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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI

CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN LETTERE


CURRICULUM IN LETTERE CLASSICHE

TESI DI LAUREA
IN

LETTERATURA LATINA

L’aggettivo “bellus” e l’avverbio “belle”


nelle fonti latine

Relatore: Candidato:
Ch.ma Prof.ssa Manuel Miranda
Eugenia MASTELLONE Matr.: 0312600593

Correlatore:
Ch.mo Prof.
Enrico Maria ARIEMMA

ANNO ACCADEMICO 2012 - 2013


“La cultura è ciò che rimane
quando si è dimenticato tutto:
essa non insegna niente,
se non il senso della vita”

In memoria della Prof.ssa Fortunata Trapanese


INDICE

Introduzione p. 1
I Capitolo. L’aggettivo bellus: storia di un lemma p. 4
I.1. Etimologia dell‟aggettivo bellus p. 5
I.2. Bonus / bellus: ipotesi e problematiche sull‟alternanza
vocalica e/ o p. 6
I.3. Accezioni e ricorrenze di bellus e belle p. 11
I.4. Attestazioni di bellus e belle negli scrittori: da Plauto
ad Apuleio p. 16
I.4.1. Plauto: le più antiche attestazioni p. 16
I.4.2. Cicerone p. 19
I.4.3. Catullo p. 25
I.4.4. Marziale p. 27
I.4.5. Altre attestazioni: da Terenzio ad Apuleio p. 28
I.5. Bellus e belle dal I sec. d.C. alla lingua volgare p. 31
I.6. Attestazioni di bellus e belle presso i grammatici antichi p. 33
I.7. Attestazioni epigrafiche di bellus e belle p. 35
I.8. Osservazioni dei linguisti moderni sull‟aggettivo bellus p. 38
I.9. Conclusioni p. 40

II Capitolo: Bellus e belle in Petronio: un’analisi del sermo


del Satyricon p. 42
II.1. Breve introduzione alla figura di Petronio e al testo
del Satyricon p. 43
II.2. Tradizione testuale del Satyricon: un excursus p. 47
II.3. Attestazioni e contesti d‟utilizzo di bellus e belle
in Petronio p. 50

Bibliografia p. 62

Ringraziamenti p. 70

Testo per la prova in lingua straniera p. 72


Introduzione

L’aggettivo “bellus” e l’avverbio “belle”


nelle fonti latine

L‟elaborato è rivolto ad indagare il lemma bellus e il relativo avverbio belle


nell‟intera produzione letteraria latina.

L‟aggettivo rappresenta uno dei vocaboli più problematici e controversi della lingua
latina. Nelle fonti letterarie conosce una ricorrenza alquanto esigua e pochi sono gli
scrittori che lo utilizzano, con una significativa frequenza: Plauto, Cicerone, Catullo,
Marziale e Petronio.

L‟analisi dei distinti contesti concorre ad evidenziare il nodo di un‟importante


problematica: bellus, che si configura vocabolo proprio del sermo vulgaris, come
confermano le diverse occorrenze nelle epigrafi pompeiane di contenuto erotico, per
converso risulta ascrivibile al lessico estetico: nella maggior parte delle attestazioni
letterarie, dimostra di possedere il valore diminutivo “modesto” di bonus.

Dall‟analisi condotta è emersa una pluralità di valenze riferibili a bellus. Inoltre,


appare che la sua accezione originaria sia ben diversa da quella che il lemma acquista
negli idiomi neolatini. Equivale in modo costante a “grazioso, carino”, se è riferito a
donne e bambini. Allorché è rivolto a qualificare personaggi maschili, acquista una
decisa valenza sarcastica: vale a definirli come molles viri, ossia effeminati (cfr.
Marziale 1,9).

1
Interessanti ipotesi sono state avanzate riguardo ad alcune particolari accezioni che
l‟aggettivo bellus e il correlato avverbio belle sembrano assumere nel Satyricon di
Petronio, l‟opera che, oggetto privilegiato della nostra indagine, è stata ad oggi poco
studiata in relazione ai due vocaboli e alla loro complessiva incidenza nella stessa.

Di notevole interesse è il luogo Sat. 42,3, in cui Seleuco, riferendosi alla morte di
Crisanto, afferma: “Homo bellus, tam bonus Chrysanthus, animam ebullit”. Mentre
la gran parte degli studiosi è incline ad intendere il nesso homo bellus come
equivalente di “buon uomo”, Tristano Bolelli avanza un‟ipotesi divergente ed
innovativa: bellus, in rapporto alla trama del contesto, allude più verosimilmente allo
“stare bene in salute”.

Fonda la dimostrazione sulla base dell‟analogo uso reperibile in Cicerone. Lo


scrittore, per rivolgere a Tirone l‟augurio di tornare in buona salute, mostra di
impiegare proprio l‟aggettivo bellus: “Fac bellus revertare” (Fam. 15, 18).

Dall‟analisi delle fonti epigrafiche pompeiane, è, altresì, emersa la valenza erotica di


bellus. Ricorre in contesti linguistici tipici degli scurrae, e con sfumature al limite del
volgare, per cui sembra corrispondere a “gagliardo”, “aitante”, “vigoroso”.

L‟indagine, condotta nel nostro elaborato, ha, altresì, permesso di rilevare aspetti del
sermo cotidianus, nelle sue sfumature più familiari e basse.

2
E‟ estesa, infine, a decifrare il complesso dei fenomeni che hanno potuto contribuire
all‟affermazione di bellus, nel significato proprio di pulcher, e a discapito di tale
aggettivo, nelle lingue volgari.

3
I
Capitolo

4
I Capitolo

L’aggettivo bellus: storia di un lemma

 I.1: Etimologia dell’aggettivo bellus

Bellus, aggettivo tra quelli che costituiscono il lessico “estetico” della lingua latina, e
probabilmente appartenente al cosiddetto sermo vulgaris, è voce abbastanza rara. 1 E‟,
infatti, ritenuto diminutivo, familiare, di bonus2: da tale epiteto, che deriva dalla
radice indoeuropea *dwenos, equivalente di “buono, coraggioso, eccellente”, si ha il
diminutivo: *dwen-(o)-lo-s > *ben-(o)-lo-s > bellos > bellus. Riguardo alla forma
*dwenos (alto lat. *dwonoro3, o *dwonos4), si può provare a dare una spiegazione
ipotizzando la presenza di un elemento radicale *diu-.
Se si tiene conto del senso di “utilità, valore efficiente” che ha bonus, si arriva ad
appoggiarsi al got. Taujan, collegabile al greco poie_n,préassein, o ancora a tewa,
che sta per “ordine”; altresì al greco déunamai, o ancora a dùvah (gen. dùvasah),

1
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, Paris 1964, pp. 221 - 240
2
Parentela attestata da Prisciano, cfr. GLK 2, 80, 7: in –nus […] Desinentia […] Si faciunt diminutiva, abiecta n duas
assumunt l […] Bonus Bellus.
3
Forma attestata nell’epitaffio di Lucio Cornelio Scipione, console nel 259 a.C, cfr. CIL VI, 1287, p. 3134: honc oino
ploirume consentiont r[-] / dvonoro optumo fuise viro / Luciom Scipione filios Barbati / [con]sol censor aidilis hic fuet a
[-] / [hec c]epit Corsica Aleriaque urbe / [de]det tempestatebus aide mereto.
4
Forma attestata in un frammento di Livio Andronico, 34 (26b): simul duona eorum / portant ad navis / multa alia in
isdem / inserinuntur. Cfr. W. MOREL, Fragmenta poetarum latinorum epicorum et lyricorum praeter Ennium et Lucilium
(Biblioth. Script. Gr. et Rom. Teubneriana), Leipzig 1927, p. 12.

5
“omaggio”, duvasyàti, “il rendere omaggio”. Quest‟ultima parola implica una valenza
religiosa: il termine sembra, in effetti, ricorrente nel gergo sacrale: di boni, come
Iuppiter Optimus. Il nesso col lat. beare (da *dweyo) si suppone sia, in ogni caso,
allentato.5
Sull‟origine del suffisso indicante il diminutivo in latino, –lo-, l‟opinione più
accreditata ipotizza, basandosi sulla teoria del Brugmann, che il valore diminutivo si
sia sviluppato, già in età indeuropea, dal valore di “appartenenza ad una categoria”. 6
Secondo la teoria di Conrad 7, invece, esso avrebbe in origine indicato i piccoli degli
animali, mediante il suffisso di appartenenza, e da tale valore si sarebbe in seguito
sviluppato il valore di diminutivo e vezzeggiativo. Petersen 8, parallelamente,
appoggia ugualmente il valore di appartenenza del suffisso, utilizzato però con nomi
propri di persona.9

 I.2: Bonus / bellus: ipotesi e problematiche sull’alternanza


vocalica e/o

Nella linguistica moderna, è stata a lungo discussa la problematica sull‟origine dell‟


alternanza vocalica e/o in bonus/bellus, pur derivando entrambi da una medesima
radice, *dwenos (alto lat. dwonos).

5
A. WALDE – J.B. HOFMANN, Lateinisches Etymölogisches Wörterbuch, Heidelberg 1938 , pp. 100-101; p. 111.
A. ERNOUT – A. MEILLET, Dictionnaire Ethymologique de la Langue Latine, Histoire des Mots, Paris 1979.
6
K. BRUGMANN, Kurze vergleichende Grammatik der indogermanischen Sprachen, II, Strassburg 1904, p. 337.
7
F. CONRAD, Die Deminutiva im Altlatein, I: Die Deminutiva bei Plautus, in Glotta XX, 1932, p. 83 s.
8
W. PETERSEN, Latin Diminution of Adjectives, in Class. Phil. XI, 1916, p. 426 ss. e XII, 1917, p. 49 ss.
9
B. ZUCCHELLI, Sull’origine della funzione diminutiva del suffisso –lo- in latino, in AA. VV., Studi linguistici in onore di
Vittore Pisani, vol. 2, Brescia 1969, pp. 1075 – 1100.

6
La suddetta alternanza, nel gruppo *-we-, è attestata frequentemente: basti prendere
in considerazione i mutamenti fonetici del tipo *swerorsoror, o *qwequo coquo.
Si tratta di un‟assimilazione della vocale e a una consonante vicina, ossia di un
fenomeno fonetico così esplicabile: una consonante attira, verso il suo punto di
articolazione, una vocale con la quale è in contatto.

Nel sistema fonetico latino, peculiare è la caratteristica secondo cui “le vocali brevi
sono fortemente soggette all‟azione dei fonemi vicini”. Essa si spiega facilmente: il
punto d‟articolazione della vocale è più vicino a quello della u, che è al livello del
palato molle, e così, invece della vocale palatale e, compare la vocale o. 10

Diversi linguisti hanno ricercato una formula comune che renda conto di
quest‟assimilazione: secondo A. C. Juret, *-we- diventa o nel gruppo consonante
iniziale + -we- + consonante, salvo davanti a r, t, n, s sorda e ll11; secondo E.
Hermann, invece, *-we- dopo consonante diviene o davanti a labiale o gutturale,
quando la sillaba seguente contiene una vocale “scura”12.

L. Hervet ha stabilito che e davanti ad l velare (l pinguis) si altera in o (quindi u


davanti a l + consonante in sillaba interna); la e sussiste tuttavia davanti a c o g in
sillaba iniziale. 13

10
G. GARITTE, Quelques cas d’altération de e en o en latin, a propos de bonus, in LEC X, n°3, 1941, pp. 202 – 222.
11
A. C. JURET, Dominance et résistance dans la phonétique latine, Heidelberg, 1913, p. 61; pp. 72 -73.
12
E. HERMANN, in Nachr. Göttingen, 1919, pp. 236 – 237.
13
L. HAVET, in Mém. De la Soc. De Ling. De Paris, 5, n.1, 1884, p.46; poi in Archiv für Lateinische Lexicographie und
Grammatik, 4, 1887, p. 142.

7
Questi differenti fenomeni hanno un punto in comune: sotto l‟influenza assimilatrice
di un fonema vicino (u od l pinguis), la vocale e prende il timbro o. Tuttavia, queste
regole non ci forniscono la giustificazione di tale passaggio nella prima sillaba di
bonus, oppure del mantenimento della e in bene. I casi più netti sono quelli dove il
gruppo –eu- diviene –ou-, ed un gruppo –el- diviene –ol- , ma bonus non rientra in
alcuna di queste due categorie. 14

La già citata regola di E. Hermann, è pienamente consapevole di bene [*dwene(d)],


dove *-we-, trovandosi dopo una dentale, deve conservare la sua vocale e; dunque,
secondo questa legge, la o di bonus sarebbe un‟anomalia.

Non risulta risolvere il problema, allo stesso modo, la formula di A. C. Juret. Bene si
spiega con alcune regole: *dwe- davanti ad n deve dare be-, e non bo-, ma bonus,
nelle stesse condizioni, ha la vocale o. Juret attribuisce la o dell‟aggettivo
all‟influenza della seconda sillaba (*dwe-nos). Qualche anno più tardi, egli
ammetterà piuttosto bonus come sviluppo fonetico regolare, e bene un‟eccezione a
causa del timbro dentale di –ne.15

F. Sommer ha presentato una spiegazione di altro genere per questo caso: egli indaga,
nel mutamento fonetico dwenos:bonus, l‟effetto di una “metafonia” (vokalumlaut): la
vocale considerata acquisisce, in certi casi, il timbro della vocale seguente. Egli
enuncia la seguente regola: “e breve, in sillaba aperta, acquisisce il timbro i breve,

14
G. GARITTE, Quelques cas d’alteration…, op. cit., p. 7 n. 10.
15
G. GARITTE, Quelques cas d’alteration…, op. cit., p. 7 n. 10.

8
sotto l‟influenza di una i seguente, o il timbro o breve, sotto l‟influenza di una o
seguente, quando tra le due vocali si trova una consonante sonora o un‟h”.16

J. Vendryes, respingendo la teoria di Sommer, ha proposto un‟ulteriore


giustificazione dell‟opposizione bonus:bene; secondo la sua ipotesi, il trattamento
fonetico regolare di *dwe- è dwo-, da cui bo-. Così *dwenos è divenuto bonus tanto
quanto *swekuros è divenuto socer, o ancora *qweqwo coquo. Il motivo per cui il
mutamento fonetico regolare di *dwe- in bo- non si è prodotto in bene, è dovuto
all‟influenza delle cosiddette “parole giambiche”, la cui regola è la seguente:
“nell‟antica versificazione latina, una parola di forma giambica (U _ ) può essere
trattata in modo che l‟insieme delle due sillabe formi uno stesso semipiede, forte o
debole”. Dunque, secondo Vendryes, se si trova una parola come bene, usata con
valore di due brevi (ossia con valore di pirrichio: l‟ultima sillaba viene abbreviata,
secondo la correptio iambica), le due sillabe costitutive della parola avranno, tra di
loro, un legame più stretto rispetto a quelle parole le cui sillabe hanno valore di due
lunghe (per es., clare). La particolarità di questo fenomeno, è che bene deve avere lo
stesso vocalismo, sia nella prima sillaba che nella seconda. 17

Si giunge, dunque, a bellus: Vendryes considera il vocalismo di bene come


un‟anomalia, dovuto al particolare carattere prosodico di questo avverbio, mentre il
vocalismo di bonus è il naturale prodotto dell‟evoluzione fonetica. Sembra piuttosto
il contrario, tuttavia, essere esatto: poiché bellus (*dwen(o)-lo-s) deriva da bonus
(*dwenos  dwonos), e possiede lo stesso vocalismo radicale di bene; oppure, a
questo diminutivo, non si applica la correptio iambica.

16
F. SOMMER, Lateinischer Vokalumlaut in haupttonigen Silben, in Indog. Forsch., 11, 1900, pp. 325-341.
17
J. VENDRYRES, Recherches sur l‟histoire et les effets de l‟int. init. en lat., pp. 151-155.

9
L‟iniziale be- sembra dunque normale: è bonus ad isolarsi nel gruppo, e il vocalismo
o sembra dovuto a una causa particolare. Nell‟ipotesi di Vendryes, non si spiega la
forma bellus: l‟iniziale *dwe- ha, d‟altro lato, dato ugualmente be- in bellum
(*dwellum), senza che il vocalismo di questa parola sia stato influenzato dalla legge
dei giambi. 18

Un‟ultima ipotesi è quella secondo cui, in bonus, ci sarebbe un suffisso –ono-, che si
presenterebbe in bene/bellus sotto la forma –eno-. Questo suffisso aggettivale si trova
effettivamente nelle lingue indoeuropee, nelle forme precedentemente citate. Ma
nessuna giustificazione spiega con precisione che, formazioni strettamente
imparentate come bonus e bene, abbiano ricevuto ciascuna una forma differente di
suffisso.

Bellus resta dunque inesplicato: la diversità stessa delle ipotesi, per rendere conto
dell‟opposizione e/o, dimostra che nessuna di esse è sufficiente a risolvere il
problema, avendo ciascuna le proprie debolezze. L‟oscurità che regna sulle cause
dell‟alternanza in questione, può essere dissipata in una certa misura, se si ha un po‟
di chiarezza sull‟etimologia di bonus e sulla sua origine, di cui, però, non si sa nulla
di utile19. Bugge ha proposto un approccio con beare, ma non è nulla di sicuro 20.

Alcune lingue simili non possiedono parole corrispondenti a *dwenos; “tutto ciò che
possiamo provare ad esplicare”, nota Meillet21, “è un elemento radicale *dw-“, che

18
J. VENDRYRES, Recherches sur l’histoire…, op. cit., p. 9 n. 17.
19
G. GARITTE, Quelques cas d’alteration…, op. cit., p. 7 n. 10.
20
S. BUGGE, Etymologische Beiträge, in Beiträge zur Kunde der indog. Sprachen, 14, 1889, pp. 57 – 79.
21
A. MEILLET, Esquisse d’une histoire de la langue latine, Paris 1928, p. 104.

10
viene approcciato al greco déunamai (bellus avente il significato di “utilità”, di
“valore efficiente”).

Dunque, queste vaghe indicazioni etimologiche non possono fornire alcun elemento
utile per la spiegazione del contrasto bonus:bene, bellus, e così il problema resta
posto.22

 I.3: Accezioni e ricorrenze di bellus e belle

Bellus possiede diverse accezioni. Il significato generico, equivalente di “carino, atto,


idoneo”, è rilevabile con riferimento particolare alle donne e ai fanciulli, che
piacciono perché diversi dalla normalità sia per l‟aspetto fisico, sia per azioni ed usi.
Nella lingua classica non viene usato, se non con valore ironico, per gli uomini (col
significato di “grazioso”).23

Bellus sta dunque ad indicare una cosa o una persona che versa in una prospera
condizione: generalmente è applicato alle cose, che sono grate alla vista e che
dilettano l‟animo. Specialmente si dicono “belli” i cibi che sono soavi e delicati, dalla
cui nozione è sorto il sostantivo bellariorum. Spesso si riferisce a quegli usi definiti
“graziosi, urbani, eleganti”; per quanto riguarda un uomo, si definisce bellus colui

22
G. GARITTE, Quelques cas d’alteration…, op. cit., p. 7 n. 10.
23
A. ERNOUT - A. MEILLET, Dictionnaire Ethymologique de la Langue Latine:…, cit. Paris, 1979.

11
che è dedito agli amori (cfr. Catullo 78,3: Gallus homo est bellus: nam dulces iungit
amores, cum puero ut bello bella puella cubet)24.

La forma avverbiale, belle, equivale, nella sua accezione primaria, a: “comodamente,


sapientemente”: belle facere aliquid, dunque, non significa tanto “fare bene”, quanto
“agire sapientemente, elegantemente”. Belle è anche esclamazione di coloro che
applaudono i recitanti (cfr. Persio 1,48, sed recti finemque, extremumque esse recuso
„euge tuum‟ et „belle‟).25
Secondo il Thesaurus linguae Latinae, il lemma bellus26 (comp. bellior, sup.
bellissimus) conosce la seguente occorrenza nelle fonti letterarie latine:

Plauto 25

Terenzio 1

Lucilio 1

Varrone 9

Cicerone 37 (di cui 24 nelle epistole)

Catullo 14

Lucrezio 1

Orazio (Satire) 1

Tibullo 3

Seneca il vecchio 9

24
Th.l.L., voces “bellus” e “belle”.
25
E. FORCELLINI, Lexicon Totius Latinitatis, vox “bellus”, Padova 1955.
26
Th.l.L., vox “bellus”.

12
Seneca il giovane 7

Fedro 1

Columella 1

Persio 1

Petronio 8

Marziale 17

Plinio (Epistole) 1

Apuleio 5

La frequenza dell‟avverbio corrispondente belle27 come registrata dal Thesaurus


linguae Latinae, di cui la forma comparativa non appare attestata a differenza del
superlativo bellissime, è la seguente:

Plauto 7

Cicerone 3 (opere retoriche), 2 (oratoria), 2


(opere filosofiche), 28 (epistole)

Catullo 1

Lucrezio 1

Orazio 2

Vitruvio 1

27
Th.l.L., vox “belle”.

13
Seneca il vecchio 21

Seneca il giovane 2

Persio 1

Petronio 4

Marziale 20

Quintiliano 3

Apuleio 3

Ulpiano 11

Sia l‟aggettivo, sia l‟avverbio, sono attestati – seppur con una frequenza minima –
anche da altri scrittori.
Bellus è attestato, nei seguenti scrittori, con tale occorrenza:

Claudiano 1

Macrobio 1

Paolo ex Festo 1

Geronimo (Hyeronimus) 1

Agostino 2

14
Porfirione ad Orazio 3

Ulpiano (Digesto) 1

Codex Iustinianus 1

Publilio 1

Germanico 1

Nonio 1

La forma avverbiale belle, invece, è attestata con la seguente occorrenza:

Dolabella 1

Paolo ex Festo 1

Scribonio Largo 4

Marciano 1

Pomponio 1

Agostino 1

Aureliano 1

Publilio 1

15
 I.4. Attestazioni di bellus e belle negli scrittori: da Plauto ad
Apuleio

 I.4.1. Plauto: le più antiche attestazioni

Come documenta il Thesaurus, Plauto attesta un uso frequente dell‟aggettivo bellus28.


In Asin. 674: nimis bella es atque amabilis, et si hoc meum esset, hodie / numquam
me orares quin darem. L‟aggettivo bella è riferito a Filènia, ed è impiegato nella sua
accezione originaria, come equivalente di “bella, graziosa, amabile”. In Asin. 676 (“i
sane, bella, belle”) bella è parimenti nel significato originario, mentre l‟avverbio
belle vale “bene” e l‟espressione è denotativa di augurio. Belle e bene s‟incontrano
in Curc. 375. Degni di nota sono anche i giochi di parole mescolati tra le due serie di
termini: se ne ha un esempio in Poen. 1332. 34 (=1384): Bonum virum eccum
video… - Quis hic est? – Utrumvis est, vel leno vel lycus … Bellum hominem quem
noveris. Allo stesso modo, Curc. 521: Bene Hercle vendidi ego te. / Fac sis bonae
frugi sies; sequere istum bella belle. Vi è qui qualcosa di più di una semplice
allitterazione o di un‟eco fonica: si tratta piuttosto di un contrappunto di parole che
esprime la ripetizione della stessa radice: il cinismo del leno. A proposito di un
mestiere, il termine rivela una sfumatura lucrativa, in Cist. 373: Datores bellissimi
vos negotioli, senices, soletis esse. 29

28
Le citazioni plautine sono riportate secondo l’edizione curata per Teubner da J. BRIX, Ausgewählte komödien des T.
M. Plautus, erklärt von Julius Brix, Leipzig 1870.
29
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p.5 n.1

16
In Merc. 524, l‟epiteto viene utilizzato in un contesto ironico: Ovem tibi et bellam
dabo, natam annos sexaginta… Eam si curabis, perbonast; tondetur nimium scite. La
gradazione bella…perbona renderebbe eccezionalmente chiaro il passaggio, se et
bellam fosse l‟unica lezione sicura (si trova così eccillam, ancillam, ecc…: la vecchia
pecora è in realtà la vecchia serva che l‟anziano offre alla giovane cortigiana).
Quest‟idea di autosufficienza per una funzione, il che significa che uno è “atto a fare
qualcosa”, potrebbe essere trasposta sul piano morale e sociale 30. Bellus, pertanto, in
tale contesto, sembra valere “cordiale, disponibile, accomodante”. Così dimostra
anche Curc. 20, dove l‟amante paragona la porta a un aiutante su cui si può contare:
Quid tu ergo, insane, rogitas valeatne ostium? / Bellissimum hercle vidi et
taciturnissimum.
La nozione di bellus homo inteso come “buon uomo”, ossia vir bonus, appare in
Capt. 956: Age tu illuc procede, bone vir, lepidum mancupium meum / -- …Fui ego
bellus, lepidus; bonus vir numquam neque frugi bonae / Neque ero umquam; ne spem
ponas me bonae frugi fore.
Il nesso bellus homo, inteso, al contrario, come ingannatore, ricorre in Merc. 688:
…Illam esse amicam tui viri bellissumi (cfr. Merc. 815; Bacch. 345; Men. 626; Asin.,
931; Aul. 285; Poen. 1335 = 1384). Il leno – bellus homo – è ironicamente definito
“buon uomo”.
L‟aggettivo, usato per indicare una condotta “abbastanza onesta”, ricorre in Curc. 8:
Istuc quidem nec bellum est nec memorabile.
Nel raro riferimento ad un oggetto inanimato, bellus in Plauto è solo in Bacch. 724:
Evax, nimis bellust atque ut esse maxume optabam locus.

30
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p.5 n.1

17
In Curc. 521, il commediografo attesta la ripetizione, in varie forme, della stessa
radice: Quid stulta ploras? Ne time. Bene hercle vendidi ego te. / Fac sis bonae frugi
sies, sequere istum bella belle. Bacch. 1172, al contrario, palesa l‟antitesi bellus /
malus: Ni abeas, quamquam tu bella es, / Malum tibi magnum dabo iam (cf. Truc.
923). L‟iper – diminutivo bellula appare in alcuni passi, come Poen. 347: AG. Sunt
mihi intus nescioquot nummi lymphatici / -- AD. Deferto ad me; faxo actutum
consisterti lymphaticum. – MI. Bellula hercle.
L‟attributo, inoltre, viene utilizzato per quelle persone che, senza essere realmente
belle, si ritengono tali o si sforzano per apparirlo; esse vogliono giungere a quel
punto in cui la bellezza inizia ad essere “accettabile”. Così provano Truc. 271: An eo
bella es qui accepisti armillas aeneas?, e Poen. 272: Tun audes etiam servos
spenere, / Propudium? Quasi bella sit, quasi eampse reges ductitent. L‟aggettivo
denota un‟idea di eccellenza, come prova Bacch. 838: Bellan videtur specie mulier?
– Admodum. Questa locuzione è contrapposizione di mala forma (Merc. 414) e di
bona forma, ricorrente in Terenzio, Andria, 72.
Infine, in Cas. 848, Edepol papillam bellulam!, l‟uso dell‟iperdiminutivo “di
piccolezza” concentra su di sé tutta l‟espressività, e relega in secondo piano – come
corollario di quella di piccolezza – l‟idea della bellezza. 31

Belle tende generalmente a diffondersi a discapito di bene, e lo si incontra anche nei


passaggi in cui la sfumatura “modesta” è impercettibile, e dove l‟avverbio esprime
semplicemente il grado intenso coperto dal compimento del processo verbale. 32
Questo uso è attestato in Curc. 375: …cum belle recogito (cfr. Truc. 290; Most. 806;
Per. 588; ma in questi ultimi due passaggi è preferibile la lezione velle).

31
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p.5 n.1

18
L‟avverbio belle partecipa di un utilizzo tale da integrarsi in schemi fissi: bella belle
appare in Asin. 676; Curc. 521; Rud. 426; belle belliatus invece è attestato una sola
volta: Cas. 854. 33

 I.4.2. Cicerone

In Cicerone34, bellus descrive figure o generi greci: paréagramma bellum (Fam. 7,

32, 2), bellum {akroteleéution habet illa tua epistula (Att. 5, 21, 3), misit enim

bellum {upéomnhma (Att. 16, 14, 4), bella ironia, si iocaremur (Brut. 293), “bella, ut
mihi videtur,eirwneéia” (Att. 16, 15, 3).

Bellus come lemma che descrive una “mossa astuta” appare alcune volte nelle opere
filosofiche di Cicerone. Nel de Oratore, il campo d‟azione di bellus si restringe,
generalmente, all‟umore dei vari dibattiti, coinvolgendo falsi pretesti di vario genere.
Cicerone e il figlio di Attico avrebbero trovato la corte di Deiotaro “molto gradevole”
(bellissimum, Att. 5, 17, 3). Lo scrittore usa due volte bellus riguardo alla situazione
meteorologica che ha favorito i suoi piani di viaggio (cfr. Fam. 16, 9, 1; Att. 7, 2, 1).

Nel detto di Crasso, nam ipsum quidem illud etiam sine cognitione iuris, quam sit
bellum cavere malum, scire possumus (de Orat. 1, 247), la sfumatura di bellus mette
in evidenza la personale soddisfazione di qualcuno che difficilmente è sfuggito. 35

32
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p.5 n.1
33
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p.5 n.1
34
I passi ciceroniani presi in considerazione sono riportati secondo l’edizione Teubner M. Tullii Ciceronis scripta quae
manserunt omnia, a cura di W. FRIEDRICH , C. FRIEDRICH, W. MÜELLER, Leipzig 1908.
35
B. KROSTENKO, Cicero, Catullus and the Language of Social Performance, Chicago 2001, pp. 51 - 59

19
L‟aggettivo, con valore di “diminutivo di modestia” di bonus, in Cicerone, ricorre in
Fam., 7, 24, 2: Ille autem, qui sciret se nepote bellum tibicinem habere et sat bonum
cantorem. L‟equazione bellus = sat bonus illustra bene questo valore “di modestia”
sopra citato.

Con il suddetto valore, l‟attributo si stabilizza nelle accezioni pragmatiche e sociali.


L‟aggettivo bonus, anche se negassimo qualsiasi relazione etimologica col greco
déunamai e col got. taujan, esprime l‟idea di un‟attitudine a certe funzioni. Il
diminutivo modesto bellus può naturalmente attestare l‟espressione delle stesse idee,
che spesso ha recepito e stabilizzato. L‟idea di sufficienza è evidente in un passaggio
ciceroniano che si riferisce a un dato numerico: Prudentum fortasse quaeris: Tu
mille: Istum ipsum. Lelius: Est tibi ex his ipsis qui adsunt bella copia, vel ut a te ipso
ordiare (Res Publica 2, 67).

La nozione di bellus homo, qui inteso come “buon uomo”, è – secondo Cicerone –
distinta da quella di sapiens: Haec ego non possum dicere non esse hominis quamvis
et belli et humani, sapientis vero nullo modo, physici praesertim, quem se ille vult,
putare ullum esse cuiusquam diem natalem (De Finibus 2, 102). Un ulteriore
passaggio illustra chiaramente il grado “minimale” di bellus: Durius accipere hoc
mihi visus est quam vellem et quam homines belli solent (Att. 1, 1, 4). Da questi
esempi ciceroniani si evince che l‟aggettivo esprime costantemente un grado giusto,
appena accettabile nella bontà. 36

36
B. KROSTENKO, Cicero, Catullus and the Language of Social Performance, op. cit., p. 19 n. 35.

20
Come vocabolo usato per qualificare un‟attività “vantaggiosa”, ricorre in Att. 5, 17, 3:
“Illum pueris locum esse bellissimum duximus”. In questi passaggi, il superlativo
esprime non l‟eccellenza assoluta, ma semplicemente il grado più alto a cui può
giungere l‟accezione di “molto buono, vantaggioso”, senza usurpare quella di bonus37.
Bellissimum esprime bene che il soggetto non ha altra scelta se non quella di
esercitare le proprie soluzioni tra quelle definite “quasi buone”. E‟ il caso di Att. 2,
17, 2: Bellum est enim sua vita nosse (cfr. Verres 2, 145; Nat. Deor. 1, 84; Fam. 9, 2,
3)38.

L‟aggettivo è applicato dallo scrittore alla salute non di un essere umano, bensì dello
Stato, in Att. IV, 18.2. Un po‟ più frequentemente bellus qualifica i bambini (Fam.
XIV, 7.3; Att. VI, 4.3).

L‟epiteto acquisisce valori estetici in determinati contesti, ossia dove si è stabilito, tra
le idee di bellezza e di bontà, un rapporto di contiguità e di prossimità. In alcuni
passaggi non c‟è ancora questa totale identificazione, mentre in altri la
neutralizzazione diviene totale: sono quelle attestazioni dove l‟eccellenza e la bontà,
espresse da bellus, sono incanalate e limitate a un‟area specifica passibile unicamente
di un giudizio estetico. Un esempio è dato dall‟uso dell‟avverbio belle in Att. 1, 1, 5:
Hermathena tua valde me delectat et posita ita belle est ut tomum gymnasium
anéaqhma esse videatur. Il luogo propizio è qui quello che permette di ammirare la
statua, per affermare la bellezza. Può essere tradotto, senza minare la legittimità del
testo, con “ben disposto”. Il diminutivo può conservare uno dei suoi valori propri:
qui, quello di “modestia”. Si applica solamente a un ordine di fatti refrattari alla

37
B. KROSTENKO, Cicero, Catullus and the Language of Social Performance, op. cit., p. 19 n. 35.

21
distinzione tra buono e bello. Ne fornisce un esempio Att. 4, 6, 4, a partire da un
valore leggermente differente di bellus: Epistulam Lucceio nunc quam misi… fac a
beo sumas: Valde bella est.

Come mostra Cicerone, Sallustio si congratula con l‟oratore per il suo utilizzo delle
figure storiche recenti nel de Oratore: oratorum sermonem a me belle remouisse. (Q.
fr. 3, 5, 1).39

L‟avverbio belle è usuale per definire una condizione di “benessere”. Una volta,
tuttavia, Crasso utilizza la forma avverbiale per rappresentare un‟esclamazione che
era di uso comune: quare „bene et praeclare‟ quamvis nobis saepe dicatur, „belle et
festive‟ nimium saepe nolo. (de Orat. 3, 101, cfr. 6, 6). Questo uso sopravvive
costantemente nel metalinguaggio letterario latino dell‟Impero. 40

Com‟è osservabile, Cicerone impiega l‟espressione belle (se) habere come durativa
dello stato fisico o emozionale. In un caso, Cicerone scrive per esprimere la sua
preoccupazione a riguardo della salute di Tirone, sebbene Egitta gli abbia detto che la
febbre è passata e che Tirone sta meglio (belle se habere, Fam. 16, 15, 1). Dolabella
informa Cicerone che Terentia minus belle habuit, sed certum scio iam conualuisse
eam (Fam. 9, 9, 1). Tullia e Terenzia si sarebbero trovate benissimo presso le case di
campagna di Cicerone (bellissime, Fam. 16, 4, 3).

38
B. KROSTENKO, Cicero, Catullus and the Language of Social Performance, op. cit., p. 19 n. 35.
39
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p.5 n.1
40
B. KROSTENKO, Cicero, Catullus and the Language of Social Performance, op. cit., p. 19 n. 35.

22
Belle e bene assumono diverse sfumature con facere: bene facere è “fare un favore a
qualcuno”, mentre belle facere, che ricorre in Cicerone una sola volta, sembra
significare “fare un favore a sé stessi”. Quando Cicerone è desideroso che Attico
veda la sua libreria rimodellata, lui scrive: perbelle feceris si ad nos veneris.

Così come bonus e bene, bellus e belle possono esprime l‟idea di bontà applicata al
piacere, al conforto, alla salute, a tutto ciò che coopera per procurare l‟impressione di
benessere. Quest‟accezione è verificabile in Ad Quintum, 2, 11, 4: Oblecta te cum
Cicerone nostro quam bellissime, o ancora Ad Quintum, 3, 1, 1: In Arpinati…
aquam… belle fluentem vidi.

Riguardo allo stato di salute, l‟avverbio belle definisce un‟ottima forma: Cicerone e i
suoi amici sono degli uomini accoglienti, che non hanno mai affermato di desiderare
una forma salutare migliore; non hanno di che lamentarsi del proprio benessere, e tale
è il significato di belle se habere, locuzione che si distingue da pulchre se habere,
che ha significato di “essere buono, che non può essere migliore”. Non solo belle
contribuisce a questa “modesta” espressione del benessere, bensì anche bellus, come
conferma Fam. 16, 18, 1: Fac bellus revertare.

Infine, belle appare come semplice variante “modesta” di bene, in un certo numero di
locuzioni conosciute. Così, belle ferre aliquid significa “fare una bella figura” in
presenza di un evento. (cfr. Att. 4, 18, 2; 5, 10, 3). L‟avverbio può giustificare così,
modestamente, una condotta: (A Sallustio) admonitus sum… oratorum sermonem in
illis nostris libris, qui essent de ratione dicendi, belle a me removisse. (Ad Quintum

23
3, 5, 1). Non belle, al contrario, assume un valore di rimprovero ancora più forte per
le persone che non soddisfano un requisito minimo (cfr. Att. 5, 17, 6).41

Belle tende generalmente a diffondersi anche a scapito di bene, che si trova anche in
passaggi dove la sfumatura “modesta” è impercettibile, e dove la parola esprime
semplicemente il grado intenso rivestito dal completamento del processo verbale.
Questo uso è già documentato in Plauto: …cum belle recogito (Curc. 375). La
sfumatura confina, talvolta, con quella di “abbastanza, estremamente”, in Cicerone:
“Sumus enim ambo belle curiosi” (Att. VI.1.25). Come variante familiare di bene,
belle ricorre in Fam. 6, 18, 2: Sed , ut ad epistolas tuas redeam, cetera belle; illud
miror: Quis solet eodem exemplo plures dare, qui sua manu scribit? (cf. Fam. 9, 22,
3; Att. 5, 10, 2).

La “falsa modestia” prevale qui sul desiderio di minimizzare la qualità di bonus. Il


risultato è lo stesso: Cicerone usa entrambe le forme avverbiali nella sua stessa
produzione. L‟avverbio belle partecipa eventualmente di questo utilizzo: (epistula)…
scripta belle est… (Att. 6, 1, 22). 42

Gli esempi appena menzionati dimostrano che bellus e belle non presentano alcuna
sfumatura che li riunisca sotto un‟accezione “estetica”. Essi si comportano come
delle varianti di bonus e bene, dei quali spesso minimizzano il valore, mentre altre
volte ne sono degli stretti equivalenti. Questo aspetto testimonia così, fino all‟epoca
della decadenza, un rapporto semantico vivace tra bellus e bonus. 43

41
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p.5 n.1
42
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p.5 n.1.
43
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p.5 n.1.

24
 I.4.3 Catullo

Nel liber catulliano44, bellus va oltre la definizione del puro aspetto fisico,
qualificando le buone maniere (non belle uteris in ioco atque vino, 12, 2), lo spirito
(haec cum legas tu, bellus ille et urbanus / Suffenus […], 22, 9), la vigilanza (Gallus
homost bellus: nam dulie iungit amores, / cum puero ut bello bella puella cubet., 78,
3) e la discriminazione (bestia, nec quicum bella puella cubet, 69,8). Secondo
Catullo, l‟amante di Mamurra non è bella (ten provincia narrat esse bellam?, 43, 6)
poiché è nec sane nimis elegante lingua (43, 8). Il senso può essere in bilico tra il
fisico e l‟intellettuale: Catullo raccomanda a Giovenzio un bellus homo invece che
una moribunda ab sede Pisauri hospes che ha catturato l‟attenzione di quest‟ultimo
(81, 2 ff.). L‟antitesi implicita tra bellus e la rusticità richiama a ciò che viene detto di
Suffeno e del suo poema (22, 9 f.), ma vi è coinvolto anche un contrasto puramente
fisico.

In altri contesti catulliani, bellus sembra connotare una combinazione di intelligenza


mentale e fisica. I fratelli di Gallo sono consacrati a una lepidissima coniunx e a un
lepidus filius, che sono rispettivamente anche bella e bellus (78, 1 ff.). Gallo stesso,
d‟altra parte, è bellus, perché svolge un servitium amoris, giacendo con la moglie di
suo fratello, ma stultus, perché non riesce a vedere che la sua condotta può
ripercuotersi su di lui stesso. 45

44
I passi qui citati sono riportati secondo l’edizione della Bibliotheca Teubneriana Scriptorum Latinorum et Graecorum,
Catulli Veronensis carmina, curata da L. MUELLER, Leipzig 1983.
45
R. SEAGER, Venustus, Lepidus, Bellus, Salsus: Notes on the Language of Catullus, in Latomus 33, 1974, pp. 891 - 894

25
Il valore di bellus quale diminutivo “modesto” di bonus, designa in alcuni passi una
bontà ingannevole e ritoccata. Così 22, 9: Suffeno ha tutte le apparenze di un uomo di
mondo (venustus) e ben elevato (urbanus); egli pubblica i suoi versi su una
pergamena di lusso: Haec cum legas tu, bellus ille et urbanus / Suffenus unus
caprimulgus aut fossor / Rursus videtur. Il bellus homo cerca di ostentare l‟aria di un
vir bonus, ma il vir bonus non si lascia ingannare.

È ciò che mostra ancora Catullo, 24, 7: Qui? Non est homo bellus, inquies? Est. / Sed
bello huic neque servus est neque arca. Tuttavia è un errore considerare il bellus
homo come un galantuomo, quasi un kaléov kaéi {agaqéov romano: egli prova a
presentare la facciata, ma non ha le qualità.

L‟homo bellus è colui che inganna i creduloni: ecco appunto perché, nella commedia
latina, acquisisce proprio l‟accezione di “ingannatore” (cfr. Plauto, Merc. 688: …
Illam esse amicam tui viri bellissumi). Quest‟uso si ritrova in Catullo, 78, 4: Gallo, lo
zio utile (bellus homo), favorisce gli amori della sua giovane nipote e della sua
giovane e bella sorella: …Cum puero ut bello bella puella cubet. L‟aggettivo si può
qui rendere con l‟italiano “grazioso”, ma nel senso peggiorativo e morale del termine.

L‟epiteto, a partire verosimilmente dalla nozione di bellus homo, qualifica


un‟attitudine o una condotta “quasi onesta”. Quest‟accezione è attestata con una
negazione: non bellum designa allora qualcosa che non ha raggiunto nemmeno il
minimo livello d‟onestà. Catullo, in 12, 2, utilizza la forma avverbiale belle appunto
in questo senso: “Manu sinistra non belle uteris in ioco atque in vino”.

26
In 69, 8, dove Catullo indirizza un vituperium a Rufus, a causa del suo olezzo
caprino, bellus esprime l‟idea di una bellezza appena emergente: Nam mala valde est
/ Bestia, nec quicum bella puella cubet. La medesima valenza anche in 106, 1: Cum
puero bello praeconem qui videt esse, / Quid credat nisi se vendere discupere. 46

Oltre questi passi, si riduce il numero di esempi in cui bellus esprime chiaramente
un‟idea di bellezza che non è dipendente da una coincidenza di contesto né inteso
come contiguo alla nozione di bontà. Può essere tutt‟al più aggiunto Catullo, 43, 2,
dove l‟aggettivo definisce non più una persona, ma una parte del corpo: Salve, nec
minimo puella naso / Nec bello pede nec nigris ocellis.
In questi passi catulliani, dunque, bellus appare come un diminutivo “di modestia”,
che qualifica la bellezza “passabile, accettabile”. 47

 I.4.4. Marziale

In Marziale48, bellus è la caratteristica centrale di Atticus, un esperto declamatore,


scrittore e danzatore: Declamas belle, causas agis, Attice, belle, / historias bellas,
carmina bella facis, / componis belle mimos, epigrammata belle, / bellus
grammaticus, bellus es astrologus / et belle cantas et saltas, Attice, belle, / bellus es
arte lyrae, bellus es arte pilae, / nil bene cum facis, facias tamen omnia belle, / vis
dicam quid sis? Magnus es ardalio. (2, 7). La presenza di bellus in Marziale, “è uno
dei casi più significativi di termini di coloritura sicuramente quotidiana che Marziale

46
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p. 5 n.1
47
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p. 5 n.1
48
I passi citati sono riportati secondo l’edizione curata da W. M. L INDSAY, M. Val. Martialis Epigrammata, Oxford 1929.

27
usi con particolare frequenza” 49. Marziale avrà subito, con ogni probabilità, l‟influsso
dell‟uso ampio che ne fa Catullo 50.

Seppure il lemma non ricorra frequentemente, nelle fonti letterarie latine, con la
valenza di “omosessuale, effeminato, lascivo, delicato”, Marziale fa un uso ricorrente
di questa sfumatura, con un forte valore eufemistico. Un sinonimo per bellus è
galvinus, significativo per definire la condizione sessuale di un individuo (cfr. 1,96,
vv. 4 – 9: Amator ille tristium lacernarum / et baeticatus atque leucophaeatus, / qui
coccinatos non putat viros esse / amesthystinasque mulierum vocat vestes, nativa
laudet, habeat et licet semper / fuscos colores, galbinos habet mores).
In 1,9, è lo stesso Marziale a sottolineare il significato di bellus homo quale
damerino, effeminato: Bellus homo et magnus vis idem, Cotta, videri: / sed qui bellus
homo est, Cotta, pusillus homo est. (con la stessa accezione, cfr. 1, 96, virum
mollem). 51

 I.4.5. Altre attestazioni: da Terenzio ad Apuleio

Riguardo alle attestazioni in altri scrittori, il lemma è documentato in Terenzio, dove


esprime la bontà di un piatto: Nam iam abibo atque unum quicquid quod quidem erit
bellissimum / Carpam, et cyathos sorbilans paulatim hunc producam diem (AD. 590).
In Lucrezio, De Rerum Natura 4, 1190, bellus conferma il suo valore di sostituto
“modesto” di bonus: Si bello animost e non odiosa….

49
M. CITRONI, M. Valerii Martialis Epigrammaton Libri I, Firenze 1975, pp. 47 - 48
50
P. FEDELI, Marziale Catulliano, in Humanitas 56 2004, pp. 161 – 189
51
J. ESTELLÉS MARIA GONZÀLEZ, El poeta latino Marcial y sus cosas: un bellus homo o “el habito no hace al monje”, in
Homenaje a Dolores Jiménez Plaza, Valencia 2009, pp. 113-120.

28
Accompagnato dalla negazione, nell‟unica attestazione presente nelle Satyrae di
Orazio, esso sta ad indicare la mediocrità o la denigrazione:“non bella…fama (Sat. 1,
4, 114).

Nelle rare attestazioni presenti in Tibullo, l‟aggettivo sta ad indicare il ricevere una
soddisfazione da qualcuno. Così in 1, 9, 71: Non tibi sed iuveni cuidam vult bella
videri, / Devoveat pro quo remque domumque tuam e in 3, 19. 5: Atque utinam
posses uni mihi bella videri, / Displiceas aliis. Ancora, in 3, 4, 52 (Lygdamus), bellus
non sembra mantenere la sfumatura indicante il possesso di una condizione minima,
accettabile, come invece ricorre normalmente: Tantum cara tibi quantum nec filia
matri / Quantum nec cupido bella puella viro: non vi è necessità di cercare ulteriori
segnali nel testo, per ritrovare l‟idea, largamente approvata, che la donna in questione
è stata in grado di distinguersi dal suo amante.

In Lucilio, inventor del genere della satira (unico genere della poesia latina che non
ha un corrispondente nel mondo greco), il lemma costituisce un unicum, e sta ad
indicare un rimedio piuttosto efficace ad una malattia: hoc invenisse unum ad
morbum illum homini vel bellissimum (741).
Lo status di bellus come complimento stereotipato nello sfoggio di un‟intelligenza
verbale, è preservato in Persio: sed recti finemque extremumque esse recuso / „euge‟
tuum et „belle‟. Nam belle hoc excute totum […] (1, 48 - 53). 52

L‟attributo è usualmente impiegato da Seneca maggiore per definire qualsiasi abilità


di declamazione. Egli utilizza bellus per etichettare particolarmente l‟intelligenza

52
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p.5 n.1

29
delle sententiae. Molti ascoltatori sono accolti da un epigramma dal bel suono: multis
compositio belle sonantis sententiae imposuit (7, 10, 4). Quando i libri di Labieno
vengono bruciati su ordine del Senato, Cassio Severo avanza un‟osservazione che
Seneca definisce una belle dicta res: nunc me, inquit, vivuum uri oportet, qui illos
edidici (10, pr.8). 53

In Apuleio, l‟aggettivo, evidente prestito dalla lingua parlata, assume diverse


connotazioni. Ricorre come sostituto di bonus (Sed tam bellum consilium meum
praevertit sors deterrima, Metam. 4, 5); qualifica una condotta redditizia o abile:
(bellum consilium, Metam. 4, 5); è utilizzato anche per esprimere con più intensità il
valore “modesto” con un neologismo, bellule: At ego, quamquam iam bellule
suffarcinatus… esurienter exhibitas escas adpetebam (Metam. 10, 16; alla stessa
maniera, in Metam. 5, 31: aetatem portat bellule). In Metam. 11, 30, si ha un uso
occasionale di questo neologismo, posto vicino a un participio e con valore affettivo
e intensivo: stipendiis forensibus bellule fotum.54
L‟aggettivo viene utilizzato dallo scrittore per marcare un discreto e ironico
intervento personale in Metam. 7, 23: Nefas est, ait, tam bellum asinum sic enecare…
servitioque tam necessario carere, e ancora in Metam. 8,26: cave ne solus exedas tam
bellum scilicet pullulum . Infine, in Metam. 6, 25, bellus esprime soprattutto la
piccolezza, vera, o, meglio, finta, e sfocia nella carineria e nell‟affetto: Sed astans
ego non procul dolebam mehercules quod pugillares et stilum non habebam qui tam
bellam fabellam praenotarem.55

53
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p. 5 n.1.
54
L. CALLERAT, Sermo cotidianus dans les Métamorphoses d’Apulée, Caen 1968, pp. 379; 520; 535.
55
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p. 5 n. 1.

30
Il lemma costituisce un unicum nella restante bibliografia di Apuleio, e precisamente
in Apol. 44,8, dove presenta una netta valenza peggiorativa: bellum vero puerum
elegistis.56

 I.5. Bellus e belle dal I secolo d.C. alla lingua volgare

Nelle epoche successive, sono persistentemente rari sia l‟aggettivo che l‟avverbio.

Entrambe le forme sono attestate in Quintiliano (Inst. 6, 3, 488 raro belle


respondeant verba; Inst. 6, 3, 74 belle scribitur; Inst. 6, 3, 100 contumelis…uti belle),
Porfirione ad Orazio (Sat. 1, 4, 49, <b>ellam obscuritatem adfectavit; Carm. 2, 2,
15, bella [così P; altri vella] conceptione… dicitur; Carm. 3, 16, 21, bella relatio
sensus est), Publilio (Q. 32, quae vult videri bella + nimium illi negat), Geronimo
(Epist. 40, 2 an ideo tibi bellus videris, quia fausto vocaris nomine?), Agostino
d‟Ippona (c. Iul. 4, 122 p. 1418 in., Quam bellus tibi videris, cum me Ioviniano
comparans, peiorem conaris ostendere; Doctr. Christ. 2, 20, 31, bellum est, quod
aliquando pueri vindicantur a canibus; Serm. 241, 4, age belle, belle illis [animis]
invenisti locum), Claudiano (Carm. Min. app. 14, 3 mea bella Cythere), e Macrobio
(Sat. 1, 24, 12, belli isti homines litteratores).

Cospicue sono le attestazioni presenti nella letteratura giuridica: Marciano (Dig. 20,
25, 2 bellissime intelleguntur), Ulpiano (Dig. 43, 21, 3, 8 belle dictum est; Dig. 41, 2,
10, 1 bellissime; Dig. 7, 8, 4, 5 notat non belle; Dig. 38, 17, 2, 44 tractari belle
56
L. CALLERAT, Sermo cotidianus…, op. cit., p. 30 n. 54.

31
potest; Dig. 39, 1, 59 belle…definivit; Dig. 43, 3, 1, 4 bellissime Arrianus sciibit),
Sesto Pomponio (Dig. 40, 5, 20, bellissime putabant) e infine nel Codex Iustinianus
(7, 2, 15, 4, bellissimam repletionem praefatae).57

La forma bellus andrà poi affermandosi nelle lingue romanze a discapito della forma
pulcher. Le prime attestazioni, nella letteratura italiana, provengono dalla poesia
composta in volgare marchigiano del XII secolo d.C. (cfr. Anonimo, Ritmo su
Sant‟Alessio: genue em Siria em derectura / là ove nn‟era bella figura, / de Cristu
Deu statura, / in una ecclesia per ventura / de Regina Mundi cura […]), o dal campo
dell‟elegia giudeo – italiana del XIII secolo d.C. (cfr. Anonimo, Elegia giudeo –
italiana [La ienti de Sïòn plange e lutta]: Una donna aiu, bella quanto rosa, / bene
crido k‟è ienti cosa, / de la ienti trista e dolorosa), fino ad arrivare al noto Cantico
delle Creature di San Francesco d‟Assisi, databile approssimativamente al 1224:
Laudato si‟, mi‟ signore, per sora luna e le stelle: / in celu l‟ài formate clarite et
pretiose et belle.

Degna di menzione è altresì la prima attestazione presente nella Commedia, e


precisamente in Inferno 1, 87, quando Dante, rivolgendosi a Virgilio, afferma: Tu se‟
lo mio maestro e „l mio autore, / tu se‟ solo colui da cu‟ io tolsi / lo bello stilo che
m‟ha fatto onore.58

57
Th.l.L., vox “bellus”.

32
 I.6: Attestazioni di bellus e belle presso i grammatici antichi

Sia l‟aggettivo bellus che l‟avverbio belle sono frequente oggetto di analisi dei
grammatici antichi. Varrone ne attesta il comparativo, in Men. 541: in quo
(testamenti genere), Graeci belliores quam Romani. Nonio Marcello, citando questa
sentenza nel suo De compendiosa doctrina per litteras ad filium, afferma che, in
realtà, belliores starebbe per meliores (belliores est meliores, cfr. NON. p. 77).

Di rimando, Beda afferma l‟inesistenza di un comparativo di bellus, affermando che,


in vece del comparativo di maggioranza, si utilizza l‟espressione magis bellus,
mentre per il comparativo di minoranza, e dunque per indicare ciò che è minus
pulcher, si utilizza la forma minus bellus: bellus bellissimus comparativum non
habet, sed pro eo dicendum magis bellus et e contrario minus bellus id est minus
pulcher (gramm. 7, 265, 5).

Dositeo registra la ricorrenza del superlativo di bellus, ossia bellissimus: quaedam


superlativum tantum recipiunt ut… bellus bellissimus (gramm. 7, 399, 11 ; cfr. Exc.
Bobiensia Gramm. 1, 536, 31).

Prisciano, in GLK 2, 80, 7, afferma: in –nus… Desinentia… Si faciunt diminutiva,


abiecta n duas assumunt l… Bonus Bellus (cfr. 2, 109,15; 2, 111,1; 3, 496, 21). Il
grammatico esamina il fenomeno linguistico, secondo cui i diminutivi dei lemmi
uscenti in –nus (bonus) subiscono la caduta della n, alla quale si sostituiscono due l.
Si sofferma sulla derivazione di bellus da bonus (bonus  bellus; bene  belle).

58
TLIO TESORO DELLA LINGUA ITALIANA DALLE ORIGINI, voce “bello”, Istituto Opera del Vocabolario Italiano, Firenze 1965.

33
Cassiodoro indaga bellus nel De Ortographia: si autem per b mutam notetur, genere
masculino ac declinazione secunda declinabitur, ut scitum denuntiet: hic enim bellus
huius belli, scitus vel iocosus, per casus declinabitur (cfr. Martyr. LLA 704, 173,
16).

Il lemma è analizzato altresì nell‟Ortographia da Alcuino di York, che sottolinea la


differenza tra il significato e la grafia di vellus e bellus: Vellus, si lanam significat,
per v; si bellus, id est pulcher, per b scribitur (312, 1).

Spostando l‟asse dell‟analisi sulla forma avverbiale belle, Sesto Pompeo Festo 59
nota
come belle venga utilizzato per indicare l‟agire rettamente, per denotare una buona
azione: “quod (bene) facit belle et bellule”. Prisciano, in GLK 3, 88, 22, nota come
nella lingua latina siano ricorrenti degli avverbi diminutivi non presenti presso i
greci: inveniuntur… apud nos adverbia diminutiva, quae apud graecos non sunt ut…
bene belle bellissime (cfr. 80,1. 51,21); ancora, in GLK II 552,9, egli constata come
spesso quest‟avverbio venga usato in luogo del nome, e talvolta come esclamazione:
adverbium loco nominis ut… “Euge tuum” et “belle”.

Infine, la forma avverbiale è usata altresì da Pomponio Porfirione nel suo commento
ad Orazio. Ma, nei codici che tramandano detto commento, i copisti riportano
erroneamente velle invece che belle.60

59
Autore a noi noto tramite l’opera tramandata da Paolo Diacono, ndr.

34
 I.7: Attestazioni epigrafiche di bellus e belle

Nelle attestazioni epigrafiche, bellus è ricorrente in alcune iscrizioni pompeiane,


appartenenti all‟insula detta di Poppaei Sabini. Si tratta di tre graffiti editi nel
tredicesimo supplemento al tomo IV del Corpus Inscriptionum Latinarum, sotto i
numeri 8259 (per i primi due) e 8258 (per il terzo). Due uomini si affrontano: quello
che sferra l‟attacco si chiama Severus; egli prende di mira Successus, di professione
tessitore (8259, linee 1 – 4); Successus risponde (8259, linee 5 – 6); Severo replica
(8258, linee 1 – 4). Essi sono rivali a causa di una fanciulla che risponde al nome di
Iris e che apparentemente esercita la funzione di serva presso un hospitium.

Il testo integrale dell‟iscrizione, come riportato dal CIL, è il seguente:

Prima mano (quella di Severus)


1. SVCCESSVS TEXTOR AMAT COPONIAES ANCILLA
2. NOMINE HIREDEM QVAE QVIDEM ILLVM
3. NON CURAT SED ILLE ROGAT ILLA COMISERETVR
4. SCRIBIT RIVALIS VALE
Seconda mano (quella di Successus)
5. INVIDIOSE QVIA RVMPERES SEDARE NOLI FORMONSIOREM
6. ET QVI EST HOMO PRAVESSIMVS ET BELLVS (CIL, IV, 8259)
Prima mano (quella di Severus)
7. DIXI SCRIPSI AMAS HIREDEM
8. QVA TE NON CVRAT SIX SVCCESSO

60
Th.l.L., voces “bellus” et “belle”.

35
9. UT SVPRA ……. S …
10. SEVERVS (CIL, IV, 8258)

Questi testi, ben conosciuti, sono divenuti pezzi antologici, sia come documenti per
lo studio del latino volgare, sia come esempi di iscrizioni che illustrano la vita
quotidiana a Pompei.
Il Prof. Carl Deroux, docente presso la Libera Università di Bruxelles, analizza
l‟interpretazione problematica di bellus, che W. Krenkel61 rende con “grazioso”,
mentre A. Varone 62 con “aitante” e Ph. Moreau63 con “un bravo ragazzo”. Scartando
l‟accezione “estetica”, è difficile caratterizzare lo stesso Successus per
quest‟aggettivo che, nel suo valore “estetico”, esprime un “grado infimo e passabile
della bellezza”, si colora di un certo disprezzo e non si applica ad un uomo se non
con valenza sarcastica (bellus è utilizzato soprattutto per gli effeminati).

Avendo bellus, nei graffiti “erotici” pompeiani, una valenza che A. Varone traduce
con “gagliardo”64, ci si chiede se l‟aggettivo possa qualificare le abilità sessuali. Ne
sono forniti esempi da diverse iscrizioni: Nemo est bellus nisi qui amavit mulie[r]em
adules[centulus] (CIL, IV, 1883 [add. p. 213]), Euplia hic cum hominibus bellis MM
(CIL, IV, 2310b), o ancora, con la stessa accezione, riferito a donne: Pupa que bela
is, tibi me misit qui tuus est: Vale (CIL, IV, 1234, dalla Casa di Sallustio a Pompei,
dove bela is sta per bella es), e infine con un valore proprio del turpiloquio:
bellissimu(m) futuerunt (dove bellissimu(m) sta per bellissime, CIL, IV, 4884).

61
W. KRENKEL, Pompejanische Inschriften [n.6], Leipzig, 1963.
62
A. VARONE, Erotica Pompeiana [n.1], Roma, 1994, p. 112, n. 179.
63
PH. MOREAU, Sur le murs de Pompei [n. 6], Paris, 1993.

36
Altrove, vi sono nomi di meretrici o di cinedi, definiti oscenamente, con l‟indicazione
del prezzo, bellis moribus (CIL IV, 2202: restituta bellis horibus; CIL IV, 4024:
Miinandiir biillis moribvs aiiris ass II (biillis sta per bellis); CIL IV, 4592: Eutychis
Graeca a(ssibus) II moribus bellis; CIL, IV, 5127: spees moribvs bellis VIIII)65.

Oltre al silenzio di P. Monteil riguardo all‟accezione di bellus quale designatore di un


uomo vigoroso, e al compito particolare svolto nel campo del sesso, le due
attestazioni pompeiane, in questo senso, sono abbastanza incerte.

Il graffito riportato sotto il numero 2310b, era sicuramente rivolto dai clienti a questa
prostituta, ben nota per la raffinatezza apportata al suo lavoro. Non vi è alcuna prova
che i “duemila uomini” indicati nel graffito siano indicati con un‟accezione diversa
da quella di “bravi ragazzi”. Probabilmente potevano essere visti come dei patetici
“uomini effeminati”, bellimbusti, belli homines nell‟accezione “estetica” del termine
e con un significato leggermente sprezzante. Allo stesso tempo, in CIL IV 1883, non
si può davvero definire bellus un uomo giovane che ha avuto la possibilità di amare
una mulier. Inoltre, pur ammettendo come verosimile l‟ipotesi secondo cui il
significato “sessuale” sia davvero esistito per bellus, non può sfuggire l‟impressione
che questo non era, per Successus, il discorso più abile per conquistare Iris.66

Dunque, secondo Carl Deroux, il significato di bellus non va cercato nella sfera
“fisica” delle accezioni del lemma, bensì in quella “morale”. Si pensi, naturalmente,
al suo utilizzo nella frase homo bellus, quando ci si riferisce semplicemente ad un

64
A. VARONE, op. cit. p. 36 n. 62.
65
A. MAIURI, La Cena di Trimalchione di Petronio Arbitro: saggio, testo e commento, Napoli 1945, p. 230.

37
“uomo buono”. È tutta una questione di contesto e di tono, come conferma un
passaggio della corrispondenza di Cicerone, dove, dopo aver annunciato che continua
a scherzare (extra iocum) su Gneo Ottavio, l‟autore loda pienamente e senza ironia il
carattere morale di quest‟ultimo, definendolo un bellus homo (Fam. 7, 16, 2: Sed
mercules, extra iocum, homo bellus est). 67

 I.8: Osservazioni dei linguisti moderni sull’aggettivo bellus

Numerose sono anche le analisi condotte da diversi linguisti moderni, riguardo alle
diverse interpretazioni di bellus. Pierre Monteil, nella sua trattazione Beau et Laid en
Latin (Parigi, 1964), dedica un intero capitolo al lemma (pp. 221 – 240). Egli afferma
che questo aggettivo, appartenente al gruppo dei lemmi che costituiscono – come già
ricordato – il lessico “estetico” del latino, è uno dei più problematici.
Contrariamente a pulcher, esso ha lasciato delle tracce importanti nelle lingue
romanze. Mentre bonus fa esplicitamente allusione a una qualità fisica, e non sociale,
di un essere umano, il radicale *bel- può designare, in latino, l‟idea della bellezza.
Ma già in latino la situazione appare fortemente confusa: e le divergenze tra i dialetti
romanzi non fanno che riflettere ulteriormente questa confusione. Se l‟idea di
grandezza è poco attestata, l‟idea della bellezza non occupa che un posto modesto.

66
C. DEROUX, L’autoportrait du Tisserand Successus, amoureux d’Iris, serveuse de bistrot à Pompéi (CIL, IV, 8259 et
8258), in Latomus 63, 2004, pp. 615 – 630
67
C. DEROUX, L’autoportrait du Tisserand Successus, amoureux d’Iris…, op.cit., p. 38 n. 66.

38
Nessun altro termine, al di fuori di bellus, è atto ad illustrare diacronicamente
l‟inserimento di un nuovo vocabolo nel lessico estetico latino. 68

Carl Deroux, docente presso la Libera Università di Bruxelles, nel suo intervento
riguardo i graffiti pompeiani analizzati nel tomo IV del Corpus Inscriptionum
Latinarum sotto i numeri 8259 e 8258 (Latomus LXIII, 3, 2004; cfr. § I.6), afferma
che bellus si riferisce, all‟interno dei graffiti sopracitati, alla sfera morale e non fisica,
così come pravessimus (=probissimus). Alla sfera fisica si riferisce formonsiorem: e
dunque, alle qualità fisiche (formonsiorem) viene naturale aggiungere le qualità
morali (bellus e pravessimus [=probissimus]), senza tuttavia che le prime prevalgano
sulle seconde. Si noterà così che homo probissimus ed homo bellus si completano. Si
può essere un buon uomo (bonus) od onesto (probus o frugi bonae) senza avere
necessariamente in più alcuna bonomia e gentilezza tipiche del bellus homo, il
brav‟uomo. Al contrario, il bellus homo, può non essere pienamente bonus o probus.
Come osserva Monteil, la nozione di bellus homo “non costituisce mai una lode
totale”.69

Infine Brian Krostenko, professore associato presso la Chicago University, nella sua
trattazione Cicero, Catullus, and the Language of Social Performance (Chicago,
2001) – in cui viene condotto un esame di tipo linguistico particolare, intorno a quei
termini i cui mutamenti semantici vengono ad essere connessi strettamente con
cambiamenti di tipo storico e sociale, intervenuti a Roma tra il III e il II sec. a.C. - ,
mette in connessione bellus con bonus, essendone originariamente il diminutivo,

68
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p. 5 n.1.
69
C. DEROUX, op. cit. p. 38 n. 66.

39
come già ricordato. Rispetto a bonus, bellus ha un carattere soggettivo e tale
soggettività è in accordo proprio con la sua origine di diminutivo.
Bellus, oltre a essere riferito a figure o generi greci in Cicerone, come già menzionato
(cfr. I.4, pag. 10), è connesso altresì all‟abile arguzia. 7071

 I.9: Conclusioni

È difficile trovare, per bellus, un equivalente greco: komyéov, “raffinato”, }hdéuv,

“piacevole, bello”, e anche caréieiv, “affascinante” possono essere enumerati tra gli
ipotetici equivalenti, ma l‟ipotesi secondo cui bellus sia meccanicamente traducibile
con un termine preso in prestito dalla tradizione retorica greca, è inefficace. Si tratta,
in questo caso, di un distinto contributo romano al linguaggio della teoria retorica. 72

In conclusione, così integrato nel lessico estetico, bellus esprime necessariamente una
particolare sfumatura. Come diminutivo “di piccolezza”, designa la grazia inerente
agli esseri di piccola taglia. Come diminutivo “di modestia”, minimizza
intenzionalmente la beltà degli esseri adulti o di grande taglia. Esprime pertanto
l‟idea di una bellezza fiera, di un grado di beltà appena sufficiente perché si possa
parlare di bellezza. Questa sfumatura si ritrova, allo stesso modo, nel diminutivo di
piccolezza. Conviene, a riprova di ciò, opporre pulchellus, “una piccola meraviglia”,
e bellus, “un piccolo bell‟oggetto”, per cogliere la radicale differenza inerente.
Bellus, in effetti, nella gamma dei vocaboli che esprimono l‟idea di bellezza, occupa,

70
B. KROSTENKO, op. cit. p. 19 n. 35
71
F. FERACO, Recensione di B. Krostenko: Cicero, Catullus and the Language of Social Performance, in BStudLat 2002 32
(1), Napoli, pp. 141 - 145
72
B. KROSTENKO, Cicero, Catullus and the Language of Social Performance, op. cit. p. 19 n. 35.

40
al contrario di pulcher, una posizione estrema: esprimendo sia la bellezza di un
essere sottosviluppato, sia la bellezza sottosviluppata di un essere, esso si trova al
livello più basso della bellezza. Come afferma Pierre Monteil, bellus è il terminus a
quo, come pulcher è il terminus ad quem. È tra questi due estremi che si pongono
tutti gli altri termini. 73

73
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p. 5 n. 1.

41
II
Capitolo

42
II Capitolo

L’aggettivo bellus in Petronio: un’analisi del sermo del


Satyricon

 II.1. Breve introduzione alla figura di Petronio e al testo del


Satyricon

Una testimonianza sulla figura di un tale Petronio è data da Plinio il Vecchio: T.


Petronius consularis moriturus invidia Neronis, ut mensam eius exheredaret, trullam
myrrhinam HS CCC emptam fregit (Nat. Hist. 37,20)74. Lo scrittore racconta che un
Tito Petronio infranse, in punto di morte, una sua coppa preziosa, definita trullam
myrrhinam, per evitare che l‟imperatore potesse ereditarla. Un parallelo
terminologico è riscontrabile in un passo di Fulgenzio: unde et Petronius ad libidinis
concitamentum myrrhinum se poculum bibisse refert (Mith. 3,8). Lo scrittore ci
informa che un Petronio riferisce di aver bevuto una coppa di bevanda alla mirra.
Egli delinea la figura di un Petronio, che, durante il principato di Nerone, dimostrò
tutto il proprio disprezzo per il princeps, rompendo una coppa75.

Un proconsole inviato in Bitinia, poi console, anch‟egli di nome Petronio, compie


similmente un atto di ribellione contro Nerone, infrangendo l‟anello col sigillo: è il

74
Il testo è riportato secondo l’edizione C. Plini Secundi Naturalis Historiae Libri XXXVII. Post Ludovici Iani obitum,
recognovit et scripturae discrepantia adiecta, edidit Carolus Mayhoff. Vol. V. Libri XXXI – XXXVII. Lipsiae, in aedibus B.
G. Teubneri, 1897.

43
protagonista del ritratto delineato da Tacito in Ann. 16, 18-19, dove il suicidio del
personaggio è prova di un‟estrema raffinatezza. Petronio fu tra le vittime della
seconda ondata delle repressioni di Nerone (nel 66 d.C.), dopo la scoperta della
congiura ordita contro di lui da Calpurnio Pisone l‟anno precedente. Tacito, nel
descrivere la biografia di Petronio, inizia con un‟insistenza sul carattere neghittoso e
molle della sua vita, che fu però poi sconfessato dal modo in cui esercitò il
proconsolato in Bitinia, e successivamente il consolato a Roma. Esaurito il suo
mandato, egli ritornò alla dissolutezza, attirando a sé l‟interesse della corte di Nerone,
dove divenne sì elegantiae arbiter76, ma anche bersaglio dell‟invidia di Ofonio
Tigellino, prefetto del pretorio.77

Il suicidio di Petronio è prova della sua forza d‟animo: esso infatti viene attuato come
estrema manifestazione della propria libertà di non rimandare ulteriormente
l‟oscillazione tra speranza del condono e timore per la conferma della sentenza. Egli
sceglie di morire aprendo e richiudendo le vene, facendo in modo che la morte non
sia celere e che assomigli quanto più possibile a un evento casuale78. Dunque, la
sovrapponibilità dei due Petronii continua a sembrare la soluzione più vicina al
reale. 79

La prima identificazione dell‟autore del Satyricon con Petronio è dovuta allo


Scaligero, nel 1571, il quale cita i passi di Plinio il Vecchio e di Tacito, aggiungendo

75
Petronio Arbitro, Satyricon, a cura di V. CIAFFI, Torino 1951, pp. 88 – 107.
76
Tacito dimostra spesso una particolare ammirazione per l’elegantia, intesa come gusto equilibrato e raffinato, cfr.
Ann. 18: dein revolutus ad vitia seu vitiorum imitatione inter paucos familiarum Neroni adsumptus est, elegantiae
arbiter
77
Cfr. Ann. 18: unde invidia Tigellini quasi ad versus aemulum et scientia voluptatum potiorem; Petronio: Satyricon,
Introduzione, a cura di A. ARAGOSTI, Milano 1995, pp. 5 – 74.
78
Così dimostra Tacito, Ann. 16, 19, 3: iniit epulas, somno indulsit, ut quamquam coacta mors fortuitae similis esset..

44
un passo del De discrimine amici et adulatoris di Plutarco, in cui lo storico greco
riprende da Tacito la notizia del testamento di Petronio indirizzato a Nerone 80.
Riguardo all‟opera, il gran numero di forme con cui il titolo è tràdito, non consente
certezze, anche se oramai si è avvezzi a seguire l‟intitulatio dei codices recentiores
KSDGO che presentano la forma Satyricon81, mentre in B compare quella ibridizzata
Satiricon. In entrambi i casi, si tratta di un aggettivo neutro nella forma del genitivo
plurale greco, a cui è sottinteso il sostantivo libri; ma nel primo la radice è quella
greca di séaturov, che sta ad indicare una divinità del seguito dionisiaco, mentre nel
secondo quella latina di satura / satira, termine che non ha implicazioni né
etimologiche né contenutistiche con il greco séaturov.

L‟ambientazione di ciò che a noi rimane dell‟opera (parti del XIV e del XVI libro, e
l‟intero XV libro, dove è narrato l‟episodio della Cena Trimalchionis, divise in 141
capitoli) è totalmente italiota: si inizia in una graeca urbs (capp. 1 – 99) non
precisata, poiché l‟autore preferisce alludere ad una qualsiasi delle città marinare del
litorale campano. Si prosegue sul mare aperto a bordo della nave di Lica, diretta a
Taranto (capp. 100 – 115), e si conclude a Crotone (capp. 116 – 141), dove il
naufragio ha condotto fortunosamente Encolpio, Gitone ed Eumolpo.

La trama del Satyricon è costruita sullo schema degli assortimenti triangolari che
accomunano i protagonisti: essa è spesso caratterizzata da un‟ansia di smarrimento
negli spazi urbani o domestici (cfr. 73, 1). Gli interessi sentimentali e sessuali

79
Petronio: Satyricon, Introduzione…, a cura di A. ARAGOSTI, cit., p. 44 n. 77.
80
J. SULLIVAN, Il Satyricon di Petronio, Firenze 1977, pp. 13; ss. e passim
81
Titolo attestato dal grammatico Mario Vittorino, cfr. GLK VI, p. 153.

45
disillusi, l‟ammirazione per l‟arte e la poesia, la partecipazione ai dibattiti culturali,
sono sicuramente elementi di spicco del contenuto.
L‟analisi del contenuto e della forma fanno sì che il Satyricon sia ascritto a un genere
letterario, definito del romanzo prosimetro, inedito presso gli antichi, anche se risulta
anacronistico definirlo romanzo, essendo un genere assai più antico della sua
definizione, e del quale si ebbe un‟incerta consapevolezza letteraria e
terminologica82.

Le costanti formali del cosiddetto romanzo greco, definibili interamente in un


rapporto dinamico con alcuni temi dell‟{éepov, in particolare odissiaco, ritornano in
gran parte nel Satyricon sotto forma di parodia. Tema fondamentale del romanzo
greco è quello dell‟ira divina, che nel Satyricon diventa la gravitas ira Priapi (139, 2,
8), ovvero del fallico Priapo, che invece della separazione tra gli amanti, provoca
l‟impotenza di uno dei due. 83

L‟erotismo è in Petronio uno dei più significativi veicoli di comunicazione tra i


personaggi, e non di rado esso è esaltato nella sua essenza di forza principale del
flusso vitale.
Mutuato dal romanzo greco, ma in gran misura anche dal mimo letterario e dalla
palliata, è altresì il tema della fortuna, i cui corsi e ricorsi abbattono e sollevano
alternativamente i personaggi e il protagonista in particolare, con un ossessivo ritmo
persecutorio. Nel Satyricon, il tema della fortuna è un archetipo dell‟immaginario.

82
Petronio: Satyricon, a cura di A. ARAGOSTI, cit., p. 44 n. 77.

46
 II. 2. Tradizione testuale del Satyricon: un excursus

La realtà filologica del Satyricon ha continuato a essere, per lungo tempo, quella di
un insieme di excerpta, che qualcuno provvide a ritagliare dall‟opera completa,
rimasta confinata per molti secoli in una latitanza pressoché totale.

Nel IX Sec., il testo più ampio disponibile del Satyricon, ampiamente limitato, si
trovava custodito presumibilmente nello scriptorium di Auxerre: questo testo può
considerarsi l‟archetipo della successiva tradizione, indicato con la sigla w. I dati
desumibili da alcune testimonianze 84 portano a stabilire che w dovesse contenere, dei
16 libri attestati, il quattordicesimo, il quindicesimo e il sedicesimo. Attingendo a
questi ultimi, si arrivò a quattro scelte diverse, che costituiscono il testo superstite,
diviso nelle edizioni moderne – come già ricordato – in 141 capitoli. 85

Conoscenza di w doveva avere certamente chi provvide alla scelta dei cosiddetti
excerpta brevia (siglati O da Bücheler, ed. maior, Berlin 186286), operata nel corso
della prima metà del sec. IX, probabilmente ad Auxerre. Essi contengono 1-26,5; 55,
80,9-137,9.87

83
R. HEINZE, Petron und der Griechische Roman, in Hermes 34, 1899, p. 494 sgg.
84
Le quattro testimonianze sono: il cod. Paris. lat. 7975 di Fulgenzio, Mithol. 3,8, del sec. XI, contenente una glossa
che assegna il c. 20,7 al libro 14; il Glossarium S. Benedicti Furiacensis contenente una notazione di Heiric, che riporta
il c. 89, 1 al libro 15; una lettera del 28/5/1423 in cui Poggio Bracciolini informa l’amico Niccolò Niccoli di aver ricevuto
da Colonia una copia del libro XV di Petronio; la sezione del cod. Paris. Lat. 7989 (Traguriensis) contenente il testo O di
Petronio (=A), che presenta un’inscriptio e una subscriptio in cui il testo dei fragmenta è dichiarato estratto dai libri XV
e XVI. Cfr. Petronio, Satyricon…a cura di A. ARAGOSTI, cit., p. 44 n 77.
85
Petronio, Satyricon…, a cura di A. ARAGOSTI, cit., p. 44 n. 77.
86
Petronii Arbitri Satirarum Reliquiae ex Recensione Francisci Buecheleri (F. BÜCHELER), Berlin 1862.

47
I codici ascrivibili alla classe O sono88:
B Cod. Bernensis 357, sec. IX – X, una
volta Altissiodurensis.

R Cod. Parisinus lat. 6842 D

P Cod. Parisinus lat. 8049

A Testo O contenuto nel Cod. Parisinus


lat. 7989, meglio noto come H
(Traguriensis)

E Cod. Messanensis

F Cod. Vossianus lat. O. 81

K Cod. Vaticanus lat. 1671

Barb Cod. Barberinianus lat. 4

S Cod. Bellunensis Lollinianus 25

I Cod. 58 della Memorial Library of


University of Notre Dame, Indiana,
U.S.A.

M Cod. Monacensis 33713, contiene il


carmen de bello civili

87
Petronio, Satyricon, Introduzione…, a cura di A. ARAGOSTI, cit., p. 44 n. 77.
88
Petronius, Cena Trimalchionis: a new critical Edition by J. ÖBERG, Stockholm 1999, p. 38.

48
J Cod. Florentinus Laurentianus pl. 37,
25

Q Cod. Vaticanus Lat. 3403

G Cod. Guelferbytanus extrav. 299

D Cod. Florentinus Laurentianus pl. 47,


31

C Cod. Vaticanus Urbinas lat. 670

O Cod. Vindobonensis lat. 4755

V Cod. Vindobonensis 179

W Cod. Vindobonensis 3198

s Editio Sambuci, Vindobonae 1564.

Gli excerpta longa (siglati L da Bücheler89), realizzati verso gli ultimi decenni del
XII sec., contengono il testo 27-37,5, 55, 79-141, più sette sententiae (43,6; 44,17;
45,2; 55,3; 56,6; 59,2; 75,1) trascritte di seguito a 82,5. Il codice principale di detta
tradizione è L, ossia il Cod. Leidensis Q 61, del XVI secolo, a cui fanno seguito p
(Editio Pithoeana, Lut. Paris. 1577 et 1587), t (Editio Tornaesiana, Lugduni 1575),
m (Vaticanus lat. 11428). 90
Il manoscritto della Cena Trimalchionis è H (Cod. Parisinus lat. 7989, detto
Traguriensis), miscellaneo contenente i testi di Tibullo, Properzio, Catullo, l‟epistola

89
Petronii Arbitri Satirarum…, ex recensione Francisci Buecheleri, cit., p. 47 n. 86.
90
Petronio, Satyricon, Introduzione…, a cura di A. ARAGOSTI, cit.., p. 44 n. 77.

49
ovidiana di Saffo a Faone (Her. 15), il testo A di Petronio, la cena Trimalchionis
(=H), il Moretum di Virgilio; il resto delle pagine (233-250), originariamente
bianche, fu riempito nel „500 con la Phoenix di Claudiano (= carm. min. 27) e con i
versi adespoti Ad Leonem ebreum. Il codice possiede annotazioni dello scriba. 91

 II.3. Attestazioni e contesti d’utilizzo di bellus e belle in


Petronio

Bellus è sicuramente uno dei lemmi ricorrenti con maggiore frequenza all‟interno del
Satyricon: completamente banalizzato, si impone all‟interno dell‟opera con il
significato di “bello, grazioso” 92.
Tende a sostituire pulcher, nel linguaggio familiare e plebeo: in Petronio lo
ritroviamo 12 volte, di cui 4 come avverbio, contro le 6 ricorrenze di pulcher e le 6 di
formosus.

Nel linguaggio degli incolti, è attestato 9 volte (di cui tre come avverbio), contro un
solo pulcher, usato dal plebeo Nicerote, in 61, 6: pulcherrimum bacciballum. Si tratta
di un evidente contrasto di stile marcato ed espressivo, poiché tale uso raffinato è a
stretto contatto con il pesante volgarismo lessicale bacciballum, probabile

91
Petronio, Satyricon, Introduzione…, a cura di A. ARAGOSTI, cit., p. 44 n. 77.
92
I passi citati dal Satyricon fanno riferimento alle edizioni critiche curate da Pétrone, Le Satiricon, texte étabili et
traduit par A. ERNOUT, membre de l’Institut, neuvieme tirage revu et corrige, Paris 1962 per la collana Les Belles Lettres,
e da Petronii Arbitri Satyricon Reliquiae edidit K. MÜLLER, editio iterata correctior edizioni quartae (MCMXCV), Berolini
et novi Eboraci Walter de Gruyter MMIX, Leipzig 2009, per la Bibliotheca scriptorum graecorum et latinorum
Teubneriana. Le traduzioni di riferimento sono: Petronio, Satyricon, a cura di A. ARAGOSTI, Milano 1995; Petronio,
Satyricon, a cura di V. CIAFFI, Torino 1967; Petronio, Satiricon, a cura di P. CHIARA, Milano 1969.

50
combinazione di bacca e ballum (Nel Codex Traguriensis, Par. 7989, indicato con
H, non è chiaro93). Si tratta di un hapax estremamente corposo: allude alle rotondità
di Melissa, probabilmente proveniente da Taranto, moglie dell‟oste, di cui Nicerote si
è, appunto, innamorato. 94 Thomas Cutt riferisce a questo termine il valore “piccolo
millepiedi”95.

Di rimando, nel Satyricon i personaggi colti utilizzano di rado il vocabolo: 2 volte


l‟aggettivo bellus e una volta l‟avverbio belle. In 24,7 (Haec – inquit – belle cras in
promulside libidinis nostrae militabit, dove si riferisce all‟amenità dei sensi96) e in
25,1 (<<Ita, ita – inquit Quartilla, - bene admonuisti. Cur non, quia bellissima
occasio est, devirginatur Pannychis nostra?>>, mentre P ha bellissuma97). Avverbio
e aggettivo ricorrono nelle parole di Quartilla, personaggio basato su un tipo satirico,
98
ossia la donna ipocrita che cela la sessualità sotto la maschera della religione.
Il suo linguaggio costituisce un chiaro esempio di mimetismo, e la sua parlata assume
sfumature al limite del volgare.

In 25, 2 (Continuoque producta est puella satis bella et quae non plus quam septem
annos habere videbatur) dove bellus può riferirsi ipoteticamente alle dimensioni,
alludere alla grandezza99, e l‟aggettivo è pronunciato da Encolpio, in un tentativo di
emulazione del sermo di Quartilla. In questi casi, l‟aggettivo viene utilizzato sempre

93
Petronius, Cena Trimalchionis…, by by J. ÖBERG, cit., p. 48 n. 88.
94
G. SCHMELLING – A. SETAIOLI, A Commentary on the Satyrica of Petronius, Oxford 2011, p. 165.
95
Petronius: Cena Trimalchionis, Edited with Notes by the late T. CUTT. Introduction to the Revised Edition by Jacob E.
Nyenhuis, Detroit 1970, p. 86.
96
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit., p. 5 n. 1.
97
Petronii Arbitri Satirarum…, ex recensione Francisi Bucheleri, cit., p. 47 n. 86.
98
J. SULLIVAN, Il Satyricon di Petronio…, op. cit., p. 45 n. 80.
99
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p. 5 n. 1.

51
in un contesto particolare, ossia l‟orgia in casa di Quartilla, e in particolare
nell‟episodio della deflorazione di Pannychis, una giovane schiava di sette anni. 100
Bellus, dunque, è una delle tante forme intensive della lingua popolare,
particolarmente al fine di coniare nuove espressioni101.

Le occorrenze del lemma nel sermo plebeius sono attestate all‟interno dell‟episodio
della Cena Trimalchionis (15, 26 – 78). Luogo di particolare interesse è Sat. 42,3
(Homo bellus, tam bonus Chrysanthus, animam ebullit) dove Seleuco, commensale
alla cena di Trimalchione, parla dell‟inopportunità dei bagni, poi del funerale di un
conoscente, Crisanto, di cui tesse le lodi102.

I diversi commenti attribuiscono all‟aggettivo il comune significato di urbanus,


festivus, e intendono il nesso homo bellus nel senso di “bravo ragazzo” (Ernout103 e
Heseltine104) o “bell‟uomo” (Friedländer 105 e K. Müller – W. Ehlers106), o “un uomo
ammodo” (J. Sullivan107).

Tristano Bolelli, invece, avanza l‟ipotesi secondo cui bellus stia qui a significare
“sano, in buona salute” (cfr. Cicerone, Fam. 15, 18: Fac bellus revertare). Dal testo
si evince che Crisanto, prima di morire, è stato a dieta per cinque giorni: Et quid si
non abstinax fuisset! Quinque dies aquam in os suum non coniecit, non micam panis.

100
A. DELL’ERA, Problemi di lingua e stile in Petronio, Roma 1970, pp.34; 60; 148.
101
Il Satyricon di Petronio: introduzione, edizione critica e commento di C. PELLEGRINO, Roma 1975, p. 243.
102
Gli antichi dicevano proverbialmente homo bulla est, cfr. Scholia ad Persum, 2, 10.
103
Pétrone, Le Satiricon, texte établi et traduit par A. ERNOUT, in Les belles lettres, Paris 1958, p. 41.
104
Satyricon: with an English translation by M. HELSELTINE. Revised by E. H. WARMINGTON, in The Loeb Classical Library,
Harvard 1969.
105
Petronii Cena Trimalchionis, mit Deutscher übersetzung und erklärenden anmerkungen von L. FRIEDLAENDER, zweite
neu bearbeitete und vermehrte auflage, Amsterdam 1960, p. 251.
106
Petronius, Satyrica. Schelmengeschichten, lateinisch-deutsch von K. MÜLLER und W. EHLERS, München 1965, p. 35.

52
Tamen abiit ad plures. (Sat. 42, 5). Dunque Crisanto sta male cinque giorni: bellus
potrebbe indicare che prima era in buona salute, ossia: “un uomo che pure era in
buona salute, tanto buono come Crisanto, ha reso l‟anima”. Se si fosse trattato di una
malattia lunga, Seleuco non discorrerebbe tanto sulla precarietà della vita: egli pare
messo di fronte a un evento del tutto inatteso. 108

Amedeo Maiuri, invece, afferma che bellus, corretto e integrato da bonus, pur nel
significato che qui ha di “piacevole, faceto, garbato”, appartiene come suavis e
suaviter a quelle parole di ambiguo valore per le quali era facile confondere il
significato onesto con quello, licenzioso od erotico, di “effeminato”. L‟uso di bellus
in Plauto, Cicerone, Catullo, Petronio e Marziale, non varrebbe a giustificare il
predominio che il vocabolo assumerà nelle lingue romanze a scapito del decaduto
pulcher, se l‟uso non trovasse piena rispondenza nel latino volgare, e non avessimo
anche in ciò perfetto riscontro tra il sermo di alcune parti del Satyricon o il sermo
plebeius dei graffiti pompeiani, dove bellus, nel gergo degli scurrae della strada,
assume un significato ambiguo e spesso apertamente erotico (cfr. § I. 6).

Riavvicinando espressioni e situazioni della lingua di Petronio e della lingua dei


graffiti, appare chiaro che l‟uso di bellus, diversamente che in Catullo, Cicerone e
Marziale, non deriva in Petronio da prestiti di forme di linguaggio parlato nella
lingua letteraria, ma è naturale modo di espressione, è già sermo plebeius109.

107
J. SULLIVAN, Il Satyricon di Petronio..., op.cit., p. 45 n. 80.
108
T. BOLELLI, Nota a Sat. 42, 1, in RIC 119, 1991, p.446.
109
A. MAIURI, La Cena di Trimalchione di Petronio Arbitro…., op. cit., p. 37 n. 65.

53
In quest‟attestazione, Stefenelli ha voluto vedere un gioco etimologico in bellus tam
bonus, ipotesi però difficilmente giustificabile. 110

Altri studiosi che commentano il passo, insistono su bellus come diminutivo e


sfumatura propria del linguaggio popolare 111. Secondo Monteil, bellus homo starebbe
ad indicare un “buon uomo”, il quale non è mai presentato sullo stesso piano di un vir
bonus o di un vir optimus 112.

In Sat. 46, Echione tesse le lodi del proprio figlio e parla del futuro che sogna per lui.
Qui ricorre l‟avverbio: belle erit, etiam si omnia hoc anno tempestas dispare pallvit:
inveniemus ergo unde saturi fiamus (Sat. 46, 2). Anche qui belle si riferisce
all‟amenità dei sensi, creando un locus parallelo con 24, 7 (belle cras in promulside
libidinis nostrae militabit)113.

Enzo V. Marmorale, a riguardo, afferma che l‟uso predicativo dell‟avverbio, in luogo


di una regolare presenza dell‟aggettivo, fornisce il vero colore alla lingua comune
(già noto ai comici e a Cic. Att. 1, 7, 1: apud matrem recte est; Q. fr. 3, 1, 1; Att. 4, 6,
2, etc.), e qualche volta s‟impreziosisce fino a raggiungere costruzioni logiche (ad
esempio, pessime mihi erat ne…)114. Friedländer, citando questa ricorrenza come
esempio di avverbio con il verbo ausiliare, pone come locus parallelus l‟aeque est di

110
Petronii Cena Trimalchionis edited by M. S. SMITH, Oxford 1975, p.99; A. STEFENELLI, Die Volkssprache im Werk des
Petron im Hinblick auf die romanischen Sprachen, Vienna 1962, p. 70.
111
Il Satyricon di Petronio…commento di CARLO PELLEGRINO,. cit., p. 52 n. 101; G. SCHMELLING – A. SETAIOLI, A Commentary
on the Satyrica of Petronius, op. cit., p. 51 n. 94.
112
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p. 5 n. 1
113
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p. 5 n. 1
114
Cena Trimalchionis Petronii Arbitri a cura di E. V. MARMORALE, Firenze 1936, p. 68.

54
Sat. 42, 7115. Infine, Schmelling sostiene che tale uso appartiene al parlato
colloquiale, ma si può trovare anche nella poesia elevata (cfr. Hor. C. 3, 16, 43 – 44:
bene est cui deus obtulit / parca quod satis est manu; Ovid., F. 4, 399: bene erat iam
glande reperta)116.

L‟avverbio ricorre altresì in Sat. 51, 4 (deinde martiolum de sinu protulit et phialam
otio belle correxit), dove Trimalchione racconta l‟aneddoto di un presunto inventore
del vetro infrangibile, al quale l‟imperatore, verosimilmente Tiberio, come attestano
Plinio117 e Cassio Dione 118, aveva fatto tagliare la testa per evitare che il nuovo
materiale deprezzasse il valore dell‟oro. Belle appare in funzione accrescitiva, come
spesso nella lingua d‟uso (cfr. Sat. 46, 2, ma anche Marco Cornelio Frontone, Ad M.
Caes., 4, 13, p. 75: sed tamen negotium belle se dedit)119, e vale “abbastanza”.
L‟avverbio non rivela più alcun valore “modesto”, e la sua preferenza rispetto a bene
appare come un semplice tratto della lingua familiare. Il significato lo avvicina
maggiormente ad un intensivo120.

L‟epiteto acquisisce una connotazione particolarmente dispregiativa in Sat. 57, 3


(Bellum pomum, qui rideatur alios; largifura nescio quis, nocturnus, qui non valet

115
Petronii Cena Trimalchionis…, von L. FRIEDLAENDER, cit., p. 52 n. 105.
116
G. SCHMELLING – A. SETAIOLI, A Commentary on the Satyrica of Petronius, op. cit., p. 51 n. 94.
117
Nat. Hist., 36,195: “Ferunt Tiberio principe excogitato vitri temperamento, ut flexile esset, totam officinam artificis
eius abolitam, ne aeris, argenti, auri metallis pretia detraherentur, eaque fama crebior diu quam certior fuit”. Il testo è
second l’edizione C. Plini Secundi Naturalis Historiae Libri XXXVII. Post Ludovici Iani obitum, recognovit et scripturae
discrepantia adiecta, edidit Carolus Mayhoff. Vol. V. Libri XXXI – XXXVII. Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri, 1897.
118
57,21: “Metéa dée tauta proselqéontov o|i autou kaéi |iketeéian poiouméenou, ké|an toéut§ potéhriéon ti |ualoun
katabaléontov te |exepéithdev kaéi qlasqéen pwv è|h suntribéen taiv te cerséi diatréiyantov kaéi |éaqrauston
paracrhma |apoféhnantov, |wv kaéi suggnéwmhv diéa touto teuxoméenou, kaéi |apéekteinen a|utéon“. Il testo fa
riferimento all’edizione Cassii Dionis Cocceiani Historiarum Romanarum quae supersunt, I-V, Berolini, Weidemann
1895 – 1831.
119
Cena Trimalchionis Petronii Arbitri…, a cura di E. V. MARMORALE, cit., p. 54 n. 114.
120
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p. 5 n. 1

55
lotium suum). Ascilto, divertito dalle trovate grossolane della cena, scoppia in una
fragorosa risata, e così Ermerote, uno dei commensali, lo redarguisce con asprezza.
Bellum pomum è espressione ironica, di tono beffardo e ingiurioso, funzionale ad
indispettire e propria della lingua dell‟uso, così come i termini largifura,
“vagabondo”, e nocturnus, “ladro notturno”.121 L‟espressione potrebbe anche avere
una valenza oscena 122.

Secondo Pellegrino, si tratta di un‟espressione proverbiale che fonda sull‟identità di


colore – il rosso – tra la mela e il corallo; rilevabile è il trattamento dei neutri come
maschili123. Friedländer aggiunge che il sostantivo pomum non ha nulla a che vedere
con il nostro “frutto” 124, mentre Monteil lo interpreta come connotativo della bontà di
un piatto, ponendo come locus parallelo 68, 2: si quid belli habes, affer 125. Thomas
Cutt insiste sul valore di frutto, traducendo l‟espressione con una sfumatura
sarcastica: “che zucca” 126. Ciarallo – De Carolis interpretano il nesso come
equivalente di “bel tipo”127. E‟ stato avanzato un parallelo con un passo di Apuleio,
metam. 5, 28, 9 – facente parte della sezione della favola di Amore e Psiche -, in cui
Venere, rivolgendosi al figlio Cupido, afferma che illud incrementum lenam me
putavit. Accostamento poco convincente, secondo Ciaffi, in materia di ingiurie. In
Ermerote c‟è più derisione che rabbia, con pomum, che non ha nulla a che vedere con
incrementum, poiché, in Apuleio, Venere di partenza non sorride, ma il suo
incrementum, cui c‟è da sottintendere un mei (cfr. Verg. Buc. 4, 49: cara deum

121
Cena Trimalchionis Petronii Arbitri…, a cura di E. V. MARMORALE, cit., p. 54 n. 114.
122
Petronio Arbitro, Satiricon…, a cura di V. CIAFFI, cit., p. 44 n. 75.
123
Il Satyricon di Petronio…, commento a cura di C. PELLEGRINO, cit., p. 52 n. 101.
124
Petronii Cena Trimalchionis…, von L. FRIEDLAENDER, cit., p. 52 n. 105.
125
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p. 5 n. 1.
126
Petronius: Cena Trimalchionis…, by T. CUTT, cit., p. 51 n. 95.
127
A. CIARALLO / E. DE CAROLIS, Petronio Arbitro, La Cena di Trimalchione, Roma 2012, p. 57.

56
suboles, magnum Iovis incrementum), o un viri (cfr. Curt. 5, 1, 42: ceterum quo
minus damnum sentirent, identidem incremento renovabatur), tradisce il complesso
più segreto e doloroso della dea, quello del figlio che per lei sta sempre “crescendo” e
non dovrebbe mai diventare adulto. 128

Il lemma è attestato due volte in Sat. 58, 12. Ermerote rivolge il suo sfogo anche
contro Gitone, che ride a sua volta: Vah, bella res est volpis uda (“una bella cosa”,
con valore ironico, ma non sempre così129: cfr. Phaedr. App. 12,3: bella res, sed
mehercules male cessit, artis quia sum nescius; Sen. Epist. 69,6: bella res est mori
sua morte) e bella res et iste qui te haec docet, mufrius, non magister (Sat. 58, 13).
La ripetizione di bellus da parte di Ermerote, testimonia una sua particolare affezione
ad alcune espressioni (cfr. 57, 2: tu enim beatior es; 57,9: tu beatior es130).
Il vah di Ermerote è un‟interiezione con valore di derisione per lo scoraggiamento
che trapela dagli occhi di Gitone 131. Volpis uda, invece, è detto di chi resta confuso
sotto meritati rimproveri132: evidentemente v‟è un riferimento ad una favola che non
conosciamo, in cui la malizia della volpe veniva castigata con un bagno
involontario. 133

In Sat. 64, 2, dove Trimalchione si trastulla con il proprio amasio, Creso, ricorre
nuovamente la forma avverbiale: canturire belle deverbia, adicere melicam, dove
belle conferisce alla frase il valore di “fare un bel lavoro di recitazione dei

128
V. CIAFFI, Petronio in Apuleio, Torino 1960, p. 130.
129
M. S. SMITH, Petronii Cena Trimalchionis…, op.cit., p. 54 n. 110.
130
M. COCCIA, Le interpolazioni in Petronio, Roma 1973, p. 40.
131
Petronius: Cena Trimalchionis… by T. CUTT, op. cit., p. 51 n. 95.
132
Petronii Cena Trimalchionis con studii illustrativi e note di P. FOSSATARO , libero docente di Letteratura latina
nell’Università di Napoli, Napoli 1912, p. 115.
133
A. MAIURI, La Cena di Trimalchione di Petronio Arbitro: saggio, testo e commento, op. cit., p. 37 n. 65.

57
deverbia”134. Canturire è un desiderativo popolare uguale al verbo radicale 135: la
lezione del codex Traguriensis (H, Parisinus 7989), che il Bücheler non segue, è una
preziosa testimonianza sui recitativi (deverbia) con accompagnamento di musica
della commedia palliata. Il verbo, con significato di canticchiare a bassa voce,
esprime, con termine appropriato, il tono di un recitativo accompagnato o interpunto
da una frase melodica; e melicam sta per canto lirico a solo a voce spiegata,
equivalente quindi a canticum contrapposto a deverbia136.

L‟aggettivo è pronunciato da Trimalchione in Sat. 68, 2 (<sed> si quid belli habes,


affer), quando, mentre si attendono le seconde mense, i servi spargono sul pavimento
segatura mista di minio, zafferano e talco (<sed> è un‟aggiunta del Bücheler, mentre
H lo omette137). Quid belli può avere sia valenza di “qualcosa di bello” (cfr. Sat. 78,5:
dicite aliquid belli), sia indicare le secundae mensae, una sorta di dessert, in cui con
vino e frutta venivano servite ghiottonerie varie 138 (cfr. Ter. AD. 590: nam iam adibo
atque unum quicquid quod quidem erit bellissimum 139; Donato su Ter. AD. 590:
proprie “bellissimum” dixit, unde et huius modi ad irritandam gulam cibi bellaria
dicuntur; Gellio, 13, 11, 17: quod Varro hoc in loco dixit “bellaria” […] significat id
vocabulum omne mensae secundae genus).140

In Sat. 70, 2, è attestato il nesso nomen bellissimum (et ideo ingenio meo impositum
est illi nomen bellissimum; nam Daedalus vocatur) in riferimento al cuoco di

134
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p. 5 n. 1.
135
Petronii Cena Trimalchionis …, a cura di P. FOSSATARO, cit., p. 57 n. 132.
136
A. MAIURI, La Cena di Trimalchione di Petronio Arbitro: saggio, testo e commento, op. cit., p. 37 n. 65.
137
Petronius, Cena Trimalchionis…, by J. ÖBERG, cit., p. 48 n. 88.
138
G. G. GAMBA, Petronio Arbitro e i cristiani: ipotesi per una lettura contestuale del Satyricon, Roma 1998.
139
“A questo punto, mi faccio i fatti miei: entro in casa, mi pappo i bocconcini migliori”. Terenzio, Adelphoe /
Heautontimoroumenos, traduzione a cura di L. PIAZZI, Milano 2006, p. 68.

58
Trimalchione. Dedalo è nome proprio di molti altri artisti, ampiamente attestato (cfr.
Apul. Florid. 1, 9: hominem – tot utensilium peritia Daedalum; Apoll. Sidon. Epp. 3,
13, 10: hoc fabricatu Daedalus noster amicitiarum culmen aedificat; Otto Spr.:
Daedalus).141 Dunque Trimalchione dimostra di conoscere il Dedalo grande artista
del mito, le cui creazioni simulavano perfettamente l‟incanto della vita, inafferrabile
e carica di suggerimenti misteriosi. Esse però erano costruite sull‟inganno, e sotto lo
splendore che le faceva sembrare vive, nascondevano la morte per chi ne restava
abbagliato senza conoscerne gli artifici. Tale dualismo è caratteristico anche del pasto
di Trimalchione. Il cuoco della cena, così come presentato dal liberto, usa le
medesime tecniche dell‟artista leggendario: scompone i pasti in parti, le trasforma
variamente, con esse costruisce una vita falsa. Non può esservi dunque un uomo più
prezioso di lui, chiamato “con un gran bel nome” (nomen bellissimum).142

L‟aggettivo presenta una sfumatura particolare in Sat. 78, 5, quando Trimalchione, al


limite dell‟ebbrezza, chiede che venga emulato il suo banchetto funebre: <<fingite
me,>> inquit <<mortuum esse, dicite aliquid belli>>. Consonuere cornic<in>es
funebri strepitu (l‟ed. Patavina riporta cornicines, mentre H presenta la lezione
cornicipes143). Il liberto non si rivolge ai convitati e alla servitù, da cui è stato già
lodato (Sat. 71, 4) e pianto (Sat. 72, 1), dandogli quindi l‟immagine della
conclamatio e della laudatio: si rivolge invece ai cornicines, perché gli facciano
sentire la bella musica preparata per i suoi funerali. E difatti dicere ha qui il
significato di canere, con cui soleva scambiarsi (cfr. Apul. met. 6, 24: ad fistulam

140
G. SCHMELLING – A. SETAIOLI, A Commentary on the Satyrica of Petronius, op. cit., p. 51 n. 94.
141
Petronii Cena Trimalchionis…, von K. MÜLLER und W. EHLERS, cit., p. 52 n. 106.
142
E. RATTI, L’età di Nerone e la storia di Roma nell’opera di Petronio, Bologna 1971.
143
Petronius, Cena Trimalchionis…, by J. ÖBERG, cit., p. 48 n. 88.

59
dicere)144145. Trimalchione vuole la finzione perfetta: ma più della conclamatio, che
aveva già avuto luogo alla lettura del testamento, desidera la laudatio (dicite aliquid
belli), o la musica funebre. 146 La presente richiesta ai suonatori di corno (cornicines),
dunque, è dovuta al fatto che dicere e canere sono stati utilizzati promiscuamente
(cfr. V. Elagab. 32,8: ad tibias dixit [= tibiis cecinit], tuba cecinit; Hygin. Munit.
Castr. c. 20: ubi munera legionum dicuntur; c. 21: si castra longiora fuerint, classica
dicentur)147. Per la situazione e la terminologia qui utilizzata, cfr. Svet., Nero, 9, 1:
Orsus hinc a pietatis ostentazione Claudium apparatissimo funere elatum laudavit et
consecravit, e ancora Tac. Ann., 13, 3, 1: Die funeris laudationem eius princeps
exorsus est, dum antiquitatem generis, consulatus ac triumphos maiorem
enumerabat, intentus ipse et ceteri […]148. Degno di nota è l‟atteggiamento di
distacco critico che Encolpio tiene nel suo resoconto, in cui non mancano ironie e
punte sarcastiche riguardo alla volgarità di Trimalchione 149.

Oltre alle ricorrenze nel Satyricon, bellus appare altresì in uno dei frammenti
attribuiti a Petronio, e precisamente nel Frgt. 53: Non est forma satis, nec quae vult
bella videri / debet vulgari more placere sibi150. L‟aggettivo, in questo caso, fa parte
del lessico galante: bella videri sta per “riuscire in un‟opera di seduzione” 151. I versi
di detto frammento, sono forse da attribuire alla figura di Circe. Il Bücheler 152
afferma: “qualcuno può aver composto questi versi, ammaestrato sulla lezione delle

144
Petronii Cena Trimalchionis …, a cura di PAOLO FOSSATARO , cit., p. 57 n. 132.
145
Cena Trimalchionis Petronii Arbitri…, a cura di E. V. MARMORALE, cit., p. 54 n. 114.
146
A. MAIURI, La Cena di Trimalchione di Petronio Arbitro: saggio, testo e commento, op. cit., p. 37 n. 65.
147
L. FRIEDLÄNDER, Petronii Cena Trimalchionis…, op.cit., p. 52 n. 105
148
G. G. GAMBA, Petronio Arbitro e i cristiani…, op. cit., p. 58 n. 138.
149
G. B. CONTE, L’autore nascosto: Un’interpretazione del <<Satyricon>>, Bologna 1997, p. 130.
150
Il testo fa riferimento all’edizione curata da K. MÜLLER per la Bibliotheca Teubneriana scriptorum graecorum et
latinorum, Leipzig 1995.
151
P. MONTEIL, Beau et Laid en Latin, op. cit. p. 5 n. 1.

60
satire di Petronio, e sulla narrazione di Circe e Polieno”. Secondo Paratore, se il
brano fosse realmente di Petronio, sarebbe giudicato di gran lunga superiore a tutti gli
altri estratti poetici della cui autenticità si è finora sicuri, poiché l‟intero episodio di
Circe e Polieno, ove il frammento andrebbe con tutta probabilità inserito, è per
eleganza di immagini e di espressioni, il culmine di tutta la letteratura erotica
romana.153

152
Petronii Arbitri Satirarum… ex recensione Francisci Buecheleri, cit., p. 47 n. 86.
153
E. PARATORE, Il Satyricon di Petronio, Firenze 1933, p. 120; p. 129.

61
Bibliografia

62
Bibliografia

- EDIZIONI DI LIVIO ANDRONICO, PLAUTO, TERENZIO, CICERONE,


CATULLO, MARZIALE, CASSIO DIONE E PLINIO IL VECCHIO

Ausgewählte komödien des T. M. Plautus, erklärt von J. BRIX, Leipzig 1870

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Ringraziamenti

Al termine di questo lavoro, e di questo percorso triennale, è doveroso che io porga dei
brevi ringraziamenti.
Un grazie in primis alla Prof.ssa Eugenia Mastellone, che mi ha iniziato allo studio
approfondito della lingua e della Letteratura latina, e guidato nella ricerca e nella
compilazione di questo studio, fornendomi delle validi motivazioni ed elementi da
utilizzare in un futuro ambito lavorativo, e non solo.
Un grazie al Prof. Enrico Maria Ariemma, per il supporto concessomi quale
correlatore della tesi, e un grazie soprattutto a tutti i docenti e i ricercatori del
Dipartimento di Scienze dell‟Antichità dell‟Università degli Studi di Salerno.
Un grazie ai miei genitori, Gerardo e Anna Carmela, ai miei nonni Pasquale,
Pasqualina, Ciro e Michelina, e a tutta la mia famiglia, che in questi anni ha sostenuto,
economicamente e moralmente, i miei studi, dandomi la forza e lo sprono giusti per
proseguire, sempre e comunque.
Un grazie a quei docenti che nel corso degli anni mi hanno consigliato e hanno
accresciuto in me l‟amore per la conoscenza, in particolar modo per le dottrine
umanistiche: la maestra Raffaela Squillante, i professori Mario De Caro, Rossano
Barrella, Filomena Rossi, Angelamaria Fiorillo, Carlo Manzione, Emilia Pierro,
Liberato Scannapieco, Angela d‟Ambrosio, Marta Rinaldi, Fernando La Greca,
Federico Sanguineti.
Un sentito grazie ai miei amici di sempre che mi hanno dato i consigli giusti nei
momenti giusti: Carmine C., Paolo, Fabrizio, Federica, Vincenzo, Alessandro,

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Sebastiano, Francesco F., Francesco C., Francesco R., Mario, Angelo, Katia,
Giovanni, Pasquale, Carmine L., Vincenzo M., Alfredo, Martina, Teresa, Maria
Chiara, Fulvio, Antonella, Tiziano.
Grazie anche a Michela e Carmela, con cui ho condiviso, oltre che il percorso
triennale, soprattutto il lavoro di prova finale nel medesimo ambito, dandoci man forte
a vicenda.
Infine, un grazie va alla prof.ssa Fortunata Trapanese, docente di storia dell‟arte presso
il Liceo Classico “E. Perito” di Eboli (SA), scomparsa nell‟ottobre 2012, magistra di
lettere e di vita, a cui va tutta la mia profonda riconoscenza, e a cui dedico questo
lavoro: “La cultura è ciò che rimane quando si è dimenticato tutto: essa non insegna
niente, se non il senso della vita”.

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Testo per la
prova in lingua
straniera

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