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Gregotti Vittorio, Architettura e postmetropoli, Torino : Einaudi, 2011

L'esame riguarda in particolare il capitolo dieci : “Città antica e città moderna”.


L'autore ripercorre le grandi mutazioni della città, dalla città antica alla città moderna,
fino alla postmetropoli.
Gregotti considera la città antica in quanto città di sudditi, del re, dell'imperatore, dei
potentati economici, di Dio e non come città di cittadini. Nelle fasi più arcaiche
la città era concepita come un centro, i cui abitanti erano spesso sudditi, lasciati fuori dal
potere o sottomessi ai colonizzatori. Secondo Gregotti le città sono nate, quindi, come
luoghi di concentrazione dei lavori artigianali, del surplus della produzione
agricola, delle prime strutture di gestione della città e soltanto col passare del tempo
esse si sono specializzate, diventando spazi abitati da uomini considerati cittadini, con
contatti inter-personali, e non più da uomini che non avevano alcun legame con la città e
con gli altri.
Gregotti riprende il pensiero dello storico francese Fustel De Coulanges (1830-1889), che
scrisse: «La città nei primi tempi non era affatto un luogo di abitazione, ma il santuario in
cui siedono gli dei della comunità, la fortezza che li difende e che è santificata dalla loro
presenza, la residenza del re e dei sacerdoti, il luogo in cui si celebra la giustizia».
Successivamente Gregotti passa ad analizzare città come Alessandria d'Egitto, Roma e
Costantinopoli, che fra il II e il V secolo furono luoghi di comando dove convivevano
popolazioni diverse.
Viene poi presa in esame la città medioevale, nella quale iniziano a evidenziarsi le
caratteristiche della città industriale, città di produzione, di mercato e di rendita, ma
anche città dei diritti, aperta ai cambiamenti e agli scambi. Sarà, quindi, proprio la città
industriale sviluppatasi nel XIX e XX secolo a far sorgere l'idea di metropoli, idea sulla
quale si sono sviluppati accesi dibattiti, non ancora giunti a una conclusione. Fra i molti
architetti, storici e urbanisti del XIX e XX secolo ricordati da Gregotti risalta il nome di
Max Weber (1864-1920), economista, sociologo e filosofo tedesco.
Nel ripercorrere il XX secolo, l'autore nota che nel primo Trentennio ci fu un'evidente
ossessione per una radicale rifondazione del disegno della città, che spesso sfociò in un
pensiero utopistico, secondo il quale la nuova città era l'immagine della redenzione
dell'intera umanità. Con l’obiettivo di creare città simbolo del riscatto, emerse la proposta
di inserire nei progetti urbanistici la forza dell’architettura, vista come una disciplina da
scoprire e che avrebbe portato innovazione, così nelle pianificazioni degli anni '20 in
modo ricorrente si nota questo nuovo affiancamento, Gregotti osserva che alla base dei
progetti c'era peraltro un'analisi dettagliata dei fattori positivi o negativi del passaggio
città-metropoli.
Esisteva inoltre una relazione tra l'architettura e la grande industria, soprattutto in
Germania.
L'idea di metropoli nasce quindi dai cambiamenti sociali e prettamente fisici della città,
in seguito allo sviluppo massiccio delle fabbriche.
Gregotti definisce la metropoli, a confronto con la città antica caput del mondo, come «il
luogo del passaggio definitivo tra comunità e società», «luogo ideale per ottenere
l'eguaglianza dei diritti e delle opportunità».
Alla metà del XX secolo il cambiamento e le contraddizioni si fanno più evidenti: cambia
il concetto di ragione, concepita ora solo come uno strumento da utilizzare per
un fine individuale; diventano più complessi i trasporti, le comunicazioni, le tecnologie e
si sviluppa la globalizzazione.
In seguito a tale processo cambia il rapporto uomo-città: cresce la forza di attrazione
della grande città e ne aumenta la popolazione.
Un cambiamento radicale è ulteriormente avvenuto negli ultimi quarant'anni, durante i
quali è decaduto il fascino della città, di tutto quello che vi era stato creato, Gregotti ha
messo in evidenza le maggiori difficoltà derivanti da una mutazione troppo rapida,
dall’impossibilità di poter effettuare previsioni e pianificazioni, in una realtà in cui si
combinano progresso e contraddizioni, espansione delle comunicazioni e transitorietà
delle informazioni. Anche l’oggetto architettonico è mutato negli ultimi decenni, poichè
un tempo esso nasceva da una diretta relazione tra cliente, costruttore ed architetto,
mentre oggi le relazioni nella produzione edilizia si sono fatte più complesse: questioni
finanziarie, processi di marketing e tempi di produzione. In seguito a questi cambiamenti
nasce la postmetropoli che diventa la città del capitalismo finanziario globale e
oligarchico, «diventa la forma architettonica del problema razionalizzazione senza equità
civile dei rapporti sociali».
Gregotti rileva che il ricorso al termine unico “postmetropoli” non lascia spazio alle
differenze interne ai grandi agglomerati urbani, che implicano tipi diversi di soluzioni
per risolvere i problemi della vita civile.
L'autore in conclusione a tal proposito afferma: «Imparare dalle differenze è necessario
anche per la sopravvivenza dell'architettura del disegno urbano e del senso stesso della
città.».
Spada Caterina, classe II A

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