, ma indica una realtà ed una relazione spirituali. La
seconda, invece, porta alla morte eterna e alle tenebre senza fine. In questo senso Ireneo parla
anche della necessità della via dritta che si intraprende per mezzo della fede. Ciò richiede un
certo coraggio ed una certa audacia. Dunque, la strada del cristiana è sempre diritta, malgrado i
pericoli, le debolezze e le tentazioni. In sostanza, Ireneo raccomanda la costanza e la
perseveranza, come l’unico modo di evitare il pericolo di deviazione dalla “via diritta”.
Nel secondo capitolo, si riscontrano elementi antropologici5, direttamente collegabili al
contesto della Storia della Salvezza:

2. Quoniam autem compositum animal 2. L’uomo è un animale composto


(zùon) est homo ex anima et corpore, per d’anima e di corpo e deve vivere secondo
utraque haec fieri istud oportetet-convenit tutt’e due questi elementi; e poiché dall’uno
(de‹). Etenim ex utrisque his consequuntur e dall’altro possono derivare colpe, per la
iapsus, et est corporis puritas (¡gne…a), purezza del corpo è necessario astenersi e
(scilicet) continentia-abstinentiae (¢poc») fuggire da ogni cosa indecente e da ogni
omnium turpium rerum et omnium iniquorum azione iniqua, e per la purezza dell’anima
operum, et animae puritas (¡gne…a), (eam conservare intatta la fede in Dio senza
quae) ad Deum (est) fidem integram aggiungervi o togliervi nulla.
(ÐlÒklhroj) servare, non addendo neque Il culto di Dio viene offuscato e privato
auferendo ab ea. Nam obfuscatur-et-taetratur del suo decoro, quando sia insozzato e
(¢maurÒw) pietas (qeosšbeia) foeditate- profanato il corpo e viene rotto e
inquinamenti (molusmÒj) corporis, et contaminato e perde la sua integrità quando
confringitur – et – labefctatur – et - non – est la falsità si annida nell’anima; sarà invece
- integra falsitate introeunte in animam conservato nella sua bellezza e armonia,
servabit<ur>a autem in pulchritudine et in sua finché regna la verità nello spirito e la

5
Circa l’ANTROPOLOGIA, Ireneo contempla l’uomo nel suo corpo, nella sua anima naturale e nel suo spirito.
Quest’ultimo è lo Spirito personale di Dio, promesso da Gesù agli Apostoli. Rimane difficile capire se Ireneo
considera questa terza parte dell’uomo come lo spirito dell’uomo o lo Spirito di Dio.
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 31

mensura quando veritas in anima et puritas in purezza nel corpo. Che giova conoscere la
corpore continuo erit. Quid enim prodest verità a parole, se il corpo è profanato da
cognoscere (quidem) verum in verbis, corpus azioni vergognose? Oppure, che utilità può
autem inquinare et nequitiae perficere opera? offrire la purezza del corpo, quando la verità
Aut quid sane potest utilitatis praestare sia assente dall’anima? Esse gioiscono l’una
corporis puritas, non exsistente veritate in della compagnia dell’altra e combattono
anima? Congratulantur enim ad invicem haec insieme per porre l’uomo alla presenza di
et consociantur-et-commilitant Dio.
(summ£comai) ut hominem exhibeant
(par…sthmi) Deo.
Et propter hoc Spinitus sanctus per David Molto bene dice lo Spirito Santo per
dicit «Beatus vir qui non abiit in consilium bocca di Davide: «Beato l’uomo, che non
impiorum», hoc est Deum non cogno- ha camminato nel consiglio degli empi»
scentium gentium [consilium]b - nam hi impii (Sal 1,1), cioè, il consiglio delle genti che
sunt qui eum qui est vere (Ôntwj) Deum non non conoscono Dio. Empi sono coloro che
colunt, et propter hoc Verbum ad Moysen non adorano Colui che è vero Dio. Infatti, il
dicit «Ego sum is qui est»: ergo qui eum qui Verbo dice a Mosè: «Io sono Colui che è»
est Deum non colunt, hi sunt impii - «et in via (Es 3,14). Quindi coloro che non adorarono
peccatorum non stetit» - peccatores autem Colui che e Dio sono empi. «E non è stato –
sunt qui cognitionem Dei habent et non continua il Salmo – nella via dei peccatori».
custodiunt. eius praeceptum, hoc est Peccatori sono quelli che hanno la
spernentes-contemptores (katafronht»j), conoscenza di Dio, ma non osservano i suoi
«et in cathedra pestilentium non sedit» - comandamenti, e li disprezzano e li violano.
pestilentes autem sunt qui non solum seipsos «E non s’è seduto nella cattedra degli
sed et reliquos corrumpunt perversa-et- scellerati». Scellerati sono coloro che
tortuosa doctrina: cathedra enim symbolum corrompono non solo se stessi, ma anche gli
scholae (didaskale‹on) est; tales autem altri con la loro diversa dottrina, giacché la
sunt omnes haeretici: in cathedris pestilentium cattedra è il simbolo della scuola. Tali sono
sedent ci. corrumpuntc (eos) qui doctrinae tutti gli eretici: siedono sulla cattedra degli
eorum recipiunt venenum. scellerati e vanno in perdizione coloro che
ricevono il veleno della loro dottrina.

2. Ireneo, in modo quasi aristotelico, definisce l’uomo come animale, ma – in realtà – rispetto
al termine greco zùon, forse è meglio tradurre “essere vivente”, come colui che vive. In effetti,
Ireneo argomenta contro la dottrina gnostica, tanto che insiste sull'uomo intero, perché l’uomo
non può vivere senza l’anima o senza il corpo, ma ha bisogno di tutte e due per vivere
concretamente: l’uomo non può vivere solo con l'anima, ma ha bisogno anche del corpo.
Successivamente, Ireneo, passa a parlare dei mezzi per rendere puri il corpo e l'anima. Tutto
questo è congiunto alla fede, senza la quale non può esserci un programma rituale e cultuale. Se
il corpo non è puro, non è puro nemmeno il culto (v. cap. XIV della Didaché). Quindi, non c’è
solo un effetto negativo sul corpo e sull’anima, ma l’impurità contamina anche il culto da
rendere a Dio.
Ireneo dopo aver parlato dell'uomo afferma la necessità di vivere e di conoscere la verità. In
questo passo c'è questo gioco tra anima e corpo. Tutto va posto nel segno di Dio: è un mettersi
alla presenza di Dio che esige una purezza di corpo e di spirito. Questo mettersi alla presenza di
Dio costituisce già una definizione di culto che richiede la purezza dell’anima e del corpo.
Poi Ireneo, compiendo un ulteriore passo, arriva a parlare dell’esclamazione di Davide che
dice: «Beato l’uomo, che non ha camminato nel consiglio degli empi» (Sal 1,1). La definizione
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 32

di "empi" è una definizione del culto: si tratta di coloro che non adorano Dio. Se si ha la vera
conoscenza di Dio, si deve adorare Dio in Spirito e Verità. Dunque, nel culto, la conoscenza non
può essere disgiunta dall’adorazione, tanto che – per Ireneo – il Culto è sempre inserito nella
totalità della sua teologia. Infatti, il Verbo parla a Mosè dicendo: : «Io sono Colui che è» (Es
3,14).
Ireneo, ripete, poi, il concetto, sopra esposto, continuando – in un certo modo – a
commentare il Salmo 1,1. In effetti gli empi sono coloro che non opsservano i Comandamenti di
Dio e li disprezzano. Dunque, Ireneo insiste molto sulla condotta e sulla falsa dottrina di molti,
che va assolutamente evitata. Gli scellerati sono coloro che non corrompono soltanto se stessi,
ma anche gli altri, mediante false dottrine. In questo senso, Ireneo, non parla direttamente della
condotta, ma la collega al contesto di dottrine che non rispecchiano la fede cristiana.
L’autore, nel cap. 3, parlando del pericolo di una deviazione dalla sana dottrina, parla – poi –
della necessità di ancorarsi alla vera fede:

3. Igitur, ne tale quid patiamur nos, 3. Ora, perché non ci venga addosso tale
indeclinatam (¢klin»j) fidei regulam disgrazia, dobbiamo tenere senza travia-
(kanèn) tenere debemus et facere praecepta menti la norma della fede e ubbidire ai
Dei, credentes Deo, et timentes eum, quoniam comandamenti di Dio avendo fede in Lui,
Dominus est, et diligentes eum, quoniam temendolo quale Signore e amandolo quale
Pater est. Facere ergo ex fide adquiritur Padre. Le opere sono preservate dalla fede,
(perig…nomai): nam, «nisi credide-ritis», giacché, come dice Isaia, «se non crederete
ait Esaias, «neque intellegetis»; fidem autem non persevererete» (Is 7,9); e la fede è data
veritas adquirere facit (peripoišw), nam dalla verità poiché è, fondata sulla realtà.
fides super vere (¢lhqîj) exsistentes stat res, Noi crediamo in cose che realmente esistono
(ita) ut his quae sunt, sicut sunt, credamus, et ed esercitando la fede in ciò che esiste, come
creden < tes his>a quae sunt, sicut sunt, è sempre, ad esso dobbiamo prestare co-
semper (eam quae) ad illa (est) adsensionem stantemente il nostro assenso. E’ la fede che
(peismon») firmiter-custodia-mus conserva la nostra salvezza; perciò è
(diaful£ssw). Igitur, quoniam salutis necessario che ad essa consacriamo molte
nostrae continens (sunektikÒj) fides est, cure e sollecitudini per ottenere la vera
multam diligentiam-curae (špimšleia) huic intelligenza della realtà.
oportet-et-convenit facere, ut eorum quae
sunt adprehensionem (kat£lhyij) habea-mus
veram.

3. Ciascun regolamento deve essere la regola della vita e non solo della Regula Fidei: si tratta
del canone della fede, attraverso il quale si ha una tradizione giusta della fede, lontana da ogni
falso credo. Ciò è un concetto molto importante perché il “canone della fede” argomenta in
modo efficace contro ogni falsa dottrina e dà la giusta misura della fede, cioè la Tradizione
Apostolica. La norma di fede è l'obbedienza ai suoi comandamenti, il cui frutto è la carità, che
scaturisce nella vita quotidiana e nella condotta privata. Le stesse opere sono preservate dalla
fede come opere buone, per mezzo della fede: c’è – dunque – un legame, che non si può
distruggere tra le opere e la fede. In altre parole, esercitando la fede si vive e si manifesta la
salvezza. Le azioni sono determinate dalla fede, tanto che Isaia dice che se non crediamo non
possiamo preservarci. La fede è data dalla Verità perché è data dalla realtà concreta.

PRIMA PARTE.
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Parla del Kerigma: è la parte che dà più contenuto all’Epidexis. Di essa riportiamo alcune
sezioni, che ci danno un senso globale dell’opera stessa: LA PREDICAZIONE APOSTOLICA.

Fides autem conciliat (proxenšw) nobis Ed è la fede che ci fa ottenere tutto ciò,
hoc, quemadmodum presbyteri, apostolorum come ci hanno tradizionalmente insegnato i
discipuli, tradiderunt nobis: primo meminisse presbiteri, discepoli degli apostoli. (La fede)
consilium dat quoniam baptismum recepimus anzitutto ci ammonisce di ricordare, che
in remissionem peccatorum in nomen Dei abbiamo avuto il battesimo in remissione dei
Patris et in nomen Iesu Christi, Filii Dei peccati nel nome di Dio Padre e nel nome di
incarnati et mortui et resuscitati, et in Gesù Cristo, Figlio di Dio, incarnato, morto
Spiritum sanctum Dei; ci. baptismun hunc e risorto, e nello Spirito Santo di Dio; che
sigillum (sfrag…j) esse aeternae vitae et questo battesimo e il sigillo della vita eterna
regenerationem (¢nagšnnhsij) in Deum, e della rinascita in Dio, cosi che non siamo
(ita) ut non iam mortuorum (nekrÒj) più figli di uomini morituri, ma figli di Dio
hominum sed sempiterni-et-perpetui Dei filii eterno e senza fine. Essa ammonisce ancora,
simus; et eum qui semper-et-Perpetuo est che l’eterno e senza fine è Dio, che Egli è
b
<Deum>c [et] super omnia esse (quae) facta superiore ad ogni cosa, che tutto è a Lui
(sunt), et omnia sub ipso posita essee et sottoposto e che tutto ciò che è a Lui
(quae) posita (sunt) sub ipso omnia eum soggetto fu fatto da Lui. Dio non è Padrone
fecissef, (ita) ut non alterius cuiusdam e Signore di creature di un altro, ma delle
dominetur-et-dominus-sit (kurieÚw) Deus, sue, ed ogni cosa è di Dio; perciò e Padrone
sed propriorum, et sint omnes res Dei, et di tutto ed ogni cosa proviene da Dio.
propter hoc omnipotens sit Deus et omnia ex
Deo.

La fede ci fa ottenere tutto: essa è tramandata a noi per mezzo degli Apostoli e dei presbiteri.
Ireneo parla della trasmissione della fede, per cui ci troviamo nel contesto della traditio
apostolica per successione apostolica. Per questa ragione Ireneo dà un elenco dei presbiteri
Ireneo ha una linea diretta per l'insegnamento della fede, giacché lui era discepolo di Policarpo,
che – a sua volta – era discepolo di Giovanni, l’Apostolo amato dal Signore. Ciò costituisce una
linea diretta tra la sua fede e quella degli Apostoli. Ciò spiega anche che nel I sec. si trova spesso
l'usanza di non distinguere il vescovo dal presbitero. Solo in Asia, in Siria ed Antiochia, inizierà
un movimento verso la distinzione tra vescovo e presbitero.
Ora, nel nostro ambito, al primo posto c'è la fede, con la quale si deve ricordare il battesimo
ricevuto, che non è solo la remissione dei peccati, ma è il credo trinitario professato. Ciò
conduce alla verità attraverso la profondità del Battesimo che comporta una rinascita in Dio
dell’uomo stesso. Il Battesimo è il sigillo: esso non è solo il lavacro e la remissione dei peccati,
ma è sfrag…j, cioè il marchio di appartenenza a Dio. Questa nuova rinascita è una
rigenerazione in Cristo Gesù. Ireneo ammonisce che l’eterno è senza fine: tutto a Lui è
sottoposto. Si tratta di un argomento anti-gnostico, perché la Creazione non viene dal
Demiurgo, ma Dio stesso che possiede ogni cosa.
Rispetto a Giustino, Ireneo insiste sull’opera di Dio Padre nella Creazione. In questo modo,
Ireneo prende una certa distanza dal contesto del Vangelo di Giovanni, in relazione al ruolo del
Logos. Gli gnostici hanno utilizzato questo primo capitolo di Giovanni perché negavano che
fosse Dio a creare, mentre tutta la creazione è venuta dal Logos. Questo spiega che ogni cosa
appartiene a Dio.
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Con il Cap. 4 Ireneo riprende nuovamente il discorso della Creazione, secondo il principio
che ogni realtà è riconducibile alla causa ultima, cioè Dio:

4. Necesse est enim (ea quae) facta (sunt) 4. - In verità è necessario che ciò che
ex magna quadam causa initium facturae esiste ripeta il principio della sua esistenza
(gšnesij) habere. Initium autem omnium da una qualche ultima causa; ora, il principio
Deus est non enim ipse factus est ab aliquo, et d’ogni cosa è Dio. Egli non deriva da alcuno
ab ipso facta sunt omnia. Et propter hoc e da Lui tutto riceve origine. Perciò occorre,
primo credere oportet-et-convenit quoniam in primo luogo, riconoscere che c’è un solo
unus Deus est Pater, qui omnia condidit et Dio Padre, che tutto ha fatto e formato,
aptavit et fecit (ea quae) non erant ad (hoc ut) facendo si che ciò che non era esistesse e
essent et, omnia capiens, solus est incapabilis. clic,. tutto contenendo, solo è incircoscritto.
In omnibus autem et hic qui secundum nos Fra tutte queste cose è anche questo nostro
mundus est, et in mundo homo: ergo et mondo e miei mondo l’uomo. Dunque,
mundus a Deo creatus est. anche questo mondo è stato creato. da Dio.

4. Ma da dove viene questa secondo cui «ciò che esiste ripeta il principio della sua esistenza
da una qualche ultima causa; ora, il principio d’ogni cosa è Dio»? Essa viene da Aristotele,
secondo il quale il principio di ogni cosa è Dio.

___________Note Personali di Studio_____________________________________________


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20/11/2000 - Lettura Liturgica dei Padri - 5a. Lezione, Prof. Ephrem Carr osb.

Tutto comincia con la fede: tutte le cose che vengono a noi tramite i presbiteri è la
tradizione. Ireneo usa l'argomento del suo tempo contro lo gnosticismo che sosteneva un Dio
sconosciuto, non corrispondente al Dio creatore del mondo. Dio Padre ha creato il mondo. In
primo luogo è importante conoscere la nostra fede. C'è un solo Dio Padre che tutto ha fatto e
formato. Dio ha creato dal non essere, cioè dall'ex nihilo, dal nulla tutte le cose (non ha creato
da una materia pre-esistente). Dio contiene tutto ed in nessuna cosa è contenuto (in latino si
esprime con l'espressione "omnia capiens"). Così il nostro mondo è creato da Dio e non dal
Demiurgo. Ireneo ribadisce che questo mondo è creato da Dio. Qui Ireneo insiste energicamente
e con fermezza: Dio è creatore. Non si può prescindere da questo principio molto importante nel
nostro Credo. Tutto si crea per mezzo del Verbo, ma è Dio che crea.

Passiamo adesso al § 5.
5. Sic igitur ostenditur unus Deus Pater, 5. - Cosi si dimostra che c’è un solo Dio
infectus (¢gšnhtoj), invisibilis, factor Padre, increato, invisibile, autore d’ogni
omnium, super quem Deus alius non est et cosa, al di sopra del quale non v’è alcun
post quem alius Deus non est. Etenim altro Dio e dopo il quale non v è altro Dio.
rationabilis (logikÒj) est Deus, et propter E poiché Dio è razionale, perciò coi Verbo
hoc Verbo (ea quae) facta (sunt) fecit. Et ha creato le cose. E Iddio è Spirito e perciò
Spiritus Deus: itaque Spiritu omnia adornavit con lo Spirito tutto ha (disposto) finito,
(). Quemadmodum et propheta dicit «Verbo come dice il profeta: «Per opera del Verbo di
Domini caeli firmati sunt, et Spiritu eius Dio vennero stabiliti i cieli e per opera del
omnis virtus (dÚnamij) eorum». Igitur, suo Spirito tutta la loro potenza» (Sal 32,6).
quoniam Verbum (quidem) firmat, hoc est Il Verbo stabilisce, cioè, compie le opere
corporalia facita (swmatopoišw) et subsi- fisiche consolidando gli esseri (materiali),
stentiam-exsistentiae (Ûparxij) donat mentre lo Spirito ordina e conforma la
(car…zomai), Spiritus autem aptat-et- varietà delle «potenze»; perciò giustamente
format diversitates virtutum (dÚnamij), e convenientemente il Verbo viene chiamato
iuste-et-convenienter (e„kÒtwj) Verbum Figlio e lo Spirito Sapienza di Dio. Bene
(quidem) Filius, Spiritus autem Sapientia Dei dice l’apostolo San Paolo: «Uno è Iddio
vocatur. Bene igitur et Paulus apostolus eius Padre, che è sopra tutti e con tutti e in tutti
ait: «Unus Deus Pater qui super omnia et per noi» (Ef 4,6). Infatti, sopra tutti è il Padre,
omnia et in omnibus nobis». Nam super omnia con tutti è il Verbo, poiché per mezzo suo
(quidem) Pater est, per omnia autem Verbum ogni cosa è stata fatta dal Padre, e in noi
- per hunc enim omnia facta sunt a Patre - , in tutti è lo Spirito che grida: «Padre» (Gal
omnibus autem nobis Spiritus qui clamat 4,6) ed egli ha conformato l’uomo a
«Abba, Pater» et perfìcit hominem in somiglianza di Dio. Dunque, lo Spirito
similitudinem Dei. Igitur Spiritus (quidem) manifesta il Verbo e perciò i profeti
annunziavano il Figlio di Dio, ma il Verbo
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ostendit Verbum, et propter hoc prophetae comunica lo Spirito e perciò è Lui che
Filium Dei adnuntiabant, Verbum autem comunica ai profeti i loro messaggi e porta e
articulat (¡rmÒzw) Spiritum, et propter hoc innalza l’uomo fino al Padre.
interpetator (™xhght»j) prophetarum ipse
est, et ducens-erigit (¢n£gw) hominem ad
Patrem.

5. C'è un solo Dio Padre, increato, che non ha inizio. E' un Dio invisibile e creatore di tutte le
cose. Al di sopra del Padre non vi è un altro Dio. Ciò richiama al contesto del Credo della
Chiesa, che stabilisce il cuore della fede contro le eresie del suo tempo. Poiché Dio (Loghikos) è
razionale ha creato le cose tramite il Logos. Lo Spirito ha portato a compimento (ha finito) la
creazione; ha fatto le cose per la bellezza della creazione. Per opera di Dio sono stati stabiliti i
cieli, e per opera dello Spirito ha reso compimento a tutta la Creazione. Il Verbo compie le opere
fisiche, mentre lo Spirito tutto ordina secondo le varietà delle potenze, così che nella creazione
l'opera del Verbo è dare corpo alle cose. In sostanza Ireneo spiega che tutta la Trinità è
responsabile ed è presente nell’opera della Creazione. Egli dona lo Spirito: spiega l'opera del
Padre nello spirito della creazione. Perciò, giustamente e convenientemente il Verbo viene
chiamato Figlio, mentre lo Spirito è chiamato Sapienza di Dio (v. il concetto di sofia: tale
termine è usato anche dagli gnostici che vedono in esso l'origine del mondo materiale, nel senso
che la sofia era l’Eone che ha tentato di conoscere il Padre con la sua propria forza e non ha
avuto successo, cadendo, così, dal mondo celeste). Il nesso tra lo Spirito e la Sapienza proviene
dal mondo semitico: il Ruah è sost. femminile, nel mondo asiatico. Nella Teologia Antica
dell’Asia Minore, lo Spirito era una potenza femminile.
Sopra tutti è il Padre, per mezzo del Verbo. Con tutti è il Verbo: qui si nota una distinzione
importante che evidenzia l’espressione “per omnia” (per mezzo) che indica il Verbo rispetto al
Padre. Noi tutti siamo guidati dallo Spirito. Dio ha confermato l'uomo a somiglianza di Dio. Ciò
avviene per similitudine: è un aspetto caratteristico della dottrina di Ireneo, perché nella sua
dottrina c’è una distinzione tra l’immagine e similitudine di Dio nell’uomo. A causa del peccato,
pur rimanendo nell’uomo l’immagine di Dio, viene oscurata la somiglianza dell'uomo con Dio.
L’opera dello Spirito è quella di ripristinare la somiglianza con Dio. Con la redenzione viene
ristabilita, rinnovata e perfezionata. Lo Spirito manifesta il Verbo che comunica lo Spirito. Cristo
è, dunque, inviato dal Padre, cioè colui che guida l'uomo verso il Padre. Dopo questo articolo di
Credo sulla Creazione, Ireneo spiega che questo è l’ordo dispositionis, cioè l'Ordo economiae,
del sistema della nostra fede. Esso costituisce il fondamento dell'edificio cristiano, ma costituisce
anche la conversatio con Dio, cioè – non il dialogo – ma la nostra condotta di vita. Per tale
ragione si può spiegare il perché nella vecchia formula monastica si trova il termine
“conversatio”, indicato come condotta del cristiano.

Passando al § 6 si può notare come Ireneo arrivi a parlare del fondamento della nostra
economia cristiana che costituisce il fondamento della nostra condotta:
6. Et hoc est ordo-dispositionis (t£xij) 6. Questa è l’«economia» della nostra fede,
fidei nostrae et fundamentum aedificii et il fondamento dell’edificio e la base della
firmamentum conversationis. - Deus Pater nostra condotta.
infectus (¢gšnhtoj), incapabilis Dio Padre, increato, illimitato, invisibile,
(¢cèrhtoj), invisibilis, unus Deus, Factor unico creatore di ogni cosa: ecco il primo
universi: hoc primum captulum (kef£laion) articolo della nostra fede. Il secondo è il
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fidei nostrae. - Secundum autem capitulum Verbo di Dio, Figlio di Dio, il Signor nostro
Verbum Dei, Filius Dei, Iesus Christusa Gesù Cristo, manifestato ai profeti in forme
Dominus noster qui prophetis adparuit diverse secondo le disposizioni (testamenti)
secundum characterem () prophetiae eorum et del Padre, per opera del quale fu creata ogni
secundum habitum (carakt»r) cosa. E lui che nella pienezza dei tempi (Dn
dispositionum (scšsij) Patris, per quem facta 11,13), per ricapitolare (cfr. Ef 1, 10) ogni
sunt omnia, qui et in fine temporum ad cosa, si è fatto uomo tra gli uomini, visibile e
recapitulanda-et-instauranda tangibile, per distruggere la morte e
(¢nakefalaiÒomai) omnia homo in homi- manifestare la vita, per operare l’unione tra
nibus factus (est) visibilis et palpabilis, ad Dio e l’uomo. E il terzo articolo è lo Spirito
destruendam mortem et ostendendam vitam et Santo, per virtù del quale i profeti hanno
comunionem-concordiae (koinwn…a) Dei profetato e i patriarchi furono istruiti nella
et hominis operandam. - Tertium autem scienza di Dio e i giusti guidati nella via
capitulum: Sanctus Spiritus, per quem della giustizia; il quale alla fine dei tempi
prophetae prophetaverunt et patres didicerunt (Dn 11,13) è stato diffuso in nuovo modo
(ea quae sunt) Dei et iusti directi sunt in viam sull’umanità, per tutta la terra, rinnovando
iustitiae, et qui in fine temporum effusus est l’uomo in Dio.
nove in humanitatem in omnem terram
renovans hominem Deo.

6. Dio Padre è increato ed invisibile. Non c'è un limite nel descrivere la sua realtà: è il primo
kefalaion della nostra fede. Poi c'è il Verbo di Dio che si manifesta ai profeti e ai servi di Dio in
forme diverse e secondo un preciso carattere. Egli nella pienezza dei tempi attua la Storia della
Salvezza: Egli è venuto a ricapitolare la storia dell'uomo, per riportarla alla sua vera origine. Si è
fatto uomo tra gli uomini, in modo visibile ed intangibile, per distruggere la morte. In questo
senso, Ireneo parla anche della koinonia che è la vera comunione: in lui è presente l’idea di
rinnovare l’uomo che è strettamente legata all’idea di perfezionare la rassomiglianza con Dio, da
parte dell’uomo.

Con il § 7 si chiude il cerchio del discorso che Ireneo fa quando parla di rinnovare l’uomo ed
il Creato, introducendo il lettore alla realtà battesimale di ogni cristiano:
7. Et propter hoc regenerationis 7. - Per questo nella nostra rigenerazione il
(paliggenes…a) nostrae baptisma per tria battesimo procede per questi tre articoli
haec perficitur capitula (kef£laion) (eam elargendoci in grazia la rinascita in Dio
quae est) in Deum Patrem regenerationem Padre mediante il Figlio per opera dello
(¢nagšnnhsij) nobis donans (car… Spirito Santo. Coloro che possiedono lo
zomai) per Filium suum in Spiritu sancto: Spirito di Dio vengono condotti al Verbo,
qui enim tollentes-portant. (bast£zw) cioè al Figlio e il Figlio li accoglie e li
Spiritum Dei cedunt (cwršw) in Verbum, hoc presenta al Padre e il Padre li costituisce
est in Filium, Filius autem ducens-offert incorruttibili. Senza lo Spirito non è dato di
(pros£gw) Patri, Pater autem tribuit vedere il Verbo di Dio, come nessuno può
(peripoišw) incorruptibilitatem. Igitur non senza il Figlio accostarsi al Padre. Il Figlio è
sine Spirito est videre Verbum Dei, neque sine la sapienza del Padre e la conoscenza del
Filio potest quis accedere ad Patrem cognitio Figlio è opera dello Spirito Santo; ma il
enim Patris Filius, cognitio autem Filii Dei per Figlio dispensa lo Spirito, secondo che piace
Spiritum sanctum; Spiritum autem secundum al Padre, attraverso il ministero carismatico,
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beneplacitum Patris Filius ministerialiter- a quelli che vuole e come vuole il Padre.
dispensat (diakonšw) in quos voluerit et
quemadmodum voluerit. Pater.

7. Alla fine dei tempi, il medesimo Spirito rinnoverà la terra, secondo l'idea di perfezionare la
rassomiglianza con il Padre. Ciò avviene sempre nella formula del Credo (v. anche la Traditio
Apostolica attribuita ad Ippolito). Ireneo pone in evidenza questo dinamismo che si sviluppa tra
le tre Persone divine che sono impegnate nel rifare l’uomo nuovo, che sarà incorruttibile. Ciò
richiama nuovamente al tema della ricapitolazione, molto caro ad Ireneo.
Il Battesimo procede attraverso questi tre articoli di fede: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo,
come formula trinitaria usata durante il battesimo che assicura la rinascita in Dio, oltre a
garantire la remissione dei peccati. Coloro che possiedono lo Spirito di Dio, vengono condotti al
Verbo. Senza lo Spirito nessuno può avvicinarsi al Padre, perché manca lo Spirito di conoscenza.
Ciò si riferisce al Figlio: Lui solo conosce il Padre. Tramite lo Spirito possiamo conoscere Gesù
e l'opera del Padre. Qui Ireneo accenna anche al mistero carismatico, cioè questo mistero nel
quale opera lo Spirito come al Padre piace.

Conclusione (pp. 218-219 fotocopie).


98. Haec est, dilectissime, praedicatio 98. - Questa, carissimo, è la predicazione
(k»rugma) veritatis, et hic est character della verità, è questa la via della nostra
salutis nostrae, et baec est via vitae quam salvezza, la via della Vita annunziata dai
adnuntiaverunt (quidem) prophetae, profeti, confermata da Cristo, presentata
confinavit autem Christus, apostoli vero dagli apostoli e trasmessa dalla Chiesa in
tradiderunt (parad…dwmi), Ecclesia tutto il mondo ai suoi figli. Essa deve essere
autem in universo mondo tradit (™gceir… custodita con ogni fedeltà, con buona
zw) filiis suis. Quarn oportet cum omni volontà e con piacere a Dio mediante opere
diligentia custodire [sana sententia et] a buone e sani costumi.
placentes Deo operibus bonis et sana
sententiamentis (gnènh).

98. Ireneo parla del Kerigma come proclamazione della Verità. Egli indica la via e la vita: c'è
ancora una certa enfasi sulla creazione, perché intende parlare della verità trasmessa da Cristo,
dagli Apostoli e dalla Chiesa, secondo una successione che esprima la Chiesa come corpo di
Cristo e la Verità in seno alla tradizione. Il termine “carattere”, però, non è solo la via, ma è ciò
che dà la forma attuale alla nostra salvezza. E’ la via della vita, annunziata dai Profeti,
confermata da Cristo, presentata dagli Apostoli e trasmessa dalla Chiesa a tutti gli uomini, in
tutto il mondo. Questa fede che è la predicazione della Verità, dà il carattere al nostro
peregrinare verso le mete celesti. Ireneo segue la successione della Tradizione, per sottolineare la
predicazione della Verità che deve essere custodita. Questa Tradizione non va’, soltanto
custodita solo nella mente, ma soprattutto implica tutta la vita del cristiano, per cui non può
esserci solo un credo intellettuale. Ciò implica tutta la vita, determinata dalle opere buone.

Con il § 99 Ireneo torna a parlare degli eretici contrapponendo nuovamente alla loro dottrina
quella cristiana:
99. quando non Deum Patrem alium 99. - Non permettere che alcuno pensi
quendam esse putaverit quispiam praeter che vi sia altro Dio Padre che il Demiurgo,
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(eum qui) fecit nos, quemadmodum haeretici come pensano gli eretici; essi disprezzano il
putant; (eum quidem) qui est Deum frustrant vero Dio e si fanno un idolo di uno irreale e
(¢qetšw), (eum) autem (qui) non est idolum creano per se stessi un Padre superiore al
faciunt (e„dwlopoišw) et Patrem sibi sopra nostro Creatore e credono di aver trovato
(coni qui) fecit nos plasmant, maius aliquid per conto loro qualche cosa di più grande
quam veritatem putant seipsos invenire omnes che la verità. Essi sono tutti malvagi e
enim hi impii et blasphemi in suoni Factorem bestemmiano il loro Creatore e Padre, come
et Patrem sunt, quemamodum ina noi abbiamo dimostrato nella «Denuncia e
Exprobratione et eversione falsi nominis confutazione della pseudo-gnosi» (cfr.
agnitionis demonstravimus. Contro le Eresie. Cantagalli, Siena).
Alii autem iterum adventum Filii Dei et Altri ancora disprezzano la venuta del
dispositionem (o„konom…a) incarnationis Figlio di Dio e l’economia della sua
eius contemnunt quam apostoli tradiderunt et incarnazione, che gli apostoli ci hanno
prophetae antea indicaverunt recapitulationem tramandato e che i profeti hanno predetto
(¢nakefala…wsij) futuram esse come ricapitolazione dell’umanità, come ti
humanitatis, quemadmodum per pauca abbiamo dimostrato in breve. Anche questa
ostendimus tibi, et huiusmodi adhuc cum gente deve essere contata tra gli increduli.
incredulis disponentur-adnumerati (katari- Altri non ammettono i doni dello Spirito
qmšw). Santo e respingono il carisma della profezia,
Alii autem dona Spiritus sancti non recipiunt imbevuto della quale l’uomo dà frutti di vita
et abiciunt a seipsis charisma propheticum, in Dio.
quo homo irrigatus fructificat vitam Dei. Hi Questi sono quelli dei quali dice Isaia che
autem sunt (qui) ab Esaia dicti (sunt) «Erunt «saranno come un terebinto senza foglie e
enim», ait, «sicut terebinthus foliis orbata et come un giardino senza acqua». E difatti…
sicut hortus qui aquam non habet». Et
huiusmodi…

Per Ireneo, gli gnostici sono i veri disprezzatori e nemici di Dio: pongono il loro Dio al di
sopra della Verità stessa. Disprezzano la venuta del Figlio di Dio (v. i Doceti che parlano di
Cristo che viene in apparenza: essi negano l'incarnazione di Cristo). Altri ancora non ammettono
o negano i doni dello Spirito Santo e respingono il carisma della profezia.
Per Ireneo la ricapitolazione ha due momenti: l'incarnazione e la consegna della storia
dell'uomo nelle mani del Padre, da parte del Figlio. Ireneo arriva a dire che l’errore degli gnostici
è contro gli articoli del sigillo cristiano (sfraghis), cioè contro i tre articoli principali della fede.
Tutto finisce con la dossologia, secondo la formula trinitaria.

Tertulliano: Vita, dottrina ed opere.


Poche sono le notizie che si hanno della sua vita, secondo anche le testimonianze di Girolamo nel De
Vir. ill. 53. Anche le date della nascita e della sua morte ci sono pressoché sconosciute, anche se si è
portati a datare la sua morte dopo il 220 (222). Per alcuni la sua nascita sarebbe da situarsi intorno al
160-162 d.C., ma non è sicura. Suo padre era centurione della corte proconsolare. Entrambi i genitori
erano pagani. Acquisì una solida formazione giuridica e divenne un avvocato famoso a Roma. Va
probabilmente identificato con il giurista omonimo, del quale il Corpus Iuris Civilis cita parecchi estratti.
Dopo la conversione, che avvenne dopo il 193, si stabilì a Cartagine, dove si mise al servizio della Chiesa.
Secondo Girolamo si sarebbe fatto prete, anche se lui non parla mai della sua posizione dentro la Chiesa.
La sua attività letteraria si sviluppa tra 195 ed il 220. I suoi scritti ebbero un enorme influsso sulla
teologia. Verso il 207 passò apertamente al montanismo e divenne capo di una setta particolare che prese
il suo nome (dei tertullianei). A parte Agostino, Tertulliano è il più importante ed originale scrittore
ecclesiastico in lingua latina. Egli ha una conoscenza profonda della filosofia , del diritto e della
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letteratura greca e latina. E’ un uomo dal temperamento molto impulsivo che odia i compromessi. Il suo
stile è personale benché osservi le tradizioni letterarie del suo tempo. Le sue opere dimostrano con
numerosi esempi la sua familiarità con le tecniche della retorica. Ama le antitesi e si compiace dei giochi
di parole. Il contributo del suo genio alla lingua della Chiesa resta di primaria importanza e le sue opere
costituiscono una fonte incomparabile per la conoscenza del latino cristiano.
Circa la dottrina Tertulliano è stato chiamato il fondatore della teologia occidentale e il padre della
nostra cristologia. Effettivamente non è così, anche se è stato un grande genio del pensiero teologico del
tempo. In lui purtroppo mancava l’equilibrio interiore che gli avrebbe permesso di organizzare i diversi
articoli della fede in un ordine logico e di assegnare a ciascuno il proprio posto.
1) Di fronte ai risultati contraddittori delle ideologie filosofiche pagane, Tertulliano si dichiara scettico, se
non addirittura avverso, mentre rimane amico degli ingenui sforzi della ragione, anche se primitivi e
sommari. Accetta i dati della filosofia in quanto coincidono con le verità insegnate dal Cristianesimo. Egli
sostiene che l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima si possono conoscere con sagge riflessioni
(Resurr. 3); lo stesso vale per l’idea che Dio non essendo originato, è necessariamente perfetto: «Non può
essere imperfetto se non quello che è stato fatto» (Herm. 28).
2) Tutto ciò che esiste è un «corpus», anche se è un «corpus sui generis» (Carn. 11), perciò Dio è un
«corpus, etsi spiritus est» (Prax. 7). Non è da escludersi che la parola “corpus” sia intesa da Tertulliano
equivalente a sostanza, cosicché egli attribuirebbe a Dio solo la sostanzialità; però attribuisce alla
sostanza spirituale delle proprietà che anche i corpi possiedono; dell’anima dice infatti che essa ha un
“corpus” o della “corporalitas”, e anche un’origine e un colore, il colore dell’aria luminosa (An. 7,9; EP
346 seg.).
3) La Teologia TRINITARIA di Tertulliano assume nell’opera Adv. Prax. una forma netta e incisiva,
sorprendente per il suo tempo. Il vocabolo trinitas è la prima volta che viene usato il T. latino “trinitas”,
riferito alle tre persone divine. Il vocabolo tecnico «persona» si trova per la prima volta nei suoi scritti
(Prax. 12). Il Logos era già prima della creazione del mondo, «una res et persona» precisamente «per
substantiae proprietarem», ma solo all’atto della creazione emerse dal Padre con una «nativitas perfecta»
(Prax. 7) e la «Sapienza» divenne «Figlio». In questo modo Tertulliano non ammette alcuna diversità tra
le due persone, Padre e Figlio, ma un «gradu» (nell’ordine dell’origine). Il Padre ha la pienezza della
divinità (tota substantia est), mentre il Figlio ha soltanto una parte (derivatio totius et portio); perquesta
ragione egli avrebbe detto: Il Padre è più grande me. Il Figlio emana dal Padre come il raggio del sole
(Prax 9; 13).
4) La CRISTOLOGIA di Tertulliano parla con chiarezza di due nature nell’unica persona di Cristo
diventando così l’antesignano di questa dottrina per il mondo occidentale. Troviamo in lui queste
espressioni: «proprietas utriusque substantiae» (in una persona) «duplicem statum non confusum sed
coniunctum in una persona, deum et hominem Iesum» (Prax 27; EP 379). I miracoli di Gesù ne
dimostrano la vera divinità; le passioni e i patimenti dimostrano la vera umanità (Carn. 5).
5) Circa la MARIOLOGIA Tertulliano si dichiara contro la verginità di Maria in partum e post partum
(Carn. 7,23; Marc. 4,19) che incontriamo nella tradizione dapprima nel Vangelo apocrifo di Giacomo e
nelle Odi di Salomone. Non si può negare che in questo caso Tertulliano non sia stato esente dall’influsso
docetista, ma è comprensibile questa sua posizione perché, per rispondere a coloro che negavano al Cristo
un vero corpo umano e pretendevano che la sua nascita e la sua concezione fossero soltanto apparenti,
doveva dimostrare Gesù come vero uomo. Maria per Tertulliano è la seconda Eva.
6) Circa l’ANIMA Tertulliano sostiene che l’anima del nascituro è un derivato (tradux, Traducianismo)
delle anime dei genitori. Da ciò si spiegano le analogie spirituali tra i genitori ed i figli (An. 36,37).
7) Sul PECCATO DEI PROTOPARENTI viene definito «vitium originis» in De anima 41. Per il peccato di
Adamo entrò nella natura il veleno della concupiscenza, il «vitium originis», che per opera del demonio è
diventato un «naturale quo-dammodo». Il battesimo dei bambini non è tuttavia consigliabile altro che nel
caso di necessità. 8) L’ECCLESIOLOGIA di Tertulliano è la prima che usa il nome di «madre» come titolo
della Chiesa. Quando la chiama Domina mater ecclesia (Ad mart. 1) vuole esprimere così la dignità della
Chiesa, l’interesse, il rispetto e l’amore che le testimonia. L’idea della Chiesa come madre che accoglie
coloro che rinascono con il battesimo accompagna Tertulliano anche nel periodo montanista (De bapt.
20). Nel De anima, composto tra il 210 ed il 212, dimostra che la creazione di Eva dalla costola di
Adamo prefigurava la nascita della Chiesa dal costato aperto di Cristo. Nel De praescriptione la Chiesa è
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il ricettacolo della fede e la custode della rivelazione. E’ la sola ad ereditare la verità e gli scritti che la
conservano. A lei appartengono le Scritture, sulle quali gli eretici non hanno nessun diritto. Man mano che
si avvicinava di più al montanismo, Tertulliano considerava sempre più i fedeli come un gruppo più
spirituale, sino ad arrivare, in pieno montanismo, a distinguere tre categorie di persone (carnali, psichici e
noetici), sino a negare la successione apostolica ed affermare solo una Chiesa spirituale in
contrapposizione con quella organizzata. La Chiesa dello spirito e quella dei vescovi sono ormai in
completa opposizione.
9) Circa il PRIMATO e la potestà di legare e di sciogliere sono personali a Pietro (Pud. 21,9-11), non
competono ad altri vescovi. Pietro e Paolo sono morti a Roma (Scorp. 15; Marc. 4,5).
10) Sulla dottrina della PENITENZA, nel suo scritto montanistico, De pudicitia, Tertulliano nega la
remissibilità delle colpe gravi da parte della Chiesa. La potestà di rimetterle fu personale a Cristo e non
venne trasmessa totalmente alla Chiesa (Pud. 11). La remissione delle colpe spetta solo ai pneumatici, ma
non ai vescovi, perché essi sono organi dello Spirito Santo. Nell’epoca cattolica, nel De paenitentia, al
contrario Tertulliano esortava vivamente ad accedere alla penitenza ecclesiastica, unica, non ripetibile. 11)
La funzione EUCARISTICA è definita da Tertulliano «gloriae relatio et benedictio et laus et hymni». In essa
vede adempiuta la profezia di Mal 1,10 (Marc. 3,22; Iud. 5). In altri punti parla di «orationes
sacrificiorum» «munditiae sacrificiorum»; chi vi partecipa riceve il Corpo del Signore, il Sacramento
dell’Eucaristia (Orat. 19; Marc. 3,22; Pud. 9,16; Cor. 3). Per il pane consacrato troviamo «figura
corporis mei» (Marc. 4,40) che vuol significare il corpo sotto il simbolo del pane. La realtà del corpo che
si riceve è per lui così certa che gli serve per dimostrare contro Marcione la realtà del corpo crocifisso.
12) Circa l’ESCATOLOGIA, Tertulliano ammette uno stato di espiazione dolorosa dopo la morte (il
purgatorio). Tutti i defunti, eccettuati soltanto i martiri, rimangono, fino al giorno del Signore, nel mondo
degli inferi ove sono sottoposti ai «supplicia»; possono però, in virtù delle preghiere dei vivi, passare nel
«refrigerium» (An. 55,58; Resurr. 43; Monog. 10). Tertulliano fu chialista (Marc. 3,24; Spect. 30).
Infine, circa le sue opere, rimane difficile dargli un ordine cronologico, anche se in alcuni di questi,
come ad es., l’Ad uxorem, si può notare il cambiamento del pensiero di Tertulliano da cristiano a
montanista. Le sue opere sono di diverso indirizzo:
a) carattere apologetico: 1) Ad Nationes (si compone di due libri [197] e costituisce una difesa contro le
accuse pagane e una ritorsione contro il paganesimo), 2) Apologeticum (si compone di un solo libro [alla
fine del 197] è indirizzato ai governanti pagani, più precisamente ai giudici romani, ritenuti iniqui per il
loro agire e per il fatto che condannano in modo discriminato i cristiani; essi sono perseguitati per il
nomen - vedi appunti di retorica), 3) De Testimonio animae (dove si fa notare che i Gentili nel profondo
dell’anima credono all’unità di Dio, alla sopravvivenza dell’anima e all’esistenza degli spiriti malvagi), 4)
Ad Scapulam ([212] è una lettera aperta, nella quale si minaccia il castigo di Dio, con riferimento a un
eclisse di sole, al rabbioso persecutore dei cristiani, Scapula, proconsole d’Africa), 5) Adversus Judaeos
(l’antica legge della vendetta deve lasciare il posto a quella nuova dell’amore. Anche per i pagani c’è la
grazia di Dio. La seconda parte non è autentica e sembra un estratto del 3° libro scritto dell’Adversus
Marcionem).
b) scritti dogmatici e polemici: 1) De praescriptione haereticorum ([circa l’anno 200] la praescriptio è
intesa nel senso di eccezione giuridica. Tertulliano dimostra che nel suo scritto non già gli eretici, ma
soltanto la Chiesa cattolica ha il diritto di allegarla per se, perché agli apostoli Cristo ha affidato la
missione di predicare il Vangelo; questi a loro volta hanno affidato la verità alla Chiesa nascente nella
quale la Verità ha la priorità assoluta; infine solo la Chiesa possiede la Sacra Scrittura. In questo modo gli
eretici non hanno il diritto di sentenziare all’origine e al senso dei libri sacri), 2) Adversus Marcionem (è
composto da 5 libri a noi presenti nella terza redazione [207]. I primi due libri dimostrano che il Creatore
del mondo non può essere diverso dal Dio buono; il 3° dimostra che Cristo apparso realmente sulla terra è
stato preannunciato nell’AT; i libri 4° e 5° criticano il testo biblico di Marcione e provano che non esiste
contraddizione tra l’AT ed il NT), 3) Adversus Hermogenem (è una difesa della dottrina cristiana della
creazione contro gli gnostici e specialmente il pittore Ermogene di Cartagine), 4) Adversus Valentinianos
(scritto e diretto contro Valentino gnostico ed i suoi seguaci; si serve molto di Ireneo), 5) Scorpiace
(«medicina contro lo scorpione che morde» si richiama all’eresia gnostica e al contempo stesso esalta il
valore etico del martirio [213]), 6) De resurrectione carnis (difende la fede nella risurrezione della carne,
contro gli gnostici), 7) Adversus Praxean (contiene la più chiara esposizione prenicena della dottrina
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ortodossa intorno alla Trinità; è diretta contro il patripassiano e modalista Prassea. Vi si trova per la
prima volta la parola trinitas), 8) De baptismo (vi è esposto l’insegnamento cristiano intorno al battesimo,
alla sua necessità e ai suoi effetti. Il battesimo amministrato dagli eretici non è valido), 9) De anima
([210-211] costituisce con l’Adversus Marcionem lo scritto più voluminoso; si può dire la prima opera di
psicologia cristiana. Attinge alla «dottrina dell’ani-ma» del medico Sorano di Efeso).
c) Scritti di carattere ascetico e pratico:
1) Ad martyres (è diretto a consolare e confermare i cristiani che languiscono nel carcere [197-203]), 2)
De spectaculis ([197-200], vieta di assistere alle rappresentazioni pagane, di qualsiasi genere, per la loro
immoralità e per la stretta relazione che hanno con i culti idolatrici), 3) De oratione (contiene prescrizioni
intorno all’orazione in generale e spiega il Padre nostro). 4) De patientia (Tertulliano intende parlare di
questa virtù che egli non possiede, così come il malato celebra i pregi della santità; la sua più grande
nemica è la sete di vendetta), 5) De paenitentia (composto nel 203 ca., tratta dello spirito e delle
pratiche di penitenza prima del battesimo e della disciplina penitenziale ecclesiastica cui erano sottoposti
i battezzati caduti in «grave peccato» ), 6) De cultu feminarum (combatte le varie forme di acconciature
femminili), 7) Ad uxorem (scritto in due libri prega la moglie di rimanere vedova dopo la sua morte, o di
non sposare un pagano, ma un cristiano [203]).
d) scritti del periodo montanista:
1) De exortatione castitatis (appare rigoroso nel suo contenuto tanto da ritrattare completamente
quello che ha scritto nell’Ad uxorem; Tertulliano scrive ad un amico che ha perduto la moglie esortandolo
vivamente a non risposarsi. Qualifica le nozze ad una sorta di «libertinaggio»), 2) De monogamia (è una
violenta requisitoria contro le seconde nozze [217]), 3) De virginibus velandis (impone alle fanciulle di
portare il velo non solamente nelle riunioni della Chiesa, ma anche per la via e in ogni luogo pubblico
[anteriore al 207]), 4) De corona (scritto nel 211, combatte l’uso di incoronare i soldati come pratica
essenziale pagana, e giudica il mestiere delle armi incompatibile con la fede cristiana), 5) De idolatria (T.
esige rigorosamente non soltanto l’astensione da ogni pratica idolatrica, ma ancora dalle professioni che
hanno con esse qualche rapporto - artisti, insegnanti, impiegati civili e militari-), 6) De fuga in
persecutione (la fuga in tempo di persecuzione è inammissibile ed è un rinnegamento della volontà di Dio
[circa il 212]), 7) De iudicio adversus psychicos (è una difesa della pratica montanista e contiene focose
invettive contro gli psichici [cattolici] che seguono il loro proprio capriccio; è uno scritto importante per
la storia del digiuno), 8) De pudicitia (contrariamente alla tesi stabilita nel De paenitentia, nega alla
Chiesa il diritto di rimettere i peccati. Questa facoltà non è propria della «chiesa episcopale» organizzata
legittimamente, ma appartiene solamente agli «homines spiritales», ossia agli apostoli e ai profeti. La
violenta requisitoria è diretta contro un editto perentorio emanato da un vescovo non precisamente
individuato. Secondo alcuni si tratterebbe di papa Callisto, ma l’ipotesi rimane inverosimile. Più probabile
che si tratti del vescovo Agrippino di Cartagine, contro il quale si rivolge Tertulliano), 9) De pallio
(scritto verso il 222-223, è il più breve fra tutti gli scritti di Tertulliano; ha la forma di un’apologia
personale, in cui con amaro sarcasmo risponde ai suoi concittadini che lo burlavano di aver abbandonato
la toga per vestire il mantello dei filosofi), 10) Passio Ss. Perpetuae et Felicitatis ([202-203] molto
probabilmente è composto da Tertulliano e poi forse tradotta da lui stesso in greco. Vi sono utilizzati degli
appunti di S. Perpetua intorno alle sue visioni e fatti della sua vita).

In sintesi, da questa panoramica, si può dire che Tertulliano scrisse, come opere importanti
per la Liturgia, il De Oratione (sulla preghiera), il De Baptismo (sul Battesimo) e il De
Paenitentia (sulla penitenza). Dopo l’anno 207 vediamo nelle opere di Tertulliano un influsso
sempre più forte del montanismo, che lo porterà ad una rottura completa con la Chiesa Cattolica
verso l’anno 213. Circa la sua importanza, egli è il primo teologo di lingua latina: il vocabolario
teologico latino, viene in gran parte dalla scelta di parole latine da parte di Tertulliano che era
bilinguale: egli conosceva sia il greco, sia il latino. E' importante anche perché fu il maestro di
Cipriano. Secondo il biografo di Cipriano, il vescovo Cipriano ha letto le opere del suo maestro:
Cipriano, dunque, aveva una grande stima di Tertulliano anche se quest’ultimo morì fuori della
comunione ecclesiale.
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Di particolare importanza per i liturgisti è il suo trattato De Baptismo che è la prima


monografia di teologia sacramentale e la prima considerazione teologica sulla realtà sacra-
mentale del Battesimo. In esso egli riassume la tradizione ecclesiale e prepara la dottrina sul
Battesimo di Cipriano e di Sant'Agostino. Se quest'ultimo è Padre della Teologia Occidentale
Latina, Tertulliano è uno tra i massimi esponenti.
Tertulliano, di origine pagana, ricevette un'ottima formazione retorica: era un "orator". Egli
ebbe una buona conoscenza del diritto. Tertulliano, in contrasto con Giustino, lui non era
filosofo. Di lui rimane famosa la frase: «Che cosa ha Atene da fare con Gerusalemme?».
Tertulliano non riusciva a vedere alcun contatto tra il cristianesimo e la filosofia, anche se lui
stesso ha subito l’influsso della filosofia. Bisogna tener conto anche della grande influenza della
filosofia stoica, della quale era imbevuto lo stesso Tertulliano. Egli era un convertito fanatico e
fu un controversista, un appassionato della polemica.
In Tertulliano troviamo un'esegesi, secondo la tradizione apostolica, come in Ireneo, ma con
uno sviluppo tecnico, determinato dall’uso di elementi retorici, e dall’applicazione della sua
mentalità giuridica. Egli fu spesso polemico ed il suo argomento era spesso “ad homine”, cioè
uno scrittore ironico.
Allo stesso tempo Tertulliano pone per la prima volta in evidenza molti temi teologici,
secondo una prospettiva antignostica per l a quale ha creduto profondamente nell'uomo intero.
In lui c'è anche una prospettiva antidocetica, giacché ha creduto totalmente all’umanità di Cristo.
Il De Baptismo, fu composto intorno al 206, e secondo la sua introduzione, lascia intravedere
due motivi circa la ragione della sua composizione:
a) istruire coloro che si trovano nello stadio dell’iniziazione;
b) combattere l’ignoranza di coloro che si erano adagiati nella fede, trascurando la
tradizione della Chiesa (sono coloro che possiedono la fede in modo debole e sono
soggetti sempre alle tentazioni).
Per Tertulliano l'ignoranza non è una virtù, ma un modo di cadere nelle tentazioni. Lui scrisse
anche per rifiutare coloro che erano nemici del rito del lavacro: sono i cosidetti antibattisti, che
riguarda una setta – al suo tempo chiamata setta dei cainiti (seguaci di Caino) –: si tratta di una
setta gnostica che non credeva nell'effetto del battesimo.
Il De Baptismo ha uno scopo catechetico ed un indirizzo polemico contro i “cainiti”. Tuttavia
è più un trattato catechetico che polemico. Le opinioni erronee dei “cainiti” hanno dato a
Tertulliano l’occasione per riprendere l’insegnamento catechetico, circa l’uso del Battesimo nella
Chiesa Africana verso l’anno 200. In questo senso il De Baptismo è uno scritto esplicativo, tanto
che può essere considerato una catechesi. Il carattere catechetico appare innanzitutto nella
Tradizione, dove si parla dei catecumeni: Tertulliano parla di coloro che devono ricevere una
buona educazione cristiana e presenta a loro un ammonimento ad una preparazione completa a
ricevere in futuro il Battesimo. Paragonando il De Baptismo con il De Oratione, conferma
ancora una volta che il De Baptismo era indirizzato proprio ai catecumeni, non solo a livello
sacramentale, ma anche a livello di vita personale. Il medesimo De Oratione era indirizzato ai
catecumeni, dove oltre la preparazione a livello sacramentale, veniva raccomandato il livello di
preghiera personale e comunitaria.
La struttura del De Baptismo è molto semplice. Tertulliano stesso, indica nel cap. 10, che ha
diviso la sua catechesi in due sezioni o due parti:
a) religio aquae o sacramentum aquae (cc. 1-9);
b) questioni varie - questiuncola (cc. 10-19).
La prima spiega l'uso religioso dell'acqua e la nostra fede fondata sull’acqua. Si tratta della
questione legata ai riti, ai simboli, alle figure nel rito battesimale. La seconda parte ha due serie
di questioni:
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 44

1) questioni esegetiche (cc. 10-16);


2) questioni di natura disciplinare (cc. 17-18-19).
Tali questioni sono seguite da una conclusione al capitolo 20. Quelle esegetiche si incentrano
sul battesimo di Giovanni il Battista, circa il suo senso. Esse partono dal fatto che Gesù non ha
battezzato (c. 11) per cui nasce la domanda: da dove viene l’uso del battezzare? Il cap. 12 tratta
la questione esegetica degli Apostoli, poiché nel NT non c’è alcuna traccia del battesimo degli
Apostoli. Invece, nel cap. 13 Tertulliano parla della necessità del battesimo, sempre in
riferimento al NT, mentre il capitolo 14 parla del detto di Paolo, secondo cui l’Apostolo delle
genti non avrebbe mai battezzato. I capitoli 15 e 16 parlano dell'unico battesimo.
Le questioni disciplinari parlano del ministero (c. 17) e del candidato, nonché la data
dell’amministrazione del Battesimo. Infine, la conclusione (c. 20) parla della preparazione
ascetica al battesimo.
Il trattato sul Battesimo, visto in tutto il contesto di tutti gli scritti tertullianei, dà una
testimonianza di primo ordine sulla catechesi battesimale del tempo (della Chiesa patristica). E’
l’unico trattato pre-niceno sul Battesimo. Tertulliano intende spiegare l’iniziazione attraverso i
riti, le figure bibliche e la ratio sacramenti. Grazie al suo metodo, Tertulluano è in grado di
mettere in evidenza il significato teologico e spirituale del Battesimo. Nello stesso tempo lui
utilizza e spiega i testi battesimali più importanti del NT. Procede, così, attraverso i simboli, le
immagini, le figure e la ratio sacramenti. In questo modo Tertulliano anticipa la catechesi
battesimale dei padri del IV secolo, momento nel quale c'è uno sviluppo del catecumenato. C’è
da dire anche che la teologia battesimale di Tertulliano è molto sviluppata perché contiene il
simbolismo dei segni ed il principio di Cristo: essa contiene i principi più importanti della
teologia sacramentaria, cioè quello della sacramentalità (simbolismo) e del Cristo autore dei
Sacramenti e del nesso fra Spirito Santo – Chiesa – Sacramento (v. il ruolo dello Spirito Santo).
Inoltre, Tertulliano sviluppa la dottrina sul doppio effetto del Battesimo, cioè sulla remissione dei
peccati e sulla nuova vita (rinascita). E' interessante che il trattato di Tertulliano includa anche
una spiritualità battesimale, che chiama all'esigenza di vivere il battesimo in profondità. Dunque,
non è solo una spiegazione del rito battesimale perché intende avere anche una conseguenza
pratica che porta al dono totale di sé a Dio, sino al martirio e sino alla comunione con il corpo
della Trinità che è la Chiesa.

Passiamo ora al testo latino, che contiene i seguenti capitoli, dal I sino al X° e dal XV sino alla fine
(mancano una parte del cap. X sino al cap. XIV). [CCL].
I. De sacramento aquae nostrae qua ablutis Sul mistero dell’acqua del nostro battesimo, di
delictis pristinae caecitatjs in vitam aeternam quell’acqua con cui vengono lavati i peccati
liberamur non erit otiosum digestum istud commessi nell’accecamento della vita passata, e
instruens tam eos qui cum maxime formantur con cui veniamo liberati per la vita eterna, non
sarà certo inutile questo libretto. Questa opera
quam et illos qui similiter, credidisse contenti,
servirà per istruire sia coloro che sono seriamente
non exploratis rationibus traditionum tempta- impegnati ad approfondire le loro convinzioni
bilem fidem per imperitiam portant. religiose, sia quei cristiani che, pur con la stessa
fede, si accontentano tuttavia di credere senza
rendersi conto del significato delle tradizioni
vissute e così, nella loro ignoranza, si portano con
sé una fede che può essere messa a repentaglio.

1. In latino classico il "sacramentum" vuol dire giuramento, ma Tertulliano ha scelto tale


termine per parlare del rito battesimale.
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 45

Questa opera servirà per coloro che saranno impegnati seriamente a ricevere il battesimo, ma
anche per gli stessi cristiani... Tertulliano intende anche questo trattato contro la dottrina dei
cainiti. Tertulliano parla anche della rinascita spirituale: egli usa la parola greca "pesce" che
traslitterata vuol dire: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. Non si è salvi se non permanendo
nell'acqua: non si può quindi andare fuori dalla realtà acquistata dal Battesimo. Qui si nota la
teologia dell'acqua.
2. Atque adeo nuper conversata istic quaedam de 2. Inoltre, ultimamente
Caina haeresi vipera venenatissima doctrina sua
plerosque rapuit inprimis baptismum destruens
plane secundum naturam nam fere viperae et
aspides ipsique reguli serpentes arida et inaquosa
sectantur.

3. Sed nos pisciculi secundum „cqÝn nostrum 3. Noi pesciolini, secondo „cqÝn (il nostro
Iesum Christum in aqua nascimur nec aliter quam pesce) Gesù Cristo siamo rinati nell’acqua e non
in aqua permanendo salui sumus. Itaque illa siamo salvi se non permanendo nell’acqua. Non è
monstrosissima cui nec integre quidem docendi ius per nulla che questo serpente terribile che non
erat optime norat necare pisciculos de aqua aveva neanche una vera e propria autorizzazione
auferens. ha trovato il modo migliore di uccidere, cioè di
togliere dall’acqua i pesci.

2. Tertulliano usa la parola greca come un simbolo che si riferisce a Cristo, Figlio di Dio,
Salvatore di tutti gli uomini. Si tratta di un simbolo già conosciuto nel mondo cristiano. Un
cristiano perché rimanga nella salvezza, non può uscire dalla realtà del battesimo: al di fuori di
esso non c’è salvezza. Qui si nota una certa vena polemica contro gli gnostici, in modo
particolare contro i cainiti, definiti “vipere avvelenate”.

N.B. Per il De Baptismo, seguire il testo latino nelle fotocopie: non si procede con le
colonne affiancate per la disposizione del testo e della relativa traduzione.

27/11/2000 - Lettura Liturgica dei Padri - 6a. Lezione, Prof. Ephrem Carr osb.

Continuazione del cap. I del De Baptismo di Tertulliano


Ho dato l’introduzione l’ultima volta e abbiamo cominciato il primo capitolo del De
Baptismo di Tertulliano, e abbiamo visto quest’immagine o simbolo famoso del ICTUS, pesce,
tramite il quale i cristiani, « pisciculi, in acqua nascimur »: secondo nostro pesce Gesù Cristo,
nasciamo nell’acqua, e non siamo salvi se non permanendo nell’acqua. Poi Tertulliano parla del
eretico mostrosissimo che a tentato di uccidere i pesciolini, togliendoli dell’acqua.

Cap. II
In questo capitolo, il nostro autore spiega che il Signore Gesù suole scegliere umili mezzi
per attuare i suoi disegni. Per esempio,: « nihil alio… » Tanta semplicità, sine apparato nuovo,
sine cose estravaganti… (notate: Tertulliano usa il verbo « tingere » per dire battezzare) e il
risultato dura per l’eternità!
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Cap. III
Nel terzo capitolo, Tertulliano parla dell’acqua come oggetto di predilezione divina sin
dalla creazione del mondo… E qui utilizza un argomento già usato nel Contra ereticorum: gli
eretici non possono usare le cose che appartengono alla Chiesa; altrimenti sono ladri. Ed usa
quel termine in modo legale.
Questa materia dell’acqua a meritato tanta dignità da Dio perchè, dall’inizio, Dio ha
voluto dargli quel ruolo particolare. È uno di quelli elementi che, in un contesto ancora caotico
della creazione, riposarono presso Dio (le acque erano concepite come essendo « sopra », perciò
a prossimità di Dio concepito come ancora più in alto). Tertulliano cita a questo punto il Gen.
nell’inizio « Spiritus Dei super acquas ferebatur ». Per lui è una cosa importante. Continua così
i commenti sulla Genesi in relazione coll’acqua.

Cap. IV
Qual è la giustificazione del battesimo? Precisamente in questo ruolo dell’acqua già
segnato dall’inizio: un nesso particolare esisteva sin dall’inizio tra Spirito e acqua; è Lui chi da
forza a quest’elemento. L’acqua è così considerata come santa a causa di quel scambio tra
Spirito e acqua, uno scambio possibile secondo Tertulliano grazie alla filosofia stoica che
adopera inconsapevolmente, e che concepii tutti gli esseri come avendo un corpo (anche Dio),
ma di natura diversa, vedendo i corpi « spirituali » come più sottili da quei materiali e, perciò,
capaci di una certa « mescolanza ».
Come spiegare però il vincolo o legame tra noi, oggi, e queste « acque originali » in cui
di fatto noi non siamo stati battezzati? Ecco un‘altra categoria filosofica che viene dare la
soluzione: un solo genero, varie specie. Perciò, quello che se ritiene vero del genero lo diventa
anche delle specie. Non c’è nessuna differenza se qualcuno se lava nel mare o in un bacino
d’acqua, o un fiume o sorgente, o lago o vasca qualsiasi… mentre sia del genere acqua. Nessuna
differenza dunque tra un battesimo nel Giordane e quei fatti da San Pietro nel Tevere; perchè
d’altra parte Tertulliano ritiene come un’evidenza indiscutibile che Pietro abbia battezzato nel
fiume Tevere, giacche è acqua viva, corrente. Dopo viene la menzione dell’eunuco battezzato da
Filippo per dire che in tutti questi casi c’è la stessa salvezza (no fa distinzione tra acqua salata o
dolce).
Qualsiasi tipo di acqua, dunque, in virtù di quella prerogativa primitiva già prima
spiegata, può assumere il potere misterioso (sacramentum) di santificare, quando però c’è
l’invocazione di Dio su quell’acqua: forse ci abbiamo la prima testimonianza di una benedizione
dell’acqua che trasferisca la santità dello Spirito nell’acqua e la faccia santa. Quando viene fatta
l’invocazione di Dio sull’acqua, subito scende lo Spirito sull’acqua e gli da la potenza di
santificare. Qui si trova già una teologia dell’acqua e della sua potenza di santificazione sin dalla
creazione: a causa di quel particolare legame con lo Spirito Santo.
Il battesimo sembra essere una cosa semplice, ma siccome così « semplicemente » i nostri
peccati ci macchiano, così siamo puliti per quell’acqua. Qui si vede dunque l’acqua come
strumento della purificazione dei peccati, e dicendo questo introduce un altro argomento: non
solo strumento di santificazione, ma anche di remissione dei peccati. Ma i peccati non lasciano
segni sul corpo… come fa l’acqua a lavare quelle macchie che sono spirituali, cioè nell’anima?
Questo fa problema, giacche secondo la filosofia stoica adoperata, lo spirito umano domina e la
carne obbedisce, segue, dipende. I reati però, secondo lui, si intercomunicano tra spirito e carne;
« spiritus ob imperium, caro ob ministerium » (lo spirito come dando l’impulso, la carne come
prestando aiuto): quindi la parte spirituale ha il ruolo predominante, certo, ma c’è sempre una
complicità della carne. Perciò, nel caso del battesimo, come per un intervento angelico, lo spirito
viene pulito come se fosse un corpo e il corpo come se fosse qualcosa di spirituale. Cioè
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abbiamo un’azione esterna (battesimo nell’acqua) che ha un effetto anche sull’interno, sullo
spirito.

Cap. V
Anche i pagani, che non hanno nessuna sensibilità per le cose spirituali, vorrebbero
attribuire ai suoi idoli un potere un efficacia simile a quello del battesimo. Per esempio alcuni
sono iniziati nelle religioni misteriche per un lavacro: quelli addirittura portano i loro idoli ad
essere bagnati; c’è qui a Roma un affresco della processione di Iside, una processione con la
statua della deessa per portarla all’acqua perchè sia lavata e così « santificata ». Tertulliano usa
questo modo indiretto per dire che se i pagani fanno questo, pensando che veramente ci sia un
effetto reale, perchè tra noi cristiani esiste una discussione sul effetto dell’acqua, quest’acqua che
sin dall’inizio possiede un potere, avendo lo spirito sopra.
Così, Tertulliano continua con i giochi di Appollo e Pelusio che includono
quest’immersione nell’acqua. E con questi riti i pagani pensano ricevere una remissione o almeno
un perdono dei loro peccati. Cita anche l’uso dell’acqua per espiare il delitto di omicidio. Se è
nella natura dell’acqua, secondo anche le concezioni pagane, di avere un potere particolare,
specialmente con lo scopo di purificazione, quanto di più ce ne sarà se c’è l’intervento e la
garanzia autorevole di Dio stesso, del vero Dio che è il vero creatore dell’acqua. Se i pagani
credono a questa purificazione, loro che non hanno dato la sua natura all’acqua, tanto più i veri
discepoli del vero Dio che è il vero creatore dell’acqua. Se si ritiene come superstizione di
pensare (come i pagani) quell’acqua abbia quel potere ricevuto da falsi dii, come qualificare
invece il sentimento religioso (riguardo l’acqua) che procede della conoscenza del vero Dio? E
continua così con quest’argomento ed esempi pagani. Ma andiamo direttamente al capitolo
seguente.

Cap. VI
Fa una distinzione: non è che proprio dell’acqua noi riceviamo lo spirito. Nell’acqua
siamo purificati, preparati, con l’intervento dell’angelo, siamo preparati per ricevere lo spirito
santo. Distingue l’effetto dell’acqua che sarebbe la remissione dei peccati (lavacro), e l’effetto di
ricevere lo spirito santo fa parte di un’altra azione liturgica. Ci siamo al momento teologico della
distinzione tra battesimo e cresima. Questa distinzione si trova già accennata in Tertulliano; tra
Padri orientali, questa distinzione non esiste, lo spirito essendo già ricevuto per l’acqua
battesimale. Per questo fatto teologico c’è anche una figura biblica: come Giovanni fu
precursore di N.S. Gesù, così l’angelo che presiede al battesimo prepara le strade allo spirito
santo. che viene da sopra. Come? Abolendo i peccati. Ma esiste un secondo elemento. Questa
remissione dei peccati richiesta dalla fede, segnata, sigillata dallo sigillo della Trinità. Non si
parla esplicitamente della forma, ma c’è pure un accenno chiaro. Se accettiamo come verità ciò
che viene confermato da tre testimoni, quanto più importante è il dono ricetto dai Tre: Padre,
Figlio e Spirito Santo. In virtù della benedizione battesimale, avremmo come arbitri della fede
quelle persone che garantiscono la nostra salvezza. Le persone divine che sono tre bastano per
dare fiducia alla nostra speranza. Dunque ci sono due elementi: acqua benedetta che porta la
remissione dei peccati; l’invocazione trinitaria, garanzia dell’effetto del battesimo (così possiamo
avere fiducia).

Cap. VII
Parla qui di un altro gesto: l’unzione. È interessante ricordare che nella Didachè, in
Giustino, e nei altri testimoni del secondo secolo, non si trova menzione di unzione. È solo
all’inizio del terzo secolo, nel mondo latino in Tertulliano, e nella cosiddetta Tradizione
Apostolica attribuita ad Ippolito, che troviamo menzione di un rito, già abbastanza sviluppato, di
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unzione. Quando è entrata nei riti del battesimo? Non lo sappiamo. Perchè qui, come nella
Tradizione Apostolica, vediamo che si tratta già di una cerimonia non solo esistente ma anche
con una spiegazione teologica; e una spiegazione teologica viene sempre soltanto dopo che un
rito sia già diventato molto stabile.
Exinde egressi. Ciò significa che nel cap. VI si parla della persona nel, proprio dentro del
lavacro (immersione).
Perungimur. Siamo unti di un unzione benedetta; e questo « de pristina disciplina » cioè
secondo una prassi antica. Come? Lui fa riferimento al A.T., con esempio di Mosè che unge
Aronne per il sacerdozio. Siamo detti « Cristi » (= unti) dalla « cresima » (= unzione), che
proprio da il suo nome al Signore, il nome di Cristo. È una realtà spirituale, perchè si trova unto
nello Spirito, e cita il testo degli Atti al proposito.
Sic et in nobis. Poi anche distingue tra corpo e anima, per dire che se l’olio corre sul
corpo, il suo effetto è però spirituale; e sul argomento fa il paragone con il battesimo che, con
l’immersione corporale, ottiene un effetto spirituale. E ciò che si ritiene vero per il battesimo lo
diventa ugualmente nella cresima.

Cap. VIII
Questo capitolo ci parla dell’imposizione delle mani, come azione che segue il battesimo
e l’unzione. La mano viene imposta per una benedizione, con invocazione dello Spirito Santo,
come epiclesi sul neobattezzato. Cioè la persona ch’è stata preparata per l’unzione del
sacerdozio battesimale diventa disposta a ricevere la benedizione dello Spirito Santo.
Sane humano. Qui ugualmente fa il paragone con l’immersione battesimale: se questa
azione umana riesce a vivificare l’acqua e quasi con le mani animarla con uno spirito di tanto
splendore, possiamo negare a Dio la possibilità di usare lo strumento di mani sante per toccare
sul suo organo delle melodie spiritualmente sublimi? Quest’immagine viene da uno strumento già
esistente nei tempi di Tertulliano: l’organo idraulico. Lui utilizza quest’immagine, non solo per la
relazione acqua (strumento idraulico) e mani estense, ma per le diverse modulazioni in cui Dio
può agire e creare un effetto spirituale su una cosa corporale. Cita di nuovo l’A.T. come esempio
la benedizione con imposizione delle mani di Giacobbe sui suoi figli; e siccome Giacobbe lo fece
con le mani incrociate, secondo Tertulliano questo fa riferimento alla croce di Cristo in cui siamo
noi benedetti.
Lo Spirito Santo scende sui corpi già purificati e benedetti, come riconoscendo « l’acqua
originale » che fosse la sua dimora. Esempio della colomba scendendo sul Signore, e questo
dopo il suo battesimo. La natura dello spirito è segnata per la scelta della colomba, animale
semplice ed innocente che neanche corporalmente ha di fiele. E questo anche porta con se una
relazione con una figura precedente: quella della colomba dell’arca di Noè, la quale, quando
furono pacificate le tempeste, ritornò sull’arca con un ramo d’ulivo. E qui si vede subito la
relazione con l’acqua (diluvio) e l’olio della cresima (ulivo). Quel ramo di ulivo è già, nel suo
tempo, un segno di pace tra le nazioni. Tutto questo è ovviamente un’analogia.
Eadem dispositione. La colomba era simbolo dello stesso modo di disporre, lo stesso
piano di Dio in quanto riguarda la salvezza de la terra, cioè di nostra carne. Così come la
colomba, lo spirito viene dal cielo, cielo dove la Chiesa è figura del arca. Ma il mondo peccò di
nuovo, è di questo viene che col diluvio si possa paragonare il battesimo, che viene anche dopo il
peccato dell’uomo.

Cap. IX
I cap. X a XIX sono le «quaestiuncula». Il cap. IX invece parla del senso del battesimo.
Quot igitur. Quanti elementi naturali, quanti riti, quanti le prefigurazioni del A.T. che hanno
indicato la funzione dell’acqua! Basta leggere il A.T. Secondo lui tutta questa teologia del
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battesimo si trova già prefigurata nel A.T. Cita, cominciando con la liberazione del popolo
d’Egitto, che se ne andò per l’acqua, la quale stessa fece lo sterminio dell’esercito del Faraone.
Ciò vuol dire che l’acqua può avere un effetto negativo come positivo. Possiamo avere una
figura più chiara del battesimo? Il popolo delle nazioni viene liberato dal mondo per le acque, e
dalle stesse acque il diavolo dominatore e malvagio viene soffocato.
Altri esempi: « aqua de amaritudinis ». Si tratta di quel « legno » di Mosè che fece dolci
delle acque amare. Spiegazione: il « legno » quello era Cristo (pensare nella croce), che guarisce
con la sua potenza le acque già amare e avvelenate e le trasforma in elemento salvifico. Quando?
Nel suo battesimo. Poi Tertulliano parla dell’acqua scaturita del sasso quando il popolo aveva
sete, sempre col « legno » di Mosè; e se —come è ovvio— la pietra è Cristo, allora senz’altro
l’acqua viene benedetta in Cristo per il battesimo. Ci sono tanti esempi della grazia dell’acqua,
grazia ricetta da Cristo e Dio, per dare fondamento al battesimo! Dove c’è Cristo c’è l’acqua…
Vediamo: è stato battezzato; poi, è stato invitato alle nozze è a cominciato le sue opere con una
questione d’acqua; poi anche ha predicato, e invitato quelli che hanno sete di andare a bere le
sue acque di vita eterna; poi ancora ha insegnato la carità è, tra le opere di carità, quella di saper
dare a bere un bicchiere… d’acqua; poi, si è fermato sul bordo del pozzo; poi, ha camminato
sull’acqua attraversando il lago; ha dato acqua ai suoi discepoli. Fino alla Passione abbiamo
testimonianze a favore dell’acqua: quando Cristo fu condannato alla Croce, c’era l’acqua con
Pilato che si lava le mani; quando fu trafitto nel cuore dalla lancia del soldato, esce anche acqua.
Abbiamo lì tutta una teologia dell’acqua, e spesso tutte queste immagini si trovano nei riti
battesimali, specialmente nel rito di benedizione dell’acqua.

Cap. XV
Si parla qui di un unico battesimo. E qui Tertulliano ci dà l’esempio di un inizio di diritto
canonico. C’è un unico battesimo, ed è quello della Chiesa, senza nessun’altra possibilità.
Sane retexam. Torna ad alcune cosa già dette per fare continuità nel discorso.
Unum omnino. Unico, assolutamente unico è il battesimo per noi; è questo si vede dal
Vangelo così come delle lettere dell’Apostolo. «C’è un solo Dio, un solo battesimo, una sola
Chiesa… » nel cielo. Cioè chiesa come regno che è e verrà nel cielo. Ché soluzione adottare
riguardo al battesimo degli eretici? Questi eretici, secondo il nostro parere, non hanno
assolutamente nessun nesso con la nostra disciplina, dice Tertulliano; niente a che fare con la
nostra prassi. Tertulliano Nega totalmente qualche efficacia al battesimo degli eretici, considerati
come assolutamente estranei alla nostra comunione, dunque a tutte le nostre attuazioni. Perché
siccome non c’è comunione nello Spirito, allora nessun nesso con l’operatore nel sacramento. Se
non abbiamo lo stesso e unico Dio, lo stesso e unico Cristo, allora non abbiamo in comune
neanche il battesimo, che si ritiene come assolutamente diverso. Questo non è la teologia
sviluppata nella Chiesa romana, ma quella che si trovava nella Chiesa africana fino ad Agostino.
Quod cum vitæ non habeant. Non possono dare le cose che non hanno. Questo è spesso
la teologia delle chiese ortodosse. Conosco casi negli Stati Uniti di cattolici diventati ortodossi è
che sono stati ribattezzati, per i stessi motivi teologici. Ma Tertulliano già ha scritto un libro in
greco su questo e non vuol ripetere tutto ciò che già ci viene spiegato.
Semel ergo lavacro. Una sola volta andiamo (entriamo) nel battesimo. Una sola volta i
nostri peccati sono rimessi, perché il battesimo non si può ripetere. Qui si trova ben chiaro il
concetto di irripetibilità del battesimo. Gli Ebrei, dice Tertulliano, si lavano ogni giorno perché si
macchiano ogni giorno… Ma per noi, felice l’acqua che in una sola volta lava tutto e che, non
infettata, non sporca di nuovo coloro che vuole lavare! Ecco la famosa acclamazione.

_________Note Personali di Studio_______________________________________________


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4/12/2000 Lettura Liturgica dei Padri, 7a Lezione, Prof. Carr. Ephrem osb.

XV. Riprendiamo dal capitolo XV, tenendo conto che dal cap. X in poi, ci sono delle
questioni particolari. Con il XV si nota come Tertulliano insista molto su un solo Battesimo, cioè
quello della Chiesa. Tertulliano affronta la controversia del battesimo degli eretici, confermando
in pieno l'unicità del Battesimo. Egli, infatti, si richiama alla testimonianza evangelica e
all'autorità degli Apostoli e alla loro tradizione, giacché un solo è Dio, una sola è la Chiesa ed
uno solo è il Battesimo (Ef 4,5). L'idea di un solo Battesimo ha proprio origine da Gv 5,10. Ma
quale soluzione biosgna adottare nei confronti degli eretici? Per Tertulliano il loro Battesimo è
nullo, giacché non hanno nessun consorzio con la prassi della Chiesa, nonché c'è una mancanza
di comuynione che li rende estranei al battesimo cristiano. Dunque, per Tertulliano e la Chiesa
d'Africa, il Battesimo è da considerarsi nullo, sin dall'inizio, il Battesimo degli eretici. Il motivo
di questo non riconoscimento parte dal fatto che tra i cristiani e gli eretici non c'è uno stesso
Dio: questi eretici non hanno il vero battesimo e non hanno la possibilità di essere annoverati tra
i cristiani. In effetti, essi non possono avere una cosa che non hanno. Questa idea, ancora oggi, è
viva tra alcune Chiese ortodosse.
Per Tertulliano, una volta sola si entra nel lavacro ed una volta sola vengono lavati i peccati,
proprio perché non si devono più comettere: in questa linea si nota il rigorismo di Tertulliano
secondo il quale i Giudei si lavano ogni giorno perché peccano quotidianamente, mentre per i
cristiani è sorta l'esigenza del lavacro una volta sola. C'è qui una ragione pastorale: felice l'acqua
che lava una volta sola e per sempre. In questo senso l'autore valorizza l'importanza del
Battesimo, con il quale si è liberati dai peccati.

XVI. In questo capitolo parla del Battesimo di sangue, oltre a quello dell'acqua: si tratta del
martirio. Ciò richiama anche al sangue di Cristo che è venuto mediante l'acqua ed il sangue. A
motivo di ciò Cristo, tramite l'acqua del Battesimo, fa sentire la sua chiamata, mentre con il suo
sangue lava i peccati degli uomini. Il martirio è il battesimo che sostituisce il lavacro: è il
battesimo per eccellenza. Esso rappresenta il lavacro dell'acqua per coloro che non hanno
ricevuto ancora il battesimo, ma che sono morti martiri.

XVII. Tertulliano parla del vescovo come il ministro che ha la facoltà di ammnistrare per
primo il Battesimo, mentre il presbitero ed il diacono lo possono amministrare se il vescovo non
c'è. Il motivo sta nel fatto che il vescovo è considerato il sommo sacerdote che esprime la dignità
della Chiesa ed esprime la comunione piena di tutta la comunità cristiana. L'idea secondo la
quale senza il vescovo non può essere salvaguardata né l'unità, né la pace dentro la Chiesa, né
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alcuna attività apostolica, è già presente nelle lettere di Sant'Ignazio di Antiochia. Tutto deve
essere fatto sotto l'autorità del vescovo.
In merito all'amministrazione del battesimo, in certe circostanze, secondo Tertulliano, anche i
Laici possono battezzare. Coloro che ricevono, allo stesso modo possono dare, per cui chi ha
ricevuto il battesimo, a sua volta può battezzare. La priorità spetta comunque ai ministri del
Signore, cioè gli Apostoli e i discepoli. Nessuno, però, può riservare ad alcuno la parola e la
predicazione, in modo che il battesimo possa essere dato da tutti. Quando il vescovo ed i
presbiteri, insieme ai diaconi, non sono chiamati, anche i laici, purché già battezzati, possono
battezzare. Questa posizione era contemplata dal Vecchio Diritto Canonico, ma Tertulliano
esprime questa posizione per ribadire il fatto che chi non è battezzato non può battezzare, come
pure chi è eretico non può dare quello che non ha, cioè il battesimo.
Per questa ragione, per i laici, è necessaria una certa disciplina di riservatezza, di modestia: il
rito del battesimo di per sé è di competenza di chi ricopre l'ufficio episcopale e presbiterale. La
simulazione di tale ufficio è, per Tertulliano, al madre di tutti gli scismi e le divisioni. L'idea di
dare il battesimo da parte dei laici dipende anche dal luogo e dalla persona: seguono, infatti,
alcuni esempi pratici, come ad esempio la non possibilità delle donne di dare il battesimo
(Tertulliano prende tale contesto dagli Atti di Paolo, uno scritto extra canonico. Tertulliano parla
dell'origine di questo documento. Il ruolo della donna è quello di tacere e di custodire la casa: ad
esse è sotratta la possibilità di amministrare il battesimo).

XVIII. Secondo Tertulliano, non si deve avere paura che il Battesimo possa essere dato da
chi ha l'ufficio della sua amministrazione, come pure non bisgna avere paura di chiederlo, anche
se vale il principio secondo cui le cose sante non possono essere date ai cani. In questo senso
vale il discorso secondo cui non bisogna facilmente concedere il Battesimo a chi non si è
dimostrato degno di riceverlo: chi lo fa si rende complice dei peccati di chi lo riceve. Anche se
Filippo ha battezzato subito l'eunuco, in realtà è lo Spirito del Signore che ha comandato a
Filippo di battezzare l'eunuco che si era dimostrato già pronto a ricevere la grazia battesimale
perché in lui si è verificata pienamente la conversione alla fede cristiana. L'esempio di Filippo
conferma ancora di più la necessità di accertare la dignità di chi deve ricevere il battesimo stesso.
Con tutto questo, la fede diventa la chiave principale per essere ammessi al Battesimo. Chi non
crede non può essere battezzato. Anche Paolo fu presto battezzato perché chi lo ha battezzato
ha riconosciuto che il futuro apostolo era stato già scelto da Dio . In questo modo non possono
essere messe da parte le prerogative di Dio, con le quali viene a manifestarsi pienamente il suo
progetto.
Tertulliano, poi, giunge, al punto centrale del suo discorso: il battesimo dei bambini. Circa
l'età, per Tertulliano, è bene non battezzare i bambini subito, ma è più utile spostare il battesimo
in una data più remota. Se non ci sono casi gravi di necessità, perché mettere nel rischio dei
padrini di non tenere fede alle promesse fatte? Certamente, il Signore ha detto: non impedite ai
bambini di venire a me (Mt 19,4). Vengano pure questi bambini, ma quando sono adolescenti e
non prima. In sostanza, i bambini possono ricevere il battesimo solo quando possono essere
istruiti e saranno in grado di conoscere Cristo. Perché bisogna avere tanta fretta nel battezzare i
bambini? Tertulliano parla soprattutto del fatto che i bambini si trovano nell'età dell'innocenza,
tanto che non hanno bisogno di essere battezzati: in questo senso nell'autore è presente
soprattutto il senso dei peccati commessi e non del Peccato Originale. Le cose importanti del
mondo non possono essere messe nelle mani dei bambini, come pure le cose divine. Solo quando
possono capire con chiarezza la salvezza che viene loro concessa, allora si può dare ad essi tali
cose divine.
Per un motivo non meno serio bisogna posticipare il battesimo per coloro che vivono nella
verginità e non sono ancora sposati, almeno fino alla maturità, purché non ci sia una necessità
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partocolare. In ciò Tertulliano esprime un motivo pastorale: secondo lui, tra l'altro, chi capisce
veramente la natura ed il significato del Battesimo, ha più timore di riceverlo che rimandarlo a
dopo. Solo con una fede matura ed integra si può ottenere la salvezza e ricevere il battesimo.

XIX. Parla del giorno più solenne: la festa di Pasqua che è il giorno più solenne del
Battesimo. E' il giorno in cui la passione del Signore è compiuta, nella quale ogni cristiano viene
battezzato. In ciò sta la ragione della Pasqua come giorno solenne del Battesimo. Non è fuori
luogo interpretare come figura le parole del Signore, quando invia i discepoli a preparare la
Pasqua: l'imagine dell'uomo che porta la brocca l'acqua indica il luogo dove si doveva celebrare
la Pasqua. L'acqua stessa indica il Battesimo e sottintende la Pentecoste (il contesto è un pò
ambiguo perché la Pentecoste può indicare i 50 giorni tra la Pasqua e la Pentecoste come giorno,
oppure solo il giorno di Pentecoste). La Pasqua è il periodo o il giorno migliore per celebrare il
Battesimo. Tertulliano, infatti cita una serie di ragioni: la prima è che il Signore si è manifestato
tra i discepoli, quando concede la grazia dello Spirito Santo. Cristo stesso viene assunto in cielo
e ritornerà come è salito: tale contesto richiama alla Pentecoste, come giorno festivo... e giorno
del Signore. Anche se la Pasqua e la Pentecoste sono i giorni più adatti per celebrare il
Battesimo, in realtà ogni giorno e ogni momento è da considerarsi come giorno del Signore, in
cui amministrare il Battesimo. Quindi, ogni tempo è adeguato al ricevimento del Battesimo
stesso. Certamente la grazia non ha un limite di calendario, giacché essa non è soggetta al
tempo.

XX. Tertulliano parla della preparazione al Battesimo: è importante l'interessamento alla


preghiera seguita da digiuni e penitenze, nonché momenti di veglie. In questo ambito la
preparazione del battesimo esige un impegno serio di chi lo deve ricevere attraverso una serie di
gesti penitenziali, nella prospettiva della remissione di tutti i peccati già comessi, come anche il
battesimo di Giovanni ha indicato. Tutto questo comporta la confessione dei peccati.
In questa direttiva Tertulliano si richiama alla tradizione della Didaché, dove c'è l'esigenza di
preparare il candidato liberandolo dalle colpe passate: ciò richiede l'afflizione della carne e dello
spirito secondo una certa ascetica. In quersto modo si possono prevenire le temtazioni stesse.
Chi non è tentato non può entrare nel regno dei Cieli: c'è qui un riferimento a Pietro che rinnega
il Signore per ben tre volte. L'esempio più grande è quello del Signore nel deserto, subito dopo il
battesimo, durante 40 giorni di digiuno. Se ciò è vero, anche noi siamo chiamati alla penitenza
mediante il digiuno ed altre penitenze. Tertulliano continua questa idea con l'immagine di Israele
che per quaranta anni percorre il deserto prima di entrare nella terra promessa. Anche in questo
caso non sono mancate le tentazioni, come ad esempio la mormorazione del popolo contro il
Signore, presso Meriba. Allo stesso modo già nell'AT viene dimostrato che l'uomo non può solo
vivere di pane, per cui sono necessarie le penitenze (v. l'astinenza) per superare le tentazioni
stesse.
Dopo aver ricevuto il battesimo, bisogna chiedere al Signore i carismi, quali doni dello Spirito
Santo.

VITA DI SAN CIPRIANO.

A metà del III secolo la Chiesa d'Africa ebbe una personalità eccezionale in Cecilio Cipriano,
vescovo di Cartagine che svolse una funzione di primo piano nella vita della Chiesa africana e
dell'Occidente latino in genere.
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Parecchie fonti valide danno esaurienti informazioni sulla sua vita. La più importante e la più
fedele è costituita da suoi trattati e dalla sua copiosa corrispondenza. Sul suo arresto, il suo
giudizio ed il suo martirio, ci sono gli Acta proconsularia Cypriani, che si fondano sui rapporti
ufficiali. Infine, un gran numero di manoscritti conserva una Vita Cypriani che si presenta come
una biografia scritta da Ponzio, diacono di Cipriano, che condivise l'esilio del suo maestro fino
alla morte. E' il primo scritto di questo genere che sia pervenuto alla conoscenza degli studiosi
nell'ambito della storia della letteratura cristiana primitiva, anche se è privo di elementi storici di
valore ed è piuttosto caratterizzato da uno scritto composito e prolisso, imbastito di elogi verso
il maestro, sovente intenzionalmente esagerati6. Infatti, l'autore, pieno di ammirazione per il suo
eroe, voleva che «questo incomparabile e sublime esempio passasse alla storia come un
ricordo immortale».
Cecilio Cipriano7, chiamato anche Tascio, nacque fra il 200 ed il 210 nell'Africa Proconsolare,
probabilmente a Cartagine, da una famiglia ricca e molto colta. Crebbe tra gli agi e a scuola poté
seguire i corsi degli studi superiori. Come i giovani del suo tempo, si dedicò con passione
all'eloquenza che offriva le più brillanti prospettive del successo e pare che abbia esercitato la
professione di avvocato. La sua formazione letteraria fu tale che egli, nel suo stile, nella sua
forma elegante e sobria, svelerà a ogni passo un gusto da tempo coltivato e di alto livello
espressivo. Si guadagnò così a Cartagine una bella fama di retore e di maestro di eloquenza.
Intanto, oltre agli studi, si dava ai divertimenti, da facoltoso e spensierato pagano militante di
famiglia pagana. Nessuno poteva immaginare che in lui ci sarebbe stato un radicale
cambiamento, cioè che, ben presto, la sua persona mostrasse ripudio verso l'immoralità della sua
vita pubblica e privata. Egli sentiva il forte bisogno di cercare un qualcosa di più elevato. Grande
fu la crisi spirituale che lo investì tanto che egli stesso confermava:
"Giacevo nelle tenebre e come in una notte oscura; ignaro del significato della mia
vita andavo fluttuando incerto nel mare agitato di questo mondo e seguivo nel dubbio
le vie dell'errore"8.

Però, neppure si supponeva che Cipriano sarebbe approdato ad un cambiamento totale di vita,
come le sue stesse parole testimoniano:
"Allora, per i miei sentimenti e la mia vita di quel tempo, mi pareva difficile e
assurdo, quasi, ciò che la misericordia di Dio mi prometteva per la salvezza, e cioè
che uno potesse rinascere, che potesse smettere di essere quel era prima venendo a
nuova vita per il lavacro di un'acqua salutare, e che, pur restando nel suo stesso
corpo, potesse cambiare nel cuore e nell'anima. Com'è possibile - mi chiedevo - una
simile conversione"9.

6
Si tratta del panegìrico [dal greco panegyrikos (logos) '(discorso a) tutto il popolo'] che, in origine, era un
discorso che si pronunciava in un'adunanza festiva del popolo greco, con carattere suasorio ed encomiastico, e
perciò vicino all'epitaffio, all'encomio, all'elogio. Successivamente si tramutò in un componimento in prosa, in
elogio di un personaggio illustre, ad esempio il panegìrico di Plinio a Traiano. Nell'oratoria moderna, si trattava
di un discorso in onore di un santo nel giorno della sua festa.
7
Il suo nome completo - così come è citato in alcune opere - è Caecilius Cyprianus qui et Tascius, dove Tascius
sembra essere stato un soprannome. Le fonti della vita di Cipriano, oltre ad alcune notizie di Lattanzio, San
Girolamo, Sant'Agostino, sono la Vita Cypriani (CSEL, III, 3 pp. XC-CX) e gli Acta proconsularia (CSEL, III, 3
pp. CX-CXIV) redatti da contemporanei, e trattati e la corrispondenza dello stesso Cipriano (CSEL, III, 1-3).
8
Cipriano, Ad Donatum.. 3.
9
Ibid., 3.
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Da ciò si può, dunque, comprendere che la sua crisi si veniva polarizzando intorno ad un
preciso richiamo: la conversione al cristianesimo.
Sotto la direzione del prete Ceciliano10, dal quale prese il suo secondo nome, si convertì al
cristianesimo. Questo avvenimento fu uno scandalo per l'ambiente che Cipriano frequentava ed
una incredibile sorpresa per i cristiani. Lo scandalo, la sorpresa e l'ammirazione erano motivati
anche dalla radicalità del cambiamento di vita di quest'uomo che si era posto finalmente il
quesito relativo al senso della propria esistenza. Questo è un fatto che lo si può accomunare
all'esperienza di tutti i santi che hanno vissuto personalmente la conversione. Il battesimo lo
ricevette con tali disposizioni da costituire per lui un'esperienza indimenticabile, come Cipriano
stesso conferma:
"Com'è possibile - mi chiedevo - una simile conversione? ... Ma dopo che per
mezzo dell'acqua rigeneratrice mi fu lavata ogni macchia del passato e nel mio cuore
trasformato e purificato piovve la luce dall'alto, dopo che, animato dallo Spirito
celeste, una seconda nascita fece di me un uomo nuovo, allora immediatamente e in
modo meraviglioso mi si chiarì ogni dubbio, mi si dischiuse ciò che era serrato nel
mistero, mi si illuminò la tenebra, e mi parve facile ciò che prima stimavo difficile, e
possibile quel che pensavo impossibile: sicché comprendevo che proveniva dalla terra
la mia vita carnale di prima soggetta ai peccati, e che veniva invece da Dio ciò che
ormai aveva preso animazione dallo Spirito Santo"11.

Un altro elemento determinante della sua conversione - come gli studiosi suppongono - fu
l'approccio con la Sacra Scrittura, verso la quale dirotterà gran parte del suo pensiero, in modo
che la sua esperienza futura di vescovo venisse vissuta in un'atmosfera biblica, quindi in un
atteggiamento di profondo ascolto della Parola di Dio. In tal senso è anche rilevante notare come
Cipriano sia stato ispirato dalla storia dei Patriarchi nella costituzione di una delle sue opere più
significative, il De catholicae Ecclesiae unitate, dove si presenta l'arca come la figura della
Chiesa; se già Ireneo e Tertulliano avevano accennato a questa tipologia relativa all'arca, è
soprattutto Cipriano che la sottolinea inserendola in un passo decisivo del suo De catholicae
Ecclesiae unitate come le sue stesse parole lasciano intendere:
"Non può avere Dio per madre chi non ha la Chiesa per madre. Se poté salvarsi chi
restò fuori dell'arca di Noè, allora diremo che si salverà chi è fuori della Chiesa"12.

Poco dopo il battesimo fu ordinato sacerdote e tra la fine del 248 e l'inizio del 249 venne
eletto vescovo di Cartagine per acclamazione di popolo, anche se ci fu l'opposizione di alcuni
anziani presbiteri, in modo particolare di un certo Novato. Aveva appena esercitato la sua carica
per un anno, quando scoppiò la persecuzione di Decio nel 250. I motivi che spinsero l'imperatore
all'editto di sacrificare i cristiani agli dèi non sono noti. Si può supporre che, nella crisi in cui si
dibatteva allora l'impero, Decio, succedendo a sette predecessori, tutti deceduti di morte
violenta, volesse propiziarsi la divinità con le suppliche di tutti i suoi sudditi. Certo, egli non
poteva immaginare che qualcuno si sarebbe opposto; infatti, incontrò una ferma resistenza da
parte dei cristiani tanto che decise di infierire su di essi con particolare crudeltà.
A Cartagine, dopo l'iniziale momento che colse i cristiani di sorpresa, sembrò che si
ristabilisse la calma e la pace, anche perché il vescovo Cipriano si riparò in un luogo sicuro da
dove mantenne un continuo contatto con il suo gregge ed i suoi sacerdoti con frequenti
10
Il presbitero Ceciliano, cui accenna Ponzio nella sua Vita Cypriani, avrebbe intuito quello che passava
nell'anima di Cipriano, del quale doveva essere amico, e pare che gli abbia suggerito il Vangelo. Cfr. Vita
Cypriani, 4; cfr. Girolamo, De viri illistribus, 67.
11
Cipriano, Ad Donatum., 3-4.
12
Id., De catholicae Ecclesiae unitate, 6; cfr. Daniélou J., Sacramentum futuri, Parigi 1950, pp. 81-82; cfr.
Cipriano, De bono patientiae, 10.
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comunicazioni. Ma dopo un paio di mesi, all'inizio dell'aprile del 250, la persecuzione divenne
sempre più recrudescente: questa volta, insieme alla testimonianza di molti martiri, si registrò
una incredibile defezione di cristiani (i lapsi). Alcuni di questi sacrificarono in nome
dell'imperatore (sacrificati o thurificati), mentre altri, pur non sacrificando, si fecero rilasciare
dai magistrati romani dei certificati attestanti il sacrificio compiuto (i libellatici). Il ritiro di
Cipriano, però, non piacque a molti e fu particolarmente criticato in coincidenza dell'esecuzione
capitale del papa Fabiano13. Cipriano rispose alle critiche dando un resoconto particolareggiato
della propria attività e spiegò i motivi della sua decisione:
"Ho creduto necessario scrivervi per rendervi conto della mia condotta disciplinata
e accorta nello stesso tempo. Appena scoppiarono i primi moti della persecuzione,
poiché il popolaccio di frequente mi chiamò in giudizio con clamorose e violenti
manifestazioni, per salvare non tanto la mia vita, quanto la pace pubblica dei
cristiani, secondo il precetto del Signore, per il momento mi ritirai in solitudine
lontano dalla città, intendendo così non provocare maggiormente con la mia presenza
- per essi imprudente - una rivolta già scoppiata. Ma sebbene lontano col corpo, non
tralasciai di dirigere con scritti e opere i miei fratelli, secondo le mie modeste
capacità. Che cosa abbia fatto durante quel periodo di lontananza ve lo dicono
chiaramente le tredici lettere che io scrissi al mio popolo e che vi trasmisi. In esse non
mancano i consigli per il clero, incoraggiamento per i confessori, il rimprovero,
quand'era necessario, ai fuggiaschi, la parola esortatrice per tutti a implorare la
divina misericordia. Tutto questo io tentai di fare con le mie povere forze per
ispirazione del Signore, in ossequio alla sua legge" (Epistola 20).

Infatti, egli unì a questa lettera le copie delle altre tredici epistole che aveva scritto al clero, ai
confessori e alle comunità, per dimostrare che non aveva trascurato i suoi doveri di pastore. Gli
ultimi elementi di questa collezione rivelano le difficoltà insorte nel frattempo a Cartagine. La
riconciliazione degli apostati che avevano rinnegato la fede sotto la persecuzione, provocò vive
discordie, che portarono ad uno scisma. Certi confessori si attribuirono un'autorità speciale nelle
questioni religiose. Essi pretesero la riconciliazione immediata del lapsi, cioè di coloro che
avevano più o meno gravemente compromesso la propria fede. Cipriano rifiutò. Allora il diacono
Felicissimo radunò gli avversari del vescovo, che poté trovare fra i confessori ed i lapsi. Ad essi
si unirono molto presto cinque preti che avevano votato contro l'elezione di Cipriano
all'episcopato, tanto che era imminente la riammissione dei lapsi e l'elezione di un nuovo vescovo
di Cartagine, Fortunato, da opporre a Cipriano. Uno di loro, Novato, già in precedenza
ricordato, si recò a Roma per sostenere Novaziano nella sua lotta contro il nuovo papa Cornelio;
quest'ultimo venne appoggiato da Cipriano che si recò ben presto a Roma. Tuttavia, Novaziano
si mise all'opera e tramite i suoi sostenitori inviati in Gallia, in Africa, ad Alessandria e ad
Antiochia, cercò di far prevalere le sue idee. Novaziano, al contrario dei lassisti Cartaginesi,
sostenne un atteggiamento molto rigoroso nei confronti dei lapsi, sino ad arrivare a negare il
perdono anche in fin di vita. Il suo partito fece diversi proseliti pure a Cartagine, dove addirittura
si creerà un proprio vescovo nel prete Massimo.
Così, tornato a Cartagine, nella primavera del 251, Cipriano si trovò davanti ad una Chiesa
profondamente trasformata a causa delle prove che venivano dall'esterno e per le divisioni
interne. Per questa ragione scagliò solennemente l'anatema contro Felicissimo ed i suoi
partigiani. Pubblicò due lettere pastorali, in cui trattava degli apostati (De lapsis) e dello scisma
(De catholicae Ecclesiae unitate). Fu riunito un sinodo, probabilmente nel maggio del 251 che
confermò i princìpi fissati da Cipriano ed approvò la scomunica dei suoi avversari. Vi fu deciso
13
I preti e i diaconi che dirigevano la Chiesa di Roma pubblicarono la notizia di questo martirio e insieme
scrissero una lettera in cui si stupivano della fuga del vescovo di Cartagine.
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che tutti i lapsi, senza distinzione, sarebbero stati ammessi alla penitenza e riconciliati con la
Chiesa, almeno al momento della loro morte. La durata di questa penitenza doveva essere
commisurata alla gravità dei casi. Cipriano si adoperò molto nella riconciliazione degli animi per
una ripresa viva di tutta la Chiesa d'Africa14. Attraverso la sua pazienza, la dolcezza del suo
carattere e la sua fermezza riuscì a liquidare le due fazioni del lassismo e del rigorismo 15. Quanto
ai lapsi sinceramente pentiti, Cipriano adotterà verso di essi una linea ancora più mitigata. Infatti,
profilandosi nel 252 la minaccia di una nuova persecuzione, nel Concilio di Cartagine di
quell'anno verrà deciso di riammettere nella Chiesa tutti coloro che avevano fatto penitenza,
mentre ai libellatici si era già concesso il perdono nel 251.
Quando, ormai, la cristianità africana ritrovava la sua unità intorno a Cipriano, essa venne
provata da una nuova calamità che colpì per prima la Numidia la quale fu devastata da un'orda di
barbari. Molti cristiani, uomini, donne e bambini caddero in mano ai predoni; essi furono, però,
riscattati grazie anche al contributo in sesterzi che Cipriano riuscì a raccogliere a Cartagine. Ma
la vera tragedia che sconvolse l'Africa fu proprio la peste che scoppiò tra il 252 e il 254 e portò
nuove sofferenze e nuove persecuzioni per i cristiani ritenuti responsabili della collera degli dei.
Cipriano lesse in questa nuova tragedia una nuova inchiesta rivolta alla coscienza di tutti. Se la
persecuzione di Decio era stata un'interrogazione sull'amore di Dio, la peste è ora un esame
sull'amore del prossimo. Lo stesso vescovo di Cartagine dirà:
"Questa epidemia, mentre appare così orrenda e micidiale, mette al vaglio i
sentimenti del genere umano, se i sani servano gli infermi, se i parenti amino i
consanguinei, se i padroni sentano per i loro servi..." 16.

Lo zelo di Cipriano verso i malati e il caritatevole aiuto, che recò a tutti coloro che erano stati
colpiti dalla peste, contribuì molto a placare le esasperazioni dei pagani17. Purtroppo i suoi ultimi
anni furono assorbiti dalla controversia sul battesimo degli eretici.
La tradizione di Cartagine sembra abbia rifiutato categoricamente i riti da questi conferiti.
Tertulliano li dichiarò esplicitamente invalidi nel suo trattato De baptismo. Questa tesi fu, poi,
sanzionata da un grande concilio dei vescovi d'Africa e di Numidia, convocato da Agrippino
verso il 220 e fu, in seguito, confermata da tre sinodi, riuniti a Cartagine tra il 255 e il 256, sotto
la presidenza di Cipriano. Il papa Stefano (254-256), a questa notizia, replicò con un tono molto
energico. Mise in guardia la Chiesa africana contro l'introduzione di novità contrarie alla
tradizione. Cipriano non volle cambiare parere per cui la discussione si andò rapidamente
esasperando e minacciò di diventare pericolosa. A questo punto l'imperatore Valeriano promulgò
un editto contro i cristiani. Nella persecuzione che ne seguì, il papa Stefano morì per la fede e
Cipriano venne convocato e processato dal proconsole Galerio Massimo, succeduto a Paterno.
Una nuova decisione di Valeriano stabilì misure più severe contro i cristiani. Cipriano fu
dapprima esiliato a Curubi il 30 agosto 257. Un anno dopo, il 14 settembre 258, fu decapitato
presso Cartagine. E' il primo vescovo africano a subire il martirio.

14
E' estremamente importante l'attività conciliare della Chiesa d'Africa durante l'episcopato si San Cipriano. Per
questa ragione cfr. Monceaux P., Histoire littéraire de l'Afrique chrétienne, Parigi 1902, Bruxelles 1966, vol. II,
pp. 41-66.
15
La sua azione contro il novazianismo si spingerà fino in Europa, scrivendo al futuro papa Stefano per far
deporre il novazianista Marciano, vescovo di Arles; cfr. Cipriano, Ep. 68.
16
Cipriano, De mortalitate, 16.
17
Cfr. Ponzio, Vita Cypriani, 9-10. L'ultima precisazione di Ponzio, cioè che si faceva del bene anche ai non
cristiani, è particolarmente significativa e sottolinea bene lo spirito dei cristiani visto che i pagani attribuivano
proprio ai cristiani la punizione della peste. Fu questo il motivo di un nuovo inasprimento dei pagani nei
confronti della Chiesa d'Africa.
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LA DOTTRINA E LE OPERE DI SAN CIPRIANO.

A metà del III secolo la Chiesa d'Africa ebbe una personalità eccezionale in Cecilio Cipriano,
vescovo di Cartagine che svolse una funzione di primo piano nella vita della Chiesa africana e
dell'Occidente latino in genere.
Se i problemi del cristianesimo siriaco erano soprattutto ascetici e quelli del cristianesimo
alessandrino riguardavano l'area teologico-speculativa, i problemi del cristianesimo latino furono
legati all'organizzazione della Chiesa. Tre grandi questioni furono dibattute, la prima riguardante
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la disciplina della penitenza18, la seconda relativa al Battesimo e la terza relativa all'episcopato.


Difficoltà che fino ad allora erano rimaste latenti vennero alla luce: il denominatore comune fu la
presenza contemporanea di tradizioni diverse tra la Chiesa di Roma e quella di Cartagine. Fin
dalle origini la Chiesa di Roma aveva presentato una comunità complessa caratterizzata da
diversi conflitti interni tra Ippolito e Callisto e, più tardi, tra Novaziano e Cornelio. La
concezione di una Chiesa di profeti, di confessori e di vergini si contrappose a quella di un
grande popolo cristiano.
La comunità di Cartagine, invece, fu più omogenea perché non presentò la complessità della
Chiesa romana, ma anch'essa non fu priva di contrasti interni. Una delle cause primarie fu
proprio Tertulliano che, molto affine all'ambiente asiatico, si portò a posizioni di assoluta
intransigenza aderendo, poi, al montanismo. La conseguenza più immediata sarà che si
svilupperanno due concezioni diverse della Chiesa: proprio sulla questione dei lapsi, verso i quali
si era giunti ad un rigore esasperato, senza contare il problema relativo alla successione di
Fabiano, martirizzato all'inizio della persecuzione di Decio, se per Novaziano la Chiesa si doveva
identificare con un piccolo gruppo di spirituali in un conflitto inevitabile con la città terrena (si
tratta, quindi di una Chiesa di profeti e di martiri), per Cipriano ed altri vescovi la Chiesa era da
vedersi come popolo di Dio che doveva riunire tutti gli uomini. Quest'ultima visione, più
universale, doveva tener conto dei diversi livelli che necessariamente determinerà questo accesso
delle masse nella Chiesa. Vi sarà, quindi, posto per un'élite di spirituali a cui corrisponderà il
monachesimo. Ma ci dovrà essere posto anche per l'immensa folla dei cristiani comuni.
Si tratta della grande via della Chiesa della quale Cipriano e Cornelio furono i grandi
testimoni nel III secolo. Ma se nei conflitti che videro di fronte Cipriano e Cornelio sulla

18
Cipriano fu forse il testimone più eminente che il vescovo e la Chiesa si trovano in un legame molto stretto che
crea l’unione tra le Chiese diverse. Questo concetto episcopale della Chiesa fu duramente provato in due
controversie: quella della penitenza, dopo la persecuzione di Decio (250-251), cioè la prima persecuzione
imperiale contro la Chiesa. Si trattava della questione dei Lapsi. Cipriano ed i vescovi dell’Africa del Nord
stabilirono una soluzione moderata: contro la prassi antica diedero la possibilità di riammettere nella Chiesa
coloro che avevano tradito la fede. In ciò si fece distinzione tra i libellatici (coloro che avevano pagato per
ottenere il certificato che avevano reso culto agli idoli pagani), i thurificati (coloro che hanno usato l’incenso
davanti all’immagine dell’Imperatore) ed i sacrificati (coloro che avevano realmente offerto i sacrifici agli idoli
pagani). Per queste ultime due categorie, la penitenza si protraeva sino alla morte: solo in articulo mortis
potevano essere riconciliati con la Chiesa, se in essi vi era la sincera prova di un profondo pentimento. Per gli
altri traditori della fede era prevista una penitenza da tre a cinque anni, in base alla gravità del loro stato.
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 59

questione della reiterazione del Battesimo, Firmiliano di Cesarea assicurerà a Cipriano il suo
incondizionato appoggio e se Cipriano è dalla stessa parte di Novaziano in questioni come
l'anabattismo, egli difenderà tuttavia l'autorità dell'episcopato contro le pretese dei “confessori”,
condanna la ricerca sconsiderata del martirio, ammette le mitigazioni contro il rigore eccessivo
della penitenza e mantiene la comunione con il legittimo vescovo di Roma. Questo fa si che si
prepari una nuova espansione della Chiesa costantiniana, mentre le sette dei “puri”, come
Eusebio di Cesarea chiama i discepoli di Novaziano, finiranno col disgregarsi definitivamente.
Parecchie fonti valide danno esaurienti informazioni sulla sua vita. La più importante e la più
fedele è costituita da suoi trattati e dalla sua copiosa corrispondenza. Sul suo arresto, il suo
giudizio ed il suo martirio, ci sono gli Acta proconsularia Cypriani, che si fondano sui rapporti
ufficiali. Infine, un gran numero di manoscritti conserva una Vita Cypriani che si presenta come
una biografia scritta da Ponzio, diacono di Cipriano, che condivise l'esilio del suo maestro fino
alla morte. E' il primo scritto di questo genere che sia pervenuto alla conoscenza degli studiosi
nell'ambito della storia della letteratura cristiana primitiva, anche se è privo di elementi storici di
valore ed è piuttosto caratterizzato da uno scritto composito e prolisso, imbastito di elogi verso
il maestro, sovente intenzionalmente esagerati.
La riammissione di molti cristiani i quali durante la persecuzione avevano rinnegato la fede,
fu causa di scisma19. Cipriano rifiutava di riconciliare subito i lapsi a richiesta dei confessori; si
formò quindi un partito di malcontenti sotto la guida del diacono Felicissimo, al quale si
unirono 5 preti, tra i quali Novato, che si erano opposti alla elezione episcopale di Cipriano, che
poté tornare a Cartagine nel 251. Radunato un sinodo espulse dalla Chiesa i capi del partito
ribelle e stabilì che i “sacrificati”e i “thurificati”, sebbene ravveduti, dovessero sottoporsi ad una
severa penitenza; se fosse però scoppiata una nuova persecuzione avrebbero potuto ricevere
prima l’Eucaristia, rispetto al periodo designato.
Ci fu poi la peste tra il 252 e il 254 che devastò l’impero romano ed apportò ai cristiani
africani nuovi patimenti e nuove persecuzioni, soprattutto quella di Decio che si distinse per la
sua crudeltà. Gli ultimi anni della sua vita furono turbati da eresie sorte sulla questione del
battesimo. Cipriano, come Tertulliano ed altri vescovi orientali, ritenne invalido il battesimo
amministrato dagli eretici20; egli presenziò a tre sinodi tenuti a Cartagine tra il 255 e il 256.
19
Un chiaro riferimento lo possiamo indirizzare verso la figura di Novaziano, capo della Chiesa di Roma, quando
la Sede papale era ancora vacante: Probabilmente romano di nascita, fiero per la sua appartenenza alla comunità
di Roma. La sua ordinazione presbiterale ad opera di Fabiano di Roma incontrò l’opposizione del clero e della
comunità, forse a causa del fatto che aveva ricevuto il battesimo quando era gravemente infermo. Il papa Fabiano,
predecessore di Cornelio, si impressionò per le eccelse doti di Novaziano: egli si rivelò dotato di una grande
cultura retorica, filosofica e teologica; fu anzi il primo a scrivere a Roma in latino le questioni teologiche. Nella
controversia contro i lapsi sostenne dapprima l’opinione di Cipriano contro Felicissimo. Quando però nel marzo
del 251 Cornelio fu eletto papa di Roma e si mostrò indulgente verso i caduti, Novaziano si pose alla testa di un
partito rigorista e si fece consacrare antipapa da tre vescovi dell’Italia meridionale. Ebbe così inizio lo scisma che
trovò dei seguaci in Oriente e si protrasse per secoli. Nulla si sa intorno alla sua vita posteriore e alla sua fine.
Secondo alcuni sarebbe morto martire sotto Valeriano, ma questa ipotesi è molto discutibile se a lui si riferisce la
dedica Novatiano beatissimo martyri dipinta sopra una tomba in una catacomba recentemente scoperta sulla via
Tiburtina. I seguaci di Novaziano escludevano per sempre dalla Chiesa gli apostati dalla fede e più tardi anche i
colpevoli di peccati mortali. Essi si denominavano i “puri” che più tardi ritennero invalido il battesimo
amministrato dai cattolici e ribattezzavano chi passava alla loro sequela.
20
In questo contesto per Cipriano e per i vescovi dell’Africa fu sancito il principio non solo dell’autonomia della
Chiesa d’Africa, ma anche la questione relativa all’amministrazione valida del battesimo e di altri sacramenti. In
sostanza, come sostiene Cipriano solo una Chiesa Santa può conferire le cose sante, nel senso che gli eretici e gli
scismatici non possono battezzare, in quanto non hanno lo Spirito, né hanno i sacramenti. In questo modo
Cipriano si oppose alla tradizione romana e a quella alessandrina. Ma tra le lettere di Cipriano, c’è quella di un
vescovo di Cesarea di Cappadocia, nella quale si nota la medesima posizione di Cipriano e della sua Chiesa. Pur
rimanendo fermo sul fatto che il Battesimo degli eretici o scismatici non poteva essere considerato tale, Cipriano
non assunse una posizione rigorista in seno alla Chiesa, ma aprirà nella tradizione ecclesiale lo spiraglio alla
riconciliazione per coloro che avevano tradito la fede. Il principio che egli voleva difendere era quello di
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 60

Questo creò anche una controversia con papa Stefano. Nel corso della persecuzione di
Valeriano, il 14 settembre 258 Cipriano morì martire.

Circa la dottrina, S. Cipriano fu l’autorità teologica della Chiesa Occidentale sino ai tempi di
S. Agostino e di S. Gregorio Magno. Uomo di pensiero e di azione, al pari di Sant’Ambrogio,
egli divenne, malgrado una formazione teologica affrettata ed incompleta, un apprezzatissimo
testimone della Chiesa. Egli riaffermò l’antico concetto di unità della Chiesa cattolica nello
stadio di sviluppo dei suoi tempi, influenzando in maniera massiccia e durevole la dottrina della
Chiesa. Per la sua posizione lo possiamo situare in una via di mezzo tra il lassismo ed il
rigorismo.
L’Unità della Chiesa si consegue con l’unione del fedele al vescovo; chi non è in tale stato è
fuori dalla Chiesa. Per parte loro i vescovi sono collegati fra loro, oltre che dalla comune
dipendenza originaria, anche dalla “lex individuae caritatis et cooncordiae”. Allorché Cristo
conferì ad un solo, a Pietro, il potere di legare e di sciogliere, Egli ha manifestato per tutti i
secoli la sua volontà che la Chiesa sia e debba rimanere una. Cipriano paragona inoltre la Chiesa
con la veste inconsutile di Cristo. Esprime la sua convinzione intorno alla necessità
dell’appartenenza alla Chiesa per la salvezza con la formula classica: “Extra Ecclesiam nulla
salus”. Tale argomento si protrarrà fino ad Agostino.
Circa il PRIMATO ROMANO, per Cipriano mediante la potestà di governo della Chiesa,
conferita inizialmente a Pietro (Mt 16,18), l’Apostolo non solo divenne simbolo e tipo dell’unità,
ma ancora in prima linea reale divenne fondamento dell’unità che da lui e per lui è interiormente
motivata. L’investitura di Pietro è al tempo stesso la base giuridica di ogni autorità episcopale e
quindi ogni vescovo sta in connessione reale e diretta con Pietro. Questo spiega che il successivo
conferimento di un mandato agli altri Apostoli significa che per volontà di Cristo tutti gli apostoli
ebbero parte in quell’“unus episcopatus” precedente-mente conferito a Pietro e in lui fondato.
In questo senso Cipriano ha riconosciuto a Pietro una potestà attiva sopra gli altri apostoli. Con
Pietro la Chiesa originaria si è stabilita a Roma, donde è pure nata, al tempo in cui Pietro era
vescovo di Roma. Invece sul piano giurisdizionale, egli riconosce a ciascuna sede episcopale una
sua autonomia nel senso che, come si può vedere nella questione dei lapsi e in quella del
battesimo amministrato dagli eretici, Roma deve rispettare l’autorità di ogni Chiesa particolare,
capeggiata dal vescovo. Un esempio concreto è l’invalidazione del battesimo amministrato dagli
eretici, da parte di Cipriano, anche se il papa Stefano si era mostrato indulgente.
Circa la tradizione Cipriano la ritiene divina solo in quanto non trascenda il contenuto delle
Scritture. Ciò malgrado egli ha in grande stima le rivelazioni e le visioni private.
Circa il battesimo degli infanti, non vi è alcun motivo per lasciare i bambini che si trovano per
colpa di Adamo sotto il contagium mortis antique, otto giorni senza la Grazia del Signore (Ep.
64).
Circa il sacrificio del sacerdote abbiamo la ripetizione dell’offerta sacrificale di Cristo
nell’ultima Cena. La celebrazione eucaristica consiste nella oblatio e nel sacrificium: la prima è
costituita dal pane e dal vino che diventa sacrificium Christi per virtù dello Spirito Santo. Tale
sacrificio è offerto anche per i martiri. L’Eucaristia fuori della Chiesa cattolica non è valida.

L'attività letteraria di Cipriano è strettamente legata agli avvenimenti della sua vita e del suo
tempo. Tutti i suoi scritti sono dovuti a circostanze particolari e, come si è già detto, mirano a
fini pratici. Cipriano era un uomo d'azione21. Si curava più della direzione delle anime che di

sostenere che non si può dare ciò che non si ha: senza la grazia non si può conferire la grazia ad altri.
21
Era anche un uomo che intendeva difendere con fermezza tutta la tradizione ecclesiale, secondo la quale
bisognava regolare tutta la vita interna alla Chiesa. Questo è anche il periodo in cui si sviluppa la Traditio
Apostolica e la Regula fidei (o canone della fede).
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 61

speculazione teologica. Non possedeva la profondità di Tertulliano, né il suo talento letterario e


la sua ardente passione. Era invece dotato di una saggezza pratica che lo teneva lontano dalle
esagerazioni e dalle provocazioni. La sua lingua e il suo stile sono più chiari ed elaborati.
Mostrano più evidente l'influsso del vocabolario e delle immagini della Bibbia. Ma l'ammirazione
che egli nutre per Tertulliano si nota nel fatto che i suoi trattati incorporano il meglio del
pensiero del maestro. Nell'antichità cristiana, come nel Medioevo, Cipriano fu uno degli autori
più popolari, ed i suoi lavori ci sono giunti in un gran numero di manoscritti. Le sue opere si
dividono in trattati e lettere.
a) Circa i TRATTATI O LIBELLI abbiamo:
1) Ad Donatum, si tratta di una breve opera in forma di dialogo con l’amico Donato,
composta poco dopo il battesimo, che descrive la trasformazione interiore del retore
prodotta dal sacramento della rinascita; appare come un preludio delle Confessioni di S.
Agostino.
2) Quod idola dii non sint, la cui autenticità è stata più volte impugnata; questa opera
traccia, come l’altro scritto Ad Demetrianum, il quadro della società pagana del tempo.
Delle tribolazioni che hanno colpito il mondo, come la peste, la guerra, la fame e le
persecuzioni, i cristiani non hanno alcuna colpa.
3) Testimonium libri III ad Quirinum (249-250), è una raccolta di testi scritturali che
riguardano la polemica contro i Giudei, la Cristologia e lo specchio delle virtù cristiane.
L’opuscolo Ad Fortunatum de exortatione martyrii (253) contiene passi della Scrittura
atti a corroborare i cristiani in epoca di persecuzione. Entrambi questi trattati sono
importanti per la conoscenza dei testi antichi latini della Bibbia.
4) Il De catholicae Ecclesiae unitate, è un trattato che fa luce sulla personalità dell'autore e
sull'intera sua opera. Sembra prendere di mira in primo luogo lo scisma di Novaziano e,
soltanto dopo, quello di Felicissimo a Cartagine. A quanto pare il trattato non è stato
composto prima del ritorno dell'autore a Cartagine. Fu pubblicato probabilmente nel
maggio del 251, quando il sinodo si riunì. L'Epistola 54,4 conferma che Cipriano lo ha
mandato ai confessori romani ancora nel partito di Novaziano. La loro riconciliazione si
collocherebbe, al più tardi, alla fine del 251. Il trattato De catholicae Ecclesiae unitate
non ha propriamente lo scopo di dimostrare l'unità della Chiesa, ma di difendere l'unità di
ciascuna Chiesa, impersonata dal vescovo, dagli assalti degli scismatici. Questa opera
accentua e dimostra il dovere che spetta ad ogni cristiano di rimanere nella Chiesa
cattolica, cioè nell’unione con il pastore cattolico legittimo, per la salvezza dell’anima
propria: “habere non potest. Deum patrem qui ecclesiam non habet matrem”. Poco
dopo, Cipriano inviò a Roma il suo memoriale onde aiutare a combattere lo scisma
novaziano ivi sorto nel frattempo. Il capitolo 4° ci è pervenuto in una duplice recensione.
Probabilmente anche la seconda risale allo stesso Cipriano. Tuttavia essa non contiene
sostanzialmente nulla che, interpretato nella luce del pensiero generale di Cipriano, vada
oltre la concezione del primo testo.
5) De lapsis, inviato nel 251, insieme al De Ecclesiae unitate, ai confessori romani, esprime
il rammarico della defezione di tanti fratelli nel tempo della persecuzione; vi si dichiara
che la loro riammissione non può effettuarsi se non dopo la penitenza proporzionata alla
colpa.
6) De habitu virginum (249) ammonisce le vergini consacrate a Dio ad astenersi dalle vanità
e dalle feste. Vi si sente l’entusiasmo per lo stato verginale. In quest’opera, come anche in
quella dal titolo De dominica oratione e nel De bono patientiae (del 256), sermone
ispirato alla propria posizione nella controversia battesimale, si incontrano pensieri ed
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 62

espressioni, contenute negli scritti di Tertulliano aventi titolo analogo. Il De zelo et livore,
con tono di predica, è una breve esortazione alla beneficenza.

b) Circa le LETTERE22 abbiamo:


1) la collezione epistolare che è tenuta in alta stima da S. Girolamo e da S. Agostino,
utilissima per la storia contemporanea. Essa comprende ben 81 scritti dei quali 65 di mano dello
stesso Cipriano, 16 a lui diretti o rivolti al clero di Cartagine, fra i quali anche le lettere del clero
romano (l’autore è Novaziano) e di papa Cornelio negli anni 250-253.
27 Lettere furono indirizzate da Cipriano durante la persecuzione di Decio, dal luogo del suo
rifugio, al clero e al popolo della sua diocesi. 12 Lettere appartengono alla corrispondenza
tenuta con Roma, durante lo stesso periodo (dal gen. 250 al Marzo 251); altre 12 concernono lo
scisma di Novaziano e 9 riflettono la controversia battesimale. Nell’Ep. 4 si combatte l’abuso
delle sub introductae, mentre nella 63 si combatte l’usanza di celebrare l’Eucaristia adoperando
acqua al posto del vino.
Ci sono anche scritti non autentici:
a) Ad Novatianum, è una polemica contro Novaziano nella controversia sui lapsi. L’autore
sembra essere un vescovo africano che partecipa dell’opinione di Cipriano in merito alla
questione battesimale. Fu composto tra il 253 e 257.
b) De rebaptismate, composto al tempo di Cipriano, in Africa dopo il 256, difende con poca
abilità la validità del battesimo amministrato dagli eretici, contro Cipriano; intende
distinguere fra il battesimo con acqua e il battesimo dello Spirito amministrato dai vescovi
mediante l’imposizione delle mani.
c) De singularitate clericorum, tratta del celibato dei preti ed è saturo del pensiero di
Cipriano; appare composto da un vescovo africano cattolico del sec. III.
d) Adversus aleatores, è un sermone in latino volgare contro il gioco dei dadi che alimentava
le più sfrenate passioni. Colui che si dà gioco presta un culto agli idoli pagani. L’autore
sembra essere un vescovo cattolico dell’Africa, il quale scrisse intorno al 300.
e) De pascha computus, intende correggere, basandosi su passi scritturali, il ciclo pasquale
erroneo di Ippolito.
Di altri scritti pseudo-Cipriano vedere ALTANER p. 124.
Circa la penitenza si compie nella confessione delle colpe e nel rito penitenziale pubblico,
nella soddisfazione corrispondente all’entità delle colpe e nella riconciliazione che avviene dopo
il decorso del tempo fissato per la penitenza (Ep. 16,2). Il momento vero e proprio della
cancellazione delle colpe coincide con l’adempimento dell’obbligo penitenziale.
La riconciliazione è però il “pignus vitae” in quanto lo scioglimento avvenuto sulla terra è il
presupposto per lo scioglimento nel cielo.
Infine, come l’antica Chiesa in generale, anche Cipriano credeva che i martiri passassero
immediatamente al godimento della vista di Dio, mentre gli altri defunti dovevano “attendere
fino al giorno del Giudizio la sentenza del Signore.
22
C’è da dire che, per quanto riguarda l’attività epistolare di Cipriano, essa rispecchia profondamente la
spiritualità del vescovo di Cartagine che aveva una precisa idea della Comunità cristiana, in comunione con il
vescovo. Si trova anche un’idea buona dei suoi ideali spirituali. In questa stessa linea si può ritenere come fonte
del Diritto Canonico, la sua stessa attività epistolare. Queste sue lettere sono state raccolte, sia durante la vita, sia
dopo la sua morte. Tali lettere le possiamo ordinare in cinque categorie cronologiche: le Epistole 5-43 riguardano
il periodo della persecuzione di Decio (250-251); le Epistole 44-61, insieme alle Epistole 64 e 66 riguardano il
periodo del vescovo Cornelio; le Epistole 65 e 67 riguardano il periodo di Stefano I, con il quale Cipriano non
ebbe buoni rapporti; le Epistole 68-81 riguardano l’ultimo esilio di Cipriano, prima della sua morte, avvenuta con
la persecuzione di Valeriano (258). Infine, le epistole 62, 63 e 65 sono fuori serie perché non si ha esattamente il
periodo della loro composizione. Nelle Lettere Cipriano adotta un tono piuttosto familiare e popolare che
contrasta con lo stile dei Libelli, i quali dimostrano un carattere classico-retorico.
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 63

L’EPISTOLA 63 DI S. CIPRIANO.

Questa epistola è l’unico scritto ante niceno dedicato all’Eucaristia, come fu lo scritto relativo
al Battesimo di Tertulliano. L’occasione della sua composizione parte dal fatto che Cipriano si
indirizzò al vescovo Cecilio, del quale non si sa esattamente quale fosse la sua sede episcopale.
Probabilmente questa lettera fu scritta tra il 253 e 254, cioè durante il periodo relativo alla
controversia sui Lapsi e quella sul Battesimo. Cipriano scrisse questa epistola per combattere un
abuso che veniva praticato in alcune Chiese: si trattava della celebrazione eucaristica senza il
vino, ma solo con l’acqua ed il pane. Questa usanza la si incontra anche in altri ambienti, sia
ortodossi, sia eretici: essa era praticata dai cosiddetti “Acquarii”.
La struttura dell’Epistola dimostra la presenza di un trattato che si può denominare come
“Sacramento Calicis Domini”: in questa Lettera non c’è, però, un ordine sistematico. Nei primi
due capitoli si trova un prologo che rappresenta una captatio benevolentiae, in cui Cipriano dice
che in genere i vescovi seguono la tradizione e l’ordine di Cristo. Tuttavia, alcuni non lo fanno
perché celebrano l’Eucaristia senza vino, contro il comandamento del Signore. Cipriano scrive
perché sente l’obbligo di difendere la tradizione della Chiesa.
Nei capitoli dal 3 all’8, Cipriano cita e spiega diverse testimonianze tratte dalla Sacra
Scrittura, in riferimento al significato del vino. Egli fa il paragone tra il significato dell’acqua
come “sacramentum baptismi” ed il vino che, insieme al pane, è l’elemento naturale per la
celebrazione dell’Eucaristia.
Nei capitoli 9 e 10 si trova il racconto dell’Istituzione della Cena del Signore, soprattutto in
riferimento a Matteo e alla Prima Corinti. In essi si trova il centro o il nucleo di tutta la lettera
che vuole manifestare la volontà del Signore. Secondo Cipriano la commemoratio dell’Ultima
Cena esige un’imitazione esatta di Cristo. In effetti, nei racconti dell’ultima Cena non c’è alcun
accenno all’acqua, ma si parla sempre di calice di vino, mescolato con l’acqua.
Nei capitoli 11 e 12 raccoglie altre testimonianze da altri testi della Scrittura, come il Salmo
22 e l’episodio del miracolo di Cana.
Nel capitolo 13 si trova un elemento catechetico e teologico: quale simbolismo del rito
eucaristico? L’acqua ed il vino simboleggiano Cristo e la Chiesa. Il pane cotto con l’acqua è il
simbolo della riunione dei credenti.
Nel capitolo 14 Cipriano insiste ancora una volta sul comandamento del Signore: solo
imitando esattamente il sacrificio di Cristo, il sacerdote può offrire nella Chiesa il vero e pieno
sacrificio al Padre.
Nel Capitolo 15 Cipriano parla, nell’ambito del suo tempo, del legame tra il martirio e
l’Eucaristia, cioè il sangue del martire è il sangue versato: bere il sangue del martire è il versare il
sangue (sanguine bibere et fondere).
Nei capitoli 16, 17 e 18, Cipriano torna al comando di Cristo, cioè in commemorationem
Domini.
Il capitolo 19 è un epilogo ed un ammonimento finale, dove nuovamente l’autore insiste
sull’autorità del Signore.

In questa Epistola, diventa interessante notare la terminologia che sarà importante per lo
sviluppo della teologia sacramentale: ad es., i termini “sacrificium”, “oblatio”, “commemoratio”.
In secondo luogo, si può notare un buon metodo teologico di Cipriano, cioè le prove
scritturistiche e le spiegazioni simboliche. Probabilmente, qui, si trova una ripetizione della
catechesi sacramentaria della sua Chiesa. Si trova anche un insieme di elementi che sviluppano la
linea di una teologia sacramentale vera e propria, nella quale Cristo è l’autore dei Sacramenti.
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 64

L’espressione “Sacramentum Sacrificii” riconduce direttamente al mistero del sacrificio


eucaristico che è, allo stesso tempo, commemoratio e oblatio sacerdotalis (azione del
celebrante). In questo contesto ci troviamo all’inizio dello sviluppo di questa teologia
sacramentaria della Chiesa Latina.
Con questa Epistola, si ha una testimonianza significativa sul rituale della celebrazione
eucaristica, anche se non si scorge ancora la pienezza del rito che si trova nella Traditio
Apostolica. Importante è anche il simbolismo ecclesiologico che Cipriano dà al pane e al vino.
Tale simbolismo non è soltanto sacramentale, giacché il vino e l’acqua sono il simbolo
dell’unione tra Cristo e la Chiesa, quale Corpo di Cristo: nella Chiesa Antica il Corpus Christi è
soprattutto l’Eucaristia, perché indica la realtà del Corpo di Cristo. In tale contesto non c’è
ancora la mentalità del corpo mistico di Cristo.
Altrettanto importante è anche il carattere memoriale dell’Eucaristia, sul quale Cipriano
stesso insiste molto. Per Lui, essendo commemoratio, è l’immagine vera ed esatta di Cristo sulla
Croce. E’, dunque, allo stesso tempo sacrificio che il sacerdote offre al Padre, insieme
all’Assemblea della Chiesa.

Adesso, passiamo direttamente al testo di questa Epistola, qui sotto riportato, insieme alla
traduzione in italiano:

EPISTOLA LXIII.

ARGUMENTUM.—Docet Cyprianus, contra aquarios, in calice Dominico non aquam solam,


sed vinum aqua mixtum esse offerendum; per eam in Scripturis Baptismum, minime vero
Eucharistiam designari. Typis ex Veteri Testamento sumptis, usus vini in Sacramento corporis
Dominici illustratur, populumque christianum per aquae symbolum intelligi declaratur.

I. Cyprianus Caecilio fratri salutem. Quamquam I. Cipriano Cecilio fretello, salute. Benchè
sciam, frater charissime, episcopos plurimos, sappia, fratello carissimo, che molti vescovi
ecclesiis Dominicis in toto mundo divina della Chiesa del Signore, osservando la
dignatione praepositos, evangelicae veritatis ac verità del Vangelo e l’insegnamento divino e
Dominicae traditionis tenere rationem, nec ab eo
non si allontanano da quello che Cristo
quod Christus magister et praecepit et gessit
humana et novella institutionedecedere; tamen, insegnò e fece insegnare agli uomini,
quoniam quidam, vel ignoranter vel simpliciter, in nondimeno alcuni, o per ignoranza o per
calice Dominico sanctificando et plebi semplicità, non osservano nel consacrare il
ministrando non hoc faciunt quod Jesus Christus calice del Signore e nell’amministrarlo al
Dominus et Deus noster, sacrificii hujus auctor et popolo, quello che Gesù Cristo e Dio
doctor fecit et docuit, religiosum pariter ac nostro, autore e dottore di questo sacrificio,
necessarium duxi has ad vos litteras facere; ut, si fece ed insegnò. Ho creduto cosa doverosa
quis in isto errore adhuc tenetur, veritatis luce e necessaria scrivere una lettera a riguardo.
perspecta, ad radicem atque originem traditionis In modo che se qualcuno ha sbagliato, vista
Dominicae revertatur. Nec nos putes, frater in luce della verità, torni alla radice e
charissime, nostra et humana conscribere aut
ultronea voluntate hoc nobis audacter assumere, all’origine dell’insegnamento del Signore.
cum mediocritatem nostram semper humili et Non credere, fratello carissimo, che noi
verecunda moderatione teneamus. Sed quando scriviamo tanto per fare: sono i documenti
aliquid Deo inspirante et mandante praecipitur, che parlano. Quando Dio ispira e manda
necesse est Domino servus fidelis obtemperet, qualcuno è necessario che il servitore fedele
excusatus apud omnes quod nihil sibi arroganter ubbidisca al suo Signore, col timore di
assumat, qui offensam Domini timere compellitur, offenderlo se non compie quello che egli
nisi faciat quod iubetur. comanda.
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I. Per Cipriano è importante l'osservanza del Vangelo, giacché Cristo è il Mastro di ogni
uomo. Sul tema dell'Eucaristia Cipriano pone il principio secondo cui Cristo è autore di ogni
cosa, soprattutto del sacrificio eucaristico: come Criato ha fatto ed insegnato, così anche i suoi
discepoli devono fare. Coloro che non fanno come il Signore ha comandato, affinché possano
ritornare all'origine, devono osservare la tradizione del Signore. Cipriano pone l'accento
sull'umiltà, come chiave che richiama all'immagine del servo fedele, ma insiste anche sul fatto che
chi non fa come il Signore ha ordinato, offende Cristo stesso: nell'offerta del calice si deve
osservare la tradizione del Signore.

II. Admonitos autem nos scias ut in calice offerendo II. Nell’offerta del calice si osservi la
Dominica traditio servetur, neque aliud fiat a nobis tradizione del Signore e non agiamo
quam quod pro nobis Dominus prior fecerit, ut calix diversamente: offrire con una porzione di
qui in commemorationem ejus offertur, mixtus vino vino e di acqua il calice in sua memoria.
offeratur. Nam cum dicat Christus, Ego sum vitis
Infatti, quando Cristo dice: “Io sono la vera
vera (Joa. XV, 1), sanguis Christi non aqua est
utique, sed vinum. Nec potest videri sanguis ejus, vita” (Gv 15,1), il sangue di Cristo non è
quo redempti et vivificati sumus, esse in calice acqua soltanto, ma vino. Né però il sangue di
quando vinum desit calici, quo Christi sanguis Cristo, col quale ci redense e ci vivificò, sta
ostenditur, qui Scripturarum omnium sacramento ac nel calice quando v’è nel calice vino che lo
testimonio praedicetur. rappresenti, come è annunciato dal ministro e
dalla testimonianza di tutta la Scrittura.

II. C'è qui, per la prima volta, la teologia della commemorazione, dove Cristo appare come la
vera vita: il sangue non può essere acqua, ma solo vino. Su questo, San Cipriano dice che non ci
può essere alcun dubbio, giacché non si può vedere il sangue di Cristo se il vino stesso manca nel
calice. la mescolanza tra il vino e l'acqua mostra la reale natura di Cristo che assume la natura
umana. Ciò sta alla base del vero mistero sacramentale, che si pone come testimonianza centrale
di tutta la Sacra Scrittura.

III. Invenimus enim et in Genesi circa III. Infatti persino nella Genesi noi trovia-
sacramentum in Noe hoc idem praecucurrisse mo che Noè ha anticipato questo stesso
et figuram Dominicae passionis illic extitisse mistero e ci ha offerto con la sua storia una
quod vinum bibit, quod inebriatus est (Gen. figura della passione del Signore. Noè
IX, 21), quod in domo sua nudatus est, quod infatti beve vino, si ubriaca (Gen 19,21), si
fuit recubans nudis et patentibus femoribus, spoglia delle vesti tra le pareti domestiche e
quod nuditas illa patris a medio filio denotata rimane disteso sulla schiena a coscie nude.
est et foras nuntiata, a duobus vero, majore et Il secondo dei figli si accorge della nudità
minore, contecta et caetera quae necesse non del padre e porta in giro la notizia. Il padre
est exequi, cum satis sit hoc solum complecti, però viene coperto dagli altri due figli, il
quod Noe, typum futurae veritatis ostendens, maggiore ed il minore. Segue poi tutto il
non aquam sed vinum biberit, et sic imaginem racconto che non occorre ricordare. A noi
Dominicae passionis expresserit. interessa solamente ritenere questo: che
Noè, nella rappresentazione tipologica di
una realtà che doveva ancora avverarsi, non
ha bevuto acqua, ma vino, e in questo modo
ha prefigurato la passione del Signore.
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 66

III. Questo capitolo inizia con l'argomento della testimonianza ponendo al primo posto il mistero
sacramentale inziando dalla storia di Noè che è la figura della Passione del Signore. Cipriano
porta l'esempio della nudità di Noè per indicare la nudità di Cristo sulla Croce. Cipriano esprime
la figura della passione di Cristo, ponendo in evidenza gli elementi importanti della Verità che
dovrà venire. Ancora una volta Cipriano parla del vino e non dell'acqua per dimostrare che
l'Eucaristia - che esprime totalmente il frutto della Passione del Signore - non può essere
celebrata con l'acqua e senza il vino.

IV. Item in sacerdote Melchisedech sacrificii IV. Vediamo prefigurato nel sacerdote
Dominici sacramentum praefiguratum videmus, Melchisedech il mistero del sacrificio del
secundum quod Scriptura divina testatur et dicit: Signore, attestato dalla Scrittura Divina:
Et Melchisedeh, rex Salem, protulit panem et “Melchisedech, re di Salem, offrì pane e
vinum (Gen. XIV, 18). Fuit autem sacerdos Dei
vino, fu sacerdote dell’Altissimo e benedisse
summi, et benedixit Abraham. Quod autem
Melchisedech typum Christi portaret, declarat in Abramo” (Gen 14,18). Lo Spirito Santo
Psalmis Spiritus sanctus ex persona Patris ad dichiara nei Salmi che Mechisedech
Filium dicens: Ante luciferum genui te. Tu es rappresentava la figura di Cristo per la
sacerdos in aeternum secundum ordinem persona del Padre che parla al Figlio: “Ti ho
Melchisedech (Psal. CIX, 4, 5). Qui ordo utique generato prima della stella del mattino. Tu
hic est de sacrificio illo veniens et inde sei sacerdote in eterno, secondo l’ordine di
descendens, quod Melchisedech sacerdos Dei Melchisesedech” (Salmo 109,3-4). Questo
summi fuit, quod panem et vinum obtulit, quod ordine parte da quel sacrificio, quello stesso
Abraham benedixit. Nam quis magis sacerdos Dei che Melchisedech aveva offerto, il pane ed il
summi quam Dominus noster Jesus Christus, qui vino, cioè il suo corpo ed il suo sangue.
sacrificium Deo Patri obtulit, et obtulit hoc idem
quod Melchisedech obtulerat, id est panem et Questa benedizione si riferisce al nostro
vinum, suum scilicet corpus et sanguinem? Et popolo. Perché se Abramo confidò in Dio e
circa Abraham benedictio illa praecedens ad gli fu imputato a giustizia lo stesso sarà per
nostrum populum pertinebat. Nam, si Abraham chi confida in Dio e vive nella fede di
Deo credidit et deputatum est ei ad justitiam (Gen. Abramo, come il fortunato Apostolo Paolo
XV, 6.), utique quisquis Deo credit et fide vivit, dice: “Credette Abramo a Dio e gli imputò a
justus invenitur, et jam pridem in Abraham fideli giustizia. Sapete che quelli che hanno fede
benedictus et justificatus ostenditur, sicut beatus sono figli di Abramo. Per questo la
apostolus Paulus probat dicens: Credidit Abraham Scrittura, prevenendo la giustificazione dei
Deo, et deputatumest ei ad justitiam (Gal. III, 6, gentili nella fede, annunciò ad Abramo: “In
7). Cognoscitis ergo quia qui ex fide sunt, hi sunt
filii Abrahae. Providens autem Scriptura quia ex
te saranno benedette tutte le nazioni, così
fide justificat gentes Deus, praenuntiavit Abrahae quelli che appartengono alla fede sono
quia benedicentur in illo omnes gentes (Gen. XII, benedetti col fedele Abramo”” (Lc 19,9).
3). Igitur qui ex fide sunt benedicti sunt cum fideli Allorché il pontefice Melchisedech nella
Abraham. Unde in Evangelio invenimus de Genesi benedice regolarmente Abramo,
lapidibus excitari, id est de gentibus colligi filios abbiamo l’immagine del sacrificio
Abrahae (Matth. III, 9). Et cum Zachaeum consistente nel pane e nel vino; il Signore,
laudaret Dominus, respondit et dixit: Salus hodie completando e consumando questo
domui huic facta est, quia et hic filius est Abrahae sacrificio, offrì pane e calice di vino ed
(Luc. XIX, 9). Ut ergo in Genesi per acqua e così la pienezza ha realizzato la
Melchisedech sacerdotem benedictio circa
verità del tipo prefigurato.
Abraham posset rite celebrari, praecedit ante
imago sacrificii Christi, in pane et vino scilicet
constituta; quam rem perficiens et adimplens
Dominus panem et calicem mixtum vino obtulit,
et qui est plenitudo veritatis veritatem
praefiguratae imaginis adimplevit.
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 67

IV. In questo capitolo, l'autore pone come elemento più importante la figura del Sacerdote
Melchisedech, che ancora una volta prefigura il sacerdozio di Cristo, come sacerdote eterno che
offre il pane ed il vino, cioè la sua carne ed il suo sangue. Criato è il sacerdote dell'Altissimo.
Cipriano cita il Salmo 109, per indicare che lo Spirito Santo parla al nella persona del Padre al
suo Figlio Cristo Gesù. Cristo come sacerdote eterno fa la stessa cosa che Melchisedech ha
fatto, ma chi è il vero sacerdote dell'Altissimo se non Gesù Cristo che ha donato il suo Corpo ed
il suo sangue, mentre Melchisedech ha offerto il pane de il vino. Non c'è più alcun dubbio,
dunque, circa la presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche. Cipriano sottolinea anche il
fatto che noi cristiani siamo discendenti di Abramo che è nostro Padre nella fede. Solo chi crede
con fee è reputato giusto e viene giustificato. Coloro che sono nella fede sono anche figli di
Abramo. In questo ambito ci troviamo dinanzi ad una teologia antica che è di tradiziobne più
latina che orientale. La promessa che ogni popolo sia benedetto in Abramo, diventa per l'autore
la prova che ogni cristiano vero in Abramo ha incontrato la benedizione di Dio. Abramo è la
figura della vera fede ed è la chiave che preigura l'immagine del sacrificio di Cristo sotto il pane
ed il vino. Cristo ha realizzato in modo perfetto questa immagine completandola con l'offerta del
sangue mescolato con l'acqua: la pienezza in Gesù ha riempito le immagini prefigurate.

V. Sed et per Salomonem Spiritus sanctus typum V. Lo Spirito Santo annuncia tramite
Dominici sacrificii ante praemonstrans immolatae Salomone il tipo del sacrificio del Signore
hostiae et panis et vini sed et altaris et Apostolorum facendo menzione della vittima immacolata
faciens mentionem, Sapientia, inquit, aedificavit del pane, del vino, dell’altare degli Apostoli:
sibi domum, et subdidit columnas septem. Mactavit
“La sapienza si è edificata una casa, ha alzato
suas hostias, miscuit in cratera vinum suum, et
paravit mensam suam. Et misit servos suos, le sue sette colonne. Sacrificò le sue vittime,
convocans cum excelsa praedicatione ad crateram mescolò il suo vino nel cratere e celebrò la
dicens: Qui est insipiens declinet ad me. Et sua messa ed inviò i suoi schiavi, invitando
egentibus sensu dixit: Venite, edite de meis panibus, con alte grida a bere nel calice dicendo:
et bibite vinum quod miscui vobis (Prov. IX, 1-5). “Venite e mangiate dei miei pani e bevete il
Vinum mixtum declarat, id est calicem Domini aqua vino che ho mescolato per voi” (Prov. 9,1-5).
et vino mixtum prophetica voce praenuntiat, ut Parla del vino mescolato, che annuncia
appareat in passione Dominica id esse gestum quod profetica-mente la venuta del Signore,
fuerat ante praedictum. mescolato con acqua, perché si veda nella
passione del Signore il realizzarsi di quello
che prima era stato predetto.

V. Anche in Salomone si hanno le immagini prefigurate, soprattutto nelle sue parole, dove si
trova l'esempio del sacrificio di Cristo, nonché la menzione dell'altare del sacrificio. Cipriano
parla anche della Sapienza di Dio che viene edificata con la costruzione della casa che ha alzato
le sue sette colonne. Anche in questo capitolo, l'autore parla della mescolanza del vino con
l'acqua, nonché dei veri servi del Signore, cioè gli Apostoli. Il pane ed il vino indicano la
Passione del Signore e la prefigurano con quello che era già stato predetto.

VI. In benedictione quoque Judae hoc idem VI. Nella benedizione di Giuda è significata la
significatur, ubi et illic Christi figura exprimitur, stessa cosa; è espressa la figura di Cristo
quod a fratribus suis laudari et adorari haberet, perché doveva essere benedetto ed adorato
quod inimicorum dorsa cedentium atque dai suoi fratelli, perché doveva colpire il
fugientium manibus, quibus crucem pertulit et dorso dei nemici che ruggivano con le mani
mortem vicit, compressurus fuisset, quodque con le quali portò la croce e vinse la morte, e
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 68

ipse sit leo de tribu Juda, et recubet dormiens in perché è il leone di Giuda, che si accosta e
passione, et surgat, et sit ipse spes gentium. dorme nella sua passione, è la speranza delle
Quibus Scriptura divina adjungit et dicit: nazioni. A questo la Divina Scrittura
Lavabit in vino stolam suam et in sanguine aggiunge: “Laverò con vino la tua tunica ed il
uvae amictum suum (Gen. XLIX, 11). Quando sangue nel sangue dell’uva” (Gen 49,11).
autem sanguis uvae dicitur, quid aliud quam Quando si dice il sangue dell’uva, che altro
vinum calicis Dominici sanguinis ostenditur? significa se non che il vino rappresenta il
sangue ed il calice del Signore?

VI. C'è qui un'interpretazione di Cristo, che richiama al Leone di Giuda e all'immagine del
sangue quale segno di vittoria sulla morte. E' forte l'immagine dell'uva dal quale promana questo
sangue che spiega il vino del calice del Signore.

VII. Necnon et apud Esaiam hoc idem Spiritus VII. In Isaia, lo Spirito Santo dà
sanctus de Domini passione testatur dicens: Quare testimonianza della passione del Signore
rubicunda sunt vestimenta tua, et indumenta tua dicendo: “Perché sono rossi i suoi vestiti ed i
velut a calcatione torcularis pleni et percalcati suoi indumenti sono come aver pigiato e
(Isa. LXIII, 2)? Numquid rubicunda vestimenta
pressato l’uva?” (Salmo 63,2). Forse si può
aqua potest facere, aut in torculari aqua est quae
pedibus calcatur vel praelo exprimitur? Vini utique cambiare in rosso i vestiti con l’acqua, o è
mentioideo ponitur ut Domini sanguis intelligatur, et l’acqua che si comprime e si pigia con la
quod in calice Dominico postea manifestatum est pressa’. Si fa indubbiamente menzione del
Prophetis annuntiantibus praediceretur. Torcularis vino, perché nel vino è il sangue del Signore,
quoque calcatio et pressura taxatur, quia, quomodo e si annuncia con la predicazione dei profeti
ad potandum vinum veniri non potest nisi botrus quello che dopo si realizzò nel calice del
calcetur ante et prematur, sic nec nos sanguinem Signore. Si parla della pigiatura, perché come
Christi possemus bibere, nisi Christus calcatus il vino non può vendersi per bere se non si
prius fuisset et pressus, et calicem prior biberet, in pigia e non si pressa, così noi potremmo bere
quo credentibus propinaret. il sangue di Cristo se non fosse stato pigiato e
pressato.

VII. San Cipriano fa notare che chi parla nella Sacra Scrittura è proprio lo Spirito Santo: ci
troviamo dinanzi ad una teologia dell'ispirazione, il cui scopo è quello di sottolineare che con
l'acqua non si può parlare del sangue che rende rosse le vesti. Il Sangue del Signore può essere
compreso solo con l'immagine dell'uva che viene pigiato e dal quale esce il vino. Solo pigiando il
vino si può realmente bere il sangue di Cristo. In questa immagine, c'è probabilmente un
riferimento ai martiri che danno il loro sangue, allo stesso modo di Cristo.

VIII. Quotiescumque autem aqua sola in VIII. Quando si nomina l’acqua sola nelle
Scripturis sanctis nominatur, Baptisma Scritture Sante si annuncia il Battesimo,
praedicatur, ut apud Esaiam significari come in Isaia: “Ricordatevi di ciò che è
videmus: Nolite, inquit, priora meminisse et accaduto prima e non pensate al passato; è
antiqua nolite reputare: ecce ego facio nova qui che rinnovo le cose che appariranno in
quae nunc orientur, et cognoscetis, et faciam seguito. Farò una strada nel deserto e
in deserto viam, et flumina in loco correnti di acqua in luoghi aridi, per
inaquosoadaquare genus meum electum, abbeverare la mia razza eletta, il mio popolo
plebem meam, quam acquisivi, ut virtutes che ho guadagnato perché pregusti le mie
meas exponeret (Isa. XLIII, 18-21). meraviglie” (Is 43,18-21). Qui Dio ha
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Praenuntiavit illic per prophetam Deus quod annunciato tramite il profeta che nelle
apud Gentes in locis quae inaquosa prius nazioni, in luoghi aridi abbonderà l’acqua ed
fuissent, flumina postmodum redundarent et abbevererà la razza eletta di Dio, cioè quelli
electum genus Dei, id est per generationem che per la rigenerazione del battesimo si
Baptismi filios Dei factos, adaquarent. Item, sono fatti figli di Dio. Di nuovo si
denuo praecanitur et ante praedicitur preannuncia e si predice che i Giudei
Judaeos, si sitierint et Christum quaesierint, verranno nella nostra acqua, cioè
apud nos esse potaturos, id est Baptismi riceveranno la grazia del Battesimo: “Se
gratiam consecuturos: Si sitierint, inquit, per avranno sete, nel deserto, porteranno s loro
deserta adducet illos, aquam de petra dell’acqua, uscita dalla pietra, si aprirà la
producet illis, findetur petra, et fluet aqua, et roccia ed uscirà l’acqua e berrà il mio
bibet plebs mea (Isa. XLVIII, 21). Quod in popolo” (Is 48,21). Questo avviene nel
Evangelio adimpletur, quando Christus, qui Vangelo, quando Cristo, che è pietra, si
est petra, finditur ictu lanceae in passione: qui apre al colpo della lancia nella passione.
et admonens quid per prophetam sit ante Cristo ci insegna quel che prima predisse il
praedictum clamat et dicit: Si quis sitit, veniat profeta con queste parole: “” Se qualcuno
et bibat. Qui credit in me, sicut Scriptura ha sete, venga e beva. Chi crede in me,
dicit, flumina de ventre ejus fluent aquae come dice la Scrittura, usciranno dal loro
vivae (Joan. VII, 37-39). Atque, ut magis ventre correnti di acqua viva (Gv 7,37-39).
posset esse manifestum quia non de calice sed E perché potesse apparire più chiaramente
de Baptismo illic loquitur Dominus, addidit che il Signore parla in questo punto non del
Scriptura dicens: Hoc autem dixit de Spiritu calice, ma del battesimo, la Scrittura
quem accepturi erant qui in eum credebant. afferma: “Questo riguardava lo Spirito, che
Per Baptisma enim Spiritus sanctus accipitur, dovevano ricevere quelli che credevano in
et sic a baptizatis et Spiritum sanctum lui”. Tramite il battesimo si riceve lo Spirito
consecutis ad bibendum calicem Domini Santo, e dopo di essere stati disprezzati e di
pervenitur. Neminem autem moveat quod, avere ricevuto lo Spirito Santo, si porta a
cum de Baptismo loquatur Scriptura divina, bere il calice del Signore. Nessuno si
sitire nos dicit et bibere, quando et Dominus impressioni di quanto la Divina Scrittura
in Evangelio dicat: Beati esurientes et afferma del battesimo, dato che il Signore
sitientes justitiam (Matth. V, 6); quia quod dichiara nel Vangelo: “Felici quelli che
avida et sitienti cupiditate suscipitur, plenius hanno fame e sete di giustizia” (Mt 5,6);
et uberius hauritur. Sicut et alio loco ad perché quel che si afferra con avidità ed
Samaritanam mulierem Dominus loquitur ansietà si piglia con più pienezza ed
dicens: Omnis qui biberit ex aqua ista, sitiet abbondanza. Come in un altro luogo dice il
iterum: qui autem biberit ex aqua quam ego Signore alla Samaritana: “Ognuno che beve
dedero, non sitiet in aeternum (Joan. IV, 13, di questa acqua avrà di nuovo sete e non
14). Quo et ipsum Baptisma salutaris aquae avrà più sete” (Gv 4,13). Con questo si vuol
significatur, quod semel scilicet sumitur, nec significare che il battesimo dell’acqua della
rursus iteratur. Caeterum calix Domini in salvezza, una volta ricevuto, non si rinnova;
Ecclesia semper et sititur et bibitur. invece il calice del Signore, nella Chiesa,
sempre si desidera e si beve.

VIII. San Cipriano anticipa già qualcosa che è presente nel cap. IX: si tratta dell'acqua come
figura del Battesimo, ma che non ha nulla a che fare con l'Eucaristia. Egli continua il discorso sul
Battesimo, sottolineandone l'azione della grazia, ma non di quella sacramentale, per dire che
coloro che celebrano l'Eucaristia probabilmente confondono l'immagine dell'acqua dell'AT, la
quale può soltanto avere un significato legato alla grazia battesimale.
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IX. Nec argumentis plurimis opus est, frater IX. Non sono necessari molti argomenti,
charissime, ut probemus appellatione aquae fratello carissimo, per provare che con la
Baptisma significatum semper esse et sic nos denominazione di acqua si è sempre
intelligere debere, quando Dominus adveniens significato il battesimo, e così bisogna
Baptismi et Calicis manifestaverit veritatem, intenderlo dato che il Signore venendo a
qui aquam illam fidelem, aquam vitae aeternae, questo mondo ha rilevato la verità del
praeceperit credentibus in Baptismo dari, battesimo ai credenti, ed ha insegnato che il
calicem vero docuerit exemplo magisterii sui calice avrebbe contenuto acqua e vino.
vini et aquae conjunctione misceri. Calicem Prendendo il calice nel giorno della passione,
etenim sub die passionis accipiens, benedixit et lo benedisse, lo diede ai suoi discepoli
dedit discipulis suis dicens: Bibite ex hoc dicendo: “Bevetene tutti. Questo è il sangue a
omnes. Hic est enim sanguis novi testamenti, testamento, che si spargerà per molti per la
qui pro multis effundetur in remissionem pecca- remissione dei peccati. Vi dico che non berrò
torum. Dico vobis, non bibam amodo ex ista più di questo prodotto della vite fino al giorno
creatura vitis usque in diem illum quo vobiscum in cui berrò con voi il nuovo vino nel regno di
bibam novum vinum in regno Patris mei mio Padre” (Mt 26,28-29). In questo
(Matth. XXXVI, 28, 29). Qua in parte passaggio vediamo come il calice era
invenimus calicem mixtum fuisse quem composto. Si deduce che non si offre il
Dominus obtulit, et vinum fuisse quod sangue di Cristo, se non si versa il vino nel
sanguinem suum dixit. Unde apparet sanguinem calice, né si celebra il sacrificio del Signore
Christi non offerri si desit vinum calici, nec legittimamente, se non corrispondono alla
sacrificium Dominicum legitima sanctificatione passione la nostra oblazione ed il nostro
celebrari nisi oblatio et sacrificium nostrum sacrificio. Come berremo nel regno del Padre
responderit passioni. Quomodo autem de con Cristo il vino del prodotto della vite, se
creatura vitis novum vinum cum Christo in non offriamo nel sacrificio di Dio Padre e di
regno Patris bibemus, si in sacrificio Dei Patris Cristo il vino, né mescoliamo il calice secondo
et Christi vinum non offerimus, nec calicem l’insegnamento del Signore?
Domini Dominica traditione miscemus?

IX. In questo capitolo, Cipriano dice che non c'è bisogno di tanti argomenti per dimostrare la
differenza tra l'acqua che indica il Battesimo e ciò che caratterizza la presenza di Cristo in mezzo
agli uomini, simboleggiata dall'unione dell'acqua con il vino: nel calice sono presenti l'acqua ed il
vino che significano, in modo intelligibile, la realtà sia del battesimo, sia dell'Eucaristia. Ciò è
dato a conoscere ai cristiani che credono: l'acqua di vita eterna non si trova non nell'Eucaristia,
ma solo nel Battesimo, mentre la mescolanza tra l'acqua e il vino celebra il vero sacrificio di
Cristo. Si tratta del contesto dell'Ultima Cena, dove Cristo dice chiaramente che il vino è il suo
sangue. Allora non si può celebrare il suo sacrificio, senza il vino. Cipriano lascia intravedere al
lettore la sua esperienza della legge, mediante la quale - per la prima volta - parla di legittimità
del sacrificio di Cristo. Il Sacrificio è legittimo solo se è celebrato con il vino e solo se risponde
realmente alla Passione di Gesù. In questo modo Cipriano, richiama nuovamente alla tradizione
del Signore e all'offerta del sacrificio eucaristico come il Signore stesso ha voluto.

X. Beatus quoque apostolus Paulus, a Domino X. Anche il fortunato Apostolo Paolo, eletto
electus et missus et praedicator veritatis ed inviato dal Signore, costituito in modo
evangelicae constitutus, haec eadem in Epistola particolare nella verità evangelica, nelle sue
sua ponit dicens: Dominus Jesus in qua nocte lettere dice: “Il Signore Gesù, nella notte in
tradebatur accepit panem, et gratias egit et cui veniva tradito, prese il pane, diede grazie,
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fregit et dixit: Hoc est corpus meum quod pro lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo, che
vobis tradetur. Hoc facite in meam è per voi. Fate questo in memoria di me”.
commemorationem. Simili modo et calicem, Nella stessa maniera prese il calice dopo aver
postquam coenatum, est accepit dicens: Hic cenato e disse: “Fate questo ogni volta che
calix novum testamentum est in meo sanguine. berrete in mia memoria. Ogni volta che
Hoc facite, quotiescumque biberitis, in meam mangerete questo pane e berrete questo calice
commemorationem. Quotiescumque enim annunzierete la morte del Signore fino alla
ederitis panem istum et calicem biberitis, mia venuta”” (1Cor 11,23-26). Allora, se
mortem Domini annuntiabitis quoadusque questo mandato del Signore, confermato ed
veniat (I Cor. II, 23-26) . Quod si et a Domino insegnato dall’Apostolo, che cioè quando
praecipitur, et ab Apostolo ejus hoc idem beviamo il calice, facciamo in memoria del
confirmatur et traditur, ut quotiescumque Signore quello che il Signore ha fatto; è
biberimus, in commemorationem Domini hoc chiaro che non osserviamo il comando se non
faciamus quod fecit et Dominus, invenimus non facciamo anche quello che fece il Signore e ci
observari a nobis quod mandatum est, nisi separiamo dal magistero divino se non
eadem quae Dominus fecit nos quoque mescoliamo allo stesso modo il calice. Per
faciamus, et calicem Domini pari ratione nessun motivo dobbiamo allontanarci dai
miscentes a divino magisterio non receda-mus. comandamenti del Vangelo; l’Apostolo
Ab evangelicis autem praeceptis omnino insegna che i discepoli osservino e compiano
recedendum non esse, et eadem quae magister quel che insegnò e fece il maestro: “Mi
docuit et fecit discipulos quoque observare et sorprende che per così poco voi possiate da
facere debere, constantius et fortius alio in loco colui che vi ha chiamato alla grazia ad un
beatus Apostolus docet dicens: Miror quod sic altro Vangelo, benché non ci sia un altro
tam cito demutamini ab eo qui vos vocavit ad Vangelo; però vi sono alcuni che vi turbano e
gratiam, ad aliud evangelium, quod non est tentano di cambiare il Vangelo di Cristo. Ma
aliud, nisi si sunt aliqui qui vos conturbant et anche se per un angelo del cielo vi viene
volunt convertere Evangelium Christi. Sed, annunciata una cosa diversa da quella che vi
licet aut nos aut Angelus de coelo aliter abbiamo annunziato, sia anatema. Come già vi
annuntiet praeterquam quod annuntiavimus ho detto, ed ora ripeto: se qualcuno vi
vobis, anathema sit. Sicut praediximus, et nunc annunzierà qualcosa di diverso da quello che
iterum dico: Si quis vobis annuntiaverit avete appreso, sia anatema” (Gal 1,6-9).
praeterquam quod accepistis, anathema sit
(Gal. I, 6-9).

X. L'autore usa, poi, un'altra testimonianza scritturistica partendo dall'Apostolo Paolo che
chiama l'attenzione degli uditori al contesto dell'Ultima Cena, confermando quello che gli altri
evangelisti, come ad es., Matteo, hanno detto. Cipriano ha citato prima Matteo e poi Paolo, per
il semplice fatto che se in Paolo non c'è la menzione del vino, in Matteo si trova in modo molto
esplicito. Qui è interessante notare come Cipriano segua la tradizione del tempo.
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18/12/2000 - Lettura Liturgica dei Padri - 8a. Lezione, Prof. Ephrem Carr osb.

Riprendiamo San Cipriano, nella sua Epistola 64, al capitolo X, già trattato in parte nella
lezione precedente: San Cipriano ritorna al comando del Signore. Ogni volta che si celebra il
sacrificio del Signore, cioè la sua commemorazione, lo si deve fare allo stesso modo in cui il
Signore ha fatto. Il precetto del Signore non è osservato se non si fa la stessa cosa che il Signore
ha comandato e ha fatto. Nel mescolare il vino con l'acqua non ci si allontana dalla tradizione del
Signore, né dai precetti evangelici, né dalla tradizione della Chiesa. Tutti devino osservare e
compiere allo stesso modo di Cristo, secondo anche quello che Lui ha insegnato. Cipriano, poi,
esprime una certa sorpresa contro coloro che hanno abbandonato il Vangelo di Cristo per aderire
ad un altro Vangelo. Coloro che predicano ed insegnano una cosa diversa da quella predicata ed
insegnata da Cristo, siano condannati, cioè ritenuti anatemi. San Cipriano si mostra molto
determinato in questo argomento, difendendo, così, la sana tradizione della Chiesa.

XI. Cum ergo neque ipse Apostolus neque XI. Dato che né lo stesso Apostolo né un
Angelus de coelo annuntiare possit aliter aut angelo del cielo possono annunciare in un
docere praeterquam quod semel Christus altro modo, o insegnare cose diverse da
docuit et Apostoli ejus annuntiaverunt, miror quelle che una volta ha insegnato Cristo, mi
satis unde hoc usurpatum sit ut, contra sorprende non poco il pensiero di dove
evangelicam et apostolicam disciplinam, possa venire l’uso di offrire il calice del
quibusdam in locis aqua offeratur in Signore, contrario all’insegnamento del
Dominico calice, quae sola Christi sanguinem Vangelo e dell’Apostolo; l’acqua sola non
non possit exprimere. Cujus rei sacramentum esprime il sangue di Cristo. Lo Spirito
nec in Psalmis tacet Spiritus sanctus faciens Santo non richiama il mistero di questo
mentionem dominici calicis et dicens: Calix sangue nei Salmi, ricordando il calice del
tuus inebrians perquam optimus (Psal. XXII, Signore: «Il tuo calice che ubriaca è più
5). Calix autem qui inebriat, utique vino eccellente»? (Ps 22, 6). Il calice che ubriaca
mixtus est: neque enim aqua inebriare certamente contiene vino, perché l’acqua
quemquam potest. Sic autem calix Dominicus non può ubriacare. Il calice del Signore
inebriat ut et Noe in Genesi vinum bibens ubriaca come si ubriacò Noè nel Gcnesi,
inebriatus est. Sed, quia ebrietas Dominici bevendo vino. Però la ubriaeatura del calice
calicis et sanguinis non est talis qualis est del Signore e del suo sangue non è come
ebrietas vini saecularis, cum diceret Spiritus quella del vino profano, poiché dice lo
sanctus in Psalmo, Calix tuus inebrians, Spirito Santo nel Salmo: «Il tuo calice che
addidit perquam optimus, quod scilicet calix ubriaca è più eccellente», cioè il calice del
Dominicus sic bibentes inebriat ut sobrios Signore ubriaca in tal modo quelli che be-
faciat, ut mentes ad spiritalem sapientiam vono da renderli sobri, da condurre gli
redigat, ut a sapore isto saeculari ad animi alla sapienza intellettuale, da
intellectum Dei unusquisque resipiscat, et allontanare ciascuno da questo sapore
quemadmodum vino isto communi mens profano e portarlo alla saggezza della
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solvitur et anima relaxatur et tristitia omnis conoscenza di Dio e come con questo vino
exponitur, ita, epotato sanguine Domini et comune si perde la ragione e si rilascia
poculo salutari, exponatur memoria veteris l’anima e passa ogni tristezza; cosi bevendo
hominis, et fiat oblivio conversationis il sangue del Signore ed il calice della
pristinae saecularis, et moestum pectus ac salvezza si dissipa il ricordo dell’uomo
triste, quod prius peccatis angentibus vecchio, si dimentica la condotta anteriore
premebatur, divinae indulgentiae laetitia del mondo e la tristezza che prima
resolvatur; quod tunc demum potest opprimeva l’animo con i peccati. Può
laetificare in Ecclesia Domini bibentem, si rallegrarsi colui che beve nella Chiesa del
quod bibitur Dominicam teneat veritatem. Signore, se quello che beve è conforme alla
verità del Signore.

Nel capitolo XI, Cipriano dice che non riesce a comprendere come alcuni usino l'acqua nel
calice, contro ogni insegnamento di Cristo e degli Apostoli: in realtà, l'acqua sola non può
esprimere il sangue di Cristo, né celebrare il sacrificio della Messa. L'acqua sola non può
esrpimere il sangue di Cristo. Dunque, l'autore inizia ad usare un certo linguaggio teologico-
sacramentario per distinguere tra sacramento ed i sacramentari. Anche in questo caso, Cipriano
richiama alla presenza e all'azione dello Spirito Santo, che parla anche nei Salmi, per menzionare
il calice del Signore che deve essere il più eccellente possibile. E' un calice che contiene il vino
che inebria: l'acqua non ha lo stesso effetto del vino. Essa non ubriaca. Cipriano si richiama
nuovamente alla storia di Noè. Cipriano fa però una distinzione tra l'ebrezza del vino contenuto
nel calice e l'ebrezza del vino profano: sono due effetti ben diversi, perché il primo indica l'azione
dello Spirito Santo che è presente nella celebrazione dell'Eucaristia ed agisce spiritualmente (v.
Salmo 22). Questo calice del Signore inebria, a non toglie la sobrietà a coloro che bevono al
calice del Signore: esso coduce alla vera sapienza. L'ebrezza del vino nel calice conduce alla vera
conoscoenza delle cose ed è ben lontana dagli effetti dell'ebrezza del vino profano. Il vino del
calice porta l'uomo alla conversazione con Dio, alla comunione con Lui, staccandolo dalla sua
realtà di miseria. Non si è più nella tristezza che opprime l'anima, a causa dei peccati, ma si è
nella gioia e della divina indulgenza e del perdono autentico di Dio. Cipriano dice che possiamo
ralegrarci se si beve al calice della Chiesa e se si agisce conformi alla verità divina del calice del
Signore.

XII. Quam vero perversum est quamque XII. Quanto è contrario a quel che fece il
contrarium ut, cum Dominus in nuptiis de Signore, quello che facciamo noi! Il mistero
aqua vinum fecerit (Joan. II, 7) , nos de vino di quel miracolo deve avvertirci che nei
aquam faciamus, cum sacramentum quoque sacrifici del Signore dobbiamo offrire vino
rei illius admonere et instruere nos debeat ut buono. Perché i Giudei, non avendo la
in sacrificiis Dominicis vinum potius grazia spirituale, non avevano il vino; la
offeramus. Nam, quia apud Judaeos defecerat vigna del Signore degli eserciti era la casa di
gratia spiritalis, defecit et vinum: vinea enim Israele. Cristo nel, manifestare la venuta del
Domini sabaoth domus erat Israël (Isa. V, 7). popolo dei Gentili, e che avremmo
Christus autem, docens et ostendens gentium occupato noi il posto dei Giudei, per il
populum succedere, et in locum quem Judaei merito della fede, converti l’acqua in vino,
perdiderant nos postmodum merito fidei cioè annunciò che il popolo dei gentili
pervenire, de aqua vinum fecit, id est, quod avrebbe ascoltato, e si sarebbe unito in
ad nuptias Christi et Ecclesiae, Judaeis massa al Cristio e alla sua Chiesa. In effetti
cessantibus, plebs magis gentium conflueret la Scrittura Divina dichiara nell’Apocalisse
et conveniret ostendit. Aquas namque che le acque significano il popolo, quando
populos significare in Apocalypsi Scriptura dice: “Le acque che hai visto, sopra di cui
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 74

divina declarat dicens: Aquae quas vidisti, siede quella meretrice, sono i popoli, le
super quas sedet meretrix illa, populi et moltitudini, le nazioni e le lingue” (Ap
turbae et gentes ethnicorum sunt et linguae 17,15). Questo in verità vediamo realizzarsi
(Apoc. XVII, 15). Quod scilicet perspicimus nel mistero del calice.
et in sacramento calicis contineri.

XII. Cipriano richiama all'episodio delle Nozze di Cana, quando l'acqua viene trasformata in
vino. C'è ancora l'idea del sacramentum rei, cioè del mistero sacramentale, per il quale deve
essere offerto il vino migliore. Il vino non può essere acetoso se deve essere offerto per la
celebrazione dell'Eucaristia: si tratta della materia pèrincuipale del sacramento dell'Eucaristia. In
questo senso, l'autore oppone i Giudei ai Cristiani: i primi, essendo primi della grazia spirituale,
non possono il vino come frutto della vigna del Signore. La vera grazia spirituale, che viene
espressa nelle Nozze di Cana, sta nel vino che si riceve. La vera Vigna del Signore indica la
presenza della vera casa di Israele, ma anche in questo caso Cipriano sottolinea l'insegnamento e
l'azione del Signore. Le Nozze di Cana indicano che la nuova vigna del Signore è il nuovo
Israele che ha creduto nel Signore: il vecchio popolo di Israele per aver mancato nella fede, ha
perso l'eredità promessa. il banchetto nuziale di Cristo è per coloro che hanno aderito al suo
insegnamento e ai suoi santi precetti. Il posto dei Giudei è preso dal nuovo popolo di Dio,
inidicato con il termine latino di "plebs sancta".

XIII. Nam, quia nos omnes portabat Christus, XIII. Infatti, poiché Cristo portando i nostri
qui et peccata nostra portabat, videmus in aqua peccati, ci portava tutti, vediamo che
populum intelligi, in vino vero ostendisanguinem nell’acqua vi era tutto il popolo e nel vino il
Christi. Quando autem in calice vino aqua sangue di Cristo. Quando nel calice si
miscetur, Christo populus adunatur, et credentium
mescola l’acqua col vino, il popolo si
plebs ei in quem credidit copulatur et conjungitur.
Quae copulatio et conjunctio aquae et vini sic mescola con Cristo, la massa dei fedeli
miscetur in calice Domini ut commixtio illa non aderisce insieme a chi lo ha creato. Questa
possit ab invicem separari. Unde et Ecclesiam, id mescolanza ed unione dell’acqua con il vino
est plebem in Ecclesia constitutam, fideliter et avviene nel calice del Signore, in modo
firmiter in eo quod credidit perseverantem, nulla indissolubile. Per questo nulla può separare
res separare poterit a Christo quominus haereat da Cristo la Chiesa, cioè il popolo che è
semper et maneat individua dilectio. Sic autem in nella Chiesa e che crede fermamente, ma ci
sanctificando calice Domini offerri aqua sola non sarà sempre più unione nella carità. Per
potest, quomodo nec vinum solum potest. Nam, si questo, quando si consacra il calice del
vinum tantum quis offerat, sanguis Christi incipit Signore, non si può offrire solo acqua,
esse sine nobis: si vero aqua sit sola, plebs incipit
esse sine Christo. Quando autem utrumque
come non si può offrire solo vino, perché
miscetur et adunatione confusa sibi invicem hel primu caso Cristo è senza di tioi, nel
copulatur, tunc sacramentum spiritale et coeleste secondo il popolo rimane senza Cristo.
perficitur. Sic vero calix Domini non est aqua sola Quando si mescolano ambedue e diventano
aut vinum solum, nisi utrumque sibi misceatur, una sola cosa, allora si realizza il mistero
quomodo nec corpus Domini potest esse farina spirituale e celestiale. Cosi il calice del
sola aut aqua sola, nisi utrumque adunatum fuerit Signore non è acqua soltanto o vino
et copulatum et panis unius compage solidatum. soltanto, ma si znesèola insieme nella
Quo et ipso sacramento populus noster ostenditur fusione di un solo pane. Questo stesso
adunatus; ut, quemadmodum grana multa in mistero raffigura il nostro popolo; come
unum collecta et commolita et commixta panem
unum faciunt, sic in Christo, qui est panis
molti grani riuniti, stritolati e mescolati,
coelestis, unum sciamus esse corpus, cui compongono un solo pane, cosi in Cristo,
conjunctus sit noster numerus et adunatus. che è pane del cielo, vi è un solo diversità. -
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corpo; in esso è fondata l’unità e la


diversità.

XIII. Anche in questo capitolo si nota l'argomento delle acque che indicano la moltitudine dei
popoli, delle lingue e delle nazioni, fra i quali si distingue il popolo di Dio. Nel calice non c'è solo
il mistero di Cristo, ma anche della Chiesa: in questo frangente si nota una giustapposizione di
Cipriano tra l'acqua come simbolo del vecchio popolo ed il vino come simbolo del nuovo popolo
che si nutre alla vigna del Signore, Questa simbologia esprime la presenza della Chiesa nel calice.
Ciò offre un'importante ed una significativa lettura ecclesiologica e sacramentaria della Chiesa:
tutti i cristiani sono presenti nel calice del Signore, mediante questa mescolanza del vino con
l'acqua. In realtà, Cristo ha portato su di se i nostri peccati per cui il vino è il segno del sangue di
Cristo, mentre l'acqua è il segno della presenza del popolo nel sacrificio, tanto da essere
comgiunto in Cristo. Il popolo che crede è congiunto a Colui al quale ha creduto. E' il segno
completo delle nozze con Cristo, unito al vino e all'acqua come simboli di questa meravigliosa
realtà, dove i credenti non possono essere più separati allo stesso modo in cui non si può più
separare il vino dall'acqua. Sulla realtà della Chiesa Cipriano segue ancora il senso più antico
dell'Ecclesia Christi. Ancora una volta, Cipriano ribadisce che non si può offrire il sacrificio solo
con l'acqua, ma stavolta aggiunge che neppure solo con il vino, giacché soggiace una ragione
teologica secondo la quale ambedue gli elementi, l'acqua ed il vino devono essere presenti nella
celebrazione eucaristica. Se si offre soltanto il vino, si ha il sangue di Cristo, ma senza i credenti
in Lui, mentre se si offre solo l'acqua non ci può essere il sangue di Cristo, senza il quale non si
ha alcun sacrificio eucaristico della Chiesa. Con ambedue gli elementi si ha il vero sacramento
come mistero spirituale e celeste che è reso perfetto nel sacrificio eucaeristico.
Cipriano passa a parlare, poi, nache del pane, quale Corpo reale di Cristo: esso non può fare a
meno dell'acqua e della farina. Dunque, l'acqua e la farina sono elementi inseparabili, per fare il
pane. Con essi si ha il simbolo del popolo di Dio che diventa una cosa sola. Se si ha il corpo di
Cristo, esso è formato da molte membra che sono uniti in un'unica realtà sacramentale.

XIV. Non est ergo, frater charissime, quod aliquis XIV. In coscienza, fratello carissimo,
existimet sequendam esse quorumdam nessuno condivida l’operato di alcuni che in
consuetudinem, si qui in praeteritum in calice tempo addietro pensarono di offrire nel
Dominico aquam solam offerendam putaverunt. calice del Signore solo acqua. Poiché se nel
Quaerendum est enim ipsi quem sint secuti. Nam,
sacrificio, offerto da Cristo non bisogna
si in sacrificio quod Christus obtulit, non nisi
Christus sequendus est, utique id nos obaudire et seguire che Cristo, certamente noi
facere oportet quod Christus fecit et quod dobbiamo ubbidire a quello che Cristo fece
faciendum esse mandavit, quando ipse in e prescrisse. Dice nel Vangelo: “Se fate
Evangelio dicat: Si feceritis quod mando vobis, quello che vi prescrivo, non vi chiamerò più
jam non dico vos servos, sed amicos (Joan. XV, servi, ma amici” (Gv 15, 14-15). Che
14, 15). Et quod Christus debeat solus audiri, bisogna ubbidire a Cristo lo testimonia il
Pater etiam de coelo contestatur dicens: Hic est Padre dal cielo con queste parole: “Questo
filius meus dilectissimus in quo bene sensi, ipsum è il mio Figlio diletto in cui mi sono
audite (Matth. XVII, 5). Quare, si solus Christus compiaciuto, ascoltatelo” (Mt 17, 5). Per
audiendus est, non debemus attendere quid alius cui se bisogna ascoltare Cristo,
ante nos faciendum esse putaverit, sed quid qui
ante omnes est Christus prior fecerit. Neque enim
nondobbiamo ascoltare quello che pensia-
hominis consuetudinem sequi oportet, sed Dei mo noi, ma quello che fece Lui per primo.
veritatem, cum per Esaiam prophetam Deus Poiché la regola unica è seguire la verità
loquatur et dicat: Sine causa autem colunt me, divina. Dio parla per bocca di Isaia e dice:
mandata et doctrinas hominum docentes (Isa. “Invano mi renderanno il culto, se
XXIX, 13). Et iterum Dominus in Evangelio hoc insegnano precetti e dottrine umane” (Is 29,
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idem repetat dicens: Rejicitis mandatum Dei, ut 13). Il Signore ripete nel Vangelo: “Cercate
traditionem vestram statuatis (Marc. VII, 13). per primo i precetti del Signore, poi il vo-
Sed et alio in loco ponit et dicit: Qui solverit stro insegnamento” (Mc 7, 9). Chi trasgre-
unum ex mandatis istis minimis, et sic docuerit disce uno di questi minimi precetti ed
homines, minimus vocabitur in regno coelorum
insegnerà così agli uomini, sarà il più
(Matth. V, 19). Quod si nec minima de mandatis
Dominicis licet solvere, quanto magis tam magna, piccolo nel regno dei cieli” (Mt 5, 19). E se
tam grandia, tam ad ipsum Dominicae passionis non si può infrangere il più piccolo dei
et nostrae redemptionis sacramentum pertinentia precetti del Signore, quanto più non sarà
fas non est infringere, aut in aliud quam quod lecito violare cose importanti, tanto gravi,
divinitus institutum sit humana traditione mutare? tanto ragionevoli, come lo stesso mistero
Nam, si Jesus Christus Dominus et Deus noster della Passione del Signore e della nostra
ipse est summus sacerdos Dei Patris, et Redenzione e cambiare con un insegna-
sacrificium Patri se ipsum primus obtulit, et hoc mento umano quanto è stato stabilito da
fieri in sui commemorationem praecepit, utique Dio? Se Cristo Gesù e Signore Dio nostro è
ille sacerdos vice Christi vere fungitur qui id quod sommo sacerdote di Dio Padre e fu il primo
Christus fecit imitatur, et sacrificium verum et
plenum tunc offert in Ecclesia Deo Patri, si sic ad offrirsi in sacrificio al Padre e lo
incipiat offerre secundum quod ipsum Christum prescrisse in sua memoria, non c’è dubbio
videat obtulisse. che compie l’ufficio di Cristo quel sacerdote
che riproduce quello che Cristo fece, e offre
nella Chiesa, a Dio Padre, il sacrificio vero e
pieno offerto già da Cristo.

XIV. Anche in questo capitolo Cirpiano insiste nuovamente sull'importanza di osservare i


comandamenti e gli insegnamenti del Signore, come condizione essenziale del cristiano. Non si
tratta di un'usanza qualsiasi. Il sacrificio di Cristo va seguito fedelmente nell'obbedienza al
comando del Signore. Si nota qui un uso interessante il passo di Gv 15, che non si trova nel
contesto dell'Ultima Cena. La consuetudine che si deve seguire è soltanto quella di Cristo che è il
Figlio diletto del Padre e al quale bisogna prestare attenzione. Anche a livello liturgico, è
indispensabile questa fedeltà agli insegnamenti di Cristo. Ciò è un invito a celebrare il culto in
modo non vano, distanziandosi da coloro che agiscono secondo una dottrina che non è quella di
Cristo. Qualcuno che ha tradito anche un solo comandamento del Signore, anche il più piccolo
del Regno dei Cieli, deve essere considerato l'ultimo. Cipriano si chiede anche come uno può
cambiare quello che Cristo ha insegnato e fatto. In effetti quello che è già istituito in modo
divino (cioè i Sacramenti), non può essere cambiato. Ciò appartiene alla natura stessa dei
Sacramenti, giacché Cristo è il sacerdote eterno che offre il proprio sacrificio al Padre. Anche qui
Cipriano usa il vocabolario: il sacerdote agisce nel sacramento, come persona Christi. Ciò offre
l'idea del sacerdote nel sacramento dell'Eucaristia e segna l'inizio e lo sviluppo di una teologia
che tenta di spiegare il mistero sacerdotale partendo dalla sua origine, cioè Cristo stesso.

XV. Caeterum omnis religionis et veritatis XV. Al contrario, si sovverte tutta la


disciplina subvertitur, nisi id quod spiritaliter disciplina religiosa e vera, se non si
praecipitur fideliter reservetur , nisi si in osservano le disposizioni divine, se non si
sacrificiis matutinis hoc quis veretur ne per ha nel sacrificio del mattino l’odore ed il
saporem vini redoleat sanguinem Christi. Sic sapore del vino e del sangue di Cristo. Per
ergo incipit et a passione Christi in questo i fratelli cominciano durante la
persecutionibus fraternitas retardari, dum in persecuzione, a non patire con Cristo, se
oblationibus discit de sanguine ejus et cruore hanno già cominciato nei sacrifici a
confundi. Porro autem Dominus in Evangelio vergognarsi del suo sangue. Dice il Signore
dicit: Qui confusus me fuerit, confundetur nel Vangelo: “Chi si vergognerà di me, si
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eum Filius hominis (Marc. VIII, 38). Et vergognerà del Figlio dell’uomo a (Mc 8,
Apostolus quoque loquitur dicens: Si 38). Ed anche l’Apostolo si esprime cosi a
hominibus placerem, Christi servus non essem questo proposito: “Chi pretenderà di
(Gal. I, 10). Quomodo autem possumus soddisfarè gli uomini, non sarà servitore di
propter Christum sanguinem fundere, qui Cristo” (Gal 1, 10). Come possiamo spar-
sanguinem Christi erubescimus bibere? gere il sangue di Cristo noi che ci
vergognamo di berlo?

XV. In questo capitolo, l'autore parla del sovvertimento della dottrina di Cristo: la sua origine
parte proprio dalla non osservanza delle disposizioni divine. Per Cipriano rimane indispensabile
l'osservanza di queste disposizioni divine, senza le quali non ci può essere un sacrificio reale e
spirituale. In sostanza, non si può celebrare la Passione di Cristo se uno si vergogna del sangue
di Cristo, né si può essere martiri se si ha vergogna di bere il sangue del Figlio di Dio. In questo
ambito Cipriano utilizza il contesto delle persecuzioni alludendo a coloro che sono fuggiti dal
martirio tradendo la fede cristiana. Si tratta della questione dei lapsi, cioè di coloro che ha
abiurato alla propria fede cristiana.

XVI. An illa sibi aliquis contemplatione blanditur, XVI. Forse qualcuno dice che al mattino si
quod, etsi mane aqua sola offerri videtur, tamen, può bere solo acqua e verso l’una mescolarla
cum ad coenandum venimus, mixtum calicem col vino. Quando ceniamo però, non
offerimus. Sed cum coenamus ad convivium possiamo convocare il popolo al fine di
nostrum plebem convocare non possumus, ut
celebrare in presenza di tutti il vero mistero.
sacramenti veritatem fraternitate omni praesente
celebremus. Atenim non mane, sed post coenam, Il Signore non offri al mattino il calice
mixtum calicem obtulit Dominus. Numquid ergo mescolato, ma dopo la cena. Forse dobbiamo
Dominicum post coenam celebrare debemus, ut sic celebrare dopo la cena il sacrificio del
mixtum calicem frequentandis dominicis offeramus? Signore, per offrire il calice mescolato nelle
Christum offerre opportebat circa vesperam diei, ut riunioni, come è scritto nell’Esodo: “E tutta
hora ipsa sacrificii ostenderet occasum et vesperam la moltitudine della sinagoga degli Ebrei
mundi, sicut in Exodo scriptum est: Et occident sacrificiò al cader del giorno?” (Es 12, 6). Nei
illum omne vulgus synagogae filiorum Israel ad Salmi: “La elevazione delle mie mani è il
vesperam (Exod. XII, 6). Et iterum in Psalmis: sacrificio della sera a (Salmo 140, 2). Noi
Allevatio manuum mearum sacrificium vespertinum celebriamo nella mattina il sacrificio del
(Psal. CXL, 2). Nos autem resurrectionem Domini
mane celebramus. Signore.

XVI. Cipriano, indica il mattino come il momento ideale per celebrare l'Eucaristia, ma si oppone
nuovamente a coloro che sostengono che al mattino si potrebbe celebrare l'Eucaristia solo con
l'acqua. In effetti, se Cristo ha fatto l'Ultima Cena, alla sera, ciò non può essere applicato alla
celebrazione dell'Eucaristia, giacché con essa si celebra la risurrezione del Signore al mattino. La
stessa risurrezione è il segno del Sole che sorge dall'alto.
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XVII. Et quia passionis ejus mentionem in XVII. Noi ricordiamo la sua passione in
sacrificiis omnibus facimus (passio est enim tutti i sacrifici, poiché la passione dei
Domini sacrificium quod offerimus), nihil aliud Signore è il sacrificio che offriamo, e
quam quod ille fecit facere debemus. Scriptura dobbiamo fare quel che fece Lui. La
enim dicit: Quotiescumque enim ederitis panem
Scrittura dice che ogni volta che offriamo il
istum et calicem istum biberitis, mortem Domini
annuntiabitis quoadusque veniat (I Cor. II, 26). calice in memoria del Signore e della sua
Quotie-scumque ergo calicem in Passione, facciamo quel che fece il Signore.
commemorationem Domini et passionis ejus Se, fratello carissimo, qualcuno dei nostri
offerimus, id quod constat Dominum fecisse predecessori, non ha compiuto, per
faciamus. Et viderit, frater charissime; si quis de ignoranza o per errore, quello che compi il
antecessoribus nostris vel ignoranter vel Signore, può essere perdonato; ma non
simpliciter non hoc observavit et tenuit quod nos possiamo essere perdonati noi, che siamo
Dominus facere exemplo et magisterio suo docuit, stati avvisati ed istruiti dal Signore per
potest simplicitati ejus de indulgentia Domini offrire il suo calice mescolato con vino, e
venia concedi. Nobis vero non poterit ignosci, qui per illustrare alla lettera ai nostri fratelli ad
nunc a Domino admoniti et instructi sumus ut
calicem Dominicum vino mixtum, secundum quod osservare in tutto la legge del Vangelo e
Dominus obtulit, offeramus; et de hoc quoque ad rinsegnamento del Signore e a non al-
collegas nostros litteras dirigamus, ut ubique lex lontanarci da quanto Cristo ha insegnato ed
evangelica et traditio Dominica servetur, et ab eo ha fatto.
quod Christus et docuit et fecit non recedatur.

XVII. Celebrare o fare la memoria della Passione del Signore, comporta il sacrificio stesso del
Signore, per il quale bisogna fare quello che Cristo stesso ha fatto. Tutto questo viene dal suo
esempio e dal suo magistero. Non si può, dunque, ignorare l'ammonizione del Signore. Questa è
la Legge del Vangelo e della tradizione del Signore che ne esige la piena osservanza. Se si fa
altro, al di fuori di quello che il Signore ha insegnato e fatto, si corre verso la dannazione come
frutto di condanna eterna.

XVIII. Quae ultra jam contemnere et in errore XVIII. Disdegnare queste prescrizioni e
pristino perseverare, quid aliud est quam incurrere continuare nello stesso errore, significa
in objurgationem Domini increpantis in Psalmo et contrariare l’intenzione divina che nel
dicentis: Ad quid exponis justificationes meas et Salmo dice: "Perché insegni i miei precetti e
assumis testamentum meum per os tuum? Tu
porti la mia alleanza sulla tua bocca? Tu hai
autem odisti disciplinam, et abjecisti sermones
meos retro. Si videbas furem, concurrebas ei, et odiato il mio insegnamento e non hai curato
inter moechos particulam ponebas (Psal. XLIX, le mie parole. Se vedi un ladro e ti unisci a
16-18). Exponere enim justificationes et lui ti fai complice dei suoi adulteri a (Ps 49,
testamentum Domini, et non hoc idem facere quod 16.18). Insegnare poi i precetti e l’alleanza
fecerit Dominus, quid aliud est quam sermones del Signore e non fare quello che fece il
ejus abjicere et disciplinam Dominicam Signore, significa raccogliere le sue parole e
contemnere, nec terrena sed spiritalia furta et disprezzarne l’insegnamento, commettere
adulteria committere, dum quis de evangelica cioè adulteri non materiali ma spirituali.
veritate furatur Domini nostri verba et facta, Quando uno spoglia della verità del Vangelo
corrumpit atque adulterat praecepta divina? Sicut le parole ed i fatti (lei Signore, corrompe ed
apud Hieremiam scriptum est: Quid est, inquit,
paleis ad triticum? Propter hoc ecce ego ad adultera i precetti divini. E’scritto nella
prophetas, dicit Dominus, qui furantur verba mea Genesi: “Che fai tra la paglia e l’oglio? Per
unusquisque a proximo suo, et seducunt populum questo, dice il Signore, eccomi ai profeti,
meum in mendaciis suis et in erroribus suis (Hier. che rubano le mie parole e seducono il mio
XXIII, 28, 30, 32). Item apud eumdem alio loco: popoio con le loro menzogne ed i loro
Et moechata est, inquit, in lignum et lapidem , et errori” (Ger 23, 28, 30 32). Lo stesso
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 79

in his omnibus non est reversa ad me (Hier. IX, profeta dice: “Ella ha commesso adulterio,
10). Quod furtum et adulterium ne in nos etiam con il legno e con la pietra e con tutto
cadat cavere sollicite et timide ac religiose questo non si rivolta a me” (Ger 3, 9-10).
observare debemus. Nam, si sacerdotes Dei et Dobbiamo stare attenti che non si riferisca a
Christi sumus, non invenio quem magis sequi
noi. Se siamo pontefici di Dio e di Cristo,
quam Deum et Christum debeamus, quando ipse
in Evangelio maxime dicat: Ego sum lumen non vedo chi altro dobbiamo seguire,
saeculi. Qui me secutus fuerit, non ambulabit in poiché egli dice nel Vangelo: “Io sono la
tenebris, sed habebit lumen vitae (Joan. VIII, 12). luce del mondo. Clii mi seguirà non andrà
Ne ergo in tenebris ambulemus, Christum sequi et all’oscuro, ma avrà la luce della vita” (Is 8,
praecepta ejus observare debemus, quia et ipse in 17). Cosi per non andare all’oscuro
alio loco, mittens Apostolos, dixit: Data est mihi dobbiamo seguire Cristo ed osservare i suoi
omnis potestas in coelo et in terra. Ite ergo et precetti. Ha detto in un altro luogo agli
docete omnes Gentes, tingentes eos in nomine Apostoli: “Mi ha dato ogni potere in cielo e
Patris et Filii et Spiritus sancti, docentes eos sulla terra. Andate ed insegnate a tutti,
observare omnia quaecumque praecepi vobis battezzandoli nel nome del Padre e del
(Matth. XXIII, 18-20). Quare si in lumine Christi
ambulare volumus, a praeceptis et monitis ejus Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro
non recedamus, agentes gratias quod, dum instruit ad osservare tutto quello che vi ho
in futurum quid facere debeamus, de praeterito prescritto” (Mt 28, 18-10). Per cui se
ignoscit quod simpliciter erravimus. Et quia jam vogliamo camminare alla luce di Cristo, non
secundus ejus adventus nobis appropinquat, dobbiamo separarci dai suoi precetti ed
magis ac magis benigna ejus et larga dignatio avvisi, considerando che mentre ci insegna
corda nostra luce veritatis illuminat. quello che dobbiamo fare per il futuro, ci
perdona il passato fatto per semplicità. E
poiché è già prossima la sua seconda
venuta, la sua grande e generosa grazia
illumini ogni giorno i nostri cuori con la
luce della verità.

XVIII. Cipriano dà una continuità tra questo capitolo e quello precedente. Parla addirittura di
adulterio contro Cristo, giacché tutti i cristiani sono uniti a lui nel sacerdozio regale del Signore,
mentre coloro che hanno ricevuto il sacerdozio ministeriale, ancora di più sono uniti a Lui, per
cui non possono tradire i precetti el Signore, né possono insegnare qualcosa di diverso da quello
che Cristo ha insegnato e predicato. Questo vale soprattutto quando si celebra l'Eucaristia. C'è
qui anche una dimensione escatologica, per la quale si prevede la seconda venuta di Cristo.

XIX. Religioni igitur nostrae congruit et XIX. Carissimo fratello, spetta dunque alla
timori et ipsi loco atque officio sacerdotii nostra pietà, al nostro timore di Dio e al
nostri, frater charissime, in Dominico calice grado e alla funzione della nostra dignità di
miscendo et offerendo custodire traditionis vescovo, il dovere di osservare quanto è
Dominicae veritatem, et quod prius apud stato veramente tramandato dal Signore
quosdam videtur erratum, Domino monente, nella preparazione e nell’offerta del calice.
corrigere; ut, cum in claritate sua et majestate Dobbiamo correggere secondo i suoi
coelesti venire coeperit, inveniat nos temere avvertimenti l’errore che sembra sia stato
quod monuit, observare quod docuit, facere commesso da alcuni, perché, quando Egli
quod fecit. Opto te, frater charissime, semper verrà nel fulgore della sua gloria e della sua
bene valere. maestà divina, ci trovi in possesso di quanto
ha raccomandato e nell’osservanza di
quanto ci ha insegnato a ripetere seguendo
quello che Egli ha fatto. Ti auguro, fratello
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 80

carissimo, di stare sempre bene.

XIX. Questo capitolo conclue tutta la lettera: in esso Cipriano esorta vivamente a trarre fuori
dall'errore coloro che si sono allontanati dalla tradizione del Signore. Qui è chiaro che Cipriano
si rivolge ad un vescovo al quale augura di far valere il suo insegnamento secondo la tradizione
autentica della Chiesa.

TRADITIO APOSTOLICA
Questa opera sarebbe attribuita ad Ippolito Romano, ma non ci sono elementi sufficienti per
dimostrare la paternità del testo che non si trova più nell'originale greco. Tuttora è una questione
aperta perché ci sono diverse ipotesi.
Circa la paternità, c'è da dire che ci sono almeno tre Ippoliti contemporanei, tra i quali uno di
questi dovrebbe essere un martire, morto insieme a Papa Ponziano: di lui non si sa se era
vescovo o sacerdote. Recentemente è stata rivenuta una statua: sul trono dove appoggia si trova
l'elenco delle opere di Ippolito, nonché si trova una scritta che riferisce della Tradizione
Apostolica e dei carismi.
Il testo greco originale è sostituito da una versione parziale in latino, seguita da altre
versioni, che tentano di ricostruire il medesimo testo originale della Traditio Apostolica.
Ma cosa si può dire concretamente di quest’opera? Chi sarebbe questo Ippolito?
Si tratta di uno scrittore di lingua greca, morto intorno al 235: era probabilmente vescovo, dal
momento che ce ne danno testimonianza, sia Eusebio, sia Girolamo, anche se non hanno
precisato la su sede vescovile. Egli può essere collocato a fianco dell’eminente suo
contemporaneo Origene, per quanto riguarda la versatilità dell’ingegno e il numero delle opere
da lui composte. Per l’originalità del pensiero teologico Ippolito è tuttavia molto inferiore
all’alessandrino; si può dire in linea generale che egli fu un dotto e diligente raccoglitore,
preoccupato più delle questioni pratiche che dei problemi scientifici. Numerosi quesiti, che si
presentavano in passato agli studiosi intorno alla sua persona e alla sua attività, hanno trovato
risposta solo dopo la pubblicazione della sua opera principale i Philosophumena (1851).
Forse Ippolito (discepolo di Ireneo?) non fu di nascita romano, né latino, ma oriundo
dell’Oriente ellenistico. Combattendo appassionatamente i Modalisti e i Patripassiani (Noeto,
Cleomene, Sabellio) espresse una dottrina subordinazionista intorno al Logos. Nelle questioni
relative alla penitenza e alla disciplina ecclesiastica, il prete Ippolito, ambizioso e rigorista, entrò
in conflitto con il papa Callisto (217-222) che accusò di sabellianesimo e di eccessiva indulgenza
verso i peccatori. Eletto antipapa, Ippolito fu capo di uno scisma che si protrasse anche sotto i
pontificati di Urbino e di Ponziano, appoggiandosi ad una cerchia stretta di persone influenti per
nascita e per cultura. Durante la persecuzione di Massimino il Trace, i due capi della Chiesa, il
legittimo e l’illegittimo, Ponziano e Ippolito, vennero entrambi deportati in Sardegna. Poiché
Ippolito si riconciliò con la Chiesa e morì in esilio (nel 235) venne sepolto sulla via Tiburtina e
venne subito onorato come martire nel giorno stesso di papa Ponziano (13 agosto).
Circa le sue opere egli compose:
a) Dieci libri di Philosophumena, intitolati dall’autore come Refutatio omnium haeresum. Il
contenuto della prima parte (1-4) vuol dimostrare che gli eretici hanno attinto la loro dottrina
non già dalla rivelazione cristiana, ma dalla «sapienza dei pagani». Il 1° libro contiene un
sunto della filosofia greca tratto da fonti di scarso valore, mentre il 4° parla di magia e
astrologia. La magia ed i misteri devono aver formato l’oggetto del 2° e del 3° libro. La
seconda parte (5-9) contiene un’esposizione delle eresie fra le quali vengono compresi 33
sistemi gnostici. Vi sono utilizzati come fonte, oltre l’Adv. haereses di Ireneo, altri scritti,
specialmente eretici, che oggi non esistono più. L’opera venne scritta dopo l’anno 222
poiché secondo il passo 9,11-13, Callisto era già morto.
94001 – Lettura Liturgica dei Padri – Prof. Ephrem Carr osb. 81

b) Il Syntagma, composto prima dei Philosophumena, è perduto nell’originale ma è ricostruibile


secondo Lipsius, in base ad altri scritti (Pseudo Tertulliano, De Praescr. 46-53, Epifanio e
Filastrio). Trattava di 32 eresie, ultima quella di Noeto.
c) Poco si ha degli scritti esegetici di Ippolito: di questi non restano altro che dei frammenti di
passi molto lontani fra loro e nelle lingue più diverse, cioè il copto, il georgiano, il latino, il
siriaco, l’arabo, l’etiopico, l’armeno e lo slavo. Di essi abbiamo:
1) 4 libri di Commenti su Daniele; l’opera venne scritta intorno al 204, mentre l’autore
risentiva ancora della recente persecuzione di Settimio Severo. Questa opera è presente
nella lingua slava antica, e in gran parte in greco. Questo commento a Daniele, in cui
l’autore ha incluso l’esegesi dei passi deutero-canonici, costituisce il più antico scritto
esegetico rimasto alla Chiesa cristiana. Nel IV libro appare per la prima volta la notizia
della nascita di Cristo in data 25 dicembre (sarebbe morto il 25 marzo). Questo passo è
però senza dubbio un’interpolazione sia pure antichissima.
2) Il Commento al Cantico dei Cantici che, in base alla traduzione in georgiano, venne
pubblicato dal Bonwetsch.
3) La Benedizione di Giacobbe, (Gen 49) che la troviamo in lingua armena e georgiana.
4) La Benedizione di Mosè, (Dt 33).
5) Un omelia sul Racconto di Davide e Golia (1Sam17). Il primo scritto è conservato in
greco.
6) L’Omelia sui Salmi, il cui contenuto è preceduto dalla lettura dei Salmi 1 e 2. Parla dei
salmi in generale allo scopo di dimostrare un significato più profondo e solido. Questa
omelia poi abbraccia due parti: la prima dimostra, contro l’eresia, che David è l’autore
del Salterio, benché non tutti i Salmi siano in realtà composti da lui. La seconda traccia
un commento su due Salmi di cui è stata data lettura. L’autore spiega perché sono i primi
due del Salterio e non hanno titolo.
d) Ha composto anche degli scritti dogmatici dei quali è conservata l’intera monografia, ma uno
solo di questi ci è finora pervenuto; esso si intitola De antichristo, composto intorno al 200,
in lingua greca. Con evidente dipendenza da Ireneo, questa opera tratta della persona e dei
segni di riconoscimento dell’anticristo in relazione con le circostanze che accompagneranno
la fine dei tempi.
e) Come trattati cronologici abbiamo:
1) La Cronaca che parte dal principio del mondo e termina con il 234 d.C. Ci rimane di essa
una piccola parte in greco; integralmente lo troviamo tre rielaborazioni in latino,
indipendenti tra di loro, che costituiscono gli Excerpta latina Barbari e i due Libri
generationis. Esiste anche una traduzione in armeno. Ippolito scrisse la sua Cronaca per
dimostrare la stoltezza delle speranze, largamente diffuse tra i cristiani, sull’avvento del
regno millenario.
2) Il Computo pasquale: nella lista incisa sulla cattedra della statua di Ippolito appare un
trattato, cioè la Determinazione della data di Pasqua, riguardante gli anni dal 222 al
233.
f) Come altre omelie, non esegetiche, si ha:
1) Sulla Pasqua (uno trattato riguarda proprio quello sopra al p.to 2 dei trattati cronologici,
mentre il secondo è considerato perduto, fino al giorno in cui Ch. Martin pensò di averlo
trovato nelle prediche del Crisostomo).
2) Della lode del Signore nostro Salvatore (secondo Girolamo è una omelia che Ippolito
pronunciò alla presenza di Origene, durante la visita di quest’ultimo a Roma).
3) L’Omelia sull’eresia di Noeto (non si tratterebbe di una omelia, ma di un’esposizione
dell’eresia di Noeto).
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4) Dimostrazione contro i Giudei (si tratta di un frammento importante che rinfaccia agli
Ebrei la loro condizione miserabile e sciagurata a causa dei loro delitti contro il Messia).
g) Tra gli scritti più importanti di Ippolito va assolutamente ricordata la Tradizione apostolica:
oltre la Didaché è la più antica e la più importante delle Costituzioni ecclesiastiche dell’antichità.
Riporta un rituale rudimentale, che fissa determinate regole e forme per l’ordinazione e per le
funzioni delle diverse classi della gerarchia, per la celebrazione dell’Eucaristia e per
l’amministrazione del battesimo. Il titolo di quest’opera è riportato sulla cattedra della statua di
Ippolito, eretta nel III sec. Il testo originale è andato perduto, tranne alcune brevi sezioni
conservate nei documenti greci posteriori, in particolare nell’ottavo libro delle Costituzioni
apostoliche e nella loro Epitome. Esistono in compenso traduzioni in lingua copta, araba,
etiopica e latina. La Traditio di Ippolito non esercitò un grande influsso in Occidente e fu ben
presto dimenticata, insieme alle altre opere di Ippolito. Essa è, comunque, la fonte di un gran
numero di costituzioni ecclesiastiche orientali. Anche i Canoni di Ippolito si fondano sulla
Tradizione apostolica: essi furono composti in Siria, verso il 500 e rappresentano una versione
tardiva della Traditio Ippoliteana. Comunque, in merito alla paternità di quest’opera, il problema
non è stato ancora risolto e la questione rimane ancora aperta, tanto che secondo alcuni studiosi
si dovrebbe parlare di Traditio Apostolica di Pseudo-Ippolito.

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