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CAPITOLO 15 - PARENTELA, FAMIGLIA, GENERE

1 - LA PARENTELA: RELAZIONI BIOLOGICHE, SOCIALI E CULTURALI

Non è possibile avvicinarsi a una cultura senza chiedersi, come prima cosa, come essa strutturi la vita familiare e i
rapporti di parentela. Si tratta infatti del livello più basilare nell’organizzazione delle relazioni sociali. Basilare in due
sensi:
- da un lato, le regole dell’appartenenza a un gruppo familiare e a una classificazione di parentela sono
capillarmente diffuse, riguardano ogni aspetto della vita quotidiana e coinvolgono necessariamente ogni
individuo fin dalla sua nascita. Rappresentano dunque il livello più profondo della sua identità.
- dall’altro lato, famiglia e parentela sono basilari nel senso che sono vicine più di ogni altra istituzione a quelli
che potremmo chiamare i «fatti generalissimi» della natura umana: danno dunque una forma culturale alle
basi biologiche dell’esistenza umana, in particolare alla sessualità e alla procreazione, alla nascita, alla
discendenza, alla morte.
È importante sottolineare però che la loro vicinanza alla sfera biologica, non rende famiglia e parentela delle istituzioni
‘naturali’. Possono essere considerate piuttosto come istituzioni che interpretano e plasmano gli aspetti naturali,
incastonandoli all’interno di sistemi culturali e legandoli ad altri aspetti della vita sociale, economica e politica.
Infatti le regole della parentela e della famiglia sono storicamente e culturalmente variabili. Diversi modi o stili di
costruzione dei rapporti, delle istituzioni e dei sentimenti di parentela, che si sviluppano a partire dalle condizioni
ambientali, demografiche, economiche e più generalmente culturali di particolari popolazioni.
In ogni specifica società la parentela poggia su «relazioni primarie» radicate nelle istituzioni così come nell’intimo delle
soggettività, dunque tutt’altro che convenzionalmente modificabili. Sono relazioni che si intrecciano con ogni altro
ambito della vita sociale, e definiscono l’identità e l’appartenenza individuale in modo più profondo e permanente di
ogni altra forma di classificazione.
Lo studio della parentela si è sviluppato in antropologia nella tensione tra due opposte esigenze:
- comprendere un aspetto della vita che sentiamo come intimo, profondo ed elementarmente umano;
- il timore di usare modelli che proiettano inconsapevolmente sugli «altri» quelle che sono solo le «nostre»
prospettive, conferendo loro una presunta universalità.

2 - CONCETTI BASE PER UN’ANTROPOLOGIA DELLA PARENTELA

L’antropologia culturale ha sviluppato nozioni, concetti, terminologie e forme di rappresentazione per questo
argomento:
- Discendenza: indica le relazioni di filiazione: ad esempio, in un sistema «patrilineare», che prevede cioè la
discendenza per via maschile, un soggetto («ego», come si usa dire nel linguaggio parentologico) discende dal
padre, dal nonno, dal bisnonno e così via, fino all’antenato più antico che è possibile ricordare.
- Collateralità: si riferisce invece ai rapporti fra «due o più individui che non discendono l’uno dall’altro ma tutti
discendono da un antenato comune». Così, fratelli e sorelle sono collaterali, come lo sono i cugini e, risalendo
le generazioni, gli zii e le zie e i loro figli, e così via.
- Affinità (o alleanza): indica invece i legami acquisti tramite il matrimonio: dunque i rapporti tra marito e moglie
e tra i discendenti o collaterali di entrambi (quelli per cui noi usiamo i termini suocero, genero e nuora,
cognato, e ai quali estendiamo qualche volta le nozioni di zio e nipote).
- Sistemi bilaterali: rappresenta la norma nelle moderne società occidentali, un soggetto riconosce come proprio
gruppo di parentela sia gli ascendenti di parte paterna che quelli di parte materna.
- Sistema unilineare: privilegia invece i rapporti con una sola ascendenza: esclusivamente quella paterna o
esclusivamente quella materna. La discendenza si definisce patrilineare (o agnatica) nel primo caso,
matrilineare (o uterina) nel secondo.
- Sistema di tipo esogamico: vale l’obbligo si sposarsi al di fuori del gruppo di discendenza stesso.
- Lignaggio: un concreto insieme di persone che convivono, si trasmettono di generazione in generazione beni,
diritti, status e obblighi rituali, e rappresentano un’unità socio-economica.
Le strutture di parentela sembrano infatti sovrapporsi all’organizzazione politica e a quella economica, e persino
determinare l’ordinamento dello spazio e del tempo.
Inoltre, nel classificare le forme della parentela, gli antropologi classici hanno attribuito grande importanza ai sistemi
terminologici: vale a dire ai modi in cui una determinata cultura definisce linguisticamente i diversi legami di parentela.
- Descrittiva: ogni rapporto di parentela viene indicato da una parola specifica
- Classificatoria: ripartisce i parenti in classi di individui contrassegnati da un unico termine
Da questa prima classificazione ne nasce una, nel Novecento, più complessa data da otto diversi criteri distintivi.
a) la generazione; b) il sesso o genere; c) la distinzione tra consanguinei e affini; d) la distinzione tra consanguinei in
linea diretta o collaterale; e) la biforcazione (cioè la distinzione tra parenti del lato materno e paterno); f) l’età relativa
(dove vi siano nomi diversi, ad esempio, tra fratello maggiore e minore); g) la distinzione parallelo/incrociato (si parla di
cugini paralleli per indicare i figli del fratello del padre o della sorella della madre; incrociati sono invece i figli del fratello
della madre o della sorella del padre); h) la condizione (vivo o defunto) del parente in questione.
Diversamente combinati, questi criteri danno vita a sei tipi fondamentali di terminologia.
1) Eschimese: ha la caratteristica di distinguere i fratelli da tutti gli altri collaterali riuniti in un’unica categoria, e il padre
e la madre dagli «zii»;
2) Hawaiano: non distingue gradi di parentela all’interno di una stessa generazione
3) Irochese: accomuna linguisticamente i genitori e gli zii (distinguendo per genere), usa termini diversi per i cugini
incrociati e quelli paralleli.
4) Crow: biforca fondendo la madre e le sue sorelle, il padre e i suoi fratelli, e accomuna nello stesso termine tutti gli
individui maschi del matrilignaggio della madre (società matrilineari)
5) Omaha: speculare a quello precedente (società patrilineari)
6) Sudanese: usa termini diversi per ogni parente ma non rispetta la condizione vivo/defunto

3 - TEORIE DELLA PARENTELA

Le classificazioni precedenti sono un tentativo di ricondurre a unità un quadro estremamente eterogeneo e sfuggente
di rilevazioni empiriche.
Alla fine degli anni ’40 Lévi-Strauss propone un tipo di analisi del tutto diverso. Cerca non di classificarle in un numero
ridotto di «tipi», ma di comprendere la loro grammatica generativa; vale a dire i principi logici universali in grado di dare
vita a una serie potenzialmente infinita di «corrette» combinazioni di parentela.
Dunque, l’essenza della parentela consiste nella discendenza o nell’alleanza?
Teoria della discendenza: nelle società «primitive» i gruppi di discendenza unilineare («clan» o «lignaggi»)
rappresentano la base dell’organizzazione economica e politica. La discendenza forma gruppi «corporati», che non solo
vivono insieme ma detengono il controllo del territorio e delle risorse, esprimono le principali istituzioni sociali ed
esercitano l’autorità su base genealogica. Nella famiglia uno dei due genitori costituisce il legame della persona con il
gruppo corporato di discendenza; l’altro genitore connette la persona con un diverso gruppo di sostegno, con legami
non dipendenti dalla proprietà o dai ruoli istituzionali ma dalla solidarietà morale.
Teoria dell’alleanza: l’elemento essenziale della vita sociale è la reciprocità, e la forma più elementare della reciprocità è
lo scambio matrimoniale. Il tabù dell’incesto costituisce la condizione negativa necessaria per istituire la reciprocità. La
regola di reciprocità assume essenzialmente due forme: lo scambio ristretto e lo scambio generalizzato.
Le due teorie hanno in comune un presupposto: per entrambe la parentela è una forma culturale autonoma e primaria
che si articola secondo propri criteri formali irriducibili a dimensioni diverse, come quella economica e politica. La
parentela viene prima, in quanto organizzazione delle fondamentali relazioni biologiche, e solo successivamente un
ordine economico e politico si disincaglia dalle sue forme.
Da ciò partono quindi altri studi che si sviluppano a partire dagli anni ‘50.
Le scelte matrimoniali seguono regole non solo formali ma fortemente legate a questioni di potere, proprietà e
ricchezza, cosicché lo scambio delle donne appare parte di un più ampio scambio di beni (su basi non di reciprocità ma
di ineguaglianza), e le idee locali sulla parentela parte di una più ampia ideologia. Le norme che la regolano sono
strettamente intrecciate al potere e agli interessi soprattutto economici. Tanto da giungere ad affermare che «ciò che
gli antropologi chiamano struttura della parentela non è che un modo per parlare dei rapporti di proprietà».
Un altro presupposto che accomuna le teorie della discendenza e quelle dell’alleanza è il ruolo passivo attribuito alle
donne, che appaiono semplici oggetti di scambio in strategie di parentela controllate dagli uomini.
Dagli anni ‘70 si sviluppano anche correnti di pensiero femminista.
Risulta da questa analisi una relativizzazione o decostruzione del concetto di parentela. Vi sono sistemi di relazioni fra
gli esseri umani («parenti») che condividono ambienti e pratiche quotidiane, e ideologie o «ontologie culturali» locali
che spiegano queste relazioni. Tali culture locali possono essere descritte ma non ricondotte a un’unica soggiacente
realtà – una generale «parentela» che corrisponderebbe alla nostra concezione naturalista della consanguineità.
Se la parentela «non esiste», non vuol dire che non esistano i fenomeni che la teoria classica cercava di comprendere: il
fatto che le persone vivano insieme con diversi gradi di unione e prossimità, che facciano nascere e allevino bambini,
che sviluppino forti sentimenti reciproci, che seguano in proposito pratiche e rituali sociali, che elaborino idee, valori e
norme riguardo alla natura di questi loro legami, e così via.
Negli ultimi decenni gli studi su questi aspetti della vita sociale non sono stati meno intensi che in passato: si sono
addensati però su diverse parole-chiave. Non più lignaggi, regole matrimoniali, principi nascosti di ordine strutturale:
piuttosto sono emersi in primo piano i temi del genere, della costruzione sociale della persona e del corpo, dei
sentimenti e delle emozioni.
4 - RELAZIONI DI GENERE

Problema delle donne: è un’espressione usata a inizio anni ’70 per indicare l’assenza della voce e del punto di vista
femminile nella produzione etnografica. Dietro questa assenza vi sarebbe stato l’assunto della natura maschile delle
istituzioni e del potere nelle società studiate. Le donne, rinchiuse nelle sfere domestiche ed escluse in molti contesti
della vita pubblica e politica, semplicemente non prendono la parola nei testi etnografici: sono semmai descritte
dall’esterno come oggetti di scambio.
Una nuova generazione di antropologhe, quindi, inizia a produrre contributi sul tema. L’idea chiave di questi lavori è la
rivendicazione della agency, ovvero della capacità di azione sociale e di gestione del potere che le donne possiedono.
L’antropologia cerca di dimostrare, quindi, come le relazioni uomo-donna possano cambiare con l’organizzazione socio-
culturale. Da qui il concetto di genere.
Differenza di genere: il concetto di genere è contrapposto a quello di ‘sesso’. Il genere si riferisce ai modi in cui le
differenze sono plasmate all’interno di specifici sistemi di relazioni sociali e simboliche.
La natura è condizionata e plasmata dalla cultura, mentre la cultura diviene a sua volta ‘seconda natura’ nei suoi assunti
più profondi e impliciti. I cosiddetti Gender Studies si concentrano proprio sugli aspetti simbolici della costruzione
dell’identità di genere, rifiutando di assolutizzare la dimensione sessuale o biologica.
Dominio maschile: a lungo le società mediterranee tradizionali si ritrovavano in una situazione in cui gli uomini
mantengono per sé il potere economico (la proprietà) e quello simbolico (i «beni» che creano prestigio sociale):
entrambi sono gestiti attraverso le strutture della parentela, nelle quali «le donne sono negate in quanto soggetti dello
scambio e dell’alleanza che si instaurano attraverso di loro, riducendole allo stato di oggetti o, meglio, di strumenti
simbolici della politica maschile, allo statuto di strumenti di produzione o di riproduzione del capitale simbolico e
sociale».
Da ciò Bourdieu propone un’analisi i cui punti fondamentali sono 2:
- Il primo è l’analisi del modo in cui la differenza (o meglio la diseguaglianza) maschile-femminile è sostenuta
non da una semplice «credenza» o «opinione», ma da un intero sistema di classificazioni «cosmologiche», che
riguardano il mondo naturale così come l’universo morale.
- Il secondo elemento è processo naturalizzazione: quel «lavoro collettivo di socializzazione del biologico e di
biologizzazione del sociale» che ci fa apparire rovesciato il nesso causa-effetto. Infatti il sistema di
rappresentazioni simboliche nel quale siamo immersi mostra le ovvie differenze biologiche tra uomo e donna
come base della divisione dei ruoli e del dominio maschile.
Il lavoro dell’etnografia è quello di «snaturalizzare, storicizzandola, quella che appare come la cosa più naturale
nell’ordine sociale, la divisione fra i sessi».
Queste teorie però lasciano poco spazio alla comprensione di cambiamenti avvenuti nel corso degli anni sulle differenze
fra uomo e donna e inoltre non sembrano dare alcuna soluzione a questo problema. Una «cultura delle donne» sembra
essere possibile – in virtù del fatto che «il dominato tende ad assumere su se stesso il punto di vista dominante».
Sembra che ogni tentativo di rovesciare il sistema di dominio si racchiuda in un circolo vizioso: quando cerchiamo di
criticarlo, lo facciamo utilizzando – e dunque rafforzando – quegli stessi schemi percettivi e cognitivi che da millenni lo
fondano. Una possibile uscita dal labirinto è quella dell’«amore puro», un sentimento basato sul disinteresse e sul dono
di sé.

5 - L’AMORE

L’amore romantico è un modello diffuso in modo capillare e pervasivo nella cultura occidentale contemporanea. Tale
modello è composto da tre componenti: l’idealizzazione (o devozione romantica), l’intesa sessuale e l’unione
istituzionale del matrimonio. La mancata coincidenza di questi tre elementi crea forme imperfette cariche di tensione.
L’amore romantico ci appare in una forma naturalizzata. Amiamo così e così in quanto esseri umani, come gli esseri
umani hanno sempre amato e sempre ameranno. L’antropologia è scettica al riguardo (es. Umeda e dei matrimoni
combinati).
È solo con la cultura di massa, in età contemporanea, che il modello romantico si afferma in modo capillare e pervasivo,
divenendo un fondamento cruciale della struttura sociale come delle singole psicologie o soggettività. La principale
condizione di questa affermazione, come sostiene un’ampia letteratura sociologica, consiste nel processo di
individualizzazione. Le opportunità economiche della società industriale e di mercato indeboliscono i legami delle
persone con i gruppi di parentela e la dipendenza dai vincoli comunitari. Fidanzamento e matrimonio divengono un
«contratto» liberamente scelto da soggetti che stanno sullo stesso piano, e devono essere supportati da un
«sentimento» autentico, da una relazione pura, libera da costrizioni materiali e istituzionali.
Per quanto riguarda la sessualità, Foucault rovescia un luogo comune degli anni ‘60 e ‘70: l’idea che il mondo
contemporaneo stesse vivendo una fase di liberazione sessuale. Per Foucault, ciò che accade tra la fine del Settecento e
oggi è al contrario una sorta di «invenzione» della sessualità. Pratiche, desideri e sentimenti che in precedenza erano
lasciati alla sfera privata sono progressivamente presi in carico dalle istituzioni sociali, che li rivestono di tutta una serie
di discorsi specialistici, scientifici, etici; e che al contempo li legano a regole di comportamento e di amministrazione, a
diagnosi di devianza, a sanzioni morali e penali. Il sesso si trova così ad essere al centro di dispositivi di sapere-potere.
L’impersonale potere delle società moderne riesce a plasmare in modo sempre più ravvicinato e profondo le
soggettività dei cittadini – imponendosi non attraverso una coazione esterna e violenta, ma per mezzo di pratiche
«disciplinari» che non tanto reprimono quanto, piuttosto, governano i corpi e le menti.
Giddens critica l’idea di un ‘potere impersonale e misterioso’ e vede piuttosto la larga diffusione di un nuovo modello
culturale e sviluppa la nozione di ‘relazione pura’ e ‘amore convergente’.
Relazione Pura: Si tratta della libera decisione di costruire un rapporto al di fuori di ogni ruolo costituito e di ogni obbligo
di continuità, semplicemente in virtù dei «benefici» che entrambe le parti ritengono di trarne; dunque, con la possibilità
e anzi l’imperativo morale di interrompere il rapporto quando tali condizioni non siano più percepite. La relazione pura
si colloca nel solco dell’amore romantico, ma ne supera alcune caratteristiche (ad esempio su rapporti esclusivamente
eterosessuali e sulla chiara distinzione fra uomo e donna e i relativi valori).
Amore convergente: è la forma di amore delle relazioni pure. L’amore convergente è amore attivo, contingente e quindi
non fa rima con per sempre. Accetta le separazioni e i divorzi.
Il linguaggio romantico classico, oggi, appare per lo più ridicolo ed eccessivo.

6 - LA FAMIGLIA

Sul piano delle regole matrimoniali si sono distinte la famiglia monogamica (una persona può avere solo un coniuge per
volta) e quella poligamica (con la possibilità di avere più coniugi); quest’ultima si distingue a sua volta in poliginica (un
uomo con più mogli) e poliandrica (una donna con più mariti).
Sul piano delle dimensioni e della struttura della famiglia, la principale distinzione è quella tra famiglia nucleare, estesa e
multipla (o polinucleare).
L’antropologia e la demologia storica hanno cercato di mettere in relazione la variabilità di questi modelli familiari con
altre caratteristiche, ad esempio la struttura della proprietà terriera e le norme della sua trasmissione ereditaria,
oppure le caratteristiche ecologiche e le esigenze legate all’organizzazione del lavoro (esempio: famiglia mezzadrile -
dove la famiglia coincideva con l’unità produttiva - famiglie di anche venti persone legate da un vincolo di discendenza).
In Italia, vi è un mutamento delle strutture familiari a partire dal secondo dopoguerra. Principali ingredienti di questo
cambiamento, che una vasta sociologia ha ampiamente individuato e discusso, sono la costituzione di nuclei familiari
sempre meno numerosi; la tendenza a sposarsi e ad avere figli in età più avanzata, e la diminuzione del tasso di
fecondità; un’accentuata «instabilità matrimoniale» e la creazione di gruppi domestici e reti parentali complesse e non
riducibili a genealogie unilineari.
Gli anni del dopoguerra in cui questi fattori si stavano sviluppando hanno visto la famiglia sottoposta anche a un
profondo attacco ideologico da parte dei movimenti e delle culture di protesta che hanno avuto nel Sessantotto il loro
momento di maggior visibilità. Si è allora visto nella famiglia un «apparato ideologico dello Stato»: un’istituzione
borghese che funziona da cinghia di trasmissione della cultura dominante e degli aspetti repressivi della società, capace
di penetrare capillarmente nella vita di ogni persona.
Sempre negli anni del dopoguerra, il «familismo» era divenuto una delle principali categorie esplicative del
sottosviluppo economico e sociale. (familismo = tendenza a far prevalere gli interessi di famiglia su quelli dell'individuo
e della collettività).
Nella storia del novecento, la famiglia sembra semmai aver rappresentato un momento di difesa e resistenza rispetto
all’invadenza degli Stati totalitari, delle violenze di massa, dei progetti di distruzione della società civile e di creazione di
inquietanti forme di «uomo nuovo». Gli Stati hanno apertamente tentato di invadere lo spazio della famiglia o persino
di distruggerlo, creando un rapporto diretto tra individui e potere e pretendendo di anteporre alle relazioni primarie
l’ideologia e la fedeltà al partito o al leader.
Tuttavia, è che malgrado i fattori di trasformazione radicale e gli «attacchi» subiti, la famiglia è oggi viva e vegeta.
Rappresenta ancora di gran lunga il più importante crogiuolo dei legami interpersonali e il luogo dei valori più «sacri»
per gli individui. È importante osservare come tali reti di relazioni e solidarietà restino stabili o addirittura si rafforzino di
fronte alla crisi delle forme tradizionali della famiglia. Le ricerche antropologiche sulle famiglie contemporanee
evidenziano una sorta di tratto comune o principio generale: quando le strutture classiche della parentela si spezzano o
si indeboliscono, esse non scompaiono ma vengono ricucite o riconfigurate creativamente sul piano culturale.
Il principio per cui alla maggiore «liquidità» dei rapporti si risponde con un accurato lavoro di ricucitura culturale plasma
anche altri aspetti delle forme di vita familiare contemporanea. Abbiamo già osservato la proliferazione
contemporanea, nelle famiglie di tutti i ceti sociali, di pratiche di memoria culturale (occasioni di (ri)composizione
domestica). Dall’altro lato, la memoria culturale assume anche in famiglia la sua classica forma del conservare,
archiviare, collezionare. Gli studi sulla «cultura materiale domestica», vale a dire sugli oggetti ordinari che popolano gli
ambienti di vita quotidiana, mostrano la costante presenza nelle case di costruzioni memoriali. Ma tutte rimandano a
una continuità (sia diacronica che sincronica) del gruppo familiare.
Su ciò si basa il crescente bisogno di ricostruire ascendenze quanto più possibile profonde, spesso per mezzo dell’analisi
del DNA. La genetica agisce come un linguaggio particolarmente prestigioso e autorevole che si può giocare nello sforzo
di ricostruire culturalmente una profondità genealogica che sembra irrimediabilmente perduta sul piano della struttura
sociale.
In sintesi, dunque, lo scenario del nostro presente sembra essere quello di una parentela e una famiglia che si sono
indebolite come strutture normative portanti della compagine sociale, ma che resistono e anzi si rafforzano come
«strutture di sentimento». Parentela e famiglia non sono più basi preesistenti e stabili dell’identità sociale: vengono
piuttosto costantemente fatte e rifatte.

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