.2 l MAR.

701

ANNALI
DI CRITICA D'ARTE
XII, 2016

Ha
CBEDIZIONI
 Direttore: Gianni Carlo Sciolla. SOMMARIO

Comitato scientifico: Franco Bernabei, Silvia Bordini, Rosanna

Cioffi, Donata Levi, Gi vanna Perini Polesani, Edouard Pommier,
Massimiliano Ros i.

Segreteria di redazione: Fabio Cafagna, Jennifer C oke, Marghe-

rita Melani, Ilaria Miarelli Mariani. Riproposte
Anthony Blunt, Sulle origini della critica e della storia dell'arte
in Inghilterra (1975), con una nota di Ilaria Miarelli Mariani 9

Ricerche sulle fonti

Simona Rinaldi, Fonti sui rnateriali e le tecniche
del Codice purpureo di Rossano Calabro 45
Giampaolo Distefano, «Bellissima incarnatura»:
la policromia dei reliquiari a busto medievali e un caso della
loro fortuna nel Cinquecento. Il Memoriale di Girolamo
Zanghi per il busto di santa Vittoria ad Agrigento 59
Eliana Carrara, «Note di pitture, sculture e fabriche notabili
della dttà di Fiorenza». Un testimone della fortuna ·manoscritta
delle opere di Francesco Albertini, Giorgio Vasari e Francesco
Rocchi: il manoscritto N. 4/1.5 (2880) della Fondazione Horne
di Firenze. Veronica Vestri, A margine del manoscritto
Horne 2880 - N.4/1.5 81

Argomenti di critica d'arte dell'Ottocento e del Novecento

ISSN: 2279-SS7X
Gianpaolo Angelini, Le Antichità romantiche di Defendente
Annali is a Peer-Reviewed Journal
Sacchi e la «scienza simbolica» di Gian Domenico Romagnosi 109
Ranieri Vare e, Carlo Ludovico Ragghianti: una proposta
e 2016 G.C. Sciolla
critica per Antonio Canova
89 CB Edizioni Ivan Foletti, L'Icona, una costruzione storiografica?
143

Via Gioacchino Rossini, 22 - 59016 Po . .

Tel. +39 055 0941932 F ggio a Caiano (Po) Dalla Russia all'Occidente, la creazione di un mito 175
• ax +39 055 0941933 Ariana De Luca, Piero della Francesca «intellettuale organico».
WWwcbed' · ·
· 1210ru.com _annaJi@cb d. . .
e iz10ru.com The P of Pdf: un testo inedito di Michael Baxandall 195
Volume realizzat
e con carta Fedri o e~ cart.a Fabriano, Palatina
goru, Menda Forest
 Dossier delle riviste d'arte
Gianni Carlo Sciolla, «Commentari» 1950-1960. Una scheda 255
Cristina Galassi, La prima serie di «Rivista d'Arte»
(1904-1917/1.8): dal 'triumvirato' di Igi1w Benvenuto Supino, RIPROPOSTE
CorraiÙJ Ricci e Giovanni Poggi alla direzione unica
28.5
di Giwamli Poggi

Storia del gusto, del museo, del collezionismo,

delle tecniche e delle istituzioni
Andrea Leonardi e Giuseppe De Sancii, Collezionisti,
c.ollezionisttw e processi di musealizzazione in Puglia
tra XVIII e XIX secolo 345
Fabio Cafagna, Le prolu ioni accademiche di Francesco
Bertinatti (1832-1837). L'indagine del corpo tra eloquenza
efunziona lità, II parte 375
Alessandra Squizzato, Le ricerdte storico-artistiche
in Trivulziana tra otto e novecento. Il contributo e la regia
di Emilio Motta 435
Denise La Monica, Mascheroni in bronzo del Tacca:
dalla FortezZil Vecchia al Civico Museo. Un dibattito inedito 477

Extra moenia. Problemi di metodo, discussioni

e confronti
Heinrich Wolfflin, Jacob Burchkardt (1941), con una nota
di Andrea Pinotti 499
Val~ria De Gasperis, Gli affreschi di Gregorio Guglielmi
nell Ospedale romano di Santo Spirito in Sassia. Cronaca
di una distruzione annunciata (1908) 543

Apparati
Abstracts
591
Indice dei nomi
599
 499

JACOB BURCKHARDT (1941),

CON UNA NOTA DI ANDREA PINOTIT

Il mio rapporto personale con Burckhardt ebbe inizio nel 1893,

quand fui chiamato a succedergli sulla cattedra di Storia dell'ar-
te all'Università di Basilea; per cinque anni, come tutti coloro ai
quali egli aveva concesso la sua fiducia, ebbi il privilegio di fre-
quentarlo senza restrizioni. In seguito, mi sono spesso pentito di
non avere saputo sfruttare al meglio questa opportunità. La sua
conversazione era incantevole; i contenuti del suo argomentare
davvero fuori del comune. Già a quei tempi circolava la voce che
Burckhardt fosse un nuovo Eckermann; poi si disse che si tratta-
va di una specie di Goethe redivivo.
Il motivo della mia chiamata a Basilea fu la buona impressione
che Burckhardt aveva ricevuto dal mio Rinascimento e Barocco.
«Rimanga semplice>), mi disse; detto da lui, non era cosa da poco.
Il mio saggio non nasconde di dipendere per larga parte dal li-
bro di Burckhardt dedicato all'architettura del Rinascimento ita-
liano. La sua trattazione sistematica e oggettiva mi fu da guida:
all'epoca non poteva esserci modello migliore di quello. Mi col-
piva s prattutto il fatto che Burckhardt non indugiasse mai in
definizioni generali. Vano sarebbe stato cercare una definizione
di stile rinascimentale, per non dire di stile rinascimentale ita-
liano. Anche nel Cicerone troviamo lo stesso approccio. Ciò era
forse fo se dovuto alla sua speciale sensibilità per l'individualità

• I saggi di Heinrich Woliilin su Jacob Burckhardt, che qui si pubblicano nella

traduzione di Lia Pinna Pintor Bertini, revisione di Gianni Carlo Sciolla, sono
tratti dal volume Gedanken zur Kunstgescmchte. Ge.druckres und Ungedmckte ,
Basel 1941 (pp. 133-163). Per la traduzione delle altre parti d i Gedanken
(Considerazioni ulla toria dell'arte), ad eccezione di Nationale Charaktere, si
veda ora: «Annali di Critica d'arte», Vll, 2011, pp. 477-505 (I parte); VIII, 2012,
pp. 453-493 (11 parte); X, 2014, pp. 355-379 (lIJ parte).
 500-- - - - - HlltNIUCH WOLFFLIN
dell'opera: un tratto distintiv che gli rimase proprio sino alla
vecchiaia, e che si manifestava in egual misura per l'opera d'arte
compiuta e per la natura.
Neppure lontanamente ho mai pensato cli preparare una biogra-
fia su Burckhardt. Ho pr vato invece a mettere insieme qualche
semplice dato derivato dai miei ricordi personali nella breve me-
moria pubblicata in occasione del centenario della nascita dello
stuclioso, pubblicata sulla Zeitschrift fiir bildende Kunst del 1918,
prendendo spunto dalle dettagliate notizie ricevute dal pastore
di Basilea Anton von Salis. In seguito, h cercato di approfondire
meglio il pensiero di Burckhardt nel discorso che h tenuto nel
1930 ali'Accademia cli Berlino, in occasione della commem razio-
ne dell'anniversario di Leibniz. Il titolo era: ]acob Burckhardt und
die systematische Kunstgeschichte. Allora, l'atmosfera che si respi-
rava nell'Accademia di Berlino nei confronti della storiografia di
Burckhardt non era delle più favorevoli. Si metteva soprattutto in
discussione la sua storia della cultura greca. «Questi greci non sono
mai esistiti», mi aveva confidato per esempio M mmsen, in occa-
sione della mia visita formale cli sei anni prima. La pensava non
cliversamente anche Wilamowitz, in quel momento la personalità
dominante nell'Accademia. Temo che anche questo studioso non
abbia concliviso la mia conferenza. Il cliscorso intitolato Burckhardt
und die Kunst, che invece ho tenuto a Ba ilea nell'ottobre del 1936
in occasione del centenario della Società storico-antiquaria, è av-
venuto in un clima più disteso e sereno. Il fatto che si possa sem-
pre parlare di lui come di un contemporaneo onora tanto la città
quanto il defunto, sebbene non vi siano ormai più naturalmen-
te molte persone che si possono richiamare a ricordi personali.
Guardando a Burckhardt si comprende che cosa significhi de-
dicare con gioia l'intera esistenza ai compiti dell'insegnamento
accademico. Come è noto, egli non ebbe intenzione di fondare
una scuola né di formare specialisti, ma certamente molti furono
gli studiosi che poterono godere della sua ricca umanità e del
suo costante interessamento. Personalmente, per esempio, pos-
so testimoniare che Burckhardt fu molto interessato al fatto che
anch'io mi occupassi dello stile classico in Italia. Da alcune lettere
}ACOB 'BuRCKHARDT (1941) ------501
che mi indirizzò (qui riportate in calce) si può infatti riscontrare
come seguisse costantemente il mio lavoro, dispensandomi criti-
che e incoraggiamento. Tale interessamento nei confronti del gio-
vane collega si evince anche da numerose lettere inviate ad altri
studiosi. Per esempio, in una lettera spedita all'amico Griininger
nell'agosto 1896, che non voglio qui trascurare anche solo per il
suo tono corcliale e scherzoso, Burckhardt ormai settantottenne,
riferendosi ai suoi Beitriige zur Kunstgeschichte, scriveva: «Il mio
piccolo lavoro va ormai per le lunghe. Alla fin fine questo scri-
bacchiare di storia dell'arte mi sembra una maleclizione. Siamo
in tanti a remare sulla stessa barca, come il Wolfflin, che sta su-
dando nel suo p dere di Winterthur sulla sua difficilissima Die
klassische Kunst».
Si registra altresl una crescente sfiducia nei confronti della scrit-
tura storico-artistica in generale.
facob Burckhardt e l'arte (1936)
Parlare di Burckhardt storico dell'arte non significa naturalmen-
te parlare di tutto Burckhardt. Lo storico dell'arte, come è stato
rilevato, è stato forse il Burckhardt più autentico, specialmente
quello delle opere dell'ultimo periodo: i suoi anni tardi, infat-
ti, furono interamente dedicati ai lavori storico-artistici. È mol-
to significativo, a questo proposito, che quando in età avanzata
Burckhardt volle alleggerirsi dei compiti accademici, mantenne
con piacere solamente le lezioni di storia dell'arte.
È ancora vivo qualche testimone che ricorda le abitudini del
professore. Come alle undici del mattino arrivasse di tutta fretta
all'Università tenendo una grande cartella azzurra; come poi il-
lustrasse il suo materiale davanti ai banchi, commentando foglio
dopo foglio tenendolo alle due estremità; per far circolare poi,
dopo la spiegazione, le immagini tra gli ascoltatori. Questo mate-
riale di riproduzioni era vario ed eterogeneo: consisteva in foto-
grafie, incisioni, xilografie, di numero non irrilevante e tutte ac-
quistate a proprie spese. Era però necessaria la straordinaria elo-
 502--- - - -- H.BINRICH WOLFFLIN
quenza del conferenziere per far parlare quei fogli. Burckhardt
ha fatto sì in tempo a vedere l'introduzione dei dispositivi di
proiezione delle immagini nell'insegnamento della storia dell'ar-
te, ma non credo che si sarebbe abituato a questo mezzo. «Più
le riproduzioni sono fedeli - soleva dire -, più è difficile per il
conferenziere rivaleggiare con esse». Le sue lezioni non erano
costruite con metodo sistematico; si limitavano a una serie di
osservazioni finalizzate a caratterizzare gli oggetti presentati e
descritti. Queste risultavano però di una grande efficacia. Non
ci si poteva però fare un'idea precisa del metodo storico-artistico
impiegato, e dato che Burckhardt non usava tenere esercitazioni
pratiche, venivano a mancare anche le analisi formali approfon-
dite. Ciononostante, egli raggiungeva però pienamente lo scopo
principale che si era prefisso: persuadere l'uditorio che valeva la
pena di occuparsi dell'universo dell'arte.
Accanto al Burckhardt pubblico e' era que1lo privato; intendo
dire, quel Burckhardt che si poteva ascoltare quando discorreva
di arte nella sua stanza, un luogo al quale sarebbe stato da ultimo
confinato. Con quanti vi avevano accesso era sempre disponibile
a discutere di storia dell'arte e sempre pronto ad alzarsi dalla
sedia per andare a prendere le riproduzioni della sua collezione,
classificate in ordine perfetto. Questo era il mondo in cui viveva;
Talvolta, durante la visita, arrivava anche della posta: un fascico-
lo di una pubblicazione a dispense, un pacco di fotografie italia-
ne. Erano momenti indimenticabili. Li esaminava subito; mera-
vigliavano, in una persona anziana, 1a vivacità e la memoria con
cui ricordava esperienze di viaggi anche lontani.
Durante la vita Burckhardt pubblicò soltanto due libri: Der Ci-
cerone e Die Architektur der Renaissance. Der Cicerone apparve nel
1855, quando l'autore aveva trentasei anni. Die Architektur der
Renaissance invece, fu scritta un paio d'anni dopo e data quasi
controvoglia alle stampe dopo essere rimasta a lungo inedita. La
fama di Burckhardt era legata soprattutto al Cicerone, ancora oggi
ben noto a quanti si occupano di arte italiana, ma che non tutti
apprezzano, come invece merita, per la sua finezza intellettuale.
Il libro fu scritto per due terzi in viaggio; durante la mattinata
JACOB BUR.<..'KHAltDT (1941) - - ----503
Burckhardt studiava i monumenti, prendendo appunti; nel po-
meriggio, dopo essersi ritirato nella stanza d'albergo, redigeva
il testo. La stesura durò dodici mesi, nel corso di un viaggio ef-
fettuato attraverso tutta l'Italia, con un'attenzione sempre vigile,
davvero impressionante. È probabile che la genesi del libro spie-
ghi in parte il successo e il segreto della sua prodigiosa freschez-
za. «Pochi sono i libri - scrive Nietzsche - che stimolano come
questo l'immaginazione e preparano a cogliere immediatamente
la concezione artistica».
L'altra opera ricordata, lo studio sistematico sull'architettura ri-
nascimentale, è rivolta invece agli specialisti. Era il libro prefe-
rito da Burckhardt. Purtroppo è rimasto allo stato di frammen-
to, perché la presentazione della pittura e della scultura, che lo
completava, è incompiuta. Soltanto in età avanzata Burckhardt
ne terminò alcune parti a cui diede il titolo di Beitriige zur italieni-
schen Kunstgeschichte. Onestamente bisogna però riconoscere che
questi testi non hanno la forza trascinante dei lavori precedenti.
Anche le Erinnerungen aus Rubens, scritte poco prima, mostrano
uno stile più leggero. Se si vuole parlare per Burckhardt di ultima.
ma.niera1, cioè di stile tardo, ricco e di ampio respiro, la sì può ap-
punto scorgere in questo saggio. Lo stile tardo però non si addice
a Burckhardt. Le cosiddette Weltgeschichtliche Betrac1itungen, che
maggiormente si avvicinano a questo momento stilistico, sono
invece opera della maturità.
I grandi storici dell'arte sono per noi coloro che hanno scoperto
nuovi continenti. Il merito maggiore di Burckhardt è stato quello
di aver fatto scoprire ai lettori tedeschi il Rinascimento italiano.
Non è però del tutto esatto. I monumenti del Rinascimento erano
infatti noti da tempo in Germania, e anche il termine «Rinasci-
mento» veniva adoperato per definire un ben preciso stile archi-
tettonico; ma Burckhardt ebbe il merito di formularne meglio i
concetti specifici. Nella prefazione del Cicerone afferma di avere
rinnovato il linguaggio estetico preesistente, divenuto in certo
qual modo obsoleto. Questo passo è stato in seguito citato più
1 In italiano nel testo. N.d.T.
 HBINRICH WOLFFLIN
504------
volte; non si trattava tuttavia tanto di parole, quanto di sensazio-
ni. È infatti una nuova sensibilità insieme a un nuovo sentimento
delle forme ad aver permesso a Burckhardt di ridefinire il Rina-
scimento italiano. Si potrebbe pensare che non abbia prodotto
risultati più di tanto originali. Tutto è all'apparenza espresso in
modo molto semplice. Ma proprio in ciò che è semplice si na-
sconde il nuovo. Un esempio: a proposito dell'architettura dell' a-
trio della Scuola di Atene di Raffaello, Burckhardt annota con tut-
ta semplicità: «Come si starebbe bene in quell'atrio». La frase
indicava una precisa concezione: nessuno aveva infatti ancora
sostenuto che il benessere dei sensi e dello spirito potesse costi-
tuire il significato dell'architettura rinascimentale. In Germania
si pensava in modo diverso. Si riconosceva la bellezza negli sti-
li cosiddetti «organici», dove forma e funzione si identificano,
come per esempio nel tempio greco o nell'edificio religioso goti-
co tanto ammirato. Il Rinascimento, per contro, non si prestava a
un simile modo di vedere. Troppi sono gli elementi rivolti al solo
piacere, al di là della necessità funzionale. Si dovrebbe pertanto
condannare il Rinascimento? No di certo. Opponendosi forte-
mente a questa concezione, Burckhardt sostiene che ovunque si
provi un piacere visivo esjsta anche un elemento di bellezza. Vi
sono perciò per lui superfici belle, volumi cubici belli, soluzioni
spaziali belle, che non necessitano di altra giustificazione estetica
al di fuori dell'aspetto che coinvolge il fruitore. Ciò che soddisfa
il buon gusto è buono per se stesso. I rapporti (le proporzioni)
diventano il principio fondamentale dell'architettura. Non sono
certo il solo dato che conta, ma la loro importanza è decisiva.
Non appena si comprende che si tratta dell'accordo delle diffe-
renti proporzioni nella totalità dell'opera, si intravede altresì la
ricchezza delle possibilità offerte all'espressione individuale. A
partire dal XV secolo le componenti artistiche dominanti sono:
l'eleganza, la semplicità, la monumentalità. Nel classicismo del
XVI secolo si nota un'ulteriore amplificazione di questi elementi.
Burckhardt è stato il primo a rianimare di un sentimento vitale
queste opere d'arte, nelle quali il Romanticismo aveva al contra-
rio rilevato una fredda applicazione di regole. Scorgendo l'ideale
}ACOll BURCKHARDT (1941) - - -- --505
di grande umanità sotteso a tali creazioni, Burckhardt ha scoper-
to un fattore primario.
Senza alcun dubbio l'architettura era l'espressione artistica
che meglio si confaceva al talento di Burckhardt. La prova di
quanto sostengo è che egli ha contribuito senza sforzo a illumi-
narne anche l'evoluzione successiva, avvenuta nei secoli XVII
e XVIII. Inizialmente diffidente nei confronti dell'arte barocca,
ha in seguito saputo cogliere con acume il potente processo di
dispiegamento delle forme barocche riconoscendovi, al di là
della presunta decadenza, conseguenze geniali delle ricerche
rinascimentali. Di fronte alla struttura delle fantasiose scalinate
dei castelli settentrionali il suo rapimento poteva trasformarsi
in convinto entusiasmo; è toccante vederlo contrattare con gli
antiquari, per giorni interi, nel corso dei suoi viaggi, l'acquisto
di una preziosa incisione. Anche nei confronti delle arti figurati-
ve, Burckhardt possedeva la capacità, che definirei tutta italiana,
di saper cogliere il valore autonomo della figura e del suo mo-
vimento. Nell'intensificazione di cui beneficia la figura isolata,
quando si trova armonicamente accompagnata da altre figure o
è stata concepita in stretta relazione a un elemento architettoni-
co, egli ne ha sottolineato la tensione verso una realtà superiore;
ad esempio, di fronte all'immagine della Vergine Maria accom-
pagnata dai santi, nella pala di S. Zaccaria a Venezia dipinta da
Giovanni Bellini, ha parlato di «impressione sovraumana». Le
sue analisi dei dipinti sanno evidenziare ciò che il fruitore nor-
dico di solito non è in grado di avvertire. Che cosa sottolinea
Burckhardt in un'opera di così alto contenuto spirituale come la
Scuola di Atene? La leggerezza del movimento delle figure nello
spazio, la ricchezza senza ingombro, la coincidenza dei motivi
formali con quelli drammatici. E a proposito delle opere nar-
rative di Andrea del Sarto, raffigurate nel portico della chiesa
dell'Annunziata a Firenze, non si sofferma sull'interpretazione
della loro concezione; al contrario, dichiara: «Reca gioia il vede-
re le testimonianze felici di una vita semplice, che traspare dalle
forme pure e perfette, da un equilibrio elegante e dall'ordine
armonico organizzato in uno spazio esteso>>.
506------ H.BINRICH WOLFFLIN
Anche se questi aspetti possono sembrare poco significativi ri-
spetto alla critica tecnico-artistica di autori come Fromentin,
sono i fattori specificamente iconici delle opere a venire eviden-
ziati da Burckhardt nella sua Anleitung zum Genu.ss der Kunstwer-
ke Italiens. Precisamente: armonia delle forme, rapporto tra spa-
zio e figure, unità tra forma e contenuto, ecc. Egli fa convergere
poi l'attenzione del fruitore verso l'insieme della composizione.
Il valore dei motivi, della luce, del colore e della configurazione
formale consiste nel fatto che questi sorgono in maniera simul-
tanea dallo spirito dell'artista. È per questo motivo che, a pro-
posito di una composizione come la Venere di Urbino di Tiziano,
Burckhardt parla di forme eterne, mentre la maggior parte dei
dipinti moderni che rappresentano la figura nuda non superano
lo stadio scolastico del nudo puro e semplice.
Nell'interpretazione dell'architettura come della pittura,
Burckhardt mette sempre in rapporto la grande forma con la
grandezza umana. In nessun punto la sua analisi critica si arresta
al livello formale, e nel commento delle scene di intensa spiri-
tualità del XVI secolo il linguaggio interpretativo di Burckhardt
molto spesso ascende a formulazioni che diventano davvero
esemplari. Per esempio, quando descrive l'Assunzione della Vergi-
ne di Tiziano che culmina con questa espressione: «L'artista spez-
za i legami con il mondo terreno; nell'opera si respira la felicità»;
tale formulazione rimane indimenticabile.
Fondamento dell'intuizione formale di Burckhardt è la visione
plastico-lineare della sua epoca. Essa non esclude la sensibilità
per l'autonoma vitalità dei colori, ma rivendica indubbiamente il
ruolo primario della linea. Nella critica di Burckhardt l'assenza
del senso della linea diventa palese deficienza artistica. Ragio-
nando su questo punto egli mostra una finezza critica non co-
mune, spesso difficile da seguire per l'odierno amante deJI'arte.
Parla così di linee «perfette», e giudica il tracciato lineare della
Deposizione di Raffaello nella Galleria Borghese persino più <~ma­
estoso» di quello applicato da Tiziano nel dipinto raffigurante
il medesimo soggetto, ora al Louvre. La trasfigurazione ideale,
raggiunta da Raffaello nelle sue grandi composizioni della matu-
JACOB BURCKHABDT (1941) ------507
rità attraverso 1' armonia delle linee, era per Burckhardt oggetto
di indescrivibile piacere.
In musica, è il prevalere della melodia a corrispondere a questa
supremazia della linea, la quale risulta a sua volta collegata con
la massima chiarezza e visibilità. 11 gusto musicale di Burckhardt
propendeva dunque egualmente per questa parte. A suo parere,
il fattore essenziale in musica era quello che poteva essere scritto
su una sola linea.
La sensibilità di Burckhardt era tuttavia troppo ricca e prorom-
pente per limitarsi ad apprezzare uno stile unico. Era imbevuto
del classicismo delle sculture del Partenone, ma era anche sensi-
bìle all'arte pittorica dell'altare di Pergamo. Accanto a Raffaello,
agli occhi di Burckhardt, Rubens mostrava una forza artistica
analoga, anche se ammetteva che sotto il profilo dell'idealità,
l'artista fiammingo era distanziato dai grandi precedenti italia-
ni. Oggetto dell'ammirazione di Burckhardt era il Rubens delle
massicce forme plastiche. Al contrario, sembrò non possedere
un organo appropriato per poter apprezzare il suo stile tardo,
disintegrato, caratterizzato da infinite sfumature di colore. An-
che a proposito di Rubens, per Burckhardt le categorie del giu-
dizio critico erano comunque quelle artistiche. Ciò che lo incan-
tava in primo luogo era la «visione ardente» dell'artista: il fatto
che nei suoi dipinti tutti gli elementi costitutivi - forma, colore,
luce - dovessero essersi presentati simultaneamente ali' occhio
interiore dell'artista e che l'insieme apparisse, a sua volta, per-
corso da calma e trasparenza, a dispetto del movimento istan-
taneo, intensificato in maniera assoluta. È nel saggio su Rubens
che Burckhardt ha introdotto il principio delle «equivalenze». Si
tratta di un sistema di equilibri nel quale un elemento di colore
è controbilanciato da un elemento di luce, un carattere formale
da uno spirituale: un procedimento che non si riscontra soltanto
in Rubens, ma che sicuramente rappresenta un fattore impor-
tante nell'economia della arte sua come dell'arte in generale. È
caratteristico dell'attitudine di Burckhardt nei confronti dell'arte
il fatto di aver ammirato per tutta la vita l'incomparabile forza
creativa di Rubens, per il quale anche le cose tecnicamente più
508------ HEINRJCH WOLPl'UN
difficili gli risultavano motivo di gioia. Ma ovviam nte che cosa
mai arebbe questa f rza creativa senza quel potente senso della
vita e della natura che è support della forma?
Non ci si stupirà nell'apprendere che Burckhardt si sentiva meno
a suo agio nell'universo dei petits maftres olandesi del XVII seco-
lo. Ciò che dice di questi pittori di genere n n convince, anche
quando li el gia. Anche se ne apprezza il loro concentrarsi sui
motivi (a differenza dei pittori tedeschi 1 ro contemp ranei, pre-
si nell'alternativa fra interiorità e Witz), non ci si può sottrarre al
sospetto che non renda mai piena giustizia alle qualità pittoriche
di questi maestri. Gerard Dou è eccessivamente assimilato a Ter-
borch; Jan Vermeer è ritenuto un artista sopravvalutato. Un altro
esempio di critica discutibile da parte di Burckhardt, su questo
versante, è costituito da Rembrandt. Lo stile amplificato, miste-
rioso del Rembrandt maturo non gli piaceva affatto. Gli rimpro-
verava proprio quella spiritualizzazione dei mezzi artistici, n Ila
quale il maestro, al contrario, nella fase matura, ci pare unico e
originale. Burckhardt ne parla con un tono quasi risentito, come
se fosse stato personalmente insultato. E forse le cose sono an-
date proprio cosl. Anche se l'insulto consisteva unicamente nel
fatto che non gli piacesse il viso <<Volgare» di Rembrandt.
L'arte non è un fatto isolato. È intrecciata alla vita dei popoli nel-
la sua totalità. Già nel Cicerone Burckhardt raccomanda occasio-
nalmente di non dimenticare, accanto all'interpretazione estetica
della forma, la storia della cultura italiana. Le Weltgeschichtliche
Betrachtungen evocano in molti punti i modi in cui l'arte viene
condizionata dalle forze extra-artistiche e in cui può eventual-
mente influire, a sua volta, su queste forze. Burckhardt però non
ha mai scritto una storia dell'arte basata sulla storia culturale, an-
che se meglio di qualsiasi altro studioso sarebbe stato attrezzato
per un simile lavoro, e nonostante il fatto che la scienza del suo
tempo esigesse per l'appunto che l'arte fosse interpretata parten-
do dall'esame delle epoche e delle nazioni. Il nome dello stori-
co che è necessario citare a proposito di questo orientamento è
quello di Schnaase. Se il Cicerone non offriva paragoni con la sto-
ria culturale, il libro sull'architettura del Rinascimento sarebbe
JACOB BURCKHARDT (1941) ------509
stato l'occasione propizia per porre la questione dell'incidenza
delle forze spirituali sul nuovo stile. Curiosamente Burckhardt
non affrontò l'argomento, e giustamente all'epoca Schnaase lo
criticò per questo.
Ciò che indusse Burckhardt a mantenersi riservato su questo
punto dovette essere la sua convinzione secondo la quale nel-
la prospettiva delle cosiddette scienze dello spirito (per usare
un'espressione moderna) la specificità dell'arte finisce per veni-
re trascurata. Egli respingeva la concezione romantica, secondo
la quale il sentimento sarebbe tutto e l'espressione artistica si
produrrebbe da sé solo nel momento in cui si fosse completa-
mente compenetrati da un determinato sentimento. In maniera
forse persino troppo perentoria Burckhardt si rivolse ad esempio
contro le teste sognanti di Perugino. Questo tratto sognante non
deve per forza esser stato un aspetto della personalità del ma-
estro. Conversando, egli espresse una volta questo pensiero in
modo breve e incisivo, affermando che la semplice malinconia
non è sufficiente per dipingere paesaggi serali.
L'esistenza della grande arte era per Burkckhardt un fatto che
aveva radici pr prie e non poteva venire dedotto dal mondo
circostante; un fatto che in conclusione restava inspiegabile:
«Nell'arte greca come in tutte le grandi epoche artistiche il po-
tente impulso iconico, consistente nell'esprimere necessaria-
mente la spiritualità attraverso le forme, rimane misterioso». È
acclarato che le grandi trasformazioni storiche generali hanno
una loro importanza per le arti, ma i contenuti risultanti da que-
sti cambiamenti non rappresentano che delle «occasioni» che
fanno vibrare l'anima degli artisti; è da queste vibrazioni che
nascon le grandi opere. Si può concludere che una determinata
epoca si esprima più fortemente in queste opere che in qualsiasi
altro modo. Per citare l'esempio offerto dallo stesso Burckhardt:
«Raffaello è il testimone supremo dell'Italia del suo tempo».
«Rubens è invece il più grande testimone delle Fiandre del suo
tempo: in maniera superiore a tutti gli intellettuali, i poeti e gli
artisti del suo paese. Egli rappresenta le Fiandre del suo tempo
divenute forma e colore».
 HBINRICH WOLFFLIN
5 1 0 - - - - --
A endo dato all'artista que ta p sizione nella t ria, Burckhardt
'impegna a a comprendere appien ciò che nell'arte è propria-
mente artistico. Egli era convint di aver fatto dei pas i decisivi
in questo senso successivamente alla pubblicazione del Cicerone.
«Guardo ormai al Cicerone quasi con sopportazi ne», scrisse ad
un amico quando rivede Roma nel 1875, dop lungo tempo. In
generale, la presentazione di un artista dopo l'altro gli sembrava
infatti ormai d'ostacol alla vera storia dell'arte. Vorrebbe insom-
ma uscire dall'«insensatezza della st ria degli artisti» per proce-
dere verso la vera storia dell'arte; abbandonare la mescolanza
informe dei fatti biografici ed estetici per giungere finalmente a
«una storia pura degli stili e delle forme». Era una convinzio-
ne de tinata a durare. Quattro anni più tardi in una lettera da
Londra si legge: «Vorrei ricondurre le leggi viventi delle forme a
formule il più possibile chiare e semplici».
Articolata in questo modo, la frase permette diver interpreta-
zioni. In ogni caso non si deve temere che Burckhardt vole se
puntare su un tipo di analisi unilaterale che avesse al centro la
forma. Altrimenti come potrebbe avere affermat in una lette-
ra inedita del 1877: «Nella storia dell'arte il mio compito indivi-
duale è quello di rendere conto dell'immaginazione delle epoche
passate; di interpretare la visione del mondo di questo maestro o
di quella scuola. Altri studiosi si impegnano a descrivere i mezzi
dell'arte del passato; io, per quanto mi è pos ibile, la volontà che
questa esprime».
La presa di posizione del vecchio Burckhardt in favore di una
storia sistematica dell'arte appare inequivocabile: «L'arte secon-
do i suoi propri compiti: questo è il mio testamento pirituale»,
dichiara con una certa enfasi in occasione del suo 75° anniversa-
rio. Non significava che questo fosse il solo modo di pre entare la
storia dell'arte; lo riteneva piuttosto un complemento indispen-
sabile alla storia dell'arte narrativa. Soltanto quando l'ambito
dei compiti è stato delimitato, il simile ricondotto al simile e le
differenti soluzioni date a uno stesso compito appaiono in una
serie conchiusa, si può rendere completamente giustizia tanto
al contenuto quanto alla forma. Per quanto fosse sviluppata la
}ACOB BURCKHARDT (1941) ------511
sua sensibilità per i fenomeni individuali, e alta la sua opinio-
ne intorno al valore delle grandi personalità, il suo interesse si è
tuttavia progressivamente rivolto verso i fattori generali e gliele-
menti di continuità. Burckhardt non ha mai scritto la biografia di
un artista, e le Erinnerungen aus Rubens, che si potrebbero citare
come esempio contrario, non pretendono di essere una biografia.
Burckhardt diede un primo esempio di «arte secondo i compi-
ti» nel suo studio sistematico sull'architettura rinascimentale.
Avrebbero dovuto seguire le parti sulla scultura e sulla pittura,
ma sono rimaste incomplete. Burckhardt ha ripreso questi temi
successivamente nella vecchiaia, sviluppandoli almeno parzial-
mente. La forma risulta allentata e i concetti originali di disegno,
trattamento della luce, composizione ideale della forma ecc. non
sono più trattati integralmente, di modo che la posizione del pro-
blema appare irrisolta.
Burckhardt è ritenuto un tipico Romanist. È vero, tutti i suoi li-
bri sono consacrati all'arte italiana; la sola eccezione è quello su
Rubens, che tratta di un quasi romanista. Questo giudizio non
è però del tutto esatto e va corretto. L'ammirazione per l'archi-
tettura meridionale non ha mai cancellato in Burckhardt quella
per il gotico settentrionale. Egli ha inoltre sempre riconosciu-
to la grandezza dei pittori tedeschi del XVI secolo. Fedele alla
natura del suo paese natale, come avrebbe potuto dimenticare
i paesaggi del n rd, nei quali riconobbe l'espressione di una «fa-
coltà onirica» tipicamente settentrionale? Per rendere giustizia al
Burckhardt Germanist si dovrebbero un giorno pubblicare i suoi
frammenti postumi dedicati all'arte germanica.
Non v'è tuttavia alcun dubbio che per tutta la vita Burckhardt
abbia sentito un' «affinità» speciale per l'Italia. Lo scambio con gli
italiani gli riusciva più facile che con altre popolazioni. A Roma
poteva, senza saperselo spiegare, provare un sentimento imme-
diato di b nessere, per cui gli piaceva talora immaginare di avere
vissuto una misteriosa preesistenza italiana.
Più concretamente: ciò che caratterizza Burckhardt non è soltan-
to il bisogno appa sionato di bellezza, ma più in particolare quel
bisogno che trova soddisfazione s lo di fronte all'armonia e alla
 HEI RICH WoLl'Fl.IN
512------
purezza delle forme eh avevan prod tt l'antichità e il Rinasci-
ment . Che e s' la «purezza»? Si sott valuterebbe il significato
di tale concetto se se lo si facesse coincidere con un superficiale
colpo d'occhio. Il fen meno della forma pura è invece la manife-
stazione di qualcosa che t cca i sentimenti più elementari dell'e-
sistenza. Un'essenza ha trovato qui la forma compiuta; il piacere
provato di fronte a questa realizzazione eleva l'uomo a un'esi-
stenza ideale. È ciò che Burckhardt voleva esprimere parlando
della «gioia» provata di fronte a un bel peristilio, o mettendo in
relazione le pure proporzioni dell'architettura con la forma pura
di un corpo umano, o la purezza di una colonna con la purezza
di un motivo raffigurante figure in movimento. Non si tratta di
regole astratte della bellezza: ma sempre di forme di vita indivi-
duale. Si può pensare che tale purezza appagasse il suo deside-
rio di libertà, che si era manifestato in lui precocemente e eh in
seguito non cessò di esprimersi; non si trattava tuttavia di mera
mancanza di limiti esterni, bensì di una libertà superiore: signifi-
cava cioè essere se stesso.
La purezza della forma singola e del singolo motivo, a loro
volta, sono connessi all'armonia dell'insieme. Questi principi
possono confondersi, come si apprende dalle belle parole det-
te da Burckhardt su Tiziano: «Ciò che c'è di divin in Tiziano è
il sentire nelle cose e negli uomini quell'armonia dell'esistenza
che dovrebbe sussistere in virtù della loro essenza più propria
[... ].Quel che nella realtà è frammentato, condizionato e disper-
so viene da lui raffigurato come intero, felice e libero. Questo
compito si riscontra in tutta l'arte, ma nessuno è stato in grado di
realizzarla in maniera così calma, in modo così efficace, con tale
espressione di necessità». La forza dell'armonia non si manifesta
pienamente se non quando compenetra grandi insiemi formali,
architettonici o figurativi. Il modo con cui l'arte italiana classica
stabilisce l'accordo tra gli elementi singoli, l'armonia equilibrata
fra le parti, è stato apprezzato da Burckhardt come uno dei più
massimi godimenti possibili. Egli non fu uomo di contrasti, cer-
cava sempre l'armonia. Ciò non significò tuttavia sprofondarsi
passivamente nella tranquillità armonica. L'armonia significava
}ACOB BUJiCXHARDT (1941) ------513
per lui uno stato esistenziale intensificato, nel quale le forze agi-
scono insieme in un libero gioco, rivolto a vitalizzare anche il
fruitore. Più le parti sono indipendenti, piu sono opposte le une
alle altre, maggiore è l'impressione che se ne trae. È il segreto
delle grandi composizioni di Bramante e di Raffaello.
Ma si può andare più oltre. L'armonia classica italiana è fondata
su una legge rigorosa; per Burckhardt era questo il grande prin-
cipio ordinatore delle opere d'arte, che doveva da ultimo essere
inteso anche come potenza etica. Senza questo giudizio di valore
non avrebbe potuto stimare come fece Raffaello. Ogni elemento
di sregolatezza e di trasgressione nel campo artistico era da lui
considerato con grande diffidenza Non si sentiva a proprio agio
che nella sfera dell'ordine, della chiarezza e della misura. Rab-
brividiva quando capiva che un artista dal temperamento esube-
rante minacciava di superare questi confini.
Non diversamente si comportava nei confronti della musica.
Il mondo contemporaneo è sensibile alle differenze nazionali. Il
fatto che Burckhardt considerasse l'architettura del Rinascimen-
to italiano come uno stile esportabile anche in altri contesti cultu-
rali è per noi ormai incomprensibile. Tale carenza non è tuttavia
un limite personale, ma appartiene allo spirito dell'epoca.
D'altra parte, Semper non pensava diversamente. Al giorno d' og-
gi qualsiasi studente sa che un palazzo2 italiano inserito in una cit-
tà tedesca rappresenta un corpo estraneo che un organismo vigo-
roso dovrebbe espellere da sé. Il sentimento settentrionale della
f rma è profondamente diverso da quello meridionale; anche i
concetti di forma pura, di armonia, di chiarezza, di conformità a
leggi sono intesi e applicati in maniera differente.
Persino in capolavori dell'arte figurativa come l'Ultima Cena di
Leonardo o la Scuola di Atene di Raffaello, ritenuti da Burckhardt
esiti assoluti e universali, noi avvertiamo molto di più di quanto
non possa avvertire lui qualcosa di estraneo. Pur ammettendo la
loro perfezi ne, questa non ci appartiene.
Come avrebbe risposto Burckhardt a queste riserve? Il fatto che
2 In italiano n l te to. N.d.T.
 HBJNRICH WoLFFLIN
514------
queste opere sian state create in Italia e n n avrebbero essere
potute essere create altrove, n n sarebbe stat per lui una ragione
sufficiente per riconoscere in esse un valore meramente nazionale.
Al contrario, nei diversi popoli vedeva piuttosto i fattori di conti-
nuità e di somiglianza che non gli elementi di differenza e distin-
zione, e riteneva Raffaello o Rubens artisti dell'umanità intera.
Il Cicerone reca n toriamente come sottotitolo Eine Anleitung zum
Gerzuss der Kunstwerke Italiens (Guida al godimento delle opere
d'arte d'Italia). Il termine Genuss, godiment , va inteso in un si-
gnificato molto più pr fondo di quel che solitamente vi si attri-
buisce. L'arte nel senso attributo da Burckhardt a questo termine
non ha niente a vedere con il significato di svago. Su ciò che in-
tendeva per arte Burckhardt non si è espresso che brevemente
e in maniera discontinua, ma tutte le sue formulazioni finivan
per convergere sulla nozione di eternità. Esiste un'arte universa-
le, le cui leggi sono eterne e universali, e ciò che egli pretende da
essa è una seconda vita superiore, capace di innalzarsi al di sopra
della mera realtà effettiva. Questa differenza significa che l'arte
dovrebbe interpretare i tratti eterni della vita umana, e saper di-
stinguere «l'essenziale e il bello» da ciò che invece è «insignifican-
te e banale». Questa distinzione caratterizza il classicismo. Nel
carteggio tra Schiller e Goethe si ritrovano simili considerazioni.
Nell'introdurre alla pittura del XVI secolo il Cicerone co 1 si espri-
me: «La perfezione formale è stata creata per recare conforto e
meraviglia agli uomini di tutti i tempi». Recare conforto? Tale
espressione si ritrova anche in Schopenhauer e in Nietzsche. Dà
tuttavia da pensare il fatto che non si presenti in quel luogo che è
la patria di quelle grandi opere, l'Italia di Raffaello e di Tiziano.
È dunque un modo di pensare l'arte completamente innovatore.
Oggi gli uomini hanno bisogno di es ere confortati.
Si è spesso rimproverato a Burckhardt, soprattutto da parte de-
gli artisti, di avere trascurato l'arte contemporanea. Hanno forse
ragione, perché profonde erano le divergenze tra di loro. Va det-
to però che nessuno più di lui si è adoperato per tutta la vita a
risvegliare l'amore per l'arte e a farla rispettare. Ai suoi occhi il
grande artista «si eleva ad altezze e distanze infinite»; quando
)ACOB BURCXHAIU>T (1941)
------515
nelle lezioni affrontava opere grandiose e che suscitavano mera-
viglia, la sua emozione raggiungeva un diapason altissimo. Ab-
bassava la voce, parlava con tono sommesso, vibrante. Talvolta
- può sembrare singolare, essendo trascorsi ormai cinquant'anni
- quella voce mi risuona ancora oggi nell'orecchio. Da allora non
ho più sentito parlare cosl di arte.
facob Burck'fzardt e la storia sistematica dell'arte (1930)
Chi faceva visita a Burckhardt negli ultimi anni delJa vita (si era
ritirato dall'insegnamento a settantacinque anni e rimaneva or-
mai confinato quasi sempre in casa), lo trovava assorto al suo
tavolo di lavoro, impegnato a scrivere. Si lasciava interrompere
volenti ri, ma non amava parlare di ciò che stava scrivendo. Al
massimo si lamentava, in maniera generica, della sopravvenuta
carenza di energia nel lavoro, che definiva ormai non più crea-
tivo, ma ricreativo. Dichiarava che scriveva soltanto per tenersi
lontano dai giornali. Dopo la sua morte si è potuto avere libero ac-
cesso ai manoscritti. Erano studi storico-artistici. Per espresso suo
desiderio si doveva dare alle stampe il breve commento sull'arte
di Rubens (Erinnerungen aus Rubens) e i tre saggi dal titolo Beitriige
zur italienisch.en Kunstgeschichte, dedicati rispettivamente alla pala
d'altare, al ritratto e ai collezionisti. Questi scritti postumi sono
stati accolti con il doveroso rispetto, ma anche con una certa delu-
sione. Paragonati alle opere precedenti, ci si aspettava qualcosa di
maggiore respiro, di più ampio e di meno specifico.
Burckhardt aveva iniziato con il Konstantin (1853): un quadro
d'insieme sul mondo tardo-antico. Poco dopo (1855) era compar-
so il Cicerone: un libro completamente diverso, che si presentava
come una guida di viaggio, mentre in realtà offriva una vera e
propria rassegna storica dell'arte in Italia, affrontata per la prima
volta da una vasta prospettiva e con approfondimenti originali.
Seguì la sua opera principale, Die Kultur der Renaissance in Italien
(1860), tilisticamente la più alta: un libro dalla lettura massima-
mente agevole, nel quale ogni fra e sembra so tenuta da un'i-

11114 fi•l, '- In 11•I' lt'm lavor , un compendio istema-
11•11 11 h fl'lfur, rin im n italiana: n un volume da
tulle~ 11 u11 volt ; iu to, un'opera scritta per quanti
1 t 11 ti r 1gion · r a form uJare d Ile ipotesi in propri ;
1 r I 11 u tirrt >I · nt di tt le ue pubblicazioni. on si trat-
t ii un t t on hiu e scritto con eloquenza persuasiva, bensì
ii un' rti 11 zi n in principi e tesi, talora integrata da materiale
d um nt ri di p to in maniera piutto to libera. Questa Kunst
r naissance venn pubblicata nel 1867 come parte della st ria
neral dell'architettura, iniziata da Franz Kugler. Burckhardt
l'a a critta qualche tempo prima, all'età di circa quarantacin-
que anni. Succes ivamente, non pubblicò più nulla: né libri, né
saggi, né recensioni. Soleva dire che l'insegnamento l'assorbiva
interamente e che lo appagava in modo completo. È compren-
'bile dunque che, quando quella voce è ri uonata ancora una
volta una generazione più tardi, i ia perato di poter attingere
una eco ultima della sua saggezz.a. Ma quegli critti summenzio-
nati, una volta confrontati con le opere maggiori, no mbrati
soltanto frammenti, briciole.
Oggi però la pensiamo in mod diver . Avendo Ja po ibilità
di esaminare il lascito compi ivo di Burckhardt, quell pagi-
ne perdono il carattere di isole di perse; la loro uperfi-
cie, traspaiono invece massicci m ntu i imponenti. È n eh
Burckhardt aveva iniziato a elaborare in mo ai sant'armi una
grande storia della cultura greca, e eh ave a cominciato a scri-
vem un migliaio di pagine. Ave a in seguito accantonato il pro-
getto. Solo più tardi il lavoro venne completato ulla base delle
· pense universitarie e dato alle tampe. Meno n to è invece il
che il Burckhardt quarantenne aves e lavorato a una storia
~ries:aledell'arte del Rinascimento italiano in forma di presenta-
"stematica. Il manoscritto non era interamente finito. Cin-
. erano stati completati: l'architettura, la scultura e metà
on sappiamo per quale motivo Burckhardt abbia
aec:iso di abbandonarne la stesura definitiva.
In origine l'arte avrebbe dovuto essere trattata anche nel volume
dedicato alla Kultur der Renaissance in Italien. Ma in corso d'ope-
JACOB BURCXHARDT (1941) ------517
ra qu sta tematica venne espunta, producendo così una lacuna.
Come sarebbe stato possibile descrivere la cultura italiana senza
includere l'arte? Nella prefazione Burckhardt parlava di una ca-
renza evidente a cui si proponeva di ovviare con un libro apposi-
to. Alludeva a una trattazione sistematica dell'arte italiana, della
cui disposizione e sviluppo ci si può fare un'idea, dal momento
che la parte sull'architettura rinascimentale inclusa nella storia
universale dell'architettura di Kugler non è che la prima parte
dell'opera sistematica di cui si è detto. In realtà non è stata scrit-
ta appositamente per l'opera di Kugler, a paragone della quale,
presenta una forma differente. È stato infatti Ltibke, il successore
di Kugler, a ottenere da Burckhardt il manoscritto dopo molte
insistenze. In seguito, il libro ha fatto il suo cammino indipen-
dentemente dal resto.
È in Bode che possiamo trovare qualche riferimento alla parte
relativa alla scultura. Durante una visita dello studioso a Basilea,
Burckhardt gli aveva concesso in visione, soltanto per qualche
ora, il manoscritto. Essendosi però fatto tardi, e dato che Bode
non ritornava con il prezioso involucro che gli aveva prestato,
Burckhardt cominciò a impensierirsi; andò a cercarlo in albergo,
dove però gli fu detto che il visitatore straniero si era già ritirato
e che era a quell'ora era troppo tardi per disturbarlo. Come si
evince dalla postfazione della nuova edizione del Cicerone, Bode
si era in eguito convinto che quel manoscritto fosse stato di-
strutt dallo stesso Burckhardt. In realtà esisteva ancora. Negli
ultimi anni di vita l'autore aveva continuato a rielaborarlo ed
era fermamente intenzionato a pubblicarlo, ma poi fu preso da
scrupoli. Inizialmente mutò il titolo nel più limitato Randglossen
zur Skulptur. Infine, da ultimo, annotò con grafia tremante sul
fascicolo: «Non deve essere pubblicato».
L'ultima parte della storia sistematica dell'arte dedicata alla pit-
tura, è rimasta, come si è accennato, incompiuta. In modo simile
alla suddivisione adottata per la scultura, la prima sezione che
doveva trattare dei «mezzi e delle forze» fu portata a termine.
Nel 1864 l'autore interruppe il lavoro al secondo capitolo, che
avrebbe dovuto analizzare invece i «s ggetti e i compiti». Questi
 HBINRlCH W6LFFLIN
51
temi lo intrigarono però sino alla fine. «Se dovessi ricominciare_
dichiarava in maniera risoluta parlando dei propri lavori storico-
artistici, in occa ione del suo settantacinquesimo c mpleanno -,
adotterei paragrafi e suddivisioni come quelli». Anche gli ultimi
saggi, dedicati alla pala d'altare, al ritratto e ai coll zioni ti, van-
no collegati a quel primo progetto di organizzazione sistemati-
ca. Burckhardt, però, abbandonò la suddivisione rigorosa sotto
forma di paragrafi, preceduti da titoli indicanti l'argomento, a
tutto vantaggio di una trattazione continua: una trasformazione
simile fu riservata al manoscritto sulla scultura. Evidentemen-
te non si sentiva più in grado di affrontare la materia con uno
svolgimento sistematico. Si limitò a riprenderne soltanto alcuni
capitoli, accontentandosi di semplici Beitriige.
Sul concetto di storia dell'arte sistematica, Burckhardt si sareb-
be subito dichiarato d'accordo sul fatto che sistematica e storia
non possono essere identificate: una «st ria sistematica» suona
come una contraddizione in termini. Riteneva che la storia intesa
nel senso corrente dovesse essere non sostituita, bensì integrata
dalla sistematica, e che una tale integrazione fosse però nec a-
ria. «La storia generale dell'arte rinascimentale - leggiamo in un
abbozzo di prefazione risalente al 1863 - dovrà sempre seguire
la storia degli artisti narrata in senso cronologico, e non penso
affatto di impostare le cose diversamente. Volendo tentare una
trattazione per temi e generi, vorrei semplicemente aggiungere
alle storie dell'arte già esistenti una seconda parte, sistematica».
In ultima analisi, Burckhardt non aveva una mentalità esplicita-
mente sistematica. Sentiva certo l'esigenza di pervenire a totalità
conchiuse, e invitava i colleghi a unire il singolo fenomeno all' e-
poca e allo stile nel loro complesso. D'altra parte, tuttavia, il suo
interesse era troppo condizionato dal fattore individuale e dal
caso specifico per potersi avventurare in orizzonti generali n i
quali avrebbe perduto di vista gli elementi particolari. Sebbene
ogni sistematica richieda un'impostazione razionale, uno svilup-
po dei concetti che scaturisca da una base unitaria, egli si oppo-
neva alla consequenzialità e alla logica assunte in senso assoluto.
Non si sentiva a suo agio senza prendersi la libertà di un certo
}ACOB BmtCKHAIU>T (1941) ------519
qual arbitrio, e di ciò si scusava apertamente con il lettore: <<Vor-
rei che alla struttura del libro si guardasse con un po' di benevo-
lenza, considerando il fatto che non è stato possibile impostarla
in maniera puramente teorica, ma anzi dirigerla di volta in volta
econdo la presenza casuale delle opere ed espressioni artistiche
effettivamente esistenti. In più, non è colpa mia se tutti i fenome-
ni sono in stretta relazione tra di lor , e ogni suddivisione rie-
ce perciò opinabile». Queste dichiarazioni non chiariscono però
appieno l'evidente mancanza di razionalità nella suddivisione
dei singoli capitoli. Burckhardt ne era pienamente cosciente e a
queste riserve rispondeva semplicemente dicendo di presentare
i vari argomenti «come il pastore, che cerca di fare il suo meglio
per fare rientrare il gregge attraverso la porta dell'ovile».
Si può cercare di sintetizzare la sua storia sistematica dell'arte
sotto tre aspetti:
1. «L'arte secondo i compiti». Unilaterale è lo storico che si occupa
esclusivamente della personalità degli artisti, e che si industria
soltanto di sintetizzare e caratterizzare il corpus di un determina-
to artista senza invece preoccuparsi dell'origine dei compiti che
quell'artista si è posto». Questa visione unilaterale affligge fre-
quentemente la storia dell'arte come storia degli artisti: «Ci indu-
ce a pensare che gli artisti scelgano liberamente i propri compiti,
mentre in realtà essi agiscono sotto il dominio di precedenti che si
sviluppano gradualmente» (leggiamo in un abbozzo di prefazio-
ne). La svariata ricchezza delle personalità artistiche garantisce
di certo in tutte le epoche una incomparabile attrattiva alla sto-
ria degli artisti. Ma al suo fianco una storia dell'arte sistematica
dovrebbe anche preoccuparsi di scoprire l'origine delle commit-
tenze, non soltanto nei casi individuali, ma anche relativamente
ai generi. Che cosa veniva richiesto all'immagine di devozione
dome tica? O a quella destinata al pubblico culto? Soltanto suddi-
videndo i compiti si potrà comprendere come un genere artistico
abbia in.fluito sull'altro. O ancora: in quale momento e in quale
contesto un determinat gusto si è formato pre so i collezioni-
sti e gli amanti dell'arte? E quali conseguenze ha avut sull'arte?
Gli st ssi problemi riguardano l'architettura. Sarà necessario non
 HsmRicH WoLFFLIN
520------
solo studiare la psicol gia degli stili, ma anche quella del commit-
tente, sia esso un singolo individuo oppure una comunità. Come
mai i documenti relativi ai cantieri architettonici del Nord sono
redatti in termini così diversi da quelli italiani? Ci si imbatte qui
di primo acchit in un fattore spirituale primario: il senso della
fama. Burckhardt è stato il primo a consultare metodicamente le
fonti scritte, finalizzandole a tali quesiti. Il risultato è stato l'illu-
minante e straordinario capitolo introduttivo della sua Renaissan-
ce-Architektur, in cui non solo sono raccolte le testimonianze intor-
no alla sensibilità italiana per la monumentalità in generale, ma
son anche studiate le diverse sfumature del senso architettonico
presso i Fiorentini, i Senesi, i Veneziani.
nraggruppamento monografico degli oggetti affini, finalizzato a
discutere l'immagine religiosa, il quadro storico, il ritratto, ecc.,
non sarebbe risultato che un la oro parziale. Ciò che importava a
Burckhardt era infatti compilare l'inventario completo dei temi,
in modo da comprendere le finalità per le quali la vita era ricorsa
all'arte. Così, nella sezione della pittura, che veniva analizzata
per soggetti, oltre ai consueti capitoli egli aveva pensato di ri-
servare dei paragrafi alle allegorie, ai cicli pittorici, alle pitture
nei conventi, nelle confraternite, negli ospedali, alle immagini
cerimoniali, agli orbis terrantm, agli affreschi infamanti, e così via.
Un tale collegamento dell'arte con la storia della cultura era da
ritenersi davvero innovativo? L'opera storico-artistica più imp r-
tante del suo tempo, la Geschichte der bildenden Kiinste di Schnaase,
non cercava già di spiegare le differenze dei risultati artistici sulla
base della diversità dei luoghi e dei popoli, di presentare cioè la
storia dell'arte (come si direbbe oggi) come storia dello spirito?
La differenza consiste nel fatto che Schnaase delineava con molta
vivacità i quadri culturali, ma lasciava indeterminato il rappor-
to arte-cultura. Non senza ragione circolava la battuta maligna
secondo cui l'opera di questo autore difettava della «cinghia di
trasmissione». Nella storia sistematica di Burckhardt non incon-
triamo «idee supreme» (queste le lasciava volentieri alla storia
degli artisti). Al contrario, i dati importanti risultano enucleati in
maniera molto chiara. Egli si sofferma soltanto sugli aspetti che
]ACOB BURCXHARDT (1941) ------521
hanno riferimento immediato con le singole opere d'arte, aspetti
nei quali tuttavia il concetto è divenuto sufficientemente ampio
perché si possano mostrare in modo intuitivo «le forze motrici e i
condizionamenti che dominano il tutto». Nel manoscritto infatti
si legge: «Può sembrare che io privi la storia dell'arte della sua
aura divina [... ],ma devo garantire il diritto della prosa nell'arte».
2. Quando Burckhardt nel Cicerone afferma di avere cercato di
svecchiare il linguaggio dell'estetica, intende dire di volersi affi-
dare a una più ricca esperienza vissuta dell'arte, basandosi pro-
prio su quel fattore puramente figurativo che solo l'arte appunto
figurativa p ssiede, non condividendolo con nessun'altra forma
artistica. È evidente che questa trattazione formale può riusci-
re meglio con la classificazione secondo i temi piuttosto che con
quella secondo gli artisti, nei quali l'oggetto varia di continuo.
Scrive Burckhardt che suo intento era superare le «insensatezze
della storia degli artisti», per ottenere un'analisi più pura delle
forme e degli stili. E di avere raggiunto questa possibilità in una
storia dell'arte studiata per categorie formali: considerando l'e-
sempio della pittura, con l'esame del disegno, della distribuzio-
ne delle luci, del colore, della composizione ecc.
Si è sempre affermato che il tratto distintivo di Burckhardt ri-
sp tto agli altri storici dell'arte suoi contemporanei sia stata
l'immediatezza dell'impressione di fronte all'opera d'arte. Con-
nessa a questo tratto era la sua capacità di dare il meglio di sé
nell'individuare il carattere di un singolo elemento o di determi-
nati raggruppamenti stilistici; si asteneva invece quasi timida-
mente dalle definizioni di portata più generale, che esigono un
maggiore distacco dall'opera d'arte concreta. Non avrebbe mai
potuto, come invece fece Schnaase, intraprendere la trattazione
cominciando col domandarsi «che cos'è l'arte?». Nemmeno alla
domanda «che cos'è il Rinascimento?» egli diede mai una rispo-
sta univoca (la que tion veniva come casualmente affrontata in
frasi secondarie). Ma proprio perciò ci sentiamo condotti tanto
più vicino al fatto artistico della singola opera e alle sue varianti
stilistiche. Anche se i suoi capitoli dedicati al nudo o all'abbiglia-
mento nel XV e nel XVI secolo ci sembrano un poco poveri di
 HB1mucH WoLFFLx
522------
contenuto, è stato meritori l'avere cominciato a p rre il proble-
ma. Lo stesso Burckhardt ne ha avvertito i limiti e riteneva che
solo un artista, in quanto specialista della materia, avrebbe potu-
to ottenere risultati migliori. Nell'abbozzo della prefazi ne gene-
rale, e più o meno con le stesse parole nella prefazione all' edizio-
ne a stampa dell'Architektur, leggiamo: «Certo, alcuni paragrafi
avrebbero potuto essere affidati a gente del mestiere. li dilettante
può condurre questo tipo di ricerca solo sin a un certo punto». È
per questo moti o che a tutt' ggi simili analisi che considerano
i fattori in gioco da una prospettiva interna all'arte tessa sono
state compiute di rado. Ma lo storico dell'arte deve davvero es-
sere aiutato da un uomo del mestiere, da un artista? È davvero
opportuno i1 paragone con la storia della musica, che richiede un
bagaglio di competenze tecniche e di mestiere completamente
diverso? In che cosa consisterebbe per lo storico dell'arte l'ana-
logo della competenza sull'armonia e sul contrappunto che si
pretende in un musicologo? Sicuramente nelle aule accademiche
l'arte deve venire affrontata in modo diverso che negli studi de-
gli artisti, ma i termini adoperati negli ateliers dovrebbero es ere
familiari anche agli storici.
Burckhardt dava molta importanza alla frequentazione degli
artisti, ma ancora maggiore era la sua sensibilità innata per gli
effetti della forma visiva. In base a questo talent innato era
dunque convinto che la specificità dell'arte esige una trattazione
sistematica e che non può essere valutata in profondità con la
semplice storia degli artisti.
3. Più la storia delle forme diventa storia a sé e la storia degli ar-
tisti si trasforma in storia dell'arte pura, più lo storico sarà incline
a percepire nel processo evolutivo una conformità a leggi. L'idea
di potere definire le leggi che regolano la vita delle arti figurativi
prese corpo in Burckhardt nel 1879, quando era nel fiore degli anni
e si trovava a Londra nel Museo di Kensington, esaminando l'im-
ponente raccolta di opere ivi conservate. Entusiasta, scriveva a un
giovane amico: «Se avessi la possibilità di soggiornare in questo
luogo un anno intero mi darei da fare con l'aiuto di alcuni compe-
tenti per formulare con la massima precisione le leggi vitali delle
]ACOB BURCXHARDT (1941)
------523
forme». Da tempo aveva maturato l'idea che esistesse un processo
vitale che torna sempre di nuovo a presentarsi regolarmente nelle
diverse epoche artistiche. La difficoltà consisteva però nel concilia-
re tale processo, scandito da norme ben precise, con la mutevolezza
della storia reale. Burckhardt intuiva che il Barocco porta a «estre-
me conseguenze» il Rinascimento. Non esitava però, d'altro canto,
a definire in termini nuovi lo spirito innovatore dell'architettura
barocca. Il problema dunque gli era molto chiaro, ma non lo volle
mai affrontare in profondità. Si accontentava cosi di considerazio-
ni generali o metaforiche, come «il tempo era compiuto» (riferen-
dosi al Rinascimento maturo); o come «anche se il sole splende
ancora, dovrà pur tramontare», una delle sue frasi preferite quan-
do alludeva alla fase ultima di uno stile (convincendosi tra l'al-
tro sempre più che si dovesse evitare di parlare di «decadenza»).
Vale la pena di ricordare che su questi problemi era sorto un
dibattito tra il maestro di Burckhardt, Franz Kugler, e Schnaa-
se, proprio al tempo in cui Burckhardt lavorava a stretto con-
tatto con Kugler. La polemica scoppiò nel 1850, quando Kugler
recensì la parte dedicata ali' Alto Medioevo della Geschichte der
bildenden Kunste di Schnaase, criticando complessivamente la
sua interpretazione dei fenomeni artistici. Schnaase leggeva le
figure fondandosi esclusivamente sull'analisi della loro espres-
sione. Kugler invece riteneva che fosse necessaria una distinzio-
ne tra espre sione intenzionale e forma, intesa come un deter-
minato stadi nell'evoluzione della rappresentazione rispetto al
quale l'espressione non può nulla. La rigidità dell'arte arcaica
non andrebbe dunque interpretata come un limite dovuto all'in-
tenzione dell'artista. È necessario invece capire ciò che poteva
essere espresso nell'ambito di quelle determinate condizioni di
possibilità. Scrive Kugler: «Schnaase crede non soltanto di poter
spiegare con l'elemento spirituale fondamentale questa o quella
modificazione nelle forme stilistiche caratterizzate dalla gravità
arcaica, ma di poter altresì vedere in questo spirito il vero cre-
atore della forma visibile nella sua totalità, concependo cosi la
dimensione dello stile come necessaria; pensa cioè che il risultato
della debolezza nella figurazione non sia che un dato apparen-
524------- H r&JCH Wòt.FfLD'
}ACOB BURCKHARDT (1941)
------525

t , pr ntand e una car nz.a di compiutezza arti tica come

di artista, a indirizzare Winckelmann sulla via di una trattazione
u p tt eh in reaJtà scaturisce dal por 1 dell'arte al servizio
dell'arte sistematica e al contempo sovrapersonale. Con lui na-
iu prof nd ndo il parere l'idealità di alcune
sce il tipo dello storico dell'arte sistematico, tipo che apparirà
r figur tiv rebbe s ta raggiunta "non a causa
sempre di nuovo e nelle condizioni più diverse; ciò che si può
fi i • t , ma a d. di qu t'ultima».
dire anche del suo opposto, lo storico che ritiene mera illusione
!)(.r.:'ve~ la qu tione se con qu
ta critica Kugler
le suddivisioni e le interrogazioni sistematiche dell'arte. I primi
(a mio parere lo ha fatto); l'imp rtante è
hanno una mentalità classificatoria; i secondi intendono il pas-
io eh • u erisc.e: e cioè il fatto che occ rre fare i conti
sato come un fluire ininterrotto; gli uni si quietano solo quando
t n t di •v Jutivi, e che non si debba ricondurre tutto esclu-
riescono a ricondurre i singoli fenomeni a forme generali tipiche;
i am nt aJI' pr ione. L'arte figurati a ha un uo proprio
gli altri ritengono autentico solo l'evento unico e irripetibile. Per
o linguaggio, e nel med ·mo tempo coin- Burckhardt sarebbe stato impossibile scrivere biografie di arti-
,r lega o come in ogni •ivente
sti come quelle che al suo tempo andavano per la maggiore: per
tà
esempio quella di Grimm su Michelangelo, oppure quella di }u-
innan- sti su Velazquez. Il motivo era sostanzialmente psicologico: in
una simile trattazione il suo bisogno di cogliere l'elemento speci-
fico nella sua purezza sarebbe rimasto insoddisfatto.
u tal qu ti nedi Burckhardt era un uomo modesto. Era però fiero di sottolineare
t tia. Egli infatti a piu · il fatto di aver osato introdurre per primo l'approccio sistematico
n n coincide semplicemente con nella storia dell'arte moderna, composta da molteplici affasci-
leggi proprie, che devono v · f rmule. nanti individualità. Anche se era cosciente che il suo tentativo
C me modello di una toria . ema ·ca dell'arte Burckhardt era per certi versi ancora imperfetto, con i suoi raggruppamenti
ita la Geschichte der Kunst des Altertums di m lrnann, usci- pensava di avere trovato prospettive fondamentalmente innova-
ta un sec lo prima: esattamente n 1764. Anche mckelmann trici. Era convinto, inoltre, che il futuro della disciplina andasse
v a l'impressione che in tutta la letteratura arti tica fino ad in questa direzione. Parlandone, non riusciva a evitare un diver-
ali ra prodotta si fosse parlato troppo poco del carattere peci- tente gioco di parole, secondo il quale anche nelle università la
dell' arte. Quel che gJi si pr nta a e me proprio compito semplice «storia dell'arte episodica» avrebbe finito per trovare
a da lui espresso negJi tes i termini: pervenire alla toria un pubblico altrettanto episodico.
dell'arte al di là della storia degli artisti. m elmann conce- Le sue aspettative non si sono avverate. Nell'insieme dei lavori
piva lo sviluppo della toria dell'arte an ·ca c me un insieme degli storici dell'arte degli ultimi decenni gli studi sistematici ri-
unitario, costituito da stadi cE · ·odi di mangono pochi. Ciononostante, non esito a mia volta a espormi
decadenza; una proc alità che trace all'odio e allo scherno, profetizzando un futuro per l'analisi siste-
anche per l'arte m l'es- matica. Un tale approcci non deve certo sostituire la storia pura;
nza dell'arte , ri a na . i r- né si deve pensare che occ rra istituire cattedre universitarie di
mali: nud , abbigliamen , e sistematica oltre a quelle di storia. La trattazione sistematica va
Si può aff rmare eh ia tata la natura ;:?'""~ numenti an- semplicemente riconosciuta in generale come un metodo di in-
tichi, che olo in pochi casi p rie nd tti a un nome tegrazione e di controllo della storia. La percentuale dell'una o
 526--- - - - - HEINlUCH WtkFFLIN
dell'altra potrà variare mettendo l'accento sul primo piuttosto
che sul sec ndo a petto, ma l'esclusività di una delle due sarà
sempre uno svantaggio. Lo stesso Burckhardt è diventato uno
studioso i tematico fecondo sol perché era un bravo storico
c n il senso dell'irripetibile, dell'individuale, del casuale, di tutto
ciò che sfugge all'interpretazione sistematica.
Per il centenario della nascita di facob Burckhardt, 25 maggio 1918
Quando con bbi Burckhardt nel mio primo semestre universita-
rio era ultrasessantenne. Insegna a sia Storia sia Storia dell'arte,
con corsi dalle otto alle dieci ore settimanali. Non aveva studenti
che si specializzassero in Storia dell'arte; d'altro canto il modo con
cui insegnava la storia dell'arte non aveva carattere specialistico.
Mostrava molte riproduzioni di sua proprietà, che aveva raccolto
con fatica, e di valore diseguale. Accompagnava ogni foglio con
osservazioni penetranti, condotte con un lessico forbito; ai prin-
cipianti però non dava nessuna indicazione di metodo. Ciò che si
proponeva era di «convincerli che l'arte è una delle maggiori po-
tenze nella storia dell'umanità e che valeva la pena di occuparse-
ne durevolmente», non tanto come specialisti, ma come uomini.
Tale era la sua emozione di fronte ai capolavori che anche i meno
sensibili ne venivano subito coinvolti senza che fosse necessario
spendere troppe parole. Un conoscente comune aveva scritto a
Burckhardt di darmi qualche consiglio per lo studio; mi vi invi-
tò cosi, se pure suo malgrado, ad accompagnarlo dopo un corso
serale. Passeggiando sotto gli alberi della piazza della Cattedrale
mi spiegava così il suo pensiero, che mi è rimasto impresso per
sempre: «Qualunque argomento studi, si preoccupi innanzi tutto
che la sua formazione sia armoniosa. Occupi metà del suo tempo
nella lettura dei classici. Non legga mai un libro senza farne poi
un riassunto. Si attenga in primo luogo e sempre alle fonti: ne
trarrà un grande giovamento. La cosa più importante nella vita è
concludere ogni giorno il proprio lavoro. Per rimanere appagati è
indispensabile proporsi un compito quotidiano».
JACOB BURC](}{ARDT (1941)
------527
A quel tempo non diedi molto peso a questi consigli, ma die-
ci anni dopo, quando divenni il suo successore alla cattedra di
Storia dell'arte a Basilea ed ebbi la fortuna di godere della sua
frequentazione per diversi anni, compresi meglio in quale con-
cezione della vita fossero radicate quelle lontane indicazioni che
aveva espresso ad usum delphini.
Per formazione armoniosa Burckhardt faceva riferimento a una
preparazione universale che occasionalmente definiva cosi: «Es-
sere universali non significa conoscere più argomenti possibi-
li, ma amare più argomenti possibili»3 • Non ostentava in alcun
modo la sua fama di specialista. Per Burckhardt il mero specia-
lista coincideva con il filisteo, nel significato antico del termine.
Autentico invece era per lui il «dilettante» per il quale lavoro
si identificava con il diletto4 • on amava il lavoro di gruppo in
cui l'individuo si perde nell'azione collettiva. Come non amava
rendersi schiavo di un compito che impegnasse a una completez-
za incondizionata delJa materia. Si è sempre tenuto lontano da
questo tipo di lavoro e sconsigliava di occuparsene: «Vi sottopor-
reste ali' obbligo di un lavoro microscopico di cui non sapreste
vedere la fine» . Per il «microscopico» aveva la stessa avversione
che provava Goethe, considerandolo sconveniente.
Non si creda però che volesse facilitarsi le cose e che ritenesse il
dolce far niente5 un ideale di vita. Al contrario, era un lavoratore
massimamente diligente. Non si lasciava prendere dall'assillo,
ma era sempre all'opera. Egli stesso infatti definiva la sua «as-
siduità tranquilla ma regolare». L'unica interruzione che si con-
cedeva era un passeggiata di qualche ora nel pomeriggio della
domenica. Lo rendeva orgoglioso lasciare l'università per ulti-
mo, alla fine del semestre. Non riteneva che il suo compito di
ricercatore si esaurisse con !'«aggiornamento». Selezionava con
cura, soprattutto negli ultimi anni, i nuovi contributi scientifici;
non leggeva quasi mai le riviste. Riteneva invece fondamentale
3 Si veda A. v. Salis, Erinnerungen eines alten Schiilers, in «Ba ler Jahrbuch», 1918,
p. 292.
4
In italiano nel t to. N .d.T.
5
In italiano nel t to. N.d.T.
52 HBI RICH WoLFFLIN
mantener i in costante contatto con i monumenti e con le fonti
scritte, per poi parlarne durante le lezi ni. D po avere compiuto
cinquant'anni non pubblicò più nulla. «Nel frattempo mi sono
convinto che quella dell'autore è la professione più malsana del
mondo; l'insegnamento, al contrario, per quanto lo studio pre-
paratorio sia faticoso e c mplicat , è uno dei mestieri più sani
al mondo», scrisse una volta al giovane Kugler6. Anche se non
sempre si è attenuto a questa dichiarazione, in effetti successiva-
mente al 1868, anno di edizione di Architektur der Renaissance in
Italien, Burc.khardt non ha pubblicato più niente di nuovo.
La cultura di Burckhardt era straordinaria, non tanto per la va-
stità quanto per la composizione. È stato forse uno degli ultimi
intellettuali europei veramente colti. Erodoto e Tucidide gli era-
no familiari come Commynes e Machiavelli; i poemi e gli inni
omerici come l'Ariosto e Caldéron: una delle sue letture preferite
era Il principe costante. Pensava che con l'avanzare degli anni sce-
masse l'interesse per la poesia lirica, e che quello per la poesia
drammatica fosse invece più duraturo. In tarda età confessava di
rileggere ogni anno il Wallenstein di Schiller. Lo spazio più ampio
era naturalmente riservato alla letteratura documentaria. Come
tutte le nature dotate di una ricca personalità provava un inte-
resse inesauribile per gli individui e gli avvenimenti. Leggeva
volentieri anche i giornali, seguendo con curiosità gli eventi del
giorno, scuotendo però molto spesso e dubbiosamente il capo.
Una voce interiore lo distoglieva tuttavia dai fatti quotidiani per
riportarlo verso i valori eterni. Quando negli ultimi anni capiva
di non riuscire più a lavorare con l'abituale freschezza e il vigore
di un tempo, dichiarava di tener duro per «salvarsi dai giornali».
La sua conoscenza dei monumenti non era inferiore all'ampiezza
delle sue letture. Apparteneva a quanti non ritenevano ancora
l'archeologia e la storia dell'arte due territori separati. Lo soc-
correva, inoltre, un'ottima memoria. Era sempre piacevole di-
scorrere con Burckhardt dei musei e delle città che aveva visitato
6
Lettera del 5 ottobre 1874, in «Basler Zeitschrift ffir Geschichte und Alter-
tumskunde», XIV, p. 374.
JACOB BURCKHARDT (1941) ------529
nel passato. Non dimenticava mai nulla di quanto aveva visto
direttamente, sebbene dicesse che si ricorda davvero soltanto ciò
che si è visto prima dei ventotto anni, perché poi la capacità di
lasciarsi impressionare diminuisce.
Nel settore artistico nutriva delle predilezioni, che tutti conoscia-
mo. Rembrandt n n gli diceva nulla. Su questo pittore rimase sul-
le posizioni del suo maestro Kugler. Lo esaltava invece la bellezza
dei capolavori italiani, che non smise di emozionarlo anche in età
avanzata. Quando arrivavano nuove fotografie, riproduzioni An-
derson che gli erano procurate da un amico, era toccante vedere
come si animasse, persino si ringiovanisse di fronte a opere an-
che mediocri. «Che sinuosità incantevole», diceva guardando le
pieghe di un manto; oppure di una Sant'Anna: «Che nobiltà in
questo volto di matrona». Parlava inoltre abitualmente della «so-
avità» di una scalinata o della «delizia» espressa da un colonnato.
Imparare a cogliere in profondità i grandi valori umani dell'ar-
te italiana era l'indicazione costante che dava a quanti stavano
per intraprendere un viaggio in Italia; consigliava soprattutto di
puntare subito a Roma, prolungando il più possibile il soggiorno,
per poi visitare successivamente Firenze e l'Italia settentrionale.
Un simile modo di pensare provocava inevitabilmente conflitti
con gli esp nenti della nuova generazione. Avendogli io scrit-
to prima da Firenze che il Ritratto di vecchio di Rembrandt a pa-
lazzo Pitti, e poi da Roma che il ritratto di papa Innocenzo X di
Velazquez, potevano suscitare un rifiuto dell' «arte classica», miri-
spose in una lettera del 24settembre18% con profondo dispiacere;
«Mi rifiuto di credere che Lei sia pronto per entrare nella schiera
degli adoratori di Velazquez e di Rembrandt. Non oso neppure
pensare che sia vero, e Le scrivo solo sotto l'effetto di un iniziale
spavento. L'argomento del suo lavoro sullo Stile classico è eri-
mane molto importante. Molti si augurano di vederne i risultati.
anche i monumenti 'anneriti' o imbrattati (magari anche solo in
semplici riproduzioni) p ssono ancora offrire delle autentiche
rivelazioni. Mi auguro che nasca una umanità, più povera, più
semplice, meno nevrotica, meno erudita, meno metropolitana,
che sappia entusiasmarsi nuovamente per queste opere. D po
---
530------ Hlil RICH WOLFFLJ
l'avvento della fotografia non penso più che la grandezza p ssa
svanire e perdere di efficacia».
Per Burckhardt la bellezza, la sua bellezza, era una c ndizione
di vita, non una semplice questione di gusto. Il fatto che venisse
sconvolto fino alle lacrime, quando nel 1871 il Louvre corse il ri-
schio di rimanere danneggiato a causa della Comune, rivela fino
a che punto le cose nobili facessero parte del suo stesso essere.
Sentiva il bisogno di inebriarsene di continuo, come se si trattasse
di un canto sublime, e le riteneva una difesa contr le miserie quo-
tidiane. Anche da vecchio, nella sua piccola stanza, sembrava an-
cora illuminarsi delle impressioni della bellezza vista nel passato.
Non bisogna però collegare Burckhardt esclusivamente al Cin-
quecento italiano. Altrettanto grande e noto era il suo entusia-
smo per Rubens, come pure per la sublimità delle cattedrali
gotiche, per le quali ha speso parole indimenticabili. Un certo
modo unilaterale di pensare gli era però indispensabile perché
l'esperienza dell'arte fosse per lui così importante. È naturale
che anche il suo gusto musicale fosse unilaterale. Non apprez-
zava affatto Wagner. Non gli piaceva anche solo perché riteneva
che avesse distrutto il bel canto7•
Per quanti non hanno conosciuto personalmente Burckhardt le
lettere costituiscono il mezzo più adatto per trasmettere efficace-
mente la sua personalità. Soprattutto i pa si gustosi delle prime
Lettere a un architetto. Mi sia pertanto concesso, al termine di que-
sto saggio, di riprodurre come testimonianza di quanto appena
detto una lettera tratta dalla mia corrispondenza che affronta il
tema del classico.
«Basilea, mercoledì 18 settembre 1895.
Egregio Signore e Amico, stamane mi è giunta da Roma la sua
gradita lettera, che risale a due giorni fa, nella quale ho appreso
con soddisfazione di un Suo cambiamento d'opinione riguardo
all'importanza dell'arte antica, che sempre di nuovo si è invita-
ti a riprendere in considerazione. L'argomento dell'arte classica
7
In italiano nel testo. N.d.T.
}Acou BuRCXJJARDT (1941) ------531
in Italia non è certo facile da studiare, ma è uno dei temi la cui
soluzione ci si aspetta proprio da persone come Lei. E ora che il
tempo si è rinfrescato, Lei è nella disposizione giusta per farlo.
In primo luogo: chi siamo noi per pretendere dall'Italia del Cin-
quecento un idealismo costante, che soddisfi le nostre esigenze
in saecula saeculorum? Il nostro culto moderno del colore ci rende
a priori ottusi e prevenuti. [... ]
Del resto il suo libretto o libro, che Lei lo voglia o no, sarà uno scritto
di storia dell'arte. Lei sarà obbligato a osservare un gran numero di
fenomeni di transizione, e da una prospettiva molto generale (per
la quale è consigliabile un certo qual fatalismo). Nel Rinascimento,
innanzitutto, opera come una forza necessaria la dolcezza vitale
della bellezza, che in ultima analisi non è che un raggio sublime di
sole che sulla terra si combina con la semplificazione e con un'eco-
nomia nel senso più elevato: una mescolanza che in primo luogo
permette di evitare il realismo individuale del Quattrocento. Stan-
do cosl le cose, era fatale che negli artisti di secondo piano, come
anche nei momenti di stanchezza di quelli di primo piano, compa-
risse quell'elemento da lei definito formulistico, schematico. Suc-
cessivamente, si è preso a lodare la formula in sé, per cui ciò che
si pretendeva classico si è spesso trasformato in magniloquenza.
Correggio nella cupola di San Giovanni è, a mio giudizio, anco-
ra splendido e potente, il più grande artista per l'Italia del suo
tempo. Nella cupola del Duomo diventa invece magniloquente.
Andrea del Sarto è forse il primo degli artisti i cui mezzi artistici
prevalsero sull'arte stessa? D'altro canto la formula coloristica ci
risulta oggi come oggi più godibile di quella lineare, e per Vene-
zia essa costituisce la culla dell'idealismo.[ ... ]
Inoltre, dovrebbe riflettere anche sulla presenza di quanti per
tutto il Cinquecento spronarono gli artisti, favorendone la fama.
Per questa volta la mia interferenza indiscreta può bastare. L'ac-
colga però con benevolenza e pazienza; la consideri una prova
del mio interesse».
Il «cambiamento di pinione riguardo all'importanza dell'arte
antica» di cui si parla all'inizio di questa lettera si riferisce a un
certo malumore che mi aveva colto durante un ettembre molto

HEINRICH WotFFLlN
532-------
caldo in Italia. Burckhardt mi aveva risposto ott gi mi prima
così (lettera del 10 settembre 1895):
«Per la sua osservazione blasfema, secondo la quale il viaggiare
a lungo genera indifferenza e che il rivedere cose note non susci-
ta nuove impressioni, Le predìco una severa punizione. Quan-
do sarà ritornato a Basilea, mentre le campane annunceranno la
Messa e pioverà e cadranno i primi fiocchi di neve, sarà colto da
una struggente n stalgia dell'Italia che ha disprezzat . Allora si
dirà: 'Se avessi potuto rivedere per un m mento questa o quel-
la pala d'altare, magari di terz'ordine o di stile alquanto goffo
conservata nella Pinacoteca municipale8 del tale paesello sperduto!
Oppure il sepolcro marmoreo di un presunto scolaro di Donatel-
lo! Perché come Lei sa bene, in Italia anche le opere mediocri o
prive di originalità derivano da un grande m dello».
In tutte le sue lettere, poi, c'è sempre un accenn al suo stato
di salute o al tempo. «Le mie condizioni sono discrete e il mio
medico e gli amici se ne accontentano». La sua firma abituale
una volta risultò sostituita con «Linceo» (Burckhardt infatti era
divenuto membro dell'Accademia romana dei Lincei), con però
annessa una richiesta di chiarimento:
«P.S. Può per cortesia appurare che cosa sia questa Accademia
dei Lincei? Non ne ho proprio idea».
Ancora un particolare che riuscirà divertente per quanti hanno
conosciuto il Burckhardt in età avanzata, uomo divenuto piutto-
sto ansioso, e desideroso di evitare ogni contrasto. Da una lettera
del 16 ottobre 18%:
«Nel museo di Napoli fanno pulizia come la facevano nel 1846 e
nel 1853. Allora in galleria quattro addetti con una grossa scopa
sollevavano grandi nuvole di polvere. Presi loro di mano la sco-
pa e mostrai come si poteva scopare senza quasi sollevare p 1-
vere, tenendo loro un discorsetto. Quanti discorsi da allora sono
stati fatti ai napoletani!».
Il 1853 era l'anno in cui Burckhardt lavorava al Cicerone. Ama-
va raccontare come si era organizzato il lavoro. Iniziava le sue
' In italiano nel testo. N.d.T.
}ACOB BURCKHAJU>T (1941) ------533
escursioni alle sei di mattina. Faceva un paio di pause per pren-
dere un caffè nero o un caffè Latte; continuava poi sino alle undici.
Beveva un bicchierino di vin dolce e prima di colazione9 andava
a fare un bagno in mare. Nel pomeriggio rimaneva tranquillo in
camera, trascrivendo in bella copia gli appunti. Verso sera, in-
fine, faceva una gita a dorso di mulo sulle colline dei dintorni.
Così tutti i giorni, per sei settimane.
«Le idee migliori vengono verso sera dopo il lavoro» amava dire,
riferendosi in particolare a un lungo soggiorno a Costanza, du-
rante il quale ogni sera faceva una passeggiata di un'ora verso
una certa osteria, dove sorseggiava un bicchiere di vino dinnanzi
al profilo montuoso del Santis. Doveva essere il 1868, quando
preparava le cosiddette Weltgeschichtlic1ze Betrachtungen (il titolo
non è originale di suo pugno); quel soggiorno sul lago di Costan-
za era rimasto per Burckhardt un ricordo molto piacevole.
Il lavoro di Burckhardt bene si compendia nella frase: «Tutti i
miei libri sono nati alla luce del sole». Non è del tutto vero, ma
non gli piaceva lavorare al lume della lampada. Riteneva essen-
ziale che l'autore non si lasciasse dominare dalla materia, ma che
si sentisse sempre libero di fronte a essa. Voleva, in altre parole,
scrivere ciò eh pareva interessante a lui e non ciò che poteva es-
sere interessante per gli altri. Per questo motivo desiderava che
la sua personalità si esprime se liberamente senza inibizioni o
pressioni di orta10• Era inoltre sua convinzione che non si doves-
se insistere troppo a lungo su un determinato lavoro; non più di
tre anni al massimo, per essere libero di cominciarne uno nuovo.
«Molto prima che gli spazzini siano pronti davanti alle loro car-
riole a urlarci qualcosa di spiacevole, saremo fuggiti sui mon-
11
ti», scriveva a Bernhard Kugler riferendosi ai critici malevoli •
Da questa disp sizione deriva il tono vivace e sereno dei suoi li-
9 «Caff nero», «caffè latte» e «colazione» sono in italiano nel t ·to. .d.T.
10 Aso tegno di questa affermazione riporto qui una sua esJ?licita dichiar~i~n.
contenuta in una lettera indirizzata al giovane Kugler Qoc. c1t., p. 367): «Net libn
parlo solo ed esclu ivamente di ciò che mi interessa, e considero le co solo se
sembrano importanti a me, e non all'erudito Tizio o al prof ' r Caio» Qettera
del 16 giugno 1874).
11 Lettera del 30 marzo 1870 (loc. òt., p. 357).
 Hl!INRlCH WOLFFUN
534-------
bri. In essi tutt è trasparente, chiaro; ogni frase è evidente, effica-
ce. Burckhardt non si vantava mai; considerava i suoi lavori con
molta modestia, ma talora gli p teva capitare di asserire riguardo
ai lavori altrui: «Dio sa che non ho mai fatto della retorica! Ho
sempre cercato di e sere il più semplice possibile». Si può ben dire
che sia stato uno dei talenti più genuini e incisivi del secolo XIX.
Nei confronti della grandezza e dell'originalità nella storia aveva
un atteggiamento reverenziale, direi quasi religioso. Soleva ripe-
tere spesso: «Si de e tenere viva la capacità di stupirsi sempre».
Il «nil admirari» di chi non vuole apparire provinciale gli sem-
brava sinonimo di immobilismo e di morte.
Non ebbe mai il rimpianto di non avere risposto al richiamo dei
grandi centri come Berlino. Riteneva l' «esistenza borghese» della
natia Basilea sufficiente per vivere in modo naturale. Non eh
pensasse che non ci si dovesse mai muovere mai da casa, ma
diceva che «a quarant'anni si deve sapere dove si morirà». Rite-
neva il nomadismo del professore una sorta di malattia, e aveva
un sorriso di compassione nei confronti di coloro che definiva
«inquilini di appartamento» delle moderne metropoli.
Da giovane abitava in due camere assai modeste, e soltanto da
vecchio si era deciso ad acquistare un'abitazione propria. Diffi-
dava dei visitatori sconosciuti, al contrario era felice di ricevere
con regolarità e anche per lungo tempo i conoscenti. Non si par-
lava soltanto di argomenti elevati. L'aspetto materiale della vita
quotidiana non veniva mai trascurato. Di tanto in tanto si diver-
tiva con gli intimi a esercitare il talento tipico della sua città natia,
la critica tagliente di concittadini e contemporanei. «Venga presto
a trovarmi di nuovo, faremo un po' di maldicenza», diceva affac-
ciato alla ringhiera delle scale, accomiatandosi dal visitatore.
Sebbene Burckhardt non parlasse in favore della naturale bontà
degli uomini e fosse del tutto convinto del peggioramento del
futuro, considerava l'esistenza con molta serenità. Si era abituato
con gli anni a non prendere le cose troppo sul serio. «Quando si
diventa vecchi, ci si fa un'idea delle intenzioni degli uomini». Si
lamentava del fatto che la vita è una brutta faccenda, e spesso
interrompeva la conversazione, esclamando: «O vanitas, o va-
]ACOB BURctOiARDT (1941) ------535
nitatum vanitas!». Ma in fondo predominava in Burckhardt uno
stato d'animo sereno e gaio, che guardava con distacco alle cose
del mondo: uno stato d'animo che si comunicava subito a chi gli
stava vicino, e che rimane nel ricordo cosa rara e preziosa.
È evidente che la personalità di Burckhardt non può essere com-
presa senza riconoscervi una forte impronta artistica. Non tut-
ti però sanno che un tempo si era sentito destinato a diventare
artista egli stesso, nella fattispecie poeta. Sono state pubblicate
due piccole raccolte di sue poesie, ora introvabili [in realtà poi
ristampate in più occasioni]. Da una delle due, intitolata Ferien,
ripr duco qui in conclusione un brano (scritto nel 1848, l'anno
della rivoluzione), che rispecchia perfettamente l'impeto nobile
del suo animo all'età di trent'anni.
«A che cosa serve il tuo canto? Geme il tempo pieno di affanni e
di dolore; il giorno che viene non reca che pena. Nella tua patria
il canto non potrà esaudire i desideri delle moltitudini insorte.
Mai ti conoscerà il tuo popolo. Forse con scherno ti risponderà
chi ti ode. Nascondi il tuo amore nel segreto del tuo cuore, lonta-
no dalle lodi e dal ludibrio.
Nulla posso. Lontana ormai è l'antica sete di gloria, svanita con
la giovinezza felice; non ne sono degno, ma amica mi rimane la
poesia, sacro tesoro.
Nel tumulto del mondo sconvolto dall'egoismo c'è un sacerdote,
anche se non ha ricevuto gli ordini maggiori; sul suo altare arde
la fiamma dell'eterna bellezza.
O mia salvezza quando il dubbio assale Io spirito; notte stellata,
conforto all'afa dei miei giorni, soffio di vita, non mi lasciare,
finché non si spegnerà la mia difficile esistenza.
La cupidigia e le miserie terrene si affannino pure, io ti sono fe-
dele! Anche se tu, divinità sublime mi hai destinato all'oblio o al
conforto dei cuori solitari, un giorno negli anni tardi un occhio
amorevole possa scoprire nel mio canto il proprio dolore e la sua
gi ia; e uno spirito che anela alla bellezza un compagno fedele» .
Heinricli Woljflin
 536
NOTA
I tre scritti qui offerti in traduzione italiana rappresentano altret-
tanti omaggi rivolti dall'allievo Heinrich Wolfflin al maestro Jacob
Burckhardt in tre distinte occasioni: essi si susseguono in ordine
cronologico discendente, così come lo stesso Wolfflin li ha raccolti
nell'ultima sezione del volume Gedanken zur Kunstgesclzichte. Ge-
drucktes zmd Ungedrucktes, pubblicato nel 1941: facob Burckhardt e
l'arte (1936); facob Burckhardt e la storia sistematica dell'arte (1930);
Per il centenario della nascita di Jacob Burckhardt (1918).
Ricordi autobiografici dello studente (Wolfflin, allora diciottenne,
aveva cominciato a seguire le lezioni di Burckhardt all'Universi-
tà di Basilea nel semestre invernale del 1882) e poi del collega e
successore (l'allievo sarebbe subentrato alla prestigiosa cattedra
del maestro nel 1893, rimanendovi fino al 1901, anno della sua
chiamata a Berlino) si intrecciano a considerazioni metodologiche
sulla storia e teoria delle arti figurative.
Dalle lettere della matricola Heinrich ai genitori e da alcuni ap-
punti presi durante i primi corsi sappiamo che gli inizi non erano
stati propriamente incoraggianti, e che la profonda ammirazione
che traspare dalle pagine che qui presentiamo era maturata len-
tamente, sostituendosi a una originaria perplessità: di primo ac-
chito, nessun entusiasmo era infatti stato risvegliato nel giovane,
né dalle lezioni (di «storia universale» - Weltgeschichte - priva di
uno sfondo metafisico; o di Anschauungsunterricht, di «educazio-
ne al vedere», troppo affollata di immagini da guardare) né dalla
prima conversazione avuta con il docente, ridottasi alla sommi-
nistrazione di consigli pratici e prosaici; troppo pratici e prosaici
per uno studente precocemente incline alla teoresi. Del resto, il
padre Eduard, filologo classico, pr prio in una lettera di racco-
mandazione al collega Burckhardt aveva espresso i suoi timori
NOTA - - - - - - - - 537
nei confronti del curriculum eccessivamente filosofico intrapreso
dal figlio: curriculum che gli aveva concesso di scegliere solo a
patto che lo integrasse con altre discipline dalle basi più «solide»,
come la filologia e la storia (riconoscendo tuttavia a malincuore
che il rampollo non sembrava granché sensibile al loro richiamo )1•
Nonostante le resistenze del padre, Heinrich avrebbe tenuto duro
sulla linea filosofica, proseguendo i suoi studi a Berlino sotto la
guida di Wilhelm Dilthey. E seppur destinato a diventare uno de-
gli storici dell'arte più influenti nella storia di questa disciplina
(senza dubbio il più influente nella prima metà del Novecento), il
suo modo di intendere la storia si sarebbe rivelato molto sui gene-
ris, intimamente impregnato di teoria e di filosofia trascendentale.
È proprio muovendo da questo angolo visuale, che concepisce la storia
per così dire in modo poco storico (o poco convenzionalmente storico},
che nei tre scritti qui presentati Wolffiin guarda retrospettivamente al
magistero di Burckhardt. Partiamo dall'ultimo testo, in realtà il pri-
mo in ordine cronologico, scritto nel 1918 in occasione del cente-
nario della nascita del maestro e a ventun anni dalla sua scom-
parsa, avvenuta nel 1897 all'età di settantanove anni. Qui Wolf-
flin ha cura di sottolineare l'approccio non specialistico rivolto da
Burckhardt alla storia, il sospetto da lui nutrito per gli eruditi del-
la disciplina, che si smarriscono nell'esegesi del particolare per-
dendo di vista il quadro universale. Ma «quadro universale» non
significa una (peraltro impossibile) esposizione oggettiva ~ tutt~
ciò che è stato: piuttosto, una totalità percepita da una precisa vi-
suale, quella appunto di chi guarda alla storia. In fondo, proprio
nel dipingere un quadro si concretizzava per Burckhardt la sua
attività di storico (e di storico dell'arte): e un quadro si dipinge a
partire da un punto di vista personale e soggettivo, per il quale
rivendicava il diritto a una certa dose di arb1·m·o e l'inaggirabile
soggettività della selezione dei temi salienti (salienti non in sé,~
per lui). In questo senso occorre anche comprendere le sue osti-
. . di d l gi·ovane WBlfflin i vedano i
1 Per questa lettera e le t ~oruanze . pugno eard H Wolfllin, Brieftrechsel
documenti raccolti a cura diJ. Gantner, inJ. Burckh te · 23
und andere Dokumente i1irer Begegnung 1882-1897, Basel, Schwabe, 1948, PP· 19- ·

538------- ANDRBA Prnorn
nate antipatie, come quella nutrita nei confronti di Rembrandt.
Orgogliosamente «dilettante» in senso goethiano qual era,
Burckhardt intendeva il proprio lavoro innanzitutto come diletto:
diletto di occuparsi di oggetti-le opere d'arte (e in massima mi-
sura quelle del Rinascimento italiano)- che a loro volta sono con-
cepite e realizzate al fine di procurare diletto. Una circolarità edo-
nistica nel senso più alto del termine (insieme estetico ed etico)
veniva così a istituirsi fra questo storico poco storiografo e i suoi
temi di indagine. Circolarità che Burckhardt invitava i suoi stessi
lettori ad adottare, come è testimoniato dall'eloquente sottotitolo
del suo libro più celebre, Il Cicerone: Guida al godimento delle opere
d'arte in Italia. Godimento, Genuss, è apprezzamento insieme sen-
sibile e spirituale di una sfera quale l'arte che si innalza come se-
conda vita al di sopra della mera esistenza fattuale, producendo
valori eterni perché capaci di parlarci al di là delle epoche e delle
generazioni. Wolftlin non manca di segnalare come questa peculiare
inclinazione di Burckhardt si riverberasse nelle sue scelte lessicali (che
riguardassero le lezioni, le conversazioni, o la scrittura), permeando le
sue ecfrasi di emozionata ed emozionante sensualità.
Nella sua aspirazione a dipingere quadri storici (e storico-artisti-
ci), il modo di procedere di Burckhardt può ben essere parago-
nato a quello di un artista: egli stesso - come veniamo a sapere
dal secondo dei testi qui tradotti - aveva in qualche occasione
auspicato una diretta collaborazione degli stessi artisti a certe
fasi della ricerca intorno a particolari questioni tecniche. Ciò non
deve tuttavia indurre a pensare che l'artista nella sua irriducibi-
le individualità costituisse per Burckhardt l'istanza ultima per la
comprensione dei fenomeni artistici. Piuttosto il contrario: Wolf-
flin scrupolosamente registra la diffidenza del suo maestro nei
confronti delle storie dell'arte condotte principalmente come bio-
grafie intellettuali delle grandi personalità artistiche, al modo del
Michelangelo di Hermann Grimm o del Velazquez di }usti. Così fa-
cendo, pone esplicitamente in una linea di continuità Burckhardt
(e prima di lui Winckelmann, da Burckhardt stesso riconosciu-
to come modello) con il proprio approccio metodologico, quello
che può essere sintetizzato nella cosiddetta «Storia dell'arte senza
NOTA
nomi» (secondo la celeberrima e contestatissima formula da lui
coniata nel 1915, nella Prefazione ai Kunstgeschichtliche Grunti.be-
griffe). Dalla fondazione settecentesca della storia dell'arte, pas-
sando per l'Ottocento burckhardtiano, si tende così fino agli studi
primonovecenteschi dello stesso Wolfflin un asse che privilegia
l'anonimo rispetto al nome proprio, il tipo rispetto al caso singo-
lo, lo schema rispetto al fenomeno empirico.
Vi è un termine, peraltro mai precisamente definito dallo stesso
Burckhardt, che bene sintetizza (forse proprio per questa sua so-
stanziale indefinitezza) questo orientamento: Aufgabe, «compito».
L'anziano studioso riteneva che proprio una storia dell'arte se-
condo i compiti fosse la sua eredità più autentica, consegnata in
lascito alle generazioni successive: un compito esso stesso ancora
da compiere più che non un patrimonio di risultati già acquisiti.
Infatti i suoi tentativi di articolare i compiti delle arti particolari
in una Systematik - individuando ad esempio per l'architettura
le macro~funzioni del sepolcro, del tempio religioso, dell'edificio
del potere secolare - erano destinati a restare aperti e inconclusi,
peraltro conformemente alla sua sensibilità che, pur avvertendo
con l'avanzare degli anni sempre più il fascino dei quadri d'insie-
me, non avrebbe mai permesso di sacrificare il singolo fenomeno
sull'altare della classificazione tassonomica. Gattungen, «generi>>,
era il concetto sistematico da lui preferito nel trattare la pittura:
ma una rapida scorsa al loro incompleto inventario (mosaici,
affreschi, pale d'altare, dipinti di devozione domestica, pittura
mitologica, pittura di storia, paesaggi, dipinti di animali, ritratti,
quadri di genere ... ) mostra quanto eterogenea fosse la logica di
una tale sistematica, che abbracciava con flessibile liberalità og-
getti, soggetti e tecniche. Era l'ardua ricerca di un equilibrio, sem-
pre di nuovo da rinegoziare, fra la categoricità conforme a leggi e
l'irruzione del caso singolo che le scompiglia.
Wolfflin, riferendosi insieme al maestro e a se stesso, riconosce
che si tratta non di dissolvere la storia nella sistematica, né di ne-
gare il ruolo giocato dalle singole personalità artistiche: piuttosto,
di ammettere l'insufficienza di una storia dell'arte narrata crono-
logicamente e incentrata sui grandi nomi, che non sappia tener
 NOTA - - - - - - - - - 541
540------- ANDREA PINO'ITI

conto dei condizionamenti esercitati sul decorso cronologico e estetica, nel senso etimologico di aisthesis, come esperienza sensi-
sulle intenzioni autoriali dalle strutture (compiti e generi) che, bile, dimensione corporea della percezione.
pur avendo esse stesse un'origine storica, finiscono per operare Tale polarità investe - e come potrebbe essere altrimenti, trattan-
come delle condizioni di possibilità: come delle forme, che prece- dosi di uno schema epocale? - anche lo storico dell'arte: WOlffiin
dono artisti e opere e li rendono appunto possibili. attribuisce a Burckhardt una <<Visione plastico-lineare», che sareb-
Per questo peculiare formalismo di Burckhardt (che - ci avverte il be stata propria complessivamente della sua epoca. È alla luce
primo dei testi qui presentati, l'ultimo steso da Wolfflin in ordine del ruolo primario riconosciuto dal maestro alla linea a tutto
di tempo - non va in nessun modo confuso con una mera analisi svantaggio del colore che l'allievo ci invita a comprendere certi
formale) è opportuno un breve confronto con quello che avrebbe suoi giudizi critici, altrimenti ostici da digerire. Così facendo, le
propugnato lo stesso suo allievo, confronto che ci consente di ri- idiosincrasie dell'uomo e dello storico Jacob Burckhardt finisco-
levare, al di sopra della continuità prima tratteggiata, una impor- no per essere riassorbite da quella stessa storia senza nomi della
tante differenza nel passaggio dalla temperie culturale ottocen- quale il suo successore lo volle precursore.
tesca a quella del secolo successivo. Con i suoi tentativi rivolti ai
«compiti>> e ai «generi», Burckhardt concepiva la sua sistematica Andrea Pinotti
in senso essenzialmente tipologico-funzionale. In questo era vici-
no a un altro grande tipologo dell'Ottocento, Gottfried Semper,
che in I quattro elementi dell'architettura (18.51) aveva individuato
i tre «elementi» architettonici originari del recinto, del terrapieno
e della copertura a difesa del quarto (e primo in sé), il focolare.
Wolfflin per contro sposta il fuoco dell'attenzione sulla corporeità
vivente, e in particolare sulle modalità della visione, istituendo
una fondamentale correlazione fra stili figurativi e stili percettivi:
così l'arte rinascimentale si distingue per l'invito rivolto all'os-
servatore ad avvicinarsi il più possibile all'immagine, al fine di
coglierne quasi tattilmente i contorni, sempre saldamente garan-
titi dal ductus lineare; l'arte barocca invece respinge lo spettatore
a una maggiore distanza, dalla quale solo è possibile apprezzare
adeguatamente i cromatismi pittorici e i giochi chiaroscurali. In
termini simili Alois Riegl descrive in Industria artistica tardoroma-
na (1901) la fenomenologia dell'immagine egizia, aptica e lineare,
di contro all'arte tardoromana, caratterizzata come «impressioni-
stica». Ragionare, come propongono di fare Wolfflin e Riegl, di
epoche e culture stilistiche nei termiru della polarità vicino /lon-
tano, cioè in fondo di una pragmatica dell'immagine che inter-
pella la motricità dell'occhio che la percepisce, significa sostituire
alla tipologia funzionale di Burckhardt e di Semper una tipologia
 ABSTRA TS ABSTRACTS
596------- - -- - - - - - 597

mentary findings on Renai sance e says, here tran lated, in the vol- Valeria De Ga peris (Galleria Spa- ca1 elements, as it can been inferred
artists; finally, his conflicts with ume Gedanken zur Kunstgeschichte, da, Roma). Gli affreschi di Gregorio from unknown valuable photo-
Adolfo Venturi. published in 1941 in Ba el, where Guglielmi nell'Ospedale romano di graphic documentation taken in
he had taught as Burckhardt's Santo Spirito in Sassia. Cronaca di the same year of its destruction.
Deni e La Monica (dottore di ri- ucces or. Fir t of ali, he gave an una distruzione annunciata (1908). The Hospital was expropriated in
cerca, Scuola Normale Superiore, affectionate and devout account The researcher outlines the events 1902. lt was superintendent Giulio
Pisa). Mascheroni in bronzo del Tac- of the great author of the Cicero- that led to the destruction in 1908 Cantalamessa in accordance with
ca: dalla Fortezza Vecchia al Civico ne. Burckhardt comes acro as a of this important fresco cycle, also Corrado Ricci who authorised the
Museo. Un dibattito inedito. Denise very knowledgeable intellectual, publi hing (in the appendix) un- destruction when he deemed the
La Monica traces an intricate and initially al o a poet, reserved and known archive documentation. monument - already in a precari-
long debate, which emerged from modest, who life wa method- The frescoes were painted in the ous tate of preservation - not sig-
unpubli hed documents at the ical and frugal, very humane, ward of the Roman Hospital be- nificant from the historical and ar-
State Archives in Livorno, con- fully dedicated to acadernic tween 1744 and 1748 on comrrùs- tistic point of view. The Sodety of
cerning ome bronze grote que teaching, dose to his Ba I and sion of pope Benedict XIV. The Archaeology and Art History was
masks by Tacca. The debate took its provincia] life. As an art his- paintings, depicting stories of the the only discordant voice, suggest-
piace between 1876 and 1899, torian, his preference for Italian Miracles of Jesus, of the Apostles ing to detach the paintings and
and it al o saw Giovanni Battis- Renaissance i well-known, but Peter and Paul and the Prophets, display them in the Museum of
ta Cavalca elle champion their he also appreciated the Baroque showed a late rococo style along- Castel Sant'Angelo. Unfortunate-
restoration and preservation. The and namely Ruben ' art while he side ome already proto-neocla i- ly, the proposal remained unheard.
Royal Delegate Extraordinary of did not under tand Rembrandt.
the Mini try of Finance initiat- He loved a direct approach to
ed it, involving the Comrnission artworks, the tudy of documen-
for Monuments and Art Objects tary source , art's que t for har-
Conservation of Livorno Prov- mony and beauty found in the
ince, the town Municipality, the classica! world and rediscovered
Prefect and severa} ministerial in the Renai sance. He favoured
institutions. The subjects debat- historical analysis over theories
ed were: the pressing need to and generalisations on method.
save the e sculptures frorn dete- Wolfflin closely analy e pecial-
rioration, as they were initially ly his posthumou work , origi-
located in the external part of nally conceived fora book which
the Fortress; their actual owner- remained manuscript (Kunst der
ship; the arnount of artefacts: at Renaissance), born under the in-
first, four of them were listed, but novative tar of what he defined
later they became two; where to the systematic history of art. In
transfer them: to the town hall, short, this prove to be based on:
the archaeological museurn or to the prernium on the purpose of
the Portico della Bor a. Finally, artworks, with regard to patron-
Tacca's sculptures were taken to age and public; the study of the
the Museum. Currently, however, different artistic genre ; the im-
they are housed in the lobby of portance given to the analy i of
the Palazzo della Provincia. forma] and styli tic elements; and
the individuai piritual and crea-
Heinrich Wolfflin,Jacob Burckhardt tive value of each old and modem
(1941) with a note by Andrea master, where the systematic histo-
Pinotti (professore ordinario di ry becomes necessary for a more
Estetica, Università degli studi di complete interpretation of the
Milano). Wolfflin collected some pure history of works and artist .