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Apicoltura

Specie api! 2

Morfologia Ape! 13

Sviluppo preimmaginale! 39

Feromoni! 43

Danza delle api! 45

Sviluppo Famiglia! 48

Storia apicoltura.! 53

Arnie! 56

Attrezzatura! 58

Conduzione Alveari! 65

Allevamento regine! 72

Servizio di impollinazione delle colture! 85

Malattie delle api! 91

Altri parassiti della api! 108

Miele! 117

Polline! 136

La Propoli! 138

La Cera! 142

La pappa reale! 143

Veleno! 145

Legislazione! 147

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Specie api
L’uomo ha sempre usato il miele come cibo e nella preistoria i “cacciatori di api” predavano
gli alveari per prenderne il miele; ancora oggi, nei paesi asiatici, alcuni clan familiari vivono
praticando la caccia alle api, utilizzando sistemi del tutto analoghi a quelli dei nostri
antenati. In alcuni paesi africani, invece, l’apicoltura è praticata ancora con metodi
tradizionali.
La classificazione tassonomica consente di evidenziare l’attuale collocazione sistematica
del genere Apis:

Regno Animalia

Philum Arthropoda

Classe Insecta 800.000 specie in 32 ordini

Ordine Hymenoptera Oltre 100.000 specie con caratteristiche salienti:


metamorfosi completa nello stadio pupale; due paia di ali
membranose; partenogenesi frequente; apparato boccale di
tipo masticatore lambente.

Sottordine Apocrita Adulti con torace e addome nettamente separati da un


peduncolo; larve vermiformi.

Sezione Aculeata Nelle femmine l’ovopositore si è trasformato in aculeo. Larve


apode.

Superfamiglia Apoidea 20.000 specie circa, raggruppate in 700 generi circa;


comprende le “api” in senso lato, a comportamento da
solitario a sociale. Si nutrono di nettare e polline. Tutti insetti
utili per l’impollinazione

Famiglia Apidae Api a ligula lunga, a nidificazione variabile. Comprende api


mellifere, melipone, bombi.

Sottofamiglia Apinae Api mellifere , tutte sociali, produttrici di cera.

Genere Apis Massimo livello di organizzazione sociale tra gli apoidei.


Colonie permanenti che si moltiplicano per sciamatura.

Specie A. mellifera

A. andreniformis

A. cerana

A. dorsata

A. flore

A. koschevnikovi

A. nigrocincta

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Sulla base delle modalità di nidificazione, si possono distinguere le specie di Apis in due
gruppi:

1) specie che nidificano all’aperto su un unico favo:


a) dorsata Le api che nidificano all’aperto sono
diffuse solo nelle regioni tropicali e in
b) florea piccola parte nelle sub-tropicali.
c) andreniformis
2) specie che nidificano all’interno di cavità, costruendo più favi per colonia:

a) mellifera Tra quelle che nidificano in cavità


solo A. mellifera e A. cerana si sono
b) cerana diffuse a nord oltre il 30° parallelo,
c) koschevnikovi sviluppando caratteristiche di
adattamento al clima (vomere che
d) nigrocincta riscalda il nido).

Per quanto riguarda l’adattamento ecologico, si trovano due tipi comportamentali:

- Tipo “tropicale”: colonie a condotta migratoria; elevato tasso di riproduzione; scarsa


tendenza all’accumulo di scorte; pronunciato
comportamento difensivo;

- Tipo “temperato”: colonie a condotta


stazionaria; basso tasso di riproduzione;
elevata tendenza all’accumulo di scorte;
comportamento difensivo debole o moderato.

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Le specie asiatiche
A. florea (Fabricius, 1787)
- È conosciuta come “ape nana”
- Vive generalmente al di sotto dei 500 m sul livello
del mare ma può arrivare a 1.900 m s.l.m. durante
le migrazioni stagionali estive.
- 18.000 individui/kg
- I loro nidi sono costituiti da favi singoli,
mediamente non più grandi del palmo di una
mano.
- Le colonie sono costituite da circa 6.000- 7.000 operaie, con punte superiori a 20.000.
- Il favo di A. florea presenta una struttura particolare: normalmente avvolge un ramo ed è
costituito da una lamina inferiore verticale, mentre
superiormente le celle sono particolarmente profonde e
disposte a raggiera attorno al supporto.
- La sommità del nido costituisce una sorta di piattaforma
orizzontale sulla quale le api compiono la danza dell’addome
- Le colonie costruiscono i nidi all’interno di fitti cespugli, oppure
appesi a piccoli alberi, a volte a pareti rocciose o a muri.
- Il diametro delle cellette da operaia e da fuco misurano rispettivamente: 2,9 e 4,6 mm.
- Ha sviluppato efficaci meccanismi di raffreddamento del nido che le consentono di
sopravvivere in regioni a clima molto caldo e secco (Asia sud-orientale, Golfo Persico),
arrivando a tollerare temperature di 50°C; non è in grado di superare il 30° parallelo.
- Il tasso riproduttivo molto elevato è finalizzato esclusivamente alla sciamatura.
- Ape molto docile, tende ad abbandonare il nido piuttosto che difenderlo.

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Le specie asiatiche
A. andreniformis (Smith, 1858)
- Simile ad A. florea dai punti di vista morfologico, biologico ed ecologico; costruisce
nidi all’aperto di un solo favo, con la medesima struttura, a circa 3 m dal suolo.
- Le colonie producono circa 0,5 kg di miele 2-3 volte l’anno.

- Diffusa nell’Asia tropicale: India, Penisola


dell’Indocina, Malaysia, Sumatra, Giava,
Borneo, Isola di Palawan nelle Filippine.
- Le differenze maggiori rispetto ad A. florea
consistono in:

- operaie più piccole e con maggiore quantità di pigmento


nero sui tergiti addominali, scutello tendente al giallo.
- endofallo con caratteristiche diverse;
- orario voli di accoppiamento sfalsato;

Le specie asiatiche
A. dorsata (Fabricius, 1793)
- Detta ape gigante, con operaie lunghe 16 mm.
- Esistono tre sottospecie:
a) A. d. laboriosa,
b) A. d. binghami (isola di Sulawesi)
c) A. d. breviligula (Filippine).

- Si trova in Asia sud-orientale


(Filippine, India, Indonesia, Nepal,
Malesia, Sri Lanka, penisola dell’Indocina, paesi a sud dell’Himalaia)
- Corpo di colore giallo con tergiti 2 e 3 bruno-rossicci; peluria color ruggine sul corpo; ali
con sfumatura nerastra;

- 6.500 individui/kg
- Colonie di grosse dimensioni composte da
circa 5.000 - 70.000 individui.
- I favi di forma semicircolare o cuneiforme
possono superare il metro quadrato di
superficie e raggiungere i 20 kg di peso; le
cellette di operaie e maschi, di grandezza uguale, hanno Ø di 5,35 - 5,64 mm, le cellette
da covata sono profonde 16 mm.

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- Le colonie di A. dorsata compiono migrazioni stagionali, anche di 150-200 km, in base ai
ritmi climatici, anche con spostamenti di quota (1.700 - 2.000 m s.l.m.).

- Ape molto aggressiva che si difende con repentini attacchi in massa


di lunga durata e a grandi distanze dal nido.
- Le colonie costruiscono i nidi all’aperto, di un solo favo, appesi a rami
di alberi oppure a costoni di roccia. È frequente l’aggregazione di
numerose colonie.

- Il glomere è composto da una cortina formata dall’80-90% delle api


della famiglia, che si dispongono in 3-6 strati con funzione protettiva, e
dalle api a contatto del favo addette alla covata e alla costruzione del
nido.

Le specie asiatiche
A. d. laboriosa (Smith, 1871)
- Detta ape gigante dell’Himalaia.
- Vive a quote elevate (1.200 - 3.500 m
s.l.m.) nell’area montuosa che si
estende dall’India settentrionale fino al
confine con il Laos.
- Sono le api oggetto di predazione da
parte delle popolazioni locali, che
arrampicandosi su lunghe scale di corda
sopra costoni di roccia alti anche più di
cento metri cercano di prendere parti di
favo da cui poi estraggono miele che vendono ad altri paesi.

Le specie asiatiche
A. cerana Fabricius, 1793
- Conosciuta come ape orientale, è considerata la specie sorella dell’occidentale A.
mellifera.
- 13.200 individui/kg
- L’organizzazione sociale è analoga alla mellifera, ma le colonie hanno consistenza
numerica inferiore; nidifica in cavità costruendo favi con celle di dimensione più ridotta (Ø
celle da operaia di 4,2 - 4,7 mm; Ø celle da fuco 7,08 mm).
- A. cerana non utilizza propoli.

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- La differenza più evidente con A. mellifera risiede nei genitali
maschili, in più si distinguono le larve in quanto il bozzolo
delle larve dei fuchi presenta un poro di Ø 0,25 x 0,5 mm
praticato dalle operaie 1-3 giorni dopo la chiusura.
- Dotata di grandi capacità di adattamento, nella fascia
tropicale e subtropicale, è diffusa dall’Afganistan fino
all’Arcipelago Malese; verso nord si spinge fino al 46° parallelo interessando Giappone e
regioni nord-orientali della Cina. A. cerana ha capacità di resistenza o tolleranza verso
l’acaro Varroa destructor.
- Sono più piccole dell’Apis Mellifera, e formano colonie più piccole.

- Per raffreddare il favo si comportano all'opposto della mellifera, si mettono con il capo
verso l'esterno.
- Presenta numerose razze:
- Apis cerana cerana: Asia continentale dall’Afganistan alla Cina;
- A. c. indica: India (eccetto regioni nord- occidentali), parte meridionale penisola
indocinese, Arcipelago Malese;
- A. c. hymalayana: Himalaia;
- A. c. japonica: Giappone.

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Le specie asiatiche
A. koschevnikovi (Enderlein, 1906)
- Detta ape rossa per la colorazione di fondo rossastra dei tergiti addominali.
- Diffusa nelle isole Borneo, Giava, Sumatra e nella Malaysia peninsulare.
- Fenotipicamente simile ma leggermente più grande di A. cerana, nidifica su favi
multipli in cavità; differisce inoltre per lo specifico orario di volo dei fuchi e la diversa
struttura dell’endofallo.
- Opercolo delle cellette dei fuchi con poro.

Le specie asiatiche
A. nigrocincta (Smith, 1861)
- Si trova solo nell’isola di Sulawesi, in Indonesia.
- Simile a A. cerana per morfologia, biologia e comportamento, differisce per la taglia
leggermente maggiore e una colorazione più gialla dell’addome.
- I voli di accoppiamento avvengono in uno specifico orario e questo garantisce
l’isolamento riproduttivo.

- Le cellette dei fuchi non presentano il poro negli opercoli.

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A. mellifera
L’apis mellifera deriverebbe da un tipo di ape originatosi 2 milioni di anni fa (Pleistocene),
caratterizzato da nidi con più favi in cavità.
Diffusa dal nord Europa fino all’estremità meridionale dell’Africa e ad oriente fino all’Iran. In
conseguenza di quest’ampia diffusione è avvenuta un’ampia diversificazione morfologica
ed ecologica, in relazione alla variabilità biogeografica.
È presente una vasta gamma di caratteristiche biologiche e comportamentali:

- molti tipi climatici


- diversi ritmi di sviluppo della covata (adattamento genetico a diversi ritmi stagionali delle
fioriture)
- diversi tassi di riproduzione delle colonie.
L’apis mellifera Linnaeus (ape che porta il miele) è stata descritta da Carlo Linneo nel
1758. Ridenominata, nel 1761, dallo stesso Linneo come Apis mellifica (ape che produce il
miele), in base alle regole internazionali di nomenclatura è valido il primo nome.
Nativa in Europa, Africa e Asia occidentale si è diffusa in America, Australia e Nuova
Zelanda a opera dell’uomo.

Sono numerose le razze di A. mellifera, riconducibili ai due tipi fondamentali delle zone :
- temperate

- tropicali.
Il tipo temperato è caratterizzato da:
• scarsa tendenza alla migrazione e all’abbandono del nido;
• basso tasso riproduttivo (sciamatura ridotta, nella prima parte della stagione);

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• colonie di grosse dimensioni con sviluppo relativamente lento;
• elevata tendenza all’accumulo di scorte;

• moderate reazioni difensive;


• maggiori dimensioni delle cellette di covata (circa 800/dm2).
Come si vede dall‘immagine a fianco, le razze principali in
Europa sono:
- Mellifera mellifera;

- mellifera ligustica;
- mellifera carnica.
L’Apis mellifera ligustica è molto più gialla della altre
sottospecie europee.

Il tipo tropicale (razze africane) è caratterizzato da:


- elevata tendenza alla migrazione e all’abbandono del nido;
- elevato tasso di riproduzione (elevata frequenza di sciamatura)
- colonie di ridotta consistenza numerica e rapidità di sviluppo;
- scarsa tendenza all’accumulo di scorte;

- intense reazioni difensive;


- ridotte dimensioni delle cellette di covata (>1000/dm2)
Le api mellifera di tipo
tropicale, hanno un elevata
tendenza alla migrazione. Nel
1957 l'importazione di apis
mellifera scutellata (originaria
dell’Africa) nel Brasile, ha
creato la cosiddetta ape
africanizzata molto più
aggressiva ma che si era
ambientata benissimo ed ha
fatto una crescita
evoluzionistica ottimale in
quanto adattissima all'ambiente. Se durante la migrazione trovavano esseri viventi li
aggredivano.
Negli anni l'aggressività si é molto abbassata rispetto ai primi incroci e ora, seppur con
precauzioni, è allevabile.
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Razze geografiche di Apis mellifera attualmente riconosciute.

Apis mellifera ligustica di Kangaroo Island

L’isola è lunga 145 km e di larghezza variabile fra 900 m e 57 km, per un'area complessiva
di circa 4.400 km2
Kangaroo Island vanta di essere l'ultimo luogo al mondo in cui si trova la razza "pura" Apis
mellifera ligustica, proveniente dalla Liguria, importata sull'isola nel 1880-1881.
In seguito non sono state introdotte altre api, quindi l’ape ligustica non ha subito incroci,
ma si sarà comunque evoluta in base al territorio, differente da quello originario, in qui si è
sviluppata.

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Apis mellifera siciliana.
Gli apicoltori hanno iniziato a importare la ligusta, incrociando le razze, qualche anno fa un
apicoltore ha trovato su due isole (alicudi e filicudi) delle famiglie con caratteristiche
differenti dalle altre, che sono stati indicati come ape siciliana anche se non si conosce
come fosse quella originala siciliana.

Evoluzione moderna dell’Apis mellifera

L’uomo interferisce con le sue attività di selezione e allevamento e ci si allontana così dalle
sottospecie naturali, guidato dalle necessità di:
- produzione miele (ma anche pappa reale, polline, propoli),
- comportamento (es.: docilità, tenuta del favo)
- resistenza alle malattie (es.: comportamento igienico),

- svernamento.
Es.: creazione di linee artificiali: api di Buckfast da parte di Padre Adam (1898- 1996) a
partire dal 1917, nella contea del Devon (penisola sud-occidentale della Gran Bretagna),
quest’ape, adattata a quei luoghi, è stata per un certo periodo al centro dell’attenzione
poiché molti apicoltori stranieri vollero importarla per le “presunte” migliori caratteristiche.

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Morfologia Ape
I campioni di api recuperati si possono differenziare andando ad analizzare la linguetta
dell'ala anteriore, la pigmentazione dello scutello e del secondo tergite, ecc...

Per analizzare la sottospecie o i ceppi, oggi si analizzano campioni di ali, l'ala destra, poi
si sistemano su telai per diapositive almeno 24 ali e si studiano i rapporti tra differenti parti;
gli studi sulle ali sono possibili in quanto le ali degli imenotteri sono caratterizzate da
nervature, si possono suddividere così le differenti "cellule", si usano dei computer per
individuare dei punti su cui effettuare le analisi, i punti sono 19 e il computer individua 30
misure utilizzabili per differenziare le sottospecie. Uno degli indici più usati é l’indice
cubitale, che é il rapporto tra le misure di due segmenti di nervatura alla base della terza
cellula cubitale dell’ala anteriore destra (nella foto il rapporto tra il segmento 2-4 e 1-2).
Da solo non é un indice utile, ma deve essere rapportato ad altri indici; gli indici di zampe
o torace e addome si usano poco perché più lunghi, si preferisce usare le analisi sull'ala.

Immagine dell'ala anteriore destra di ape operaia acquisita al computer e posizionamento


dei 19 landmark mediante i quali si rilevano le coordinate xy per l'analisi morfometrica. I
cerchi rossi nella realtà sono molto piccoli, corrispondenti ad un pixel.
Le misurazioni vengono effettuate individuando le coordinate di 19 diversi punti dell’ala,
poi elaborate successivamente, mediante apposite funzioni matematiche.
Vengono presi in considerazione i caratteri:
- angoli: A1, A4, B3, B4, D7, E9, G7, G18, H12, J10, J16, K19, L13, M17, N23, O26, Q21;

- lunghezze: campo radiale, A, B, C, D, lunghezza interna, larghezza interna, scostamento


discoidale (mm);
- indici: cubitale, precubitale, dumb-bell, radiale;
- area di 6 campi: area 6 (mm2),
- vengono infine calcolati la media e la deviazione standard.

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Morfologia esterna
Le api si dividono in tre regioni distinte: capo,
torace e addome, e composto da tanti segmenti
detti metameri, chiaramente visibili nell’addome
sotto forma di anelli articolati fra loro. Il corpo
dell'ape é interamente coperto di peli, piumosi o
ramificati; svolgono un ruolo protettivo e altri ruoli
importanti per l'attività dell'ape, le api sono
glicifage (si nutrono di
nettare), insetti con questa necessità hanno fatto evolvere le
piante in modo che l'insetto si sporchi il pelo di polline presente
sulle antere (organo maschile del fiore) e lo depositi sullo stigma
in modo che le piante siano impollinate dagli insetti.

Capo
Il capo è una capsula compressa anteriormente e posteriormente sulla quale si trovano
appendici articolate (antenne e appendici boccali) e gli organi della vista (occhi composti e
ocelli). Gli occhi e gli ocelli consentono la percezione visiva alle api adulte.
• Gli occhi: I due occhi composti sono costituiti da migliaia di elementi visivi detti
ommatidi che presentano esternamente una minuscola cornea. Tra gli ommatidi si
trovano numerosi peli non ramificati.
Il numero di ommatidi varia:
- 3-4.000 nella regina,
- 4 -5.000 nelle operaie,
- 7- 8.000 nei maschi (hanno degli occhi
composti molto più grandi che tendono a
toccarsi)
I tre ocelli, ciascuno provvisto di una cornea,
sono disposti a triangolo al vertice del capo in
operaie e regina, mentre nei fuchi sono
spostati in basso, verso le antenne, a causa dell’estensione degli occhi composti.

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Gli ocelli non sono in grado di formare un’immagine, ma di percepire solo l’intensità della
luce che raggiunge le cellule nervose sottostanti che inviano segnali al protocerebro.

Il foro occipitale posto sul retro mette in comunicazione la cavità del capo con quella del
torace e attraverso di esso transitano aorta, nervi sopraintestinali, esofago, dotti salivari,
catena gangliare ventrale e alcune trachee.
Questa capsula contiene e protegge cerebro e gnatocerebro, le ghiandole mandibolari e
ipofaringee, le ghiandole postcerebrali, molti muscoli, ecc.
Nelle api si trovano tre individui differenti, regina operaia e maschio; ci sono poche
differenze nel capo tra regina e operaia mentre il maschio ha gli occhi composti molto più
sviluppati che arrivano a toccarsi mentre gli ocelli sono più in basso.

• Le antenne: sono appendici inserite nella parte anteriore del capo, sono composte da
scapo e flagello, quest’ultimo costituito da numerosi segmenti detti antennomeri: 11 per
le femmine, 12 per i maschi. Sugli antennomeri sono situati migliaia di recettori di senso,
detti sensilli, in grado di captare segnali soprattutto di natura chimica, che sono in grado
di percepire variazioni di decimi di grado di temperatura e anidride carbonica.
I sensilli possono essere tricoidei,
basiconici, placche porose, sensilli
cerocapitellari.
Nei maschi sono presenti più sensilli per
percepire i fenomeni della regina.

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• Apparato boccale: è composto di varie parti che, addossate le una alle altre,
consentono alle api di suggere liquidi e di convogliare saliva verso l’esterno, oppure di
afferrare e modellare cera.
Le varie parti di questo apparato, detto lambente succhiante, sono:
- labbro superiore,
- mandibole,
- mascelle,

- labbro inferiore.
Il labbro superiore, costituisce una sorta di
copertura dell’apparato boccale. Le due
mandibole, poste ai lati della cavità boccale,
sono munite di bordo distale smussato nelle
operaie e dentato nella regina. Le mandibole
consentono di afferrare ma non sono in grado di
lacerare superfici integre; se le api si trovano su
frutti maturi con buccia rotta si trovano per
assumere i succhi zuccherini, mentre le vespe con mandibole seghettate, sono in grado
di lacerare la buccia.
Alla base della superficie interna di ogni mandibola sbocca un piccolo canale dal quale
fuoriesce il secreto della ghiandola mandibolare.
Le due mascelle sono costituite da vari articoli ben distinti e differenziati:
- cardine,

- stipite,
- galea,
- palpo.
Sulla superficie delle diverse parti sono presenti sensilli di diverso tipo.
Il labbro inferiore è formato da vari articoli in parte impari:

- postmento,
- premento,
- ligula,
e in parte pari:
- paraglosse

- palpi labiali.

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La lIgula é una parte impari che termina con il labello. L'insieme di tutte le parti é definita
proboscide che quando é a riposo l'ape la tiene piegata sotto il capo.
Per assorbire i succhi, avvicina palpo labiale e galea a formare una cannuccia.
Se le sostanze fossero troppo dense, emette saliva che scioglie le sostanze zuccherine
che raccoglie con il labello (o flabello) stesso in quanto essendo ricoperte di peluria di
imbibisce assorbendo poche quantità di liquido, mentre se fosse presente molto più cibo,
usa la galea e palpi labiali per assorbire.
Quando le bottinatrici (le più anziane) tornano
nell'alveare non depositano il miele nelle
cellette ma cedono il raccolto alle "api di casa"
mediante il meccanismo della trofallassi; il
passaggio del nettare/”futuro miele” dalla
bottinatrici all'ape di casa avviene tramite un
apertura intermandibolare (al disotto del labbro
superiore).
Anche fra api di casa avviene questo passaggio, e quando avviene la trofallassi, si
mettono in unione anche le antenne in modo da comunicare.

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Torace
Al torace sono agganciati gli organi per il volo: due paia di ali e, per la deambulazione, tre
paia di zampe. La cavità toracica è in gran parte occupata da muscoli che garantiscono il
movimento di tali organi

Le ali sono incernierate al torace mediante scleriti ascellari.


Il torace è diviso in 3 zone:
- protorace
- mesotorace
- metatorace.

Nel fianco del torace sono presenti gli


stigmi respiratori, normalmente protetti
da fitti peli.

• Ali: l’ape è dotata di due paia di ali


membranose, costituite da due sottili lamine cuticolari sovrapposte e ravvicinate. Nello
spazio esistente tra le due lamine è presente un
complesso di tubi sclerificati detti nervature o
venature entro cui scorrono trachee e terminazioni
nervose e scorre emolinfa.

Le nervature si presentano variamente ramificate e


delimitano aree, dette cellule, di diversa forma.
Forma e dimensioni delle nervature alari hanno valore sistematico.
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Tra un ala e l'altra si trovano degli amuli che agganciano il paio di ali creando un unica
superficie, gli amuli si collocano in una "scleratura".

Le ali funzionano sia come strumenti di propulsione che di direzione. Un’ape bottinatrice
(100 mg di peso) può trasportare all’alveare un carico di polline (15 mg) o di nettare (40
mg) a una velocità di circa 20-30 km/ora

• Zampe: a ogni segmento toracico è agganciato, nella zona pleuro-sternale, un paio di


zampe. La zampa si divide in:
- Coxa

- Trocantere
- Femore
- Tibia
- Tarso: questo si suddivide in 5 parti, quello prossimale si
chiama basitarso e l'ultimo, il distale pretarso.

Nel pretarso sono presenti 2 unghie per muoversi su


superficie ruvide, e l'aroglio che garantisce di muoversi su
superficie lisce.
Le zampe anteriori sono dotate:
- di una serie di lunghe setole: sono poste a livello
del bordo posteriore della tibia, e sono utilizzate per
ripulire la superficie degli occhi composti;
- stregghia: si trova a livello dell’articolazione tibio-

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tarsale, è una struttura utilizzata per la pulizia delle antenne. La stregghia è costituita da
un incavo del margine posteriore del basitarso e da uno sperone flessibile inserito
all’estremità della tibia. Una serie di lunghi processi, disposti a pettine sul margine
circolare interno dell’incavo, consentono l’asportazione dal
flagello di corpuscoli estranei.
Rigide setole che ricoprono la superficie interna del
basitarso sono utilizzate per ripulire dai corpi estranei la
parte anteriore del corpo e a raccogliere il polline che vi
si deposita.
Le zampe mediane sono caratterizzate dalla presenza di uno
sperone a forma di robusta spina, posto all’angolo distale
interno della tibia, con la funzione di staccare le masse di polline
dalle cestelle.
Setole lunghe e rigide, presenti sulla faccia interna del basitarso,
sono utilizzate per la pulizia del torace e per raccogliere il polline dal
corpo.

Le zampe posteriori dell’ape operaia


presentano una elevata specializzazione morfo-
funzionale finalizzata alla raccolta e al trasporto
del polline.

L’ape si ripulisce mediante le zampe anteriori e


medie dal polline che aderisce al suo corpo e
infine lo raccoglie con la spazzola, una decina di
serie di setole rigide poste trasversalmente sulla
faccia interna del basitarso. Il polline viene poi
trasferito nelle cestelle, poste sulla parte
esterna delle tibie, circondate da una frangia di
lunghe setole ricurve e fornite di un’unica
setola rigida, inserita vicino all’angolo inferiore.
Il bordo inferiore della tibia è detto pettine, in
quanto dotato di brevi e robuste spine
perpendicolari al bordo stesso; il margine
superiore dell’adiacente basitarso, appiattito e
contornato da una frangia di peli, è detto auricola. Auricola e bordo inferiore liscio della
tibia costituiscono la pinza, atta a trasferire il polline nella cestella. L’ape bottinatrice
trasferisce il polline dalla spazzola di una zampa alla cestella di quella opposta,
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utilizzando alternativamente i due pettini. Il polline cade in corrispondenza dell’auricola e
viene spinto poi verso la cestella grazie al movimento della pinza.

Dopo aver raccolto con le spazzole il polline, l'ape con un movimento alternato di zampa
sinistra e destra, con il pettine stacca il polline della zampa opposta, il polline cade
nell'auricola, e viene spinto nella cestella grazie al movimento della pinza, nella cestella
il pelo grosso centrale stabilizza il polline e i peli laterali lo bloccano, in più aggiunge un
po' di nettare in modo da bloccarlo. Ogni cestella può contenere mediamente 7-8 mg di
polline; la stessa struttura viene utilizzata anche per il trasporto della propoli.

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Addome
L’addome contiene la maggior parte dell’apparato digerente e di quello escretore,
l’apparato riproduttore o velenifero, sacchi aerei, numerose ghiandole, ecc...

Il propodèo, primo segmento addominale, fa parte del torace apparente. La parte


anteriore del secondo segmento è detto pezíolo, al suo interno passano esofago, catena
gangliare ventrale, aorta, alcune trachee.
Anche l’addome è ricoperto di peli che rivestono valore sistematico. Il pezíolo consente
ampie possibilità di movimento all’addome, in particolare durante le “danze” e nell’utilizzo
del pungiglione.

L’addome è suddiviso in uriti, segmenti a forma di anelli costituiti da una parte dorsale,
detta urotergo, e una ventrale, detta urosterno, unite fra loro da una membrana. Gli uriti
si sovrappongono parzialmente a quelli successivi e sono collegati mediante membrane
intersegmentali molto flessibili
Nell’ape operaia e nella regina sono visibili esternamente 6 segmenti (II-VII), nel fuco sono
visibili anche l’VIII e lo sternite del IX
Tra il 1° e 2° uriti sono presenti dei sensilli, per aiutarsi nell'orientamento, le compressioni
dovute alla gravità tra torace e addome (dove sono presenti i sensilli) danno idea all'ape
della posizione in cui si trova.

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Pungiglione
Il pungiglione è raccolto entro la camera del pungiglione, le cui pareti sono costituite da un
ripiegamento all’interno dei segmenti VIII, IX e X. Si tratta di un ovopositore modificato.
Verso gli ultimi segmenti, nella parte distale ci sono dei segmenti non visibili che
costituiscono la camera del pungiglione (apparato vulnerante) esso è presente solo nelle
femmine e non nei maschi.

Gli insetti hanno un esoscheletro rigido costituito da chitina tenuta assieme da membrane
intersegmentali ed inoltre posseggono muscoli dilatatori che consentono di modificare le
dimensioni dell'addome stesso, la chitina è rigida ma sono le membrane che si dilatano.
Se si osserva un addome di individui femmine (operaie e regine) si notano solo 6 segmenti
dell’addome apparente, mentre nel maschio si nota l'8° segmento e lo sternite del 9
segmento, negli individui femminili c'è il pungiglione che si ritrova protetto all'interno della
camera del pungiglione che è una invaginazione dei segmenti 8, 9, 10 dell'addome stesso.
Il pungiglione ha uno stiletto e due lancette, è innervato dal ganglio del pungiglione e
possiede una valvola del veleno; le api usano il pungiglione solo per difendersi.
Lo stiletto del pungiglione è nella parte superiore mentre nella parte inferiore ci sono due
lancette che scorrono su due scanalature (fungono da binari), le lancette hanno uncini e
quando l'ape punge un animale o l'uomo, dotati di pelle elastica, dopo aver conficcato il

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pungiglione le lancette restano nella pelle per la presenza degli uncini e l'ape dopo aver
punto tende ad allontanarsi con la spinta di ali e zampe e per effetto degli uncini il
pungiglione resta nella pelle e unita ad esso vi resta anche la sacca del veleno e il ganglio
nervoso del pungiglione.
Il ganglio nervoso dell'apparato vulnerante resta attivo per molti secondo dopo la puntura
e dunque dà l’impulso per iniettare il veleno con il pungiglione, durante la puntura l’ape
inietta poco veleno che esce dalla parte distale del pungiglione per effetto dello
scorrimento delle lancette ed inoltre il veleno esce anche in corrispondenza degli uncini
mediante dei canali.
Le vespe hanno un pungiglione liscio che non resta nella pelle mentre se si è punti
da un ape resta il pungiglione nella pelle.
Le vespe possono pungere diverse volte mentre un ape punge una sola volta perché poi
perde il pungiglione e l'amputazione ne provoca la morte.
Si nota lo stiletto con le scanalature
su cui scorrono le lancette in senso
alterno movimentate da dei muscoli
e dopo che l'ape punge resta
bloccata con lo stiletto e il
movimento alternato delle lancette
provoca la penetrazione del
pungiglione, la parte interna del
pungiglione è costituita da una
sorta di tubo e in questa cavità
scorre il veleno.

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Sistema tegumentale
Il corpo dell’ape è delimitato da un tegumento costituito da:
• cuticola o esoscheletro, delimita il corpo e lo protegge da agenti chimici, fisici,
dall’ingresso di patogeni, e ne costituisce il principale sostegno; è secreta
dall’epidermide sottostante e da altre cellule dette enociti. Fra le sostanze che la
compongono predomina la chitina, mentre esternamente predominano sostanze
cerose che rendono la cuticola impermeabile. La cuticola è attraversata da poricanali
attraverso cui passano le sostanze destinate a costituire gli strati esterni della
cuticola.Lo strato ceroso si impregna di odori quando l’ape si reca all’esterno per
bottinare in questo modo l’ape bottinatrice cede le informazioni alle altre api
dell'alveare sulla situazione del luogo di raccolta.
• epitelio o epidermide: costituito da un solo strato di cellule in grado di secernere i
vari componenti cuticolari.
• membrana basale: sottile strato costituito da fibre proteiche immerse in un
polisaccaride. Essa isola il tegumento dalla cavità interna del corpo.
La cuticola presenta svariate setole e peli con funzioni diverse, esistono setole
sensoriali e peli piumosi con funzione isolante; la funzione protettrice e sensoriale,
nell'ape è necessaria per la comunicazione fra i soggetti della colonia.

Internamente si trova l’endoscheletro, il tegumento forma vari processi che si dipartono


verso l’interno del corpo costituendo
l’endoscheletro; tali processi sostengono gli
organi interni e costituiscono punti di
attacco per i muscoli.
Nel torace si trovano più processi:
- apodemi: trasversali;
- fragmi: dorsali;

- furche: ventrali.
I due fragmi presenti nel mesotorace e nel
propodeo, servono da attacco ai muscoli
depressori delle ali.
A livello del protorace la prima furca protegge in parte il ganglio posto ventralmente.

Nell’addome alcuni apodemi tergali e sternali danno attacco ai diaframmi dorsale e


ventrale. Da una furca partono invece i muscoli depressori del pungiglione.

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Sistema muscolare
Nell'ape la maggiore quantità di muscoli sono nel torace e sono striati.

I muscoli servono:
• per garantire il volo dell'ape;
• per favorire il movimento delle diverse parti degli uriti nell'addome;
• per il movimento delle viscere e per comandare l'apparato riproduttivo o il canale
alimentare.

Di solito i muscoli sono in coppie ed agiscono in modo inverso per favorire il movimento, vi
sono muscoli flessori e estensori.
Nella foto si vedono i muscoli
elevatori e depressori del torace.
Il volo dell’ape non avviene
mediante muscoli che agiscono
direttamente sulle ali ma agiscono
sul contenitore che forma il torace.
Nel momento in cui agiscono i
muscoli indiretti elevatori, si ha
l'azione di muscoli verticali che
schiacciano il torace e lo
deformano verso il basso e le ali,
posizionate lateralmente in
corrispondenza delle pleure, si
alzano e poi entrano in funzione i
muscoli indiretti depressori che sono longitudinalmente agganciati alla furca e
schiacciano longitudinalmente il torace e lo elevano e ciò fa abbassare le ali.
Si possono avere anche 200-300 oscillazioni al secondo e grazie a ciò le api arrivano a 30
km/h e portano il peso.

L'efficienza muscolare è elevata ed è dovuta al fatto che l'ossigenazione avviene mediante


le tracheole fino alle singole cellule muscolari e non c'è la mediazione tramite il sangue, le
tracheole si ramificano sempre di più fino ad arrivare alle singole cellule muscolari rivestite
da mitocondri; essendoci l’ossigenazione diretta si ha l’ossidazione completa degli
zuccheri e non si ottiene materiale energetico di riserva. Finché le api hanno del materiale
alimentare nell'ingluvie volano, ossia finché le loro riserve energetiche non sono esaurite
esse non interrompono il volo per affaticamento muscolare, ecco perché le api possono
volare per 10-11 km.

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Sistema Nervoso
Nell’ape si distinguono un sistema nervoso centrale e un sistema nervoso
stomatogastrico

Sistema nervoso centrale è costituito da:


- una massa nervosa detta cervello o cerebro, situata nel capo sopra l’esofago;

- da una seconda massa detta gnatocerebro, situata nel capo sotto l’esofago;
- da una catena gangliare ventrale costituita da gangli (piccole masse di cellule
nervose), 2 nel torace e 5 nell’addome. I gangli sono connessi fra loro ma relativamente
autonomi nel controllo delle funzioni dei segmenti loro collegati.
Il sistema nervoso centrale riceve informazioni da recettori e organi di senso.

I gangli sono autonomi gli uni rispetto agli altri per questo dopo la puntura la funzionalità
del pungiglione dura per un certo tempo, ed anche quando l’insetto viene decapitato si
muove ancora per qualche minuto.
Il cerebro è unito allo gnatocerebro mediante fasci di fibre nervose che circondano il
tratto anteriore del canale digerente. Al cerebro pervengono le informazioni provenienti
dagli organi della vista e dalle antenne; di queste ultime controlla i movimenti.
Sistema nervoso stomatogastrico (viscerale o simpatico)
È costituito da nervi e gangli funzionalmente autonomi, collegati al sistema nervoso
centrale, preposti al controllo della funzione di varie strutture: vaso dorsale, digerente,
spiracoli tracheali, genitali, ecc.

Sistema nervoso periferico o sensoriale


Costituito da cellule nervose disposte sotto il tegumento, con differenziazioni periferiche
di neuroni che collegano gli organi di senso con il ganglio corrispondente, o innervano
muscoli.

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Cellule neuroendocrine
Sono distribuite in punti diversi del sistema nervoso, diverse cellule neurosecernenti sono
trasformate in ghiandole endocrine in grado di regolare la vita degli insetti.
In particolare i gruppi di cellule attivi negli stadi giovanili e presenti nel cerebro, che
producono diversi ormoni, di cui il più importante è quello cerebrale. Tale ormone, per
mezzo di due nervi, stimola le ghiandole retrocerebrali, note come corpi cardiaci, in cui si
accumula prima di diffondersi nell'emolinfa. Attraverso l'emolinfa stessa l'ormone cerebrale
raggiunge quindi le ghiandole protoraciche che, di conseguenza, a loro volta producono
un ormone denominato ecdisone (o ormone della muta e della metamorfosi). Nel
contempo, però, l'ormone cerebrale stimola anche i corpi allati, collegati ai corpi cardiaci,
che producono, come risposta, la neotenina, o ormone giovanile.
La presenza nell'organismo di elevate quantità di neotenina blocca l'azione dell'ecdisone e
di conseguenza l'insetto va esclusivamente incontro a mute, senza subire trasformazioni
profonde (dette metamorfosi). Con la progressiva riduzione, o con l'interruzione anche
temporanea, dell'attività dei corpi allati, cessa la produzione di neotenina, l'ecdisone di
conseguenza esplica appieno la sua attività e l'insetto va incontro alle metamorfosi,
arrivando allo stadio adulto.

Organi di senso
Il sistema sensoriale delle api comprende una varietà di recettori di senso che possono
essere distinti in:
- fotorecettori (recettori di luce),

- chemiorecettori (percepiscono segnali di natura chimica),


- meccanorecettori (percepiscono stimoli tattili o vibrazioni),
- igrorecettori (sensibili alle variazioni di umidità),
- termorecettori (sensibili a variazioni di temperatura).

I chemorecettori possono percepire sia sostanze volatili presenti nell’ambiente, quali


l’odore della famiglia o del nettare dei fiori, sia sostanze non volatili presenti su oggetti.
Fra le sostanze chimiche percepite dalle api rivestono particolare importanza i feromoni.
I sensilli sono particolarmente abbondanti sulle antenne.
Si distinguono s. basiconici, s. tricoidei, s. placoidei, s. celoconici, s. celocapitellari, ...

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Recettori visivi
Gli ocelli (3) servono per percepire i cambiamenti di intensità luminosa ossia fra giorno e
notte mentre con gli occhi composti fatti da ommatidi, servono per percepire l'ambiente
esterno tramite una visione a mosaico che poi interpreterà.
Le api hanno una percezione colorata che è diversa dalla nostra percezione poiché va dal
giallo fino al verde-blu, percependo anche l'ultravioletto, non sono in grado di percepire il
rosso.

È importante conoscere la percezione del colore da parte dell’ape perché così si cerca di
ridurre l'errore di ritorno a casa dell'ape, ossia se ci sono molti alveari vicini occorre
differenziarli con appositi segni distintivi.
Il corpo dell’ape è rivestito di cere epicuticolari che si impregnano di odori tipici della
famiglia di provenienza ed occorre sapere che le api di una famiglia tendono a difenderla
da estranei riconoscendo le sorelle in funzione del loro odore. Le api difendono la famiglia
da tutti gli estranei ossia anche da altre api di altre famiglie, in caso di carenza alimentare
se le api individuano colonie di api deboli cercano di introdursi nel loro favo per prelevare
del miele o polline.
In ogni famiglia nell’alveare ci sono delle api guardiane che controllano gli estranei ed il
principio base è che se arriva uno sconosciuto all'alveare se ha dei prodotti (acqua, miele,
nettare, propoli o polline) lo fanno entrare mentre se non possiede nulla viene scacciato
dopo averlo ispezionato.
L'effetto di deriva delle api spiega il motivo per cui se ci sono tanti alveari vicini esse
perdono l'orientamento e per evitare tale condizione occorre agire in fase di distinzione
dell'alveare.
Ecco che per differenziare le arnie le si dipinge di colori diversi oppure si può mettere sulla
parte frontale dei disegni perché le api distinguono figure piene da quelle frastagliate
mentre non sono capaci di distinguerle nella stessa categoria ossia non distinguono fra
figure piene o fra figure frastagliate.

La visione avviene grazie agli occhi composti che hanno molti ommatidi che sono protetti
da una cornea e da una lente e poi c'è una cellula retinica e l’ape percepisce le variazione
di colore e forma che poi vengono elaborate ed interpretare.

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Sistema Circolatorio

Negli insetti la circolazione dell'emolinfa è di tipo vasolacunare che è garantita da un


vaso dorsale che prende il nome di “cuore” quando si trova nell’addome e di “aorta” dal
torace fino al capo. Si parla di sistema vasolacunare perché quando l’emolinfa si trova nel
cuore e nell’aorta, è all’interno di un vaso ed il cuore serve a spingere l’emolinfa nell’aorta
ma quando essa arriva nel capo entra all’interno della capsula del capo quindi circola
liberamente passando attraverso il torace ed andando a contatto con i muscoli, quindi
ritorna nell’addome e una volta qui passa attraverso il diaframma dorsale e rientra nel
cuore mediante delle aperture chiamate ostinoli e poi con meccanismi di diastole e
sistole si spinge l’emolinfa dal cuore, all’aorta e al capo.

Sistema respiratorio
L'ape respira usando delle trachee che hanno avvio in
corrispondenza degli stigmi respiratori, le trachee
mantengono la forma con una struttura sclerificata a
spirale che prende il nome di tenidi (somigliano ai tubi
corrugati da elettricisti), dagli stigmi si ramificano fino ad
ossigenare le singole
cellule, le api hanno
anche dei sacchi aerei
che servono per dare
rapidità in volo e sono
usati come riserva di aria.

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Sistema digerente

L’apparato digerente a partire dall'apparato boccale lambente succhiate prosegue con lo


stomaco fino all'ingluvie e ciò costituisce l’intestino anteriore.

L'ingluvie è una sacca elastica trasparente che assume delle variazioni di volume a
seconda che sia piena (di melata o nettare) o vuota. A seguito del riempimento
dell'ingluvie occorre adattare l'addome e ciò avviene mediante le membrane
intersegmentali che si adattano per assecondare l’aumento del volume interno.
Nella zona di unione fra l’ingluvie ed il mesointestino c'è una valvola cardiaca che funge
da non ritorno, il contenuto dell’ingluvie passa all’intestino medio ma non c’è mai un flusso
opposto e non ci può mai essere un flusso inverso affinché non vi sia un inquinamento del
contenuto dell’ingluvie con il contenuto dell'intestino intermedio.
In prossimità della parte distale dell’ingluvie si trova la valvola ad “X” che possiede 4 lembi
cigliati che hanno la funzione di raccogliere le sostanze corpuscolari (polline o sostanze
estranee) che poi vengono convogliate nel mesointestino.

Nel mesointestino avviene la digestione e poi c'è l'intestino posteriore con il retto in cui
nella parte prossimale ci sono le papille rettali che devono riassorbire acqua o sali
minerali che vengono immagazzinati nel retto. Il retto è un contenitore estensibile e le api
non rilasciano i loro escreti nell'alveare ma li liberano solo mentre si allontano dall'alveare
e li eliminano solo in volo.

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Quando le api sono nell'alveare come in inverno accumulano gli escrementi nell’ampolla
rettale.

Quando le api sono nell'alveare in inverno formano un glomere (struttura dovuta


all’addossamento delle api le une sulle altre) che serve per produrre calore e per farlo
consumano ciò che hanno raccolto nella bella stagione e che hanno trasformato in miele e
tali carboidrati sono trasformati in energia grazie alla vibrazione dei muscoli toracici e
grazie a tali meccanismi le api generano calore che serve per tenerle in vita nella stagione
fredda, in pratica consumando le scorte producono degli escreti che permangono nel retto
per anche 5-6 settimane e poi nelle giornate particolarmente calde d’inverno esse escono
dall’alveare nelle ore centrali della giornata proprio per liberarsi delle feci.
La presenza di feci nell'alveare avviene solo quando le api sono colpite da patologie
(dissenteria).

Fra il mesointestino e l’intestino posteriore c'è una altra valvola detta valvola pilorica e
qui vi sono i tubuli malpighiani, sono delle decine di filamenti che fluttuano liberamente
nell'addome ed hanno lo scopo di depurare l'emolinfa dalle sostanze di rifiuto che
l’emolinfa ha raccolto nel suo ritorno dal capo attraverso il torace e l’addome. Svolgono
un’azione simile ai reni nel nostro corpo e liberano i sali e le sostanze tossiche e li
scaricano nella ampolla rettale.

Sistema ghiandolare
Le api sono dotate di molte ghiandole che svolgono funzioni diverse e quelle più evidenti
sono:

• le ghiandole ipofaringee e sono nella parte superiore frontale nel capo dell'ape, le
ghiandole ipofaringee sono quelle che usano le api per produrre la “gelatina reale” o
“pappa reale” che è una secrezione dell'ape che essa usa per alimentare le larve nei
primi giorni di vita perché è ricca di aa.
• In parte nel capo e nel torace ci sono le ghiandole salivari che producono saliva che
l’ape usa per sciogliere le sostanze zuccherine troppo dense per essere assorbite
direttamente dalla proboscide.
Il corpo dell'ape subisce delle modifiche nella stagione perché le api estive sono diverse
da quelle autunno-invernali. Le api che nascono nei nostri climi dopo la fine di agosto sono
api destinate a superare l'inverno (le api operaie vivono 40 giorni perché è un lavoro
usurante), le api a fine stagione estiva non sono dedite al raccolto ma devono vivere per
alcuni mesi e devono garantire il passaggio dell'inverno da parte della colonia. Se si
seziona il torace e l'addome di api estive ed invernali si nota la diversa presenza di corpi
adiposi molto sviluppati nella api invernali.

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La presenza dei corpi adiposi non serve per avere riserve durante l'inverno ma per la
disponibilità di risorse per la ripartenza della colonia nella primavera successiva e tali api
sono ricche di aa, glicogeno, lipidi e soluti per ripartire alla primavera successiva.
L'ape autunnale può vivere anche 4-5 mesi, una colonia di api si sviluppa se le
condizioni ambientali sono favorevoli. L'ape deve disporre di risorse dell'ambiente perché il
suo sviluppo è legato alla presenza e disponibilità di prodotti alimentari ecco che se essi
scarseggiano la riproduzione è rallentata perché poi non si saprebbe come sfamare le
larve.
La deposizione continua da parte della regina serve per avere nel tempo dei nuovi
individui per sostituire a quelli ormai usurati. All'inizio dell'anno solare la regina comincia a
deporre nuove uova e ciò si nota con il cambio di fotoperiodo e dalle poche uova di
sviluppano entro 21 giorni delle operaie che sostituiranno le api ormai morte per usura, le
api modulano il loro sviluppo in funzione alla disponibilità di cibo.

Nel corpo dell'ape ci sono molte altre ghiandole:


• Ghiandole mandibolari: queste ultime producono diverse sostanze come feromoni di
allarme ed altre rientrano nella composizione della pappa reale;

• Ghiandole ceripare: nella parte inferiore dell’addome ci sono 4 coppie di ghiandole che
liberano della cera che esce liquida e poi fuoriesce attraverso i pori canali in
corrispondenza degli sterniti e in particolare in corrispondenza di aree chiamate
specchi della cera sono ben definite e qui la cera esce e si solidifica in forma di
scagliette sulla parte esterna dell’esoscheletro nella zona inferiore dell’addome e tali
scagliette sono prelevate dalle spazzole e poi vengono portate alle mandibole dove l’ape
le afferra e modella per costruire il favo.

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• La ghiandola del veleno: oltre alla ghiandola del veleno, nell'apparato vulnerante c'è
anche una valvola acida detta anche ghiandola di Dufur che serve per lubrificare il
pungiglione favorendo lo scorrimento delle lancette sullo stiletto.
• Ghiandola di Koshevnicov: che si trova nel retto delle regine e delle operaie;
• Ghiandola di Nassanow: sita nella parte dorsale, produce i feromoni di
aggregazione che sono funzionali nel meccanismo della sciamatura che è il
meccanismo di riproduzione delle api, nella sciamatura le api si innalzano in volo e poi
quando la regina si posiziona in un certo luogo alcune operaie inarcano l’addome e
mettono in evidenza la membrana intersegmentale al di sotto della quale c’è la ghiandola
di Nassanow e ventilano secernendo il feromone di aggregazione percepito dai sensilli
delle altre api ed esse si precipitano di colpo nel punto in cui si è posata la regina.

Servono per garantire l'aggregazione delle api che fanno parte di una colonia.
La secrezione dei feromoni avviene anche quando si deve richiamare le api all'alveare
dopo che si sono allontanate dall’alveare perché infastidite dall'apicoltore.
Le api africane invece tendono ad abbandonare il nido se infastidite.

Sistema riproduttivo
Nell'addome c'è anche l'apparato riproduttivo che consiste in ovari composti da molti
ovarioli e da una spermateca dotata di una ghiandola della spermateca, le api operaie
invece non hanno organi riproduttivi perché nel loro sviluppo preimmaginale non vengono
alimentate con lo stesso cibo dato alla regina (le regine sono alimentata sempre con
pappa reale che è molto ricca di sostanze energetiche) mentre le operaie sono
alimentare con pappa reale solo nei primi 3 giorni nell’età larvale in modo non
abbondante.
Il prodotto delle ghiandole ipofaringee (pappa reale) garantisce lo sviluppo di ovari che
non sono ancora sviluppati nella regina vergine e garantisce lo sviluppo della spermateca,
a seguito dell’accoppiamento si ha lo sviluppo degli ovari e la regina inizia a deporre le
uova.
Negli alveari si potrebbero però trovare delle api dette api figliatrici, questo è un
fenomeno molto raro che si manifesta solo quando una colonia perde la regina e non è in
grado di allevare le regine di sostituzione.

Quando una colonia perde la regina può allevare delle larve come regine ma se in una
colonia non si trovano larve di età inferiore ai tre giorni, esse non hanno la possibilità di
allevare la regina di sostituzione; la condizione di avere larve con meno di 72 ore di vita
è necessaria perché fino a quel momento le larve di operaie e di regine sono nutrite nello

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stesso modo, poi superato il terzo giorno avviene un cambio di alimentazione che sarà
fatto cedendo una miscela di miele e polline in dosi razionate che non permette alle api
operaie (sempre provenienti da un uovo fecondato) di sviluppare gli ovari e neanche la
spermateca.
Se una famiglia si trovasse in quelle per sopravvivenza alcune operaie riescono a
sviluppare degli ovari rudimentali composti da pochi ovarioli e possono essere in grado
di deporre delle uova. Le uova prodotte dalle api operaie, però non essendo fecondate
poiché le operaie non hanno la spermateca, daranno origine a degli individui soltanto di
sesso maschile e di conseguenza la colonia è destinata comunque a morte.
La presenza di api figliatrici è molto difficile da gestire e soprattutto rende difficile inserire
una nuova regina nell’alveare.

La regina appena sfarfallata si presenta in tale situazione anatomica:

• Due ovari non completamente sviluppati, che sono presenti ma non sono attivi, sono
collegati tramite un ovidotto laterale ad uno ovidotto comune che è collegato alla
camera vaginale, vicino alla camera vaginale si trova il dotto spermatico attraverso il
quale scendono le uova mano a mano che vengono deposte;
• Una ghiandola della spermateca che produce le sostanze che permettono la
conservazione degli spermatozoi per tutta la vita della regina.

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Il maschio ha tale conformazione anatomica:

• I testicoli sono nella parte anteriore dell'addome e sono legati alle ghiandole mucose e
alle vescicole seminali, nel momento che deve avvenire l’accoppiamento con la regina si
ha l’estroflessione dell’apparato genitale maschile chiamato endofallo.
• Si ha una estroflessione dell'endofallo e gli spermatozoi sono portati nella parte distale
dell'endofallo stesso. Esso presenta nella zona mediana delle placche di chitina che
hanno un ruolo importante nell'accoppiamento.

L'accoppiamento avviene in volo,


le regine dopo la loro nascita
compiono dei voli di esplorazione e
poi compiono dei voli per
l’accoppiamento, in tale occasione
sono raggiunte dai maschi. A
partire dal mese di aprile i maschi
prendono il volo e raggiungono la
regina e introducono l’endofallo
nella vagina della regina per
depositare gli spermatozoi.
Compiuto tale atto il maschio si
ribalta all'indietro per staccarsi e in
corrispondenza delle placche di chitina si frattura l’endofallo e si distacca la parte
terminale, il maschio dopo tale situazione è destinato a morire.

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La regina continua i suoi voli di accoppiamento e conduce più accoppiamenti, la regina si
può accoppiare con almeno 10 maschi ma possono arrivare fino a 20. Tutti gli
spermatozoi provenienti dai maschi sono sfruttabili per fecondare le uova.
Il maschio deposita gli spermatozoi nella camera vaginale ed essi riempiono la camera
vaginale e gli ovidotti laterali e risalgono tramite il dotto della spermateca e giungono nella
spermateca stessa che è un piccolo organo ed ha un diametro di 1 mm ed è riempito
completamente di trachee che ossigenano tale organo. La ghiandola della spermateca
secerne un liquido con un pH di 8,6 e un contenuto proteico di 8,5-15,3 mg/ml e ciò rende
attivi gli spermatozoi per alcuni anni, le regine hanno una aspettativa di vita di 5 anni ma
sono performanti solo per un biennio ed a partire dal 3° anno restano valide il 20-30%
delle regine di un apiario.

Grazie a tali conoscenze si è potuto trasformare l'apicoltura tradizionale in apicoltura


industriale, ciò ha portato agli apicoltori ad allevare molte regine in modo da averne di
giovani ogni due anni che abbiano una attività molto forte e producano più uova.

Ci sono anche regine che vivono anche più di 5 anni.

Quando avviene l'accoppiamento ed il distacco del fuco dalla regina a volte nella vagina
resta la parte distale dell'endofallo e ciò viene definito come il segno dell'accoppiamento.
Le api operaie procedono ad eliminare tale parte incastrata e poi la regina riparte per il
volo.
Le api si originano da uova fecondate e la differenziazione fra regine e operaie avviene
per una differente nutrizione da parte delle api nutrici e la differenza è in base ad un
diverso rapporto delle secrezioni delle ghiandole ipofaringee del capo e mandibolari ed in
funzione della quantità di cibo ceduto alla larva (le larve destinate a divenire regine
hanno una alimentazione 10 volte maggiore delle larve operaie).
L’alimentazione della regina comporta la formazione di due ovari composti da molti ovarioli
fino a 200 ovarioli per ovario, ossia 400 ovarioli in totale.
Gli ovarioli sono importanti perché ognuno può dare origine in 24 h da 3 a 5 uova e di
conseguenza in base al numero di ovarioli, ed alla potenzialità di ogni ovariolo, si può
definire la potenzialità di deposizione di uova da parte della regina che può arrivare fino a
2000 uova al giorno. Tale sforzo riproduttivo è elevato e il peso delle uova totali può
arrivare ad una massa pari a quella della regina stessa e dato lo sforzo la regina è
alimentata continuamente dalle api nutrici che fanno parte della corte della regina (api
giovani che sono in fase di sviluppo delle ghiadole ipofaringee) che sono api che fanno da
balia alla regina e la puliscono anche perché la regina deve solo deporre le uova.

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Nella foto si vedono gli ovidotti laterali che si riempiono di sperma e si nota la ghiandola
del veleno e la ghiandola accessoria che è la ghiandola di Dufur ed è usata per la
lubrificazione del pungiglione con relativo serbatoio del veleno. La regina ha il pungiglione
però è un po’ diverso da quello delle operaie e lo usa per lottare contro le rivali e non lo
usa nei confronti di altri insetti.

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Sviluppo preimmaginale
Nell'alveare si trovano individui di tre forme:
- regina: presente in un unico esemplare;

- maschi: presenti in alcune centinaia/ migliaia (200-300 maschi sono sufficienti per ogni
alveare per garantire la riproduzione) bassi quantitativi di maschi sono presenti in alveari
gestiti dall'uomo.
- api operaie: molte migliaia.
Inoltre in un alveare si trovano 2 caste quella degli individui fertili (maschi e regina) e sterili
(operaie).
Le api propriamente dette sono insetti sociali in quanto all’interno della colonia troviamo:
- cooperazione tra gli adulti per le cure della covata e la costruzione del nido;
- sovrapposizione di generazioni;
- presenza di una casta sterile morfologicamente differenziata da quella fertile.

La contemporanea presenza di tutte queste caratteristiche individua gli insetti eusociali.


Le comunità di tali insetti sono delle famiglie matriarcali; la madre fondatrice vive e
collabora con la propria prole, in un nido comune, la regina é specializzata nella
deposizione delle uova.
Negli insetti, specie dotate di un’organizzazione sociale altamente evoluta, si trovano solo
nell’ordine degli Isotteri (termiti) e degli Imenotteri (api, vespe e formiche).
L'attività sociale, é regolata tramite metodi chimici (feromoni) e simbolici (danza), le
colonie infine sono pluriennali.
Dalle uova fecondate si originano api operaie e regine; se le uova non vengono fecondate
si originano i maschi, tramite partenogenesi arrenotoca, con patrimonio genetico n=16.

La regina cammina sui favi, trova le cellette vuote, costruite dalle operaie e depone un
uovo verticalmente.
- Giorno 1: l’uovo è verticale nella celletta;
- Giorno 2: l’uovo si presenta inclinato

- Giorno 3: l’uovo è adagiato sul fondo.


Il cibo somministrato alle larve nei primi due giorni di vita deriva dalle dalle ghiandole
mandibolari (20-40%), dalle ghiandole ipofaringee (60-80%) e polline nel rapporto 2:9:3; al
terzo giorno prevale il secondo componente.

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- Giorno 4: la larva esce dall'uovo e si trova immersa nella gelatina reale prodotta dall'ape
nutrice. Le mute nei giorni successivi saranno regolate dall’ectisone.

- Giorno 8: la larva é al massimo accrescimento, occupa tutto lo spazio della celletta, a


questo punto le api operaie chiudono la celletta, la larva da forma a c diventa
distesa e forma un bozzolo.
- Giorno 9: la larva fila il bozzolo.
- Giorno 10: la larva si trasforma in pupa (fase preimmaginale).

- Giorno 12: la pupa è pronta, grazie all'intervento dell'ectisone, fin che prevale la
neotenina la larva aumenta di dimensione, poi l'ectisone prevale e la larva fa
metamorfosi in pupa.
- Giorno 13: gli occhi della pupa cominciano a pigmentarsi.
- Giorno 18: inizia la pigmentazione del corpo.

- Giorno 20: l'ape si libera dall'involucro pupale,


- Giorno 21: l'ape sfarfalla.
Se le temperature sono alte, i tempi di sviluppo, si possono ridurre fino a 18 gg.
In media allo sfarfallamento l'ape pesa 100mg e per lo sviluppo di un’ape servono 142 mg
di miele e 125-145 mg di polline contenenti circa 30 mg di proteine.

Per le api regine il ciclo di sviluppo é differente e più breve, solo 16 giorni mentre i
maschi hanno necessità di uno sviluppo più lungo, 24 giorni.
Questi numeri sono importantissimi se si vogliono allevare le api, in quanto bisogna
conosce i momenti chiave della vita di un ape, bisogna conoscere se si sta sviluppando
una regina, per evitare sciamatura, quindi si dovrà visitare un alveare ogni 15 giorni
massimo in modo da bloccare la nascita di nuove regine.

Le regine si sviluppano in celle dette reali, più ampie e spaziose di quelle destinate a
ospitare la covata.
Allo sfarfallamento una regina pesa 178-292 mg.

Le api una volta nate non volano immediatamente ma impiegano 40 giorni dalla
deposizione dell'uovo (19 giorni dallo sfarfallamento) per diventare bottinatrici.
Se si vuole produrre il miele di acacia che fiorisce a fine aprile, occorre programmare
l'alveare in modo che siano sviluppate le bottinatrici in tempo.

Per fare ciò si stimolano artificialmente lo sviluppo in quanto nei periodi di fine inverno,
inizio primavera non c'è molto cibo per loro, quindi per arrivare a fine aprile con colonie
ricche di bottinatrici si somministrano alle api sciroppi o canditi in modo che la regina sia
40
stimolata a deporre molte uova, di contro questo fa si che si stimoli la riproduzione di
nuove regine.

Le regine vengono allevate in cellette più grandi e poste sul bordo del favo o ai margini
della covata, ma le larve che diventano regine sono alimentate con quantità
sovrabbondanti rispetto al consumo, dopo 16 gg la regina taglia l'opercolo e lo apre a
metà (come lo sportello di un sommergibile aperto) questo serve a capire se la regina é
sfarfallava correttamente, perché se l'opercolo fosse aperto diversamente ci sarebbero
stati problemi.
I maschi sono allevati solitamente quando i climi sono migliori, quindi si troveranno in
cellette più in basso. I maschi arrivano alla maturità sessuale dopo 15-20 gg dallo
sfarfallamento.
Una volta nata, l'operaia pulisce le cellette dove saranno deposte le uova, quindi le api
diventano nutrici e per alcuni giorni si occupano della covata, nutrendola;
contemporaneamente possono far parte della corte reale.
Quindi le api operaie diventano raccoglitrici del raccolto delle bottinatrici, poi lo
immagazzinano; al 16 giorno diventano produttrici di cera, per costruire i favi, dopo 18-19
giorni le api iniziano a uscire e a compiere qualche volo per capire dove di trova il favo.

Prima di diventare bottinatrici svolgono il ruolo di api guardine per difendere l'alveare, dal
22° giorno in poi diventano bottinatrici.

41
Le api bottinatrici raccolgono :

Il fabbisogno di miele è elevato per le api: le api a riposo hanno bisogno di una quantità di
zuccheri di 0,7 mg/ora, in attività di volo di 11,5 mg/ora

Quando una bottinatrice torna dalla raccolta, non


deposita ella stessa il nettare nelle cellette, ma lo cede
alle api di casa tramite la “trofallassi” (scambio di cibo
tra individui adulti), l'ape donatrice cede il contenuto
della borsa melaria, e l'altra lo assorbe tramite
l'apparato lambente succhiante.
Quando fa molto caldo la ventilazione non é sufficiente, quindi le api raccolgono acqua, la
distribuiscono sulle pareti della celletta in modo che l'evaporazione asporti il calore dalla
superficie su cui evapora.
In paesi più caldi le api si spostano se manca l'acqua, si spostano meno con la mancanza
di cibo.
La velocità di scarico di api bottinatrici ricche di acqua indica alle bottinatrici stesse che
l'esigenza in quel momento é di acqua, quando la necessità di acqua viene a diminuire,
ricomincia il normale scaricamento di nettare lasciando indietro le api ricche di acqua.
La ventilazione é fondamentale anche per l'allontanamento della CO2

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Feromoni
I feromoni (dal greco phero = porto e hormao = stimolo), sono messaggeri chimici
intraspecifici inducono reazioni specifiche, fisiologiche o comportamentali, in altri membri
della stessa specie.
Sono composti chimici prodotti da un individuo di una specie che, ricevuti da un individuo
della medesima specie, attivano nel ricevente una risposta fisiologica o comportamentale.
Nelle api troviamo:
- feromoni sessuali

- feromoni di aggregazione
- feromoni di allarme
I feromoni vengono rilevati dalle placche porose.
L'equilibrio della colonia é gestito dai feromoni, durante la pulizia della regina da parte
delle api di corte, i feromoni passano dalla regina alle api di corte, questi quindi passano a
tutte le altre api, il segnale che passa viene inteso dalle api come la presenza di una
regina forte e che devono seguire.
Quando la regina invecchia, o il trasferimento di
feromoni diventa complesso (troppi individui nel favo)
la regina perde il controllo sulla famiglia, facendo
cominciare i fenomeni che precedono la sciamatura
(produzione di nuove api regine).

I feromoni d'allarme sono un messaggio per avvisare


del pericolo, vengono inviati tramite l'apertura delle
mandibole, dalle ghiandole mandibolari.
La ghiandola mandibolare di api operaie e nutrici
produce:
- acido 10-idrossi-(E)-2-decenoico: gelatina operaia;
- acidi grassi semplici (esanoico, ottanoico): hanno azione antibiotica e servono come
conservante della gelatina operaia.
La ghiandola mandibolare di api guardiane e bottinatrici produce:
- 2-eptanone (2-HP): feromone di allarme usato per marcare gli estranei che
cercano di entrare nell’alveare; serve per la marcatura fiori improduttivi; attrazione verso la
porticina (indica l’ingresso dell’alveare).

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La ghiandola mandibolare di api regine produce:
- acido (E)- 9- oxo-2-decenoico (9-ODA): inibizione dello sviluppo degli ovari delle
operaie inibizione dell’allevamento di regine; formazione della corte della regina;
regolazione di coesione e movimento degli sciami attrazione dei fuchi;
- acido (E)-9-idrossi -2-decenoico (9-HDA): inibizione dell’allevamento di regine
formazione della corte della regina stabilizzazione degli sciami;
- metil-p-idrossibenzoato 4-idrossi-3-metossifeniletanolo: formazione della corte della
regina.

La ghiandola di Nasonov delle api operaie produce feromoni di aggregazione per


richiamare altre api in caso di disturbo:
- geraniolo

- nerolo
- acido geranico
- acido nerolico
Se invece il pericolo é maggiore le api mostrano il pungiglione in modo da emettere
feromoni con la ghiandola della camera del pungiglione, feromoni di allarme.
La regina con questa ghiandola invece emette feromoni di attrazione dei fuchi.

La ghiandola di Koschevnikov e le ghiandole della camera del pungiglione delle


operaie producono tutti feromoni di allarme:
- acetato di isopentile (IPA)

- acetato di 2-octen-1-ile
- acetato di 2-nonile
- 2-nonanolo

Le ghiandole epidermiche (tergali) delle api regine producono:

- esteri acido decanoico (ac.2-cheto-9-decanoico): sono feromoni per il riconoscimento


della regina da parte delle operaie; inibizione della costruzione di celle reali fuori
stagione, inibizione dello sviluppo degli ovari delle operaie.
Quando una regina invecchia e non riesce a produrre feromoni come in precedenza e
scattano i meccanismi di sciamatura.

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Danza delle api
La complessa attività sociale di una colonia di api è regolata da una serie di sistemi di
comunicazione che comprendono sia i messaggi chimici sia “gestuali” mediante la
“danza”; quest’ultima è stata scoperta da Carl von Frisch nel 1950. Per le scoperte sulla
biologia delle api gli fu attribuito il premio Nobel nel 1973.
Se la fonte di cibo é vicino le api compiono danze circolari.

Se la fonte é lontana le api compiono un 8, mentre l'ape percorre il percorso centrale


dell'otto, le api vibravano l'addome (danza a 8, danza dell'addome o danza
scodinzolante) la vibrazione sarà tanto maggiore tanto più il raccolto é ottimale e facile,
invece se l’ape ha faticato per ottennero (luogo più lontano) rende l’ape più stanca e di
conseguenza vibra meno.

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Se la fonte di cibo, rispetto al sole é nella stessa direzione l'ape indicherà verso l'alto con
una danza ad 8 di 0°; se è scostata di 45° dal sole l’ape farà una danza con angolo di 45°.

L'ape indica la posizione del cibo compiendo la traiettoria centrale con un’angolazione
verso la posizione del cibo nei confronti del sole (il sole sarà sempre immaginato come
una traiettoria a 0°).

In presenza di vento, le api calcolano lo spostamento laterale dovuto al vento indicando


una gradazione di 20° maggiore rispetto alla reale angolazione del cibo.

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L’occhio dell’ape è in grado di determinare la direzione in relazione alla posizione solare
quando questo è circa 3° al di fuori dello zenit.

Il sole è l’unica bussola usata dalle api danzatrici per indicare le direzioni.
Anche quando il sole è nascosto dietro nubi o montagne le api sono in grado di
percepirne la posizione riconoscendo la direzione delle vibrazioni della luce
polarizzata. Inoltre le api sono in grado di percepire la radiazione ultravioletta che filtra
attraverso le nuvole.

Studi hanno dimostrato che forti riferimenti visivi (bordo di un bosco) oltrepassano il
riferimento del sole e quindi spostando l’alveare o il cibo dal bordo di un bosco per
qualche chilometro le api continuavano ad orientarsi bene non usando il sole ma il bordo
del bosco; la stessa cosa non avviene con un riferimento più piccolo come un singolo
albero in questo caso le api non ritrovavano il cibo spostando l’alveare in quanto l’albero
singolo non viene calcolato come riferimento, e le api continuano ad orientasi verso il sole.

La danza é influenzata da a qualità e quantità,

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Sviluppo Famiglia
La regina inizia a deporre uova in concomitanza con l'aumento del fotoperiodo.

48
In corrispondenza della forte crescita dell'alveare, con un’altissima concentrazione di cibo,
e con moltissimi individui, i feromoni della regina non riescono a raggiungere tutto l'alveare
e quindi le api iniziano a costruire i capolini per la crescita di nuove regine dando inizio ai
fenomeni della sciamatura.
L'avvio della sciamatura é particolarmente stimolato da condizioni piovose prolungate in
quanto nell'alveare permangono troppe api e i segnali chimici non riescono a passare a
tutte le api.

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Nel momento in cui vengono chiuse le cellette per le regine, le api di corte smettono di
dare da mangiare alla regina per farla dimagrire e permettere la sciamatura corretta.

La vecchia regina é sempre quella che lascia l'alveare prima che una nuova nasca.
Generalmente la nuova regina diventa la legittima erede dell'alveare, ma se il favo era
pieno di covata in fase di sfarfallamento, queste nascono e saturano nuovamente l'alveare
e le operaie la costringono a sciamare, creando una sciamatura secondarie.
In 1-1,5kg di api sono presenti circa
10000/15000 api, queste escono per
sciamare con la vecchia regina; il primo volo
sarà molto breve, 10-30 metri poi si posano
provvisoriamente, e nel frattempo decido la
loro destinazione definitiva.

Per fare ciò, le api bottinatrici più anziane che


già prima della sciamatura cercano un luogo
adatto. Una volta trovato indicano con la
danza dove si trova un luogo adatto allo
stanziamento della colonia.

Dopo aver cercato in ogni direzione, e tutte le


api bottinatrici hanno visitato i luoghi indicati dalle altre sorelle, le api si cercano di mettere
d’accordo e quando lo sono tutte, lo sciame parte e si trasferisce nel ricovero deciso.
Per la decisione posso impiegare anche 3-4 giorni.
Se le api non si riescono a mettere d'accordo in tempi ragionevoli, decidono di restare
dove sono, costruendo dei favi legati al ramo o legati al luogo in cui si erano posati; il
problema è che, nei nostri climi, le api non riescono a superare i rigidi inverni senza riparo
e quindi periscono nell'inverno.
Le famiglie che si ritrovano in natura sono perfettamente recuperabili, i singoli favi si
possono inserire in un telaio se hanno covata e così si recuperano.

Nel costruire il favo le api aggiungono, specialmente nelle fasi di costruzioni iniziali, la
propoli, per la sua azione di costruzione del favo e
antibatterica.
Le cellette non sono orizzontali, ma hanno un
angolo di 9-14° verso l'alto per evitare che miele e
larve cadano verso l'esterno.

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I favi sono costruiti in più serie paralleli, con spazi diversi principalmente usati per:
- centro: deposte le uova che daranno origine alle larve in modo da mantenerle più
facilmente a temperatura costante di circa 35°C.
- lati: le api depositano il polline, le riserve proteiche che le api consumano oppure usano
per le larve.
- alto: sono presenti le scorte di miele.

Per mantenere il calore le api tendono ad avvicinarsi il più possibile, formando un glomere
molto spesso (giallo verde -26oC).

Se le temperature sono rigide il


glomere é meno lasso facendo
passare poca aria per mantenere più
alte le temperature; se invece le
temperature sono troppo alte, il
glomere è più lasso, creando dei
canali per far passare aria e
mantenere la temperatura costante.

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Con l'aumento della temperatura esterna o l'abbassamento si hanno:

Più la famiglia é poco popolata, maggiore sarà, in proporzione, il consumo di cibo in


quanto avendo una massa del glomere piccola e dovranno muoversi tanto per mantenere
le temperature costanti a 35°C, consumando energie per mantenersi al caldo.

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Storia apicoltura.
Gli apicoltori hanno imparato a fornire un ricovero alle api, chiamato
arnia.

All'interno dei favi "villici" le api costruiscono i favi a partire da


agganci differenti, creando dei favi non in distanza regolare, ma
spesso casuale.
Il favo naturale non consente di avere un alta quantità di cellette di
dimensioni ottimali per la covata da operaie.

“Vraski” è l’arnia tradizionale greca in vimini utilizzata per le visite, questa è uno dei primi
tentativi di avere dei favi mobili, senza uccidere tutta la colonia, cosa che succedeva
sempre con i vecchi tipi di arnie.
Quello che fece la differenza e permise l’introduzione di arnie non distruttive e l’inizio
dell’apicoltura moderna fu la scoperta della necessità da parte delle api dello “spazio
d’ape”.
Le differenti sottospecie costruiscono favi con la distanza tra una lamina centrale e l'altra
differente, ad esempio l’ape italiana 38 mm, le sottospecie
africane 32 mm; quindi bisogna adattare l'aria al tipo di ape
allevata.

L'apicoltura moderna in particolare nasce nel 1851, quando


Langstroth costruì l'alveare a favo mobile.
Nel 1851 Langstroth individuò il cosiddetto spazio d’ape. Egli
costruì la prima arnia razionale a favo mobile, a soffitta mobile.
Nel 1853 in Germania, Berlepsch giunse alle stesse
conclusioni e mise a punto la prima arnia razionale di tipo
tedesco, con apertura posteriore (a soffitta fissa).
Come detto le differenti specie di api necessitano di spazi differenti, questi sono gli spazi
d’ape necessari per le diverse sottospecie di apis mellifera:

Sottospecie europee 32-38

A. m. adansonii 29-35

A. m. capensis 32

A. m. jemenitica 32

A. m. lamarckii 32

A. m. litorea 28-30

A. m. scutellata 30-32

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Se lo spazio dal fondo fosse inferiore, le api sigillerebbero tutto con cera e propoli, se
invece fosse superiore, le api creerebbero altre strutture legando il favo alla parete, non
creando così un favo mobile.
Inizialmente il melario e la zona per la covata erano della stessa dimensione, ma poi
vennero modificare per l'eccessivo peso del melario.
Una volta scoperta l’esistenza dello “spazio d’ape”
differenti tipi di arnie furono costruite in differenti parti del
mondo, ad esempio l’arnia a libro di Huber
(1750-1831) e Burnens. Telai mobili di 50 cm di altezza,
30 cm di profondità e 35-37 di larghezza. Ciascun telaio
era provvisto di un foro di volo richiudibile.
In Germania, il clima più freddo ha portato ad avere le
api non in semplici alveari esterni ma in casette, in cui
l'alveare resta all'interno della casetta.
Quelle in Germania, con le casette sono dette arnie a
favo caldo in quanto, i favi, sono paralleli alla porticina
di entrata e quindi il primo favo blocca il freddo, le arnie
usate da noi sono dette a favo freddo in quanto i favi
sono perpendicolari all'uscita e quindi l'aria si
distribuisce in tutti i favi .
In queste casette l’esterno consentirà l’uscita alle api
dalle differenti porticine e dall’interno si potrà ispezionare
il favo e fare anche la smielatura; il problema grosso si
questo tipo di alveari sarà nell’efficienza in quanto i favi,
essendo messi paralleli all’uscita, dovranno essere tolti
uno per uno per arrivare a vederli tutti.
Oltre quelle viste altri tipi di alveari furono creati da
differenti apicoltori con esigenze più o meno contrastanti:
- Arnia Dzierzon: cassetta apribile alle due estremità di cm 72x28x24h; in due scanalature
longitudinali trovavano posto 18 telaini.
- Arnia Sartori: cassa verticale di cm 28,5x40x72h apribile posteriormente; a 47 cm dal
fondo un’assicella forata divideva l’arnia in nido e melario. All’interno trovavano posto 3
ordini sovrapposti di 10 telaini ciascuno.
- Arnia Fumagalli: cassa di cm 28,5x40x47h; conteneva due soli ordini di telaini. Era
possibile sovrapporre un melario.
- Arnia Cuoriforme: nel 1910 l’ing. Alessandro Tonelli propone un particolare modello di
arnia con favi da nido “cuoriformi”.

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Verso la fine del 1800 venne introdotta in Italia l’arnia
Langstroth modificata in varie versioni, dapprima “Dadant-
Blatt”, poi “italo Dadant-Blatt” o “italica-Carlini”, modello
standardizzato proposto nel 1932, per uniformare
l’attrezzatura apistica sul territorio nazionale.
Volume del nido 62 dm3 circa, volume del melario 31 dm3
circa.

Mentre in europa le arnie che presero il sopravvento furono le


Dadant-Blatt, in Africa inizialmente si cerco di portare arnie di
tipologia “europea” non trovando il favore della popolazione;
quindi dal 1965 si iniziò la costruzione di arnie di tipo top bar
hive, arnie trapezoidali, simile alle arnie tradizionali, in modo
da essere più vicini alla loro cultura e alle attrezzature e
materie prime presenti sul territorio.
- 1965, Rhodesia Zimbabwe: Penelope Papadopulo introduce l’arnia tradizionale greca
descritta da George Wheler (1682);
- 1965, Kenya: C.J. Tredwell e P. Paterson costruiscono la Kenya top bar hive.

- 1966, Senegal: Joseph Linden introduce la David hive, basata sull’arnia greca e
costruita con materiali locali, con le dimensioni della Langstroth.
- 1967, Kenya: Inizia il Kenya Beekkeping Pilot Project (Oxfam, Gran Bretagna)
- 1971, Kenya: il progetto prosegue con il Kenya-Canada Beekkeping Project fino al 1982
utilizzando le KTB.

Le arnie usate in africa, tipo la top bar hive, sono


arnie con la presenza della sola traversa portafavo
non prevede l’uso di fogli cerei e neppure di
particolari attenzioni per il posizionamento dell’arnia
medesima; nella “top bar” trovano posto circa 27
traverse portafavo che funzionano anche come
soffitta.
Per fare in modo che le api costruiscano nel punto voluto, e non
tra due portafavi differenti così da bloccare l’uscita dei singoli
portafavi, si usano alcuni accorgimenti, come il fatto di avere il
portafavo a punta con un po di cera aggiunta in modo da indicare
alle api come sarà la linea del favo.

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Arnie
Nelle arnie occorre che ci sia una separazione netta tra melario e covata, per fare ciò si
usa una rete che non permette il passaggio della regina in modo che passino solo le
operaie più piccole per depositare il nettare ed opercolare il miele.
Con il tempo, l'originale Dadant-Blatt, si é visto che non era usabile per il nomadismo, a
causa dell’ampio pradellino di volo, mentre era ottima per l'uso stanziale.
Per spostare spesso le arnie occorre avere arnie modificate, dotate di soli 10 favi e più
corti in modo da pesare meno. In più venne
creato un "portichetto" in modo da bloccare le
api con una rete dando gli uno spazio
supplementare per evitare che le api restassero
bloccate.
Negli ultimi anni l'arnia da nomadismo venne
trasformata in un arnia chiamata "cubo" senza
portichetto e con predellino di volo più stretto in
modo da caricare più arnie su un camion (5 file
invece di 4).
Questo é avvenuto perché il fondo fisso é stato trasformato in fondo a filtro, introdotto
originalmente per controllare i danni
dall'endoparassita la varroa.

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L'arnia all'interno é costruita con pareti indicativamente di 25 mm che garantisce un buon
isolamento termico, la parete anteriore e posteriore ha delle
scanalature e negli altri due lati hanno delle reggette che
consente di rispettare lo spazio dell'ape verso l'esterno.
Il fondo é a rete e ha uno spazio per far cadere tutti i detriti
dell'attività dell'ape.
La durata dell’arnia è di almeno 10 anni, conviene trattare la
parte esterna con impregnanti in modo da proteggere il
legno; la verniciatura all'interno è inutile poiché le api
rivestono tutto con propoli.
Oltre le arnie da nomadismo esistono altre tipologie di arnie:
- Arnie prendi-sciame: sono arnie più piccole, da 5-6 favi, per sviluppare nuclei e
recuperare sciami.
- Arnie a cassone: per allevare regine o usate da chi
produce pappa reale; sono arnie divise in 3 settori, i
due settori laterali hanno famiglie su 10 favi, tra le due,
nel centro si trova una parete con una finestra dotata di
rete escludi regina.
La parte centrale é un settore orfano, in cui si mettono
favi con covata e si usa il favo orfano per indurre api ad allevare celle reali.
- Arnie piccole: (grandi come quelle prendisciame) possono essere usate per far
sfarfallare le regine prodotte, perché se venissero lasciate negli alveari precedenti si
avrebbe il rischio che anche le altre famiglie decidano di sciamare.
- Arnia da osservazione: per studiare i comportamenti delle api, sono
composte da lati trasparenti.

L’apiario è la postazione dove vengono tenute le arnie.


La legge nazionale o regionale (ogni regione ha una propria normativa sull'apicoltura) in
Piemonte la legge é la 20 del 1998, poi contenuta nella legge italiana del 2004. Questa
indica che chiunque possieda una alveare deve denunciare il possesso, che non denuncia
non può avere i contributi mentre per il Piemonte chi non fa denuncia é passibile di multa.

La disposizione delle arnie è importante per migliorare l’uscita delle api e il riconoscimento
degli alveari da parte delle stesse, la posizione a semicerchio é la migliore per evitare che
le bottinatrici si spostino sugli alveare agli estremi.
Regina aspettativa di vita di 5 anni, ma per professionisti regina non più di 2 anni.

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Attrezzatura
- Abbigliamento di protezione: maschera, guanti da apicoltore.
- Affumicatore: attrezzo utilizzato per produrre fumo e impedire o ridurre l’aggressività
delle api, è opportuno bruciare materiali naturali che non danneggino api, ottimi i trucioli,
che bruciano lentamente con fumi non caldi e con pochi residui.
- Leve: la parte piatta serve per staccare il coperchio dell'alveare.
L'altra parte ha una punta che viene inserita nello spazio
d'ape del telaino che stacca il favo incollato con la propoli.

- Spazzola: può essere utile una spazzola per operazioni di


trasferimento di api, oppure in caso di pochi alveari (5-6) per allontanare
le api dal melario.
- Soffiatori: se si hanno più di 40 alveari (per professionisti) è impensabile usare le
spazzole o l’apiscampo per allontanare le api dal melario, quindi si usa il soffiatore per
allontanare le api.

Accessori per Arnia.


- Fogli cerei: fogli di cera stampata nella quale sono riportate l'impronta delle celle delle
api usate. È importante usare i fogli cerei adatti alla specie di api usata, ad esempio
l’ape ligustica ha il diametro delle cellette di 5,4 mm, la scutellata 4,6 mm.
L'uso di fogli cerei, essendo di dimensioni esatte per le operaie, diminuiscono la
produzione di maschi, riducono di moltissimo i tempi, in quanto con il foglio cereo in sole
24h si può avere un favo perfettamente utilizzabile, in più per costruire un favo completo,
senza foglio cereo, le api dovrebbero usare 1-2 kg di miele.

In momenti di fioritura importante, le api sono in grado


di riempire un melario (10-15kg di miele) in 3 gg.

La dimensione del favo é differente:


- Favo con covata da operaia: 21,5 - 25,5 mm

- Favo con covata maschile: 30 mm


- Favo con miele: 27 - 37 mm (favo naturale)
Come detto anche le dimensioni delle cellette possono essere differenti:
- Cellette da operaia: 5,2 - 5,4 mm
- Cellette da fuco: 6,2 - 6,4 mm

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Quindi, fornendo dei fogli cerei di dimensioni standard per api operaie, le api per allevare
maschi su fogli cerei adatteranno le cellette aumentandone la dimensione.

Per garantire una costruzione esatta del favo, occorre aspettare ad inserire un nuovo
telaino con foglio cereo finché le cellette da miele non inizino ad essere o percolati.
Il telaino é formato da due scanalature per appoggiare sul bordo dell'arnia; la traversa
inferiore e le due laterali sono 3-4
mm più stratte di larghezza per non
rischiare di danneggiare gli altri favi
che possono avere dimensioni
maggiori per la presenza di
opercolature o di cellette da
maschi.

Le traverse superiori e inferiori


hanno 6 fori per far passare il filo di
ferro per dare resistenza alle
costruzioni.
Una volta messo il filo, si usa uno
zigrinatore per creare ondulazioni
nel filo in modo da tirarlo e renderlo
perfettamente piano.
In Italia si usano 6 fili orizzontali, i
modi per montare i fili di ferro
possono essere i più differenti, ma
grazie alle scanalature create dallo
zigrinatore, non si ha il rischio che il
favo scivoli dai fili verticali.
Il montaggio del foglio cereo avviene
scaldando il filo tramite un
trasformatore; la cera si fonde, il
foglio cereo affonda, si toglie corrente
e raffreddando il filo resta inserito
nella cera; se l’operazione non fosse
ben eseguita e il filo uscisse dalla cera, le api riparerebbero tutto con la propoli creando
un favo non omogeneo con spessore molto maggiore.

- Diaframma: è un telaino sul quale é messo un foglio di faesite per compartimentare lo


spazio in momenti poco favorevoli (inizio della primavera) in modo che le api debbano
garantire il microclima solo nella parte da loro usata, così da consumare meno risorse.
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Il diaframma viene spostato man mano chela famiglia si sviluppa fino ad eliminarlo.

- Nutritore: sono utilizzati per fornire alle api un’alimentazione stimolante, di soccorso o
per ricostituire le scorte; può avere differenti forme, può
essere a tasca (tipo un diaframma), da soffitta, all’uscita
del all’alveare.
Il nutritore a tasca funziona tipo un diaframma per diminuire
il volume dell’alveare e se si ha una piccola famiglia che ha
bisogno di essere aiutata, all'interno si riempie di sciroppo
di zucchero, con un galleggiante per non farle annegare.

- Rete escludi regina: sono reti metalliche, con fessure di


circa 4 mm che consentono il passaggio delle sole api operaie, costituite da una serie
parallela di tondini d’acciaio. Viene posizionata tra melario e alveare con i favi della
covata.

- Melario: si usa per stoccare il miele e per evitare che l’ape regina depositi uova si
posizionerà una rete escludi regina. Nel melario i telaino non saranno 10, come
nell’alveare ma ne vengono messi meno e più distanziati; in questo modo, costruendo le
cellette, le api le faranno più sporgenti, in modo da risparmiare il lavoro di costruzione del
melario e di disorpecolatura. Per poter raccogliere miele in continuo e non rischiare di
perdere delle fioriture occorre avere almeno 2 melari per ogni alveare. In alcuni casi (per
l'acacia ad esempio) in anni buoni può capitare di arrivare ad aggiungere 4 melari.
Quando si deve raccogliere il melario, le api saranno ancora presenti nei favi, per
allontanarle, se si hanno pochi alveari si possono spazzolare, altrimenti si usano gli
apiscampo.

- Apiscampo: è un assicella che viene posta tra nido e melario per allontanare le api che
lo occupano e consentire il prelievo dei favi per la smielatura.
Le api sentendosi escluse dall'alveare escono e non ritornano.
Gli apiscampo vengono anche usati per togliere le api dai
melari dopo che si sono aggiunti per farli pulire dalle api
(viene fatto se non si hanno molti alveari) in modo da metterli
in autunno via puliti.

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- Griglie raccogli propoli: sono delle griglie messe sul soffitto dell’alveare, le api, per
sigillare l’alveare coprono tutto con propoli. Una volta sigillato si
può aprire l’alveare e prelevare la griglia.

- Trappola per polline: vengono posizionate sull’apertura


dell’alveare e le api tornando dalla raccolta per entrare
saranno costrette a passare in piccole aperture che fanno
cadere il polline dalle zampe raccogliendosi in un
cassettino. Attraversando il lamierino di plastica forata una
sola parte del carico viene perso dalle api e dunque
recuperato (circa il 10% delle api perdono il polline raccolto
nelle cestelle). Non si possono privare le api di tutto il
polline perché è alla base dell'alimentazione delle larve e se carente si possono
manifestare delle malattie, la perdita di carico del polline fa si che le bottinatrici
siano stimolate ed incrementare in numero in modo da approvvigionassi di più
polline per compensare le perdite della trappola.

Attrezzature in Laboratorio.
Per estrarre il miele occorre avere una dotazione di base.
• Bacinella di plastica per alimenti;
• Supporto in legno;
• Coltello a cazzuola.
Le attrezzature cambiano a seconda della quantità di favi che si devono disopercolare. È
importante lavorare in condizioni igieniche ottimali, per fare questo occorre movimentare i
melari con carrelli in inox (evitando contaminazioni del miele a causa di terra o spore), e
lavorare con supporti igienici in inox o in legno nobilitato (legno laminato con materie
plastiche), la pila di melari è bene proteggerla per evitare che giunga della polvere.

• Banchi per disopercolare: sui banchi per disopercolare si possono montare delle
disopercolatrici automatiche che sono dotate di catene o lame di plastica che tagliano
gli opercoli, qui i telaini vengono trasportati prima e dopo su rulli. Gli opercoli cadono su
uno scivolo e finiscono in una tramoggia posta sopra ad un estrattore a vite senza fine e
qui tutto il miele di cui gli opercoli sono ancora ricoperti viene estratto e può essere così
recuperato.
• Coltelli per disopercolare: sui banchi per disopercolare, se non è presente
l’automatizzazione, gli opercoli vengono eliminati manualmente. Le forchette sono usate

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in associazione alla attività della disopercolatrice qualora il favo avesse delle cavità non
colpite dalle lame della macchina automatica..

• Smielatori: una volta che i favi sono stati disopercolati si usano delle centrifughe
chiamate smelatori o smielatori, essi sono fatti da cilindro di inox il cui fondo è ad
imbuto rovesciato e nella parte centrale è collegato un perno al quale si può collegare o
un meccanismo di rotazione manuale oppure un motore elettrico; nel cilindro è presente
una gabbia che permette di posizionare i telaini in vario modo, il modo più consono è la
disposizione dei telaini a raggio di bicicletta.
I telaini devono essere messi con la traversa superiore verso l'esterno in quanto le
cellette in base alla loro angolazione di 9-14° risultano rivolte verso l'esterno e poi la
gabbia è messa in rotazione che genera una forza centrifuga e il miele viene sbattuto
contro le pareti del cilindro.
Inizialmente la velocità di rotazione sarà più bassa in modo che le cellette si svuotino
parzialmente poi per estrarre il miele residuo si aumentano i giri al minuto, un ciclo di
smielatura normalmente dura 20 minuti tra la fase di accelerazione, la fase di
accelerazione veloce e la fase di arresto. Non si può smielare a massima velocità fin
da subito perché la massa di miele imporrebbe sollecitazione troppo alta al favo e
ne causerebbe al rottura.
La smielatura viene effettuata ad almeno 25 °C in modo che la viscosità del miele sia
inferiore ed esso esca più facilmente. Il miele si recupera nella zona inferiore e poi esce
dai rubinetti a taglio.
Gli smielatori possono essere smielatori tangenziali in
cui i favi sono posti come una tangente, si usavano questi
smielatori per i favi da nido. Siccome nei tamburi normali
non si possono mettere i favi da nido in quanto avrebbe
avuto un raggio troppo elevato si usano tali tipi di
smielatori.
Gli smielatori tangenziali sono in grado di esercitare una
forza maggiore sul favo stesso, il favo però e fragile e
smielare favi con tali macchine richiede accuratezze
speciali ecco che il favo è fissato in gabbie. Tale smielatore consente di avere un
cambiamento di rotazione e di smielare entrambe le pareti senza estrarle dalla gabbia.
Non sono più usati perché poco pratici, possono però essere utili per mieli densi.

• La gabbia Ishkovits è francese e lo si può usare sia per smielatura radiale che
tangenziale.

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• Filtri: dallo smielatore il miele esce e prima di essere messo nel decantatore viene fatto
passare nei filtri, i filtri sono necessari per eliminare le impurità (parti di api, pezzi di favo)
in quanto, quando si disopercola; si rompono gli opercoli che cadono in parte sul
bancone per disopercolare e in parte restano sul favo e quando si centrifuga il favo con il
miele esce anche la cera, le sostanze estranee al miele devono essere tolte dal miele
per poterlo vendere. Differenti possono essere i filtri:
- Filtri a parallelepipedo orizzontali: il filtro è
dotato di pareti perforate poste verticalmente, ci
possono essere più griglie ed hanno delle maglie di
dimensioni via via più piccole che servono per
eliminare le parti fisiche di impurità; il miele passa
via via nelle maglie più fini e viene filtrato, al fondo
c'è un tubo di pescaggio mediante il quale il miele
può essere pompato e spostato nel contenitore
finale.
- Filtri a gravità: con fibre in plastica, questo filtro è ottimale
per il miele fluido, hanno doppia rete, la prima a maglie grandi
e la seconda a maglie fitte, ma con mieli più viscosi, quando
si smielano mieli estivi o di montagna, che tendendo
normalmente alla cristallizzare, la seconda rete più fine si
intasa e quando i cristalli occludono le maglie il filtro non filtra
più.

- Filtri a sacco: e sono dei cilindri di rete cha hanno maglie


che non superano i 250-300 µm, tali dimensioni
consentono di ottenere un prodotto di elevata qualità
priva di impurità. Quando si versa il miele esso esce dalla
zona inferiore e quando si smiela il miele in parte
cristallizzato o con opercoli essi si accumulano sul fondo
ma avendo per tutto il sacco i fori filtranti, esso continuerà a
funzionare alzando il punto di filtraggio, una volta che tutto
il filtro è intasato, lo si può liberare muovendo il filo centrale verso l'alto, questo
sposterà le parti occludenti, spostandole sul fondo e permettendo di ripristinare la
capacità filtrante.

• Decantatori: dopo la filtrazione il miele dai filtri orizzontali si usano delle pompe pescanti
che trasferiscono il miele nei contenitori detti decantatori (i piccoli produttori lo
chiamano maturatori che in realtà non è il termine corretto, perché la legge dice che il
miele matura nei favi e una volta estratto è direttamente consumabile).

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Lo scopo dei decantatori è fare in modo che il miele divenga limpido (è torbido perché
ha inglobato aria), il miele resterà nel decantatore per un certo periodo, che dipenderà
dal tipo di miele, dal suo contenuto in acqua e dalla temperatura di immagazzinamento
(la viscosità che è influenzata da questi parametri influenzerà la velocità in cui le bolle
d’aria saliranno in superficie). Nelle condizioni migliori dovrà restare nei decantatori
almeno 10 giorni (in casi peggiori anche 30 giorni); nel periodo di decantazione è
opportuno che il miele resti chiuso perché, essendo igroscopico assorbirà l’umidità
ambientale. Se l'aria avesse una UR > del 60% l’umidità dell'ambiente di decantazione
dovrà essere contenuta perché il miele potrebbe assorbire acqua.

• Sceratrici: la cera recuperata dai vecchi favi o dagli opercoli viene sciolta all’interno di
caldaie a vapore o elettriche, sceratrici, in cui si fa fondere la cera. La cera recuperata si
può usare per fare i fogli cerei con apposite strumentazioni e stampi. La cera si
posiziona su una superficie che ha l’impronta delle cellette che imprime la sagome delle
cellette delle api. Alcuni stampi per la produzione di foglio cereo possono essere dotati di
refrigerante che consente una rapida solidificazione della cera.
Si possono anche usare degli zigrinatori a rulli controrotanti che imprimono alla cera la
forma classica del foglio cereo, qui si introduce un foglio di cera liscia e il rullo imprime la
forma delle cellette.

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Conduzione Alveari
Come visto precedentemente, passato l'inverno, in una famiglia che ha un normale
sviluppo, almeno 10000 individui sono rimasti.
Per capire lo stato di salute della famiglia, anche senza
aprire l’arnia, in modo da non raffreddare la famiglia se le
temperature fossero ancora basse, si possono studiare i
residui del cassettino di fondo.
Qui possono trovarsi tutta una serie di detriti, opercoli aperti,
alcune uova che inizialmente si perdono.
Aprendo il solo cassettino si vede lo spazio occupato dalle api, sotto forma del glomere:

In questo modo si capisce la grandezza della famiglia e se ci fossero delle malattie i cui
sintomi sarebbero visibili.

I favi nelle arnie non si possono tenere per troppo tempo (più di 5 anni) poiché ogni larva
che si trasforma in pupa e poi sfarfalla, lascia nelle cellette le mute e il bozzolo, che
diminuisce lo spazio disponibile; i favi dovranno essere sostituiti quando non si riesce a
vedere luce attraverso.
Oltre ai problemi di restringimento dello spazio, con conseguente sviluppo di api più
piccole del normale, l'accumulo di bozzoli può diventare un pericolo per accumulo di
parassiti.
Nella gestione dell’alveare sarà importante anche il momento dell’aggiunta dei fogli cerei,
che non possono essere introdotti sempre, ma nei momenti in cui le famiglie sono in fase
di sviluppo e in cui ci sono molte importazioni.

All'uscita dell'inverno, le famiglie vanno tenute sotto controllo e rifornite di scorte di cibo.

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Per ottenere famiglie idonee a essere utilizzate per le prime fioriture primaverili è utile
indurre una precoce ripresa dell’allevamento ricorrendo all’alimentazione stimolante, a
base di sciroppo, almeno un mese prima della fioritura.
Per produrre miele di acacia, che é quello con più valore, occorre fornire la nutrizione
stimolante finalizzata a produrre nuove operaie per la raccolta del miele con le tempistiche
esatte per arrivare al momento delle fioriture con un alto numero di bottinatrici (api nate da
uova deposte 40 giorni prima).

La nutrizione stimolante può essere fornita in modi differenti, un esempio è usare sciroppi
in tappi forati, i fori nel tappo sono sufficientemente piccoli da impedire allo sciroppo denso
di cadere nell'alveare e, non potendo entrare all’interno, visti i fori piccoli le api
assumeranno il cibo con una certa lentezza, per simulare un importazione progressiva di
nettare, che stimola la regina a deporre uova.

Come detto, per avere un alta quantità di bottinatrici, la nutrizione stimolante deve
avvenire almeno 40 gg prima della fioritura interessata.
I nutritori non possono mai fornire alle api cibo per tutto il tempo, anche quando è presente
nettare da fioriture abbondanti, altrimenti le api non lo userebbero per nutrirsi ma lo
immagazzinerebbero come miele (vietato per legge).

Altre tecniche per conferire nutrizione stimolante é l'uso di canditi (zuccheri a velo e acqua
o miele e acqua), nel periodo invernale si usano
prodotti solidi in forma di candito, per limitarne il
consumo in modo che le api si possano nutrire più
lentamente e defecare all’esterno dell’alveare quando
la giornata è abbastanza calda da permettere l’uscita
dall’alveare (T>10°C).
L'obiettivo é di arrivare in estate con l'intera arnia
occupata (10favi) con la regina che allarga la
deposizione fino a riempire l'intero favo di covata.

Nella parte superiore dei favi le api stoccano inizialmente il miele nel cosiddetto
melarietto.
Quando la colonia si allarga il miele viene o usato o spostato nei favi laterali o nel melario;
questo fatto deve essere ricordato per la produzione di mieli uniflorali, quando si aggiunge
il melario bisogna essere certi che nei favi sia presente il minor quantitativo possibile di
miele, altrimenti si potrebbe rischiare che vecchie raccolte di miele vengano spostate nel
melario inquinando il futuro miele.

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Se lo sviluppo delle api fosse troppo elevato, si potrebbero avere situazioni in cui la
colonia é già perfettamente sviluppata agli inizi della primavera.

In questo caso si deve cercare di indebolire la colonia per limitare la "febbre sciamatoria"
o per fare una sciamatura artificiale.
La sciamatura artificiale può essere decisa quando non sono presenti fioriture interessanti
per dividere in due la colonia; la sciamatura artificiale si fa prelevando da differenti alveari
alcuni favi e si spostano in un nuovo favo:

prelevando 4 favi, uno di miele di riserva (A1) e 3 di covata (A5, A8,A9) facendo
attenzione ad inserirlo nell’arnia in modo che la covata resti posizionata in modo scalare.
È opportuno che i nuovi nuclei si spostino di almeno 3km in modo da evitare che le api
bottinatrici tornino nel vecchio alveare per colpa dei feromoni della vecchia regina; inoltre è
bisogna evitare di effettuare la sciamatura artificiale in periodi freddi per evitare che si
riduca il numero di api che quindi non riusciranno a mantenere il microclima di 35°C
necessari alla sopravvivenza delle api e della covata.

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Si può decidere di fare la sciamatura artificiale con meno favi, 3 favi, ma che contengano
la vecchia regina.

In linea generale gli apicoltori, anche con poche famiglie, lavorano andando a prelevare un
favo per arnia, per mantenere maggiormente in equilibrio la colonia; in questi casi si cerca
di allargare i favi con sviluppo inferiore mentre favi molto più sviluppati vengono alleggeriti
di più favi per manterli in equilibrio, al posto dei favi prelevati si inseriranno favi vuoti o con
foglio cereo.

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I favi prelevati da colonie differenti e riuniti in una nuova arnia, non lotteranno fra di loro
perché non si sentono le legittime occupanti dell'alveare, in più per anticipare i tempi si
aggiungerà la celletta reale contenente la futura regina.
Per avere prima una nuova regina si potranno acquistare delle regine che vengono
sospese in gabbiette di plastica tra i favi. Quando vengono inserite la regina non esce
direttamente in quanto tra l'uscita e l'ape c'e del candito che permette, nel tempo
necessario a mangiare il candito e aprirsi un uscita, di assumere l'odore simile alle altre in
modo che le api presenti la accettino.
Se alla fine dell'inverno o in autunno le colonie fossero misere e stentassero, é opportuno
non dare troppo spazio alle api quindi eliminare favi e mettere un diaframma in modo che
sia più facile lo sviluppo e il mantenimento del microclima.
Per agevolare lo sviluppo in più si sposta il favo più vuoto al posto del primo favo non
occupato da covata in modo da agevolare gli spostamenti di miele e dare spazio per la
covata.
Se le famiglie sono troppo deboli o orfane di regina conviene riunirle in un unica arnia.

Ciclo annuale dello sviluppo di famiglie di api


e relative tecniche di valutazione
L'alveare è considerato come un unico animale però rispetto ad altri è in continua
evoluzione.
Nella vita dell'animale "alveare" ci sono dei momenti particolari, e va osservato con
attenzione perché le interazioni con esso sono diverse nei momenti della sua vita.
È bene interferire con l'alveare il meno possibile in momenti come la sciamatura o altri
momenti particolari, perché può accadere che visitando l’alveare quando è appena
sfarfallata la regina può portare alla perdita della stessa,.
Rispetto alle tecniche di indagine che si attuano con altri animali, per analizzare le api è
necessario prelevare le api (alcuni individui della colonia), il prelievo deve esse fatto con
attenzione perché la regina può essere danneggiata e ci possono essere dei periodi in cui
non è ottimale fare dei prelievi.
Quando si interagisce con le api occorre rispettare la fase di sviluppo della colonia stessa.

In apiario sono state fatte delle prove che hanno riguardato la valutazione dello sviluppo
annuale, alcune pratiche di valutazione sono:
- Sistema dei decimi: valutazioni in apiario osservando la superficie di favo usata dalla
famiglia (si considera che un favo sia composto da 10 dm2 non considerando le parti non

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usate). Si possono considerare dei criteri, ossia suddividere le zone del favo in dm2 ,
ottenendo così dei favi divisi in 10 parti più o meno omogenei, le 4 inferiori sono più
disomogenee però sono considerate a coppie al pari di 1 dm2 perché le zone inferiori non
sono costruite.

S si vuole valutare il favo osservandolo si percepisce la superficie occupata da covata e


in funzione di ciò si stimano le future nascite.
In pratica si osservano i dm2 occupati da covata e si stima il numero di api che
sfarfalleranno in un certo periodo, in tal modo si da una variazione dell'andamento della
colonia. Le prime volte per facilitare l’operazione di compartimentazione del favo in
porzioni omogenee, si usa un telaino con una griglia in filo per delimitare i dm2.

Con tale osservazione si individuano le celle di covata femminile, maschile, le celle del
melarietto e del polline.
Questa è la valutazione della forza della famiglia ossia quante probabilità ha la
famiglia di sopravvivere, quanti api adulte ci sono. Le api adulte sul favo possono stare in
numero pari a 156 api/dm2, in funzione di ciò occorre prevedere se c'è lo spazio
sufficiente per le api nascenti (in modo che non decidano di sciamare.

- Il sistema dei sesti: questo è l’unico sistema riscontrabile in bibliografia mentre quello
dei decimi, adottato dall’università, non è ancora stato reso pubblico.
Il sistema dei sesti prevede la suddivisione del favo in 6 parti però le parti superiori sono
composte da dei favi omogenei mentre la zona inferiore possiede porzioni di favo meno
omogenee a causa delle zone non costruite, inoltre tale metodo è molto più difficile da
usare perché è più difficile calcolare la distribuzione della api su 6 porzioni così ampie.

In pratica grazie alla osservazione del favo si possono individuare:

• Celle da covata femminile;


• Celle da covata maschile;
• Celle con miele nei favi da nido (melario);
• Celle con polline;
• Api adulte presenti sul favo;

• Numero di celle reali in periodo sciamatura;


• Numero varroe cadute: è importate ma occorre correlare il numero di varroe in
funzione del numero della popolazione di api.
Inoltre nell'alveare si possono valutare:
• Temperatura;
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• Umidità: mediante dei sensori a bottoncini, messi nelle gabbiette da regine e
sistemati nello spazio di interfavo, e si sono osservate la T e UR esterna e in
funzione delle piogge.
• Si è inoltre monitorato il peso delle famiglie con l’uso di bilance su cui erano
dislocati gli alveari.
Nell’apiario dell’università, sono presenti sottovasi pieni di acqua, sotto i blocchi
che sollevano gli alveari, per evitare che le formiche salgano nei cassetti di fondo e
portino via le varroe, in modo da poterle contare.
La porticina degli alveari ha due posizioni, se la popolazione è numerosa si mette
l’apertura maggiore, quando la popolazione è elevata le api si trova anche fuori
dall’alveare e sul predellino di volo. Quando le api aumentano in un numero molto elevato
occorre immettere un melario anche solo per dare spazio alle api, altrimenti le api
potrebbero andare in sciamatura.
Le valutazioni non vanno fatte in un solo momento della giornata, ma si deve osservare lo
stesso favo in momenti diversi della giornata; osservando un favo si noterà che nelle ore
centrali ci saranno meno api rispetto alla mattina presto, questo si verifica perché le api
sono andate a bottinare mentre la mattina sono sul favo.

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Allevamento regine
Le nuove regine sono ricercate affinché abbiano determinate caratteristiche :
- docilità;

- produttività di uova;
- capacità di tenuta dell'alveare: in modo che le api siano più legati alla regina.
Le celle reali si possono dividere in:
- Celle di sciamatura: se la famiglia vuole sciamare, le operaie creano le celle reali che
possono essere sostituite in nuove arnie, moltiplicando così la colonia. Con questo
metodo, però, si potrebbero selezionare geneticamente delle api che siano più propense
alla sciamatura. Le celle da sciamatura sono presenti in primavera, é il modo di
riproduzione della famiglia, queste celle reali, usualmente sui bordi del favo, sono
numerose 6-8 o più, ben formate e distaccate dal favo.
- Celle di sostituzione: le celle di sostituzione sono quelle che vengono costruite quando
una regina non è ritenuta abbastanza forte, queste non indicano la sciamatura. Le celle
di sostituzione vengono erette per sostituire una regina vecchia o difettosa, sono poche 1
o 2 molto grosse ben distaccate dal favo, posizionate anche nel centro di questo.
- Celle di emergenza: le celle di emergenza sono erette in caso di morte inaspettata della
regina o di orfanità ( anche provocata ), sono più piccole, alcune volte attaccate al favo,
numerose 3-6.
- Celle artificiali: quelle che sono indotte dall'uomo per creare regine.

Tecniche di allevamento delle regine


• Naturale: si prendono le regine che si trovano nella prima colonia che è entrata in
febbre sciamatoria.
• Orfanizzazione: se da una colonia si toglie la regina
per metterla in un altro nucleo con 2-3 favi, l'alveare
orfano tende ad allevare celle reali di emergenza che
andranno poi gestite.

Si possono formare piccole colonie separando con


un diaframma una arnia, lasciando nella parte orfana
2 telaini da covata (con covata con meno di 3 giorni)
ed 1 telaino di miele. Le api produrranno celle reali
che si potranno prelevare per formare dei nuclei nei
quali le introdurremo, dopodiché se non la
produzione di regine è terminata si toglie il diaframma

72
e si riuniscono i 6 favi lasciando loro una cella reale o una regina. Con questa tecnica,
usando una sola arnia divisa in due, e spostando le celle reali opercolate in 4 alveari, si
possono moltiplicare le arnie.

• Metodo Miller: consiste nell’inserire nel telaino pezzi di fogli cerei con una estremità a
punta, questi fogli cerei vengono messi in un nido in posizione centrale, le api
costruiscono i favi e nelle cellette la regina deporrà le uova, dopo 5-7 giorni gli apicoltori
preleveranno i favi che conterranno delle larve di 24-36 h (ossia dell’età giusta per
trasformasi in regina). Queste porzioni di favi vengono rifilati con una taglierina poiché
nelle cellette più esterne la regina non depone, nella zona centrale invece si troveranno
larve con 12 ore di vita.
I favi rifilati sono messi in alveari orfani, qui, osservo Miller, le api costruiranno le cellette
reali come avviene in natura ossia nella parti periferiche, ed essendo il favo ritagliato,
sarà in una zona più agevole per essere recuperate, dopo essere state opercolate, per
poi essere messe, prima dello sfarfallamento, negli alveari d’interesse.

• Metodo Hallen: non prevede il trasferimento delle larve, si ottengono delle celle reali
prendendo un favo ed osservando lo stadio di sviluppo della covata disopercolata ed
individuando delle porzioni di favo da nido che contengono giovani larve, larve di prima
età. I favi poggiati su un tavolo vengono tagliati a strisce non più larghe della larghezza
della traversa di un telaino e poi le strisce vengo saldate su un una cornice e vengono
selezionate. Si lascerà una celletta con una larva e se no toglieranno 2 o 3 adiacenti ad
essa, si allarga la celletta che contiene la larva e poi le strisce di favo incollate sulle
traverse sono messe in un alveare orfano, è come se si facesse un trasferimento in una
famiglia orfana di larve della giusta età per diventare regine.

Con questo metodo si taglia il favo con le larve che si spostano prima che si trasformino
in regine.
Le api presenti nell’alveare in cui è stato inserito il favo ricostituito da larve giovani
costruiscono dei cupolini in corrispondenza delle cellette che contengono la larva e
costruiranno delle celle reali.

• Metodo Doollittle
Comporta un trasferimento di larve di massimo 36h prelevate nei favi da nido (ossia da
operaie) in cupolini artificiali. Quando le larve sono nei cupolini essi vanno introdotti
nella colonia con il senso di orfanitá, sciami orfani, famiglia orfana, famiglia con regina
con scomparto orfano indotto dall'apicoltore.

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Introducendo i cupolini, le giovani operaie accumulano molta pappa reale, e poi può
seguire il finissaggio o l'incubazione nella famiglia oppure le si può inserire in altre
famiglie con le stesse caratteristiche. Ossia si possono mettere i cupolini in una
famiglia e poi ci può esser un trasferimento in altre famiglie per terminare il ciclo di
allevamento, ma di solito l’intero ciclo viene condotto in una sola famiglia ospite.
Metodologia:
1. L'apicoltore deve prelevare i favi da famiglie che hanno le caratteristiche ricercate: la
produttività, la docilità, la tenuta del favo, la resistenza alle malattie, l’adattamento
all’ambiente.
Quindi quando l'apicoltore ha deciso le caratteristiche che deve avere la sua colonia
di api, deve prelevare un favo con covata fresca con larve di prima età e uova
fresche, occorre fare attenzione a prelevare la larva perché è molto delicata. Per
allevare le larve da sfruttare per ottenere delle regine, gli allevatori usano favi vuoti
che inseriscono, nelle famiglie dalle quali intendono prelevare le larve circa 5 giorni
prima, nel centro dell’alveare.

2. Si preleverà la larva di 12-36 h con strumenti di Picking in plastica o acciaio, e la


si introduce nel cupolini di cera avendo l’accortezza di non danneggiarla (se ciò
avvenisse le api nutrici non la alleverebbero).
I cupolini sono allestiti su delle traverse di
legno con una base di cera su cui si colano i
cupolini, la cera serve per prelevare la cella e
si ottiene un supporto facile da manipolare.

3. Le traverse son poi capovolte (pur capovolgendole le larve non cadono perché la
pappa reale le tiene adese fungendo da collante) e messe in un telaino porta
stecche con scanalature laterali (la numerosità varia a seconda che si faccia un

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allevamento di regine per produrre pappa reale o regine), se si producono regine
occorre mettere al massimo 20-30 cupolini per famiglia, se si vuole produrre gelatina
reale occorre mettere molti cupolini per fare produrre poca pappa reale ma in molti
cupolini.
4. Si preparano delle batterie di stecche lavorando in un ambiente caldo con una buona
umidità per evitare la disidratazione delle larve, l'allevamento delle regine si fa in
maggio per evitare i salti termici perché le api non alleverebbero le regine se le
condizioni ambientali non fossero stabili.

5. Dopo aver fatto ciò occorre inserire i cupolini in una alveare orfano, ad esempio si può
sfruttare la arnia a cassone che ha la parte centrale divisa dalle laterali mediante una
rete escludi regina.

Negli scompartimenti laterali ci sono due famiglie con regina, e nella zona centrale
sono presenti dei favi che
contengono covata che sta
sfarfallando e sono prelevati
dagli alveari degli
scompartimenti vicini, i favi da
laterali li si mette al centro e si
ha una popolazione di api
giovani e nella zona centrale si
mette il telaino porta cupolini.
Le api giovani alimenteranno
le larve sane inserite nei
cupolini.

La parte superiore del telaino


porta cupolini è composta da
un nutritore a tasca perché
occorre che durante
l’inserimento del telaino la
parte centrale sia alimentata con sciroppo per dare cibo in caso l'ambiente non fosse
favorevole.
Nelle cellette accettate, le api allungano i bordi e li assottigliano, poi le nutrici
approvvigionano le larve di cibo. Quindi le api opercolano le celle reali.

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6. Una vota che si hanno le celle reali “mature” (14,5 giorni), le si deve collocare in modo
da indurre lo sfarfallamento delle regine. Alcuni allevatori tolgono le celle reali al 10
giorno in quanto sono già opercolate, non è più necessario che le celle reali restino
altro tempo negli alveari di allevamento, e in più togliendole si liberano degli alveari
che possono allevare altre api regine. Le si toglie e le si mette in incubatrice con le
condizioni ottimali allo sviluppo simili a quelle dell'alveare e resteranno li fino al 14,5
giorno.

È importante comunque che le celle reali al 14,5 giorno vengano tolte perché se le
si lasciasse di più, gli alveari percepirebbero le regine in nascita e tenderebbero
a sciamare, pur con la rete escludi regina le regine delle zone laterali percepirebbero
le regine in sfarfallamento e tenderebbero a sciamare.

Dopo tutto ciò si ottengono delle celle reali mature che devono essere introdotte in alveari
in cui, sfarfalleranno e poi andranno in accoppiamento, gli alveari possono essere di vario
tipo e di diversa popolazione ma, dovendo accettare la regina, è necessario che siano
orfani.

Le celle reali vanno messe in una colonia orfana che necessita della regina, le api
orfane l’accettano ma occorre prendere qualche precauzione, ossia è bene proteggere la
cella reale matura mediante gli appositi contenitori in plastica. La regina sfarfalla e poi
dovrà compiere degli atti che la rendono fertile.
Gli apicoltori usano delle piccole colonie per inserire la regina, ossia 1-2 favi da nido in una
arnia prendi sciame più la cella reale in fase di sfarfallamento. La maggior parte delle volte

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però si usano delle arnie divise in due con una apertura per lato, sono colonie piccole con
all’incirca 1000-1500 api.

All'interno dei nuclei di accettazione la regina esce dalla cella reale e farà poi dei voli di
orientamento, andrà al volo di accoppiamento e poi deporrà. L'accoppiamento deve
avvenire entrò 3 settimane e se ciò non avvenisse a causa di tempo avverso, quella
regina non sarà da considerare di qualità. Tanto più veloce è l'accoppiamento e la
deposizione, tanto migliore sarà la forza della regina.

Sono diverse le operazioni che si potrebbero adottare in tale situazione:


• Il nucleetto di polistirolo (Apidea) si sfrutta per delle piccole colonie su 3-4 favi, che
sono sufficienti a dare sostegno alla regina perché
essendoci le api nutrici garantiscono
l'alimentazione della regina, ciò è importarne per
costituire il nucleetto.
Con i successivi cicli, i nucleetti vengono
riutilizzati perché una volta tolta una regina
feconda si riusano per accettare una nuova cella
reale e per costituire così un altra famigliola.
La qualità della regina dipende da come viene
alimentata da larva e come viene alimentata da adulta dalle api nutrici.

• L'allevamento è fatto in zone in cui la temperatura deve essere stabile sui 18 °C per
qualche giorno, almeno 4 ore al giorno, da noi solo all'inizio di maggio si manifestano
tali condizioni.
• Si devono prevedere dei nucleetti e bisogna popolarli con api, per farlo si scrollano
delle api adulte da famiglie popolose (si può usare la CO2 per addormentare le api) si
prelevano 1-2 contenitori di api e si versano le api addormentate nelle gabbiette.
Le gabbiette possono essere tenute in un locale refrigerato per alcuni giorni perché
quando si parte da nucleetti privi di regina con api adulte prese da altri alveari, esse
una volta messe in posizione tenderebbero a disperdersi perché non hanno ancora
preso coscienza della loro nuova sistemazione.

A volte il popolamento viene fatto seguire all'inserimento della cella reale (si mette la
cella reale, poi le api adulte, poi si mantiene a bassa T e poi si mette in campo).

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Al 16 giorno avviene lo sfarfallamento e la regina taglia la parte inferiore della cella reale
lasciando il discetto appeso da un lato, per cui quando c'è una cella reale in cui l'opercolo
è presente ed attaccato si è sicuri che da quella cella sia sfarfallata correttamente una
regina.
La regina dopo che si è accoppiata si sviluppano gli ovari e la regina inizia a
deporre e sarà assecondata dalle api della corte.
Ci sono differenti modi per indicare la
situazione della regina nell'arnietta (fa
riferimento alla disposizione dei sassi
sopra gli alveari dell’apiario.

L'apicoltore dovrà poi verificare che la regina sia idonea perché è feconda e depone, tanto
più le celle di covata sono vicine, tanto maggiore è la rosa di covata tanto migliore sarà la
regina. E’ bene osservare il favo per percepire la presenza delle regine anche solo
individuandone le uova.

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Le regine hanno un aspettativa di vita di 5 anni e per tale motivo a livello internazionale è
stato adottato un codice colore (azzurro, bianco, giallo, rosso, verde), ecco che quando
una regina nasce è opportuno colorare il torace della regina con un colore oppure incollare
un dischetto sul torace della regina sul quale sono riportati dei numeri progressivi che
danno indicazioni anche sulla provenienza delle regina in modo da conoscerne la
discendenza, questo perché alcune regine hanno un pedigree e tanto migliore è, tanto più
elevato sarà il prezzo delle regine che va da 9 € a oltre 40 € più IVA.

Il posizionamento del disco di colore favorisce l'individuazione della regina da parte


dell'apicoltore ed è bene marcare le regine dopo che si è constatato l’inizio della loro
deposizione.
A seconda del colore del dischetto di vernice applicato sul torace della regina si ottengono
le seguenti informazioni:

• Azzurro: è sfruttato per le regine che nascono in anni che terminano con il 0-5;
• Bianco: è sfruttato per le regine che nascono in anni che terminano con il 1-6;
• Giallo: è sfruttato per le regine che nascono in anni che terminano con il 2-7;
• Rosso: è sfruttato per le regine che nascono in anni che terminano con il 3-8;

• Verde: è sfruttato per le regine che nascono in anni che terminano con il 4-9.

Quando si visita la colonia si ha subito un idea della età ella regina e ciò è importate
perché le regine sono efficienti per i primi due anni di vita. Delle regine che arrivano al 3°
anno solo il 20-30% mantengono idoneità per l’allevamento in modo professionale. Ecco
che l'allevamento delle regine si è sviluppato perché consentono anche ad un apicoltore
che non può allevarsele, di poterle acquistare inserendole nei suoi alveari avendo
continuamente delle regine performanti.

Se si aprisse una colonia in questa primavera (2013) e si trovano delle regine bianche
occorre sostituirle in quanto avrebbe già tre anni.
Le regine di cui si è verificato la fecondità si usano per sostituire regine vecchie,
ecco che l'apicoltore può sfruttare metodi per riprodurre le regine. Le regine vengono
prese da un nucleo di accoppiamento (i nuclei di fecondazione in realtà sono di
accoppiamento) e poi sono introdotte in gabbiette da regine in plastica che hanno due
parti, una parte della gabbia ha 4 pareti traforate alte 10 mm ed un altra parte ha pareti
piene in cui si mette del candito.
Il candito che sta nella parte inferiore della gabbietta è messo in corrispondenza di una
apertura che sta in basso, l'apertura è dotata di un pezzo di plastica rimovibile che si
elimina al momento di inserimento del contenitore con regina nell’alveare orfano.

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Le gabbiette con regine sono messe in cartoni in cui ci sono dei sistemi di ancoraggio per
mantenere separate fra loro le gabbie e ciò permette l’aerazione ed evita il disturbo che si
manifesterebbe se le gabbiette fossero in unico blocco. Non va bene assemblare le
gabbiette una vicina all'altra perché le regine sentendo le rivali emettono un continuo
richiamo verso le altre come se dovessero sopprimere le rivali.
Le gabbiette sono poi messe negli alveari e il tempo necessario alle api dell'alveare ed alle
accompagnatrici per consumare il candito è necessario per omogeneizzare l'odore di
famiglia. La regina dopo che è uscita potrebbe non essere più presente perché magari è
stata eliminata dalle altre api che ne hanno percepito dei difetti, il rifiuto può anche
avvenire per immissione non idonea della regina nell'alveare.

La regina dopo che si è accoppiata sviluppa degli ovari composti da ovarioli, ognuno può
produrre 3-5 uova al giorno; da studi è emerso che gli ovarioli delle regine acquistate in
estate sono in minore numero.
L'efficienza della regina dipende dal numero degli spermatozoi conservati nelle trachee
della spermateca (la spermateca contiene fino a 7 milioni di spermatozoi). Alcune volte
può capitare che delle regine abbiano delle spermateche con anomalie, oppure possono
essere prive di spermateca.
La spermateca contiene la ghiandola della spermateca che secerne un liquido che
permette di conservare lo sperma.
Ci sono degli studi che mostrano che gli ovari non sempre sono ben sviluppati e sono
magari solo 90 invece di 400; le situazioni di malformazioni derivano dall’allevamento delle
regine nel mese si luglio in cui essendoci poche riserve di cibo determinano scarsità nella
alimentazione della regina, ecco che si da cibo di sostegno ai nuclei orfani che
alleveranno i cupolini.

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Costituzione di nuclei e pacchi d’ape
Nell'attività apistica oltre ad allevare le colonie può essere necessario fare altro come la
preparazione di nuclei e pacchi d'api.

- I nuclei sono delle colonie su 5-6 favi e sono il modo con cui si inizia l'allevamento di api,
chi inizia o trova degli sciami o acquista dei nuclei. I nuclei hanno della covata e delle api
adulte che garantiranno la T di allevamento della covata, la T di allevamento della covata
è fondamentale e se la T non è idonea la vita della api si riduce molto.
I nuclei possono essere fatti in diverso modo:
• normalmente si parte da una colonia ben sviluppata e poi si prelevano alcuni favi in
modo di mantenere una regolarità dell'andamento della covata in modo che le api la
possano riscaldare bene.
• Si potrebbe anche prelevare direttamente la regina, nel caso in cui si prelevano solo
i favi, i nuclei possono essere lasciati al loro destino allevando regine da larve di
giovane età, mentre negli altri casi dopo aver formato il nucleo si addizionerà o una
cella reale opercolata o la regina feconda ed è la situazione ottimale perché
permette di ampliare più rapidamente la famiglia.
• Si possono anche prelevare i favi da più colonie e con essi si realizzano dei nuclei,
da un apiario con molte colonie anche solo per evitare che le colonie vadano in crisi
di spazio, si prelevano dei favi e con tali favi in eccesso, sostituiti con fogli cerei o
favi vuoti, si realizzano dei nuclei.
• Ad esempio si può costituire un nucleo con un favo con riserve, uno con covata, un
foglio cereo ed un diaframma e poi si metterà o una regina feconda o una cella reale
nell'interfavo.

Quando si vuole mettere una regina in una colonia è opportuno fare in modo che i
nuclei percepiscano l’orfanitá, si crea dunque il nucleo e si lascia 24 ore, si fa una
visita e si eliminano in cupolini che le api hanno ottenuto da larve giovani in quel periodo,
se accade ciò significa che le api percepiscono l’orfanitá e si metterà così la gabbietta
con la regina, togliendo lo sportellino inferiore.

Dopo qualche giorno si visitano le colonie e estraendo un favo si nota la presenza della
covata, se così è significa che le api hanno accettato la regina.
I nuclei di polistirolo possono essere dotati di melario e ciò può essere necessario
quando si formano dei nuclei precocemente nella stagione, per poter dare altro spazio di
deposizione alla regina, evitando che le bottinatrici intasino i favi da nido con miele. Se la
regina non ha spazio per deporre perché le api hanno riempito di miele, non ci saranno
le api giovani che sostituiscono le api vecchie che muoiono.

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- Pacchi d'ape: sono una tecnica inventata nell'inizio ‘900 negli USA e hanno avuto solo
successo dalla metà del ‘900.

I pacchi d'ape sono come uno sciame ossia un contenitore in cui sono presenti delle api
adulte in cui si può mettere la regina o un feromone sintetico (chiamato BeeBoost) che
mima la presenza della regina.
Per crearlo si necessità di alveari popolosi con regine giovani, gli alveari sono stimolati
con buona nutrizione autunnale e nutrizione stimolante in primavera per avere alveari
forti.
Gli alveari si aprono e si individua la regina e si lasciano nell'alveare i favi che non si
voglio usare ossia quelli con la regina.
I favo ricoperti di api sono scrollati in imbuti e fatti cadere nel contenitore.
Le api possono anche essere prelevate dal melario e quando lo si vuole fare si mette del
fumo dalla porticina in modo che le api vadano li è poi il melario è messo in supporti ad
imbuto e scrollato o soffiato e le api sono raccolte nella scatola di sotto. In alcune
situazioni si possono usare delle
macchine spazzolatrici.
Si può anche usare un imbuto inclinato
che serve per ridurre la fatica
dell'apicoltore nel posizionare il favo
nell’imbuto stesso, si soffia e si
recuperano le api.
Occorre introdurre in una gabbietta
1-1,5 kg di api ossia 15000 api. Nella
scatola si hanno dei lati di compensato
e le pareti maggiori fatte di reti in nylon o metallica (quella metallica da maggiori garanzie
anti smagliatura, ossia evita che le maglie della rete si aprano dando varchi che fanno
uscire la api), le scatole utilizzate sono dotate di un foro che serve nella fase iniziale per
introdurre le api, una volta che le api sono nella gabbia occorre introdurre un
alimentatore (vaso in vetro da miele
ricco di sciroppo denso e si fanno dei
fori sul coperchio e lo si capovolge e
funge da nutritore a depressione) lo
sciroppo non cola ma le api possono
assorbire lo sciroppo, lo stesso
risultato si può ottenere con barattoli
di metallo con tappo pressione e sono
adatti quando le api devono restare
nel contenitore per più giorni potendo rabboccare il barattolo. In alcuni casi sono stati
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usati come nutritori fatti con bottiglie di plastica forate nella zona superiore e dotate di
spugne in modo che le api vi entrino e si cibino di sciroppo.

L'altro foro a sezione rettangolare viene usato quando si dotano i pacchi d'ape di regina
(inizialmente i pacchi d’ape erano con la regina ora si formano anche senza regina e si
mette del feromone sintetico per mantenere il grappolo d'ape).
Il vantaggio nell'usare un contenitore con vaso di vetro è che è semplice da creare
ma lo svantaggio è che non è impilabile perché sporge. Un altro svantaggio è che il
vetro è fragile e si può rompere allora lo si può usare per brevi trasporti.
Siccome occorre mettere 1,5 kg di api nel contenitore si pesano le api nel contenitore
dopo aver fatto la tara. Siccome le api in condizioni di allarme si riempiono l'ingluvie
occorre mettere un 10% in più di api visto che subiranno un calo peso.
Se si devono spedire molti pacchi occorre
che i pacchi siano assemblati a blocchi di
cinque distanziati fra loro per dare aerazione.
I pacchi d’ape devono essere trasportate su
camion telonati per non danneggiare le api.
È bene racchiudere il tutto, ossia i diversi
contenitori, con reti anti-insetto sopratutto
quando si passa in centri abitati perché
alcune api potrebbero sostare all'esterno
delle arnie. Se i pacchi d’ape non si
spediscono subito i contenitori devono essere gestiti mantenendoli a T ridotta.
La tecnica è nata negli stati unti con l'esigenza di ripopolare le famiglie di api soprattutto
del Nord America e del Canada, infatti le api partono dalla Florida o California e vengono
spedite altrove, le api sono spedite con camion o con mezzi aerei.

Quando i pacchi d'ape arrivano a destinazione si aprono, si toglie il barattolo e si toglie la


gabbietta con la regina e la si posiziona tra due favi o fra telaini con foglio cereo e poi
tramite il foro di uscita le api si crollano nelle nuove colonie.
L'alveare si chiude e ciò è il gioco è fatto, le api però prive di favi non hanno un
riferimento nell'alveare per cui in un apiario con alveari messi in fila si può avere una
distribuzione non omogenea delle api (perché le api escono, volano e rientrano e non è
detto che rientrino nell’alveare in cui son ostate messe), è consigliato eseguire le
operazioni di sera siccome escono poche api in modo che si assestino e prendano
posizione.
Un altro uso di pacchi d'api e il rinforzo di famiglie deboli (questa è la tecnica che si è
sviluppata per prima da noi), i pacchi d'api vengo aggiunte alle colonie che hanno poche

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api e che non riescono a svilupparsi bene, vengono aggiunte anche solo la metà delle
api del pacco d'ape, ciò permette una ripresa della colonia.

Se si popolano delle colonie l’uso di un pacco d'ape da 1,5 kg equivale alla raccolta di
uno sciame.

A seconda della tecnica che si usa e delle famiglie che si hanno, è possibile prelevare da
famiglie appositamente dedicate a ciò da 2 a 4 volte l'anno, quindi ci sono aziende
specializzate nel produrre nuclei o pacchi d’ape e non hanno l’interesse di produrre miele
ma solo nuclei o pacchi d’ape per la vendita. Siccome un pacco d’ape vale 60€ e se ne
realizzano 4 all’anno da una famiglia, si otterrebbero circa 240€ annui con tale tipo i
attività. I nuclei sono venduti a 20 € a favo senza IVA, dunque vendendo nuclei su 5 favi si
ottengono 110 € IVA inclusa.

Per poter fare queste operazioni occorrono famiglie molto popolose e in queste famiglie la
regina si sostituisce ogni anno per averla molto efficace, in modo che produca molto.

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Servizio di impollinazione delle colture
Ultimamente l’apicoltura sta svolgendo un ruolo importate a favore dell'agricoltura
conducendo attività di impollinazione di colture entomogame che richiedono
impollinazione entomofila.
Questa problematica non c'è in ambiente naturale perché ci sono naturalmente degli
insetti della famiglia apoidea che essendo glicifagi si approvvigionano di polline svolgono
già tale ruolo di impollinazione.
Nelle zone di coltivazione intensiva di alcune colture non si manifesta sempre
l’impollinazione entomofila naturale; in questi casi le api sono importanti perché
possono essere usate per sopperire alle carenze di un ambiente in cui non sono sufficienti
le condizioni naturali. Le api sono dunque usate per offrire un servizio all'agricoltura.
L’ape è coperta da peli ramificati che hanno diversi ruoli come la protezione o l’azione
sensoriale e in raccolta di nettare il corpo dell'ape si sporca di polline e passando da un
fiore all'altro diffonde il polline facilitando la impollinazione e la conseguenza la
fecondazione degli ovuli dando frutti e semi.

Questa attività è importante perché molte cultivar hanno bisogno della visita degli
insetti per garantire la produzione. Ad esempio
per la mela se non tutti gli ovuli fossero
impollinati nella stessa maniera, il frutto si
ingrandirebbe solo della zona in cui è avvenuta la
fecondazione, ottenendo così i frutti difformi
considerati come scarti, una mela così è di 3°
categoria con un prezzo al 30% di quello reale.
Tale problematica si può manifestare in piante
monoiche, invece in caso di piante dioiche (kiwi)
per produrre devono avere la presenza di piante maschili che hanno solo delle antere nei
fiori e producono solo polline, quindi per produrre il frutto occorre che gli insetti visitino i
fiori maschili e poi quelli femminili (i fiori femminili sono poco attrattivi e il polline del kiwi è
di scarsa qualità e le api individuano altre fonti di cibo più nutriente e non sempre si
rivolgono a tali fioriture).

Le api quando iniziano a bottinare si fidelizzano alle fioriture e quando iniziano a bottinare
una pianta la bottinano finché essa dà polline e nettare in quantità adeguate.
La legge quadro dell’apicoltura definisce che si può fare apicoltura anche solo facendo
servizio di impollinazione, l’apicoltore prende gli alveari e li porta nei frutteti e lo deve fare
quando i fiori sono già presenti in modo elevato per evitare che eventuali altre piante con
fioriture più attraenti attirino le api ed esse si fidelizzino su altri tipi di piante e non

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impollinino quelle volute, se i fiori voluti non sono molto presenti e le api vanno altrove e
fidelizzandosi la non garantiscono più il successo.

Gli studi fatti hanno permesso di definire le caratteristiche e le esigenze delle piante e noi
sappiamo i benefici e le esigenze derivanti dalla presenza degli insetti impollinatori:
• Il melo ottiene benefici come l’incremento della quantità dei frutti e della loro qualità, i
fiori del melo sono attrattivi ed hanno un fabbisogno di alveari per ettaro molto basso,
all'incirca 3-4 alveari per ha. Si è anche definito quando inserire gli alveari per dare
impollinazione (quando ci sono 20-25% di fiori aperti).
• Il pero ottiene benefici sulla qualità e quantità dei frutti però è una pianta poco
attrattiva e richiede un numero di alveari maggiore da 6-8 e anche qui gli alveari
devono essere introdotti quando almeno il 20% dei fiori è presente.

• L'actinidia è una pianta dioica ed è difficile da impollinare perché è poco attrattiva e


richiederebbe la presenza di 10-12 alveari per ettaro, essendo però oneroso il servizio
l'agricoltore dovrebbe spendere molto. In tale caso le api si possono mettere con solo
il 15% di fiori aperti.
• Il ciliegio grazie alla impollinazione entomofila si ha un incremento della quantità e
qualità, nel ciliegio e anche in altre piante ci sono delle varietà autofertili che non
necessita la impollinazione però non sono la totalità delle piante, il ciliegio è molto
attrattivo e si possono mettere gli alveari anche con solo il 10% dei fiori aperti.
• Il susino, qui non ci sono incrementi nella quantità di frutti perché sono piante
autofertili ma si hanno incrementi qualitativi dei frutti.

• L'albicocco ed altre piante sono autosterili quindi occorre avere un servizio di


impollinazione e diverse varietà impollinatrici.
• I piccoli frutti ed il melone sono le colture più attrattive e necessitano solo di 2-3
alveari per ettaro un numero di fiori pari a solo il 5-10%.

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Dunque gli apicoltori possono affittare le api per il periodo corrispondente alla durata della
fioritura, ci devono essere precauzioni per quanto riguarda i fitofarmaci e quindi
l'agricoltore, durante il periodo in cui ci sono api, si impegna a non trattare.
L'apicoltore porta gli alveari all'inizio della fioritura e li porta via alla fine e li mette quando
ci sono il 25% di fiori per garantire che le sue api vadano sui fiori voluti.
Occorre tenere da conto la presenza delle piante infestanti come la Veronica persica, il
tarassaco, e altro e per ottenere un buon risultato evitando la deriva delle api (ossia la loro
tendenza a rivolgersi a fioriture adiacenti non di colture di interesse) può essere
necessario trinciare il filare in modo da obbligarle ad andare sui fiori della coltura di
interesse.
Il migliore risultato della bottinatura avviene entro 250 metri di raggio dall'alveare.

Legge 313 del 2004


- Articolo 4: disciplina i fitosanitari
Al fine di favorire la azione pronuba (impollinante) delle api si sono
individuate delle limitazioni e dei divieti a cui sottoporre i trattamenti
antiparassitari con prodotti fitosanitari ed erbicidi tossici per le api sulle
colture arboree, erbacee, ornamentali e spontanee durante il periodo di
fioritura, stabilendo le relative sanzioni.
In pratica è stato introdotto in tutte le normative regionali un divieto di
trattamento delle piante in fioritura, con alcune deroghe per i trattamenti
fungicidi che va stabilito dai servizi fitosanitari locali, in periodi piovosi la
deroga è concessa.

- Articolo 9: Riconoscimento del servizio di impollinazione


Il servizio di impollinazione è riconosciuto come attività agricola tramite
questo articolo.

Esempio protocollo per il servizio di impollinazione fra Aspro miele e associazione


apicoltori
Nel 2010 prezzo di 35 € per alveare per le coltura precoci, 40 € per alveare o fioriture
successive.

Per l'actinidia o per i fiori non attrattivi per fare l’impollinazione si possono mettere le
trappole per il polline e il prezzo arriva a 60 € all'alveare. I prezzi sembrano bassi ma ad
un coltivatore che necessita di molti alveari costa molto.

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Inoltre è sconsigliato l'uso di pacchi d'ape a perdere per impollinare perché nel centro-sud
Italia si è diffusa la pessima abitudine di portare nel servizio di impollinazione delle api con
poche speranze di vita (famiglie malate o nn più recuperabili). I pacchi d'ape non sono
efficienti per l'impollinazione ed inoltre conducendo queste pratiche scorrette si rischia di
distribuire nel territorio delle api malate, con grave rischi di gestione sanitaria.
Con il protocollo stipulato il frutticoltore:
• si assume degli impegni accollandosi una corresponsabilità del 50% in caso di furto degli
alveari, il prezzi di un alveare in produzione è circa 200€.
• deve dare un preavviso di due giorni rispetto alla consegna delle api in frutteto, inoltre si
disciplina la % di fioritura che deve essere presente nel frutteto.
• L'apicoltore per esigenze logistiche tende a distribuire i suoi alveari sulle testate
dell'alveare anche se l’efficienza nell’impollinazione si ha quando vi è maggiore
vicinanza fra l’alveare ed i fiori.
• Deve collaborare con mezzi di trasporto per distribuire bene gli alveari, il frutticoltore
deve mettere a disposizione un trattore o altro per garantire lo spostamento in terreni
non facilmente agibili.
• Deve anche fare attività di sensibilizzazione dei vicini che magari tenderebbero ad
avvelenare le sue api con trattamenti non consentiti o per dispetto.
Con il protocollo stipulato l’apicoltore:
- deve garantire delle famiglie sane ed efficienti con almeno 3 favi di covata per la fioritura
dell'albicocco e le altre fioriture precoci, minimo 5 favi di covata per il kiwi ed inoltre deve
esserci un numero congruo di bottinatrici. Il numero di favi di covata devono essere
elevati perché maggiore è la covata maggiore è la bottinatura di polline da parte
delle api, ecco che se si hanno degli alveari con una buona covata le bottinatrici di
tali famiglie preleveranno molto nettare e polline garantendo una buona
impollinazione delle colture del frutteto. Occorre che la famiglia abbia covata fresca e
non opercolata, ciò spiega perché non sono sufficienti le famiglie malandate o i pacchi
d’ape perché non hanno abbastanza covata. Le famiglie dunque non dovrebbero essere
composte solo da api giovani.
- Alla fine della fioritura gli alveari devono esse rimossi tempestivamente ed il frutticoltore
risponderà degli alveari non oltre le 48 dopo l'avvertimento della rimozione degli alveari,
occorre rimuoverli perché dopo la fecondazione in frutticoltura spesso si adottano
pratiche fitosanitarie.

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Come capire se la piante hanno bisogno oppure no di impollinazione?
Occorre fare sperimentazione su una specifica cultivar.

Si prende in esame una pianta e si scelgono delle branche


equivalenti per forma e dimensione, una verrà ingabbiata con
reti per non permettere agli insetti di bottinare mentre l’altro
non saranno ingabbiati in modo che siano visitati dagli insetti.
Dopo ciò si fanno dei confronti sul numero di frutticini che si
saranno ottenuti.
Sotto si possono vedere i risultati di due test su cultivar di pere:

Così si può notare che nelle branche a contatto con gli insetti si sono manifestare maggiori
impollinazione che nei rami senza gli insetti, da qui si deduce se il servizio di
impollinazione è efficiente o no.
Si fanno anche dei confronti di qualità dei frutti ottenuti per impollinazione entomofila e non
in modo da capire se grazie alla impollinazione entomofila si possono ottenere dei frutti
maggiormente sviluppati con i semi uniformi e ben distribuiti, ciò è indice di corretta
impollinazione.
Un altro test è stato fatto sulla tonda di Costigliole con i seguenti risultati:

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Su questa cultivar si hanno poche differenze poiché è autofertile; per le cultivar autofertili il
risultato non cambia molto.

A livello industriale, i frutteti sono una


sorta di deserto biologico perché non ci
sono molti insetti (altri insetti sono
lepidotteri o coleotteri presenti casualmente)
ma gli unici che garantiscono una
impollinazione efficace sono gli apoidea,
perché sono gli unici che hanno bisogno
di raccoglier polline e nettare e fanno più
voli di prelevamento di nettare e polline.
Dal diagramma si nota che i primi
impollinanti sono le api, sirfidi ed altri
apoidei.

Nel protocollo si inseriscono linee guida sull’uso delle trappole del polline che
aumentano la efficienza, questo perché con le trappole si sottrae all'alveare una quota di
polline del fabbisogno giornaliero e le api, che vedono depauperato l'apporto di polline,
vengono stimolate per dedicare alla raccolta di polline un numero maggiore di api, ciò
garantisce una maggiore presenza sui fiori e dunque un migliore risultato produttivo.
Le pallottoline molto scure sono composte da polline di papavero ed è molto competitivo in
corrispondenza della fioritura dell'actinidia, mediante l’uso della trappola da polline si
possono ottenere indicazioni sulle piante che hanno una competizione nel raccolto e si
può valutare anche quanto le api sono efficienti. Il risultato produttivo lo si ottiene
osservando il peso del polline raccolto audio, i frutti che sono stati ben impollinati hanno
dei semi molto presenti e sono di più grandi dimensioni.

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Malattie delle api
Normalmente in una attività ci sono sia aspetti positivi e negativi, la colonia però non è
sempre in salute e ci possono essere diversi fattori che possono influire sullo stato
sanitario.
C'è una fase di deposizione delle uova, di crescita della famiglia e di decrescita nel
periodo finale della stagione.
Nella colonia però ci possono esse diversi fattori negativi che influiscono sullo sviluppo
della colonia e sul suo stato sanitario:
• Disponibilità di cibo: occorre che ci sia cibo e se la regina è giovane depone e la
famiglia si sviluppa, la disponibilità di cibo dipenderà dal luogo in cui le api sono
dislocate. Se la postazione è annuale occorre che in tale luogo vi sia una buona e
protratta disponibilità di cibo.
• Il clima: il quale influenza la bottinatura, pur essendoci condizioni di fioritura ottimali, a
causa del clima errato ciò comporta difficoltà di sviluppo, ecco che nelle condizioni attuali
si sfruttano nutrizioni di soccorso come candito in modo che non si accumuli nel melario,
mentre con lo sciroppo potrebbe accadere che le api accumulino nei favi non
sfruttandolo solo per svilupparsi.
• La genetica delle api: è importante selezionare api, è bene privilegiare api con
comportamento igienico, api produttive.
• Malattie: differenti che verranno descritte successivamente.

• Pratiche apistiche: il peggior nemico delle api è l'apicoltore, se opera senza


conoscere la biologia dell'alveare rischia di arrecare danni alla famiglia.
• Pratiche agricole: perché l'agricoltura può impattare a causa della distribuzione di
fitosanitari i quali possono incidere sullo sviluppo delle api.
Ad esempio alcune attività agricole sono dannose per l'apicoltura, ad esempio un campo
di trifoglio bianco che viene sfasciato con una falciatrice condizionatrice comporta
l’uccisione di molte più api per la velocità di avanzamento mentre con la sola falciatrice
le morti sono minori.
Le api possono anche morire di fame, si nota perché nel
favo sono messe con il capo nella celletta e l’addome
sporgente dalle cellette. Quando in un alveare ci sono dei
favi con riserve e dei favi con covata distanti da essi le api
riunendosi in glomere rischiano di non giungere alle scorte
alimentari andando in contro a morte per fame. Quando
piove molto o quando ci sono dei buchi di fioritura si può verificare la condizione di morte
delle api e se l'apicoltore non da loro del cibo di soccorso esse possono morire.
91
I fattori che agiscono sulla diffusione delle malattie.
• Sulla Breve distanza:
• Fenomeni naturali: possono essere:
• Deriva: errori che le api compiono quando rientrano all’alveare dopo la
raccolta dei campo, sbagliando alveare possono finire in alveari malati.

• Dal saccheggio quando una famiglia si ammala e si indebolisce e le api


guardiane non sono più in grado di difendere sul predellino di volo. In questa
condizione l’alveare subisce l'attacco di altri api, se le api che saccheggiano
si recano in una famiglia malata si prendono delle malattie e quando
rientrano nel loro alveare le diffondono, ecco perché le famiglie più forti
sono di solito più malate.
• I fuchi: possono diffondere le malattie perché essi hanno libero accesso ad
altri alveari nel raggio di volo di 10 km, se i fuchi provengono da una famiglia
malata o si spostano da una malata ad una sana fungono da vettori di
malattie.

• La sciamatura naturale: se si ha una famiglia malata che riesce comunque


a sciamare si ha una distribuzione nello spazio di un nuovo nucleo malato.
• Tecniche apistiche: con lo spostamento dei favi l’apicoltore se non vede o non si
accorge di avere una famiglia malata e magari prende un favo da una famiglia malata
e lo mette in un'altra famiglia o in un nucleo esso diffonde le malattie. In caso
accadesse ciò si moltiplica il fenomeno di malattia.

• Grande distanza:
• Nomadismo che consente nell’inseguire le fioriture nel corso della stagione e lo
spostamento di alveari non sani può portare al contatto di altri alveari sani
diffondendo le malattie.
• Commercio di api vive diffondendo nuclei o pacchi d’ape si possono veicolare molte
malattie, in Italia viaggiano molto pacchi d’ape dal sud al nord si rischia di veicolare le
malattie su grandi distanze.

In alcuni casi le famiglie malate tendono a sciamare, ad esempio una colonia anche in
condizioni non ottimali tende a riprodursi. Quando è arrivata la varroa a inizio anni ‘90 le
colonie tendevano a produrre degli sciami molto piccoli anche in tarda stagione per trovare
una salvezza.

92
Le cause predisponenti e scatenanti:
• La qualità della nutrizione: quando il cibo è carente l'organismo non si difende bene;

• L'età delle api;


• La razza o il ceppo: alcune api sono più o meno resistenti geneticamente.
• La competizione intraspecifica: capita quando in un territorio ci sono animali che
sfruttano le stesse risorse, quindi un sovraccarico di popolazione può creare problemi di
disponibilità di cibo;

• I predatori che attaccano le colonie;


• Lo sfruttamento apistico: legato alla competizione ed occorre tenere su un territorio
un carico di alveari proporzionato alle risorse nutritive.
• Il clima: tempo brutto prolungato;
• I prodotti chimici: provenienti da trattamenti fitosanitari o dall'inquinamento sono molto
pericolosi in alcuni ambienti, si possono avere dei fenomeni acuti che si vedono quando
si presentano anche con elevata mortalità, ma ci possono anche essere fenomeni
cronici legati ad effetti sub letali, ad esempio se si accumula polline con prodotti
fitosanitari in dosi tali da non uccidere l’organismo ma di indebolirlo.

Il grafico mette in evidenza la


durata di vita delle api in giorni a
seguito della disponibilità di
polline oppure all’assenza di
polline, quando le api hanno una
disponibilità di polline elevata la
loro aspettativa di vita è
maggiore, nel caso di carenza di
polline nei primi giorni di vita la
mortalità al 50% viene raggiunta
solo dopo 29 giorni di vita. Con
scarsità di polline le bottinatrici vivono meno a lungo. Se le api avessero vita media di soli
25 giorni, avrebbero 20 giorni in alveare e solo 5 gg di per bottinare. Se invece la famiglia
sta bene e le api sono sane la vita è circa di 55 giorni e ciò prolunga la bottinatura.

Relativamente al ciclo evolutivo e alla patologia si possono avere delle manifestazioni in


diversi momenti:

• Covata aperta e stadi giovanili: ad esempio la peste europea;


• Covata opercolata: si può manifestare la peste americana o la varroasi/varroatosi
93
• Covata aperta e covata opercolata: si può manifestare la covata a sacco e la micosi;
• Ape adulta: può essere colpita da acariosi, nosemiasi, amebiasi, varroasi, paralisi.
Quindi quando si osserva un alveare aprendolo occorre prestare attenzione alla covata
aperta, a quella opercolata, all’ape adulta per verificare se ci sono dei sintomi e se ci sono
in funzione degli stessi si può già effettuare una valutazione.

Le cause del contagio


• Habitat, la celletta il luogo in cui l'ape si sviluppa, le api usano gli stessi favi per più cicli
e accumulano le esuvie che fanno accumulare le spore e se si hanno favi vecchi la
situazione è più favorevole allo sviluppo di malattie.
• L’alimentazione: in passato gli apicoltori davano miele alle api di cui non conoscevano
la provenienza, ciò causava possibili diffusioni di malattie. Occorre verificare che non
provenga da api malate.
• Il contatto delle larve da parte delle api nutrici: spesso il contagio è dovuto alle api
nutrici che portano sul loro corpo delle spore oppure somministrano del cibo
contaminato,
• Le api bottinatrici: a causa dell’effetto deriva, saccheggio o contatto sui fiori possono
diffondere malattie. Ad esempio bottinatrici saccheggiatrici che entrano in una colonia
debole per rubare il miele, quando vengono a contatto con l’alveare vengono attaccate
dalle varroe adulte.

Ecco che l'apicoltore deve lavorare per gestire l'alveare, prestando attenzione all'igiene
dell'alimentazione, igiene dell’habitat ed effettuare, se necessari, degli interventi di polizia
sanitaria, che non sono a carico dell’apicoltore ma delle rispettive asl in cui gli alveari sono
posizionati.

I fenomeni che si osservano quando le cose non vanno bene sono:


• Famiglie forti che collassano dopo aver prodotto miele;
• Alveari spopolati con molte scorte;

• Mancato allevamento della covata;


• Sciamatura tardiva e sciami vaganti;
• Api morte o morenti capaci di volare nei pressi dell'alveare;
• Api nere brillanti.

94
Ad alcuni comportamenti anomali sono stati attribuiti dei nomi:
• Spopolamento o declino autunnale;

• Declino Invernale;
• Spopolamento o declino primaverile
• Mal di maggio;
• Mal nero;
• Mal della foresta;

• Malattia dell'isola di wight;


• CCD Colony collapse desorder = collasso da disordine della colonia;
• SAD = indebolimento accelerato da stress;
• DAD = immunodeficienza acquisita;
• Disturbo della colonia;

• Malattia delle api che scompaiono.

In una colonia aprendola in primavera si deve trovare un favo con covata compatta che è
indice di idoneità, ci sono delle cellette composte di miele e polline.
Quando la famiglia si accresce si occupa più spazio e con il tempo le esuvie aumentano e
si accumulano, la celletta diviene sempre più piccola e le api divengono sempre più
piccole, le api sono capaci di rigenerare il favo distruggendo le pareti delle cellette,
ricostruendole successivamente.

L’apicoltore deve sapere che allevare le api è possibile solo sotto il controllo delle ASL.

Il DPR 320 del 8/12/1954 definisce che: per malattie considerate pericolose perché danno
contagio è obbligatoria la denuncia alle autorità componenti, queste malattie sono: peste
europea, peste americana, nosemiasi, acariosi e Actina Tumida (coleottero di origine
africana) e Tropilelax (acaro asiatico non presente in Italia).

95
La peste americana
E’ causata da un batterio Gram+, Paenibacillus larvae
larvae, che colpisce gli stadi preimmaginali, se accade ciò i
favi hanno un aspetto particolare e si ritrova della covata
mosaicata (ossia celle opercolate in modo disordinato e
non regolare), gli opercoli sono depressi invece che
rivolti verso l'esterno ed alcuni hanno anche dei fori.

Oltre all’aspetto, l’infezione è riscontrabile grazie ad un


odore particolare che è definito “odore animale” (colla da
falegname).
La malattia si svolge con un contagio per la somministrazione da parte delle api nutrici di
cibo contaminato, il cibo contiene le spore e le larve non hanno nessuna anomalia e
successivamente le spore germinano, le manifestazioni patologiche sono riconoscibili solo
dalle api.
Nel passaggio da larva ad eupupa si ha la moltiplicazione di tale microrganismi ed inizia la
sporificazione e la larva diviene filante e contagiosa. Una volta distrutti i tessuti della larva
avviene la formazione delle spore e la larva filante diviene una scaglia dura marrone e in
questa fase avviene il contagio massimo. Una larva da origine a 4 miliardi di spore.
Le api quando le larve muoiono portano via i cadaveri e si contaminano diffondendo la
contaminazione sul favo. Il tutto si disecca producendo delle scaglie sottili.
Le larve colpite dalla peste americana assumono una consistenza collosa e per
diagnosticare la malattia in campo si può fare la prova dello stecchino: si apre l'opercolo,
si infila il bastoncino e poi lo si gira nella celletta, quando si estrae il bastoncino, se si
produce un filo lungo più di 2 cm si tratta di peste americana, in questo caso il bastoncino
lo si lascia conficcato nel favo, il favo lo si rimette nella colonia e la si chiude. Occorre
evitare di disperdere nell'ambiente lo stecchino contaminato.
In laboratorio si può osservare un campione di ape o di filamento al microscopio e si
notano le spore e le cellule vegetative leggermente allungate.
Le spore di Paenibacillus larvae larvae sono molto resistenti alle temperature. Per riusare
la cera di alveari colpiti da peste americana è necessaria quindi la sterilizzazione.
Normalmente si preferisce distruggere l’intero alveare con il fuoco vivo e distruggere tutta
la famiglia per evitare la diffusione. Gli antibiotici e i sulfamidici che vengono sovente
utilizzati negli alveari esercitano una azione batteriostatica (bloccano lo sviluppo
vegetativo del batterio) ma non hanno alcun effetto sulle spore che conservano tutta la
loro potenzialità distruttiva; il loro impiego prolungato porta alla selezione di ceppi
resistenti.

96
Per allontanare la malattia ma salvare le api adulte si possono scuotere i favi malati sul
nilon messo in modo che conduca le api in un alveare nuovo con fogli cerei. Quindi le api
useranno il miele nelle ingluvie, e lo bloccheranno nelle cellette come miele. Si dovrà
ripetere 2 volte questa azione per avere una buona probabilità di eliminare la peste, le cui
spore resteranno nel favo vecchio.

Per eliminare sicuramente il problema occorre distruggere il favo con il fuoco, previa
uccisione delle api tramite anidride solforosa.

Il materiale plastico si può ri-usare se vengono puliti e sanificati con soda caustica al10%.
Oppure si possono usare nuovi modi di sterilizzazioni con raggi gamma.
Per limitare la diffusione di peste americana:
- eliminare focolai
- scegliere linee che siano in grado di accorgersi subito dei sintomi prima che la malattia si
manifesti in modo da bloccare ed annullare la malattia.
Per individuare le api igieniche si uccide una parte di
covata opercolata con uno spillo o con azoto liquido. Si
misura la percentuale di rimozione delle larve morte e si
individuano così delle linee più igieniche di altre.

La peste americana presente nei paesi colorati di rosso,


forse nei gialli e assenti in blu.

97
La peste europea
Si differenzia dalla peste americana poiché i sintomi si manifestano quando la covata é
ancora non opercolata.
Il principale colpevole é il melissococcus plutonius, poi subentrano
altri microrganismi quando la larva é già compromessa.
Il ciclo di infezione ha inizio quando la larva, con meno di 48 ore di
età, viene alimentata con cibo contaminato da M. plutonius.
La condizione essenziale favorente la peste europea è uno
squilibrio alimentare (deficit di polline). Essa presiede alla
comparsa e alla scomparsa della malattia.
I sintomi evidenziabili a livello della covata aperta sono:

• covata a mosaico;
• odore particolare (di acido) più o meno pronunciato;
• larve al fondo dell'alveolo o addossate alle pareti, di colore dal giallastro al brunastro;
• presenza di scaglie non aderenti.

Mezzi di controllo per la peste europea sono:


- Distruzione delle famiglie deboli, distruzione dei favi colpiti, travaso in arnie indenni,
messa a sciame delle famiglie forti.
- Eventuale somministrazione di alimenti proteici (candito proteico).
Per questo tipo di peste è possibile il travaso della famiglia.

Distribuzione mondiale:

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Nosemiasi
È una malattia soggetta alla denuncia obbligatoria; viene provocata da due funghi,
nosema apis e nosema ceranae.

Il nosema apis colpisce il meso intestino dell'ape


adulta causando diarrea.

Le api normalmente non defecano nell'alveare


ma conservano le feci nell'ampolla rettale; la
malattia si riconosce perché le api defecano
nell'alveare.
Le spore, giungono nell’intestino dell’ape mediante l’alimentazione e, sotto l’influenza di
fattori digestivi, osmolitici e chimici, si ha l’estroflessione del filamento polare che si
fissa sulla membrana di una cellula dell’epitelio intestinale e la perfora; all’interno
della cellula avviene la migrazione di una forma ameboide che si evolve e si sviluppa
nutrendosi del citoplasma cellulare.
Si ha la distruzione delle cellule che assicurano la funzione digestiva e di assorbimento.
Alla fine si formano nuove spore che sono liberate nel lume intestinale ed espulse con le
feci.
La nosemiasi si propaga all’interno dell’alveare attraverso gli escrementi delle prime api
ammalate che contaminano per via orale tutta la colonia. I fattori favorenti la malattia sono:
- inverni lunghi e umidi;

- alternanze di periodi di bello e cattivo tempo.

I sintomi, che si possono confondere con quelli dell'acariosi, sono:


- mortalità variabile di api;
- volo perturbato, api che si trascinano al suolo, api avvinghiate ai fili d'erba;

- tracce di diarrea all’interno dell’alveare e sul predellino di volo;


- riduzione della famiglia e della covata.

Contemporanea presenza del Virus “Y” e Filamentoso (FV)

99
Amebiasi
La malattia è una micosi provocata da diversi funghi:

- Bettsia alvei (covata calcificata)

- Aspergillus flavus (covata pietrificata)

Il ciclo evolutivo ha inizio con la contaminazione delle


larve. Le spore sono l'agente di disseminazione della malattia. La contaminazione avviene
sia attraverso l'alimentazione (caso più frequente) sia attraverso la cuticola. Le spore
danno origine a un filamento (micelio maschile o femminile). Quando due miceli di sesso
opposto si incontrano c'è fecondazione e formazione di un corpo fruttifero con formazione
delle spore.
Attacca i tubuli malpighiani, attaccando il sistema circolatorio vasolacunare e provocando
cisti che bloccano questi tubuli e danno problemi paragonabili a blocchi renali nell'uomo.
I tubuli malpighiani svolgono la funzione di purificazione dell'emolinfa.
I principali sintomi riscontrabili sono:
- indebolimento della colonia;
- covata a mosaico nei casi gravi;
- presenza di mummie bianche, molli e aderenti all'interno degli alveoli;

- presenza di mummie dure, bianche o nere, non aderenti;


- presenza di mummie davanti la porticina.

La lotta alla micosi passa attraverso una profilassi spinta comprendente i seguenti punti:
- selezione di api con forte propensione alla pulizia;

- pulizia frequente dei fondi;


- rinnovo periodico dei favi;
- isolamento degli alveari dal suolo;
- collocazione degli alveari in zone soleggiate (evitare umidità).

100
Varroasi
Dovuta ad un acaro la Varroa destructor.
Essa provoca un abbassamento di attività e una diminuzione della durata di vita dell'ape
adulta. A livello della covata essa provoca
danni che vanno dalla nascita di api
malformate, indebolite, fino a causarne la
morte.

In passato non era presente ne sui nostri


ambienti ne sull'ape mellifera, ma solo
sull'ape cerana in India. Alcuni apicoltori,
per migliorare la loro ape, hanno introdotto
l'apis mellifera in India, qui la varroa ha
cambiato abitudini attaccando l'apis mellifera. L'apis cerana evolvendosi insieme alla
varroa ha sviluppato metodi di eliminazione della varroa (spulciamento da parte di altre
api).
Nella fase foretica la varroa vive sull'ape adulta. Qui perfora la membrana tra le parti
dell'addome.
Per riprodursi la varroa si introduce in cellette al completamento dello sviluppo larvale
attraverso le api nutrici e si nutrirà del cibo per la larva avanzato e dell'emolinfa della larva/
pupa.
Con lo sfarfallamento dell'ape fuoriesce dalla celletta la femmina genitrice che potrà fare
altri cicli più 3-4 femmine che sono già adulte.
Inoltre la varroa agisce come portatrice di virus (ad esempio virus delle ali che produce api
senza ali ma con moncherini).
Prima dello sfarfallamento i maschi e le femmine nate dalla varroa all’interno della celletta
opercolata si sono accoppiati, il maschio muore e le femmine di varroa che escono
saranno già fecondate e potranno ricominciare il ciclo.

Dalla covata maschile che hanno cicli più lunghi si possono sviluppare fino a 5 figlie di
varroa
Con l'arrivo dell'autunno e la covata limitata, più varroe si introdurranno insieme in una
singola celletta, quindi le api che nasceranno saranno debolissime o non nascono.
In questo modo la famiglia difficilmente riuscirà a passare l'inverno in quanto le api che
dovranno arrivare alla primavera saranno molto deboli e la famiglia morirà.

101
I sintomi della parassitosi sono:
- a livello delle api adulte:

• api morte;
• api e pupe atrofizzate;
• api adulte che si trascinano al suolo;
• abbandono dell'alveare;
- a livello della covata:

• covata a mosaico;
• larve morte accasciate alla parete della celletta,
• spopolamento della colonia con presenza di riserve sproporzionate rispetto alle
api presenti.

Valutazione della diffusione della varroa


I mezzi di lotta, sono rappresentati da metodi chimici e biomeccanici.
Nessuno dei metodi funziona al 100%, questo perché nello stesso ambiente può esserci la
presenza di più apiari, che possono essere o meno trattati dando possibili reinfestazioni.

TSTB telaino separatore trappola


E’ un telaino separato in 3 settori che viene posto nell’alveare al centro dove vi è la
maggior parte della crescita della covata. Le api costruiscono tre favetti piccoli (può essere
posto un elastico sul fondo per tenere fermi i favetti in quanto sono fissati solo all’estremità
superiore).
Viene posto una sorta di sportellino su 2 dei settori, questi sportellini vengono rimossi in
propensione per avere 3 favetti in 3 stadi di sviluppo diversi. Al 21° giorno vi sarà un favo
centrale disopercolato con larve, un favo con cellette maschili e un terzo settore con
covata alle prime settimane. Si sfrutta l’attrazione della varroa verso la covata maschile,
rimuovendo questo favo con covata maschile si asportano le varroe genitrici con la
progenie. Quando anche il 2° settore raggiunge il 21° giorno è possibile rimuovere l’altro
settore con la varroa.

102
Requisiti lotta chimica
Si sceglie questa lotta a seconda di:

• Efficacia sull’acaro;
• Selettività nei confronti dell’ape;
• No rischi per l’operatore;
• Uso di prodotti non rischiosi per i prodotti dell’ape;
• Attenzione ai feromoni di resistenza;

• Semplicità d’impiego.
Le api sono considerate animali, devono essere i servizi veterinari ad indicare i trattamenti,
gli apicoltori devono tenere un registro dei trattamenti con indicato: nome prodotto, data,
periodo di sospensione.
In Italia l’uso dei prodotti per la lotta alla varroa sono diversi, agli inizi venivano usati
prodotti acaricidi provenienti dalla lotta agli acari delle piante. Il più famoso è il flavolinate
che veniva moltissimo comprato in Francia perché costava poco.
I prodotti oggi ammessi sono:
• Api life var: sono delle tavolette che vengono spezzate e poste sulle traverse dei
telaini in modo che vi sia una diffusione omogenea nell’alveare degli oli essenziali che
lo compongono. Si impiega in estate perché servono alte T. Il periodo di trattamento è
di 4 settimane in modo che si abbia efficacia sulle varroe che “sfarfallano dalle cellette
assieme alle api adulte” nel tempo. Non ha efficacia sulle varroe ancora in covata.
Viene posta una parte della tavoletta rotta in 4 in ogni angolo dell’alveare, il
trattamento si fa senza melario perché il timolo inquinerebbe l’odore del miele.

• Apiguard: è formulato come un gel che agisce come una spugna le cui maglie si
stringono a seconda della T regolando così la diffusione del principio attivo. Questo
prodotto funziona meglio del precedente perché esso tende ad evaporare molto
velocemente alle alte T rendendo anche inospitale l’alveare per le api che tendono a
stazionare fuori dall’arnia. L’azienda produttrice consiglia di lasciare uno spazio di
almeno 5 mm nella parte superiore dell’arnia, si consiglia ed esempio di capovolgere il
coprifavo per aumentare il volume di diffusione del prodotto (il volume ottimale per
aver una buona efficacia sono 12l).

• Apivar: è una striscia in PVC impregnata di Anitraz, uso nel periodo estivo,
caratterizzato da rilascio lento e prolungato nel tempo (10 favi per 6 settimane).
Questo prodotto prima richiedeva la ricetta veterinaria.

103
Tutti e tre sono trattamenti tampone per la varroa. Il consumo e l’uso di tali prodotti deve
essere commisurato al numero di alveari e devono essere annotati nel registro dei
trattamenti.

• Acido formico: in passato sono stati usati molti acidi organici come l’acido lattico,
formico ed ossalico, questi sono stati usati perché sono una componente naturale
dell'alveare e li si ritrova anche nel miele.

L'acido formico non è autorizzato, era efficace come trattamento estivo ed


esistevano anche delle confezioni mono dose per alveare, l’acido evaporando causava
la caduta delle varroe. Anche l'acido lattico era usato perché si spruzzavano i favi e
cadevano le varroe.
Introducendo gli acidi organici si incrementa la loro quantità nell’alveare, ma essi li si
trova comunque naturalmente nell'alveare.

• Apistan: strisce di PVC messe fra il 3-4 e il 7-8 favo, sono impregnate di un piretroide
il fluvalinate e le si lasciava li anche per alcune settimane (10 di solito), molto efficaci
ma molti apicoltori non li acquistavano perché molto costosi (alcuni usavano delle
strisce di pioppo e poi vi mettevano delle miscele di prodotti contendenti fluvalinate,
però non garantisce un quantitativo preciso di principio attivo).
Il problema è che gli acari vanno facilmente incontro a fenomeni di resistenza ed in più
gli apicoltori non osservano le condizioni date dal produttore di lasciare le strisce per
max 10 settimane. Quando si mette il prodotto nell’alveare esso comincia a rilasciare
del principio attivo per uccidere le varroe e la tipologia di prodotto rilascia
gradualmente la molecola, se le strisce restano per più tempo dopo 10 settimane la
quantità di principio si riduce e le strisce continuano ad avere delle dosi subletali e non
uccidono le varroe ma se alcune varroe fossero ancora presenti o in caso entrassero
dopo, esse non morirebbero più ma subirebbero uno stimolo che porta alla selezione
di ceppi resistenti. Ad un certo punto gli apicoltori ne usavano molto perché
funzionava ma non lo toglievano e lasciandolo, le varroe divenivano super
infestanti.
• Api-Bioxal: è il prodotto più usato ed è a base di acido ossalico per cui è stata
ottenuta una autorizzazione, sono buste da 35 g sciolte in 50 ml di sciroppo e poi lo si
può somministrare in diversi modi:
• Gocciolato nella dose di 5 ml per favo presidiato dalle api, ogni confezione
serve per trattare 10 alveari. Si sfrutta una soluzione acquosa di acqua e
saccarosio 50:50, viene dichiarato un tempo di attesa per il miele di 0 giorni e il
prodotto non deve essere somministrato in fase di raccolta attiva dalle api sia di

104
nettare che melata. E’ un trattamento che si fa in estate ed è abbinato ad un
blocco della covata ed è difficile fare trattamenti senza melario perché in alcune
zone in estate si importa molta melata, ecco che occorre trattare nel momento
opportuno.
Occorre evitare di ripetere il trattamento con acido ossalico gocciolato
sulle stesse api perché è dannoso per le stesse; per evitare ciò occorre
tenere conto della aspettativa di vita delle api che si stanno trattando e trattare
nuovamente solo dopo 40-50 giorni in modo che le api non subiscano effetti
deleteri.
Occorre trattare in una giornata con sole ed occorre evitare di trattare quando fa
freddo perché si accumula umidità che è dannosa. Questo uso è idoneo per
gli amatori non per i professionisti.

• Evaporatore varrox: è un piattello nel quale vengono messi 2 g di acido


ossalico e la lamiera serve per mantenerlo orizzontale e si mette tramite la
porticina nelle colonie.
Viene effettuato in tardo autunno quando non c'è più covata e le varroe sono in
fase foretica. Si collega l'evaporatore ad una batteria e si scalda un superficie
che fa evaporare l'acido ossalico in alveari chiusi con gommapiuma per evitare
che le api escano, in modo che vengano a contatto con il trattamento.
Siccome l’attrezzatura è molto costosa, recentemente sono messi in commercio
evaporatori che usano un phon sverniciatore al quale si aggiunge un dispositivo
con serbatoio che contiene acido ossalico ed ha un beccuccio che lo fa
introdurre nell'alveare tramite la porticina.
La caduta delle varroe la si nota osservando i cassetto di fondo.

105
Valutazione della varroa in campo.
Quando si arriva in autunno con molte varroe le colonie sono perse, ecco perché è bene
fare valutazioni in campo.
• Metodo A: uso di contenitore da 200 cc per contenere 500 api, un contenitore da miele
da 1 kg con tappo forato in cui si mette la rete dei fondi delle arnie, si usa dello zucchero
a velo, un piatto ed un cucchiaio. Per prelevare le api si può capovolgere il tettuccio di un
arnia e vi si può scrollare all'interno 1-2 favi, controllando che non ci sia la regina.
Quando le api sono cadute nel tettuccio lo si inclina e si da un colpo da una lato e le api
si accumulano e poi si prende il barattolo e lo si riempie di api.
C'è una differenza di risultati a seconda di dove si prendono le api, occorre prenderle nei
favi laterali perché non ci sono le regine e si solito nei favi laterali ci sono api bottinatrici
che hanno meno varroe, la maggiore quantità di varroe la si trova nei favi centrali in cui
si sviluppa la covata su cui ci sono le api nutrici che posseggono varroe in fase foretica e
diffondono nelle cellette le varroe femmine che deporranno come descritto nella biologia
della varroa.
Una volta scrollata la quantità di api nel barattolo, le si mette nel contenitore da kg e si
aggiungono 2 cucchiai di zucchero a velo e poi lo si chiude con il coperchio con rete e
poi si fanno dei giri del barattolo per fare in modo che le api si sporchino di zucchero,
occorre lasciare il barattolo per 10 min al riparo dal sole, dopo la sosta si scrolla
delicatamente il barattolo come un salino e cadranno le varroe e lo zucchero a velo. Lo
zucchero copre le api, le varroe non sono in grado di attaccarsi bene e cadranno dal
coperchio, lo zucchero si appiccica al barattolo per effetto della umidità e del nettare
contenuto nell’ingluvie della api. Questo lavoro serve per capire il livello di
infestazione della colonia e per farlo si moltiplica il numero di varroe riscontrate
su 500 api per la forza della colonia osservata mediante il sistema dei sesti o dei
decimi.
Se gli acari superano i 25 si è già nella zona di pericolo connesso alla
trasmissione di virus da parte della varroa.
Dopo aver fatto cadere lo zucchero a velo nel piatto e le varroe, si aprono i barattoli e si
versano le api nell'alveare e si chiude rapidamente. Occorre fare attenzione a non
prelevare la regina.

• Metodo B: richiede l'uso di sacchetti di nylon, il modo più semplice è usare il diaframma
e infilarvi il sacchetto al si sotto per prelevare le api e poi ucciderle. Le api prese
possono essere messe in alcool a 70% o in acqua calda e si agita, poi si contano le
varroe ed anche qua si calcola il grado di infestazione. Le varroe cadono sul fondo e poi
occorre determinarne il numero per alveare in funzione della forza della famiglia.

106
Si calcoleranno le varroe/il numero di api per 100 e si calcola il valore %, si definisce
così in funzione di ciò il livello di gravità della situazione, se si hanno valori più del 20% la
colonia è molto a rischio.

Lo zucchero a velo può anche essere sfruttato per la lotta alla varroa in fase
foretica, si pendono i favi della colonia, li si tiene inclinati e poi li si impolvera di zucchero.
I favi inclinati permettono di non far cadere lo zucchero nelle cellette e sulle larve. Si
chiude la colonia, si mette carta bianca sul fondo ed occorre portare poi il fondo in
laboratorio e vedere se i grumi sono grumi o se sono varroe.

107
Altri parassiti della api
Acarapis Woodi
L’ acaro delle trachee ha fatto molti danni in passato e deve essere denunciato ai
veterinari.
Negli ultimi anni non si sono più manifestati dei casi sopratutto perché la malattia è stata
contrastata dai trattamenti contro la varroa perché i prodotti sono acaricidi e agiscono
anche contro questo acaro delle trachee. L'acaro vive nelle trachee e lo si trova nei rami
principali delle trachee (i rami principali delle trachee si notano staccando la parte
anteriore del torace dell’ape).
L'apparato respiratorio è costruito con trachee e tracheole mentre gli stigmi sono grandi e
l’acaro può entrarvi.
Il parassita si trasmette da una ape all’altra per contatto, in particolare dalle api vecchie
alle giovani. In corrispondenza delle pleure ci sono gli stigmi che hanno peluria e funge da
filtro, quando le api sono appena sfarfallare i loro peli sono morbidi e non contrastano
l’entrata degli acari delle trachee che possono così insediarsi nei canali di respirazione.
L’acaro depone le uova da cui si originano le larve, la infestazione continua e si può
occludere la trachea anche se gli acari sono piccoli (120-180) micron.
Le trachee malate divengono rossastre brunastre. In trasparenza si notano gli acari
all'interno delle trachee. In sezione la presenza di un certo numerosi acari interrompe il
passaggio dell'aria.
Se le api sono colpite hanno anche delle manifestazioni esteriori tenendo le ali a delta e
non in posizione di riposo longitudinalmente al corpo, quando si notano le api che
camminarono sul predellino e tengono le ali in modo anomalo è bene indagarne le cause.

108
I virus
Su apis mellifera c'è ne sono moltissimi, della paralisi cronica, paralisi lenta, paralisi
associata, paralisi acuta, virus delle celle nere della regina.
Oggi si è visto che il virus iridiscent che era solo associato alla apis cerana è stato anche
individuato sulla mellifera, anche il virus israelensis è molto pericoloso.
Tutte questi virus non erano conosciuti in passato ma è stato possibile associare alcune
malattie individuate geneticamente con delle definizioni strane manifestatesi in passato,
nei testi vecchi si descrivono fenomeni di paralisi cronica, mal nero, mal della
foresta che erano già presenti nel passato ma oggi si è in grado di diagnosticarli.
Il virus delle ali deformate e della covata a sacco sono molto gravi, come anche quello
della cella nera della regina.

Virus della covata a sacco


Colpisce le api nella fase di passaggio da eupupa a pupa, ci si accorge di anomalie nei
favi di covata con covata mosaicata e delle celle con pupe giovani e altre in cui lo sviluppo
è anomalo, se si taglia sul bordo le cellette s trovano altre larve ancora opercolate. Ciò è
dovuto ad una moltiplicazione del virus nelle larve e eupupa. Si trovano:

• Covata a mosaico;
• Larve accasciate che rimangono integre quando estratte con pinzetta, esse hanno una
cuticola rigida/tenace che contengono liquido acquoso e lattiginoso. La cuticola non è
coinvolta dalla malattia. Estraendo la larva colpita si vede nota una sorta di sacchettino
contenente liquido biancastro.

Le eupupe appena colpite non presentano la parte iniziale della costruzione toracico-
addominale, da ciò è facilmente riconoscibile la virosi.
Normalmente non è grave e le famiglie si liberano dalle pupe colpite e la famiglia si
riprende. Se la famiglia fosse molto colpita si possono togliere i favi colpiti e sostituire la
regina che se colpita depone uova con il virus. La larva colpita ha un tessuto interno
liquefatto e la cuticola invece molto tenace, quando si dissecca la larva forma una
barchetta.
Nel mondo si trova quasi ovunque.

109
Virus delle ali deformate (deformed wing virus)
Tali api non hanno prospettiva di vita, sono api senza utilità e quando si manifesta ciò
occorre fare una valutazione rapida della situazione e se si è in prossimità dell'estate si
può fare un blocco della covata per avere le varroe in fase foretica e poter fare un
trattamento deciso verso le api perché il rischio reale è che durante l’inverno le colonie
muoiano.
Il virus della ali deformi è quasi ovunque.

Molti apicoltori pensano che tale sintomo sia derivante dalla attività trofica delle
varroe e pensano che deriva dalla puntura in corrispondenza delle ali, in realtà non
c'entra nulla essendo una virosi.

Virus della paralisi cronica o chronic paralisis virus

Dà delle api di colore nero e lucido e in alcuni alveari in cui erano presenti api colpite da
questa virosi hanno portato alla morte della famiglia nella fase invernale.
Non è una cosa recente ma negli anni ‘80 erano già presenti; si notavano delle api che dal
terzo tergite in avanti avevano l'addome lucido e scuro.
Queste api tengono le ali leggermente aperte e quando si apre l'alveare sono sulla
traversa superiore con un comportamento tremolante non normale. Distribuzione nei paesi
in rosso

Senotainia tricuspis
È un diptero brachicero con le antenne corte, le femmine di questa mosca, a partire da
giugno, si posizionano su tetto dell'arnia e quando le api partono dal predellino le
inseguono è depositano sul loro corpo un uovo che schiuderà in larva di 1° età da 1mm,
molto piccola che attraverso la membrane intersegmentali del collo si introduce nel torace
e si nutre di emolinfa, la larva si sviluppa e poi attacca il sistema tracheale e vascolare e
provoca la morte dell’ape.

Quando la larva fuoriesce si ha il distacco del capo.


Quando le api sono colpite hanno dei sintomi analoghi all'acaro delle trachee e la
sintomatologia è legata al posizionamento particolare delle ali, ossia se si notano delle api
con le ali poste in modo strano occorre fare delle osservazioni più dettagliate per capirne
le motivazioni.

Sono stati fatti degli studi e le femmine di questa mosca depongono fino ad 800 larve e lo
svernamento avviene nel terreno sotto forma di pupa.
Si possono fare delle azioni di monitoraggio con trappole cromotroiche di colore bianco
fatte con piatto di plastica cosparse con colla per topi, siccome il bianco attira le mosche.
110
Apocephalus borealis
Dittero aforide, di piccole dimensioni di 1-2 mm di lunghezza, si è scoperto in nord America
nel 2011, in Italia non è ancora presente. Questo dittero nord americano parassitizza
bombi, api. I casi sono in California e South Dakota.
Le femmine depongono le uova sulle api, si schiudono e le larve attaccano il cervello delle
api, il cerebro
Le api colpite perdono le loro capacità cognitive e sono state viste volare di notte e con
comportamenti insoliti. Quando è colpita, l'ape non svolge più le sue attività come è
necessario che avvenga per il corretto sviluppo della colonia.
Le larve mature emergono dalla giunzione fra capo e torace e poi il capo si distacca e da
qui deriva il nome apocefalus. Tale scoperta ha fatto chiarezza sulla soluzione del colony
collapse desorder; chi ha individuato l'apocefalus ha definito di aver trovato la causa
della scomparsa della api in tali ambienti.

Aethina tumida
Piccolo coleottero dell'alveare, è un insetto di piccole dimensioni 3x8 mm ed appartiene
alla famiglia dei nitiduridi e rientra fra i coleotteri polifagi e sono ritrovati sui frutti e fiori e
sono carbofagi.
Ci sono 2.600 specie e in Europa 190, da noi il più conosciuto è il meligetes . Tale
coleottero è originario dell'Africa sub sahariana. Nel 2004 delle larve sono state trovate
anche in Portogallo e sono state portate a causa della commercializzazione di regine dal
Texas, i servizi di controllo hanno individuato la presenza delle larve e l'apiario/focolaio è
stato distrutto ed il parassita non si è riuscito a diffondere ed in Europa non c'è.
Questi coleotteri sono lucifughi e scappano alla luce, sui favi osservati in Africa sono stati
notati dei coleotteri che alla percezione della luce si nascondevano nelle cellette.
La femmina entra nell'alveare e depone anche 50 uova al giorno, da qui nascono delle
larve con 3 coppie di zampe toraciche ed in corrispondenza di ogni segmento hanno delle
piccole spine e mangiano polline, scavano la cera e mangiano covata, scavano delle
gallerie e provocano l'uscita del miele. Per tale motivo negli USA portando i melari nei
magazzini, essendoci le larve nei melari esse scavano e fanno colare il miele e
contaminandolo con le feci.
Le larve danneggiano i melari, e fanno perdere il miele e lo inquinano con le feci, occorre
prestare attenzione ad api importate da paesi in cui tale coleottero è accertato. È
molto difficile da contenere, la femmina che ha una lunghezza di 7 mm depone le uova
negli alveari, le larve quando hanno raggiunto la giusta età si infilano nel terreno per
35-30 cm e completano il ciclo di sviluppo. Quando su un favo sono molto presenti le
larve fanno molti danni e come cibo prediligono le uova e le larve perché molto nutrienti.
111
Le esperienze fatte hanno permesso di capire che si diffonde molto velocemente ed
occorre evitare di diffonderlo in Europa, si deve evitare di diffondere illegalmente le api se
non sono soggette a certificazione sanitaria.
I metodi di monitoraggio consistono nell'inserire dei quadratini di policarbonato che avendo
delle gallerie di piccole dimensioni attraverso la porticina inducono i coleotteri ad introdursi
all'interno, quindi estraendo la placchetta di policarbonato si possono eventualmente
notare i coleotteri all’interno.

Protaetia
I coleotteri come ad esempio la protaetia si trovano in Liguria ed attaccano gli alveari e
provocano danni mangiando i favi contentati miele. La soluzione per proteggersi è usare
delle porticina con le dimensioni dell'ape e in tali casi non riescono ad entrare i coleotteri e
non distruggono i favi. L’adulto è sempre presente e depone le uova da giungo a
settembre e le larve son presenti da luglio fino al luglio successivo.

Oplostomus fuligineus
Coleottero scarabeide di 2-2,5 cm che si introduce negli alveari per cibarsi di polline e
miele. E’ molto raro.

Galleria melonella
Lepidottero con larve che mangiano la cera e sono larve di lepidotteri ed hanno zampe
toraciche e pseudo zampe addominali e sono glabre e non vanno confuse con le larve
dell'Aethina tumida. La larva della cera quando ha raggiunto la maturità ha la metamorfosi
e si trasforma in insetto adulto.
Di tarme della della cera c'è ne sono due:
• Galleria mellonella: è la tarma grande,
• Achroia grisella: è la tarma della cera piccola;
Entrambe consumano i favi prediligendo quelli vecchi che hanno contenuto della covata e
crescono bene consumando favi con esuvie, mangiano molto i favi contenenti polline
perché hanno molte proteine.
Queste larve sono conosciute come camole del miele, vengono usate per la pesca della
trota. Sono dette camole del miele ma se gli si somministra miele non crescono, sono però
associate all’alveare.
La crisalide crea un bozzolo con fili sericei prodotti dalla larva e dei detriti.

112
L'adulto depone le uova negli alveari o nei punti di giunzione e le uova sono molto piccole
e le piccole larve si recano sui favi e colpiscono le famiglie indebolite, mano a mano che la
larva cresce, le api cercano di prendere la larva e spesso le api per farlo disopercolano più
celle di covata, ecco che a volta si notano dei percorsi sinuosi sulla covata opercolata
dove si possono vedere le pupe perché le api hanno disopercolato per cercare di prendere
le larve di tali lepidotteri che si stanno sviluppando sotto l’opercolo di cera.
Se si avesse del materiale in magazzino può capitare che le larve della cera distruggano i
favi in cera. Le larve molto mature distruggono tutto.
Quando raggiungono la maturità trovano dei punti riparati (angoli dell’arnia o scanalature
dove poggiano le orecchiette dei telaini), intaccano il legno e poi vi filano il bozzolo e si
trasformano in pupa, in natura svolgono un ruolo perfetto, ecco perché in africa non si
hanno molte malattie perché fa molto caldo, esso favorisce lo sviluppo delle tarme e se
una famiglia muore per qualche motivo, arrivano le tarme e in poco tempo mangiano tutto
dopodiché le api saccheggiatrici non possono prelevare più nulla e non c’è cos’ il rischio di
contaminazione da parte di altre api. Il materiale dell’alveare morto è recuperabile ma
basta pulirlo.

Nel cassetto di fondo si trovano degli escrementi delle larve che derivano dal consumo del
miele, e altro dell'alveare.
Le larve possono essere interesse di altri insetti come un parassita delle tarme che si
chiama apanteles galleriae che deposita le uova nei bozzoli mediante un ovopositore, e
nei bozzoli colpiti non si sviluppano più gli adulti dei lepidotteri ma si moltiplicherà il
parassita. Nei nostri ambienti è necessario prestare attenzione in particolare al materiale
immagazzinato (favi da nido, favi con scorte, favi da melario) anche se le tarme della cera
non si sviluppano facilmente sui favi di pura cera ma tendono ad attaccare principalmente i
favi che hanno contenuto covata. In ogni caso quando possibile, è bene mettere i
magazzini nella zona più fredda dello stabilimento in cui mettono tutti i melari, perché il
freddo è un ottimo mezzo per evitare lo sviluppo della galleria.
L'acido acetico uccide le larve e le uova mentre la SO2 uccide solo le larve ed
occorre ripetere il trattamento. Il vantaggio dell'acido acetico è che è efficace anche
contro le spore di nosema.
Oggi è stato messo a punto un ceppo di Bacillus turingnsis che agisce sulle tarme, tale
microrganismo rientra nei prodotti usati come lotta biologica contro gli insetti (ditteri,
lepidotteri, coleotteri). Questo microrganismo non da problemi di residui nella cera e nel
miele e no ci sono problemi di alterazione nei confronti del gusto del miele ed è innocuo
verso le persone perché è efficace solo per gli insetti che hanno un pH diverso da quello
del nostro intestino. Un solo trattamento protegge fino alla fine della stagione successiva.
Il BT si diluisce al 5% in acqua e poi si tratta.
113
Le formiche
Insetti sociali in colonie che attaccano gli alveari per prelevare le scorie nel cassetto di
fondo, portano via le varroe morte ed occorre verificare, che in una famiglia non ci siano
formiche perché sottraendo le varroe adulte morte fanno sottostimare l'attacco da varroe
per caduta.
Le formiche spesso fanno il nido nella soffitta perché è un ambiente caldo, soprattutto
negli alveari che hanno una soffitta alta di solito le formiche vi fanno dei nidi, le formiche
disturbano le api perché quando si apre il tetto dell’alveare, le formiche emettendo acido
formico che viene percepito dalle api le quali improvvisamente ronzano come segnale di
allarme.
Per difendersi dalle formiche:
• si mettono dei supporti di metallo sotto gli alveari;

• oppure si lascia aperto il foro del coprifavo e in tale modo le api escano e ci pensino
loro ad uccidere le formiche;
• un altro modo è dare fuoco alla colonia di formiche sulla soffitta;
• un modo efficace è mettere dei supporti agli alveari sui quali si mettono delle strutture
per evitare che le formiche salgono dalle gambe di appoggio:

• si possono usare i vassoi con acqua, l'acqua però evapora ed occorre usare dei
deflettori per evitare che le api cadano nell'acqua in fase di atterraggio sul predellino.

Acherontia atropos
Negli alveari si possono notare ad esempio dei lepidotteri sfingide, farfalla a testa di
morto Acherontia atropos. Essendo ghiotte di miele in alcuni momenti in estate se la
porticina è aperta entrano e con la spiritromba rompono gli opercoli e consumano miele,
se le famiglie sono forti la uccidono ma non riuscendo a portarla fuori la “smontano” per
poi eliminarla perché tale animale va in putrefazione allora le api lo rivestano con propoli
che ha effetto antibatterico ed imbalsamante, fanno ciò per evitare che diano putrefazione.

114
Vespa crabro
Sono individui sociali annuali e sono molto pericolose, costruiscono nidi di carta (i cinesi
hanno inventato la carta copiando il modo di costruzione adottato dalle vespe), superano
l'inverno come femmine adulte fecondate, in primavera costruiscono nidi di altezza elevata
(2-4 cm) e le operaie danno una mano alla regina e costruiscono nidi anche fino a 70-80
cm di diametro alti anche 1 metro, la massima dimensione di popolazione si raggiunge a
fine estate. Costruiscono nidi grandi di carte e ponti di materiale legnoso che le vespe
prelevano da materiale legnoso grattando con le loro mandibole. I nidi sono protetti da un
involucro esterno ed hanno un ingresso dalla zona inferiore o laterale.
Hanno torace scuro e addome giallastro.
Alla fine dell'estate, in cui la colonia raggiunge la massima dimensione con il massimo
numero si larve, arrivano con un volo stazionario volano in prossimità delle colonie e
quando vedono un ape in prossimità le piombano sopra e la mordono con le mandibole e
portarono il corpo nel nido e lo omogeneizzano per darlo come cibo alle larve.

Vespa orientalis
Sono nelle zone dell'Indonesia e nord Africa e nel mediterraneo, è una vespa più scura
nell’addome. I danni possono anche essere letali per le colonie ed avvengono quando gli
apiari sono costituiti da pochi alveari, se ce ne sono molti vengono massacrate poche api
per alveare, mentre se ci sono pochi alveari e le colonie vengono quasi completamente
uccise.

Vespa velutina
Da Bordeaux si è diffusa ed a fine 2011 si è diffusa in Spagna e Belgio ed è arrivata al
confine dell’Italia. Ha le dimensione della crabro e il capo rossiccio come anche l'addome.
Sono molto aggressive e volano vicino ai predellini e uccidono le api quando sono vicine
al predellino. Fanno dei nidi molto grandi ed hanno un addome caratteristico.

Vespa mandarinia
È molto grande e fa lo stesso attacco e nelle zone asiatiche se numerose creano molti
problemi.

Philantum triangulum triangulum


È un coleottero è un killer solitario e volano ed attaccano le api, ha le dimensioni dell'ape e
in poco tempo le uccidono staccando la testa, le zampe e prelevano il torace ed addome e
se lo portano già e costruiscono dei nidi sottoterra e usano le api come cibi.
115
Danni da animali superiori
• Mammiferi

• Orso; nord est Italia e Abruzzo. Dove si vuole fare apicoltura in zone con orsi si
mettono reti con elettricità o mettere alveari su soppalchi alti almeno 2 metri.
• Topo: ci si protegge con porticina metalliche che non fanno passare il topo.
• Tassi: Mellifera capensis è il tasso del miele e si trova in medio oriente, viene
segnalato operare in collaborazione con l'uccello indicatore. Attacca nidi di api in
alberi cavi.
• Riccio: essendo insettivori possono mangiare le api.
• Uccelli:
• Vespiere o merops apiaster: è presente in Africa ed Europa, la sua popolazione è
aumentata e fa dei nidi nelle scarpate in corrispondenza dei corsi d’acqua dove crea
colonie da 10 individui circa. Esso migra da noi in estate e si trova molto
nell'astigiano.
• Uccello indicatore: si nutre di insetti ed ha tecniche di segnalazione ed indica animali
ed uomo la presenza di un alveare in modo che essi predando l’alveare e lasciandolo
aperto, tale uccello può entrare e saccheggiare i resti di miele.

• Picchi;
• Capinere;

116
Prodotti apicoltura
Come detto, le api producono molti prodotti, di cui alcuni usati dalle api per il metabolismo
primario e molti presi dall’uomo per prodotti diversificati.

Miele
Per «miele» si intende la sostanza dolce naturale che le api (Apis mellifera) producono dal
nettare di piante o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o dalle sostanze
secrete da insetti succhiatori che si trovano su parti vive di piante che esse bottinano,
trasformano combinandole con sostanze specifiche proprie, depositano, disidratano,
immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell’alveare.
La melata non é una secrezione come dice il decreto ma una deiezione, uno scarto
dell'insetto.
L'insetto punge la pianta e succhiano la linfa della pianta, assumendo sostanze azotate ed
espellono zuccheri che non usa.
Per produrre miele occorrerà un numero elevato di api, e tanto più sarà elevato il numero
di api, tanto maggiore sarà il miele prodotto.
Inoltre occorre tener conto della sciamatura, e minore saranno le sciamature e maggiore
sarà la produzione, contro quello che era solito dire in passato (tante sciamature alto
raccolto).
Il nettare è un liquido zuccherino derivato dalla linfa dei vegetali superiori e secreto da
particolari organi ghiandolari chiamati nèttari che si trovano nei fiori.
I nèttari (dove si trova il nettare) non sono solo florali, quindi sul
fiore, ma esistono anche nettari extraflorali ad esempio su
mimosa, o ricino, pesco (é raro osservare api bottinatrici su pesco e
trattamenti effettuati sui frutteti rischiano di avvelenare le api),
lauroceraso (siepi, nei mesi estivi, quando l'ambiente non offre
molto, le api vi bottinano spesso).
Sia nettare che melata hanno origine dalla linfa elaborata, liquido incolore ricco di zuccheri

La composizione del nettare:


la concentrazione di acqua
- tenore in acqua: 20 - 95%; varia in base alla siccità/
piovosità.
- concentrazione totale in zuccheri : 5 - 80%.
I principali zuccheri contenuti nel nettare sono saccarosio, glucosio e fruttosio; si
possono definire 3 diversi tipi di nettari:

- con prevalenza di saccarosio (es.: rododendro),c


- con prevalenza di glucosio (es.: colza, tarassaco) o fruttosio (robinia, castagno, trifoglio),
117
- con i 3 zuccheri presenti in proporzioni circa uguali (es: leguminose)
Il nettare contiene anche modeste quantità di:
• altri zuccheri,
• sostanze aromatiche: caratterizzano il miele,
• sali minerali,
• acidi organici,
• aminoacidi,
• enzimi.
Ciascuna specie botanica produce nettare dalla composizione relativamente costante; il
miele che ne deriva assume pertanto specifiche caratteristiche per quanto riguarda:
• stato fisico,
• colore,
• odore,
• sapore,
• aroma.
La melata è prodotta da insetti floemomizi (afidi, cicaline , ecc.) che succhiano la linfa
elaborata delle piante mediante il loro apparato boccale pungente succhiante. La linfa è
composta principalmente da zuccheri e da sostanze azotate.
Gli insetti che ci interessano di più sono i Floemomizi che assorbono, mediante
l’apparato boccale pungente succhiante, la linfa che scorre all’interno dei tubi
cribrosi.
Tutte le specie di insetti floemomizi sono utili in apicoltura, tranne la cinara laricis poiché
produce una melata con una componente di zuccheri che cristallizza immediatamente e
blocca il melario in quanto non si stacca e non é usabile.
La linfa elaborata è composta principalmente da zuccheri e da sostanze azotate, queste
ultime presenti però in proporzioni scarse.
Questi insetti, per procurarsi l’azoto necessario ai loro processi metabolici e allo sviluppo
del loro organismo, assorbono grandi quantità di linfa e le sostanze azotate vengono
trattenute da una “camera filtrante” posta prima dell’intestino medio.
Le sostanze in eccesso (acqua e zuccheri) entrano in un canale che finisce direttamente
nel retto da dove verranno espulse senza subire digestione. Questa espulsione avviene
sottoforma di minute goccioline che cadono sulla vegetazione sottostante.

118
La melata si divide in 3 gruppi:
• contenente solo fruttosio, glucosio e saccarosio
• contenente fruttosio, glucosio e saccarosio e altri zuccheri più complessi (es. il
trisaccaride melezitoso, zucchero caratteristico della melata degli afidi infeudati al
larice)
• contenente, oltre agli zuccheri già visti, altri zuccheri complessi quali raffinosio,
mannosio.

La melata che cristallizza velocemente prende il nome di manna e impedisce poi la


smielatura.

Per la produzione di miele, intervengono in maniera importante alcuni enzimi prodotti dalle
secrezioni ghiandolari delle api e, in parte, anche enzimi già presenti dal nettare e dalla
melata.
- Invertasi: idrolizza il saccarosio in fruttosio e glucosio
- Glucoso ossidasi: induce l’ossidazione del glucosio con formazione di ac. Gluconico e
perossido di idrogeno. La produzione di piccole quantità di perossido
di idrogeno avviene durante la maturazione del miele e aiuta nella
conservazione. Il miele é acido e queste due componenti portano il
miele ad essere intrinsecamente sicuro.
- Diastasi o amilasi: idrolizza l’amido a glucosio
Gli enzimi si degradano con l’invecchiamento e sono molto sensibili al calore, per questo
possono essere usati per valutare l’età del miele.

Le api di casa, dopo aver messo il miele in cellette, seguono la maturazione, andando ad
aiutare l'asciugatura del miele, quando questo é troppo umido.
Questo viene fatto dalle api andando a prelevare delle gocce di miele e mettendolo nella
proboscide in uno strato sottile così da disperdere prima l'acqua.

Una volta che il miele raggiunge il 18% di umidità le api sigillano con la cera il miele
maturo in modo che esso non assorba acqua, essendo igroscopico.
Quando i favi da melario sono opercolati per almeno 2/3 si può estrarre e sarà pronto per
essere conservato.

119
Produzione miele.
I melari, dopo aver allontanato le api con api scampo o soffiatori, sono prelevati e portati in
laboratorio.
Occorre togliere gli opercoli su banchi per disopercolare i favi.
Quindi i favi sono messi nello smielatore (centrifuga). Nella parte bassa dello smielatore
c'è un rubinetto e si fa cadere il miele in un filtro da cui, tramite una pompa viene mandato
in un maturatore (decantatore).

Gli opercoli possono essere pressati per ottenere altro miele.


Oltre al miele centrifugato si possono trovare:
- favi interi;
- miele con pezzi o sezione di favo.
Per produrre miele con pezzi di favo occorre usare miele con
alti contenuti di fruttosio che permettano di mantenere il
miele liquido per tutta la shelf life (acacia).
La filtrazione va fatta per eliminare residui di opercoli o residui di
propoli o api porte.
Con mieli autunnali i filtri non a sacco hanno più problemi a far passare mieli con cristalli.

Il decantatore, serve a eliminare le bolle d'aria che si formano in centrifugazione, i tempi


saranno in funzione della concentrazione degli zuccheri e dalla temperatura.
In produzioni importanti é presente la camera calda in cui possono stare moltissimi melari,
qui i melari vengono fatti sostare a 30°C che servirà per:
- facilitare l'estrazione;

- completare la deumidificazione: viene usato da aziende che fanno un doppio raccolto di


acacia in zone con distanza di fioritura di acacia di 10 giorni, in questi casi le api non
hanno il tempo di maturare completamente il miele e il lavoro viene fatto in camera calda
con aria calda deumidificata.
Con la pastorizzazione si evita che il miele cristallizzi, poiché la pastorizzazione scioglie i
nuclei di cristallizzazione. Questa viene fatta a 72°C per 6 minuti e raffreddato a 40°C.
Il miele può essere venduto con max 20% di umidità ma ciò non garantirebbe la sanità,
allora si può procedere a pastorizzarlo.
La deumidificazione é anche importante nei casi in cui le umidità esterne non permettono
di abbassare l'umidità a valori bassi.

La normativa HACCP non comprende il miele, essendo questo una produzione


primaria, anche se i principi devo essere seguiti.

120
121
Il contenuto complessivo degli zuccheri nelle diverse tipologie di miele è abbastanza
costante, ma i singoli zuccheri, quando presenti, lo sono normalmente in quantità
differenti.

122
!

- Erlosio e melezitosio sono presenti in mieli di melata.

- L'acidità maggiore é data dall'acido gluconico che rappresenta 70-80%. Importanti anche
acido lattico, ossalico e formico.
- I mieli di nettare hanno meno quantità di minerali in confronto ai mieli di melata.
- Le proteine derivano principalmente dal polline che finisce nel miele.

123
Parametri chimico-fisici del miele.
- Indice di rifrazione: viene sfruttata per conoscere l'umidità. L'umidità é un parametro di
qualità molto importante per il miele per evitare che i lieviti sopra il 17,1% si possano
sviluppare e fermentare il miele. Viene valutato con il rifrattometro.
Oltre all'ambiente esterno anche quello del laboratorio di smielatura è importante che
abbia meno del 60% di umidità relativa.
Il contenuto di acqua nel miele non dovrebbe superare il 17% per evitare rischi di
fermentazioni; con umidità:

< 17,1% non ci sono rischi

17,1 - 18.0% rischio presente se > 1.000 cellule/g

18,1 - 19.0% rischio presente se > 10 cellule/g

19,1 - 20.0% rischio presente se > 1 cellule/g

> 20% rischio sempre presente

- Densità: Rappresenta il rapporto tra la massa di una sostanza e il suo volume e di


esprime in g/cm3. Mediamente è di 1,4 g/cm3, in base al contenuto d’acqua può variare
leggermente (da 1,44 g/cm3 a 1,395 g/cm3).

124
- Viscosità: Nel miele è generalmente alta causa l’elevata concentrazione zuccherina.

- Igroscopicità.

- Calore specifico e conducibilità termica


- Conducibilità elettrica
- Potere rotatorio
- Colore: ciascun miele uniflorale rientra in una classe di colorazione ben definita. Si
determina mettendo a confronto una cuvetta di vetro piena di miele allo stato liquido con
una scala di filtri colorati secondo gli indici della "Scala dei colori Lovibond".
- Indice diastasico: Gli enzimi si degradano progressivamente nel tempo o in seguito a
trattamenti termici; possono costituire un indice di freschezza del prodotto. Si utilizza in
particolare l’indice diastasico (Limite di legge: non meno di 8, con eccezioni per acacia,
agrumi e corbezzolo con 3).

- Acidità: Tutti i mieli presentano una reazione acida, hanno valori di pH compresi tra 3,5 e
4,5 con una media di 3,9. L’acido gluconico è quello quantitativamente più importante
(70- 80% acidità totale); si forma dal glucosio per azione dell’enzima glucoso ossidasi,
con liberazione di perossido di idrogeno.
L’acidità del miele contribuisce a determinare la sua stabilità nei confronti dei
microrganismi.
Altri acidi: acetico, butirrico, α-chetoglutarico, citrico, formico, fumarico, lattico, maleico,
malico, ossalico, piroglutamico, succinico, tartarico.
- Cristallizzazione.

N.B. sali minerali e vitamine sono presenti in tracce nel miele e


non coprono mai, le dosi LARN.

125
Potenziale Mellifero
Il potenziale mellifero delle piante, è stato studiato, classificandole in classi differenti.

Classe Potenziale mellifero (kg/ha)

I 0 - 25

II 26 - 50

III 51 - 100

IV 101 - 200

V 201 – 500

VI > 500

126
Caratterizzazione o Tipizzazione dei mieli.
Caratterizzare o tipizzare un miele significa:

- individuarne l'origine botanica (specie nettarifere o sorgenti di melata su cui hanno


bottinato le api)
- e/o l'origine geografica (zona in cui è stato prodotto).
Per caratterizzare un miele è necessario compiere una serie di analisi riguardanti:
- composizione melisso-palinologica;

- proprietà fisico-chimiche.

Caratterizzazione botanica o melisso-palinologica.


Con la caratterizzazione botanica si prende in esame il sedimento del miele, utilizzando i
metodi codificati dalla Commissione Internazionale di Botanica apicola che comprendono
un'analisi quantitativa ed un'analisi qualitativa degli elementi figurati.
I principali elementi figurati che entrano a far parte del sedimento sono granuli di polline,
spore, conidi, ife di funghi e alghe (elementi di melata), cristalli di sali minerali, frammenti
di cera, lieviti.
Il sedimento si ottiene centrifugando 10 g di miele a 2.500-3.000 giri/min, eliminando il
surnatante ed includendo il deposito in gelatina-glicerina su vetrini portaoggetto
Con l’analisi qualitativa si vanno ad identificare i granuli pollinici (che si differenziano
morfologicamente l’uno dall’altro) ed altri elementi figurati presenti nel sedimento del miele
definendo le rispettive percentuali di presenza.
I pollini si classificano considerando i caratteri di seguito elencati, i quali sono confrontati
con quelli di preparati di riferimento:
- simmetria,

- forma (visione polare e visione equatoriale),


- aperture (pori, colpi),
- dimensioni (asse polare e diametro equatoriale),
- aspetto dell'exina (rivestimento esterno del granulo di polline),
- aspetto dell'intina (rivestimento interno del granulo di polline),

- granulazione del citoplasma,


- colore.

127
I pollini riscontrati nei mieli vengono suddivisi in classi di frequenza a seconda della loro
percentuale:

>45% pollini dominanti,

16-45% pollini di accompagnamento,

3-15% pollini isolati importanti,

<3% pollini isolati.

Di norma un miele si definisce uniflorale quando contiene un polline di una


determinata specie in percentuale superiore al 45%.
Numerose eccezioni:
- “Miele di Castagno" deve contenere almeno il 90% (polline iper-rappresentato);
- “Miele di Robinia” questo polline raggiunge appena il 30% (polline ipo-rappresentato).
L’analisi quantitativa serve a valutare il volume totale del sedimento e della quantità
assoluta di elementi figurati per unità di peso. L'analisi quantitativa si basa sul conteggio
degli elementi figurati vegetali contenuti nel sedimento, facendo riferimento a 5 classi di
rappresentatività:

Classe PK/10g Tipo di miele

I < a 20.000 a polline iporappresentato

II tra 20.000 e 100.000 polline normale

III tra 100.000 e 500.000 a polline iperrappresentato


IV tra 500.000 e 1.000.000 a polline fortemente iperrappresentato o di
pressatura

V > a 1.000.000 di pressatura

128
- Indice diastasico: contenuto di diastasi (amilasi) presente nei mieli, enzima che idrolizza
gli amidi, diminuisce con l'invecchiamento e il riscaldamento; non deve essere inferiore a
8. Indice diastasico (scala di Schade):
- in genere, tranne miele per uso industriale non meno di 8;
- miele con basso tenore naturale di enzimi (ad esempio, miele di agrumi) e tenore
di HMF non superiore a 15 mg/kg non meno di 3;
- idrossimetilfurfurale (HMS): è una aldeide che si forma per degradazione del fruttosio
in ambiente acido in relazione alla temperatura di conservazione o col riscaldamento del
miele; pressoché inesistente nel miele fresco (sempre < 3 mg/kg), si calcola mediante un
valore colorimetrico allo spettrofotometro.
La sofisticazione del miele con con isoglucosio o con zucchero invertito è causa di
aumento dell’HMF.

- in genere, tranne miele per uso industriale non più di 40 mg/kg;


- miele di origine dichiarata da regioni con clima tropicale e miscele di tali tipi di
miele non più di 80 mg/kg.

- Tenore di sostanze insolubili nell'acqua:


In genere non più di 0,1g/100; miele torchiato non più di 0,5 g/100 g.

(DECRETO LEGISLATIVO 21 maggio 2004, n.179, art. 2, comma 1)


Analisi di filth-test: Valutazione del contenuto di sostanze insolubili in acqua;
classificazione per tipologia delle possibili impurità (fibre, residui carboniosi, parti di
insetto, cera, polline, resine, vetro, ...).

129
130
La cristallizzazione è un fenomeno naturale, è influenzata dal contenuto in glucosio e dal
rapporto glucosio acqua

- 1,58 nessuna cristallizzazione


- 1,76 pochi cristalli sparsi
- 1,79 cristalli in strati di 1,5-3 mm
- 1,83 cristalli in strati di 6-12 mm
- 1,86 pochi ammassi di cristalli

- 1,99 1/4 massa cristallizzata


- 2.06 3/4 massa cristallizzata
- 2.16 cristallizzazione completa, soffice
- 2.24 cristallizzazione completa, dura

In etichetta le indicazioni obbligatorie sono:


- La denominazione di vendita “Miele”o una delle definizioni di cui all'art. 1);
- il peso netto (in g o in kg);
- Il nome o la ragione sociale del produttore o del confezionatore o di un venditore stabilito
nella C.E.;

- la sede (località dove è ubicata l’azienda);


- il numero del lotto di produzione;
- l'indicazione del termine preferenziale di consumo;
- il Paese d'origine (dove il miele è stato prodotto)

131
L’origine monofloreale può essere adottata se il miele deriva “interamente” o
“principalmente” dall’origine indicata e ne possiede le caratteristiche
organolettiche, fisico- chimiche e microscopiche. L’indicazione floreale deve essere
unica.
La miscelazione è ammessa soltanto con altro miele monofloreale della stessa origine
botanica. Miscele di due mieli di diversa origine floreale e/o botanica possono essere
dichiarate ma deve figurare l’indicazione “miscela”.

L’indicazione di miele italiano può essere accompagnata:


• dalla Regione di provenienza,
• da una zona territoriale
• o dal Comune.

Nel caso delle miscele di più Paesi è consentito l'uso, secondo i casi, delle diciture:
- “Miscela di mieli originari della CE”,
- “Miscela di mieli non originari della CE”,
- “Miscela di mieli originari e non originari della CE”, senza citare i singoli Paesi.

Il MIPAF (Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali), in data 11.06.2012, ha


emanato la Circolare n. 4 del 31.05.2012, avente per oggetto "APPLICAZIONE DLGS 21
MAGGIO 2004, N. 179 CONCERNENTE PRODUZIONE E COMMERCIALIZZAZIONE
DEL MIELE".
Più precisamente, la nota ministeriale reca specifici chiarimenti in ordine al termine
"MILLEFIORI" circostanziandone l'utilizzo in modo da non indurre in errore il consumatore
e fornendo, nel contempo, una linea interpretativa alle Organizzazioni Apistiche Nazionali
e alle Autorità competenti in materia di controllo.
Di seguito i punti salienti esposti nella Circolare in oggetto:
• Non può definirsi miele "Millefiori" un prodotto derivante dalla miscelazione di diversi
mieli di origine monofloreale.
• Si dice miele "Millefiori" il prodotto rispondente al Decreto legislativo n. 179 del 21
maggio 2004, per il quale non sia definibile una esclusiva (monoflora) o precisa (fiori/
nettare o melata) origine botanica.
• A salvaguardia degli interessi del consumatore deve essere garantito il pieno rispetto
delle norme che disciplinano la tracciabilità delle produzioni.

132
• In analogia con le produzioni di origine monoflorali nell'etichettatura del prodotto il
termine "Millefiori" può essere utilizzato in associazione alla denominazione legale di
vendita "Miele".
• Per il miele di produzione italiana, in merito all'obbligo di indicazione in etichetta del
Paese di origine del prodotto, questo è altresì da intendersi assolto anche attraverso la
dizione "Miele Italiano".

Il miele da produzioni apistiche ottenute con il metodo biologico nel rispetto del D. lgs
109/92 (e succ. integr.) e dei vari regolamenti CE (dal 834/2007 fino al 271/2010) nonché
da decreti e circolari ministeriali, è soggetto a precise disposizioni di controllo per
l’intera filiera.
Sull’etichetta, oltre alle dichiarazioni obbligatorie, si deve indicare:

a) riferimento al metodo di produzione biologico;


b) riferimento alla certificazione;
c) logo del biologico;
d) il nome e/o il numero di codice dell’organismo di controllo (potrebbe risultare anche
soltanto sul doc. di accompagnamento).

Secondo le nuove disposizioni, la "dichiarazione nutrizionale" obbligatoria indicherà il


contenuto energetico e le percentuali di ogni singola sostanza riportata con il relativo
valore energetico.
- grassi

- grassi saturi
- carboidrati
- zuccheri
- proteine e sale.
Il Regolamento UE N. 1169/2011 sarà applicato a partire dal 13 dicembre 2014, salvo per
l'articolo 9.1.l (etichetta nutrizionale), che sarà applicato a partire dal 13 dicembre 2016 e
la parte B dell'allegato VI, che sarà applicato dal 1 gennaio 2014.

133
Altri usi del miele.
- Cicatrizzante su ferite e ustioni

- Trattamento di eritemi ed edemi solari


- Antibatterico
- Agente favorente la rigenerazione dei tessuti
- Creme per le mani, agisce come emolliente e idratante. (1-5% in emulsioni A/O e O/A)
- Unguenti (fino al 10% come emolliente e lucidante)

- Saponi (fino al 5%),


- Shampoo e bagni schiuma (1- 5%)
- Lozioni di miele e mandorle triturate (effetto emolliente e schiarente)

Potere antibatterico del miele:

Dimostrazione della piastra a diffusione agar inoculato con S. aureus.


Campione 1: Miele di manuka attivo (diluizione 20%);
Campione 2: Metilgliossale (MGO) (1,9 mM);
Campione 3: Miele di foresta inattivo (diluizione 20%) con
aggiunta di 1,9 mM MGO;

Campione 4: Miele di foresta inattivo (diluizione 20%)

134
Mieli tossici.
La segnalazione della presenza di mieli con effetti indesiderati è estremamente rara.

Il miele uniflorale ottenuto dalle Ericacea Rhododendron luteum e R. ponticum in Asia


Minore è tossico per la presenza nel nettare di Andromedotoxina (=Graynotoxina) che si
rileva anche in Kalmia latifolia, Ledum palustre, Tripetaleia paniculata.
L’avvelenamento da Graynotoxina è caratterizzato da vertigini, ipotensione e blocco atrio-
ventricolare. Senofonte (400 a.C.) riporta l’avvelenamento di soldati greci che avevano
mangiato miele di api selvatiche. Altra segnalazione riguarda l’avvelenamento di soldati
delle truppe di Pompeo nel 67 a.C. Sono segnalati numerosi casi di avvelenamento in
Turchia.
In Nuova Zelanda la melata raccolta su Coriaria arborea, prodotta da Scolypopa australis,
contiene picrotoxina, tutina e mellitoxina.

135
Polline
Composizione media:

media (%) range (%)

Acqua 11,2 7,0-16,2

Proteine 21,6 7,0-29,9

Lipidi 5,0 0,9-14,4

Carboidrati 31,0 20,5-48,4

Sali minerali 2,7 0,9-5,5

Indeterminate 28,6 21,7-35,9

136
Il polline raccolto dalle trappole per il polline, deve essere prima setacciato, al fine di
allontanare impurità (api morte, sabbia).

Il polline viene quindi distribuito sui vassoi in strati sottili di circa un centimetro al fine di
garantire una circolazione dell’aria ottimale e consentirne la deumidificazione nel tempo di
cinque ore.
La temperatura dell’aria impiegata per la deumidificazione non deve mai superare i 40 °C,
per evitare il deterioramento delle caratteristiche chimiche fisiche e biologiche del prodotto.

La capienza di ogni vassoio è compresa tra 4,25 e 4,75 chilogrammi per una capacità
complessiva di 170-190 chilogrammi di polline per ciclo di deumidificazione.

Requisiti minimi per la sanità microbiologica del polline (Campos et al., 2008)

Analisi microbiologica Requisiti minimi

Salmonella Assente/10g

Staphyloccoccus aureus Assente/1g

Enterobacteriaceae Max. 100/g

Escherichia coli Assente/g

Conta su piastra microbica <100000/ g

Muffe e lieviti <50000/g

137
Propoli
La proprietà antimicrobica della propoli permette il perfetto mantenimento dello stato
eubiotico dell’alveare nonostante una temperatura interna di circa 35 °C e l’alta densità
abitativa di circa 2 api ogni 3 cm2.
I favi naturali possono arrivare a contenere fino al 23 % di propoli in peso.
La propoli non è raccolta solo dalle api ma anche da altri Apoidei quali Megachile
ericetorum Lep., Antidiellum strigatum Latr. e Heriades truncorum L.
Le bottinatrici di propoli operano preferibilmente nelle ore più calde della giornata (dalle 10
alle 16 circa) al fine di raccogliere con più facilità le resine, rese più malleabili dall’alta
temperatura.

Per la raccolta della propoli le api utilizzano numerose piante; fra le principali, presenti
nelle nostre zone, possiamo ricordare:

- pioppi (Populus spp.), - ippocastano (Aesculus hippocastanum L.)

- ontani (Alnus spp.), - betulle (Betula spp.),

- pruni (Prunus spp.), - salici (Salix spp.),

- pini (Pinus spp.), - frassino (Fraxinus excelsior),

- querce (Quercus spp.), - abeti (Abies spp., Picea spp.),

- castagno (Castanea sativa),

Le differenze di colore sono in genere notevoli in base alla provenienza. La propoli di


pinacee ha colore giallo-verde, rossastra quella di pioppo, nerastra quella di betulla.
La composizione della propoli quindi varia in relazione a molteplici fattori tra i quali sono
preponderanti l’origine botanica e l’origine geografica.

138
La propoli accumulata sulle varie parti dell’arnia in un anno da una famiglia di media forza,
varia da 120 a 150 g; l’uso di apposite reti aumenta il raccolto da parte delle api.

Il punto di fusione è compreso tra 60 e 70 °C.


L’odore della propoli varia in dipendenza delle sostanze resinose presenti; è intensamente
aromatico e richiama il profumo di spezie e resine balsamiche.
Il sapore varia anch’esso in base alla composizione della miscela di resine, dal tipico acre-
amaro al dolce. La consistenza varia con la temperatura: plasmabile e appiccicosa a 30
°C, di aspetto ceroso-resinoso e friabile a basse temperature.
I numerosi componenti della propoli possono essere accorpati nelle seguenti
categorie:
• 50-55% resine e balsami;
• 25-35% cera (acidi grassi, ossiacidi, lattoni);
• 5-10% sostanze volatili (di cui 0,5% di oli essenziali);
• 5% circa polline (presente per cause accidentali);
• 5% circa composti di varia natura tra cui i più importanti sono i flavonoidi
(galangina, pinocembrina, pinobanksina, pinostrobina, sakuranetina, crisina), i
minerali (alluminio, calcio, cromo, rame, ferro, manganese, silice, ecc.), le vitamine
del gruppo B (B1, B2, B6, PP), le vitamine C ed E.
Galangina flavonoli (di cui è ricca la propoli raccolta nei boschi di latifoglie) e
pinocembrina flavononi(presente soprattutto nella propoli proveniente da boschi di
conifere) assicurano alla propoli le sue attività antimicrobiche.

Attività della propoli:


- antibatterica nei confronti di Bacillus cereus, Staphilococcus aureus, Streptococcus
pyogenes, Escheria coli, Helicobacter pylori;
- antifungina nei confronti diTrichophyton verrucosum e T. rubrum, Candida tropicalis, C.
guilliermondii, C. albicans, Aspergillus flavus, A. ochraceus, Penicillium viridicatum, P.
notatum;
- antivirale nei confronti del virus Herpes simplex type 1;
- cicatrizzante grazie alla capacità di stimolo della rigenerazione dei tessuti in caso di
ferite o piaghe.

139
Impieghi in agricoltura
La propoli rientra nei rimedi fitoiatrici ammessi dalla legislazione che regolamenta
l’agricoltura biologica italiana ed europea (Regolamento Cee 2092/91).
La soluzione idroalcolica di propoli può essere addizionata al Sulfar (composto a base di
zolfo) e utilizzata in trattamenti antiparassitari per la protezione degli ortaggi.
La soluzione idroalcolica di propoli è stata sperimentata nei trattamenti post-raccolta della
frutta, al fine di prevenire l’insorgere di marciumi e facilitarne la conservazione.

La pomata di propoli e cera d’api costituisce un cicatrizzante utile nella protezione delle
ferite da potatura.

Impieghi in zootecnia
La propoli può essere miscelata al mangime come stimolante della crescita. Prove
sperimentali condotte in allevamenti di polli, mediante l’utilizzo di mangime contenente 500
mg/kg di propoli, hanno evidenziato un incremento di peso del 20% rispetto al testimone.
Estratto di propoli utilizzato nell’alimentazione di suini appena svezzati è risultato in grado
di prevenire diarrea e patologie a livello dell’apparato intestinale e gastrico, oltre ad avere
un potente ruolo coccidiostatico.

Forme di impiego
Per la sua provenienza variabile, la sua eterogeneità, le differenti solubilità dei suoi
componenti, la propoli pone seri problemi di estrazione e di veicolazione.
Anzitutto va purificata e liberata dai corpi estranei.

L’etanolo è un buon solvente. La propoli va lasciata macerare in alcol a diversa


gradazione (30°, 50°, 70°, 95°) per dieci giorni. Si ottiene un prodotto che deve essere
filtrato. La soluzione può essere usata tal quale, oppure concentrata fino a totale
evaporazione del solvente.
La propoli così purificata può essere diluita o in glicole propilenico o in polietilenglicole
400, a concentrazione fra il 10 e il 30%.

140
Usi cosmetici
Il primo ad aver introdotto la propoli nell’uso cosmetico è stato il francese Sabetay, a
partire dal 1967. Determinante, per una sua utilizzazione nella dermocosmesi industriale,
è stata la standardizzazione dei suoi estratti attraverso il titolo in galangina.
Da allora l’impiego della propoli è diventato sempre più comune nella preparazione di
cosmetici naturali.
La propoli viene destinata a:

• igiene del cuoio capelluto (shampoo, balsami e lozioni);


• igiene dei denti e del cavo orale (dentifrici e colluttori);
• preparazioni deodoranti (creme e soluzioni);
• protezione della pelle (creme purificanti e lenitive).

Conservante degli alimenti


La richiesta di prodotti alimentari salubri e di buona qualità ha introdotto l’uso della propoli
nell’industria alimentare, soprattutto come conservante.
Particolarmente interessante si è rivelata una sperimentazione con uso di propoli
nell’ambito della stagionatura di formaggi.

Al fine di evitare lo sviluppo indesiderato di muffe sulla parte esterne delle forme di Toma
piemontese DOP, Bra tenero DOP e Robiola. Le forme sono state trattate con soluzioni di
propoli a varia concentrazione (1.5, 6 e 12 mg/ml). Al termine della stagionatura le forme
trattate hanno avuto uno sviluppo fungino più contenuto. La concentrazione di 6 mg/ml di
propoli risulta la concentrazione massima impiegabile per formaggi a media stagionatura,
inibendo totalmente lo sviluppo di muffe; 1.5 mg/ml la concentrazione efficace per
formaggi a breve maturazione.

141
Cera

Produzione della cera.


La raccolta del favo è indispensabile per recuperare la cera, oltre che per ricavarne il
miele. L'estrazione della cera può avvenire secondo tre modalità: a bagnomaria/acqua
bollente, o per fusione (per mezzo di sceratrici solari: l'energia solare è sfruttata per
sciogliere la cera) o, ancora, tramite presse e vapore.
Generalmente, da ogni favo si ricava un quantitativo di cera d'api pari a 80-110 grammi.
La cera d'api d'opercolo è la più pregiata: si estrae dagli opercoli tolti dai telaini durante il
processo di smielatura, utile per la formulazione di cosmetici pregiati e per la produzione di
fogli cerei d'alta qualità.
Dopo la torchiatura, per eliminare il miele, e il riscaldamento per eliminare acqua e altre
sostanze si ottiene la cera.
Impieghi della cera.

Nella tecnica farmaceutica per la preparazione di unguenti, pomate, cerati ed empiastri.


In campo cosmetico per stick labiali (5-15%), cold-creams (15-20%), emulsioni A/O e O/A
(2,5-5%).
Si ritrova cera in creme struccanti, emollienti, protettive, da massaggio, ombretti, mascara,
rossetti, ecc.

142
Pappa reale
Condizioni per produrre gelatina reale:
- Forte popolazione di api;

- Sufficiente cibo nelle colonie;


- Condizioni di temperatura idonee;
- Presenza di larve di età giusta per il trasferimento;
- Possesso di idonea attrezzatura;
- Gestione scientifica delle colonie

La gelatina reale, dalla quale si produce la pappa reale è composta da:

Acqua 67%

Sostanze azotate 12,5% di cui 45% proteine e aminoacidi liberi

Glucidi 11,0% fruttosio 6%, glucosio 4,2%, saccarosio 0,3%, altri 0,5%

Lipidi 5% acidi grassi, colesterolo, fosfoaminolipidi, ecc..

Sali minerali 1,0% K 5500 μg/g, Mg 700 μg/g, Na 600 μg/g, Ca μg/g Zn 80 μg/
g, Fe 30 μg/g, Cu μg/g, Mn 7 μg/g

Sostanze 3,5%
indeterminate

Vitamine Tiamina 6 μg/g, Riboflavina 9 μg/g, Pyridoxina 3 μg/g, Niacina 50


μg/g, Ac. Pantotenico 100 μg/g, Inositolo 100 μg/g, Biotina 1,5 μg/
g, Ac. Folico 0,2 μg/g, Vitamina C 4 μg/g

Produzione pappa reale.

Ogni unità produttiva è composta da due arnie a 6 favi sovrapposte e separate da un


escludi-regina (figura 1) il cui scopo è mantenere la regina nell’arnia inferiore; le api
operaie presenti nell’arnia superiore, percependo l’assenza della regina, vengono
stimolate ad allevarne di nuove.
Per produrre un elevato quantitativo di gelatina è necessario che siano garantiti il
nutrimento e le opportune condizioni ambientali all’interno dell’alveare e che la famiglia sia
numerosa e composta di molte api nutrici; a questo scopo è necessario eseguire ogni 6-9
giorni la rimonta, operazione che consiste nel togliere un favo con covata fresca dall’arnia
inferiore e inserirlo nella parte orfana in cui si produce la pappa reale in modo da
assicurare il necessario ricambio di giovani api.

Le api che si trovano nell’arnia superiore allevano le nuove regine dalle giovani larve che
l’apicoltore vi inserisce. Queste vengono posizionate all’interno di cupolini artificiali, di
143
plastica o di cera, montati su delle stecche che a loro volta sono inserite in un telaio detto
portastecche. Nella parte superiore di questo telaio è ricavato un nutritore che, nel
momento in cui si inseriscono le stecche innestate,
viene cosparso con una soluzione zuccherina che ne
aumenta l’accettazione da parte delle api.

Prelevato il numero opportuno di favi, l’apicoltore si


reca in laboratorio dove inizia l’innesto delle larve nei
cupolini (traslarvo).
Lo strumento con il quale si effettua il traslarvo è il
cosiddetto “picking cinese” il quale consente di
prelevare la larva dal favo, con la gelatina che si trova sul fondo della cella, e di
depositarla sul fondo del cupolino. È questa una fase critica del processo in quanto da
essa dipende il risultato produttivo; infatti, se le larve vengono posizionate male sul fondo
del cupolino o accidentalmente uccise, le api non le accetteranno e non inseriranno nei
relativi cupolini la gelatina per allevarle.

Raggiunto un numero sufficiente vengono portate in apiario e posizionate sui telai


portastecche. Questi vengono inseriti al centro dell’arnia superiore, poiché questa è la
zona più calda che, anche in caso di abbassamenti termici, non viene mai abbandonata
dalle api.
Estrazione della pappa reale

Trascorse 72 ore dall’inserimento delle stecche, periodo durante il quale le api hanno
riconosciuto le giovani larve e hanno depositato nei cupolini la gelatina per allevare nuove
regine, i telai portastecche vengono estratti dall’arnia.
Le stecche, tolte dal telaio, vengono portate in laboratorio. viene
rimossa la cera degli opercoli ed estratte le larve per poter
lasciare intatta la gelatina reale.
L’impianto di aspirazione con il quale la pappa reale viene
prelevata dai cupolini e raccolta in un contenitore è costituito da
una pompa pneumatica alla quale è collegato un filtro che trattiene le impurità presenti
nella gelatina.
La pappa reale viene quindi confezionata in sacchetti da 1 kg,
per la vendita all’ingrosso, o in barattolini da 10 g, nel caso sia
destinata alla vendita al dettaglio, e conservata al fresco

144
Veleno
Con l'allevamento delle api si può anche produrre del veleno; è possibile recuperare il
veleno usando particolari tecniche molto complesse, in Italia non lo si produce, l'aspetto
incerto è il mercato a cui vendere il veleno.
Da ogni ape si recupera 0,15 mg di sostanza secca.
Il veleno provoca reazioni a chi è colpito dalla puntura, alcuni sono insensibili altri
manifestano reazioni di arrossamento o gonfi evidenti. Le punture delle api sono
pericolose per le componenti del veleno:

- Mellitina: peptide che provoca broncospasmi e dolore, infiammazioni, dolori, difficoltà di


coagulazione sanguigna. In alcuni cadi è anche antibatterico. E’ il principio attivo più
presente.
- Fosfolipasi A: danneggia la membrana cellulare dei globuli perché danneggia i
fosfolipidi, inibisce la coagulazione del sangue. E’ il più importante allergene ed è la
componente più nociva.
- Apamina: neurotossina.
- Adolapina: antinfiammatorio, analgesico.

Tutte le componenti assieme, se un animale o persona sono colpiti comportano:

- Insorgenza di problemi respiratori;


- Accelerazione del battito cardiaco;
- Inibisce la azione dell’enzima ianulamidasi;
- Riduce l’efficacia di sostanze tossiche che provocano infiammazione.
Le persone che possono avere dei problemi sono poche, ma in alcune i problemi
gravi sono lo shock anafilattico con una reazione immediata anche con piccolissime
quantità di veleno.
Si possono avere delle eruzioni cutanee che danno prurito, sintomi di respiro affannoso e
blocco della glottide. Se punti occorre essere prudenti perché se si manifestano reazioni
gravi occorre andare in pronto soccorso, si cura con cortisone in vena o si possono usare
anche degli antistaminici che possono essere assunti solo in caso di punture.
La siringa automatica di adrenalina la si può usare se si è punti, l'adrenalina arresta
immediatamente l'azione del veleno.

145
Composizione veleno.

Per recuperare il veleno dalle api occorre indurre le api a reagire ad uno stimolo esterno e
si può fare usando delle piastre messe sul fondo dell'arnia, le tavole sono costituite da un
supporto in cui è posizionata una lastra di vetro su cui c'è una membrana di polietilene ed
il tutto è sormontato da una serie di fili in cui è fatta passare la corrente a 24-30 V e con
una batteria di auto si da corrente alternando delle pause di 6 sec, questo procedimento
dura 6 h.
Le api appoggiate alla griglia sentono la
scarica elettrica che non le danneggia ma le
irrita e reagiscono contro lo stimolo pungendo
lo strato inferiore su cui sono appoggiate ed
iniettano il veleno sulla placca inferiore, in 3 h
si raccolgono 150 mg di sostanza secca.

La griglia è piccola e la si può infilare tramite la


porticina. Con tale tecnica le api non muoiono.
Tale attività di raccolta del veleno fa irritare le
api e la si può fare solo in luogo lontano da animai e umani, perché le api divengono
aggressive.

Il veleno è usato per produrre pomate farmaceutiche, nel sistema sovietico c'era un
sistema di api-terapia e a seguito del crollo del muro di Berlino l'uso delle api in ambito
medico si ridusse molto.
Il veleno commercializzato in Italia è prodotto in Canada da aziende specializzate che
controllano la purezza e è le % delle molecole del veleno, le ditte farmaceutiche hanno
una canali diretto con le aziende del Canada e dunque non è facile mettersi sul mercato
con tale prodotto.

146
Legislazione
Normativa apistica.
I reg CEE devono uniformare le normative nei paesi della comunità, normativa europea:

- Regolamento CE n.797/04 (26 aprile 2004): Azioni dirette a migliorare le condizioni


della produzione e della commercializzazione dei prodotti dell'apicoltura
- Direttiva 2001/110/CE (20 dicembre 2001) concernente il miele; confluita in DL 179/04.
- Regolamento CE n. 2491/01 (19 dicembre 2001): Metodo di produzione biologica dei
prodotti agricoli e indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari
(completa il regolamento CEE 2092/91)
- Regolamento CE n.1804/99 (19 luglio 1999): Metodo di produzione biologica di prodotti
agricoli e all'indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari
(completa il regolamento CEE 2092/91)
- Regolamento CE n. 2633/98 (8 dicembre 1998): Regole d'applicazione delle azioni
dirette a migliorare la produzione e la commercializzazione del miele. Modifica il
Regolamento CE 2300/97 (applicazione del regolamento CE 1221/97)
- Regolamento CEE n. 2092/91 (24 giugno 1991): Metodo di produzione biologica di
prodotti agricoli e alla indicazione di tale metodo sui prodotti agricoli e sulle derrate
alimentari

- Regolamento CE 852/2004: “Igiene dei prodotti alimentari”; ha definito che il miele


quando è prodotto in azienda ed è venduto dal produttore è definito produzione primaria
e non è soggetto all'HACCP.
- Regolamento CE 853/2004: “Norme specifiche in materia di igiene degli alimenti di
origine animale”

- Regolamento CE 854/2004: “Norme specifiche per l’organizzazione dei controlli ufficiali


sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano”
- Regolamento CE 882/2004: “Controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla
normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere
degli animali”

- Regolamento CE 183/2005: “Igiene mangimi”

147
Registrazioni riguardanti:
Una azienda deve avere un registro di azienda e occorre registrare:

- La attività e l'origine dei prodotto dati alle api;


- I medicinali dati agli animali con le date ed i periodi di sospensione. Per la varroa si
prendono dei periodo di sospensione per evitare la diffusione delle molecole nei prodotti
apistici.
- L'insorgenza di malattie che possono incidere sulla sicurezza dei prodotto animali.

- I risultati delle analisi sui campioni prelevati da animali o su altri campioni vedi slide.
- Tutte le registrazioni servono per garantire la tracciabilità.

Norma nazionale
Legge 81/06 l'art 2bis è però poi compreso nella legge 179/04;

Legge 313/04 relativa alla disciplina della apicoltura ed è la cornice della attività apistica;
DL 179/04 concerne la produzione e la commercializzazione del miele.

Siccome il DL 179/94 discende dalla direttiva 2001/110 audio è stato emanato una
circolare ministeriale del MIPAF dell'8/03/05 che precisa la definizione miele 1000 fiori.

Se si fanno miscele di polline, miele e pappa reale si deve fare rifermento alla
normativa della etichettatura generale DL 259 del 10 agosto.

Legge 24/12/2004 n, 313

Disciplina dell’apicoltura e sono inserite nell’art. 2 le definizioni dei beni apistici:


- arnia: il contenitore per api;
- alveare: l'arnia contenente una famiglia di api;
- apiario: un insieme unitario di alveari;
- postazione: il sito di un apiario;

- nomadismo: la conduzione dell'allevamento apistico a fini di incremento produttivo che


prevede uno o più spostamenti dell'apiario nel corso dell'anno.
Nella legge si disciplinano gli usi dei fitofarmaci.
È vietato trattare piante nel periodo della fioritura, ci sono o deroghe regionali che
consentono di trattare ad esempio con tempo brutto.

148
Legge regionale n. 20 del 3 agosto 1998 (B.U.12 Agosto 1998, n. 32)
Norme per la disciplina, la tutela e lo sviluppo dell'apicoltura in Piemonte

Art. 4. (Riconoscimento dell'attività apistica)


L'apicoltura effettuata da apicoltori produttori apistici è riconosciuta attività imprenditoriale
agricola di tipo zootecnico.

Art. 5.
(Formazione professionale ed assistenza tecnica)
Secondo tale legge sono dati agli apicoltori dei fondi nazionali e europei e sono indicate
tutte le incentivazioni previste dalla norma.

Altri articoli.

Gli apicoltori non devono sostenere il contenzioso, ossia se un vicino semina colza esso
non può pretendere che l'apicoltore dia royalties in quanto nettare e polline e melata sono
elementi di un ciclo naturale si interesse pubblico.
I parchi devono essere disponibili a fare collocare gli alveari perché a la legge nazionale lo
prevede.

Nel caso di presenza di impianti saccariferi occorre che gli alveari sino distanti a più di un
km dalla azienda, questo perché le api raccolgono qualsiasi sostanza zuccherina.

Art 13: Occorre denunciare le malattie che si manifestano in apicoltura alle ASL locali.
Chi fa nomadismo deve comunicare all'asl locale entro10 giorni dallo spostamento
dell'alveare di tale attività nomadistica.

Anche l'apicoltore amatoriale può ricevere fondi della regione, ma deve diventare
successivamente un professionista impegnandosi in questa professione per il numero di
anni indicato.
Per andare in contro a apicoltori amatoriali, é stata emanata una norma indirizzata ad
apicoltori com meno di 25 famiglie e che vendono direttamente.
In questo modo si autorizza l'uso di locali per la smielatura che altrimenti non sarebbero
potuti essere usati. Occorre però rispettare vincoli di durata di smielatura, indicando i
giorni di inizi e di fine.

149
DL 21 maggio 2004, n.179
Art. 1.

1. Per «miele» si intende la sostanza dolce naturale che le api (Apis mellifera) producono
dal nettare di piante o dalle secrezioni provenienti da parti vive di piante o dalle
sostanze secrete da insetti succhiatori che si trovano su parti vive di piante che esse
bottinano, trasformano, combinandole con sostanze specifiche proprie, depositano,
disidratano,
immagazzinano e lasciano maturare nei favi dell'alveare.
2. Principali varietà di miele sono:
a) secondo l'origine:
1) miele di fiori o miele di nettare: miele ottenuto dal nettare di piante;
2) miele di melata: miele ottenuto principalmente dalle sostanze secrete da
insetti succhiatori (Hemiptera), che si trovano su parti vive di piante o dalle
secrezioni provenienti da parti vive di piante;
b) secondo il metodo di produzione o di estrazione:
1) miele in favo: miele immagazzinato dalle api negli alveoli, successivamente
opercolati, di favi da esse appena costruiti o costruiti a partire da sottili fogli
cerei realizzati unicamente con cera d'api, non contenenti covata e venduto
in favi anche interi;
2) miele con pezzi di favo o sezioni di favo nel miele: miele che contiene uno o
più pezzi di miele in favo;
3) miele scolato: miele ottenuto mediante scolatura dei favi disopercolati non
contenenti covata;
4) miele centrifugato: miele ottenuto mediante centrifugazione dei favi
disopercolati non contenenti covata;
5) miele torchiato: miele ottenuto mediante pressione dei favi non contenenti
covata, senza riscaldamento o con riscaldamento a un massimo di 45 °C;

6) miele filtrato: miele ottenuto eliminando sostanze organiche o inorganiche


estranee in modo da avere come risultato un'eliminazione significativa dei
pollini.
3. Il miele per uso industriale e' il miele che e' adatto all'uso industriale o come ingrediente
in altri prodotti alimentari destinati ad essere successivamente lavorati e che può:

a) avere un gusto o un odore anomali;


b) avere iniziato un processo di fermentazione, o essere effervescente;
c) essere stato surriscaldato.

150
Art. 4.
1. E' vietato aggiungere al miele, immesso sul mercato in quanto tale o utilizzato in prodotti
destinati al consumo umano, qualsiasi ingrediente alimentare, ivi compresi gli additivi,
ed effettuare qualsiasi altra aggiunta se non di miele.
2. Nei limiti del possibile il miele immesso sul mercato in quanto tale o utilizzato in prodotti
destinati al consumo umano deve essere privo di sostanze organiche e inorganiche
estranee alla sua composizione.

3. Salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 3, il miele non deve avere sapore o
odore anomali, ne' avere iniziato un processo di fermentazione, ne' presentare un
grado di acidità modificato artificialmente, ne' essere stato riscaldato in modo da
distruggerne o inattivarne sensibilmente gli enzimi naturali.

Allegato (previsto dall'art. 2, comma 1)


Caratteristiche di composizione del miele:
Il miele e' essenzialmente composto da diversi zuccheri, soprattutto da fruttosio e
glucosio, nonché da altre sostanze quali acidi organici, enzimi e particelle solide
provenienti dalla raccolta del miele.

Il colore del miele può variare da una tinta quasi incolore al marrone scuro. Esso può
avere una consistenza fluida, densa o cristallizzata (totalmente o parzialmente). Il sapore
e l'aroma variano ma derivano dalle piante d'origine.
Il miele immesso sul mercato in quanto tale o utilizzato in prodotti destinati al consumo
umano deve presentare le seguenti caratteristiche di composizione:

1. Tenore di zuccheri.
1.1. Tenore di fruttosio e glucosio (somma dei due):
- miele di nettare non meno di 60 g/100 g;
- miele di melata non meno di 45 g/100 g.
1.2. Tenore di saccarosio: in genere non più di 5 g/100 g;

- robinia, erba medica, sulla, eucalipto rossastro, agrumi, <10 g/100 g;


- lavanda, borragine non più di 15 g/100 g.
2. Tenore d'acqua: in genere non più del 20%;
- miele di brughiera (Calluna) e miele per uso industriale in genere non più del 23%;
- miele di brughiera (Calluna) per uso industriale non più del 25%.

3. Tenore di sostanze insolubili nell'acqua: in genere non più di 0,1g/100;


- miele torchiato non più di 0,5 g/100 g.
151
4. Conduttività elettrica:
- generalmente non più di 0,8 mS/cm;

- miele di melata e di castagno e miscele con tali tipi di miele ad


- corbezzolo, erica, eucalipto, tiglio, brugo, Leptospermum, Melaleuca spp. non
meno di 0,8 mS/cm;
5. Acidità libera:
- in genere non più di 50 meq/kg;

- miele per uso industriale non più di 80 meq/kg.


6. Indice diastasico e tenore di idrossimetilfurfurale (HMF), determinati dopo
trattamento e miscela:
a) indice diastasico (scala di Schade):
- in genere, tranne miele per uso industriale non meno di 8;

- miele con basso tenore naturale di enzimi (ad esempio, miele di agrumi) e
tenore di HMF non superiore a 15 mg/kg non meno di 3;
b) HMF:
- in genere, tranne miele per uso industriale non più di 40 mg/kg (fatte
- miele di origine dichiarata da regioni con clima tropicale e miscele di tali
tipi di miele non più di 80 mg/kg.

152
Apicoltura biologica.
Anche i contenitori saranno considerati nell'aspetto "biologico".

Non si certifica il prodotto ma il processo, e non si può essere certi di dove vadano
le api, e che terreni raggiungano. Quindi se il prodotto finito non é analizzato (non é
obbligatorio) non si sa effettivamente se il miele sia o meno biologico.

Regolamento (UE) n. 206/2010 della Commissione, del 12 marzo 2010, che istituisce
elenchi di paesi terzi, territori o loro parti autorizzati a introdurre nell’Unione europea
determinati animali e carni fresche e che definisce le condizioni di certificazione veterinaria
Articolo 7
Condizioni generali per l’introduzione nell’Unione di determinate specie di api

1) Le partite di api appartenenti alle specie elencate nella tabella 1 dell’allegato IV, parte 2,
possono essere introdotte nell’Unione unicamente dai paesi terzi o territori:
a)  elencati nell’allegato II, parte 1;
b)  in cui la presenza della peste americana, del piccolo scarabeo dell’alveare (Aethina
tumida) e dell’acaro Tropilaelaps (Tropilaelaps spp.) è soggetta a notifica obbligatoria in
tutto il paese terzo o in tutto il territorio interessato.

Si deve prestare attenzione all'importazione di api da paesi al di fuori della UE per


evitare l'ingresso dell'aethina tumida E Tropilaelaps spp.

153

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